Eccidio di Boves, la prima strage nazista in Italia
Biblioteca DEA SABINA
Eccidio di Boves, la prima strage nazista in Italia
Articolo di Fabio Casalini
Una volta avvenuto lo sbarco degli Alleati in Sicilia, verificatosi nelle prime ore del 10 luglio 1943, Mussolini viene arrestato ed il governo è assegnato al generale Pietro Badoglio, il quale firma l’armistizio con gli angloamericani rendendolo noto l’8 settembre 1943, lasciando però le forze militari italiane senza alcuna istruzione sul come comportarsi con i tedeschi e con gli alleati.
I soldati italiani sono allo sbando, ed i tedeschi ne approfittano per prendere possesso di tutti i territori italiani non ancora in mano agli alleati.
Nel paese di Boves, situato in provincia di Cuneo, si costituisce una delle prime formazioni partigiane italiane: un reparto di militari italiani, comandati dall’ufficiale Ignazio Vian, si rifugia sulle montagne e inizia un’azione di resistenza contro le truppe tedesche. La domenica 19 settembre un gruppo di partigiani, sceso in paese a far provviste, si imbatte in un’auto con a bordo due soldati tedeschi.
I resistenti catturano i militari conducendoli in montagna. I due facevano parte della divisione SS Leibstandarte “Adolf Hitler”.
Le SS, giunte da Cuneo, occupano Boves convocando il parroco e il commissario della prefettura. Non trovando quest’ultimo, il suo posto viene preso dal bovesano Antonio Vassallo. Ai due viene intimato di organizzare un’ambasceria presso i partigiani, chiedendo la restituzione degli ostaggi, pena la rappresaglia su Boves.
Il parroco chiede al comandante tedesco di scrivere su un pezzo di carta che avrebbe risparmiato il paese se l’ambasceria fosse andata a buon fine. Ma il comandante risponde che la parola di un tedesco valeva più di cento firme di italiani. Con un’auto e una bandiera bianca don Bernardi e Vassallo risalgono la valle fino a raggiungere il luogo divenuto base dei partigiani. Dopo una lunga trattativa i partigiani riconsegnano gli ostaggi con tutta l’attrezzatura e anche la loro auto. Al ritorno in paese del parroco e del commissario con i due ostaggi, le SS danno inizio all’eccidio.
A Boves è rimasto chi non era in grado di fuggire: anziani, invalidi, donne e bambini. Le SS incendiano il paese, circa 350 case, e uccidono 25 persone compresi il parroco don Bernardi e Vassallo i quali vengono bruciati vivi. Anche il vice-parroco, don Mario Ghibaudo di appena 23 anni, verrà ucciso mentre aiuta vecchi e bambini a fuggire.
Era il 19 settembre del 1943.
Non scordatelo mai.
Quello di Boves è stato uno dei primissimi episodi del sistema repressivo tedesco che prevedeva azioni contro la popolazione civile in risposta alle azioni partigiane e dei militari italiani.
Tra il 1943 ed il 1944 la città subì una seconda ondata di violenze quando l’esercito tedesco attuò dei rastrellamenti nella zona montana di Boves. Il paese, nelle proprie frazioni montane, viene di nuovo dato alle fiamme; i morti sono 59, tra civili e partigiani.
Le operazioni delle SS erano guidate da Joachim Peiper. Comandante che, una volta finita la guerra, due avvocati cercheranno di portare a processo, a Stoccarda, senza tuttavia riuscirci.
L’ufficiale, però, fu condannato a morte per crimini di guerra avendo giustiziato 80 prigionieri americani a Malmedy, in Belgio, durante l’offensiva delle Ardenne di fine 1944.
La sentenza, purtroppo, fu commutata in carcere a vita. Nel 1956, con l’amnistia, Peiper fu rilasciato. Si trasferì in Francia, nella cittadina di Traves, sotto il falso nome di Rainer Buschmann. Fu comunque riconosciuto e denunciato dai media finché il 13 luglio del 1976 la sua casa venne incendiata con bombe molotov, causando la morte di Peiper. I colpevoli non vennero mai identificati.
Fabio Casalini