-PASSO CORESE di Fara in Sabina (pillole di Storia)-
Passo Corese 3 novembre 1867: I Volontari garibaldini attraversano il ponte sul torrente Corese ove vengono disarmati dalle truppe del Regio Esercito. A sx è visibile la stazione ferroviaria , a dx la locanda di Corese dove fu ospitato Giuseppe Garibaldi.
Passo Corese è una frazione di Fara in Sabina in provincia di Rieti . Nelle vicinanze sorge l’antica città romana di Cures, da cui l’aggettivo corese, importante centro culturale e finanziario della Sabina. L’attuale abitato è piuttosto recente, il primo nucleo urbano risale infatti agli edifici sorti nel 1860 presso la stazione della linea ferroviaria che collega Orte a Roma. Giuseppe Garibaldi sciolse qui i suoi volontari dopo la sconfitta di Mentana e dalla frazione partirono i fratelli Cairoli ed i loro compagni per raggiungere Roma. La frazione fu inoltre testimone della campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma del 1867. Il paese è in continua evoluzione. Ospita una scuola media statale e un polo didattico con sedi di diversi istituti superiori: (liceo classico, liceo scientifico, istituto industriale, istituto professionale agrario, istituto professionale commerciale). Nel 2006 è stato approvato un importante progetto per la realizzazione di un’area industriale da parte della Regione Lazio che fa prevedere un notevole sviluppo commerciale per la cittadina sabina, nonché l’importante collegamento ferroviario diretto con Rieti, nella linea Roma-Passo Corese-Rieti. Da visitare la Chiesa di Santa Croce costruita negli anni trenta ed ampliata nel dopoguerra, al centro del paese; nella piazza dinnanzi è collocato il monumento ai caduti. Monumento a Garibaldi: ricorda la presenza dell’eroe nazionale nel paese, che dopo la sconfitta di Mentana, sciolse i suoi volontari proprio a Passo Corese. Il monumento riproduce una lapide in memoria dettata da Bovio. Una lapide ricorda il luogo da dove i pavesi fratelli Cairoli ed i loro settantasei compagni si imbarcarono nella notte del 23 ottobre 1867 per poter raggiungere Roma navigando sul Tevere, con lo scopo di portare aiuti alla giunta rivoluzionaria romana.
PASSO CORESE- Epigrafe in memoria di Giuseppe Garibaldi
PASSO CORESE- Epigrafe in memoria di Giuseppe Garibaldi – L’Epigrafe è attribuita a Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 – Napoli, 15 aprile 1903) filosofo e politico italiano, “sistematizzatore” dell’ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d’Italia.
PASSO CORESE- Epigrafe i memoria dei fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, garibaldini.
Passo Corese (RIETI)-PASSO CORESE- Epigrafe i memoria dei fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, garibaldini. Sull’epigrafe è inciso anche un verso del noto poeta romano Cesare Pascarella.
Passo Corese (RIETI)-la meridiana “garibaldina”
Passo Corese (RIETI)-la meridiana “garibaldina”
Passo Corese (RIETI)-Disegno- Passo Corese-8 luglio 1827-
Passo Corese (RIETI)-Disegno- Passo Corese-8 luglio 1827-Da Il Viaggio in Sabina di L.Caracciolo-1827- Album di disegni conservato presso la Biblioteca di archeologia e Storia dell’Arte di Roma, all’interno del Fondo Rodolfo Lanciani. Miss. Lanc. 16406,f.2.
Passo Corese (RIETI)--Monumento ai Caduti
Passo Corese (Rieti)
Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese
Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese
Passo Corese-Fara in Sabina (RI)-La stazione Ferroviaria
Passo Corese-Fara in Sabina (RI)-La stazione Ferroviaria Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo CoreseChiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo CoresePasso Corese(RI)-La stazione Ferroviaria
Il Monumento è stato realizzato da una idea del fotografo farense Manlio Perugini
COLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco Leggeri
COLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco LeggeriCOLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco Leggeri
Prof.Carlo Franza-L’Appia consolare (Roma-Brindisi) madre di tutte le vie-
E’ in Campania che staziona la bellissima mostra fotografica, non solo documentaria ma anche multimediale dal titolo “L’Appia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisi”; essa riscopre e racconta il percorso della prima grande via europea, da Roma a Brindisi, percorsa a piedi nell’estate 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani e Irene Zambon. Inaugurata a Roma nell’Auditorium, la mostra è ospitata nel Museo Archeologico dell’antica Capua fino al 25 marzo 2017, rievocando la prima tappa del percorso della Regina viarum. La via consolare fu il tramite per diffondere i principi della civiltà romana, lo strumento che fisicamente collegò il “centro del Potere” con i luoghi strategici della penisola. Appio Claudio nei cinque anni della sua censura tracciò la via da Roma a Capua per 132 miglia. L’Appia fu il tracciato lungo il quale marciò il temuto esercito romano, ma anche la via della condivisione, degli scambi culturali, dei traffici; ma è stata anche la triste strada lungo la quale giungevano a Capua gli schiavi e i gladiatori, dove i 6.000 compagni di Spartaco vennero crocifissi atrocemente e simbolicamente esposti a mo’ di monito. Ed è sempre lo stesso selciato calcato da Paolo di Tarso e dai primi apostoli che, con la loro testimonianza, segneranno la fine dei culti pagani e delle religioni misteriche. Un ulteriore invito a visitare la mostra è offerto da una selezione di iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalla città. Tra questi spicca la statua del Trittolemo, l’eroe ateniese che dispensava il dono dell’agricoltura all’umanità, unico esemplare a tutto tondo finora noto, a simboleggiare la straordinaria fertilità dell’Ager Campanus.
