Rara lettera di Leopardi in mostra alla Biblioteca di Napoli
GIACOMO LEOPARDI -lettera autografa-
RECANATI –Martedì 22 Dicembre 2020-Esposta per la prima volta alla Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III di Napoli la lettera autografa di Giacomo Leopardi scritta a Bologna nel dicembre 1825 ed indirizzata all’ amico e letterato, il conte Carlo Emanuele Muzzarelli.
Lo scritto è stato acquisito dalla Biblioteca Nazionale di Napoli lo scorso 18 novembre all’asta della Finarte; si tratta di un documento di particolare interesse bibliografico e storico che richiama il clima risorgimentale di quegli anni e la sincera ammirazione dei liberali per le prime Canzoni di Leopardi e soprattutto per quella “All’Italia” dalla quale traspare l’entusiasmo patriottico di Leopardi-
FONTE-Articolo del giornale on line IL CITTADINO DI RECANATI-
Prof. Costantino Di Sante-Il Campo FARFA SABINA fu utilizzato per ospitare gli “INDESIDERABILI”-
Trasformazione delle strutture dei campi di internamento fascisti dopo la seconda guerra mondiale ,alcuni dei campi ospitarono gli “INDESIDERABILI” come nel caso del Campo di Farfa Sabina come altri centri per profughi che già all’inizio del 1944 erano stati attivati nelle Puglie.
Relazione del Prof. Costantino Di Sante
Oggetto della mia relazione è l’analisi di quelle strutture che, dopo aver ospitato, nel corso della seconda guerra mondiale, i campi di concentramento fascisti, vengono utilizzati, successivamente alla liberazione, per l’internamento degli stranieri classificati come “indesiderabili” o per ospitare gli ex internati, gli sfollati e i numerosi profughi che affluirono in Italia dall’Europa orientale e centrale.
Dopo la liberazione dell’Italia meridionale, gli Alleati si trovarono di fronte al problema dei profughi: decine di migliaia di Displaced Persons che dovevano essere assistite e sistemate. A questo fine, fu creata un speciale commissione (Internees and Displaced Persons Sub-Commission) che si occupava di trovare i profughi, soccorrerli e sistemarli nel territorio. Nell’immediato dopoguerra, ai numerosi ex internati e prigionieri che già si trovavano nella penisola, si aggiunsero ex deportati nei lager, reduci, persone rimpatriate dalle colonie e rifugiati. La maggior parte degli ex internati restarono negli stessi campi e nelle stesse località in cui erano stati coattivamente relegati dal regime fascista, in quanto la mancanza di strutture impedì, inizialmente, una diversa sistemazione. Questo accadde a Ferramonti, Campagna, Pisticci, Notaresco ed in altri campi che, strutturalmente ancora funzionati, ospitarono ancora per molti mesi soprattutto ebrei, fino al loro trasferimento in altri centri per profughi che già all’inizio del 1944 erano stati attivati nelle Puglie.
Per ricollocare le Displaced Persons le forze alleate crearono la “Divisione profughi e rimpatriati”, che gestiva circa 20 centri per stranieri (Bagnoli, Barletta, Bari, Trani, Fermo, Senigallia, Reggio Emilia ecc.). Questi, nella maggior parte dei casi, vennero attivati negli ex campi per prigionieri di guerra o nelle caserme dismesse. Nel 1948 passarono sotto la gestione dell’I.R.O. (International Refuge Organization), che si occupava dell’emigrazione e del rimpatrio dei profughi.
Tra di essi, molti, soprattutto i profughi croati che avevano militato nel movimento ustascia, si rifiutavano di tornare nel loro paese per il timore di subire condanne e rappresaglie dal governo di Tito. Il mancato rientro di questi profughi procurò, tra il 1946 e il 1948, nuove tensioni tra il governo jugoslavo e quello italiano. Quest’ultimo, infatti, era accusato di proteggere criminali di guerra ustascia e di ostacolare il libero rientro dei cittadini jugoslavi.
