Emanuel Carnevali-un poeta all’inferno-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Emanuel Carnevali-Il primo dio- Poesie scelte-
Il primo dio – Poesie scelte – Racconti e scritti critici
A cura di Maria Pia Carnevali-ADELPHI EDIZIONI
Risvolto
Come Dino Campana, Emanuel Carnevali ha avuto il destino di un ‘poète maudit’: nato a Bologna nel 1897, partì da ragazzo per gli Stati Uniti, che dovevano diventare, per lui, il luogo simbolico della vita e della letteratura. Passò attraverso numerosi e umili mestieri («raccogliere cicche per strada non fu certo la cosa più spregevole a cui mi ridussi») finché lo incontriamo nella cerchia degli scrittori americani di punta in quegli anni. Ezra Pound, William Carlos Williams, Sherwood Anderson, Robert McAlmon lo accolsero come uno dei loro, con ammirazione e insieme sconcerto dinanzi a questo difficile e imprendibile personaggio, e inclusero subito testi suoi nelle loro celebri antologie e riviste. Carnevali scriveva in inglese, la sua unica lingua era quella dell’esilio, e portava così nella poesia americana un soffio selvatico, di cui fu avvertita la novità. Il suo destino era tragico: nel 1922 fu colpito da encefalite e dovette tornare in Italia. Trascorse in un ospedale vicino a Bologna gli ultimi anni della sua vita, e lì ancora lo raggiungevano le lettere dei suoi amici americani.
In questo volume abbiamo voluto raccogliere le parti più significative della sua opera, finora inedita in italiano. Innanzitutto il romanzo Il primo dio, una prosa di febbrile intensità, carica di immagini, di sogni, di angosce, di camere mobiliate, l’autoritratto di un nomade, braccato dalla vita, che ci lascia sbalorditi per la modernità del suo accento. Poi una scelta dalle sue poesie: anche queste ‘eccentriche’, rispetto all’America e tanto più rispetto all’Italia, scritte in una lingua reinventata con felicità e uno strano candore, leggere e disperate. Infine alcune prose critiche, da cui apparirà l’ottica singolare di questo ‘poeta maledetto’, insofferente delle raffinatezze formali e compositive dei suoi amici americani, lui che si sentiva preso in un terribile risucchio verso la morte. Nel loro disordine e nella loro amarezza, i testi di Carnevali hanno un suono ‘giusto’ che percepiamo solo oggi, come quello di chi poteva essere uno dei grandi scrittori italiani di questo secolo e invece giunge filtrato da un’altra lingua, da un’altra storia, e pur sempre come un’emozionante scoperta.
3 poesie di Emanuel Carnevali
Menzogne colorate
I
Le case in lunga schiera
hanno rosse facce arse dal vento.
Queste bare d’aria immobile
con sguardo ottuso e stupido
se l’intendono con i venti che soffiano
un bell’insulto sulle loro facce-
vecchie zitelle
ingoiano con dignità l’odio
verso il passo vanitoso
di alte ragazzine dalle gonne ondeggianti.
Hanno rosse facce arse dal vento.
Tentano con dignità
di sorridere
una rossa menzogna
per un momento
in lunga schiera
mentre soffiano i venti.
II
Uomini vestiti di blu, nero e grigio
questi sono i tre colori del cielo.
Odio, amore e bontà pigiati nello spazio
di una giacca mal abbottonata.
Poiché il cielo
guardando giù
tanto dolcemente
chiederà a questi uomini la ragione,
queste piccole, indaffarate cose sotto la giacca
nasconderanno il disagio,
e strisceranno via
in abiti blu, nero e grigio-
tre colori di menzogna
per tradire
lo sguardo gentile del grande cielo innocuo…
Oh l’intrusione
confonderebbe
lo stomaco degli uomini,
striscerebbero via
armati di bugie nere blu e grigie.
(Gennaio 1918)
*
Quando è passato
L’amore lo pensavo come un lungo giro in battello
su un lago tranquillo: intorno
i salici lasciavano cadere le loro fronde
in acqua;
e tra quelle fronde, i raggi
che il sole dimenticava andandosene
erano tutto un indaco-rosa-viola-blu.
Ma ora che è finito so che era una corrente
impetuosa, e ruggendo distruggeva tutto, tutto.
Nell’anima mia, mi resta soltanto un cespuglio
che oscilla e ondeggia nel vento come la chioma di una strega.
Sibila e bestemmia il vento come il braccio tremendo di una strega:
la memoria.