L’Appia consolare
Paolo Rumiz e compagni hanno intrapreso il loro viaggio – conclusosi il 13 giugno 2015 dopo 611 chilometri, 29 giorni di cammino e circa un milione di passi – con l’idea di tracciare finalmente il percorso integrale della madre di tutte le vie, dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza. Ecco l’Appia. Ora sono essi stessi a raccontare un’avventura che definiscono “magnifica e terribile, terrena e visionaria, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo”. “È compito di ciascuno di noi, come cittadini, – spiegano – restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace – dopo ventitré secoli – di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo. Appia è anche un marchio, un “brand” di formidabile richiamo internazionale. Un portale di meraviglie nascoste decisamente più vario e di gran lunga più antico del Cammino di Santiago de Compostela. La mostra ci accompagna sui Colli Albani, sotto i Monti Lepini con le fortezze preromane sugli strapiombi, lungo i boscosi Ausoni che hanno dato all’Italia il nome antico e ai piedi dei cavernosi Aurunci dalle spettacolari fioriture a picco sul mare. Ci guida nella Campania Felix, sui monti del Lupo e del Picchio e gli altri della costellazione sannitica, nell’Italia dimenticata degli Osci, degli Enotri e degli Japigi fino all’Apulia della grande sete. In questo itinerario, Paolo Rumiz e compagni non sono stati soli, ma hanno avuto altri compagni d’avventura, da citare in ordine di chilometri percorsi: Marco Ciriello, Sandra Lo Pilato, Michaela Molinari, Mari Moratti, Barsanofio Chiedi, Settimo Cecconi, Giulio e Giuseppe Cederna, Giovanni Iudicone, Franco Perrozzi, Cataldo Popolla, Andrea Goltara e Giuseppe Dodaro, con la partecipazione straordinaria di Vinicio Capossela. La mostra consente di rivivere questa affascinante riscoperta attraverso le fotografie di Riccardo Carnovalini integrate da un reportage di Antonio Politano realizzato per il National Geographic Italia e da istantanee estratte dai filmati “on the road” di Alessandro Scillitani. Nel percorso espositivo, curato da Irene Zambon, con testi e didascalie di Paolo Rumiz, anche alcune immagini dei viaggi di Luigi Ottani sui confini dei migranti e dei sopralluoghi di Sante Cutecchia sulla Regina Viarum, oltre ai filmati di Alessandro Scillitani e le musiche e le installazioni audio di Alfredo Lacosegliaz. Completano il percorso un apparato cartografico curato da Riccardo Carnovalini e Cesare Tarabocchia e il materiale documentario conservato negli Archivi della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma – Capo di Bove e della Società Geografica Italiana, come fotografie, cartoline d’epoca, mappe antiche e moderne. La mostra è a cura della Regione Campania, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo museale della Campania, Scabec Spa, Società Geografica Italiana onlus e Festival della Letteratura di Viaggio. La mostra e le attività connesse, che interesseranno anche ulteriori siti lungo il percorso campano dell’antica Appia, sono realizzate nell’ambito del progetto “Itinerari culturali e religiosi” programmato e finanziato dalla Regione Campania con fondi POC.
Carlo Franza
Carlo Franza
Carlo Franza è Nato nel 1949, due lauree conseguite all’Università Statale La Sapienza di Roma. Allievo di Giulio Carlo Argan. Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea, professore prima a Roma, poi a Torino, oggi a Milano.
