Teatro, Autori, Attori e Pubblico nell’antica Roma.
Roma- Al Museo dell’Ara Pacis una grande mostra su una delle più importanti istituzioni culturali dell’antichità.La forza vitale degli spettacoli teatrali, la loro popolarità, le vite difficili degli attori e degli altri grandi protagonisti del mondo teatrale nell’antica Roma saranno raccontati nella mostra Teatro.
ROMA- Museo dell’Ara Pacis
Autori, attori e pubblico nell’Antica Roma, in programma fino al 3 novembre2024 al Museo dell’Ara Pacis. Il visitatore / spettatore sarà condotto ‘oltre’ la scena, dentro i meccanismi di produzione, nei ‘camerini degli attori’, sui palcoscenici e sugli spalti dei teatri antichi: una ricostruzione viva, in cui gli stessi protagonisti – attraverso interventi multimediali creati ad hoc – coinvolgeranno il pubblico raccontando le loro vite, le storie che hanno interpretato, il loro ruolo di autori o performers in una società così simile e insieme tanto diversa dalla nostra. Le maschere saranno il filo conduttore di questa immersione: dalle più antiche tra quelle pervenute fino ai nostri giorni (V secolo a.C.) a quelle ellenistiche del III – II secolo a.C., fino a quelle, spettacolari, di epoca romana. Le maschere sono anche “caratteri” scenici di lunga durata, tragici, comici e grotteschi: il visitatore scoprirà così l’origine antichissima di tanti personaggi del teatro moderno, dal vecchio misantropo, al giovane seduttore, dal servo scaltro ai giovani amanti ostacolati dalle diverse condizioni sociali.
ROMA- Museo dell’Ara Pacis
Una tradizione viva e pulsante, che consentirà di aprire una finestra anche sul teatro contemporaneo. La mostra verrà illustrata da oltre 240 opere provenienti da 25 diversi prestatori con un percorso espositivo ricco di autentiche rarità come, ad esempio, la coppa di produzione attica proveniente dal Museo Archeologico Nazionale di Firenze con una delle rarissime rappresentazioni di una processione in onore di Dioniso, dio del teatro; un significativo esemplare di antica maschera in terracotta, forse ad uso teatrale, dal Museo Archeologico Regionale ‘Paolo Orsi’ di Siracusa o il famoso “vaso di Pronomos” dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, forse il più importante tra i reperti a soggetto teatrale pervenuto. L’esposizione è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Zètema Progetto Cultura. Mostra a cura di Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo. Media Partner: Rai Pubblica Utilità, Rai Radio3. Catalogo: L’Erma di Bretschneider, a cura da Salvatore Monda, Orietta Rossini e Lucia Spagnuolo.
ROMA- Museo dell’Ara Pacis
Info: Museo dell’Ara Pacis, dal 21/05/2024 al 03/11/2024 Ufficio stampa Zètema Progetto Cultura Lorenzo Vincenti (+39) 347 1025613 l.vincenti@zetema.it Chiara Sanginiti (+39) 340 4206787 c.sanginiti@zetema.it
Sandro Pertini-25 APRILE La Liberazione come festa popolare
ROMA-25 APRILE 1950-
Storia dei resoconti del 25 aprile di quell’anno nella stampa quotidiana.
Roma,La Storia del 25 aprile – Anche se già dal 1947 il 25 aprile era stato proclamato Festa nazionale, è solo nel 1950 che per la prima volta l’anniversario viene celebrato con una cerimonia ufficiale ed unitaria, come ci dice il manifesto affisso a cura del Comitato organizzatore:
“Aderendo all’invito di tutte le forze della resistenza, sotto gli auspici del Parlamento, le rappresentanze del Senato e della Camera e del Governo, le formazioni volontarie della lotta per la Liberazione, le Direzioni dei partiti che parteciparono alla riscossa, le organizzazioni dei combattenti e dei mutilati hanno deciso di celebrare con una solenne unica cerimonia in Roma la data del 25 aprile.”
Il significato della celebrazione unitaria, che trova insieme schierati autorità e popolo, è evidente.
A cinque anni di distanza dall’evento che è certamente tra i più grandi e decisivi della nostra storia, gli italiani non ingrati e non immemori desiderano elevare in concordia il loro pensiero di reverenda gratitudine alla memoria dei Martiri, dei Morti gloriosi, dei partigiani della libertà. Ma ora e al disopra del rito commemorativo, l’Italia rinnovata intende riaffermare la perenne validità del patrimonio ideale che si identifica nel movimento della Resistenza.
La Resistenza si riallaccia con i suoi valori etici e politici ai moti del nostro Risorgimento; lo completa attraverso la sempre maggiore partecipazione attiva e consapevole fatta di sacrifici e di sangue del popolo ai destini della Patria.
La celebrazione del 25 aprile nella unità degli animi e degli intenti di tutte le forze vive che vi parteciparono ha pertanto un valore di altissimo insegnamento. Per tutti gli italiani il patrimonio ideale della Resistenza è sacro e inattaccabile. Appartiene indissolubilmente – ora e sempre – alla storia del nostro Paese.”
Festa della Liberazione, 25 aprile significato e storia – NUOVA RESISTENZA antifascista
1)
Prima del 1950
Negli anni precedenti diverse manifestazioni erano state organizzate da associazioni, prima fra tutte l’Anpi, e da partiti, né erano mancate alcune iniziative del Governo. Così il 25 aprile 1946 il Ministro Gasparotto aveva pubblicato una relazione nella quale forniva i dati del contributo italiano alla Liberazione: l’esercito italiano il 1 gennaio 1946 aveva una forza di 385.156 uomini, secondo le aliquote fissate dagli alleati; le perdite furono di 128.506 morti; 29.398 furono i feriti.
2)
Nello stesso anno il Luogotenente generale del Regno, Umberto II di Savoia, aveva diretto un proclama alle Forze Armate ed aveva concesso medaglie d’oro al valor militare a partigiani e a famiglie di caduti, come farà anche l’anno successivo.
Alle manifestazioni in genere avevano partecipato autorità civili e militari, a volte lo stesso Primo ministro. Di solito si era trattato di Messe di suffragio, deposizione di corone d’alloro o di fiori, comizi. Al pomeriggio si erano aggiunte esibizioni di bande, feste, balli, pesche di beneficenza, la gara ciclistica “Gran Premio della Liberazione” sul circuito della Passeggiata Archeologica, che continuerà per alcuni anni, competizioni pugilistiche, proiezione di film e trattenimenti vari.
Nel 1946 “l’Unità” scrive: “Durante tutto il pomeriggio e la sera […] a Campo dei Fiori, a piazza Borghese, a piazza Testaccio, a piazza Ragusa, a Via Alberto da Giussano, a Porta Cavalleggeri, a Monte Sacro, sui vecchi selciati del centro, nei lontani quartieri della periferia i festoni e le stelle luminose issate su improvvisati spacci di bibite e vino si agitavano nel vento della sera.
I padri, le madri, i giovani, i bambini, le ragazze, gli uomini semplici si muovevano tra la musica che suonava per loro, liberi e felici nelle strade percorse ogni mattina per recarsi al lavoro. Due anni fa per quelle strade gli invasori e i nemici del popolo circolavano nelle
automobili mimetizzate. Due anni fa a giugno per quelle strade e per quelle piazze il popolo passò esterrefatto e delirante per la Liberazione.
[…] Quando il popolo balla nelle strade e nelle piazze, sotto il cielo, vicino alle sue case è un brutto giorno per tutti i suoi nemici. Quei balli e quei canti significano forza, perché sono espressione di amore, di solidarietà e di fratellanza.
Il popolo italiano ha ritrovato la solidarietà e la fratellanza combattendo e distruggendo il fascismo suo nemico. Ogni anno come quest’anno il popolo romano ricorderà quell’impresa, ritroverà il senso della sua forza e del suo amore ballando per le strade.”
Anche la Rai nel 1947 aveva trasmesso un programma di canti partigiani.
Numerosi erano stati anche i proclami e gli appelli pubblicati per il 25 aprile. Tra questi merita di essere ricordato quello che, nel 1949, l’Alleanza femminile ha diretto alle donne del Fronte, appello nel quale si dice:
“Nel giorno che ricorda la Liberazione del nostro Paese e la grandiosa epopea della lotta partigiana inviamo il nostro saluto a voi tutte, donne d’Italia, che avete or ora sostenuta una così dura battaglia per la democrazia, non come allora, aperta e leale, contro un nemico ben individuato, ma una battaglia sorda contro le calunnie e le perfidie e le insidie di coloro che non conoscono lotta onesta e sincerità d’intenti”
4)
L’appello si conclude con l’invito alle donne a restare unite con chi difende i valori della libertà, del lavoro, della pace.
Solo nel 1948 le manifestazioni erano state vietate. Quell’anno la lotta per le elezioni politiche era stata durissima. La Democrazia Cristiana aveva mobilitato tutte le sue forze, in primo luogo i parroci, contro il pericolo rosso; padre Lombardi, “il microfono di Dio”, tuonava dalla Rai; agli operai si ricordava che Nel segreto della cabina Dio ti vede, Stalin no. Gli animi erano esasperati e i disordini non erano e non sarebbero mancati. La Dc aveva vinto, ma i timori non erano placati e le manifestazioni, anche quelle per il 25 aprile, erano state vietate.
“L’Unità”, commentando il provvedimento, deplora il ministro Scelba che “ha assurdamente esteso anche alle manifestazioni indette per ricordare questa data solenne della storia d’Italia il provvedimento che vieta di tenere fino a nuove disposizioni manifestazioni e riunioni pubbliche. A tutti i prefetti ha diramato disposizioni in tal senso. Solo alla Dc il ministro Scelba, quest’uomo la cui faziosità si accentua ogni giorno che passa, consente di tenere comizi e cortei per le città d’Italia. E proprio in occasione del 25 aprile vien data notizia di manifestazioni che i democristiani – essi soli – si apprestano a tenere a Firenze con la partecipazione dei loro leaders politici per dare anche a questa giornata un carattere di parte.
Tuttavia il ministro Scelba si illude se pensa di poter impedire, con un suo decreto, che i lavoratori e i partigiani rievochino degnamente la lotta antifascista, che i caduti abbiano i loro fiori, che in tutte le città d’Italia i partigiani rivivano il 25 aprile col loro vecchio, genuino entusiasmo e che con essi tutta la popolazione democratica lo riviva.”
Partigiani
5)
Il 25, in realtà, la ricorrenza fu ricordata quasi ovunque. A Milano, però, si registrarono scontri e ferimenti.