(Marzo 1918)
*
Ai poeti
Essenze di ogni bellezza popolare
violini dalle corde vibranti
lunghe, soffici, delicate armonie-
anche se sfiorati dalle ruvide dita del mondo,
anche se sfiorati dalle fredde dita del dolore-
pensate al giorno in cui, dormendo nelle vostre tombe,
sarete svegliati dal tuono delle vostre voci
e dal vento forte e gelido della vostra musica:
poiché nel suolo fertile degli anni
le vostre voci fioriranno mutando in tuono,
la vostra musica muterà in vento che monda e genera.
(Marzo 1918)
BIOGRAFIA di Manuel Federico Carlo Carnevali nacque a Firenze il 4 dicembre 1897 in via Montebello 11, da Tullio Carnevali (Lugo di Romagna, 1869), ragioniere-capo di prefettura, e da Matilde Piano (Torino, 1873). Emanuel, Em o Manolo, come veniva alternativamente chiamato, venne al mondo dopo che i genitori si erano separati; dopo l’infanzia trascorsa tra Pistoia, Biella e Cossato e dopo la morte della madre (1908), venne messo in collegio dal padre che, risposatosi, volle che raggiungesse la nuova famiglia a Bologna. Nel 1911 Emanuel vinse una borsa di studio del Collegio Marco Foscarini di Venezia e vi trascorse quasi due anni, prima di esserne espulso. Nel 1913 fece il suo ingresso nell’Istituto Tecnico “Pier Crescenzi” di Bologna, dove fu allievo del critico letterario e narratore Adolfo Albertazzi. Questo rapporto col maestro, non del tutto pacifico, rappresenterà per Carnevali un’iniziale conferma della sua vocazione letteraria.
Come racconta lui stesso nel suo romanzo Il primo dio, scritto in inglese e tradotto in italiano dalla sorellastra Maria Pia (figlia di suo padre e della nuova moglie) per i continui litigi con il padre che lui considerava autoritario e troppo reazionario, decise di emigrare negli Stati Uniti nel 1914, a soli 16 anni. Emanuel partì da Genova sul Caserta il 17 marzo 1914 e arrivò a New York il 5 aprile.
Visse quindi fino al 1922 tra New York e Chicago, all’inizio senza conoscere una sola parola d’inglese ed esercitando lavori saltuari: lavapiatti, garzone di drogheria, cameriere, pulitore di pavimenti, spalatore di neve ecc., e soffrendo fame, abietta miseria e privazioni di ogni sorta. Col tempo imparò la lingua (leggendo le insegne commerciali di New York), cominciò a scrivere e ad inviare i suoi versi a tutte le riviste che conosceva. Inizialmente rifiutate, le sue poesie cominciarono man mano ad essere pubblicate ed Emanuel a farsi conoscere nell’ambiente letterario, diventando amico di diversi poeti, tra cui Max Eastman (1883-1969), Ezra Pound, Robert McAlmon (1896-1956), e William Carlos Williams (che lo nomina nella sua Autobiography del 1951).
Dimenticato dalla critica e dal pubblico, ha lasciato un piccolo, ma tagliente e forte segno nella letteratura americana del Novecento. Pur vivendo quasi in miseria, passando da un lavoro all’altro, e da un amore all’altro, frequentando prostitute e teppistelli, riuscì a partecipare, da straniero, al rinnovamento dell’avanguardia letteraria americana dell’epoca.
Sherwood Anderson si ispira a lui quando scrive il racconto Italian Poet in America (1941). Le sue poesie vengono pubblicate dalla rivista “Poetry Magazine”, fondata nel 1912 e diretta da Harriet Monroe (1860-1936) e di cui diventa lui stesso, per un breve periodo, vicedirettore.
Fu autore dei racconti Tales of an hurried man (1925), poi lasciò New York ed Emilia Valenza, la ragazza d’origine piemontese che aveva sposato nel 1917 e che viveva con lui nell’allora malfamato “East Side” di Manhattan, per andarsene a Chicago, dove visse ancora in stenti traducendo e collaborando a «Others».
Le sue lettere a Benedetto Croce e a Giovanni Papini verranno poi pubblicate col titolo Voglio disturbare l’America (1980), a cura di Gabriel Cacho Millet, il quale ha anche raccolto i Saggi e recensioni e il Diario bazzanese.
Colpito da una malattia nervosa, l’encefalite letargica, nel 1922 ritornò in Italia, dove visse gli ultimi vent’anni fra l’ospedale e varie pensioni di Bazzano, il Policlinico di Roma e la clinica bolognese Villa Baruzziana, e dove continuò a scrivere, come sempre, in lingua inglese.
