Ci sono importanti celebrazioni a Milano e in Lombardia per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni, il grande scrittore che segnò un’epoca della nostra storia letteraria (Alessandro Manzoni è morto il 22 maggio 1873). Con I Promessi Sposi, è infatti colui che ha portato nelle nostre lettere il romanzo storico in auge in Europa nell’Ottocento e lo ha reso letteratura popolare e non solo destinata alle elite.
Articolo di Carmelina Sicari –Il rigore con cui Manzoni si preparò a questa impresa è noto, per una serie di saggi paralleli tra cui La storia dellacolonna infame, nota anche la cura linguistica che lo ha portato a redigere ben tre edizioni dei Promessi Sposi con la cosiddetta edizione ventisettana, del 27 appunto, che è fondamentale per comprendere il lento evolversi del testo finale.
Ma il piano della storia intesa alla maniera romantica come l’angelus novus secondo l’espressione di Benjamin che animava le lettere, è minacciato da ben tre insidie: Clio, la musa della storia cadeva nell’eccesso di erudizione, Talia, musa della satira, dettava talora un’ironia incontenibile e stridente ed Euterpe, musa della morale, un moralismo gravoso. Russo appunto ricorre lui, che è tra i lettori più autorevoli del Manzoni, alla metafora delle tre muse.
Ma c’ è un’altra insidia che germina all’interno dell’opera, la Provvidenza. Se l’erudizione dilata lo spazio delle grida in modo spropositato all’inizio del romanzo, elementi di profonda riflessione attraverso le cronache sui fatti di Milano e sulla peste si trovano nel cuore dell’opera e contribuiscono notevolmente all’intelligenza degli avvenimenti. Così la cronaca del Ripamonti (La peste di Milano del 1630), l’accenno alle relazioni del Settala. Ed è altrettanto vero che il moralismo deturpa talora la narrazione con interventi ingiustificati e così l’ironia. Ma da questi vizi lo scrittore trae alimento per pagine sublimi.
La descrizione della peste è tra le più alte pagine della letteratura mondiale con la figurazione dei monatti ma anche con l’intensità drammatica della narrazione e l’ironia suggerisce la figurazione immortale del sentimento del contrario in don Abbondio, eroe della paura. Il coraggio uno non se lo può dare, obietta al cardinale che gli parla da eroe del coraggio con una frase che resta immortale.
Ci sono pagine dettate dalla presenza della provvidenza che ispira pietà che è il fondamento dell’umanità. Le pagine del perdono che hanno come protagonista padre Cristoforo hanno una profonda epicità mentre quelle di Cecilia sono dominate da un intenso tono elegiaco. L’uomo vecchio duella nella scena del perdono con il nuovo ma è destinato a soccombere. L’orgoglio, lo spirito dominante del tempo, viene vinto dal senso profondo di umiltà. La solennità nel brano della madre di Cecilia (cap. XXXIV), dall’incipit Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci…. ci dice l’elemento di profonda pietà elemento virgiliano del pianto delle cose.
Il piano della storia dunque inficiato e corroso da moralismo, ironia e erudizione, tuttavia si apre ad effetti artistici altissimi. La provvidenza, ossia l’intervento dell’alto nelle vicende terrene sembra comprometterne l’autonomia ma anche qui si aprono sprazzi di grande potenza narrativa come il canto dell’anima che è l’addio ai monti (cap. VIII) o la notte dell’innominato (cap. XXI) con una profondità drammatica che giunge ad altezze tragiche. Lucia costretta ad abbandonare quanto le è caro, effonde in espressioni liriche altissime il suo pianto. L’innominato, roso dal sentimento profondo di colpa, passa in rassegna la sua vita disperatamente e poi il popolo rivisitato in senso cristiano della storia non è quello romantico, ha subito una metamorfosi profonda Nel rapporto umili-potenti, questi ultimi vengono giudicati a seconda di come si comportano con i primi.
Certo lo scrittore fu oggetto, come Napoleone, l’eroe del 5 Maggio, di immensa invidia e di pietà profonda, di sconfinato amore e di altrettanto astio. L’irrisione carducciana è pari all’accusa di paternalismo di Gramsci o a quella di aridità di Moravia. Carducci beffeggia il manzonismo degli stenterelli. Gramsci trancia implacabile un giudizio di moralismo ne I quaderni dal carcere e Moravia titola il romanzo I Promessi sposi: “Il romanzo d’amore senza amore”.
