Patrimoni della produzione nella provincia di Rieti
a cura di Renato Covino e Edoardo Currà
Volume stampato con il contributo- Fondazione Varrone-CRRieti
Rizzoli-Mondadori Electa
DESCRIZIONE
Nel territorio della Provincia di Rieti sono sempre più numerosi gli elementi della storia industriale che occorre portare all’attenzione della gestione e della pianificazione. Si tratta di realtà produttive che, dopo un secolare ciclo di vita, hanno perso la loro funzionalità e inducono a un confronto con gli spazi, i territori e i paesaggi del lavoro. L’industria si è insediata in prossimità delle risorse di materiali, energia e mano d’opera e i fiumi del Reatino hanno subito, per lo sfruttamento antropico antico e recente, importanti modificazioni, che costituiscono i caratteri più imponenti del paesaggio contemporaneo. Nei Comuni della Provincia troviamo produzioni ancora vitali accanto a impianti dismessi e abbandonati, imprese innovative e comparti storicizzati. Da qui l’esigenza di procedere a un inventario. Il volume da un lato si propone di ripercorrere le principali vicende imprenditoriali della prima industrializzazione della Provincia; dall’altro, segue un approccio contemporaneo alla visione dei territori postindustriali, confrontandosi con i luoghi ancora interessati dalla produzione e con quelli di antico e perdurante impianto rurale, per tracciarne storia e prospettive con l’obiettivo di una gestione sostenibile delle risorse e del territorio.
For more than half a century, Annie Leibovitz has been taking culture-defining photographs. Her portraits of politicians, performers, athletes, businesspeople, and royalty make up a gallery of our time, imprinted on our collective consciousness by both the singularity of their subjects and Leibovitz’s inimitable style.
The catalogue to an installation at the LUMA Foundation in Arles, France, Annie Leibovitz: The Early Years, 1970–1983 returns to Leibovitz’s origins. It begins with a moment of artistic revelation: the spontaneous shot that made Leibovitz think she could transition from painting to photography as her area of study at the San Francisco Art Institute. The meticulously and personally curated collection, including contact sheets and Polaroids, provides a vivid document both of Leibovitz’s development as a young artist and of a pivotal era.
Leibovitz’s reportage-like photo stories for Rolling Stone, which she began working for when she was still a student, record such heady political, cultural, and counter-cultural developments as the Vietnam War protests, the launch of Apollo 17, the presidential campaign of 1972, Richard Nixon’s resignation in 1974, and the Rolling Stones on tour in 1975. Then, as now, Leibovitz won the trust of the prominent and famous, and the book’s pages are animated by many familiar faces, among them Muhammad Ali, Mick Jagger, Keith Richards, Ken Kesey, Patti Smith, Bruce Springsteen, Joan Didion, and Debbie Harry, as well as John Lennon and Yoko Ono, captured in their now iconic embrace just hours before Lennon was assassinated.
Throughout the book, the portraits and reportage are linked to images of cars, driving, and even a series on California highway patrolmen. In many ways, it’s a celebration of life on the road―the frenetic rhythms, the chance encounters, the meditative opportunities. And with its rich archival aspects, it is also a tribute to an earlier time and a young photographer enmeshed in a culture that was itself in transition.
Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-Annie Leibovitz-The early years 1970 – 1983-
-PASSO CORESE di Fara in Sabina (pillole di Storia)-
Passo Corese 3 novembre 1867: I Volontari garibaldini attraversano il ponte sul torrente Corese ove vengono disarmati dalle truppe del Regio Esercito. A sx è visibile la stazione ferroviaria , a dx la locanda di Corese dove fu ospitato Giuseppe Garibaldi.