Nonostante fossero previste delle prescrizioni per i DP e una stretta vigilanza, non mancarono incidenti con la popolazione locale. Numerosi scontri si ebbero nei campi di Fermo e Trani che ospitavano i croati. Accadde spesso, inoltre, che ex deportati vennero internati insieme a criminali di guerra, come nel campo di Fossoli di Carpi, riutilizzato anche questo come “Centro raccolta profughi stranieri”, dove ebrei reduci dai campi di sterminio si trovarono a condividere le stesse baracche con i militari tedeschi.
Insieme ai campi di raccolta per stranieri, furono attivati numerosi centri per ospitare i connazionali che tornavano dalle ex colonie ed i reduci, inizialmente gestiti dalla Direzione Generale dell’Assistenza Pubblica del Ministero dell’interno e dall’A.A.I. (Assistenza per gli Aiuti Internazionali), che, dopo il 1952, subentrò nella direzione anche di quelli amministrati dall’I.R.O.
Oltre ai centri profughi, furono attivati, già dal 1944, dei veri e propri campi di concentramento gestiti dalla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’interno, dove vennero relegati quegli stranieri classificati come “indesiderabili”. Tali erano ritenuti i sudditi stranieri “ineleggibili” per l’emigrazione (ex criminali di guerra, clandestini, prostitute, sabotatori e spie), coloro che non accettavano il rimpatrio, ed in seguito quelli che si rifiutavano di emigrare che fino ad allora erano stati ospitati nei centri di raccolta Alleati e delle organizzazioni internazionali.
Vista l’impossibilità di costruire nuove strutture, vennero riutilizzati gli stessi stabili dei campi fascisti: Farfa Sabina per nuclei famigliari, Fraschette d’Alatri per gli uomini, Lipari e Ustica per i clandestini e Alberobello per le donne ed i bambini.
La misura dell’internamento, reintrodotto nell’”Italia Liberata” già dal 31 gennaio 1944 sotto forma di “residenza obbligata”, veniva decisa dal Ministero dell’interno, e poteva essere proposta, tramite i Prefetti, dall’autorità di Pubblica Sicurezza, dagli Alleati e dalle autorità militari.
Nella maggior parte dei casi la sorveglianza venne affidata ai carabinieri e la direzione a commissari di pubblica sicurezza. Le disposizioni relative ai campi erano quasi identiche a quelle previste durante la guerra, e, come in precedenza, la restrizione della libertà personale e le precarie condizioni igienico-sanitarie furono i maggiori disagi che questi nuovi internati furono costretti a subire dentro quegli stessi edifici in cui erano stati relegati i confinati politici ed i “pericolosi durante le contingenze belliche”.
Verso la fine degli anni quaranta ed i primi anni cinquanta la maggior parte degli internati fu fatta emigrare o venne sistemata in “località fuori dal campo”.
Alcuni dei campi per gli “indesiderabili”, come nel caso di Farfa Sabina e Fraschette d’Alatri, rimasero attivi anche nel corso degli anni sessanta.
Foto originali di Franco Leggeri
Campo FARFA SABINA (Rieti)Campo FARFA SABINA (Rieti)Campo FARFA SABINA (Rieti)
aggiungerebbe subito l’appassionato mozartiano, provocato dall’imbeccata di quel celebre e cerimonioso settenario Sfuggito al libretto del Dissoluto punito o sia il Don Giovanni.
Da duecento anni a questa parte la vita e i prodigi musicali di Mozart sono stati raccontati con una tale sovrabbondanza di scritti da far sembrare ormai del tutto inutile la stesura di un’ennesima biografia; a meno che essa muova da presupposti inediti e proceda su binari di assoluta originalità. Il presente volume nutre esattamente questa ambizione: ripercorrere la vicenda umana ed artistica di Mozart assumendo come fisso punto di osservazione del suo lavoro di compositore il fattore ricorrente della forma di origine coreutica del minuetto. Il maestro salisburghese vi si applicò innumerevoli volte e continuativamente nei trentacinque anni racchiusi fra i primi esperimenti infantili al clavicembalo e i grandi capolavori che accompagnarono il concludersi della sua breve vita. Lo adattò ai contesti musicali più disparati — sonate, concerti, sinfonie, composizioni da camera, divertimenti, serenate, opere buffe, opere serie, persino pagine sacre — trasformando la sua convenzionalità strutturale e i suoi manierismi di stile nella rappresentazione del senso mutevole di un’epoca che l’Illuminismo aveva reso capace di farsi dominare dalla frivolezza come di ridere profondamente di se stessa.