Quanto ai temi trattati, nel corso degli anni essi si sono strettamente connessi agli avvenimenti in corso. Così, ad esempio, nel 1949, e negli anni immediatamente successivi, la celebrazione per la sinistra è legata alla propaganda per i Comitati per la pace che si oppongono ai blocchi militari, “bellicisti”, ed in particolare all’ingresso dell’Italia nella Nato, appena costituita. Si ricordano perciò innanzi tutto i 72.000 morti, le centinaia di migliaia di feriti, i 40.000 mutilati.
Un appello in tal senso è anche indirizzato dall’Udi alle donne perché rinnovino il giuramento di lottare per gli ideali che animarono la guerra di Liberazione:
«Mentre si minaccia il nostro Paese con patti bellici ricordiamo e facciamo ricordare a chi non vuole, che il nostro popolo avrebbe perduto l’indipendenza e la libertà se le eroiche armate partigiane non avessero riscattato, con l’onore, anche il diritto ad un maggior rispetto da parte dei vincitori: salutiamo nei partigiani d’Italia i primi ed i più degni difensori della pace del nostro Paese.»
ANPI –Associazione Nazionale Partigiani d’Italia
6)
La prima celebrazione unitaria
Quando nel 1950 si decide la manifestazione ufficiale, fanno parte del Comitato che la organizza i Presidenti del Senato e della Camera, Bonomi e Gronchi, il Presidente del Consiglio De Gasperi, il primo Presidente della Repubblica De Nicola, gli ex Presidenti del Consiglio Orlando e Nitti, il senatore Croce, i membri del Cln dell’Italia centro- meridionale Casati, Lussu, Nenni, Reale e Scoccimarro, i membri del Cln dell’Alta Italia Marasca, Merzagora, Morandi e Pertini, i comandanti del Corpo Volontari della Libertà Parri, Longo e Cadorna, i segretari dei Partiti che parteciparono alla Resistenza Togliatti, Mondolfo, Reale, Saragat, Gonella e Villabruna, i Presidenti dell’ANPI, dell’Acnr e dell’Anmi Boldrini, Viola e Ricci, i dirigenti della Resistenza e i deputati e senatori Amendola, Bauer, Bergamini, Brosio, Calamandrei, Carandini, Cevalotto, Cianca, Della Torretta, Fancello, Gasparotto, La Malfa, Lombardi, Mattei, Molè, Ponti, Porzio, Quarella, Romita e Taviani e i dirigenti delle associazioni combattentistiche di Roma Bruno, Cirenei e Garzoni.
Per la ricorrenza, l’Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di guerra, l’Associazione Nazionale Combattenti e Reduci e l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia hanno rivolto a tutti gli italiani il seguente messaggio:
Sandro Pertini-25 APRILE La Liberazione come festa popolare
“ITALIANI: ex partigiani, ex combattenti di tutte le guerre!
Ritorna con l’aprile l’anniversario del nostro riscatto.
Misconoscimenti ed oltraggi, che già seguirono al Primo Risorgimento, non possono né potranno mai diminuire la grandezza popolare e nazionale del Secondo Risorgimento d’Italia.
Da Cefalonia, da Napoli delle ‘quattro giornate’, dai campi di concentramento e dalle camere di tortura, dalle Fosse Ardeatine come da Marzabotto e da Vinca, dai paesi montani non piegati dalle rappresaglie, dalle città insorte e liberate parecchi giorni prima che arrivassero gli Alleati, dalle fabbriche e dai porti salvati, ritornano a noi in un vento di epopea i 72.500 Caduti per la Libertà. Essi ci ammoniscono, e ammoniscono il mondo, a ricordare la tragica esperienza della guerra e del fascismo, e l’eroica prova di capacità data dal popolo italiano risollevando dalla catastrofe la bandiera della Patria.
L’esempio che danno le Associazioni dei Combattenti e reduci, dei Mutilati e Invalidi di guerra e Anpi nel celebrare insieme il 25 aprile, come una delle grandi date patriottiche in cui si esaltano gli ideali comuni di libertà, di indipendenza e di pace, sia seguito dall’intera Nazione.
Erano di tutte le regioni d’Italia e di tutti i ceti i Martiri della Resistenza. Ed è stata la loro unità e l’unità attorno ad essi di tutto il popolo che ha salvato allora l’Italia.
Nella difficile situazione attuale sappia l’Italia trarre dall’anniversario della Liberazione motivo di concordia e di fierezza nazionale, luce per un avvenire di pace e di progresso, insegnamento generoso per le giovani generazioni.
Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra – Associazione Nazionale Combattenti e Reduci – Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.”
7)
I commenti sui mezzi di informazione
Il richiamo al Risorgimento e la definizione della Resistenza come secondo Risorgimento e completamento del primo erano già stati molto frequenti negli anni precedenti e ritornano nel 1950. Anche l’articolo di Mario Vinciguerra sul “Messaggero” del 25 aprile accosta Resistenza e Risorgimento e considera la situazione dell’Italia nei due momenti. Ma la situazione d’oggi, egli dice, “è certo assai più difficile di quella degli anni che seguirono immediatamente le guerre d’indipendenza e che pure appariva così fosca ai patrioti di allora. Per essi il terreno della patria comune era più facile a ritrovare ed un’atmosfera di più elevata moralità permetteva cavalleresche rinunzie che oggi purtroppo appaiono inconcepibili. […] quello che rattrista e dà giustificate ragioni di preoccupazione è che in mezzo all’elemento fattivo del mondo politico non siano stati superati lo spirito e la pratica di parte. […] guardando la situazione quale è non m’illudo che la celebrazione di oggi riuscirà a portare una parte non trascurabile di italiani su un fondamentale piano di intesa nazionale. Si può dire che essa è ancora una truppa accampata e con le armi al piede. Non voglio discutere le ragioni e anche gli ideali per i quali essa intende combattere ancora. Non sono i miei; ma li comprendo. Però sul
terreno politico bisogna regolare le proprie azioni non su disquisizioni dottrinarie, sibbene sui risultati derivanti dal formarsi o dal rompersi di un certo equilibrio di forze.
L’intesa coi partiti rivoluzionari – malgrado l’intima contraddizione – sarebbe stata ancora possibile, se essi l’avessero voluta mantenere quale fu al tempo della Resistenza. Perché fosse mantenuta, era necessaria una garanzia di pace interna e di sicurezza nazionale. Questo non è stato possibile perché la contraddizione era troppo forte. In verità si tacque di fronte al tremendo pericolo comune; ma quando si cominciò a parlare, ci si accorse che mai come questa volta si parlavano due linguaggi, Per essi la Resistenza significava la difesa della rivoluzione; per noi significò e significherà sempre la difesa della Patria.”
25 APRILE La Liberazione come festa popolare
Non molto diverso è il tono delle parole dell’on. Taviani a Genova, dove ricorda il pericolo del bolscevismo e l’impossibilità di schierarsi con i comunisti che hanno dimostrato “di essere altrettanto totalitari e altrettanto pericolosi dei nazisti.”
9)
Nell’editoriale del “Giornale d’Italia” del 26 aprile si dice: “Nello spirito del Risorgimento […] oggi si celebra più che la Liberazione dai tedeschi la caduta di una dittatura e la fine di una guerra infausta che trovò gli italiani divisi e avversi, si celebra […] il ripristino del reggimento democratico nell’aureola splendente della santa Libertà. […] oggi alcuni partiti intendono distinguere, travisare, sopraffare, nel chiaro intento di conquistare posizioni di privilegio che contrastano non solo con lo spirito di quella unione, ma con la volontà liberamente espressa dal popolo in libere elezioni. […] mettere la Resistenza a servizio di un partito che si dice democratico, anche se aggiunge progressivo, quando è notorio che si tratta di una dittatura che tiranneggia le stesse classi sulle quali si regge, è un errore grossolano nel quale solo gli ingenui in buona fede e i falliti in cerca di una favola di salvezza possono cadere.”
10)
Anche il Pci fa riferimento al Risorgimento, ma con toni assai diversi, perché come aveva detto Secchia nel 1946: “i combattenti del nostro Risorgimento non hanno impugnato le armi per essere considerati, dopo un anno appena, dei briganti, per essere messi da parte come lo fu già Garibaldi dopo il 1860, a Caprera. La loro opera non è finita. I partigiani, i patrioti, tutti gli italiani insorti contro la barbarie tedesca e fascista hanno combattuto non solo per liberare l’Italia dalle orde teutoniche, ma per ripulirla dal marciume fascista, per liberarla dall’istituto monarchico causa di tante rovine, per fare dello Stato italiano una repubblica democratica e progressiva.
Il 25 aprile 1945 ha aperto la strada al 2 giugno 1946. Due date, un solo obiettivo: Repubblica, Pace, Lavoro.”
11)
Costante del resto è il richiamo alla pace e alla concordia da parte delle forze di centro e di destra, mentre la sinistra tende a porre l’accento sempre più spesso sulle speranze e gli ideali traditi. Nell’articolo di Arturo Colombi su “l’Unità” del 25 aprile 1950 si dice: “Il ricordo dei nostri morti, delle battaglie combattute in unità d’intenti, delle ansie e delle speranza comuni a tutti coloro che avevano scelto un’altra via che non fosse quella del fascismo e della guerra, è più che mai necessario oggi che taluni uomini e partiti, i quali pur combatterono, in un modo o nell’altro, a fianco della classe operaia e della sua avanguardia comunista e socialista, hanno abbandonato e tradito gli ideali della Resistenza e perseguitano i migliori combattenti della libertà e fanno causa comune con i ceti che costituirono la base e furono i profittatori della dittatura mussoliniana […]. Mentre il paese si apprestava a celebrare la data gloriosa di Aprile ed era lecito attendersi da chi dirige il governo una parola ispirata all’unità e alla concordia del popolo, abbiamo udito invece nuove parole di odio contro i partiti popolari ed espressioni invece di invitante rammarico verso i fascisti. […] come potrebbero gli italiani non essere angosciati dallo spettro della guerra, quando il governo è legato mani e piedi ai forsennati guerrafondai d’oltre oceano e sbarcano sul nostro suolo le armi di quegli imperialisti che non esitano a provocare incidenti di frontiera a diecimila chilometri dal loro territorio?
Non si ricostruisce il Paese asservendolo all’imperialismo del dollaro, né vi può essere ripresa economica, nella pace e nella libertà, finché si conta solo sulle elemosine interessate dello straniero e quando si perseguitano la classe operaia, i lavoratori e i partigiani, proprio perché essi sono rimasti fedeli agli ideali di rinnovamento sociale, di libertà e di pace che animarono la Resistenza.
25 APRILE La Liberazione come festa popolare
Per ricostruire e rinnovare l’Italia non occorre tanto l’aiuto americano e ancor meno quello dei rigurgiti fascisti. Occorre aver fiducia nelle virtù del nostro popolo […].
