La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese
di Guido Samarani e di Sofia Graziani
Editori Laterza-Bari
Descrizione del libro-Se vogliamo comprendere la Cina contemporanea non possiamo prescindere dalla storia del Partito comunista cinese. Ne ha determinato le sorti e i profondi cambiamenti, trasformando in cento anni un paese rurale nella seconda potenza economica mondiale. Nel luglio del 1921, quando nacque, il Pcc aveva solo una cinquantina di membri ed era un soggetto politico marginale. Oggi conta oltre novanta milioni di iscritti e, dal 1949, è alla guida di un paese immenso e molto complesso. Con questa ambiziosa opera, che si avvale delle fonti più aggiornate, Guido Samarani e Sofia Graziani intrecciano la storia del Pcc alla storia della Repubblica popolare cinese, delineandone l’organizzazione, l’ideologia, la strategia interna e internazionale, i momenti gloriosi quanto gli eventi drammatici. Un’opera unica in Italia.
Gli Autori
Guido Samarani
Guido Samarani è stato professore di Storia ed istituzioni dell’Asia presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, dove è attualmente Senior Researcher. Tra le sue pubblicazioni: La Cina di Mao, l’Italia e l’Europa negli anni della Guerra fredda (a cura di, con C. Meneguzzi Rostagni, Il Mulino 2014); La Cina contemporanea. Dalla fine dell’Impero a oggi (Einaudi 2017); La rivoluzione in cammino. La Cina della Lunga Marcia (Edizioni Salerno 2018); La Cina nella storia globale. Percorsi e tendenze (a cura di, Guerini e Associati 2019); Mao. Il grande timoniere e la Cina moderna (la Repubblica 2020). Per Laterza ha pubblicato, insieme a Sofia Graziani, La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese (2023).
Sofia Graziani è docente di Storia e lingua cinese presso l’Università di Trento.Tra le sue pubblicazioni, Il Partito e i giovani. Storia della Lega giovanile comunista in Cina (Cafoscarina 2013) e Roads to Reconciliation: People’s Republic of China, Western Europe and Italy during the Cold War Period (1949-1971) (a cura di, con G. Samarani e C. Meneguzzi Rostagni, Edizioni Ca’ Foscari 2018). Per Laterza ha pubblicato, insieme a Guido Samarani, La Cina rossa. Storia del Partito comunista cinese (2023).
Edizione: 2023 Pagine: 312 Collana: Storia e Società ISBN carta: 9788858150962 ISBN digitale: 9788858152348 Argomenti: Storia contemporanea, Storia dei paesi extraeuropei
-Gli ARCHI COMMEMORATIVI E TRIONFALI DELLE COLONIE ROMANE.
Copia anastatica dell’Articolo dalla Rivista EMPORIUM n° mese di maggio 1908
Un arco trionfale, o arco di trionfo, è una costruzione con la forma di una monumentale porta ad arco, solitamente costruita per celebrare una vittoria in guerra, in auge presso le culture antiche. Questa tradizione nasce nell’Antica Roma, e molti archi costruiti in età imperiale possono essere ammirati ancora oggi nella “città eterna“.
Alcuni archi trionfali erano realizzati in pietra, a Roma in marmo o travertino, ed erano dunque destinati ad essere permanenti. In altri casi venivano eretti archi temporanei, costruiti per essere utilizzati durante celebrazioni e parate e poi smontati. In genere solo gli archi eretti a Roma vengono definiti “trionfali” in quanto solo nell’Urbe venivano celebrati i trionfi e onorato l’ingresso del vincitore. Gli archi eretti altrove sono generalmente definiti “onorari” e avevano la funzione di celebrare nuove opere pubbliche. Originariamente gli archi erano semplici e avevano una sola apertura (fòrnice), nell’età tardoimperiale si arricchirono con fòrnici laterali e rilievi scultorei decorativi. Sulla sommità, detta attico, erano poste statue e quadrighe guidate dall’imperatore. L’età augustea inaugurò una tipologia grandiosa dell’arco di trionfo; era arricchito con rilievi in marmo o in bronzo che raccontavano le imprese di guerra dell’imperatore.
La costruzione degli archi romani assunse man mano, un ruolo pressoché simbolico. Essi infatti si rifanno alle porte monumentali, allineate alle mura della città, ma da esse si differiscono non tanto strutturalmente, ma, appunto, simbolicamente. Essi sono, infatti, dedicati a grandi imprese compiute da imperatori, generali, quali guerre, conquiste o anche alla semplice edificazione di infrastrutture come ponti e strade. Altro elemento di grande importanza, e quindi da sottolineare, è la circostanza che la monumentalità sia data dalla sovrapposizione di due elementi strutturali: la volta ed il trilite (due colonne che sorreggono un architrave). Di questi due, solo la volta è l’elemento portante: il peso dell’intera struttura è scaricato solamente su di esso e non sulla struttura trilitica.
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Filippo Lippi : “La Madonna con Bambino e Angeli” – 1465 – Galleria agli Uffizi – Firenze –
Antonella Quintavalle :Uno scandalo in convento…
Intorno al 1456 Filippo Lippi, famoso frate pittore fiorentino, maestro del Botticelli, ormai cinquantenne e Cappellano del Convento di Santa Margherita di Prato, venne incaricato di realizzare una pala raffigurante “La Madonna che dà la cintola a San Tommaso”.
Per dipingere il volto di Santa Margherita, Lippi chiese alla Badessa una suora come modella.