Alberto Raffaelli-La comparseria. Luigi Pirandello accademico d’Italia
Franco Cesati Editore-Firenze
Descrizione
Il presente volume affronta, sulla base di documentazione archivistica, l’esperienza di Luigi Pirandello accademico d’Italia. Occupando gli ultimi otto anni dell’esistenza dello scrittore (1929-1936), tale carica ne emblematizza l’intera parabola umana e artistica, in tutte le sue contraddizioni. A cominciare da quella della fedeltà al fascismo, la cui nota problematicità viene ulteriormente suffragata dal rapporto con la massima istituzione culturale del regime, nei cui confronti egli fu certo insofferente pur però senza mancare di adoperarsi in diverse occasioni, se non altro allo scopo di vedere coronate talune aspirazioni: su tutte, la vittoria del premio Nobel per la letteratura nel 1934. Il ritratto delineato è quello di una personalità che nell’incarico di accademico vedeva messo alla prova un irrisolto contrasto tra anarchismo del grande artista e necessità di ossequiare le regole indispensabili all’assecondamento dei propri obiettivi: ne scaturisce il profilo di un compromesso difficoltoso, emblematico di una vicenda che come poche altre nel Novecento culturale italiano ha sperimentato i privilegi ma anche i tormenti dell’uomo pubblico.
Il libro lo si può acquistare attraverso questo link…
L’innato fascino dell’amore per la scrittura: Alberto Raffaelli da scrittore a presentatore dei libri altrui sulla pagina Facebook “Segnalazioni letterarie”
Alberto Raffaelli
L’amore per la scrittura è un’esperienza che molti autori, scrittori emergenti e appassionati di letteratura condivisa fanno. Tu cosa puoi dirci a riguardo?
È una passione che va ben oltre il semplice atto di mettere parole su carta; è un legame profondo con le parole stesse, con la creatività e con l’espressione.
Perché l’amore per la scrittura è così affascinante e come può arricchire la vita di chiunque si avventuri nel mondo delle parole?
La scrittura è una forma di espressione unica e potente. Attraverso le parole, possiamo condividere idee, emozioni, storie e pensieri con gli altri. L’amore per la scrittura è spesso alimentato dalla gioia di comunicare, di connettersi con il mondo e condividere parti di se stessi. Scrivere consente di tradurre il mondo interiore in un formato tangibile che può essere condiviso con gli altri.
Quando si ama scrivere, si apre la porta ad un mondo di creatività infinita. Sei d’accordo?
Sì. È proprio così. Ogni parola, ogni frase, ogni storia può essere un’opera d’arte in sé. Non ci sono confini né regole fisse nella scrittura creativa, ciò che permette ai talenti di esprimersi liberamente e di sperimentare. La scrittura offre l’opportunità di creare mondi fantastici, personaggi indimenticabili e situazioni straordinarie.
Scrivere non è solo un mezzo per comunicare con gli altri, ma anche un modo per esplorare il proprio mondo interiore. Giusto?
L’amore per la scrittura può diventare una forma di autoriflessione e scoperta personale. Tenere un diario, scrivere poesie o creare storie permette di esplorare le emozioni, i pensieri e le esperienze personali in modo profondo.
Le storie sono un elemento fondamentale della scrittura… Quale il loro potere?
Attraverso le storie, possiamo intrattenere, ispirare, educare e persino trasformare il mondo. Scrivere storie è un modo potente per connettersi con gli altri e condividere messaggi significativi. L’amore per la scrittura spinge gli scrittori a creare narrazioni che possono lasciare un’impronta duratura nella vita di chi le legge.
In conclusione, l’amore per la scrittura è un’esperienza unica che arricchisce la vita di chi la abbraccia?
Assolutamente sì. È un’arte di espressione, un veicolo per la creatività, un mezzo di autoriflessione e un potente strumento per condividere storie significative. L’amore per la scrittura può essere coltivato da chiunque, indipendentemente dall’età o dall’esperienza. Quindi, se non lo hai già fatto, concediti il piacere di esplorare il meraviglioso mondo della scrittura e scoprire l’inebriante bellezza di questa passione senza tempo.
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Joan Dalmases- Dones que mengen el cor de l’amant-
La poesia de Guillem de Cabestany, el Châtelain de Coucy i Reinmar von Brennenberg
Viella Libreria Editrice-ROMA
SINOSSI
La llegenda del cor menjat va gaudir d’una gran popularitat durant la Baixa Edat Mitjana, concretament a partir de les primeres dècades del segle XII. L’expansió d’aquest relat per Europa va propiciar l’aparició de múltiples versions en els territoris occità, francès, italià i alemany, que donaren lloc a reelaboracions que es nodrien de la idiosincràsia cultural de cada zona.