Come negli anni della guerra di Liberazione, così oggi noi abbiamo fiducia nel nostro popolo, è nel nostro popolo e nella sua unità antifascista che noi dobbiamo ricercare le forze e i mezzi per risorgere come popolo libero che costruisce il suo avvenire, che assicura il lavoro e il pane a tutti i suoi figli per risorgere come nazione grande, pacifica e rispettata nel mondo.
Il convegno su Resistenza e cultura
Ci sembra che questo sia lo spirito nel quale si realizza quell’unità antifascista, la quale ha trovato in questi giorni una espressione così alta al Convegno sulla Resistenza e sulla Cultura.”
12)
Questo Convegno, organizzato a Venezia, al quale hanno partecipato numerosi ed importanti intellettuali, si conclude con l’approvazione della seguente, importante mozione:
“Il Convegno ‘La Resistenza e la Cultura italiana’ tenutosi a Venezia i giorni 22, 23 e 24 aprile 1950, nella diversità e varietà di origini e di idee dei convenuti, dichiara che le sofferenze ed il martirio di tutto il popolo, nei lunghi anni della dominazione fascista e nazista, la lotta e la Liberazione che la cultura italiana, nello spirito delle sue tradizioni, suscitò e condusse con tutti gli italiani contro la tirannide fascista e per la Liberazione del Paese, sono patrimonio comune ed intangibile di tutta la nazione. Denuncia la insidia e la protervia delle forze ostili alle libertà nazionali che, male interpretando come debolezza il generoso sforzo di riconciliazione della democrazia, si riorganizzano nella sistematica denigrazione di ogni aspetto e fase della lotta per la libertà, in una azione consapevole volta a rendere inoperante la Costituzione, giovandosi dell’appoggio di elementi dirigenti fascisti reintegrati nell’apparato statale, nella scuola, nella stampa e tra l’inerte disinteresse dei pubblici poteri.
E richiama l’attenzione del Paese sui pericoli interni e internazionali del rifiorire delle forze che condussero l’Italia alla catastrofe.
Ricorda agli immemori che, se un Italia democratica e pacifica può oggi rivendicare il diritto dell’unità e dell’integrità nazionale, questo si deve al sacrificio dei partigiani e dell’esercito di Liberazione. Impegna tutte le forze della cultura e della politica democratica italiana a fermamente difendere i perenni valori di libertà politica, civile, religiosa, intellettuale che ispirò la lotta di Liberazione in Italia e nel mondo.”
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13)
Il giorno della Liberazione vengono lanciato vari messaggi: il sindaco di Trieste, ing. Gianni Bartoli, indirizza un messaggio a tutti i sindaci d’Italia; la Federazione Italiana Volontari per la Libertà esorta la nazione a difendere i valori della libertà e della pace contro ogni nostalgico tentativo di ritorno o di sovversione.
Il messaggio dell’Anpi è invece diretto alle Forze Armate e dice:
“Nel quinto anniversario della Liberazione salutiamo fraternamente gli Ufficiali ed i Soldati delle Forze armate alla cui storia gloriosa la vittoria del 25 aprile appartiene. Gloria ai reparti di tutte le Armi che l’8 settembre in Italia e all’estero, trovandosi nella tragica situazione di cui non essi, ma il fascismo era responsabile, seppero resistere a Roma come a Cefalonia, a Torino come nei Balcani, e per il riscatto d’Italia trasformarsi in partigiani. Onore agli Ufficiali e Soldati dell’eroico Corpo Italiano di Liberazione. E onore al popolo italiano che prendendo la iniziativa della guerra partigiana e costituendo il Corpo Volontari della Libertà, ha voluto ridare all’Italia e al suo Esercito indipendenza e dignità. La vittoria conquistata insieme ha permesso all’Italia di risorgere, ha acceso nel cuore dei suoi figli una nuova speranza.
Col nostro saluto, esprimiamo l’augurio che sia messa a frutto nelle Forze Armate della Repubblica, l’eredità preziosa della Resistenza e che sia rafforzata l’unione delle Forze Armate con gli ex partigiani, gli ex combattenti di ogni guerra e tutto il popolo per garantire insieme che la nostra Patria viva e prosperi nella pace, sia libera e indipendente come l’abbiamo voluta noi combattenti, come l’hanno sognata i nostri Morti, come la Costituzione dichiara.
Evviva il 25 aprile!
Evviva le Forze Armate della Repubblica!
Evviva l’Italia
L’Esecutivo dell’Anpi”
25 APRILE La Liberazione come festa popolare25 APRILE La Liberazione come festa popolare
14)
La Camera del lavoro ha inviato all’Anpi un saluto e l’auspicio della intensificazione della lotta per l’affermazione dei valori della Costituzione e della pace contro ogni tentativo di riportare il Paese al fascismo e alla guerra.
Il messaggio del Presidente della Repubblica
Infine il messaggio che il Presidente della Repubblica ha diretto al Comitato organizzatore dice:
“Nell’alta parola che le forze della Resistenza hanno dedicato al 25 aprile il Paese riconosce i sentimenti onde la sua anima è commossa al ricorrere di questa data. Per ogni italiano è soprattutto motivo di compiacimento il carattere unitario del richiamo a quei comuni ideali che, nel solco della gloriosa tradizione del Risorgimento, il nostro popolo ancora una volta volle e seppe tradurre in momenti segnati da martirii e sacrifici. Nella fedeltà di ognuno a quegli ideali, nel sapere in essi ritrovarsi di quanti li servirono e nel perpetuarsi in ogni cuore della memoria di coloro che ad essi fecero olocausto della vita, la Patria risorta ravvisa l’auspicio di un migliore avvenire garantito dal costante rafforzamento delle sue istituzioni democratiche e dalla perenne incolumità da ogni tirannide.”
15)
La cerimonia ufficiale, che viene trasmessa per radio, si tiene la mattina del 25 al Teatro Adriano, dove sono presenti i rappresentanti di tutti i partiti. Accanto all’oratore, on. Bonomi, Presidente del Senato, ci sono gli onorevoli Orlando, Togliatti e Gronchi. “L’Unità” sottolinea “la significativa assenza di De Gasperi dalla manifestazione unitaria”. La sala e la piazza Cavour sono affollatissime. Il comizio di Bonomi viene perciò diffuso da altoparlanti anche all’esterno, dove si accalca molta gente che non ha trovato posto nel teatro. L’on. Bonomi, presentato da Molè, ricorda come proprio a Roma dopo l’8 settembre i capi dei movimenti antifascisti si erano riuniti in un modesto appartamento di via Adda. C’erano i democristiani De Gasperi e Ruini, il comunista Scoccimarro, il liberale Casati, il socialista Nenni, il Leader del Partito d’Azione La Malfa. Lo stesso Bonomi li presiedeva. Egli rilegge il testo dell’ordine del giorno che fece allora votare: “Nel momento in cui il nazismo tenta restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale per chiamare gli italiani alla lotta ed alla resistenza e per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni.”
16)
Bonomi ricorda poi i partigiani del Nord e le quattro divisioni dell’esercito (la “Cremona”, operante nei pressi della laguna di Comacchio, la “Friuli”, sull’Appennino, la “Folgore” e la “Legnano”, in Emilia Romagna) che dopo la Liberazione di Roma si posero al loro fianco, oltrepassando la linea gotica, per sconfiggere le ultime postazioni tedesche. Il contributo dato dall’Italia alla vittoria della democrazia, dice Bonomi non è stato adeguatamente apprezzato dagli alleati che hanno confuso le responsabilità di pochi con quelle di un popolo intero. “Ricordo […] i tristi giorni per la conferenza per la pace dell’estate 1946 a Parigi. Io fui dei tre Cirenei (gli altri erano gli on.li De Gasperi residente del Consiglio, e Saragat Presidente dell’Assemblea Costituente). […] L’Italia vi fu accolta come un reo che deve sedersi sul banco dei vinti […]. Nonostante tutto, molto cammino è stato fatto da allora nella faticosa opera di risollevare l’Italia nell’estimazione del mondo e specialmente dei vincitori, ma molto resta ancora da fare.”
Passando alla situazione interna dell’Italia l’oratore ricorda la necessità di mantenersi uniti, nonostante le diversità dei programmi di partito, nella difesa della libertà e della democrazia e per la difesa del patrimonio ideale per il quale si è combattuto e tanti martiri sono caduti. “Contro questo patrimonio […] si appuntano oggi accuse e rancori. Non si può negare che quel quadro luminoso possa aver avuto qualche ombra, perché tale è il destino di tutti i grandi eventi storici, ma non sono ammissibili recriminazioni da parte di coloro che in quelle circostanze si schierarono dalla parte del tedesco invasore.”
17)
Bonomi dice anche che: “Non possiamo tollerare oblio e ignominia contro il secondo Risorgimento”.
Altre manifestazioni
Accanto a quella unitaria si tengono a Roma anche altre manifestazioni. Tra quelle ufficiali ricordiamo che la mattina alle 10, il capo si Stato Maggiore generale, accompagnato dai segretari generali delle Forze Armate, ha deposto una corona sulla tomba del Milite Ignoto, mentre un reggimento rendeva gli onori militari e la banda dei Carabinieri intonava l’inno di Mameli. Lapidi in onore di caduti vengono scoperte a Cavalleggeri e al Salario.
Né sono mancate le manifestazioni popolari. Ne ricordiamo qualcuna, come i comizi che si sono conclusi con balli e trattenimenti tenutisi a cura dell’Anpi nelle sue varie sezioni. Quella dell’Esquilino, in particolare, ha offerto un pranzo nella trattoria Osvaldo a 50 bambini poveri con il contributo degli abbacchiari di Piazza Vittorio.
Anche i giovani organizzano manifestazioni: quelli della Fgci (la federazione giovanile comunista) di Val Melaina una conferenza e una serata danzante pro “Pattuglia”, quelli del quartiere Latino-Metronio fanno festa in sezione, mentre la Fgci del Prenestino va in gita a Tivoli.
25 APRILE La Liberazione come festa popolare
A cura di Franco Leggeri-
– Ricerca Storica Campi profughi in Sabina-
A cura di Franco Leggeri- Isa Folliero
per ANPI Sabina/-a bibliografica –
NOTE
Unica celebrazione nazionale dell’anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 23 aprile 1950, p.1.
128.506 morti 29.398 feriti: “Il Messaggero”, 25 aprile 1946, p.1
A. R., Quando il popolo balla per le strade, “l’Unità” 27 aprile 1946, p.2.
25 aprile ’45 – 25 aprile ’49, l’“Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
Popolo e partigiani rivivranno domani lo spirito dell’eroica insurrezione d’aprile, “l’Unità”, 24 aprile 1948, p.4.
25 aprile ’45 – 25 aprile ’49, “l’Unità”, 25 aprile 1949, p.1.