La scelta cadde sulla bellissima Lucrezia Buti, all’epoca appena ventenne. L’artista, da sempre amante delle donne, dal carattere gioviale ed esuberante entrò presto in confidenza con la ragazza, la quale gli rivelò di essere profondamente infelice: era stata costretta a farsi monaca a causa della povertà della famiglia d’origine.
Incuranti della grande differenza d’età e del loro stato monacale, i due si innamorarono e il Maestro escogitò un finto rapimento portandola a vivere presso la propria casa.
Al fatto seguirono grande scandalo e disonore: la famiglia d’origine esercitò grandi pressioni, ma Lucrezia rimase a vivere con il Maestro da cui ebbe due figli: Filippino, nato pochi mesi dopo la fuga dal monastero e Alessandra.
E, nonostante la loro relazione fosse profondamente osteggiata dalla Curia, Lucrezia continuò a essere la musa ispiratrice di Filippo Lippi.
Tra le opere più ammirate ricordiamo la “Madonna col Bambino e Angeli” esposta agli Uffizi, dove l’incantevole profilo e l’azzurro quasi trasparente dello sguardo, possono essere considerati un tributo dell’artista alla straordinaria bellezza della compagna, mentre nell’angelo in basso a destra si riconosce il volto del figlio Filippino.
Tempo dopo, grazie all’intervento di Cosimo de’ Medici legato all’artista da una profonda amicizia, la coppia ottenne da Papa Pio II la dispensa dai voti ecclesiastici e la possibilità di sposarsi, regolarizzando la loro convivenza agli occhi della società.
Ma, precursori dei tempi e incuranti delle male lingue, Filippo e Lucrezia rimasero sempre una famiglia di fatto: infatti non si sposarono mai per l’insofferenza del Maestro verso gli obblighi e le convenzioni di ogni genere e,
malgrado avesse una famiglia sulle spalle, Filippo Lippi non cambiò mai il suo stile di vita di scapestrato
Morì, nel 1469, lasciando Lucrezia da sola con i figli e molti debiti.
Per fortuna, il giovane Filippino si rese subito indipendente economicamente, grazie all’ arte che gli aveva inculcato il padre che lo fece diventare, a sua volta, il grande pittore che oggi tutti conoscono ed ammirano.
Lucrezia trascorse la sua vecchiaia in una casa compratala dal figlio, proprio di fronte al Convento di Santa Margherita.
Quel monastero dove la sua vita cambiò radicalmente a causa di uno scandalo che la proiettoò, per sempre, nella storia della pittura lasciando le indelebili tracce della sua soave bellezza.
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Filippo Lippi : “La Madonna con Bambino e Angeli”Filippo Lippi : “La Madonna con Bambino e Angeli”
Poesie di Achmatova Andreevna Anna- Poetessa russa
Achmatova Andreevna Anna
Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), è stata una poeta russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
È flebile la mia voce
È flebile la mia voce, ma non s’affievolisce la volontà.
Sono perfino alleggerita senza amore.
È alto il cielo, spira un vento montano,
e sono casti i miei pensieri.
L’insonnia-infermiera è andata da altri, non languisco sulla grigia cenere,
e la lancetta curva sull’ orologio della torre non mi pare una stele mortale.
Così il passato perde potere sul cuore.
La liberazione è vicina. Io perdono tutto,
seguendo il raggio che di corsa sale e scende sull’umida edera di primavera.
note: (1912) traduzione di Paolo Galvagni
Achmatova Andreevna Anna
A molti
Io sono la vostra voce, il calore del vostro fiato,
il riflesso del vostro volto,
i vani palpiti di vane ali…
fa lo stesso, sino alla fine io sto con voi.
Ecco perché amate così cúpidi
me, nel mio peccato e nel mio male,
perché affidaste a me ciecamente
il migliore dei vostri figli;
perché nemmeno chiedeste di lui,
mai, e la mia casa vuota per sempre
velaste di fumose lodi.
E dicono: non ci si può fondere più strettamente,
non si può amare più perdutamente…
Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo,
come vuole la carne separarsi dall’anima,
così io adesso voglio essere scordata.
da “Anno Domini” (1922)
Achmatova Andreevna Anna
C’è nell’intimità degli uomini un confine-
C’è nell’intimità degli uomini un confine
che né l’amore, né la passione possono osare:
le labbra si fondono nel terribile silenzio
e il cuore si spezza per amore.
Anche l’amicizia qui è impotente, e gli anni
pieni di felicità alta infiammata,
quando l’anima è libera e distratta
dal lento languore della voluttà.
Pazzo è colui che vi si appresta,
raggiungerlo è morire d’angoscia…
Ora puoi capire perché non batte
il mio cuore sotto la tua mano.
San Pietroburgo, maggio 1915, tratta da ” Stormo Bianco”
Achmatova Andreevna Anna
Ultimo brindisi
Bevo a una casa distrutta,
alla mia vita sciagurata,
a solitudini vissute in due
e bevo anche a te:
all’inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non ci ha salvato.
traduzione di Michele Colucci tratta da “Il giunco” (1934)
La musa
Quando la notte attendo il suo arrivo,
la vita sembra sia appesa a un filo.
Che cosa sono onori, libertà, giovinezza
di fronte all’ospite dolce
col flauto nella mano? Ed ecco è entrata.
Levato il velo, mi guarda attentamente.
Le chiedo: “Dettasti a Dante tu
le pagine dell’Inferno?” Risponde: “Io”.
Il salice
Io crebbi in un silenzio arabescato,
in un’ariosa stanza del nuovo secolo.
Non mi era cara la voce dell’uomo
ma comprendevo quella del vento.