Tot i l’interès que aquesta llegenda ha desvetllat des de fa segles en filòlegs i historiadors, sovint no s’ha remarcat prou que alguns dels seus protagonistes fossin personatges reals, concretament poetes, entre els quals destaquen l’occità Guillem de Cabestany, el francès Châtelain de Coucy i l’alemany Reinmar von Brennenberg. ¿Què tenien en comú aquests tres autors, tan distants geogràficament i cronològica, per acabar esdevenint protagonistes de les versions més conegudes de la llegenda del cor menjat? Hi ha alguna relació entre les seves vides i el relat?
Dones que mengen el cor de l’amant proposa una anàlisi de les dades històriques i del corpus líric d’aquests tres poetes, per tal de contrastar el tractament metafòric que cada territori fa de la llegenda i reconèixer el procés segons el qual cada autor n’acaba esdevenint objecte i protagonista, fusionant-se, així, realitat i ficció.
INDICE
Introducció
1. El cor a l’Edat Mitjana
1. Cor, símbol d’amor: els antecedents
2. El cor en la medicina
3. La simbologia del cor en la mística i en la religió
4. El cor i la fin’amors
2. Guillem de Cabestany
1. Estat de la qüestió
2. Dades històriques
3. Obra lírica
4. La Vida de Guillem de Cabestany
3. Châtelain de Coucy
1. Estat de la qüestió
2. Dades històriques
3. Obra lírica
4. Le roman du Châtelain de Coucy et de la dame de Fayel
4. Reinmar von Brennenberg
1. Lírica trobadoresca amorosa alemanya: el Minnesang
2. Estat de la qüestió
3. Dades històriques
4. Obra lírica
5. De Minnesänger a màrtir: el Bremberger Ton
6. La Bremberger-Ballade
Conclusions
Apèndix
1. Guillem de Cabestany
1. Obra lírica
2. La Vida de Guillem de Cabestany
2. Châtelain de Coucy
1. Obra lírica
3. Reinmar von Brennenberg
1. Obra lírica
2. Meistersang
3. Bremberger-Ballade
Bibliografia
Índex de noms
L’AUTORE-
Joan Dalmases és Doctor en Cultures Medievals per la Universitat de Barcelona i membre de l’Institut de Recerca en Cultures Medievals (IRCVM). La seva recerca se centra en les relacions literàries entre Occitània, França i Alemanya durant l’Edat Mitjana, sobretot pel que fa a la lírica trobadoresca.
NOTE
Fotografies de la coberta: 1- Suetoni, Vida de Cèsar, 1433, Princeton University Library, MS Kane 44, f. 113r. 2 – Roman d’Alexandre, 1338-1344, Bodleian Library, Ms. 264, f. 59r. 3 – Boccaccio, Décaméron, 1414-1418, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1989, f. 144r. 4 – Her Reinmar von Brennenberg, 1340, Universitätsbibliothek Heidelberg, Pal. germ. 848, f. 188r.
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI–All’inizio della via Aurelia Antica, a breve distanza da porta San Pancrazio, dove la strada curva leggermente, si innalza un elegante arco il cui nome suscita una certa curiosità: si tratta dell’arco detto di Tiradiavoli, fatto costruire da Paolo V Borghese nel 1612 per sostenere l’acquedotto Paolo che in quel punto attraversa la strada. Il Pontefice, infatti, aveva fatto restaurare l’antico acquedotto di Traiano, per l’approvvigionamento idrico del Trastevere, del Vaticano e di alcune zone basse dall’altra parte del Tevere, come via Giulia, via Arenula e il Ghetto. Fu un’impresa notevole, che costò ben 400 mila scudi, il doppio della somma occorsa per l’acquedotto Felice. La grandiosa opera venne affidata a Giovanni Fontana, fratello maggiore di Domenico. Per reperire i fondi fu necessario applicare una tassa sulla carne e anche una – più dolorosa – sul “vino romanesco”. Tra il 1673 e il 1696, per accrescere la portata dell’acquedotto, si decise di unire alle acque sorgive anche quelle del lago di Bracciano: il risultato fu un’acqua non del tutto potabile, per cui i romani delusi coniarono il detto “valere quanto l’acqua Paola”, per apostrofare qualcosa di scarso valore. Nella parte superiore dell’arco, sotto al fastigio con lo stemma del pontefice, è l’iscrizione che commemora l’impresa di Paolo V. Dalla terza riga, però, si capisce che il pontefice e i suoi architetti erano caduti in un errore: credevano di aver restaurato non l’acquedotto di Traiano, ma quello dell’Aqua Alsietina, costruito da Augusto per alimentare la Naumachia. Il curioso nome dato all’arco ricorda che un tempo questo tratto dell’Aurelia si chiamava via di Tiradiavoli. Come spiega Nica Fiori nel suo libro “I misteri della Roma più segreta” (Edizioni Mediterranee, 2000), uno