Ancor oggi ci sono ammiratori e detrattori ma il genio di Manzoni resta incontrastato. Niente può scalfire la gloria del romanziere se all’anniversario della sua morte, lo stesso Presidente della Repubblica interviene
La sua fu vera gloria.
Carmelina Sicari
Autrice dell’Articolo-Carmelina Sicari è stata Dirigente Scolastico del Liceo Classico di Melito Porto Salvo e dell’Istituto Magistrale di Reggio Calabria. Si occupa da tempo di letteratura contemporanea e di semiotica con opere su Pirandello e sull’Ariosto. Ha collaborato a molte riviste letterarie tra cui Studium, Persona, Dialoghi… Ha all’attivo numerose pubblicazioni su La canzone d’Aspromonte, Leopardi e il Novecento letterario. Continua a sostenere nel presente il Movimento culturale Nuovo Umanesimo di Reggio Calabria di cui è stata ideatrice.
Roma in scena alla Sala Umberto Concita De Gregorio –
Un’ultima cosa-Cinque invettive, sette donne e un funerale-
Il femminile e la sua potenza di fuoco in scena alla Sala Umberto. La sua bellezza, la sua forza, la sua luce. Con cinque donne al centro della scena – Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi – che prendono parola per l’ultima volta. E dicono di sé, senza diritto di replica.
Mi sono appassionata alle parole e alle opere di alcune figure luminose del Novecento.
Donne spesso rimaste in ombra o all’ombra di qualcuno. Ho studiato il loro lessico sino a “sentire” la loro voce, quasi che le avessi di fronte e potessi parlare con loro. Ho avuto infine desiderio di rendere loro giustizia. Attraverso la scrittura, naturalmente, non conosco altro modo. A queste cinque donne è dedicata un’orazione funebre, immaginando che siano loro stesse a parlare ai propri funerali per raccontare chi sono e chi sono sempre state. Invettive, perché le parole e le intenzioni sono veementi e risarcitorie.
Ho usato per comporre i testi soltanto le loro parole – parole che hanno effettivamente pronunciato o scritto in vita – e in qualche raro caso parole che altri, chi le ha amate o odiate, hanno scritto di loro. Concita De Gregorio
Da controcanto ai racconti, le ninne nanne e i canti interpretati dal vivo dalla cantautrice pugliese Erica Mou, sul palco insieme a Concita. Lo spazio scenico, ideato e curato da Vincent Longuemare, è un gioco di geometrie di quadri luminosi, punti di contatto tra la potenza delle parole di Concita De Gregorio e la voce pura e arcaica di Erica Mou. È così che Dora Maar, Amelia Rosselli, Carol Rama, Vivian Maier e Lisetta Carmi entrano in scena, a teatro, subito prima di uscire di scena, nella vita. Come se un momento prima di sparire potessero voltarsi verso il pubblico: “Ah. Resta da dire un’ultima cosa”.
Informazioni, orari e prezzi
SALA UMBERTO
Via della Mercede, 50, 00187 Roma – prenotazioni@salaumberto.com
Biglietti da 25€ a 18€
Merc. 9 Ottobre h 20.30 – Giov. 10 Ottobre h 20.30
Ven. 11 Ottobre h 21 – Sab. 12 Ottobre h 21
Dom. 13 Ottobre h 17
Durata 50 min senza intervallo
Guido Harari -Remain in light- 50 anni di fotografie e incontri
Editore Rizzoli Lizard
Descrizione del libro di Guido Harari -Rita Levi-Montalcini, Patti Smith, David Bowie, Umberto Eco, Vasco Rossi… L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, perché queste sono solo alcune delle persone che Guido Harari ha ritratto in ben cinquant’anni di carriera, mezzo secolo che viene ora celebrato con questo prezioso volume di oltre quattrocento pagine. Una incredibile galleria di storie e immagini raccolte in un libro che è un vero e proprio condensato del talento, della visionarietà e dell’inguaribile curiosità che permeano tutti i lavori di Harari. Dopo “Una goccia di splendore”, dedicato alla memoria fotografica di De André, un altro appuntamento con uno dei più grandi maestri internazionali del ritratto.
Biografia di Guido Harari
Guido Harari (Il Cairo, 28 dicembre1952) è un fotografo e critico musicaleitaliano.Nei primi anni settanta ha avviato la duplice professione di fotografo e di giornalista musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia e collaborando con riviste come Ciao 2001, Giovani, Gong e Rockstar. Dagli anni novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale e la grafica dei volumi da lui curati. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto.