Amavo la lappola e l’ortica,
e più di ogni altro un salice d’argento.
Riconoscente, lui visse con me
la vita intera, alitando di sogni
con i rami piangenti la mia insonnia.
Strana cosa, ora gli sopravvivo.
Lì sporge il ceppo, e con voci estranee
parlano di qualcosa gli altri salici
sotto quel cielo, sotto il nostro cielo.
Io taccio….come se fosse morto un fratello.
Tratta da “Il salice” (1940)
Notte del ventuno. Lunedì.
Notte del ventuno. Lunedì.
La città è immersa nel buio.
Un qualche burlone ha scritto
che c’è amore sulla terra.
E per pigrizia o per tristezza
tutti ci hanno creduto. E così vivono:
anelano incontri, temono i distacchi,
cantano amorose canzoni.
Ma diverso si rivela il mistero
e il silenzio calerà su ognuno…
Anch’io mi ci sono imbattuta per caso
e d’allora sono sempre come ammalata.
Achmatova Andreevna Anna
tratta da “Requiem”
Non ho chiuso le tendine
Non ho chiuso le tendine,
guarda dritto nella stanza.
Perché non puoi fuggire
oggi sono così allegra.
Dimmi pure svergognata,
scagliami i tuoi sarcasmi:
sono stata la tua insonnia,
la tua angoscia sono stata.
(1916)
Ogni giorno
Ogni giorno reca con sé
un’ora torbida e tesa.
Parlo con la mia pena a voce alta,
senza aprire gli occhi assonnati.
Ed essa batte come il sangue,
riscalda come il respiro,
come l’amore felice
è giudiziosa e cattiva.
da “La corsa del tempo”, (1917)
Nè mistero nè dolore
Né mistero né dolore
né volontà sapiente del destino:
sempre quell’incontrarci ci lasciava
l’impressione di una lotta.
Ed io, indovinato dal mattino
l’attimo del tuo arrivo,
percepivo nei palmi socchiusi
il morso leggero di un tremito.
Con dita arse sgualcivo
la variopinta tovaglia del tavolo…
Capivo fin da allora
quanto è angusta questa terra.
C’è in me un ricordo
C’è in me un ricordo come un sasso
che biancheggia nel fondo del pozzo.
Né più voglio e non posso lottare:
quel sasso è il dolore,
quel sasso è l’amore.
Se guardi da vicino i miei occhi
subito lo scorgi: ti fai grave e pensoso
come per un triste racconto.
Sento che gli dei han mutato
gli uomini in cose, senza uccidere
la loro imprevidenza, affinché vivano
eterni stupendi dolori. Tu sei diventato
il mio ricordo.
Strinsi le mani sotto il velo oscuro
Strinsi le mani sotto il velo oscuro…
“Perché oggi sei pallida?”
Perché d’agra tristezza
l’ho abbeverato sino ad ubriacarlo.
Come dimenticare? Uscì vacillando,
sulla bocca una smorfia di dolore…
Corsi senza sfiorare la ringhiera,
corsi dietro di lui sino al portone.
Soffocando, gridai: “E’ stato tutto
uno scherzo. Muoio se te ne vai”.
Lui sorrise calmo, crudele
e mi disse: “Non startene al vento”.
da “Sera” (1911)
La corsa del tempo
Ogni giorno reca con sé
un’ora torbida e tesa.
Parlo con la mia pena a voce alta,
senza aprire gli occhi assonnati.
Ed essa batte come il sangue,
riscalda come il respiro,
come l’amore felice
è giudiziosa e cattiva.
Achmatova Andreevna Anna
“La corsa del tempo” (1917)
Ah, tu pensavi che anch’io fossi una
Ah, tu pensavi che anch’io fossi una
che si possa dimenticare
e che si butti, pregando e piangendo,
sotto gli zoccoli di un baio.
O prenda a chiedere alle maghe
radichette nell’acqua incantata,
e ti invii il regalo terribile
di un fazzoletto odoroso e fatale.
Sii maledetto. Non sfiorerò con gemiti
o sguardi l’anima dannata,
ma ti giuro sul paradiso,
sull’icona miracolosa
e sull’ebbrezza delle nostre notti ardenti:
mai più tornerò da te.
“Anno domini” (1921)
Non è il tuo amore
Non è il tuo amore che domando.
Si trova adesso in un luogo conveniente.
Stanne pur certo, lettere gelose
non scriverò alla tua fidanzata.
Però accetta dei saggi consigli:
dalle da leggere i miei versi,
dalle da custodire i miei ritratti,
sono così cortesi i fidanzati!
E conta più per queste scioccherelle
assaporare a fondo una vittoria
che luminose parole di amicizia,
e il ricordo dei primi, dolci giorni…
Ma allorché con la diletta amica
avrai vissuto spiccioli di gioia
e all’anima già sazia d’improvviso
tutto parrà un peso,
non accostarti alla mia notte trionfale.
Non ti conosco.
E in cosa potrei esserti d’aiuto?
Dalla felicità io non guarisco.
traduzione di Michele Colucci
Le rose di Modigliani
Non berremo dallo stesso bicchiere
l’acqua o il dolce vino,
al mattino non ci daremo baci,
e a sera non guarderemo dalla finestra.
Tu il sole respiri,
io la luna,
ma siamo vivi dello stesso amore.
Con te è sempre la tua gaia compagna,
con me il fedele,
mio tenero amico,
ma vedo lo sgomento di grigi occhi,
e del mio male sei colpevole tu.
Lasciamo radi i nostri brevi incontri.
Così ci è serbata la pace dalla sorte.
