Ernesto Rossi-L’Europa di domani-Stilo Editrice Bari-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
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Ernesto Rossi-L’Europa di domani-Stilo Editrice
Un progetto per gli Stati Uniti d’Europa
STILO EDITRICE SOC. COOP. R.L.-Bari
Descrizione-del libro Ernesto Rossi-L’Europa di domani-La crisi finanziaria ed economica che si è abbattuta sul continente europeo e sui singoli Paesi ha fatto traballare l’Unione europea, mettendone a dura prova la solidità, e allo stesso tempo ha mostrato la fragilità delle sue istituzioni. Nella spirale recessiva le politiche di austerità, promosse dai consessi dei capi di Stato, hanno acuito la crisi sociale. La frantumazione del welfare ha disgregato la coesione tra le nazioni, permettendo il riesplodere di antiche, e forse mai sopite, rivalità.
La riedizione delle analisi elaborate da Ernesto Rossi nel 1944 trova fondamento nella grande attualità delle tematiche e delle soluzioni proposte dall’autore, che crede fortemente nel progetto federalista come garanzia di un maggiore esercizio della democrazia.
Questo pamphlet – documento del tempo – non ha la pretesa di offrire soluzioni definitive a problematiche politiche ed economiche aperte ma si propone di suggerire spunti di riflessione su tematiche che interessano il lettore in quanto cittadino europeo.
Biografia di Ernesto Rossi
Ernesto Rossi (Caserta 1897-Roma 1967) -Residente a Bergamo, professore, antifascista. Interventista e volontario nella prima guerra mondiale, ne esce mutilato e invalido. Studioso di storia ed economia, è seguace di Salvemini e di Einaudi, tra i fondatori di ‘Italia libera’, aderente all’’Unione democratica’ di Giovanni Amendola.Redattore del Non Mollare, del Caffè, della Rivoluzione liberale. Professore a Bergamo, tiene i contatti con l’antifascismo all’estero. Tra i massimi esponenti di Giustizia e Libertà insieme a Riccardo Bauer, “dotato di spirito indomabile” è arrestato il 30.10.1930 per attentato all’ordine costituzionale dello Stato e dimostrazioni a carattere insurrezionale e condannato dal Tribunale Speciale il 30.5.1931 a 20 anni di reclusione. “ ammise di aver esplicato intensa opera antifascista…nelle varie riunioni segrete fra affiliati egli, Rossi, aveva preso viva parte alle discussioni sull’organizzazione e sul movimento della “Giustizia e Libertà” nonché sulla scissura tra la concentrazione (blocco unitario delle varie tendenze antifasciste del fuoriuscitismo) e la stessa Giustizia e Libertà…”.
Recluso a Roma. Nel 1934 gli è inflitta dal Consiglio di disciplina del carcere 3 mesi di cella di segregazione per frasi offensive verso il duce. Liberato il 29.10.1939, data della liberazione. A fine pena, il 29.10.1939, è confinato a Ventotene per 5 anni, dove è tra i redattori del noto ‘Manifesto di Ventotene’ nel 1941. Il 9 luglio 1943, Rossi fu arrestato con Vincenzo Calace e Riccardo Bauer e nuovamente tradotto a «Regina Coeli». Il 25 luglio 1943 lo salva da un nuovo processo davanti al Tribunale Speciale. Liberato il 30.7.1943. Nell’agosto 1943 partecipa alla fondazione del Movimento federalista europeo. Dirigente del Partito d’azione.
L’8 settembre capeggiò una manifestazione popolare a Bergamo, il che lo segnalò all’attenzione dei neofascisti e dei tedeschi. Ricercato e in pessime condizioni di salute, per le privazioni sofferte nei lunghi anni di carcere e confino, fu costretto a cercare rifugio in Svizzera.
Rientra a Milano nel 1945. Consultore nazionale, sottosegretario del governo Parri, è assertore di una moderna società democratica, svolge un’intensa attività pubblicista e di scrittore.
Nel 1955 fondatore del Partito radicale. Autore di numerose opere tra cui La riforma agraria, Critica del capitalismo, Settimo non rubare, I padroni del vapore, Il manganello e l’aspersorio, Viaggio nel feudo Bonomi ed altri. Muore a Roma il 9.2.1967.