Danilo Faravelli
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“Addio alla Vita che ho vissuto – E al Mondo che ho conosciuto – E Bacia le Colline, per me, basta una volta – Ora – sono pronta ad andare”
Dopo una vita di autoreclusione nelle stanze della sua casa il 15 Maggio 1886 muore EMILY DICKINSON, una delle poetesse più controverse e più importanti del XIX secolo. Nata nel 1930 ad Amherst negli USA, la sua era una famiglia borghese, suo nonno fu cofondatore dell’Amherst College. Una famiglia piena di relazioni con l’esterno motivo che non impedirà a Emily di scegliere la sua solitudine. E’ amica di Samuel Bowles, direttore dello “Springfield Daily Republican” giornale su cui si pubblica ronoalcune sue poesie.La casa dei Dickinson è praticamente il centro della vita culturale del piccolo paese, dunque uno stimolo continuo all’intelligenza della poetessa, che in questo periodo incomincia a raccogliere segretamente i propri versi in fascicoletti. Conosce anche la poetessa Kate Anton Scott. Con ambedue stabilisce un profondo rapporto, personale ed epistolare. All’unico ritratto fotografico esistente finora si aggiunge un rarissimo dagherrotipo, negli archivi dell’Amherst College, l’immagine rappresenta la poetessa a fianco dell’amica Kate Scott Turner probabilmente del1860.
Il 1860 è l’anno del furore poetico e sentimentale. Compone qualcosa come circa quattrocento liriche e si strugge vanamente per un amore che gli storici della letteratura identificano con Bowles. Nello stesso anno avvia una corrispondenza con il colonnello-scrittore Thomas W. Higginson, a cui si affida per un giudizio letterario.
EMILY DICKINSON
Nel 1855 compì un viaggio a Washington e a Philadelpia, dove conobbe il reverendo WadsworthEmily a venticinque anni decise, dopo un breve viaggio a Washington, di estraniarsi dal mondo e si rinchiuse nella propria camera al piano superiore della casa paterna, anche a causa del sopravvenire di disturbi nervosi e di una fastidiosa malattia agli occhi, e non uscì di lì neanche il giorno della morte dei suoi genitori. Interpretava la solitudine e il rapporto con sé stessa come veicoli per la felicità. Al momento della sua morte la sorella scoprì nella camera di Emily 1775 poesie scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo contenuti tutti in un raccoglitore. Prima della sua morte, vennero pubblicati solo sette testi. Oggi, Emily Dickinson viene considerata non solo una delle poetesse più sensibili di tutti i tempi, ma anche una delle più rappresentative. Alcune caratteristiche delle sue opere, all’epoca ritenute inusuali, sono ora molto apprezzate dalla critica e considerate aspetti particolari e inconfondibili del suo stile.
Emily DickinsonEmily Elizabeth DickinsonEmily Brontë ed Emily Dickinson: “Tra di noi l’oceano” di Mattia Morretta-Emily DickinsonEmily DickinsonEmily Dickinson (Cynthia Nixon)Emily DickinsonEmily DickinsonNel settembre 2012, gli archivi di amherst college e le collezioni speciali hanno svelato questo dagherrotipo, proponendo di essere Emily Dickinson (amherst, 10 dicembre 1830-Amherst, 15 maggio 1886) e la sua amica Kate Scott. – Sì. 1859Emily DickinsonEmily DickinsonEMILY DICKINSONEMILY DICKINSON
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.
Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.
C’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.
Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…
In questo momento di difficoltà e di tristezza delle nostre terre.
Da ogni angolo del mondo si è sempre collegato il nome di questa gloriosa cittadina all’arte culinaria. Ma, Amatrice, più che per gli spaghetti, merita di essere citata, ricordata e visitata per i tesori artistici che accoglie. Con la speranza che tali capolavori possano tornare, insieme al territorio oggi martoriato, quanto prima a risplendere.
L’Arte di Amatrice.L’Arte di Amatrice.L’Arte di Amatrice.L’Arte di Amatrice.L’Arte di Amatrice.L’Arte di Amatrice.