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.
Di Fabrizio De André Harari è stato uno dei fotografi personali, con una collaborazione ventennale che include la copertina del disco In concerto, tratto dalla leggendaria tournée dell’artista genovese con la PFM nel 1979. Sul cantautore genovese Harari ha realizzato quattro fortunati volumi: E poi, il futuro (Mondadori 2001, con nota introduttiva di Fernanda Pivano), Una goccia di splendore (Rizzoli 2007, con nota introduttiva di Beppe Grillo), Evaporati in una nuvola rock insieme a Franz Di Cioccio sulla tournée con PFM (Chiarelettere, 2008) e Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari (Rizzoli, 2018). È stato inoltre uno dei curatori della grande mostra dedicata a De André da Palazzo Ducale, a Genova.
Tra le sue mostre Strange Angels, 2002/05, Wall Of Sound 2007/08/16/17/18, Sguardi randagi. Fabrizio De André fotografato da Guido Harari 2009/10 e l’antologica Remain In Light 2022/23.
Nel 2011 ha fondato ad Alba, dove risiede, la Wall Of Sound Gallery, galleria fotografica e casa editrice interamente dedicata alla musica.
2004. Fernanda Pivano. The Beat Goes On. Guido Harari (a cura di). Mondadori.
2005. Viaggio a Garessio. Studio Bibliografico Bosio Editore.
2006. The Blue Room. Galleria Arteutopia e HRR Edizioni.
2006. Vasco! Edel.
2007. Fabrizio De André. Una goccia di splendore. Un’autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari. Nota di Beppe Grillo. Prefazione di Dori Ghezzi De André. Rizzoli.
2008. Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock. A cura di Guido Harari e Franz Di Cioccio. Chiarelettere.
2009. Mia Martini. L’ultima occasione per vivere. A cura di Menico Caroli e Guido Harari. Nota di Charles Aznavour, Introduzione di Giuseppe Berté. TEA.
2010. Giorgio Gaber. L’illogica utopia. Guido Harari (a cura di). Nota di Luigi Zoja. Chiarelettere.
2010. Sandro Chia. I guerrieri in San Domenico, HRR Edizioni.
2011. Quando parla Gaber. Chiarelettere.
2012. Tom Waits. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2012. Vinicio Capossela. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2014. Kate Bush, The Photography of Guido Harari. Wall Of Sound Gallery.
2015. Pier Paolo Pasolini. Bestemmia, Chiarelettere.
2015. Sonica. Guido Harari / Ravello. Wall Of Sound Gallery.
2016. The Kate Inside, Wall Of Sound Gallery.
2016. Wall of Sound. The Photography of Guido Harari, catalogo della mostra, Rockheim Museum.
2017. Wall of Sound 10, Wall Of Sound Editions.
2018. Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari, Rizzoli.
2018. Wall of Sound, Silvana Editoriale.
2021. Muse, catalogo della mostra, Locus festival, Wall Of Sound Editions.
2022. Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri. Rizzoli Lizard.
Orizzonte Terra-Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Il Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio ospita la seconda edizione del Premio Città di Tarquinia per la scultura ceramica dedicato a “Vasco Giovanni Palombini”. Le opere degli artisti partecipanti al premio saranno esposte all’Auditorium S. Pancrazio, in via delle Torri n. 15, mentre la sede del Museo Archeologico ospiterà una sezione omaggio dedicata al maestro Luigi Mainolfi, voluta dal critico e storico dell’arte Lorenzo Fiorucci, Direttore del Museo di Arte Ceramica contemporanea di Torgiano, in quanto vincitore della seconda edizione del Premio Luciano Marziano destinato a “eccellenti personalità della critica d’arte”.
Il Premio “Vasco Palombini” consiste in un premio acquisto del valore di € 5.000, messo a disposizione dalla famiglia Palombini e dalla S.T.A.S. – Società Tarquiniense d’Arte e Storia di Tarquinia, che verrà attribuito a uno dei quattro artisti tra: Victor Fotso Nyie, Samanta Passaniti, Marta Palmieri, Michele Rava attraverso l’attento esame di una giuria di qualità che decreterà la miglior opera in mostra. La giuria di quest’anno è composta da Flaminio Gualdoni, critico, storico d’arte e vincitore della I edizione del Premio Luciano Marziano; Francesco Sposetti – Sindaco di Tarquinia; Maria Elisabetta De Minicis – Consigliere di Amministrazione Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia; Giovanni Mirulla, direttore della rivista DA’. Design e artigianato; Marco Tonelli, critico e storico d’arte; Attilio Quintili, scultore e ceramista; Paola Palombini, in qualità di rappresentante della famiglia erogatrice del premio.