Solenne celebrazione unitaria della gloriosa insurrezione d’aprile, “l’ Unità”, 23 aprile 1950, p. 1.
Mario Vinciguerra, 25 aprile, “Il Messaggero”, 25 aprile 1950, p.1.
Oggi solenne rievocazione del V anniversario della Liberazione, “Il Messaggero”, 25 aprile 1950, p.1.
Sav., Rivendichiamo la nostra parte col rosso vivo del sangue versato dai partigiani e dai soldati, “Il Giornale d’Italia”, 26 aprile 1950, p. 1.
Pietro Secchia: Vittoria di popolo, 25 aprile, p.1
Arturo Colombi, L’Italia esalta il patrimonio della Resistenza fondamento e garanzia della Repubblica Democratica, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
Con un solenne impegno unitario si è chiuso il Convegno di Venezia, “l’ Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
La celebrazione ufficiale a Roma, “l’Unità”, 25 aprile 1950, p. 1.
Oggi solenne rievocazione, cit., 25 aprile 1950, p.1.
L’annuale della Liberazione celebrato solennemente in tutta Italia, “Il Messaggero”, 26 aprile 1950, p.1.
Ibidem
Nilde Iotti e Palmiro TOGLIATTI-25 APRILE La Liberazione come festa popolare25 APRILE La Liberazione come festa popolare25 APRILE La Liberazione come festa popolare25 APRILE La Liberazione come festa popolare
Storia del fiume ADIGE-Il fiume è stato protagonista di alcune devastanti alluvioni. Già in epoca romana la sua idrografia subì una variazione: Plinio il Vecchio[3] non cita più il Po di Adria perché l’Adige aveva subito una rotta ed era confluito nella Filistina e in altri due canali, chiamati il Fossone e la Carbonaria (Po di Goro).[4] Successivamente la rotta della Cucca, la catastrofica alluvione del VI secolo (589), secondo le cronache di Paolo Diacono, provocò morte e distruzione a Verona e nelle campagne. Vi è la notizia di altri fenomeni di questo tipo in passato: tra i più gravi sono da ricordare le inondazioni del 1882, del 1966 e del 1981.
Nel 1474, vicino a Castel Firmiano presso Bolzano, l’Adige in piena – chiamato nel documento «wasszer Etsch» – aveva inondato e distrutto le vie di passaggio, al che i duchi d’Austria misero in atto misure di ripristino delle comunicazioni viarie.[6]
Nel 1858 il corso del fiume fu deviato dal centro della città di Trento con uno spostamento del corso verso ovest: si trattò di rettificare il percorso che invece in origine faceva un’ansa verso est, fin quasi sotto alle mura del castello del Buonconsiglio. Tale operazione, che nei progetti doveva servire ad evitare inondazioni e piene nel centro della città, di fatto trasformò profondamente la zona del tracciato originale.
Nel settembre 1882 il fiume ruppe gli argini in nove punti a Bolzano e a San Michele all’Adige, e inondò la parte nord della città di Trento; la piena provocò anche un’alluvione a Verona e un’alluvione in Polesine. Proprio per salvare la città di Verona da possibili inondazioni, nella prima metà del XX secolo fu progettato, costruito e completato nel 1959 un tunnel scolmatore (Galleria Adige-Garda) che congiunge l’Adige in località Mori con il lago di Garda in località Nago-Torbole e che è in grado di convogliare le acque in eccesso dal fiume al lago. A causa della notevole differenza di temperatura e qualità delle acque, si fece ricorso al travaso delle acque molto raramente, soltanto quando strettamente necessario. Il tunnel venne usato infatti soltanto 13 volte tra il 1960 e il 2023: nel 1960, 1965, 1966 (due volte), 1976, 1980, 1981, 1983, 2000, 2002, 2018, 2022 e 2023. L’utilizzo dello scolmatore deve essere coordinato con il livello del lago di Garda e del fiume Mincio per evitare problemi.
Nel novembre 1966 la città di Trento conobbe la più grande alluvione della sua storia: buona parte della città e circa 5.000 ettari di campagna furono sommersi da circa due metri d’acqua. In seguito all’alluvione, gli argini vennero alzati di circa un metro. Nel luglio 1981 gli argini cedettero nei pressi di Salorno che fu sommersa assieme alle campagne circostanti.
Nel 2019 la portata massima che può transitare nel fiume era pari a 2.500 m³/s ed era corrispondente a un tempo di ritorno di 200 anni.
Nel corso del medioevo l’Adige fu anche teatro di importanti azioni militari, come nel 1439, quando le flotte congiunte dei Visconti e dei Gonzaga, allora in guerra contro Venezia, riuscirono a risalire il fiume e prima assediarono Legnago e poi gettarono un ponte di barche fortificato a valle di Verona per bloccare i rifornimenti alla città, mentre nel 1487, sempre lungo l’Adige, a Calliano i veneziani furono sconfitti dall’esercito del duca Sigismondo d’Austria[7].
Informazioni e curiosità sul fiume Adige
Lungo le rive del fiume, sfruttando le strade degli argini, si sviluppa la ciclopista della valle dell’Adige, una delle più lunghe presenti in Italia, che unisce la provincia di Verona con quella di Bolzano.
Ogni anno nel mese di ottobre nel tratto compreso tra Borghetto (TN) e Pescantina (VR) si svolge l’Adige marathon, una gara canoistica sia a livello agonistico che amatoriale.
La Rivista Pan
La Rivista Pan(sottotitolo: «Rassegna di lettere, arte e musica») fu una rivista di lettere, arte e musica, fondata da Ugo Ojetti nel 1933.
La rivista PAN professava un sollecito ossequio a tutte le forme del regime, condivideva gli obiettivi di grandezza nazionale e di ordine nuovo da instaurare nella società italiana e dava il suo pieno consenso ai miti della civiltà latino-mediterranea e del fascismo universale.
Redatta da Giuseppe De Robertis e dal giovane scrittore Guido Piovene per la milanese Rizzoli, Pan, rispetto alla rivista Pegaso che l’aveva preceduta, allarga gli orizzonti a interessi più ampi, spaziando dalla letteratura greca e latina, alla storia, alle arti figurative, secondo un ideale di Humanitas completamente antinovecentesco e filofascista che venne espresso nel numero del gennaio 1934 nell’Avvertenza al lettore.
L’allineamento al regime di Pan passa dai contributi dell’architetto ufficiale del regime Marcello Piacentini e del compositore Ildebrando Pizzetti, alle adulazioni di Ojetti che nel suo articolo Scritti e discorsi di Benito Mussolini, febbraio 1935, ne esalta l’oratoria e altre virtù.
Per quanto riguarda la musica classicistica e antiavanguardista, Mario Labroca esalta la “ricchezza ritmica, chiarezza, logicità di linguaggio” dello stile musicale di Stravinskij.
A parte le specializzazioni differenti, le due riviste di Ojetti sono sostanzialmente simili. Pan terminerà le pubblicazioni nel 1935.
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Stoccolma 22 ottobre 1964 – L’Accademia di Stoccolma conferisce a Jean-Paul Sartre il Nobel per la letteratura allo scrittore e filosofo francese Jean Paul Sartre. Ma questi rifiuta il riconoscimento. Come aveva già spiegato in occasione del conferimento della Legione d’Onore nel 1945, e dell’attribuzione del seggio al Collegio di Francia, egli ritiene che tali onori alienino la sua libertà di pensiero.
Jean-Paul Sartre:”Le ragioni personali sono le seguenti: il mio rifiuto non è un atto di improvvisazione. Ho sempre declinato gli onori ufficiali. Quando nel dopoguerra, nel 1945, mi è stata proposta la Legione d’Onore, ho rifiutato malgrado avessi degli amici al governo. Ugualmente non ho mai desiderato entrare al Collège de France come mi è stato suggerito da qualche amico…. Non è la stessa cosa se mi firmo Jean Paul Sartre o Jean Paul Sartre Premio Nobel… Lo scrittore deve rifiutare di lasciarsi trasformare in istituzione, anche se questo avviene nelle forme più onorevoli, come in questo caso.”
Jean-Paul Sartre
Breve Biografia di Jean-Paul Sartre-Romanziere, drammaturgo e filosofo francese (Parigi 1905 – ivi 1980).Pensatore tra i più significativi del Novecento, la sua filosofia si riallaccia alla fenomenologia di E. Husserl e all’analitica esistenziale di M. Heidegger. Abbracciato poi il marxismo, S. volle integrarlo con le scienze umane, al fine di fondare un metodo di conoscenza “progressivo-regressivo”, capace di ricostruire la formazione globale degli individui. Egli cercò altresì di cogliere le condizioni e le strutture invarianti della dialettica storica. Vasta la sua produzione filosofico-letteraria: tra le sue opere principali meritano di essere citate Le mur (1939; trad. it. 1947); Les mouches (1943); L’existentialisme est un humanisme (1946; trad. it. 1964).
Jean-Paul Sartre
Vita
Dopo gli studî all’École normale supérieure, dove ebbe condiscepoli P. Nizan e R. Aron e conobbe S. de Beauvoir, cui fu legato per tutta la vita, insegnò filosofia nei licei a Le Havre e a Parigi. Nel 1933-34 usufruì di una borsa di studio presso l’Istituto francese di Berlino. Chiamato alle armi (1939), fu fatto prigioniero dai Tedeschi; liberato nel 1941, tornò a Parigi e partecipò alla Resistenza. Nel 1945 fondò la rivista Les temps modernes, attraverso la quale poté diffondere le sue posizioni filosofiche, politiche e letterarie. Dopo l’esperienza (1948-49) nel Rassemblement démocratique révolutionnaire, critico verso il gaullismo come verso lo stalinismo, si avvicinò alle posizioni della sinistra marxista, accentuando negli anni successivi il suo impegno politico, che, apparso oscillante tra marxismo democratico e comunismo sovietico, gli procurò sia le critiche dei comunisti sia quelle degli anticomunisti (clamorosa la rottura, nel 1952, con A. Camus, e quella, nel 1953, con M. Merleau-Ponty). Intervenne in difesa dell’Indocina (1953), contro la repressione sovietica in Ungheria (1956), a sostegno della libertà algerina (1960), contro i crimini di guerra statunitensi nel Vietnam (nel 1967 fu presidente del Tribunale Russell), contro l’invasione della Cecoslovacchia (1968). Allineatosi durante il “maggio francese” con le posizioni della sinistra extraparlamentare, fu direttore de La cause du peuple (dal 1970), di Révolution (dal 1971) e di Libération (dal 1973). Nel 1964 aveva ottenuto il premio Nobel per la letteratura, che tuttavia rifiutò.