Stefano Savella articolo per PugliaLibre
Già subito dopo le elezioni europee del maggio scorso le questioni riguardanti le politiche comunitarie hanno rapidamente abbandonato i rulli dei programmi di comunicazione. Quando il nuovo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, presenterà tutti i nomi della sua squadra, è assai probabile che si tornerà a parlare di governance europea soltanto per le eventuali raccomandazioni dell’Unione nei confronti del nostro paese. Ci troviamo dunque di fronte a un’assenza assai evidente di una “narrazione” europea che approfondisca aspetti politici ed economici ma allargandosi anche a quelli sociali, a tutti quei fenomeni che sotto traccia, giorno dopo giorno, contribuiscono alla costruzione di un’Europa più solida. Per chi voglia ricercare frammenti di questa narrazione, è perciò necessario rifarsi ai grandi classici dell’europeismo, agli scritti di quegli intellettuali che, già nella prima metà del Novecento, si erano posti il problema di un’organismo sovranazionale che rendesse l’Europa un continente di pace.
L’Europa di domani. Un progetto per gli Stati Uniti d’Europa, di Ernesto Rossi, è uno di questi documenti nei quali è possibile riscoprire ciò le origini della formazione del pensiero europeista ma anche l’idea di un’Europa federale che resta ancora ai margini del dibattito pubblico, malgrado la sua urgenza. Ripubblicato dalla Stilo Editrice (pp. 104, euro 10), questo libello scritto dall’intellettuale casertano nel 1944 è preceduto da una introduzione di Mauro Rubino, laureato in Lettere all’Università di Bari, che dopo studi specialistici sul romanzo postmoderno si occupa ora di saggistica politica. Qui Rubino affronta analiticamente i diversi aspetti che Rossi, in un contesto storico quale quello dei mesi conclusivi del secondo conflitto mondiale, indicava come necessari per addivenire alla costruzione di un’Europa autenticamente federale; lo fa, inoltre, alla luce della fortuna che le intuizioni di Rossi hanno avuto nei decenni successivi e al loro recepimento sia in ambito comunitario sia all’interno di alcuni Stati nazionali, come la Germania e il Regno Unito, particolarmente decisivi per la tenuta delle istituzioni europee.
Tanto il lettore già attento alle dinamiche della politica europea, quanto quello che intende comprendere meglio il percorso storico che ha preceduto l’attuale fisionomia degli organismi di governo e di rappresentanza di Bruxelles e Strasburgo, troveranno molte affermazioni di Ernesto Rossi straordinariamente profetiche. «I rappresentanti dei medesimi partiti votano insieme nelle assemblee legislative, indipendentemente dalla loro cittadinanza nazionale: il socialista di un altro Stato membro della federazione contro il conservatore suo connazionale, ed il conservatore è appoggiato dai conservatori degli altri Stati contro il socialista suo connazionale»: parole scritte nel 1944 e nient’affatto scontate, ma ormai da alcuni decenni pratica comune nel corso dei lavori del Parlamento europeo. Ma è evidente che c’è ancora molta strada da fare, contrariamente agli auspici di Rossi, su un’Europa federale, i cui rappresentanti rispondano, appunto, a un governo sovranazionale e non a quelli dei propri paesi di appartenenza. Eppure, anche in questo caso le parole di Rossi avrebbero potuto tracciare un percorso assai più coerente, anche in relazione alle questioni economiche che oggi l’Unione, proprio per mancanza di poteri effettivi, fa fatica ad affrontare. Scriveva infatti Rossi in questo libro che «L’unificazione economica dà vigore all’unificazione politica. […] creando fin dalle origini dello Stato federale europeo un complesso di tali interessi gli si permetterebbe di affondare subito le radici nel territorio più saldo, in modo da renderlo poi capace di resistere all’infuriare delle tempeste».