La tua voce soltanto canta nei miei versi,
in quelli tuoi spira il mio respiro.
Oh, esiste un fuoco che non osa
toccare né oblio né paura…
e se sapessi come mi son care
ora le tue rosse, aride labbra.
Achmatova Andreevna Anna
Le rose di Modigliani / Anna Achmatova ; a cura di Eridano Bazzarelli. – Milano : Il saggiatore, 1982.
Anna Andreevna Achmatova, pseudonimo di Anna Andreevna Gorenko (Bol’soj Fontan, 23 giugno 1889 – Mosca, 5 marzo 1966), è stata una poeta russa; non amava l’appellativo di poetessa, perciò preferiva farsi definire poeta, al maschile.
Descrizione del libro di Giada Cipollone- “Corpi a fuoco” esplora il rapporto tra fotografia, arti performative e femminismo nell’Italia degli anni settanta. Una zona di intersezione in cui la fotografia avanza oltre l’obiettivo della documentazione e si interroga non tanto come mezzo di produzione, ma come pratica di relazione, poetica e politica, in cui la performance non interviene solo come un oggetto da documentare (fotografia di teatro) o come uno stile per fare immagine (fotografia “teatrale”), ma anche come una strategia di discussione e sovversione della norma rappresentativa, un antidoto alla stabilità dell’immagine fotografica. La triangolazione tra fotografia, performance e femminismo accelera la messa a fuoco dei corpi come materie espressive con cui ripensare le modalità tradizionali della rappresentazione e dell’azione artistica. Il libro attraversa gli archivi, le memorie e le pratiche di Lucia Poli, Marcella Campagnano, Agnese De Donato, Lina Mangiacapre, Carla Cerati, Monica Gazzo e Silvia Lelli, mappando una comune ricerca che ha sfidato le convenzioni e immaginato nuovi modi di intendere la fotografia in relazione alla performance.
Chi è Giada Cipollone
Giada Cipollone
Giada Cipollone è ricercatrice a tempo determinato all’Università Iuav di Venezia. È stata assegnista di ricerca e docente a contratto all’Università di Pavia, dove ha conseguito il titolo di dottore di ricerca nel 2019. Fa parte dei gruppi di ricerca del progetto ERC “INCOMMON. In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979)”, diretto da Annalisa Sacchi; del centro studi “Self Media Lab. Scritture, performance e tecnologie del Sé”, fondato e diretto da Federica Villa; dell’unità di ricerca “PerLa. Performance Epistemologies Research Lab”. Nel 2022 ha ottenuto il “Seal of excellence” nell’ambito del programma “Horizon Europe Marie Skłodowska-Curie Actions”.
Corpi a fuoco, Giada Cipollone
Marsilio, 2024
pag. 176, 17 €
ISBN 9788829790104
Ci sono importanti celebrazioni a Milano e in Lombardia per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, il grande scrittore che segnò un’epoca della nostra storia letteraria (Alessandro Manzoni è morto il 22 maggio 1873). Con I Promessi Sposi, è infatti colui che ha portato nelle nostre lettere il romanzo storico in auge in Europa nell’Ottocento e lo ha reso letteratura popolare e non solo destinata alle elite.
Articolo di Carmelina Sicari –Il rigore con cui Manzoni si preparò a questa impresa è noto, per una serie di saggi paralleli tra cui La storia dellacolonna infame, nota anche la cura linguistica che lo ha portato a redigere ben tre edizioni dei Promessi Sposi con la cosiddetta edizione ventisettana, del 27 appunto, che è fondamentale per comprendere il lento evolversi del testo finale.
Ma il piano della storia intesa alla maniera romantica come l’angelus novus secondo l’espressione di Benjamin che animava le lettere, è minacciato da ben tre insidie: Clio, la musa della storia cadeva nell’eccesso di erudizione, Talia, musa della satira, dettava talora un’ironia incontenibile e stridente ed Euterpe, musa della morale, un moralismo gravoso. Russo appunto ricorre lui, che è tra i lettori più autorevoli del Manzoni, alla metafora delle tre muse.
Ma c’ è un’altra insidia che germina all’interno dell’opera, la Provvidenza. Se l’erudizione dilata lo spazio delle grida in modo spropositato all’inizio del romanzo, elementi di profonda riflessione attraverso le cronache sui fatti di Milano e sulla peste si trovano nel cuore dell’opera e contribuiscono notevolmente all’intelligenza degli avvenimenti. Così la cronaca del Ripamonti (La peste di Milano del 1630), l’accenno alle relazioni del Settala. Ed è altrettanto vero che il moralismo deturpa talora la narrazione con interventi ingiustificati e così l’ironia. Ma da questi vizi lo scrittore trae alimento per pagine sublimi.
La descrizione della peste è tra le più alte pagine della letteratura mondiale con la figurazione dei monatti ma anche con l’intensità drammatica della narrazione e l’ironia suggerisce la figurazione immortale del sentimento del contrario in don Abbondio, eroe della paura. Il coraggio uno non se lo può dare, obietta al cardinale che gli parla da eroe del coraggio con una frase che resta immortale.
Ci sono pagine dettate dalla presenza della provvidenza che ispira pietà che è il fondamento dell’umanità. Le pagine del perdono che hanno come protagonista padre Cristoforo hanno una profonda epicità mentre quelle di Cecilia sono dominate da un intenso tono elegiaco. L’uomo vecchio duella nella scena del perdono con il nuovo ma è destinato a soccombere. L’orgoglio, lo spirito dominante del tempo, viene vinto dal senso profondo di umiltà. La solennità nel brano della madre di Cecilia (cap. XXXIV), dall’incipit Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci…. ci dice l’elemento di profonda pietà elemento virgiliano del pianto delle cose.