dei fantasmi più celebri di Roma sarebbe quello di Donna Olimpia Pamphili, cognata di papa Innocenzo X. “Pare che, nelle notti di plenilunio, appaia nei pressi di villa Doria Pamphili sulla sua carrozza trainata da quattro cavalli, che corre per le strade lasciando dietro di sé una scia di fuoco. Dopo aver attraversato di corsa Ponte Sisto, scompare nel Tevere. Si racconta che i diavoli vengano ogni volta a prelevarla per trascinarla all’inferno, tanto che un tratto della via Aurelia antica, nei pressi della villa, si chiamò, fino al 1914, via Tiradiavoli”. Secondo Claudio Rendina, invece, il toponimo di Tiradiavoli deriverebbe dall’abbondanza di memorie di martiri cristiani sull’Aurelia Antica, che faceva sì che i diavoli venissero “tirati via”. Fino alla prima metà del Novecento scorreva all’aperto anche una marrana di Tiradiavoli, che nel medioevo si chiamava marrana di pozzo Pantaleo. Questo corso d’acqua nasce all’interno di villa Pamphili, dalle sorgenti della valle dei Daini e dopo aver attraversato la valle di via di Donna Olimpia e la zona di pozzo Pantaleo sbocca nel Tevere. La marrana oggi continua a scorrere sotto via di Donna Olimpia. La via Tiradiavoli si trova citata nelle cronache dell’assalto francese del 3 giugno del 1849, che prese di sorpresa i difensori della Repubblica romana. Alle due del mattino due colonne francesi arrivavano a villa Pamphili. Una aprì un passaggio nel muro e penetrò nella villa. D’altra parte – come narra Giuseppe Gabussi (1852) – “il generale Levaillant, giungendo con tre reggimenti per la via detta Tiradiavoli, trovato aperto un ingresso dal lato del giardino, entrò dentro: ma incontrata ben presto risoluta resistenza da 200 dei nostri, ne conseguì micidialissima zuffa sostenuta virilmente dai Romani, sino a che, soverchiati dal numero, dovettero riparare al convento di S. Pancrazio”.
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI-AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI-visto da Vila PamphiljAURELIA ANTICA-
Ritratti Opere dell’Artista Vittorio Corcos (1859 – 1933).Il pittore livornese, conosciuto in particolare per i suoi ritratti fortemente realistici, è diventato l’immagine della Belle Époque.
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ABBAZIA di FARFA- articolo del Prof.Fabrizio Sciaretta-
Lo confesso senza reticenze: scrivere di Farfa mi intimidisce, una sensazione che quando ho la penna in mano non mi capita mai. La paura è quella di non riuscire a spiegare il grande fascino che questo luogo esercita su di me. Nel cercare dentro al mio sentire il motivo ultimo di questa difficoltà, credo che la risposta sia in un fatto incontrovertibile: l’ Abbazia di Farfa è stata per secoli, nello stesso momento, luogo di santità e di potere, di preghiera e di comando.
ABBAZIA di FARFA
Di Farfa mi affascina il VI secolo d.C. in cui sorge: l’impero romano era ormai crollato, disperso, e la civiltà che esso incarnava a rischio di sopravvivenza. Tra queste rovine fumanti, Farfa sorge e – come altre grandi Abbazie in Europa – diventa guida per una società che con le unghie ed i denti si oppone all’annientamento. Se non fosse stato per l’opera delle comunità monastiche ciò che abbiamo salvato delle civiltà greca e romana – che è tanto ma nel contempo solo una parte di quanto esse avevano prodotto – sarebbe probabilmente nulla o quasi e noi saremmo tutti infinitamente più poveri. Rapidamente l’ Abbazia di Farfa diviene potente anzi potentissima. E così coniuga la santità dei suoi fondatori (San Lorenzo Siro prima e San Tommaso da Moriana poi) con la mondanità del governo di un sistema economico ampio, complesso e territorialmente vastissimo. Ma è proprio quel potere economico che, nei secoli “bui”, le consente di difendere e diffondere la Parola di Dio, cioè la nostra stessa civiltà. Diviene addirittura Abbazia Imperiale, cioè sottoposta all’Imperatore e non al Papa (sebbene disti qualche ora di cavallo da Roma) e Carlo Magno – il grande “laico” a cui dobbiamo la rinascita dell’idea stessa di Europa – vi si reca sulla via per Roma in quel Natale dell’800 che lo vedrà incoronato Imperatore del Sacro Romano Impero da Papa Leone III. Un titolo, quello di imperatore, che nessuno aveva mai più portato in Occidente da quel 476 che vide la fine di Romolo Augustolo e dell’Impero Romano.