Jean-Paul Sartre
Pensiero e opere filosofiche
Il pensiero filosofico di S. è esposto in una serie di scritti pubblicati tra il 1936 e il 1960: L’imagination (1936; trad. it. 1962); Esquisse d’une théorie des émotions (1939); L’imaginaire (1940; trad. it. 1948); L’être et le néant (1943; trad. it. 1958); il già citato L’existentialisme est un humanisme; Critique de la raison dialectique (1960; trad. it. 1964). A partire dalla fenomenologia di Husserl e dall’esistenzialismo di Heidegger, S. perviene all’elaborazione di un’analisi esistenziale della coscienza, che gli si rivela come un “nulla d’essere”. Di qui il tema esistenzialistico dell’assoluta libertà a cui l’uomo è condannato e dell’angoscia e dello scacco a cui la libertà conduce. Il pessimismo radicale del primo periodo della speculazione sartriana sarebbe stato successivamente temperato in una prospettiva intesa a fare dell’esistenzialismo un “umanismo” in cui l’assoluta libertà, dapprima avvertita come fonte di angoscia, viene reinterpretata in termini di responsabilità etica e politica nei confronti della società e della storia. Si comprende così, almeno in parte, l’avvicinamento di S. al marxismo, anche se quello sartriano sarà sempre un marxismo non dogmatico. È soprattutto nella Critique de la raison dialectique che S., pur accettando il materialismo storico e il concetto di alienazione, elabora un’aspra critica del marxismo ufficiale e dell’ideologia dei partiti comunisti, caratterizzati da dogmatismo e sterilità euristica. In particolare, del marxismo ufficiale S. respinge l’economicismo e il materialismo dialettico, proponendo un’integrazione tra marxismo ed esistenzialismo, dalla quale emerga la centralità dell’uomo nella società e nella storia.
Jean-Paul Sartre La nausea
Opere letterarie
Strettamente legata alla speculazione filosofica è l’opera letteraria di S., a cominciare dal romanzo La nausée, pubbl. nel 1938 (trad. it. 1947), cui seguirono la già citata raccolta di novelle Le mur e il ciclo di romanzi, rimasto incompiuto, Les chemins de la liberté (L’âge de raison, 1945, trad. it. 1946; Le sursis, 1945, trad. it. 1948; La mort dans l’âme, 1949, trad. it. 1954), in cui dai temi dell’angoscia e della nausea si passa, con la tecnica cinematografica della simultaneità, al dramma generale dell’Europa della seconda guerra mondiale. Nel teatro si avvalse di un’azione breve e violenta e di un linguaggio sobrio per dibattere mediante il ricorso al mito le grandi questioni del mondo contemporaneo: la prima pièce fu la summenzionata Les mouches (1943), una trasposizione moderna dell’Orestiade. Seguirono Huis clos (1944; trad. it., col precedente, 1947), in cui l’idea che ognuno vivendo si crea il proprio inferno è espressa attraverso la figura dei tre personaggi costretti a stare insieme e ad essere ciascuno dei tre il carnefice degli altri due; La putain respectueuse (1946; trad. it. 1947), che affronta il tema del razzismo; Morts sans sépulture (1946), dramma della Resistenza; Le mains sales (1948; trad. it., col precedente, 1949), che contrappone idealismo rivoluzionario e realismo politico; Le diable et le bon Dieu (1951; trad. it. 1966); Nekrassov (1956); Les séquestrés d’Altona (1959, trad. it. 1966). Una forte tensione conoscitiva anima anche il libro autobiografico Les mots (1964; trad. it. 1964) e la ricca produzione saggistica: Réflexions sur la question juive (1946; trad. it. Ebrei, 1948); Baudelaire (1947; trad. it. 1947); Situations, I-X (1947-76), raccolta che include Qu’est-ce que la littérature? (trad. it. 1966); Saint Genet, comédien et martyr (1952; trad. it. 1972), volume introduttivo alle opere di J. Genet; L’idiot de la famille: Gustave Flaubert de 1821 à 1857 (3 voll., 1971-72; trad. it. 1977); ecc. Postumi sono apparsi, tra l’altro: Les carnets de la drôle de guerre (1983, nuova ed. accr., 1995; trad. it. 2002); Cahiers pour une morale (1983; trad. it. 1991); Lettres au Castor et à quelques autres, 1926-1963 (2 voll., 1983; trad. it. 1996), lettere d’amore; il 2º vol. incompiuto della Critique de la raison dialectique (1985; trad. it. 1990); Verité et existence (1989; trad. it. 1991); Les écrits de jeunesse (1990), raccolta di testi composti tra il 1922 e il 1927.
Maksim Gor’kij- La madre- Scritto durante la rivoluzione del 1905-1907-
Prefazione di Gian Carlo Pajetta- Introduzione di Diego Novelli-
DESCRIZIONE–
Scritto durante la rivoluzione del 1905-1907, e con riferimento alle dimostrazioni operaie del 1902 è stato a lungo il “libro” degli operai e delle loro lotte ma anche il libro dell’emancipazione di una donna semianalfabeta. La madre è un libro di memorie e come tutti i buoni libri di memorie, anch’esso incide nel vivo, dà al lettore la possibilità di familiarizzare con i personaggi, con le cose che vi sono raccontate. Condividere le pene, intrecciare un dialogo con gli uomini e con le donne che si muovono nelle sue pagine: a questo chiama il libro di Gor’kij e a questo risponde il lettore. Il quale vi trova una realtà poeticamente trasfigurata ma vera, che non ha niente a che vedere con quella mistificazione che poi fu chiamata realismo socialista. È una realtà che il lettore forse non sarebbe riuscito a scoprire e non avrebbe visto con altrettanta chiarezza se l’avesse affrontata da solo, senza la mediazione di un libro dove la poesia fa più reali le cose. Per questo il libro è ancora vivo.
L’evoluzione della protagonista, da donna succube delle violenze di un marito ubriacone a donna emancipata, fiera del figlio, combattente di primo piano per la difesa dei diritti degli sfruttati, emerge con un crescendo lungo le 380 pagine. Così come emerge l’interessante intreccio con la figura di Cristo, non considerato come Dio, ma come predicatore della giustizia e dell’amore per il prossimo. «Ama il tuo prossimo come te stesso». «Verranno i giorni felici – dice la madre diventata una attivista clandestina dei lavoratori in lotta contro le prepotenze dei padroni e dello Stato che li difende – Ci sono nemici cattivi, avidi, falsi che ci tengono prigionieri, ci legano, ci schiacciano. Contro tutto questo combattono i nostri figli, per amore di tutti, per amore della verità di Cristo».
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Breve nota sull’Autore- Maksim Gor’kij (pseudonimo di Aleksej Maksimovič Peškov), nasce a Nižnij Novgorod nel 1868 e muore a Gorkij, presso Mosca nel 1936. Le sue opere hanno avuto al centro la lotta contro la miseria, l’ignoranza e la tirannia. È considerato il padre del realismo socialista. Ha soggiornato a lungo anche in Italia a Sorrento.
Editori Riuniti-Roma-
Introduzione di Diego Novelli.
Prefazione di Gian Carlo Pajetta.
A cura di Luciana Montagnani.
Pag. 376, formato 15×21 cm., pubblicato in ottobre 2017.
Eliseo l’Armeno romanzo Storia di Vardan e compagni martiri
Eliseo l’Armeno
Descrizione-La Storia di Eliseo è un’opera poliedrica in cui convivono molteplici generi letterari. È la principale fonte storica per ricostruire gli eventi bellici del 451, che videro gli Armeni scendere in campo contro i Persiani per difendere la propria fede cristiana dalle imposizioni zoroastriane. È anche opera agiografica, che immortala il martirio di san Vardan e dei suoi compagni. È opera teologica, ricca di professioni di fede e formule cristologiche. È opera apologetica, che ci restituisce stralci delle controversie cristiane contro i zoroastriani. Ed è anche un’opera segnata da passaggi di intenso afflato lirico. Il volume fa parte dell’Opera Omnia di Eliseo. Accanto al capolavoro principale il volume contiene scritti minori, alcuni dei quali tradotti per la prima volta in una lingua occidentale, che appartengono all’esperienza monastica dell’autore, che rivestono un interesse notevole non solo per la disciplina canonica e la storia del monachesimo, ma anche per alcuni importanti passaggi teologici. Per la prima volta al mondo La Storia di Vardan e le altre opere di Eliseo sono riprodotte nel testo critico armeno con traduzione in una lingua moderna (nel nostro caso l’italiano) a fronte. Introduzione, traduzione e note di Riccardo Pane.
Irena Sendler: Eroina della Resistenza ai nazisti in Europa
Irena Sendler, nata nel 1910 e morta nel 2008, è stata una delle più grandi eroine della Resistenza ai nazisti in Europa. Donna libera, socialista, ha salvato più di 2.500 bambini ebrei durante l’occupazione tedesca della Polonia.
“La ragazza dei fiori di vetro” è la sua biografia di Tilar J. Mazzeo (Piemme) che racconta la sua straordinaria vita. Il libro è ricco di dettagli anche sulla Polonia in quegli anni. Sendler è il cognome assunto col matrimonio. Lei si chiamava Krzyzanowska, nata a Otwock , cittadina polacca abitata da moltissimi ebrei. Suo padre, medico, morì di tifo, e le locali comunità ebraiche che consideravano il dottore un loro benefattore, le offrirono le spese dell’Università.
Irena nel periodo tra le due guerre mondiali combattè l’antisemitismo che regnava nelle università polacche. Si innamorò di due uomini: il primo Mieczyslaw Sendler che sposò, il secondo Adam Celniker che amò, sposò successivamente e che venne rinchiuso nel ghetto di Varsavia perché ebreo.
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Come assistente sociale riuscì a lavorare nel ghetto relazionando ai tedeschi che temevano l’epidemia di tifo e le insurrezioni. Quando diventò palese che nel 1942 i nazisti volevano deportare l’intera popolazione del ghetto nel campo di sterminio di Treblinka, Irena decise di far uscire dal campo almeno i bambini nascondendoli in sacchi di iuta, nelle cassette di attrezzi… Non era sola in questa operazione. Oltre all’organizzazione Zegota, guidata dal socialista Jan Grobelny, personaggi di destra, cattolici, persone che con “scopo salvifico” pensavano di salvare i bambini, battezzarli, e sottrarli al “perfido giudaismo”. Fu grazie a Sendler, che annotò scrupolosamente i nomi dei piccoli che alla fine della guerra vennero restituiti alla loro identità.
Dopo la guerra divorziò dal marito e sposò Adam tornato dalla prigionia. Morto Adam nel 1961, risposò il suo primo marito Mieczyslaw. Il che è anche una risposta a chi si chiede se è possibile amare due uomini contemporaneamente e durante il corso della propria vita se si riesca a tenerli legati a sé.