PERCHÈ UN PREMIO DEDICATO A VASCO GIOVANNI PALOMBINI
L’istituzione del Premio rappresenta un nuovo iter dedito alla ricerca, promozione e valorizzazione della ceramica contemporanea, associato al potente richiamo dello straordinario patrimonio storico-archeologico che la città conserva, e vuole essere un viatico non solo culturale, ma anche turistico.
La città di Tarquinia, Patrimonio dell’Umanità e sito Unesco dal 2004, vanta tra i suoi cittadini più illustri Vasco Giovanni Palombini, scomparso nel 2017 e vuole ricordarlo con un premio a lui dedicato per la straordinaria sensibilità artistica e per la cultura, passione che lo ho portato a raccogliere una prestigiosa collezione personale e a caldeggiare nel corso della sua vita, l’attività di artisti di fama internazionale. Palombini è stato Ufficiale della Guardia di Finanza, titolare di un importante studio di commercialisti a Roma e Milano, Professore a contratto presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e presso la LUISS, vicino da sempre al mondo dell’arte quale consulente, tra l’altro, della RAI, della LUXVIDE, dell’Accademia Nazionale di Danza e presidente del collegio dei revisori dell’azienda Palaexpò che gestiva il Palazzo delle Esposizioni di Roma e il sito espositivo delle “Scuderie del Quirinale”. Più volte consigliere comunale a Tarquinia, ha ricoperto la carica di presidente della Società Tarquiniense d’Arte e Storia dal 2008 fino al 2013. Ha caldeggiato l’attività di molti artisti nel territorio, divenendone uno dei più facoltosi mecenati. Molto vicino tra gli altri allo scultore cileno Sebastian Matta, presente a Tarquinia per oltre trent’anni e ideatore del laboratorio “Etruscu-ludens”, nell’ambito del quale realizzò un’importante produzione di scultura ceramica. Si devono a Palombini, inoltre, la riqualificazione del Museo della ceramica d’uso a Corneto e le mostre in omaggio a Manlio Alfieri e Alessandro Kokocinski, ideate per promuovere l’immagine e la cultura del territorio tarquiniese attraverso le opere di quegli artisti che per nascita o adozione lo avevano prescelto quale luogo di vita e fonte di ispirazione per il proprio lavoro.
ORIZZONTE TERRA: UN DIALOGO TRA ANTICO E CONTEMPORANEO Orizzonte Terra è il titolo scelto per il Premio e la personale di Luigi Mainolfi che, spiega il curatore della mostra Lorenzo Fiorucci, prende le mosse dalla storia di
Tarquinia ed in particolare dalla Terracotta come primo elemento lavorato consapevolmente dall’uomo. Ne sono prova l’eccellenza della lavorazione le forme autoctone plasmate a mano, poi i vasi di produzione etrusca e, infine, quelli greci d’importazione conservati nel
Avverte Fiorucci: […] quello che interessa il nostro scopo è individuare una linea di ricerca attuale che si basi sulla scultura di terra. Se infatti questa tipologia di ricerca è stata battuta intercettando il gusto di molti, oggi appare più riservata a un’attenta nicchia di operatori”. Tanti sono gli artisti che nel corso della storia hanno contribuito a dare lustro in questo ambito di ricerca: da Arturo Martini che si definiva “il vero etrusco: loro mi hanno dato un linguaggio e io li ho fatti parlare”, Marino Marini, Lucio Fontana, il Leoncillo e poi proseguita negli anni Sessanta con Nanni Valentini, Pino Spagnuolo, Amilcare Rambelli, Giancarlo Sciannella; e ancora, Giuseppe Penone, Luigi Mainolfi, Bruno Liberatore, Massimo Luccioli, Armanda Verdirame e tanti altri.”L’obiettivo della mostra” – spiega Fiorucci – “è quello di indicare un orizzonte di terra partendo da un omaggio fuori concorso proprio a Luigi Mainolfi, dove il maestro presenterà alcune opere in terracotta ricucendo un ideale dialogo tra l’antico e il contemporaneo proprio al muse di Tarquinia. […] Nasce in questo modo un dialogo tra generazioni e linguaggi diversi, ma che hanno tutti come origine e prospettiva un orizzonte di terra”.