Passo Corese è una frazione di Fara in Sabina in provincia di Rieti . Nelle vicinanze sorge l’antica città romana di Cures, da cui l’aggettivo corese, importante centro culturale e finanziario della Sabina. L’attuale abitato è piuttosto recente, il primo nucleo urbano risale infatti agli edifici sorti nel 1860 presso la stazione della linea ferroviaria che collega Orte a Roma. Giuseppe Garibaldi sciolse qui i suoi volontari dopo la sconfitta di Mentana e dalla frazione partirono i fratelli Cairoli ed i loro compagni per raggiungere Roma. La frazione fu inoltre testimone della campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma del 1867. Il paese è in continua evoluzione. Ospita una scuola media statale e un polo didattico con sedi di diversi istituti superiori: (liceo classico, liceo scientifico, istituto industriale, istituto professionale agrario, istituto professionale commerciale). Nel 2006 è stato approvato un importante progetto per la realizzazione di un’area industriale da parte della Regione Lazio che fa prevedere un notevole sviluppo commerciale per la cittadina sabina, nonché l’importante collegamento ferroviario diretto con Rieti, nella linea Roma-Passo Corese-Rieti. Da visitare la Chiesa di Santa Croce costruita negli anni trenta ed ampliata nel dopoguerra, al centro del paese; nella piazza dinnanzi è collocato il monumento ai caduti. Monumento a Garibaldi: ricorda la presenza dell’eroe nazionale nel paese, che dopo la sconfitta di Mentana, sciolse i suoi volontari proprio a Passo Corese. Il monumento riproduce una lapide in memoria dettata da Bovio. Una lapide ricorda il luogo da dove i pavesi fratelli Cairoli ed i loro settantasei compagni si imbarcarono nella notte del 23 ottobre 1867 per poter raggiungere Roma navigando sul Tevere, con lo scopo di portare aiuti alla giunta rivoluzionaria romana.
PASSO CORESE- Epigrafe in memoria di Giuseppe Garibaldi
PASSO CORESE- Epigrafe in memoria di Giuseppe Garibaldi – L’Epigrafe è attribuita a Giovanni Bovio (Trani, 6 febbraio 1837 – Napoli, 15 aprile 1903) filosofo e politico italiano, “sistematizzatore” dell’ideologia repubblicana e deputato al Parlamento del Regno d’Italia.
PASSO CORESE- Epigrafe i memoria dei fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, garibaldini.
Passo Corese (RIETI)-PASSO CORESE- Epigrafe i memoria dei fratelli Enrico e Giovanni Cairoli, garibaldini. Sull’epigrafe è inciso anche un verso del noto poeta romano Cesare Pascarella.
Passo Corese (RIETI)-la meridiana “garibaldina”
Passo Corese (RIETI)-la meridiana “garibaldina”
Passo Corese (RIETI)-Disegno- Passo Corese-8 luglio 1827-
Passo Corese (RIETI)-Disegno- Passo Corese-8 luglio 1827-Da Il Viaggio in Sabina di L.Caracciolo-1827- Album di disegni conservato presso la Biblioteca di archeologia e Storia dell’Arte di Roma, all’interno del Fondo Rodolfo Lanciani. Miss. Lanc. 16406,f.2.
Passo Corese (RIETI)--Monumento ai Caduti
Passo Corese (Rieti)
Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese
Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese
Passo Corese-Fara in Sabina (RI)-La stazione Ferroviaria
Passo Corese-Fara in Sabina (RI)-La stazione Ferroviaria Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo CoreseChiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese Chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo CoresePasso Corese(RI)-La stazione Ferroviaria
Il Monumento è stato realizzato da una idea del fotografo farense Manlio Perugini
COLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco Leggeri
COLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco LeggeriCOLTODINO in Sabina (Rieti)-Monumento all’Olivicoltura-Foto di Franco Leggeri
Prof.Carlo Franza-L’Appia consolare (Roma-Brindisi) madre di tutte le vie-
E’ in Campania che staziona la bellissima mostra fotografica, non solo documentaria ma anche multimediale dal titolo “L’Appia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisi”; essa riscopre e racconta il percorso della prima grande via europea, da Roma a Brindisi, percorsa a piedi nell’estate 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani e Irene Zambon. Inaugurata a Roma nell’Auditorium, la mostra è ospitata nel Museo Archeologico dell’antica Capua fino al 25 marzo 2017, rievocando la prima tappa del percorso della Regina viarum. La via consolare fu il tramite per diffondere i principi della civiltà romana, lo strumento che fisicamente collegò il “centro del Potere” con i luoghi strategici della penisola. Appio Claudio nei cinque anni della sua censura tracciò la via da Roma a Capua per 132 miglia. L’Appia fu il tracciato lungo il quale marciò il temuto esercito romano, ma anche la via della condivisione, degli scambi culturali, dei traffici; ma è stata anche la triste strada lungo la quale giungevano a Capua gli schiavi e i gladiatori, dove i 6.000 compagni di Spartaco vennero crocifissi atrocemente e simbolicamente esposti a mo’ di monito. Ed è sempre lo stesso selciato calcato da Paolo di Tarso e dai primi apostoli che, con la loro testimonianza, segneranno la fine dei culti pagani e delle religioni misteriche. Un ulteriore invito a visitare la mostra è offerto da una selezione di iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalla città. Tra questi spicca la statua del Trittolemo, l’eroe ateniese che dispensava il dono dell’agricoltura all’umanità, unico esemplare a tutto tondo finora noto, a simboleggiare la straordinaria fertilità dell’Ager Campanus.