Il piano della storia dunque inficiato e corroso da moralismo, ironia e erudizione, tuttavia si apre ad effetti artistici altissimi. La provvidenza, ossia l’intervento dell’alto nelle vicende terrene sembra comprometterne l’autonomia ma anche qui si aprono sprazzi di grande potenza narrativa come il canto dell’anima che è l’addio ai monti (cap. VIII) o la notte dell’innominato (cap. XXI) con una profondità drammatica che giunge ad altezze tragiche. Lucia costretta ad abbandonare quanto le è caro, effonde in espressioni liriche altissime il suo pianto. L’innominato, roso dal sentimento profondo di colpa, passa in rassegna la sua vita disperatamente e poi il popolo rivisitato in senso cristiano della storia non è quello romantico, ha subito una metamorfosi profonda Nel rapporto umili-potenti, questi ultimi vengono giudicati a seconda di come si comportano con i primi.
Certo lo scrittore fu oggetto, come Napoleone, l’eroe del 5 Maggio, di immensa invidia e di pietà profonda, di sconfinato amore e di altrettanto astio. L’irrisione carducciana è pari all’accusa di paternalismo di Gramsci o a quella di aridità di Moravia. Carducci beffeggia il manzonismo degli stenterelli. Gramsci trancia implacabile un giudizio di moralismo ne I quaderni dal carcere e Moravia titola il romanzo I Promessi sposi: “Il romanzo d’amore senza amore”.
Ancor oggi ci sono ammiratori e detrattori ma il genio di Manzoni resta incontrastato. Niente può scalfire la gloria del romanziere se all’anniversario della sua morte, lo stesso Presidente della Repubblica interviene
La sua fu vera gloria.
Alessandro Manzoni
Carmelina Sicari
Autrice dell’Articolo-Carmelina Sicari è stata Dirigente Scolastico del Liceo Classico di Melito Porto Salvo e dell’Istituto Magistrale di Reggio Calabria. Si occupa da tempo di letteratura contemporanea e di semiotica con opere su Pirandello e sull’Ariosto. Ha collaborato a molte riviste letterarie tra cui Studium, Persona, Dialoghi… Ha all’attivo numerose pubblicazioni su La canzone d’Aspromonte, Leopardi e il Novecento letterario. Continua a sostenere nel presente il Movimento culturale Nuovo Umanesimo di Reggio Calabria di cui è stata ideatrice.
Roma in scena alla Sala Umberto Concita De Gregorio –
Un’ultima cosa-Cinque invettive, sette donne e un funerale-
Il femminile e la sua potenza di fuoco in scena alla Sala Umberto. La sua bellezza, la sua forza, la sua luce. Con cinque donne al centro della scena – Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi – che prendono parola per l’ultima volta. E dicono di sé, senza diritto di replica.
Mi sono appassionata alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento.
Donne spesso rimaste in ombra o all’ombra di qualcuno. Ho studiato il loro lessico sino a “sentire” la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlare con loro. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente, non conosco altro modo. A queste cinque donne è dedicata un’orazione funebre, immaginando che siano loro stesse a parlare ai propri funerali per raccontare chi sono e chi sono sempre state. Invettive, perché le parole e le intenzioni sono veementi e risarcitorie.
Ho usato per comporre i testi soltanto le loro parole – parole che hanno effettivamente pronunciato o scritto in vita – e in qualche raro caso parole che altri, chi le ha amate o odiate, hanno scritto di loro. Concita De Gregorio
Da controcanto ai racconti, le ninne nanne e i canti interpretati dal vivo dalla cantautrice pugliese Erica Mou, sul palco insieme a Concita. Lo spazio scenico, ideato e curato da Vincent Longuemare, è un gioco di geometrie di quadri luminosi, punti di contatto tra la potenza delle parole di Concita De Gregorio e la voce pura e arcaica di Erica Mou. È così che Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi entrano in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta da dire un’ultima cosa”.
Informazioni, orari e prezzi
SALA UMBERTO
Via della Mercede, 50, 00187 Roma – prenotazioni@salaumberto.com
Biglietti da 25€ a 18€
Merc. 9 Ottobre h 20.30 – Giov. 10 Ottobre h 20.30
Ven. 11 Ottobre h 21 – Sab. 12 Ottobre h 21
Dom. 13 Ottobre h 17
Durata 50 min senza intervallo
Guido Harari -Remain in light- 50 anni di fotografie e incontri
Editore Rizzoli Lizard
Descrizione del libro di Guido Harari -Rita Levi-Montalcini, Patti Smith, David Bowie, Umberto Eco, Vasco Rossi… L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, perché queste sono solo alcune delle persone che Guido Harari ha ritratto in ben cinquant’anni di carriera, mezzo secolo che viene ora celebrato con questo prezioso volume di oltre quattrocento pagine. Una incredibile galleria di storie e immagini raccolte in un libro che è un vero e proprio condensato del talento, della visionarietà e dell’inguaribile curiosità che permeano tutti i lavori di Harari. Dopo “Una goccia di splendore”, dedicato alla memoria fotografica di De André, un altro appuntamento con uno dei più grandi maestri internazionali del ritratto.
Biografia di Guido Harari
Guido Harari (Il Cairo, 28 dicembre1952) è un fotografo e critico musicaleitaliano.Nei primi anni settanta ha avviato la duplice professione di fotografo e di giornalista musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia e collaborando con riviste come Ciao 2001, Giovani, Gong e Rockstar. Dagli anni novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale e la grafica dei volumi da lui curati. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto.