Orizzonte Terra Museo Archeologico Nazionale – Luigi Mainolfi
Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie
Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Premio Città di Tarquinia promosso e organizzato dalla Società Tarquiniense d’Arte e Storia è realizzato con il sostegno del MIC (Ministero della Cultura), con il patrocinio di: Associazione Italiana Città della Ceramica, Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza (MIC); Fondazione Carivit – Museo della Ceramica della Tuscia di Viterbo; Museo d’Arte ceramica contemporanea di Torgiano, Collettivo BAI di Comiso, Fondazione Giulio e Giovanna Sacchetti; Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia.
Mostra: Orizzonte Terra Premio Città Di Tarquinia “Vasco Palombini”
Tarquinia – Museo Archeologico Nazionale e Auditorium S. Pancrazio
Apertura: 28/09/2024
Conclusione: 27/10/2024
Organizzazione: S.T.A.S., Società Tarquiniense d’Arte e Storia
Curatore: Lorenzo Fiorucci
Indirizzo: Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia (VT)
Museo Archeologico Nazionale (Piazza Cavour n. 1/a – Tarquinia) – Luigi Mainolfi Vernissage: Museo Archeologico Nazionale sabato 28 settembre, ore 18.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico del museo.
Auditorium S. Pancrazio (Via delle Torri n. 15. Tarquinia) – Marta Palmieri, Samanta Passaniti, Michele Rava, Victor Fotso Nyie Vernissage: Auditorium S. Pancrazio sabato 28 settembre, ore 19.00
28 settembre – 27 ottobre, orario di apertura al pubblico, tutti i giorni dalle 10.00 alle
13.00 e dalle 16.30 alle 19.30.
Per info: Società Tarquiniense d’Arte e Storia E. tarquiniense@gmail.com T. +39 0766.858194
Musica da guardare. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi-
Fermo-Palazzo dei Priori fino al 3 novembre 2024 nella mostra “MUSICA DA GUARDARE. Copertine d’autore e vinili dal 1940 a oggi“, Articolo a cura di Alessandro Biocca. Questa suggestiva mostra tocca più generi musicali e regala una panoramica sulla storia della musica e dell’arte moderna e contemporanea dagli anni ’40 ad oggi, attraverso le copertine d’autore dei vinili e alcuni tra i suoi più grandi protagonisti. Dagli artisti della pop art e del surrealismo come Andy Warhol e Salvador Dalì ai grandi fotografi come Helmut Newton, Mapplethorpe, Ghirri e importanti disegnatori e fumettisti come Andrea Pazienza, Manara, Crepax, Zerocalcare fino all’arte psichedelica di Bob Pepper.
I vinili esposti sono una selezione scelta dalla vasta collezione privata di Alessandro Biocca, composta da oltre 8500 vinili, frutto di una meticolosa ricerca, raccolta e catalogazione condotte in oltre 35 anni. Una mostra che incanterà gli appassionati di musica e non solo, per il modo di comunicare libero, straordinario e a volte provocante di queste copertine, tra energia e fantasia.
La mostra è promossa dal Comune di Fermo e organizzata da Maggioli Cultura e Turismo.
L’esposizione presenta un percorso artistico-musicale attraverso sette sezioni, riferite alle categorie della collezione di Alessandro Biocca: prime copertine, foto, grafica, disegno e fumetto, arte contemporanea, censurati, errori di stampa.
Spiega il curatore e collezionista Alessandro Biocca: «La vera mancanza, che nessun dispositivo digitale potrà mai colmare, è quella che viene data dall’esperienza visiva. Quella regalata dalla copertina di un disco e che ha avuto il suo massimo picco nel periodo che va dal 1948 al 1982 ovvero, nella parabola che inizia quando l’LP è stato inventato e termina quando è stato presentato il primo Compact Disc. La New Wave è stato l’ultimo genere musicale a sfruttare il glorioso potenziale della tela quadrata di 31,43 cm del disco da 12 pollici».