L’Appia consolare
Paolo Rumiz e compagni hanno intrapreso il loro viaggio – conclusosi il 13 giugno 2015 dopo 611 chilometri, 29 giorni di cammino e circa un milione di passi – con l’idea di tracciare finalmente il percorso integrale della madre di tutte le vie, dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza. Ecco l’Appia. Ora sono essi stessi a raccontare un’avventura che definiscono “magnifica e terribile, terrena e visionaria, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo”. “È compito di ciascuno di noi, come cittadini, – spiegano – restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace – dopo ventitré secoli – di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo. Appia è anche un marchio, un “brand” di formidabile richiamo internazionale. Un portale di meraviglie nascoste decisamente più vario e di gran lunga più antico del Cammino di Santiago de Compostela. La mostra ci accompagna sui Colli Albani, sotto i Monti Lepini con le fortezze preromane sugli strapiombi, lungo i boscosi Ausoni che hanno dato all’Italia il nome antico e ai piedi dei cavernosi Aurunci dalle spettacolari fioriture a picco sul mare. Ci guida nella Campania Felix, sui monti del Lupo e del Picchio e gli altri della costellazione sannitica, nell’Italia dimenticata degli Osci, degli Enotri e degli Japigi fino all’Apulia della grande sete. In questo itinerario, Paolo Rumiz e compagni non sono stati soli, ma hanno avuto altri compagni d’avventura, da citare in ordine di chilometri percorsi: Marco Ciriello, Sandra Lo Pilato, Michaela Molinari, Mari Moratti, Barsanofio Chiedi, Settimo Cecconi, Giulio e Giuseppe Cederna, Giovanni Iudicone, Franco Perrozzi, Cataldo Popolla, Andrea Goltara e Giuseppe Dodaro, con la partecipazione straordinaria di Vinicio Capossela. La mostra consente di rivivere questa affascinante riscoperta attraverso le fotografie di Riccardo Carnovalini integrate da un reportage di Antonio Politano realizzato per il National Geographic Italia e da istantanee estratte dai filmati “on the road” di Alessandro Scillitani. Nel percorso espositivo, curato da Irene Zambon, con testi e didascalie di Paolo Rumiz, anche alcune immagini dei viaggi di Luigi Ottani sui confini dei migranti e dei sopralluoghi di Sante Cutecchia sulla Regina Viarum, oltre ai filmati di Alessandro Scillitani e le musiche e le installazioni audio di Alfredo Lacosegliaz. Completano il percorso un apparato cartografico curato da Riccardo Carnovalini e Cesare Tarabocchia e il materiale documentario conservato negli Archivi della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma – Capo di Bove e della Società Geografica Italiana, come fotografie, cartoline d’epoca, mappe antiche e moderne. La mostra è a cura della Regione Campania, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo museale della Campania, Scabec Spa, Società Geografica Italiana onlus e Festival della Letteratura di Viaggio. La mostra e le attività connesse, che interesseranno anche ulteriori siti lungo il percorso campano dell’antica Appia, sono realizzate nell’ambito del progetto “Itinerari culturali e religiosi” programmato e finanziato dalla Regione Campania con fondi POC.