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.
Di Fabrizio De André Harari è stato uno dei fotografi personali, con una collaborazione ventennale che include la copertina del disco In concerto, tratto dalla leggendaria tournée dell’artista genovese con la PFM nel 1979. Sul cantautore genovese Harari ha realizzato quattro fortunati volumi: E poi, il futuro (Mondadori 2001, con nota introduttiva di Fernanda Pivano), Una goccia di splendore (Rizzoli 2007, con nota introduttiva di Beppe Grillo), Evaporati in una nuvola rock insieme a Franz Di Cioccio sulla tournée con PFM (Chiarelettere, 2008) e Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari (Rizzoli, 2018). È stato inoltre uno dei curatori della grande mostra dedicata a De André da Palazzo Ducale, a Genova.
Tra le sue mostre Strange Angels, 2002/05, Wall Of Sound 2007/08/16/17/18, Sguardi randagi. Fabrizio De André fotografato da Guido Harari 2009/10 e l’antologica Remain In Light 2022/23.
Nel 2011 ha fondato ad Alba, dove risiede, la Wall Of Sound Gallery, galleria fotografica e casa editrice interamente dedicata alla musica.
2004. Fernanda Pivano. The Beat Goes On. Guido Harari (a cura di). Mondadori.
2005. Viaggio a Garessio. Studio Bibliografico Bosio Editore.
2006. The Blue Room. Galleria Arteutopia e HRR Edizioni.
2006. Vasco! Edel.
2007. Fabrizio De André. Una goccia di splendore. Un’autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari. Nota di Beppe Grillo. Prefazione di Dori Ghezzi De André. Rizzoli.
2008. Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock. A cura di Guido Harari e Franz Di Cioccio. Chiarelettere.
2009. Mia Martini. L’ultima occasione per vivere. A cura di Menico Caroli e Guido Harari. Nota di Charles Aznavour, Introduzione di Giuseppe Berté. TEA.
2010. Giorgio Gaber. L’illogica utopia. Guido Harari (a cura di). Nota di Luigi Zoja. Chiarelettere.
2010. Sandro Chia. I guerrieri in San Domenico, HRR Edizioni.
2011. Quando parla Gaber. Chiarelettere.
2012. Tom Waits. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2012. Vinicio Capossela. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2014. Kate Bush, The Photography of Guido Harari. Wall Of Sound Gallery.
2015. Pier Paolo Pasolini. Bestemmia, Chiarelettere.
2015. Sonica. Guido Harari / Ravello. Wall Of Sound Gallery.
2016. The Kate Inside, Wall Of Sound Gallery.
2016. Wall of Sound. The Photography of Guido Harari, catalogo della mostra, Rockheim Museum.
2017. Wall of Sound 10, Wall Of Sound Editions.
2018. Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari, Rizzoli.
2018. Wall of Sound, Silvana Editoriale.
2021. Muse, catalogo della mostra, Locus festival, Wall Of Sound Editions.
2022. Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri. Rizzoli Lizard.
Orizzonte Terra-Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Il Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio ospita la seconda edizione del Premio Città di Tarquinia per la scultura ceramica dedicato a “Vasco Giovanni Palombini”. Le opere degli artisti partecipanti al premio saranno esposte all’Auditorium S. Pancrazio, in via delle Torri n. 15, mentre la sede del Museo Archeologico ospiterà una sezione omaggio dedicata al maestro Luigi Mainolfi, voluta dal critico e storico dell’arte Lorenzo Fiorucci, Direttore del Museo di Arte Ceramica contemporanea di Torgiano, in quanto vincitore della seconda edizione del Premio Luciano Marziano destinato a “eccellenti personalità della critica d’arte”.
Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”–
Il Premio “Vasco Palombini” consiste in un premio acquisto del valore di € 5.000, messo a disposizione dalla famiglia Palombini e dalla S.T.A.S. – Società Tarquiniense d’Arte e Storia di Tarquinia, che verrà attribuito a uno dei quattro artisti tra: Victor Fotso Nyie, Samanta Passaniti, Marta Palmieri, Michele Rava attraverso l’attento esame di una giuria di qualità che decreterà la miglior opera in mostra. La giuria di quest’anno è composta da Flaminio Gualdoni, critico, storico d’arte e vincitore della I edizione del Premio Luciano Marziano; Francesco Sposetti – Sindaco di Tarquinia; Maria Elisabetta De Minicis – Consigliere di Amministrazione Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia; Giovanni Mirulla, direttore della rivista DA’. Design e artigianato; Marco Tonelli, critico e storico d’arte; Attilio Quintili, scultore e ceramista; Paola Palombini, in qualità di rappresentante della famiglia erogatrice del premio.
PERCHÈ UN PREMIO DEDICATO A VASCO GIOVANNI PALOMBINI
L’istituzione del Premio rappresenta un nuovo iter dedito alla ricerca, promozione e valorizzazione della ceramica contemporanea, associato al potente richiamo dello straordinario patrimonio storico-archeologico che la città conserva, e vuole essere un viatico non solo culturale, ma anche turistico.