Immancabili in mostra gli LP dei più grandi interpreti della musica italiana e internazionale: Lucio Dalla, Roberto Vecchioni, Fabrizio De Andrè, Beatles, Rolling Stones, David Bowie, Michael Jackson, Madonna, Miles Davis, Pink Floyd, Massive Attack, Queen, Patti Smith, Lady Gaga…
La storia delle copertine dei vinili
La storia delle copertine dei vinili inizia nel 1939 con il 23enne Alex Steinweiss, assunto come direttore artistico dalla Columbia, la più antica azienda americana del settore musicale. Aveva l’incarico di disegnare opuscoli, manifesti e cataloghi; da subito si rese conto che la modalità “anonima” con la quale i dischi venivano confezionati era poco efficace ad essere notato, soprattutto perchè, all’epoca, venivano solitamente venduti nei negozi di elettrodomestici nel reparto dei fonografi e dei grammofoni. Alex Steinweiss, con non trascurabili difficoltà poste dall’aumento esponenziale dei costi di realizzazione di un disco, riuscì ad ottenere il via libera per la realizzazione di alcune copertine personalizzate, come l’album “Smash Hits By Rodgers & Hart” di Rodgers & Hart. Steinweiss non solo aveva inventato un genere, ma aveva aggiunto una dimensione completamente nuova all’esperienza dell’ascolto della musica registrata. Quella visiva. Invece di limitarsi a disegnare un semplice ritratto dell’artista, inoltre, utilizzò i simboli culturali e musicali legati al disco o alla vita e ai tempi del musicista.
«In una raccolta del 1947 di Boogie Woogie per esempio – racconta Alessandro Biocca – disegnò due grandi mani, una bianca e una nera, che insieme suonano un pianoforte e stanno a simboleggiare l’uguaglianza etnica. Un tema molto attuale nell’America di quegli anni. Inoltre, l’immagine di copertina che Steinweiss ha progettato per il Concerto per Pianoforte n°5 in Mi bemolle – L’imperatore di Beethoven nel 1941, è stata fonte d’ispirazione per Storm Thorgerson che nel 1973 ha realizzato la celebre copertina di “The Dark Side Of The Moon” dei Pink Floyd».
Dal 1943 al 1945 l’incarico di direttore artistico della Columbia fu coperto da Jim Flora il cui lavoro si contraddistinse per la fantasia. Eleganti musicisti volanti e strumenti sospesi nel vuoto su prospettive instabili sovvertivano le leggi della fisica. Neanche l’anatomia umana fu esente dalle sue reinterpretazioni, che davano ai disegni un tono comico e al contempo inquietante. Il suo posto, dal 1945 al 1953, fu affidato a Robert M. Jones che, per soddisfare l’enorme richiesta di cover, si avvalse anche di disegnatori esterni. Nel 1949, per la ristampa in LP di “A Program Of Mexican Music” di Carlos Chávez, incaricò il 21enne Andrew Warhola Jr., passato alla storia come Andy Warhol.
Sempre ad Alex Steinweiss, nel 1948, fu affidato l’incarico di progettare la confezione del nuovo ritrovato per l’ascolto della musica, il disco in vinile che, a differenza del 78 giri, aveva bisogno di una confezione che ne preservasse i solchi dai graffi inferti dalle buste in cartone pesante, usate fino a quel momento. Il suo progetto, solo con qualche piccola modifica, è ancora oggi lo standard nella confezione dei dischi in vinile.
Nel 1950 iniziò l’era delle copertine con fotografie e, pochi anni dopo, anche la pittura strizzò l’occhio alle cover per dischi. Gli artisti dei generi più disparati, da quel momento, si cimentano nelle artwork che, sempre più spesso assumono un ruolo paritario rispetto alla musica che accompagnano. Non semplice ornamento, ma completamento di un’opera. Immagini che a volte arrivano a stridere con il pensare comune, sia esso dettato da un credo religioso o politico, e in alcuni casi considerate minacciose a tal punto dal venire censurate, come le copertine di “The Wall” dei Pink Floyd o “Nevermind” dei Nirvana.
Errori di stampa
Una sezione della mostra è dedicata agli errori di stampa. Ovvero alcuni dischi che, seppur in quantità limitatissime e per inspiegabili motivazioni, sono entrati in commercio con delle clamorose sviste grafiche, che li hanno fatti diventare oggetti di culto e contesi da collezionisti di tutto il mondo, come la copia errata di “The Freewheelin’ Bob Dylan” di Bob Dylan e di “Crazy Little Thing Called Love” dei Queen.
Francesco Guadagnuolo: una mostra per i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi-
Il noto pittore Francesco Guadagnuolo, residente ai Castelli Romani, ha realizzato una mostra con l’intento di sensibilizzare al rischio prosciugamento dei Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi.
L’esposizione è presso la Biblioteca Comunale di Genzano di Roma, Viale G. Mazzini, 12, in occasione dell’ “Ottobre Scientifico” sul tema: “Crisi Climatica e protezione ambientale: salvaguardare l’ambiente oggi per l’umanità di domani“.