Carlo Franza
Carlo Franza
Carlo Franza è Nato nel 1949, due lauree conseguite all’Università Statale La Sapienza di Roma. Allievo di Giulio Carlo Argan. Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea, professore prima a Roma, poi a Torino, oggi a Milano.
Alberto Raffaelli-La comparseria. Luigi Pirandello accademico d’Italia
Franco Cesati Editore-Firenze
Descrizione
Il presente volume affronta, sulla base di documentazione archivistica, l’esperienza di Luigi Pirandello accademico d’Italia. Occupando gli ultimi otto anni dell’esistenza dello scrittore (1929-1936), tale carica ne emblematizza l’intera parabola umana e artistica, in tutte le sue contraddizioni. A cominciare da quella della fedeltà al fascismo, la cui nota problematicità viene ulteriormente suffragata dal rapporto con la massima istituzione culturale del regime, nei cui confronti egli fu certo insofferente pur però senza mancare di adoperarsi in diverse occasioni, se non altro allo scopo di vedere coronate talune aspirazioni: su tutte, la vittoria del premio Nobel per la letteratura nel 1934. Il ritratto delineato è quello di una personalità che nell’incarico di accademico vedeva messo alla prova un irrisolto contrasto tra anarchismo del grande artista e necessità di ossequiare le regole indispensabili all’assecondamento dei propri obiettivi: ne scaturisce il profilo di un compromesso difficoltoso, emblematico di una vicenda che come poche altre nel Novecento culturale italiano ha sperimentato i privilegi ma anche i tormenti dell’uomo pubblico.
Il libro lo si può acquistare attraverso questo link…
L’innato fascino dell’amore per la scrittura: Alberto Raffaelli da scrittore a presentatore dei libri altrui sulla pagina Facebook “Segnalazioni letterarie”
Alberto Raffaelli
L’amore per la scrittura è un’esperienza che molti autori, scrittori emergenti e appassionati di letteratura condivisa fanno. Tu cosa puoi dirci a riguardo?
È una passione che va ben oltre il semplice atto di mettere parole su carta; è un legame profondo con le parole stesse, con la creatività e con l’espressione.
Perché l’amore per la scrittura è così affascinante e come può arricchire la vita di chiunque si avventuri nel mondo delle parole?
La scrittura è una forma di espressione unica e potente. Attraverso le parole, possiamo condividere idee, emozioni, storie e pensieri con gli altri. L’amore per la scrittura è spesso alimentato dalla gioia di comunicare, di connettersi con il mondo e condividere parti di se stessi. Scrivere consente di tradurre il mondo interiore in un formato tangibile che può essere condiviso con gli altri.
Quando si ama scrivere, si apre la porta ad un mondo di creatività infinita. Sei d’accordo?
Sì. È proprio così. Ogni parola, ogni frase, ogni storia può essere un’opera d’arte in sé. Non ci sono confini né regole fisse nella scrittura creativa, ciò che permette ai talenti di esprimersi liberamente e di sperimentare. La scrittura offre l’opportunità di creare mondi fantastici, personaggi indimenticabili e situazioni straordinarie.
Scrivere non è solo un mezzo per comunicare con gli altri, ma anche un modo per esplorare il proprio mondo interiore. Giusto?
L’amore per la scrittura può diventare una forma di autoriflessione e scoperta personale. Tenere un diario, scrivere poesie o creare storie permette di esplorare le emozioni, i pensieri e le esperienze personali in modo profondo.
Le storie sono un elemento fondamentale della scrittura… Quale il loro potere?
Attraverso le storie, possiamo intrattenere, ispirare, educare e persino trasformare il mondo. Scrivere storie è un modo potente per connettersi con gli altri e condividere messaggi significativi. L’amore per la scrittura spinge gli scrittori a creare narrazioni che possono lasciare un’impronta duratura nella vita di chi le legge.
In conclusione, l’amore per la scrittura è un’esperienza unica che arricchisce la vita di chi la abbraccia?
Assolutamente sì. È un’arte di espressione, un veicolo per la creatività, un mezzo di autoriflessione e un potente strumento per condividere storie significative. L’amore per la scrittura può essere coltivato da chiunque, indipendentemente dall’età o dall’esperienza. Quindi, se non lo hai già fatto, concediti il piacere di esplorare il meraviglioso mondo della scrittura e scoprire l’inebriante bellezza di questa passione senza tempo.