STORIA- La lezione di Ernesto Rossi- Alberto Cavaglion, scrittore
Fonte Pagine Ebraiche- 22/01/2019 – 16 שבט 5779
Non ho potuto purtroppo prendere parte, come avrei desiderato, all’importante convegno “L’emigrazione intellettuale dall’Italia fascista. Studenti e studiosi ebrei dell’Università di Firenze in fuga all’estero” che si è svolto a Firenze. Era mia intenzione proporre agli studiosi un’ipotesi di ricerca su un aspetto della storiografia sul 1938 che mi sembra poco esplorato. Provo a spiegarmi qui, ma prima desidero scusarmi con i miei abituali lettori: la tiro in lungo più del solito, il tema è importante e non semplice. Mi ero in passato rivolto a mettere in fila alcune pagine di Franco Venturi, Emilio Lussu, Giuseppe Di Vittorio, Ernestina Bittanti-Battisti, qualche cosa su di loro ho scritto, ma non mi era mai capitato di cercare una spiegazione complessiva, di vedere se esiste un filo che tenga unita la sdegnata reazione di quei pochi (ma poi non così pochi come comunemente si crede) alla campagna razziale. Parto, senza avere una risposta esaustiva, da una constatazione di fatto, ancorché del tutto ovvia, quasi elementare. L’ipotesi che mi piacerebbe verificare è la seguente: mi chiedo e chiedo a chi in questi anni s’è occupato di 1938 che cosa voglia dire, e da dove derivi, il fatto che la reazione al razzismo antiebraico delle «pecore matte» muove sempre da una motivazione economicistico-pratica. Mi chiedo se questo tipo di reazione sia da ricondursi a una specifica formazione economica di alcune delle «pecore matte». Andando più nel profondo immagino – e per questo vi pongo come ipotesi di lavoro – che il denominatore comune in senso lato vada cercato in una matrice empirista, «cattaneano-salveminiana », che accomuna, pur nella disomogeneità delle posizioni, l’antirazzismo di Venturi, Lussu, Di Vittorio, della stessa Ernestina Bittanti Battista e, appunto, la posizione della più matta delle mie adorate pecore, Ernesto Rossi: «Il pensiero di tanti altri che avranno troncata la loro carriera e non sapranno a che santo votarsi mi ha fatto andar via ogni volontà di ridere», scriveva Rossi alla moglie il 9 settembre di ottant’anni fa. Se, come dicevo, il sarcasmo era stato – fino ad allora – la cifra stilistica preferita da Ernesto Rossi per deridere il Duce, l’antisemitismo e la cacciata degli ebrei dai pubblici uffici e in specie dal mondo delle università, segna un mutamento nella forma prima che nella sostanza. Non sono stati molti gli intellettuali antifascisti che hanno percepito in modo altrettanto lucido la gravità del problema, ma non sono stati nemmeno così pochi a rivendicare, alla maniera delle Interdizioni cattaneane, la priorità dell’economia sulle ideologie. Nei diari, nei carteggi che conosciamo – anche di leader e antifascisti importanti–si osserva, intorno al 1938, un imbarazzante silenzio di cui poco fino ad oggi s’è parlato. Anche dopo l’8 settembre l’antifascismo politico sottovaluterà la questione ebraica, come ci ha spiegato Enzo Forcella in memorabili pagine del suo diario dedicate al 16 ottobre 1943. Anche di questo diffuso fenomeno di sottovalutazione non capisco perché non si discuta mai, a fronte del molto che s’è scritto e si continua a scrivere del mondo cattolico o della (presunta) cultura fascista. Sono lettere, quelle di Rossi, che vanno intrecciandosi con le coeve lettere ai famigliari di altri antifascisti, per esempio di Vittorio Foa o dello stesso Massim Mila, che sul 1938 in vero non scrive molto nelle sue lettere dalla prigione. Allarmano Ernesto Rossi i destini di amici, colleghi: «A Firenze sono stati espulsi anche il Finzi e il Limentani, che conoscevo ». Al razzismo Ernesto Rossi dedicherà riflessioni importanti anche dopo la guerra ne Il manganello e l’aspersorio, uno dei primi libri che affronterà dopo la Liberazione il 1938. Il caso che più s’avvicina alla riflessione di Rossi e merita una diretta comparazione è quello di Luigi Einaudi. Fra i saggi di Einaudi che si possono rileggere oggi in rete, uno spicca fra gli altri. S’intitola I contadini alla conquista della terra italiana nel 1920-1930 e venne stampato sulla «Rivista di storia economica» nel dicembre 1939. Il tema è la rivoluzione agraria, ma il futuro Presidente della Repubblica non perde di vista l’attualità soffermandosi