La mostra di Guadagnuolo è visitabile da lunedì 7 ottobre a lunedì 28 ottobre 2024 con orari Lun 09:00-18:00, Mar 13:00-18:00, Mer/ Gio/ Ven 09:00-13:30.
I Laghi dei Castelli Romani, di Castel Gandolfo e di Nemi, rischiano l’estinzione, stando ad una relazione amministrativa dell’ANBI (Associazione Nazionale delle Bonifiche Italiane). Una condizione che è stata riferita, ultimamente, nell’interesse della Nazione con un servizio, divulgato il 14 agosto 2024, dal geologo Mario Tozzi sul quotidiano ‘La Stampa’. I due importanti laghi che hanno una grande storia, in passato, sono stati visitati spesso da Papi e Imperatori – asserisce Tozzi – attualmente risultano “sull’orlo del collasso”.
Il M° Guadagnuolo sempre attento alla salvaguardia dello stato naturale e dell’ambiente ha pensato bene di realizzare due opere pittoriche per focalizzare subito il problema ed invitare a chi di dovere ad intervenire subito e non arrivare com’è successo alla perdita del Lago di Pergusa (prov. di Enna), in Sicilia, terra di origine di Guadagnuolo, il quale con un dipinto, l’ha voluto recentemente segnalare.
Nei dipinti di Guadagnuolo i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi sono al centro del paesaggio, fanno risaltare la resa atmosferica, infatti, la luminosità riporta qualunque tratto del luogo in uno scenario impegnato di natura e di bellezza.
Per il Lago di Castel Gandolfo, negli ultimi 12 mesi il livello è sceso in modo drammatico, di oltre 50 centimetri, infatti, Guadagnuolo ci va vedere un’atmosfera nostalgica i cui contrasti sono affievoliti e impiegati nel tratto centrale del paesaggio. La luce adagia ogni porzione dell’ambientazione. Delicate ombre sono create per dare una certa dinamicità. Le colline che contengono il Lago plasmano una sorta di angolatura prospettica che dirige la veduta in profonda – interiorità. Altresì la prospettiva aerea consente di produrre la percezione di allontanamento. É un dipinto dalla dimensione rettangolare con profili diradati che catturano la luce abilmente. L’incanto dell’effigiato si espande dalle alternanze di morbidezze e attività percepibili nelle forme contenute e nelle rappresentazioni esposte. Lo splendore sensibilizzante del creato arriva ad assorbire i momenti diurni e notturni, rallentando l’iter naturale della realtà. Oltre a ciò, gran parte del dipinto è rivolto alla raffigurazione del cielo nell’alba del nuovo giorno.
Per quanto concerne il Lago di Nemi, negli ultimi tre anni il livello del lago è sceso di 2 metri e si sono persi 9 milioni di metri cubi di acqua, infatti, Guadagnuolo ci fa vedere un ambiente malinconico e appartato anteponendo le segrete luminescenze della tarda serata per dare un’apparizione poetica del paesaggio. Egli prepone luci meno decise, modulazioni lievi e particelle interiori del paesaggio.
Individuiamo il chiarore del calare del sole di un Lago di cui non sappiamo quale sarà il suo futuro. I tratti vermigli impiegati per raffigurare il cielo ci lasciano uno stato d’animo inquieto pensando cosa si poteva fare prima e cosa si può fare adesso per salvarlo. La visione del Lago si abbandona, quasi stemperandosi con il cielo smarrendosi attorno al cratere del Vulcano. Guadagnuolo con questa interpretazione particolare rimanda un’apparenza del creato nella sua non dimenticata magnificenza.
Nei due Laghi dipinti da Guadagnuolo si scorge l’incognito del tempo, la condizione di un futuro differente a ciò che stiamo assistendo. Ma quale sarà il futuro? La natura ha un suo corso, a differenza dell’essere umano, ha la prerogativa di conservarsi di continuo, senza mai sparire, solo la mano dell’uomo riesce a far morire la natura.
Le due opere sono caratterizzate da colori tenui, armonizzati, per fare uscire ogni splendore dei Laghi, cercando in tutti i modi di fare il possibile per tutelarli, quasi vien voglia d’immergersi all’interno dell’opera per viverla di ogni contenuto tramandando un sentore di pacatezza ed estasi.
Attraverso la sua opera Guadagnuolo ci espone la necessità di intervenire con l’aspirazione di perdurare esaurientemente, prima che sia troppo tardi: “salvare i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi“.