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Joan Dalmases- Dones que mengen el cor de l’amant-
La poesia de Guillem de Cabestany, el Châtelain de Coucy i Reinmar von Brennenberg
Viella Libreria Editrice-ROMA
SINOSSI
La llegenda del cor menjat va gaudir d’una gran popularitat durant la Baixa Edat Mitjana, concretament a partir de les primeres dècades del segle XII. L’expansió d’aquest relat per Europa va propiciar l’aparició de múltiples versions en els territoris occità, francès, italià i alemany, que donaren lloc a reelaboracions que es nodrien de la idiosincràsia cultural de cada zona.
Tot i l’interès que aquesta llegenda ha desvetllat des de fa segles en filòlegs i historiadors, sovint no s’ha remarcat prou que alguns dels seus protagonistes fossin personatges reals, concretament poetes, entre els quals destaquen l’occità Guillem de Cabestany, el francès Châtelain de Coucy i l’alemany Reinmar von Brennenberg. ¿Què tenien en comú aquests tres autors, tan distants geogràficament i cronològica, per acabar esdevenint protagonistes de les versions més conegudes de la llegenda del cor menjat? Hi ha alguna relació entre les seves vides i el relat?
Dones que mengen el cor de l’amant proposa una anàlisi de les dades històriques i del corpus líric d’aquests tres poetes, per tal de contrastar el tractament metafòric que cada territori fa de la llegenda i reconèixer el procés segons el qual cada autor n’acaba esdevenint objecte i protagonista, fusionant-se, així, realitat i ficció.
INDICE
Introducció
1. El cor a l’Edat Mitjana
1. Cor, símbol d’amor: els antecedents
2. El cor en la medicina
3. La simbologia del cor en la mística i en la religió
4. El cor i la fin’amors
2. Guillem de Cabestany
1. Estat de la qüestió
2. Dades històriques
3. Obra lírica
4. La Vida de Guillem de Cabestany
3. Châtelain de Coucy
1. Estat de la qüestió
2. Dades històriques
3. Obra lírica
4. Le roman du Châtelain de Coucy et de la dame de Fayel
4. Reinmar von Brennenberg
1. Lírica trobadoresca amorosa alemanya: el Minnesang
2. Estat de la qüestió
3. Dades històriques
4. Obra lírica
5. De Minnesänger a màrtir: el Bremberger Ton
6. La Bremberger-Ballade
Conclusions
Apèndix
1. Guillem de Cabestany
1. Obra lírica
2. La Vida de Guillem de Cabestany
2. Châtelain de Coucy
1. Obra lírica
3. Reinmar von Brennenberg
1. Obra lírica
2. Meistersang
3. Bremberger-Ballade
Bibliografia
Índex de noms
L’AUTORE-
Joan Dalmases és Doctor en Cultures Medievals per la Universitat de Barcelona i membre de l’Institut de Recerca en Cultures Medievals (IRCVM). La seva recerca se centra en les relacions literàries entre Occitània, França i Alemanya durant l’Edat Mitjana, sobretot pel que fa a la lírica trobadoresca.
NOTE
Fotografies de la coberta: 1- Suetoni, Vida de Cèsar, 1433, Princeton University Library, MS Kane 44, f. 113r. 2 – Roman d’Alexandre, 1338-1344, Bodleian Library, Ms. 264, f. 59r. 3 – Boccaccio, Décaméron, 1414-1418, Biblioteca Apostolica Vaticana, Pal. Lat. 1989, f. 144r. 4 – Her Reinmar von Brennenberg, 1340, Universitätsbibliothek Heidelberg, Pal. germ. 848, f. 188r.
