Costantino Di Sante-Il Campo FARFA ospitò gli “INDESIDERABILI”-
Biblioteca DEA SABINA
Prof. Costantino Di Sante-Il Campo FARFA SABINA fu utilizzato per ospitare gli “INDESIDERABILI”-
Trasformazione delle strutture dei campi di internamento fascisti dopo la seconda guerra mondiale ,alcuni dei campi ospitarono gli “INDESIDERABILI” come nel caso del Campo di Farfa Sabina come altri centri per profughi che già all’inizio del 1944 erano stati attivati nelle Puglie.
Relazione del Prof. Costantino Di Sante
Oggetto della mia relazione è l’analisi di quelle strutture che, dopo aver ospitato, nel corso della seconda guerra mondiale, i campi di concentramento fascisti, vengono utilizzati, successivamente alla liberazione, per l’internamento degli stranieri classificati come “indesiderabili” o per ospitare gli ex internati, gli sfollati e i numerosi profughi che affluirono in Italia dall’Europa orientale e centrale.
Dopo la liberazione dell’Italia meridionale, gli Alleati si trovarono di fronte al problema dei profughi: decine di migliaia di Displaced Persons che dovevano essere assistite e sistemate. A questo fine, fu creata un speciale commissione (Internees and Displaced Persons Sub-Commission) che si occupava di trovare i profughi, soccorrerli e sistemarli nel territorio. Nell’immediato dopoguerra, ai numerosi ex internati e prigionieri che già si trovavano nella penisola, si aggiunsero ex deportati nei lager, reduci, persone rimpatriate dalle colonie e rifugiati. La maggior parte degli ex internati restarono negli stessi campi e nelle stesse località in cui erano stati coattivamente relegati dal regime fascista, in quanto la mancanza di strutture impedì, inizialmente, una diversa sistemazione. Questo accadde a Ferramonti, Campagna, Pisticci, Notaresco ed in altri campi che, strutturalmente ancora funzionati, ospitarono ancora per molti mesi soprattutto ebrei, fino al loro trasferimento in altri centri per profughi che già all’inizio del 1944 erano stati attivati nelle Puglie.
Per ricollocare le Displaced Persons le forze alleate crearono la “Divisione profughi e rimpatriati”, che gestiva circa 20 centri per stranieri (Bagnoli, Barletta, Bari, Trani, Fermo, Senigallia, Reggio Emilia ecc.). Questi, nella maggior parte dei casi, vennero attivati negli ex campi per prigionieri di guerra o nelle caserme dismesse. Nel 1948 passarono sotto la gestione dell’I.R.O. (International Refuge Organization), che si occupava dell’emigrazione e del rimpatrio dei profughi.
Tra di essi, molti, soprattutto i profughi croati che avevano militato nel movimento ustascia, si rifiutavano di tornare nel loro paese per il timore di subire condanne e rappresaglie dal governo di Tito. Il mancato rientro di questi profughi procurò, tra il 1946 e il 1948, nuove tensioni tra il governo jugoslavo e quello italiano. Quest’ultimo, infatti, era accusato di proteggere criminali di guerra ustascia e di ostacolare il libero rientro dei cittadini jugoslavi.
Nonostante fossero previste delle prescrizioni per i DP e una stretta vigilanza, non mancarono incidenti con la popolazione locale. Numerosi scontri si ebbero nei campi di Fermo e Trani che ospitavano i croati. Accadde spesso, inoltre, che ex deportati vennero internati insieme a criminali di guerra, come nel campo di Fossoli di Carpi, riutilizzato anche questo come “Centro raccolta profughi stranieri”, dove ebrei reduci dai campi di sterminio si trovarono a condividere le stesse baracche con i militari tedeschi.
Insieme ai campi di raccolta per stranieri, furono attivati numerosi centri per ospitare i connazionali che tornavano dalle ex colonie ed i reduci, inizialmente gestiti dalla Direzione Generale dell’Assistenza Pubblica del Ministero dell’interno e dall’A.A.I. (Assistenza per gli Aiuti Internazionali), che, dopo il 1952, subentrò nella direzione anche di quelli amministrati dall’I.R.O.
Oltre ai centri profughi, furono attivati, già dal 1944, dei veri e propri campi di concentramento gestiti dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, dove vennero relegati quegli stranieri classificati come “indesiderabili”. Tali erano ritenuti i sudditi stranieri “ineleggibili” per l’emigrazione (ex criminali di guerra, clandestini, prostitute, sabotatori e spie), coloro che non accettavano il rimpatrio, ed in seguito quelli che si rifiutavano di emigrare che fino ad allora erano stati ospitati nei centri di raccolta Alleati e delle organizzazioni internazionali.
Vista l’impossibilità di costruire nuove strutture, vennero riutilizzati gli stessi stabili dei campi fascisti: Farfa Sabina per nuclei famigliari, Fraschette d’Alatri per gli uomini, Lipari e Ustica per i clandestini e Alberobello per le donne ed i bambini.
La misura dell’internamento, reintrodotto nell’”Italia Liberata” già dal 31 gennaio 1944 sotto forma di “residenza obbligata”, veniva decisa dal Ministero dell’interno, e poteva essere proposta, tramite i Prefetti, dall’autorità di Pubblica Sicurezza, dagli Alleati e dalle autorità militari.
Nella maggior parte dei casi la sorveglianza venne affidata ai carabinieri e la direzione a commissari di pubblica sicurezza. Le disposizioni relative ai campi erano quasi identiche a quelle previste durante la guerra, e, come in precedenza, la restrizione della libertà personale e le precarie condizioni igienico-sanitarie furono i maggiori disagi che questi nuovi internati furono costretti a subire dentro quegli stessi edifici in cui erano stati relegati i confinati politici ed i “pericolosi durante le contingenze belliche”.
Verso la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta la maggior parte degli internati fu fatta emigrare o venne sistemata in “località fuori dal campo”.
Alcuni dei campi per gli “indesiderabili”, come nel caso di Farfa Sabina e Fraschette d’Alatri, rimasero attivi anche nel corso degli anni sessanta.
Foto originali di Franco Leggeri