ABBAZIA di FARFA
L’ Abbazia di Farfa è capace di resistere ad ogni genere di “offesa”: i saraceni che nel IX secolo devastarono la Sabina e poi le lotte con le famiglie di una nascente aristocrazia romana che tra il X e l’XI secolo dominavano la scena della Città Eterna. Ma l’Abbazia rimane grande fino a tutto il XII secolo: seicento anni di storia tra Fede e potere.
ABBAZIA di FARFA
Abbiamo detto dei due Santi a cui si deve la fondazione e rifondazione di Farfa, ma tutti coloro che si occupano della Sabina e della sua storia venerano – mi si passi il termine – anche un altro grande monaco farfense: quel Gregorio da Catino il quale, a cavallo tra l’XI ed il XII secolo, analizza, classifica, sintetizza e dona alla storia la testimonianza di migliaia di documenti relativi alle proprietà, alle donazioni, ai privilegi dell’Abbazia di Farfa ed alla sua storia.
Le sue opere si chiamano Regestum Farfense, Liber largitorius, Chronicon farfense, Liber floriger e non sono solo una testimonianza incredibile ed inestimabile di grandi fatti e rapporti storici (si pensi solo che il documento più antico è la lettera del 705 del Duca di Spoleto Faroaldo II al Pontefice Giovanni VII) ma anche una “puntigliosa” raccolta di atti relativi alle rocche, ai casali, alle terre della Sabina che ci permette di datare e ricostruire le origini, e spesso anche l’evoluzione, delle comunità sabine di oggi su cui altrimenti si distenderebbe il buio più totale. Come faremmo senza il nostro grande amico Gregorio ?
Oggi – tramontati i secoli in cui Farfa possedeva il potere di un vero e proprio stato – l’Abbazia è un luogo di immensa spiritualità: vi regna il silenzio ed una assoluta e totalizzante sacralità. Se la vostra sarà una visita domenicale, la Santa Messa nella basilica – in cui le testimonianze dell’arte medievale si fondono con quelle del rinascimento – è un’esperienza di forte emotività e la chiave che consentirà di aprire un rapporto di consonanza con questo luogo affascinante. Abbazia di Farfa: Appunti di Storia
ABBAZIA di FARFA
Ripercorrere compiutamente il commino attraverso i secoli richiederebbe ben altri spazi. Qui di seguito, solo alcune date salienti per avere un’idea delle “pietre miliari” nella vita dell’Abbazia.
la tradizione vuole che San Lorenzo Siro, monaco orientale venuto in Italia all’epoca delle persecuzioni dell’imperatore d’oriente Anastasio (491-518), abbia fondato l’Abbazia su quanto restava di una precedente villa romana
distrutta intorno al 592 dal duca di spoleto longobardo Ariulfo, viene ricostruita alla fine del VII secolo da monaci della Savoia guidati da San Lorenzo di Morienne nel VIII secolo, sotto la protezione dei Longobardi, prospera e cresce. Nel 774 l’abate Probato, nel momento dello scontro tra Longobardi e Franchi si schiera con questi ultimi mettendosi sotto la protezione di Carlo Magno il quale concede all’Abbazia il privilegio di essere autonoma da ogni altro potere civile e religioso ed assoggettata al solo imperatore
continua l’ascesa dell’Abbazia che, addirittura, opera una sua nave da trasporto la quale gode dell’esenzione dai dazi in tutti i porti dell’Impero. L’abate Sicardo (830-842) erige la Basilica Carolingia, l’Oratorio del Salvatore e fortifica in modo possente il complesso dell’Abbazia stessa
l’impero franco entra in crisi e nell’890 i saraceni invadono la Sabina. L’Abbazia è assediata, resiste sette anni ma alla fine i monaci sono costretti ad abbandonare Farfa. I saraceni la saccheggiano ma Gregorio da Catino ci racconta che è per colpa di una banda di “latrunculi locali” se l’Abbazia, probabilmente in modo involontario, subisce un devastante incendio
ABBAZIA di FARFA
i monaci tornano a Farfa con l’abate Ratfredo, dal 911 ma sono anni di instabilità sia interna che esterna caratterizzati da contrasti con alcune grandi famiglie romane, tra le quali i Crescenzi, che portano ad una fase di debolezza ed alla perdita di possedimenti
nel 966 viene eletto Abate Giovanni III che rimane in carica trent’anni consentendo a Farfa di tornare quella di un tempo. Nel 996 l’imperatore Ottone III la visita e successivamente (sotto l’Abate Ugo) le concede il privilegio di eleggere autonomamente il proprio abate. Farfa torna ad essere pienamente Abbazia Imperiale
l’XI secolo è caratterizzato dal conflitto tra impero e papato intorno alla cosiddetta “lotta per le investiture”. Quando Enrico V riconferma (come erano soliti fare gli imperatori quando salivano al trono) nel 1118 all’Abbazia le sue proprietà, questi si estendono in numerose aree dell’Italia Centrale
nel 1122 il Concordato di Worms segna una tregua nel conflitto tra papato ed impero ma anche dell’autonomia di Farfa ed il suo passaggio sotto il controllo di Roma-