Nel 1965 le fu conferita dagli israeliani la medaglia di Giusta tra le nazioni.
Irena Sendler nel 2005Irena_Sendlerowa_2005.Warschau, Bettelnde KinderIrena Sendler Scultura nella scuola di Amburgo-Germania
Roma Municipio XIII-Fotoreportage di Franco Leggeri-
“-Neve a Castel di Guido e Residenza Aurelia-“
Fotoreportage di Franco Leggeri-Neve a Castel di Guido – Residenza Aurelia 26 febb 2018
Roma Municipio XIII-Castel di Guido e Residenza Aurelia–26 febbraio 2018 – E, alla fine, anche i più prudenti sono stati smentiti e la neve è arrivata. Poco dopo l’una di questa notte i primi fiocchi di neve hanno iniziato ad imbiancare Castel di Guido e la Residenza Aurelia. La neve , per l’intera notte, ha accarezzato la Capitale. Entrata da nord, dopo aver imbiancato tutta la Provincia di Viterbo , la perturbazione nevosa ha coinvolto la nostra Città e Castel di Guido. Alleghiamo al post un fotoreportage sulla nevicata che ha interessato la Residenza Aurelia.
PIANO NEVE DEL CAMPIDOGLIO-
Scuole chiuse
Ieri pomeriggio il Comune di Roma ha emanato un’ordinanza che prevede la chiusura delle scuole: “Preso atto dell’ultimo aggiornamento delle previsioni fornite dalla Protezione Civile regionale, che confermano i rischi di neve e forti gelate, è stata firmata ordinanza sindacale che dispone la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, compresi gli asili nido, sul territorio di Roma per lunedì 26 febbraio”. Provvedimenti analoghi sono stati presi da tutti i Sindaci della Città Metropolitana , sono sospese anche le lezioni e gli esami nelle Università della Capitale.
Chiusi parchi, cimiteri e ville storiche
Una seconda ordinanza, firmata sempre dalla sindaca Raggi, è quella relativa a parchi, cimiteri e ville storiche che resteranno chiusi fino a cessata allerta.
Piano neve di Atac
Anche Atac è “in trincea”. Varato il piano neve: in servizio saranno solo le linee di bus che garantiranno gli spostamenti lungo le direttrici principali della città con vetture dotate di gomme termiche. L’intera rete metro-ferroviaria (metro A, B e C, ferrovie Termini- Centocelle, Roma-Lido e Roma-Viterbo) sarà regolarmente in servizio.
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido e Residenza Aurelia-” -ore 8:30 del 26 febb 2018
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido e Residenza Aurelia-” -ore 8:30 del 26 febb 2018-ore 9:30 del 26 febb 2018
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Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido – Residenza Aurelia -ore 8:30 del 26 febb 2018
Storia
La costruzione della via Aurelia assunse subito una grande importanza. La sottomissione dei popoli del sud est della Gallia permise di accorciare il tragitto e di conseguenza il tempo di percorrenza tra Roma e la Spagna. Grazie alla via Aurelia, Giulio Cesare giunse ad Arles partendo da Roma in otto giorni, per poi giungere in soli 27 giorni in Spagna, accompagnato dal suo esercito. Il cursus publicus, il servizio di posta romano, giungeva in Spagna percorrendo 70 chilometri al giorno, con quattro cambi di cavallo durante l’arco della giornata.
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido e Residenza Aurelia-” -ore 8:30 del 26 febb 2018-ore 9:30 del 26 febb 2018
Itinerario
Il tracciato della via romana, poi detto via Aurelia Vetus (ancora oggi via Aurelia antica), partiva dal Foro Boario oltrepassando le Mura serviane e il Tevere sul pons Sublicius, poi sostituito dal ponte Emilio (attuale ponte Rotto) e attraversava la zona paludosa di Trastevere (in parte su viadotto ancora visibile nelle cantine di via della Lungaretta), salendo quindi sul Gianicolo (via della Paglia, vicolo della Frusta, via di Porta San Pancrazio) e superando le Mura aureliane a porta Aurelia (oggi porta San Pancrazio).
A Pisa la viabilità consolare lungo la costa tirrenica si interrompeva a causa di due componenti fondamentali che ne impedivano la prosecuzione: da una parte, la presenza dell’ampia zona paludosa detta Fossae Papirianae (riportate nella Tabula Peutingeriana) nell’attuale costa della Versilia (da Migliarino Pisano fino a Luni, poco lontano dall’odierna Sarzana); dall’altra, la presenza degli scomodi e bellicosi Apuani, detti anche Liguri Montani o Sengauni.
Segmentum IV; Rappresentazione delle zone Apuane con indicate le colonie di Pisa, Lucca, Luni ed il nome “Sengauni”; il tratto Pisa-Luni non è ancora collegato
Cosicché il percorso della via Aurelia dopo Pisa andava verso Lucca, attraverso la deviazione di Corliano, Rigoli e Ripafratta (San Giuliano Terme) e, incuneandosi poi nel Forum Clodii (Garfagnana), entrava in Lunigiana attraverso la valle del Serchio (Auser) e la val d’Aulella (Audena) per ricongiungersi con la viabilità di Luni.
Il brevissimo tratto paludoso da Pisa a Luni (solo poche miglia terrestri) interruppe così la viabilità costiera fino al 56 a.C., quando Giulio Cesare ebbe la necessità impellente di sveltire i collegamenti viari in vista della conquista della Gallia. Per tale ragione strategica egli diede incarico al figlio di Marco Emilio Scauro (di nome anch’esso Marco Emilio Scauro) di costruire una sorta di “scorciatoia” che potesse collegare Pisa con Luni (Luna). Questa seguì un percorso collinare, sempre però con deviazione su Lucca, diventando quella che oggi è la strada provinciale Sarzanese, che effettivamente collega Lucca con Camaiore (Campus Major) e con Massa (Tabernae Frigidae), proseguendo infine verso Sarzana sempre con percorso collinare.
Intorno al 13 a.C. Augusto fece costruire la via Julia Augusta verso Marsiglia (antica Massalia) insieme all’edificazione del Trofeo di Augusto a La Turbie (sopra l’attuale Principato di Monaco), per celebrare la sottomissione di tutte le popolazioni alpine. A Nîmes (Colonia Augusta Nemausensis), la Julia Augusta si raccordava con la via Domizia, la più antica costruita in Gallia dai Romani, lunga circa 620 km, da Segusium (Susa) ai Pirenei.
Nei tempi successivi, mediante la riunione di ulteriori tratti di viabilità nell’entroterra ligure di levante e di ponente e con l’aggiunta di migliorie nella Sarzanese, la via Aurelia andò componendo nei secoli quel “puzzle” che è l’attuale via Aurelia da Roma fino a Ventimiglia (confine di Stato) e prosegue verso Nizza, Tolone e Marsiglia fino ad Arles, portando così la lunghezza totale del sistema Aurelia/Julia-Augusta a 962 chilometri.
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido e Residenza Aurelia-” -ore 8:30 del 26 febb 2018ore 8:30 del 26 febb 2018Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido – Residenza Aurelia -ore 8:30 del 26 febb 2018
L’itinerario in Francia
All’ingresso in Francia, prende il nome di Via Julia Augusta e copre tutta la Costa Azzurra passando per diverse stazioni. Proprio grazie ad esse è stato possibile individuare il reale percorso della Via Aurelia.
La prima stazione è quella di Cap Martin dove sono stati ritrovati i resti di un mausoleo romano. Da qui, nasce un’altra via minore che conduce a Porto d’Ercole, nel principato di Monaco. A seguire, si giunge al colle di Turbia. Qui, nel 6 a.C., il senato romano decise di costruire il Trofeo delle Alpi, per commemorare la vittoria dell’imperatore Augusto sulle popolazioni ribelli delle Alpi. Si trattava di un monumento di grandi dimensioni per l’epoca con i suoi circa 50 metri di altezza che culminavano nella statua di Augusto, posta in cima alla costruzione. Dopo l’abbandono temporaneo a causa della caduta dell’Impero Romano, fu parzialmente distrutto per essere poi utilizzato come fortezza durante il Medioevo e infine, nei primi anni del Settecento, scavato per necessità minerarie. Insieme alla costruzione, fu attuato un rafforzamento della strada che passava proprio ai piedi della collina.
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido – Residenza Aurelia -ore 8:30 del 26 febb 2018
Nel 14 a.C., Augusto scelse la città di Cemenelum, situata sulle alture dell’attuale Nizza e oggi quartiere della città nizzarda sotto il nome di Cimiez, come capoluogo dell’antica provincia romana delle Alpi Marittime. Attualmente sono presenti i resti di un sito gallo romano composto da tre terme, un quartiere abitato, un anfiteatro e una cattedrale dotata di battistero paleocristiano.
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La via attraversa il comune di La Gaude, in un tratto lungo il quale è presente un cenotafio romano contenente un’urna funebre di un legionario imperiale, Cremonius Albucus. Inoltre, la presenza di un ponte romano in pietra attesta l’interesse archeologico della Via Aurelia in questo settore. Segue poi un passaggio da Antibes, una città greca annessa nel 43 a.C. a Roma, in cui vengono costruiti un municipio, un teatro, un arco di trionfo e vari acquedotti.
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La città successiva è Forum Julii, oggi Fréjus, all’epoca abitata da più di 6000 persone ed estesa su una trentina di ettari. Fondata da Giulio Cesare nel 49 a.C., vi nacquero personalità illustri come Publio Cornelio Tacito e Gneo Giulio Agricola. Da città commerciale, divenne un porto di guerra tra i più importanti del Mediterraneo in cui si instaurarono i soldati dell’Ottava Legione. Con la diffusione del cristianesimo, divenne sede episcopale. Anche a Fréjus sono numerosi i resti della civiltà romana, tra cui acquedotti, un teatro, un anfiteatro, le terme, la porta di Gaules e un faro noto come lanterna di Augusto. La via Aurelia seguiva da qui il corso dell’Argens tracciando in parte l’attuale strada nazionale da Muy a Vidauban per arrivare a Luc. Raggiunge poi Cabasse e Brignoles, dove è situata una stazione di posta. Uno snodo chiave è quello di Tourves, punto strategico per l’esercito romano, cui segue la città di Saint-Maximin-la-Sainte-Baume che anticipa i resti del Trofeo di Mario presso Pourrières, eretto nel 102 a.C. dopo la vittoria del console Mario sui Teutoni.
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La via Aurelia arriva a Acquae Sextiae, l’attuale Aix-en-Provence, la cui storia è legata a quella dell’Oppidum di Entremont. I Romani distrussero l’oppidum nel 123 a.C. per eliminare un punto nevralgico dei Liguri. Il proconsole Sextius costruì una fortezza nei pressi di sorgenti termali e le diede il nome di “acque di Sextius”. Dalla fortezza si sviluppò un villaggio che divenne definitivamente colonia nel 15 a.C. e vide la propria economia crescere fino a permetterle di diventare capitale amministrativa della Gallia Narbonense. Nell’invasione del IV secolo, la città fu parzialmente distrutta.