La città di Tarquinia, Patrimonio dell’Umanità e sito Unesco dal 2004, vanta tra i suoi cittadini più illustri Vasco Giovanni Palombini, scomparso nel 2017 e vuole ricordarlo con un premio a lui dedicato per la straordinaria sensibilità artistica e per la cultura, passione che lo ho portato a raccogliere una prestigiosa collezione personale e a caldeggiare nel corso della sua vita, l’attività di artisti di fama internazionale. Palombini è stato Ufficiale della Guardia di Finanza, titolare di un importante studio di commercialisti a Roma e Milano, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e presso la LUISS, vicino da sempre al mondo dell’arte quale consulente, tra l’altro, della RAI, della LUXVIDE, dell’Accademia Nazionale di Danza e presidente del collegio dei revisori dell’azienda Palaexpò che gestiva il Palazzo delle Esposizioni di Roma e il sito espositivo delle “Scuderie del Quirinale”. Più volte consigliere comunale a Tarquinia, ha ricoperto la carica di presidente della Società Tarquiniense d’Arte e Storia dal 2008 fino al 2013. Ha caldeggiato l’attività di molti artisti nel territorio, divenendone uno dei più facoltosi mecenati. Molto vicino tra gli altri allo scultore cileno Sebastian Matta, presente a Tarquinia per oltre trent’anni e ideatore del laboratorio “Etruscu-ludens”, nell’ambito del quale realizzò un’importante produzione di scultura ceramica. Si devono a Palombini, inoltre, la riqualificazione del Museo della ceramica d’uso a Corneto e le mostre in omaggio a Manlio Alfieri e Alessandro Kokocinski, ideate per promuovere l’immagine e la cultura del territorio tarquiniese attraverso le opere di quegli artisti che per nascita o adozione lo avevano prescelto quale luogo di vita e fonte di ispirazione per il proprio lavoro.
ORIZZONTE TERRA: UN DIALOGO TRA ANTICO E CONTEMPORANEO Orizzonte Terra è il titolo scelto per il Premio e la personale di Luigi Mainolfi che, spiega il curatore della mostra Lorenzo Fiorucci, prende le mosse dalla storia di
Tarquinia ed in particolare dalla Terracotta come primo elemento lavorato consapevolmente dall’uomo. Ne sono prova l’eccellenza della lavorazione le forme autoctone plasmate a mano, poi i vasi di produzione etrusca e, infine, quelli greci d’importazione conservati nel
Avverte Fiorucci: […] quello che interessa il nostro scopo è individuare una linea di ricerca attuale che si basi sulla scultura di terra. Se infatti questa tipologia di ricerca è stata battuta intercettando il gusto di molti, oggi appare più riservata a un’attenta nicchia di operatori”. Tanti sono gli artisti che nel corso della storia hanno contribuito a dare lustro in questo ambito di ricerca: da Arturo Martini che si definiva “il vero etrusco: loro mi hanno dato un linguaggio e io li ho fatti parlare”, Marino Marini, Lucio Fontana, il Leoncillo e poi proseguita negli anni Sessanta con Nanni Valentini, Pino Spagnuolo, Amilcare Rambelli, Giancarlo Sciannella; e ancora, Giuseppe Penone, Luigi Mainolfi, Bruno Liberatore, Massimo Luccioli, Armanda Verdirame e tanti altri.”L’obiettivo della mostra” – spiega Fiorucci – “è quello di indicare un orizzonte di terra partendo da un omaggio fuori concorso proprio a Luigi Mainolfi, dove il maestro presenterà alcune opere in terracotta ricucendo un ideale dialogo tra l’antico e il contemporaneo proprio al muse di Tarquinia. […] Nasce in questo modo un dialogo tra generazioni e linguaggi diversi, ma che hanno tutti come origine e prospettiva un orizzonte di terra”.
Museo Archeologico Nazionale di Tarquinia
Orizzonte Terra Museo Archeologico Nazionale – Luigi Mainolfi
Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie
Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Premio Città di Tarquinia promosso e organizzato dalla Società Tarquiniense d’Arte e Storia è realizzato con il sostegno del MIC (Ministero della Cultura), con il patrocinio di: Associazione Italiana Città della Ceramica, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (MIC); Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia di Viterbo; Museo d’Arte ceramica contemporanea di Torgiano, Collettivo BAI di Comiso, Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti; Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia.
Mostra: Orizzonte Terra Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Tarquinia – Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio
Apertura: 28/09/2024
Conclusione: 27/10/2024
Organizzazione: S.T.A.S., Società Tarquiniense d’Arte e Storia
Curatore: Lorenzo Fiorucci
Indirizzo: Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia (VT)
Museo Archeologico Nazionale (Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia) – Luigi Mainolfi Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio (Via delle Torri n. 15. Tarquinia) – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Per info: Società Tarquiniense d’Arte e Storia E. tarquiniense@gmail.com T. +39 0766.858194
Musica da guardare. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi-
Fermo-Palazzo dei Priori fino al 3 novembre 2024 nella mostra “MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi“, Articolo a cura di Alessandro Biocca. Questa suggestiva mostra tocca più generi musicali e regala una panoramica sulla storia della musica e dell’arte moderna e contemporanea dagli anni ’40 ad oggi, attraverso le copertine d’autore dei vinili e alcuni tra i suoi più grandi protagonisti. Dagli artisti della pop art e del surrealismo come Andy Warhol e Salvador Dalì ai grandi fotografi come Helmut Newton, Mapplethorpe, Ghirri e importanti disegnatori e fumettisti come Andrea Pazienza, Manara, Crepax, Zerocalcare fino all’arte psichedelica di Bob Pepper.
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
I vinili esposti sono una selezione scelta dalla vasta collezione privata di Alessandro Biocca, composta da oltre 8500 vinili, frutto di una meticolosa ricerca, raccolta e catalogazione condotte in oltre 35 anni. Una mostra che incanterà gli appassionati di musica e non solo, per il modo di comunicare libero, straordinario e a volte provocante di queste copertine, tra energia e fantasia.