Placca in memoria di Emanuel Carnevali nel Chiostro delle Madonne della Certosa di Bologna.
Morì l’11 gennaio 1942 nella Clinica Neurologica di Bologna, soffocato da un boccone di pane. Due giorni dopo venne sepolto a Bologna nel cimitero della Certosa.
Opera
Durante la sua vita è stata pubblicata solo la raccolta di racconti Tales of an Hurried Man nel Contact Editions di Robert McAlmon, Paris 1925, di cui è uscita solo nel 2005 una versione italiana col titolo Racconti di un uomo che ha fretta.
Il romanzo autobiografico Il primo dio è stato pubblicato postumo nel 1978, a cura di Maria Pia Carnevali e ha vinto il Premio Brancati.[1]
Riconoscimenti
A lui è dedicata la canzone Il Primo Dio[2] dei Massimo Volume (contenuta nel loro disco Lungo i bordi), ed una sua poesia (Almost a God) è stata musicata dalla band Movie Star Junkies.
Il Comune di Bazzano, la Fondazione Rocca dei Bentivoglio di Bazzano e l’Archivio storico comunale di Bazzano hanno pubblicato Sono un vagabondo e semino parole da un buco della tasca, a cura di Aurelia Casagrande, Bazzano: Quaderni della Rocca, 2008. Presso il Comune di Bazzano è conservato l’archivio delle carte dello scrittore Carnevali acquisite dalla famiglia da parte del Comune di Bazzano e ora conservate nell’archivio comunale.
Il gruppo musicale Acustimantico ha pubblicato un cd che si chiama “Santa Isabel” con la canzone Em, ovvero Emanuel Carnevali va in America (I Palombari, 2004).
Il cantautore Bobo Rondelli nell’album “Come i carnevali” (Picicca Dischi / The Cage marzo 2014) apre la raccolta con la canzone “Carnevali” che, nella terza di copertina, è spiegato essere “ispirata e dedicata a Emanuel Carnevali (Semino parole da un buco della tasca…)”
Tra le folle di migranti che agli inizi del secolo scorso sbarcarono a Ellis Island, si nascondeva un grande poeta proveniente dall’Emilia.
Emanuel Carnevali lascia Bologna e sbarca a New York il 5 aprile 1914 per sfuggire a un padre autoritario che “nasconde un cuore nero”. Cacciato dal collegio in cui studiava a Venezia e rimproverato dal genitore per le assenze dalla scuola di Bologna, “Manolo” arriva in America a soli 16 anni, come Rimbaud all’epoca delle prime fughe a Parigi. A New York il ragazzo di Bologna non conosce nessuno, se non il fratello che lo raggiunge due settimane dopo e con il quale litiga subito. Comincia un’esistenza di lavori saltuari e camere ammobiliate: fa il cameriere, il lavapiatti, il garzone di drogheria, lo spalatore di neve, e impara l’inglese in strada decifrando le insegne pubblicitarie. Nel 1917 legge avidamente i poeti francesi e scrive il suo primo verso in inglese: Love is a mine hidden in the mountain of our old age. Manda le sue prime poesie alle riviste, regolarmente rifiutate, e cambia lavoro in continuazione vivendo di espedienti. Fa amicizia con un francese, aspirante scrittore, Louis Grudin, che lo introduce alla letteratura americana e con il quale visita alcuni importanti scrittori americani come Max Eastman e Louis Untermeyer. A settembre The Seven Arts gli pubblica un paio di poesie.
Il mese dopo Carnevali conosce una sua vicina di camera, una piccola piemontese emigrata, e la sposa. Per la prima volta ha una casa, anche se nel malfamato East Side. Nel marzo 1918 la prestigiosa rivista Poetry diretta da Harriet Monroe lo premia per una serie di poesie, grazie alle quali entra in contatto con i grandi intellettuali del tempo: William Ca
rlos Williams, che gli dedica l’intero ultimo numero della rivista Others (luglio 1919), Ezra Pound, Edgar Lee Masters, Carl Sandburg, Sherwood Anderson.
Carnevali traduce in inglese Croce, Papini e i nuovi poeti italiani, pubblica un saggio su Rimbaud, collabora a riviste, ma rimane uno sradicato, un nomade braccato dalla vita, un poeta maledetto. Febbrile, selvatico, con una certa affinità di stile ed esistenziale con Dino Campana, tradisce la moglie con avventure occasionali, la abbandona a New York – e non la rivedrà mai più – per trasferirsi a Chicago, chiamato da Harriet Monroe come vicedirettore di Poetry. Fa q
ualche lavoretto per campare, senza mai riuscire a liberarsi della sua congenita instabilità. Si innamora di una ragazza ebrea, e quando questa nel febbraio 1920 lo lascia per trasferirsi a New York, anche lui abbandona il poco che aveva conquistato, come l’incarico alla rivista, e vaga di notte per le strade di Chicago facendosi mantenere dalle prostitute.