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Da Aix, la strada si divide verso Marsiglia, Vitrolles, Fos e Arles.
La via Aurelia passa dal nord di Eguilles diretta verso il sud di Salon-de-Provence, sede della stazione di Pisavis. Questa stazione è oggi distrutta e le sue mura sono conservate in una proprietà privata. Da qui raggiunge Mouriès, la piana di La Crau, il mas d’Archimbaud, il mas Chabran, Le Paradou e Estoublon. Qui partiva la strada verso Arles, città gallo romana per eccellenza, che aveva un ruolo strategico e economico. Inoltre, qui si instaurò la quinta legione. L’espansione fu interrotta dalle invasioni del III secolo ma presto ripristinata quando l’imperatore Costantino I vi si stabilì. Arles era un capoluogo di provincia, prefettura delle Gallie e sede di un’importante zecca monetaria. Inoltre, è sede di numerosi monumenti di epoca romana: oltre all’anfiteatro, al teatro e al circo, vi si trovano le terme di Costantino, il foro e la necropoli di Alyscamps.
Nella località di Ernaginum è situato l’odierno sito di Saint-Gabriel sede del più grande nodo stradale tra via Aurelia, via Domizia e via d’Agrippa. Da qui, la via Aurelia confluisce nella via Domizia e si dirige in Spagna.
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Sviluppo della via Aurelia
Di seguito vengono riportati alcuni dei luoghi toccati o sfiorati dal percorso dell’antica via Aurelia (fra parentesi sono riportati i chilometri), degli avvenimenti e degli argomenti correlati.
Fotoreportage di Franco Leggeri- Roma Municipio XIII- “-Neve a Castel di Guido – Residenza Aurelia 26 febb 2018
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Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano-
Articolo scritto Antonio Panella per la Rivista PEGASO n°6 del 1933 diretta da Ugo Ojetti
Nello ROSSELLI
Biografia di Nello ROSSELLI-Storico e uomo politico (Firenze 1900 – Bagnoles de l’Orne 1937); fratello di Carlo, sentì al pari di questo l’influsso di G. Salvemini e fu deciso antifascista; svolse attività politica clandestina nel gruppo torinese di Giustizia e Libertà, subendo la prigione e il confino. Fu uno dei primi, in Italia, a indagare storicamente lo sviluppo del movimento operaio: Mazzini e Bakunin (1927); Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano (1932) e varî saggi raccolti nel volume postumo Saggi del Risorgimento ed altri scritti (1946). Un’altra opera di R., interrotta dal suo assassinio in Francia, è apparsa postuma (1954) con il titolo Inghilterra e Regno di Sardegna dal 1815 al 1847.
Biografia Sabatino Enrico Rosselli nacque a Roma il 29 novembre 1900 da un’agiata famiglia ebraica, ultimo dei tre figli del livornese Giuseppe Emanuele “Joe” Rosselli (1867-1911) e della venezianaAmelia Pincherle (1870-1954), sorella di Carlo Pincherle, architetto e pittore, oltreché padre dello scrittore Alberto Moravia. Sia la famiglia paterna che quella materna, fermamente legate agli ideali repubblicani e mazziniani, erano state politicamente attive, avendo partecipato alle vicende del Risorgimento italiano: Pellegrino Rosselli, tra l’altro zio della futura moglie di Ernesto Nathan (Sindaco di Roma dal novembre del 1907 al dicembre del 1913), fu un seguace e stretto collaboratore di Giuseppe Mazzini nei suoi ultimi anni di vita (morì difatti in clandestinità nella sua casa pisana) ed un Pincherle fu nominato ministro durante la breve esperienza della Repubblica di San Marco, instauratasi nel Triveneto a seguito d’una massiccia insurrezione anti-asburgica guidata da Daniele Manin e Niccolò Tommaseo.
Nello sposò Maria Todesco (1905-1998) nel 1926 ed ebbero quattro figli: Silvia, Paola, Aldo e Alberto.
Gli studi
Nel 1917 diresse, con l’amico Gualtiero Cividalli il mensile Noi giovani[1]. Nel 1923 discusse con Gaetano Salvemini la tesi di laurea su Mazzini e il movimento operaio dal 1861 al 1872. Tra il 1923 e il 1927 pubblicò numerosi articoli su riviste storiche italiane e il saggio Mazzini e Bakunin. Nel 1932 pubblicò il saggio Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano. La raccolta dei suoi Saggi sul Risorgimento italiano e altri scritti fu pubblicata postuma da Einaudi nel 1946.
L’attività politica
La tomba a Trespiano
Iniziò giovane a far politica nel 1917 e fu col fratello tra i fondatori del giornale per studenti “Noi giovani”. Nel 1920, col fratello e con Piero Calamandrei, e col patrocinio di Gaetano Salvemini, fondò il Circolo di Cultura, chiuso dai fascisti nel 1925. Fece parte dei fondatori del gruppo fiorentino di Italia libera, fra cui, oltre al fratello, Enrico Bocci, Luigi Rochat, Dino Vannucci, Nello Traquandi. Nel 1924 aderì alla fondazione dell’Unione nazionale delle forze liberali e democratiche promossa da Giovanni Amendola, e nel 1925 partecipò alla fondazione del primo giornale antifascista clandestino Non Mollare. Il 3 giugno 1927 venne arrestato e condannato a 5 anni di confino[2] a Ustica; rilasciato il 31 gennaio 1928[3], venne nuovamente arrestato e condannato a 5 anni di confino a Ustica e Ponza, nell’estate del 1929, dopo la fuga da Lipari del fratello.
Nel maggio 1937 ottenne, su intercessione di Gioacchino Volpe (probabilmente in buona fede)[4] il passaporto, con una sollecitudine che ad alcuni amici, tra cui Piero Calamandrei, parve sospetta e motivata dal fine di arrivare attraverso Nello al rifugio di Carlo[5], insieme al quale, il 9 giugno 1937, venne assassinato a Bagnoles-de-l’Orne da una squadra di “cagoulards”, miliziani della “Cagoule“, formazione eversiva di destra francese, su mandato, forse, dei servizi segreti fascisti e di Galeazzo Ciano; con un pretesto vengono fatti scendere dall’automobile, poi colpiti da raffiche di pistola: Carlo muore sul colpo, Nello (colpito per primo) viene finito con un’arma da taglio.[6][7]. I corpi vengono trovati due giorni dopo, l’11 giugno; i colpevoli, dopo numerosi processi, riusciranno quasi tutti ad essere prosciolti.[7]
Opere
Saggi sul Risorgimento e altri scritti, Prefazione di Gaetano Salvemini, Collana Biblioteca di cultura storica n.21, Torino, Einaudi, 1946. Introduzione di Alessandro Galante Garrone, Collana Piccola Biblioteca n.400, Einaudi, 1980.
Inghilterra e regno di Sardegna dal 1815 al 1847, a cura di Paolo Treves, introduzione di Walter Maturi, Collana Biblioteca di cultura storica n.50, Torino, Einaudi, 1954.
Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Collana Piccola Biblioteca n.89, Torino, Einaudi, 1967, ISBN978-88-06-04853-2.
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, Con un saggio di Walter Maturi, Collana Piccola Biblioteca n.313, Torino, Einaudi, 1977.
^Commissione di Firenze, ordinanza del 3.6.1927 contro Nello Rosselli (“Attività antifascista”). In: Adriano Dal Pont, Simonetta Carolini, L’Italia al confino 1926-1943. Le ordinanze di assegnazione al confino emesse dalle Commissioni provinciali dal novembre 1926 al luglio 1943, Milano 1983 (ANPPIA/La Pietra), vol. III, p. 1051
Simone Visciola, Nello Rosselli alla Scuola di storia moderna e contemporanea. La prima fase della ricerca di storia diplomatica, in Politica, valori e idealità. Carlo e Nello Rosselli maestri dell’Italia civile, a cura di Lauro Rossi, Roma, Carocci, 2003, pp. 111–122.
Simone Visciola, Nello Rosselli e i suoi “maestri”. Il rinnovamento della storiografia italiana fra le due guerre, in I Rosselli: eresia creativa eredità originale, a cura di Simone Visciola e Giuseppe Limone, Guida, Napoli, 2005, pp. 113–139.
Simone Visciola, Nello Rosselli: uno storico alla ricerca della libertà in tempi difficili. Appunti sparsi per una biografia complessiva ancora da scrivere, in I fratelli Rosselli. L’antifascismo e l’esilio, a cura di A. Giacone ed E. Vial, Prefazione di Oscar Luigi Scalfaro, Roma, Carocci, 2011, pp. 26–42.
Giuseppe Tramarollo, Nello Rosselli tra mazzinianesimo e socialismo, pp. 79–84.
Giovanni Belardelli, Nello Rosselli. Uno storico antifascista, prefazione di Norberto Bobbio, introduzione di Paolo Alatri, con un ricordo di Ezio Tagliacozzo, Passigli, Firenze, 1982, pp. 221 («Il filo rosso»).
Il carteggio di Carlo e Nello Rosselli con Carlo Silvestri (1928-1934), a cura di Gloria Gabrielli, «Storia Contemporanea», a. XXII, n. 5, ottobre 1991, pp. 875–916.
Mimmo Franzinelli, Il delitto Rosselli. 9 giugno 1937. Anatomia di un omicidio politico, Mondadori, Milano 2007.
Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano-
Articolo scritto Antonio Panella per la Rivista PEGASO n°6 del 1933
diretta da Ugo Ojetti
Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano.Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano.Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano.Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano.Nello ROSSELLI -Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano.Carlo e Nello ROSSELLI
Biografia di Nello ROSSELLI-Storico e uomo politico (Firenze 1900 – Bagnoles de l’Orne 1937); fratello di Carlo, sentì al pari di questo l’influsso di G. Salvemini e fu deciso antifascista; svolse attività politica clandestina nel gruppo torinese di Giustizia e Libertà, subendo la prigione e il confino. Fu uno dei primi, in Italia, a indagare storicamente lo sviluppo del movimento operaio: Mazzini e Bakunin (1927); Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano (1932) e varî saggi raccolti nel volume postumo Saggi del Risorgimento ed altri scritti (1946). Un’altra opera di R., interrotta dal suo assassinio in Francia, è apparsa postuma (1954) con il titolo Inghilterra e Regno di Sardegna dal 1815 al 1847.