ABBAZIA di FARFA
il XII e XIII secolo sono un periodo non felice nella storia dell’Abbazia dovuto anche agli attacchi che il suo patrimonio subiva da parte delle famiglie aristocratiche romane in continua lotta tra di loro
nel 1400 Papa Bonifacio IX istituisce per Farfa la figura dell’Abate Commendatario, il quale aveva la gestione del patrimonio dell’Abbazia. In tale ruolo, si alternarono prelati provenienti da casate di prima importanza: nel 1496, il Cardinale Giovan Battista Orsini completa il restauro dell’Abbazia
nel 1567, Farfa entra a far parte della Congregazione Cassinese
nel 1798 Farfa è saccheggiata dalle truppe napoleoniche e, nel 1861, viene confiscata, in quanto bene ecclesiastico, dallo stato italiano. Superati anche questi momenti, dal 1921 l’Abbazia con appartiene alla comunità benedettina di S. Paolo fuori le Mura
nel 1928, a testimonianza del suo valore storico, artistico e spirituale, l’Abbazia di Farfa è dichiarata Monumento Nazionale
Abbazia di Farfa – La Visita
ABBAZIA di FARFA
Il Borgo di Farfa è liberamente accessibile ai visitatori così come la Basilica che è solitamente aperta durante il giorno. La visita all’intero complesso dell’Abbazia è invece possibile solo se è possibile solo se accompagnati dal personale addetto ed è consigliata la prenotazione. Informazioni, prenotazioni, visite guidate per singoli e gruppi sono ottenibili ai seguenti recapiti:
0765.277065 (centralino) – Skype: farfaturismo –
E-mail: turismo@abbaziadifarfa.it
Due parole sull’autore-
Prof.Fabrizio Sciaretta-Laureato in Economia alla LUISS e Master in Business Administration della Carnegie Mellon University di Pittsburgh, Fabrizio Sciarretta ha dedicato i primi anni della sua attività professionale al giornalismo economico. Rientrato dagli Stati Uniti, ha operato per circa un ventennio nella consulenza di organizzazione e direzione aziendale, ricoprendo incarichi di top management in Italia per due multinazionali americane del settore. Ha poi scelto la strada dell’impresa e da alcuni anni è impegnato come imprenditore nel settore della sanità. E’ consigliere d’amministrazione di SanaRes, la prima rete d’imprese italiana nel comparto sanitario. Lion da sempre, è stato presidente fondatore del Lions Club Roma Quirinale. Nel 2008 ha abbandonato la Capitale in favore della Sabina, e non se ne è pentito affatto.
N.B. Alcune foto sono prese dal web-
ABBAZIA di FARFACASTELNUOVO di Farfa e LA GUERRA DEI CONFINI CON L’ABBAZIA DI FARFAABBAZIA DI FARFAAbbazia di Farfa (Rieti) –San Lorenzo Siro, Vescovo di Sabina e fondatore dell’Abbazia di Farfa-Foto del 1921-Paolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAAbbazia di Farfa-“Il codice farfense, 29”Associazione culturale DEA SABINA, DEA SABINA, ASSOCIAZIONE CULTURALE DEA SABINA, FRANCO LEGGERI PRESIDENTE ASSOCIAZIONE DEA SABINA, FRANCO LEGGERI SCRITTORE, FRANCO LEGGERI GIORNALISTA, FRANCO LEGGERI FOTOREPORTER, FOTOGRAFI DELLA CAMPAGNA ROMANA e SABINA, ABBAZIA DI FARFA, Foto Castelnuovo di Farfa, Sabina Reatina, Sabina Romana,Paolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAAbbazia di FARFAABBAZIA di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAABBAZIA di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAABBAZIA di FARFAABBAZIA di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAABBAZIA di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAABBAZIA di FARFAABBAZIA di FARFAABBAZIA di FARFAAbbazia di Farfa (Rieti) –Paolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAPaolo GENOVESI Fotoreportage Abbazia di FARFAABBAZIA di FARFA-FONTANA FARNESE
Profilo storico-linguistico della poesia galego-portoghese medievale
Viella Libreria Editrice-ROMA
SINOSSI-
Che cos’è il galego-portoghese? La lingua dei poeti, dagli ultimi anni del XII secolo fino alla metà del Trecento, è la stessa usata per le opere in prosa o nei documenti giuridici e notarili? Quali sono le sue principali caratteristiche? Il manuale prova a rispondere a queste domande, seguendo un’impostazione didattica rivolta anzitutto agli studenti di Filologia romanza e Letteratura portoghese che si misurino per la prima volta con questa affascinante tradizione letteraria. Il volume si divide in due parti: nella prima si propongono i lineamenti di grammatica storica della lingua galega, soffermandosi in particolare sul rapporto che la lega al portoghese e prestando attenzione alle prime attestazioni scritte. La seconda parte affronta invece la lingua dei trobadores, offrendone una descrizione il più possibile esaustiva che prenda in esame – per la prima volta in un manuale di questo genere – le variazioni grafiche, fonetiche e morfologiche inferibili esclusivamente dall’analisi diretta dei canzonieri.