Cominciano le prime crisi di nervi. Ricoverato per sospetta sifilide nel reparto psicopatici del St. Luke’s Hospital, grazie all’aiuto di un gruppo di amici viene trasferito in una clinica privata. Dimesso, gli trovano un posto di giardiniere al Lincoln Park, che deve abbandonare per la sua debolezza. Chiede allora di essere mandato alle dune dell’Indiana: lì – scrive – “la solitudine era tutto ciò che possedevo”. Passata l’estate del 1920, torna a Chicago dove vive chiedendo l’elemosina. A Milwaukee, invitato per una lettura delle sue poesie, si ferma e va a dormire all’ospedale. Ricacciato a Chicago dalle autorità, trova altri effimeri lavori. Scrive a Williams: “Caro Bill, ora sono una miseria ambulante”. Nel giugno 1921 riparte per le dune del lago Michigan, dove si costruisce una capanna e vive quasi da selvaggio. Poi fa di nuovo rotta a Chicago, mendicante tra i mendicanti. Nel gennaio 1922 è ancora in ospedale: trema tutto, non riesce a fissare l’attenzione su niente. La diagnosi sarà terribile: encefalite letargica. L’ultimo suo lavoro è quello di trasportare sacchi di tappi di sughero da una parte all’altra di Chicago. Dopo, si abbandonerà completamente alla malattia.
A New York, Grudin lo aspetta al porto per salutarlo. Emanuel torna in Italia grazie al viaggio pagato dal padre: “piegato su se stesso, calmo, tremante, incapace di accendersi una sigaretta” – racconta l’amico. La sera dell’11 settembre 1922 è a Bologna. Il padre, commissario prefettizio a Bazzano, lo fa ricoverare all’ospedale di questa cittadina a 30 km da Bologna. Nel 1923 Em, come lo chiamavano in America, riceve in dono dai suoi amici d’Oltreoceano una macchina da scrivere, e l’anno seguente lo scrittore ed editore Robert McAlmon gli paga un anno di soggiorno a Villa Baruzziana a Bologna. Nel ’25 McAlmon, raccogliendo gli scritti di Carnevali sparsi per le riviste americane, pubblica A Hurried Man. Tra il ’26 e il ’36 Carnevali è sistemato in due pensioni di Bazzano (nel ’28 scrive A History, un diario bazzanese). Gli amici americani non lo dimenticano: in molti vengono a trovarlo a Bazzano, tra cui Ernest Walsh nel ’24, la Monroe nel ’29 e Pound, che nel ’36 gli porta in dono una radio. Ridotto in condizioni pietose da anni di malattia, Carnevali muore nella Clinica Neurologica di Bologna nel 1942, soffocato da un pezzo di pane. L’editore Adelphi nel 1978 fa uscire Il primo dio, che comprende l’omonimo romanzo autobiografico, una scelta di poesie, alcuni racconti, scritti critici e testimonianze. Quel che colpisce, è la ventata di novità, l’urgenza e la selvatichezza che Carnevali introduce nella poesia americana. Scrive in inglese, la lingua dell’esilio, spinto dall’entusiasmo barbarico di chi arriva dalla periferia. Lui, il “poeta delle camere ammobiliate”, è riconosciuto da Williams come “il poeta nero, l’uomo vuoto, la New York che non esiste”. Con la sua lingua raccolta per strada, costringe gli anziani poeti a liberarsi della tecnica, a uscire allo scoperto nella vita, come un topo che scivoli fuori dalle immondizie di New York. Disceso all’inferno, Em, il “miserabile ragazzo sperduto nel sudiciume” che ha scoperto la poesia nei retrocucina dei ristoranti (“Quante volte nelle strade di Manhattan / ho scagliato il mio odio!”), ne riemerge come lo sciamano che ha visto la morte e riconosciuto dio.
Se la malattia, il tremore incessante in tutto il corpo, non l’avesse messo fuori campo a soli 25 anni, costringendolo a giocare di rimessa con le parole e con le sue intemperanze, la Certosa di Bologna custodirebbe oggi i resti di uno dei più grandi scrittori del Novecento.