La mostra è promossa dal Comune di Fermo e organizzata da Maggioli Cultura e Turismo.
L’esposizione presenta un percorso artistico-musicale attraverso sette sezioni, riferite alle categorie della collezione di Alessandro Biocca: prime copertine, foto, grafica, disegno e fumetto, arte contemporanea, censurati, errori di stampa.
Spiega il curatore e collezionista Alessandro Biocca: «La vera mancanza, che nessun dispositivo digitale potrà mai colmare, è quella che viene data dall’esperienza visiva. Quella regalata dalla copertina di un disco e che ha avuto il suo massimo picco nel periodo che va dal 1948 al 1982 ovvero, nella parabola che inizia quando l’LP è stato inventato e termina quando è stato presentato il primo Compact Disc. La New Wave è stato l’ultimo genere musicale a sfruttare il glorioso potenziale della tela quadrata di 31,43 cm del disco da 12 pollici».
Immancabili in mostra gli LP dei più grandi interpreti della musica italiana e internazionale: Lucio Dalla, Roberto Vecchioni, Fabrizio De Andrè, Beatles, Rolling Stones, David Bowie, Michael Jackson, Madonna, Miles Davis, Pink Floyd, Massive Attack, Queen, Patti Smith, Lady Gaga…
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
La storia delle copertine dei vinili
La storia delle copertine dei vinili inizia nel 1939 con il 23enne Alex Steinweiss, assunto come direttore artistico dalla Columbia, la più antica azienda americana del settore musicale. Aveva l’incarico di disegnare opuscoli, manifesti e cataloghi; da subito si rese conto che la modalità “anonima” con la quale i dischi venivano confezionati era poco efficace ad essere notato, soprattutto perchè, all’epoca, venivano solitamente venduti nei negozi di elettrodomestici nel reparto dei fonografi e dei grammofoni. Alex Steinweiss, con non trascurabili difficoltà poste dall’aumento esponenziale dei costi di realizzazione di un disco, riuscì ad ottenere il via libera per la realizzazione di alcune copertine personalizzate, come l’album “Smash Hits By Rodgers & Hart” di Rodgers & Hart. Steinweiss non solo aveva inventato un genere, ma aveva aggiunto una dimensione completamente nuova all’esperienza dell’ascolto della musica registrata. Quella visiva. Invece di limitarsi a disegnare un semplice ritratto dell’artista, inoltre, utilizzò i simboli culturali e musicali legati al disco o alla vita e ai tempi del musicista.
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
«In una raccolta del 1947 di Boogie Woogie per esempio – racconta Alessandro Biocca – disegnò due grandi mani, una bianca e una nera, che insieme suonano un pianoforte e stanno a simboleggiare l’uguaglianza etnica. Un tema molto attuale nell’America di quegli anni. Inoltre, l’immagine di copertina che Steinweiss ha progettato per il Concerto per Pianoforte n°5 in Mi bemolle – L’imperatore di Beethoven nel 1941, è stata fonte d’ispirazione per Storm Thorgerson che nel 1973 ha realizzato la celebre copertina di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd».
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
Dal 1943 al 1945 l’incarico di direttore artistico della Columbia fu coperto da Jim Flora il cui lavoro si contraddistinse per la fantasia. Eleganti musicisti volanti e strumenti sospesi nel vuoto su prospettive instabili sovvertivano le leggi della fisica. Neanche l’anatomia umana fu esente dalle sue reinterpretazioni, che davano ai disegni un tono comico e al contempo inquietante. Il suo posto, dal 1945 al 1953, fu affidato a Robert M. Jones che, per soddisfare l’enorme richiesta di cover, si avvalse anche di disegnatori esterni. Nel 1949, per la ristampa in LP di “A Program Of Mexican Music” di Carlos Chávez, incaricò il 21enne Andrew Warhola Jr., passato alla storia come Andy Warhol.
Sempre ad Alex Steinweiss, nel 1948, fu affidato l’incarico di progettare la confezione del nuovo ritrovato per l’ascolto della musica, il disco in vinile che, a differenza del 78 giri, aveva bisogno di una confezione che ne preservasse i solchi dai graffi inferti dalle buste in cartone pesante, usate fino a quel momento. Il suo progetto, solo con qualche piccola modifica, è ancora oggi lo standard nella confezione dei dischi in vinile.
Fermo-“MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi”
Nel 1950 iniziò l’era delle copertine con fotografie e, pochi anni dopo, anche la pittura strizzò l’occhio alle cover per dischi. Gli artisti dei generi più disparati, da quel momento, si cimentano nelle artwork che, sempre più spesso assumono un ruolo paritario rispetto alla musica che accompagnano. Non semplice ornamento, ma completamento di un’opera. Immagini che a volte arrivano a stridere con il pensare comune, sia esso dettato da un credo religioso o politico, e in alcuni casi considerate minacciose a tal punto dal venire censurate, come le copertine di “The Wall” dei Pink Floyd o “Nevermind” dei Nirvana.
Errori di stampa
Una sezione della mostra è dedicata agli errori di stampa. Ovvero alcuni dischi che, seppur in quantità limitatissime e per inspiegabili motivazioni, sono entrati in commercio con delle clamorose sviste grafiche, che li hanno fatti diventare oggetti di culto e contesi da collezionisti di tutto il mondo, come la copia errata di “The Freewheelin’ Bob Dylan” di Bob Dylan e di “Crazy Little Thing Called Love” dei Queen.
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