Max Hastings- La battaglia di mezzo agosto. Operazione Pedestal. 1942: la flotta che salvò Malta
Neri Pozza Editore
DESCRIZIONE-
Corre l’anno 1942 e l’esito del piú grande conflitto della Storia è lungi dall’essere scritto. L’Unione Sovietica e gli Stati Uniti non hanno ancora dispiegato tutte le loro forze; sulla terra come nei cieli, Germania e Italia hanno il controllo della gran parte delle sponde mediterranee; i carri armati di Rommel sono alle porte dell’Egitto; i giapponesi minacciano l’India, l’Australasia e l’America settentrionale; le forze dell’Asse sono sul Don e la cruciale battaglia a Stalingrado è appena cominciata. Nel cuore dello scontro globale c’è l’isola di Malta, dal 1815 gioiello della Corona inglese, scalo lungo la via per l’Oriente, campo di polo per generazioni di ufficiali della Marina, carcere per i marinai ubriachi. Ma, soprattutto, dall’autunno del ’41, base per lanciare operazioni contro il nemico, che si traducono nell’affondamento del 75 per cento delle navi di rifornimento tedesche e italiane dirette in Nordafrica. Risultato, questo, di un fatale errore strategico da parte di Hitler: la decisione di puntare sulla conquista di Creta lasciando Malta in mano degli alleati. La macchina da guerra nazista è tuttavia indiscutibilmente piú forte e quindi la reazione non si fa attendere: nella primavera del ’42 i tedeschi rovesciano sull’isola piú bombe di quelle cadute su Londra, e la stringono in un assedio senza scampo. I britannici, d’altro canto, non possono permettersi di aggiungere un’altra disfatta alle già numerose umiliazioni subite, perciò il 10 agosto la piú grande flotta mobilitata dalla Royal Navy, a quasi tre anni dall’inizio del conflitto e a tre dalla fine, prende il mare diretta a Malta. L’obiettivo dell’operazione Pedestal, nota come Battaglia di mezzo agosto, è scortare quattordici navi con a bordo cibo, armi e medicinali fino a Malta con due corazzate, quattro portaerei, sette incrociatori e trentadue cacciatorpediniere, oltre a un centinaio di velivoli della Marina e della Raf, otto sommergibili, due dragamine e uno sciame di unità minori. Lo scopo è il salvataggio della guarnigione britannica e della popolazione maltese, trecentomila persone che rischiano la morte per inedia; la battaglia che infurierà per cinque strenue giornate diverrà sinonimo di coraggio, risolutezza e sacrificio. Il racconto dell’«incomparabile Max Hastings» (Daily Mail), una «perfetta combinazione di sensibilità alle sofferenze umane e un superbo istinto per il dramma» (The Times), fa rivivere con emozione la feroce battaglia aeronavale che determinò la sopravvivenza del baluardo maltese e contribuí alla sconfitta finale delle potenze dell’Asse.
Max Hastings
AUTORE-Max Hastings
Max Hastings scrive per il Daily Mail e il Financial Times. Pluripremiato per i suoi libri e le sue inchieste, nel 2008 ha ottenuto la Medaglia Westminster per il suo contributo alla letteratura militare, nel 2009 l’Edgar Wallace Trophy del Press Club di Londra ed è stato insignito di lauree honoris causa dalle università di Leicester e Nottingham. Tra le sue opere, Catastrofe 1914. L’Europa in guerra (Neri Pozza 2014), Armageddon. La battaglia per la Germania 1944-1945 (beat 2016), La guerra segreta. Spie, codici e guerriglieri 1939- 1945 (Neri Pozza 2016, beat 2020), Vietnam. Una tragedia epica 1945-1975 (Neri Pozza 2019, beat 2022) e Operazione Chastise. 1943. Il raid dei Dambusters, i guastatori delle dighe (Neri Pozza 2022).