Scritti di Nello Rosselli
Mazzini e Bakounine: 12 anni di movimento operaio in Italia (1860-1872)
F.lli Bocca, Torino 1927
Michail Bakounine, a cura di Nello Rosselli, V volume dell’Enciclopedia Italiana diretta da Gioacchino Volpe, 1930.
1930
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
F.lli Bocca, Torino 1932
Leo Ferrero, Società anonima editrice Dante Alighieri
Milano 1933
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, E. degli Orfini
Genova 1936
Saggi sul Risorgimento e altri scritti, prefazione di Gaetano Salvemini, Einaudi
Torino 1946
Inghilterra e il regno di Sardegna. Dal 1815 al 1847, a cura di Paolo Treves, introduzione di Walter Maturi
Einaudi, Torino 1954
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, [introduzione di Walter Maturi], C.M. Lerici
Milano 1958
Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), prefazione di Leo Valiani
G. Einaudi, Torino 1967
Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con un saggio di Walter Maturi
G. Einaudi, Torino 1977
Saggi sul Risorgimento, prefazione di Gaetano Salvemini, introduzione di Alessandro Galante Garrone
Einaudi, Torino 1980
Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), prefazione di Leo Valiani
Einaudi, Torino 1982
Ebraismo e italianità
Intervento di Nello Rosselli del 1924 al congresso della gioventù ebraica, tratto da “Nello Rosselli. “Uno sotto il fascismo. Lettere e scritti vari (1924-1937)” a cura di Z. Ciuffoletti, La Nuova Italia pp. 1-5.
La Nuova Italia
Informazioni tratte dal sito:
http://www.archiviorosselli.it/User.it/index.php?PAGE=Sito_it/NRosselli
Descrizione del film del regista Petr Vaclav- Il film ripercorre la vita e l’opera del prolifico compositore nato a Praga dove visse gli anni della fine dell’adolescenza durante il periodo della Guerra dei 7 anni, quello di Barry Lindon per intenderci, e che come molti altri prima e dopo di lui, scelsero la penisola come indispensabile punto di approdo per seguire il proprio sogno di una carriera dedicata alla musica e al teatro, quando la penisola era ancora, a quei tempi, il centro assoluto del mondo operistico e quindi meta obbligatoria per gli aspiranti compositori. Costretto in un primo tempo a occuparsi degli affari paterni, il mulino di famiglia, ma amante della musica, riesce a partire per Venezia all’età di 25 anni grazie all’aiuto finanziario del conte Vincent von Waldstein. Qui si perfeziona in composizione con Giovanni Battista Pescetti ma sbarca miserabilmente il lunario in attesa di un’occasione favorevole, già a quel tempo legata a contatti – per non dire «raccomandazioni», usando un bell’anacronismo – personali che si presenta sotto forma di un contratto al prestigioso Teatro San Carlo di Napoli che gli aprirà le porte di una sfolgorante carriera.
Compositore italiano, dunque, Mysliveček, visto che comporrà esclusivamente su libretti italiani, in particolare di Metastasio, in tutto una trentina di opere, e morirà poi a Roma, certamente di sifilide, oggi sepolto nella basilica di San Lorenzo in Lucina. Avendo un cognome impronunciabile per gli italiani, Mysliveček si firmava “Il Boemo”, da cui il titolo azzeccatissimo di questa coproduzione ceco-slovacco-italiana, con regia e sceneggiatura di Petr Václav, fotografia di Diego Romero, e nei ruoli principali Vojtěch Dyk (Josef Mysliveček), Barbara Ronchi (la cantante Caterina Gabrielli), Elena Radonicich (la marchesa), Philip Hahn (il giovane Mozart), Lana Vlady (Anna Fracassatti).
Va subito detto che si tratta di un film musicale di altissimo livello, come se ne sono visti pochissimi sul grande schermo, una vera e propria eccezione nel panorama cinematografico mondiale del XXI secolo, che presenta numerose scene di opere del compositore, tra cui Il Bellerofonte (Napoli 1767), L’Olimpiade (Napoli 1778), Romolo ed Ersilia (Napoli 1773 e 1779), e Il Demetrio (Pavia 1773) registrate dall’orchestra barocca di Praga Collegium 1704 diretta da Václav Luks, godibilissime dallo spettatore per l’eccellente qualità del suono e degli interpreti, tra i quali solisti di fama internazionale come Philippe Jaroussky e tanti altri. Nei confronti di Mysliveček c’è stato negli ultimi anni un tentativo di riscoperta, con la messa in scena dell’Olimpiade nel 2013 e 2014 e con un grande convegno organizzato a Praga ( vedi QUI ).
Con un procedimento che potrebbe ricordare il preludio della Traviata ma, forse, ancor di più, il romanzo breve di Lev Tolstoj, La morte di Ivan I’lič, il film comincia dalla fine, cioè dall’ultimo periodo della vita del compositore, e ripercorre a ritroso la sua vita e la sua carriera nella penisola italiana per concludersi, nelle scene finali, con il ritorno alla scena inaugurale del film, richiudendo dunque il cerchio proprio come si fa in un’opera lirica “classica”.
Il Boemo- film di Petr Vaclav
Tra le tante qualità del film, che sono davvero numerose, mi sento di elencarne alcune in particolare. Il minuzioso lavoro di ricostruzione filologica di questo biopic consente allo spettatore, italiano in particolare, forse per la prima volta, di penetrare nel mondo operistico della penisola della seconda metà del 700 e di mettere a fuoco i meccanismi che vigevano nel mondo teatrale e musicale degli Stati italiani.
Altra qualità è quella della lingua, l’italiano, in cui il film è girato nella sua quasi integralità, e scusate se è poco per un film di questo genere, italiano che viene declinato in modo direi veristico con molte sfumature di accenti, pronunce, varianti regionali, il che rende ancor più “veri” i personaggi: penso, ad esempio, alla bellissima pronuncia del protagonista che assume così, alle orecchie di chi ascolta, un colore “esotico”, o agli interventi in napoletano del re di Napoli dal forte carattere realistico perché, come si sa, a corte si parlava forse più in napoletano, all’epoca, che non in italiano.
Che dire poi delle scene musicali girate a teatro che con grande forza visiva e musicale si sforzano, e ci riescono dal mio punto di vista, a rendere palpabile l’atmosfera elettrica scatenata dalle performance degli artisti – la bravissima Barbara Ronchi che interpreta “La” Gabrielli – contrariamente a quanto accadeva, tanti anni fa, nel brutto Farinelli (1994) di Gérard Corbiau.
Nel Boemo la vita e la carriera del compositore scorrono su binari paralleli e il film non indugia a raccontare un Mysliveček più intimo, attraverso le sue numerose relazioni amorose, ad esempio, o i rapporti tesi con il suo fratello gemello, rimasto in patria, che ha ripreso gli affari del padre. Ne esce fuori un ritratto completo in cui l’uomo e l’artista, un “immigrato” (per dirla con un vocabolario attuale) dei Paesi cechi, non dimentichiamolo, sceglie la penisola come luogo definitivo di approdo perché quella è, idealmente, la sua terra promessa, la terra della musica e dell’arte. Cosa che, purtroppo, l’Italia non è più, come più volte ha ricordato il maestro Riccardo Muti in pubbliche interviste riguardo allo stato della musica in Italia, e come la distribuzione minimalista del film prevista nel Bel Paese non fa che confermare. Ma in Italia, si sa, la musica del 700, Mozart escluso, non interessa nessuno e tanto meno i teatri dell’Opera, e quindi è tanto più importante l’uscita di questo film che non deve essere riservato solo a coloro che amano questo tipo di musica e/o questo periodo specifico ma è un film per tutti e per coloro che vogliono o possono addentrarsi in questo periodo storico come, ad esempio, anche attraverso Barry Lindon di Kubrick.
Il Boemo- film di Petr Vaclav
Il film di Petr Vaclav, grazie alla precisa ricostruzione storico-filologica, ci accompagna dentro il vero spirito dell’epoca e musica, suono, voci dei cantanti e immagini si fondono in una perfetta armonia, come accade molto raramente quando si assiste a un’eccellente rappresentazione operistica dotata di un’ottima regia.
Il Boemo è un film prezioso e raro, in lingua italiana, come forse non ne sono mai stati fatti in Italia, che riporta alla luce e all’attenzione del grande pubblico un grande compositore del passato ingiustamente dimenticato e, solo per questo, andrebbe reso omaggio al regista e sceneggiatore. Inoltre, il film è servito da ottimi attori, con fotografia, scenografie, costumi di livello eccellente e grandissima attenzione estetica ai dettagli storici, il tutto condotto con rigore filologico e, trattandosi di un film musicale, con una qualità musicale e sonora eccezionale che sposa a meraviglia le scene e le immagini e inchioda letteralmente lo spettatore alla poltrona. Un film da non perdere quando uscirà nel prossimo mese di giugno nei cinema francesi.
Walter Zidarič
IL BOEMO (2022) Regia e sceneggiatura Petr Vaclav Direzione musicale Vaclav Luks, Orchestra Collegium 1704 Cantanti: Raffaella Milanesi, Simona Saturova, Emöke Barath, Sophie Harmsen, Philippe Jaroussky, Krystian Adam, Juan Sancho, Ben Schachtner, Giulia Semenzato Casting: Vojtech Dyk, Barbara Ronchi, Elena Radonicich, Lana Vlady, Alberto Cracco, Mirko Ciccariello
Fotografia: Diego Romero; costumi: Andrea Cavalletto; scenografie: Irena Hradecka, Luca Servino; trucco: Andrea McDonald; suono: Daniel Nemec, Edro Groot, Francesco Liotard.
Uscita prevista in Francia: 21 giugno 2023 Biopic storico (2h20) Coproduzione: Ceca, Italia, Slovacchia
Walter Zidarič
Walter Zidarič è professore ordinario di Letteratura e Civiltà italiana all’Università di Nantes. Ha pubblicato varie monografie, tra cui ‘L’univers dramatique d’Amilcare Ponchielli’ (Parigi 2010) e ‘Fonti e influenze italiane per libretti d’opera del ’900 e oltre’ (Lucca 2013), ha curato tutte le opere di E.L. Morselli in due volumi, ‘Tutto il teatro di Ercole Luigi Morselli’ (Roma 2017) e ‘E.L. Morselli, Opere in prosa’ (Torino 2021) ed è autore del dramma ‘Io, da qui, non me ne vado’ (2019). È anche librettista con ‘Lars Cleen: lo straniero’, per la musica di Paolo Rosato (Helsinki 2015), tratto dalla novella ‘Lontano’ di Luigi Pirandello e con ‘Orione’ (2019) tratto dall’omonimo dramma di E.L. Morselli, e ‘L’ambasciatore’ (2022) tratto dalla ‘Morte di Ivan Il’ič ‘ di Tolstoj, per la musica di Simone Fermani.
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