INDICE
Avvertenze
Introduzione
Cenni di storia della lingua e grammatica storica
Breve profilo di storia della lingua galega dalle origini al XII secolo
I primi documenti del galego-portoghese (sec. XII-XIII)
Galego e portoghese dal XIII secolo
La nascita della poesia trobadorica (sec. XII-XIV)
Lineamenti di grammatica storica: fonetica
1. Vocalismo tonico
2. Vocalismo atono
3. Dittonghi e iato
4. Nasalizzazione
5. Consonantismo
5.1. In posizione iniziale; 5.5.2. In posizione intervocalica; 5.5.3. In posizione finale; 5.5.4. I principali nessi consonantici; 5.5.5. L’azione di iod e di wau ; 5.5.6. La lenizione.
6. Altri cambi fonetici
6.1. Assimilazione e dissimilazione; 5.6.2. Cambi per sottrazione: aferesi, sincope, apocope; 5.6.3. Cambi per addizione: protesi, epentesi, epitesi; 5.6.4. Cambi per trasposizione: metatesi e spostamento dell’accento.
Lineamenti di grammatica storica: morfosintassi
1. Sostantivi e aggettivi
1.1. Derivazione da casi diversi dall’accusativo; 6.1.2. La sparizione del neutro; 6.1.3. Classi sostantivali; 6.1.4. La formazione del plurale; 6.1.5. L’aggettivo.
8.1. Generalità; 6.8.2. Tema del presente; 6.8.3. Tema del perfetto; 6.8.4. Futuro e condizionale; 6.8.5. Infinito e participio; 6.8.6. Il passivo; 6.8.7. Verbi irregolari.
I canzonieri galego-portoghesi
I manoscritti: tra grafia e fonetica
1. Panoramica sui principali fenomeni grafematici
2. Alcune particolarità fonetiche
2.1. Alternanza di vocali toniche e atone; 7.2.2. Nasalizzazione e denasalizzazione; 7.2.3. Casi di conservazione di -l e -n-; 7.2.4. Nasali e laterali palatali; 7.2.5. Fenomeni di fonetica sintattica; 7.2.6. Epitesi di -e.
Particolarità morfosintattiche
1. Sostantivi e aggettivi
1.1. Affissazione; 8.1.2. Castiglianismi, provenzalismi e oitanismi; 8.1.3. Hapax e nomi composti.
2. Pronomi
2.1. Forme toniche e atone; 8.2.2. Possessivi; 8.2.3. Dimostrativi e indefiniti.
3. Articoli
4. Preposizioni
5. Congiunzioni
6. Verbi
6.1. Particolarità nel tema del presente; 8.6.2. Particolarità nel tema del perfetto; 8.6.3. Particolarità del futuro e del condizionale; 8.6.4. Tempi composti; 8.6.5. Affissazione; 8.6.6. Incoativi; 8.6.7. Castiglianismi e forestierismi; 8.6.8. Tavole dei verbi più importanti
7. Avverbi
7.1. Principali avverbi; 8.7.2. Locuzioni avverbiali; 8.7.3. Avverbi pronominali.
Bibliografia
L’Autore-Simone Marcenaro-Ha conseguito il Dottorato di ricerca presso la Scuola di Dottorato europeo in Filologia romanza dell’Università di Siena.Si è occupato di lirica satirica galegoportoghese, in una prospettiva comparatistica con la poesia trobadorica occitana. Ha curato l’antologia di testi con traduzione a fronte e commento Canti di scherno e maldicenza e sta lavorando con Pilar Lorenzo Gradín all’edizione critica del trobador portoghese Roi Queimado.
Viella Libreria Editrice
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
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