RECENSIONI
«Lo storico militare Hastings, con le sue prodigiose ricerche e la sua prosa vivida, getta luce su uno dei piú drammatici episodi della Seconda guerra mondiale». Publishers Weekly
«Questo libro non può mancare dagli scaffali degli appassionati di Seconda guerra mondiale: per non dimenticare mai di quali azioni incredibili è capace l’uomo quando ha una causa da difendere». The American Spectator
«Sir Max Hastings ci regala il ritratto di una gloriosa battaglia navale raccontata con il tocco d’artista dei suoi cinquant’anni di reportage di guerra. La Royal Navy nel suo momento piú luminoso». The Wall Street Journal
«Il prolifico Hastings soddisferà i suoi numerosi, affezionati fan e ne attirerà di nuovi, con questo grande racconto adatto agli specialisti, ma anche a un pubblico generalista». Frederick J. Augustyn Jr., responsabile sezione storica Library of Congress, Washington, DC
Breve biografia di Ada Negrinacque a Lodi il 3 febbraio 1870. Rimasta orfana del padre all’età di un anno, dovette adattarsi a vivere nelle misere stanzette della portineria di casa Barni, dove la nonna svolgeva compiti di portinaia; la madre, Vittoria Cornalba, dovette poi impiegarsi presso il lanificio per far studiare la piccola “Dinin”. Iscritta alla “Scuola Normale Femminile”, il 18 luglio 1887 conseguì la patente di maestra elementare ed iniziò ad insegnare, prima a Codogno, poi a Motta Visconti, dove passò il periodo più felice della sua vita (come ricorderà molti anni dopo in alcune belle pagine autobiografiche della Cacciatora e di Stella Mattutina). In quegli anni nacquero le sue prime poesie di appassionata denuncia, confluite nel 1892 nella prima raccolta, Fatalità, pubblicata da Treves e salutata entusiasticamente da Giosuè Carducci.
Per la fama acquistata divenne docente al “Gaetana Agnesi” di Milano, dove si trasferì con la madre, entrando in contatto con vari membri del Partito Socialista Italiano, tra cui Filippo Turati, Benito Mussolini, Anna Kuliscioff (di cui si sentiva sorella ideale); visse un’intensa e travagliata vicenda d’amore con il giornalista Ettore Patrizi, che ben presto però si trasferì in America lasciando nella scrittrice una grande delusione. Dal fallimentare matrimonio (1896) con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, nacquero Bianca, ispiratrice di molte poesie, e Vittoria, che morì a un mese di vita; poi il matrimonio tramontò e Ada proseguì la sua ricerca letteraria, incontrando un crescente successo di pubblico e di critica. Nel 1913 per un anno si trasferì a Zurigo con la figlia, per tornare a Milano allo scoppio della guerra. Nel frattempo la sua fama cresceva e si consolidava, fino a farle ottenere nel 1931 il Premio Mussolini per la carriera e nel 1940 (prima e unica donna) il titolo di Accademica d’Italia, dopo che già negli anni venti aveva sfiorato il Nobel (assegnato invece nel 1926 a Grazia Deledda). Nel capoluogo lombardo morì l’11 gennaio 1945.
La Storia di uno dei Castelli medievali abbandonati della Sabina.
Torre di Baccelli, unico e affascinante resto del Castello di Postmontem, è adagiata su di una piccola collina boscosa, raggiungibile facilmente per mezzo di una stradina e per un breve sentiero.Il Castello di Postmontem appare per la prima volta in documenti del 994 che lo indicano come possedimento dell’Abbazia di Farfa, su cui impulso fu probabilmente fondato. Il Castello , che domina le principali vie di accesso all’Abbazia di Farfa nel 1100 fu concesso in locazione a Rustico di Crescenzo in cambio del Castello di Corese, oggi Corese Terra. La permuta non ebbe per altro lunga durata, dato che nel 1118 Postmontem apparteneva di nuovo a l’Abbazia di Farfa. Nel XIV sec. L’insediamento fu gradualmente abbandonato ed il suo territorio unito a quello di Fara in Sabina. Oggi del Castello resta la Torre, squarciata lungo uno spigolo; la visita diretta delle strutture non è agevole per la foltissima vegetazione e per il pericolo di crolli; ma , anche ad una certa distanza , resta la suggestione della Torre che domina la Valle del Farfa e gli uliveti che caratterizzano il paesaggio della Sabina.
foto di Paolo Genovesi-ricerca storica a cura di Franco Leggeri-
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