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI–All’inizio della via Aurelia Antica, a breve distanza da porta San Pancrazio, dove la strada curva leggermente, si innalza un elegante arco il cui nome suscita una certa curiosità: si tratta dell’arco detto di Tiradiavoli, fatto costruire da Paolo V Borghese nel 1612 per sostenere l’acquedotto Paolo che in quel punto attraversa la strada. Il Pontefice, infatti, aveva fatto restaurare l’antico acquedotto di Traiano, per l’approvvigionamento idrico del Trastevere, del Vaticano e di alcune zone basse dall’altra parte del Tevere, come via Giulia, via Arenula e il Ghetto. Fu un’impresa notevole, che costò ben 400 mila scudi, il doppio della somma occorsa per l’acquedotto Felice. La grandiosa opera venne affidata a Giovanni Fontana, fratello maggiore di Domenico. Per reperire i fondi fu necessario applicare una tassa sulla carne e anche una – più dolorosa – sul “vino romanesco”. Tra il 1673 e il 1696, per accrescere la portata dell’acquedotto, si decise di unire alle acque sorgive anche quelle del lago di Bracciano: il risultato fu un’acqua non del tutto potabile, per cui i romani delusi coniarono il detto “valere quanto l’acqua Paola”, per apostrofare qualcosa di scarso valore. Nella parte superiore dell’arco, sotto al fastigio con lo stemma del pontefice, è l’iscrizione che commemora l’impresa di Paolo V. Dalla terza riga, però, si capisce che il pontefice e i suoi architetti erano caduti in un errore: credevano di aver restaurato non l’acquedotto di Traiano, ma quello dell’Aqua Alsietina, costruito da Augusto per alimentare la Naumachia. Il curioso nome dato all’arco ricorda che un tempo questo tratto dell’Aurelia si chiamava via di Tiradiavoli. Come spiega Nica Fiori nel suo libro “I misteri della Roma più segreta” (Edizioni Mediterranee, 2000), uno dei fantasmi più celebri di Roma sarebbe quello di Donna Olimpia Pamphili, cognata di papa Innocenzo X. “Pare che, nelle notti di plenilunio, appaia nei pressi di villa Doria Pamphili sulla sua carrozza trainata da quattro cavalli, che corre per le strade lasciando dietro di sé una scia di fuoco. Dopo aver attraversato di corsa Ponte Sisto, scompare nel Tevere. Si racconta che i diavoli vengano ogni volta a prelevarla per trascinarla all’inferno, tanto che un tratto della via Aurelia antica, nei pressi della villa, si chiamò, fino al 1914, via Tiradiavoli”. Secondo Claudio Rendina, invece, il toponimo di Tiradiavoli deriverebbe dall’abbondanza di memorie di martiri cristiani sull’Aurelia Antica, che faceva sì che i diavoli venissero “tirati via”. Fino alla prima metà del Novecento scorreva all’aperto anche una marrana di Tiradiavoli, che nel medioevo si chiamava marrana di pozzo Pantaleo. Questo corso d’acqua nasce all’interno di villa Pamphili, dalle sorgenti della valle dei Daini e dopo aver attraversato la valle di via di Donna Olimpia e la zona di pozzo Pantaleo sbocca nel Tevere. La marrana oggi continua a scorrere sotto via di Donna Olimpia. La via Tiradiavoli si trova citata nelle cronache dell’assalto francese del 3 giugno del 1849, che prese di sorpresa i difensori della Repubblica romana. Alle due del mattino due colonne francesi arrivavano a villa Pamphili. Una aprì un passaggio nel muro e penetrò nella villa. D’altra parte – come narra Giuseppe Gabussi (1852) – “il generale Levaillant, giungendo con tre reggimenti per la via detta Tiradiavoli, trovato aperto un ingresso dal lato del giardino, entrò dentro: ma incontrata ben presto risoluta resistenza da 200 dei nostri, ne conseguì micidialissima zuffa sostenuta virilmente dai Romani, sino a che, soverchiati dal numero, dovettero riparare al convento di S. Pancrazio”.
Articolo scritto da Cinzia Dal Maso-10 gennaio 2014-
Foto di Franco Leggeri-
AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI-AURELIA ANTICA-ARCO TIRADIAVOLI-visto da Vila PamphiljAURELIA ANTICA-
Ritratti Opere dell’Artista Vittorio Corcos (1859 – 1933).Il pittore livornese, conosciuto in particolare per i suoi ritratti fortemente realistici, è diventato l’immagine della Belle Époque.
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