sul ruolo positivo che gli ebrei hanno avuto nella costruzione della Nuova Italia. In una decina di pagine, ricche di aneddoti autobiografici, Einaudi racconta “il gran tramestio di terre”, che in momenti successivi mutò il volto del paesaggio in Piemonte. Interessante è quello che Einaudi scrive sia del primo “tramestio” (successivo alla Rivoluzione francese), sia del secondo, avvenuto in conseguenza della vendita dei beni ecclesiastici con le leggi Siccardi, negli anni Sessanta dell’Ottocento. Nonostante la facilità di accesso ai beni messi all’asta, gli acquirenti si trovarono di fronte ad un dilemma di coscienza: prima di procedere nell’acquisto dovevano pur sempre superare qualche remora. Se avessero comprato sarebbero incorsi nella scomunica: ogni deliberatorio, non munito del beneplacito della Santa Sede, sarebbe stato considerato nullo. Gli ebrei appena emancipati dal ghetto potevano invece comprare: si trattava quasi sempre di beni facili da dividere e altrettanto facili da rivendere. Il fenomeno, apprendiamo dalle pagine einaudiane, ebbe dimensioni notevoli nella provincia di Alessandria (43%), Cuneo (20-21%) e Torino (16%); minore rilevanza a Vercelli e Asti. A Luigi Einaudi pare importante sottolineare, nel 1939, che senza la mediazione degli ebrei i contadini del Piemonte non avrebbero potuto salvare l’anima e garantire un futuro decoroso ai propri figli. Naturalmente gli acquisti riattizzarono l’ostilità della stampa cattolica. Decisamente pragmatica e al tempo stesso anticonformista e politica, come quella espressa da Rossi nelle lettere dal carcere, è la prospettiva di Luigi Einaudi: «Socialmente, l’opera dei mercanti ebrei fu più benefica di quella dei loro predecessori cristiani, perché, con differenze lievi – né la stabilità del metro monetario avrebbe consentito voli ardimentosi – e con agevolezze nei pagamenti a miti saggi di interesse, agevolarono, assai più dei cristiani, il passaggio della terra ai contadini». In modo semplice, quasi scolastico, Luigi Einaudi s’oppone alla rozza propaganda del tempo, descrivendo, potremmo dire, gli effetti benefici della sola rivoluzione agraria dell’età moderna attuatasi senza spargimento di sangue. L’emigrazione ebraico-italiana derivante dalle leggi di Mussolini anche da parte di Ernesto Rossi è spiegata con le leggi dell’economia e cioè con il calcolo della perdita secca per le Università italiane: «È un bel numero di cattedre che rimangono vacanti: una manna per tutti i candidati, che si affolleranno ora ai concorsi portando come titoli i loro profondi studi sulla razza, sull’ordinamento corporativo, sull’autarchia ecc.». Una corrispondente «circolazione delle élites», scrive, si avrà per gli agenti di cambio, per i medici negli ospedali, per i dirigenti delle aziende e per tutti gli altri posti lasciati dagli ebrei. Ernesto Rossi proseguiva così la sua lucida e pratica analisi dei danni economici, che sorprende per gli evidenti calchi dall’empirismo cattaneano: «Si raggiungono press’a poco, con la cacciata degli specialisti, gli stessi risultati che con la distruzione delle macchine: quasi nessuno riesce a vedere i danni generali, indiretti, diffusi, mentre gli interessati all’eliminazione della concorrenza si rallegrano del vantaggio immediato che posson ritrarre nel periodo di transizione. Speriamo che nei paesi democratici ci sian dirigenti capaci di comprendere quale straordinario fattore di progresso può esser per loro la sistemazione di tanti elementi di prim’ordine, malgrado le inevitabili lamentele di tutti coloro che, in un primo tempo, si sentiranno danneggiati». L’economia, sì. Certo, ma anche, come sempre in Ernesto Rossi, un profondo senso della storia. Infatti, quella medesima lettera alla mamma, scritta dal carcere il 22 ottobre, si chiude con una notazione che non ha eguali e che brilla per la sua lucidità di interpretazione storiografica, con il più classici dei paragoni con il passato: «Secondo quanto ci narrano gli storici, la politica di fanatismo e d’intolleranza dei re francesi e spagnoli contribuì nel secolo XVII alla prosperità dell’Olanda e dell’Inghilterra, che accolsero i profughi ebrei ed ugonotti, più di qualsiasi scoperta o invenzione».
Alberto Cavaglion, scrittore-Pagine Ebraiche, gennaio 2019
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