È molto malinconico considerare come in zone così meravigliose e leggendarie ci sia questo drammatico pericolo della perdita dei Laghi, così ricchi di passato e mito che fanno parte della risorsa del patrimonio naturale dell’Italia.
INFORMAZIONI
Mostra: Francesco Guadagnuolo: una mostra per i Laghi di Castel Gandolfo e di Nemi
Ediz. italiana e inglese: Photography as a Life Choice-
Edizione Inglese di Francesca Alfano Miglietti (a cura di), Sylvia Notini (Traduttore)
Editore Marsilio
Descrizione -Il volume nasce in occasione della mostra Letizia Battaglia, Fotografia come scelta di vita, (Venezia, Casa dei Tre Oci), un volume antologico che raccoglie ben 300 scatti, molti dei quali inediti, provenienti dall’archivio storico della grande fotografa, con l’intento di raccontare un’artista, una donna e una vita. Letizia Battaglia è riconosciuta come una delle figure più importanti della fotografia contemporanea non solo per i suoi scatti saldamente presenti nell’immaginario collettivo, ma soprattutto per il valore civile ed etico da lei attribuito al fare fotografia. Nel catalogo oltre al saggio introduttivo della curatrice Francesca Alfano Miglietti, sono presenti interventi di noti personaggi quali il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, Filippo La Mantia, e il fotografo Paolo Ventura. Un saggio di Maria Chiara Di Trapani racconta inoltre la vita nell’archivio della fotografa. Si presenta una Letizia Battaglia inedita, fotografa di mafia ma anche della bellezza: dagli omicidi di piazza a Milano negli anni settanta agli animali, le coppie, i baci; l’inconsapevole eleganza delle bambine del quartiere Cala a Palermo; le processioni religiose, lo scempio delle coste siciliane, i volti di Giovanni Falcone, Pier Paolo Pasolini e di tante donne nelle quali la fotografa si rispecchia. Nel volume si documentano inoltre l’impegno politico, l’attività editoriale, quella teatrale e cinematografica e la recente istituzione del Centro internazionale di fotografia a Palermo.
Giulio Raimondo Mazzarino “Diavolo “ di un Cardinale!-
Articolo di Anselmo Pagani
Giulio Raimondo Mazzarino fu il “Maitre du jeu” della politica europea verso la metà del XVII secolo fu un italiano, di rosso vestito e con una berretta sul capo.
Nato il 14 luglio del 1602 nel borgo abruzzese di Pescina, in una famiglia appartenente alla piccola nobiltà locale, Giulio Raimondo Mazzarino fu mandato dal padre Pietro a studiare presso il gesuitico Collegio Romano, dove si laureò in “Utroque Iure”.
Uomo accattivante, raffinato nei modi e di bella presenza, come testimoniato dai suoi ritratti, si fece presto notare dal clan dei Colonna che l’introdussero presso la corte di Papa Urbano VIII, il quale ne intuì il talento inserendolo nel Corpo Diplomatico pontificio.
Per il nostro Giulio fu l’inizio di una sfolgorante carriera, in principio come Nunzio Apostolico presso le corti di Madrid e poi di Parigi.
A lui in particolare si dovette il Trattato di Cherasco, col quale nel 1631 fu regolata l’annosa questione della successione nel Ducato di Mantova, che tanti lutti e devastazioni aveva portato in Pianura Padana.
Fattosi tonsurare e ricevuti gli ordini minori, senza però mai diventare prete, Mazzarino entrò nelle grazie del Card. De Richelieu, machiavellico primo ministro di Luigi XIII di Francia, che ne fece il suo discepolo prediletto tanto da procurargli nel 1641 la nomina cardinalizia.
Alla morte, a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro fra la fine del 1642 e l’inizio del 1643, sia del Cardinale che del Re, Mazzarino divenne l’incontrastato “dominus” della politica francese come tutore – insieme alla madre Anna d’Austria della quale forse fu pure l’amante – del giovanissimo Luigi XIV, che in lui vide una sorta di “Magister vitae”, tanto da farne l’unico primo ministro dei suoi 70 anni di regno.
Da solo, riuscì a garantire altri 140 anni al trono dei Borbone, disinnescando il pericolo costituito dalle cosiddette “Fronde”, grazie alla sua inimitabile capacità di mettere i nemici gli uni contro gli altri, così spezzandone il fronte comune.
Fu anche uno dei principali artefici della Pace di Vestfalia del 1648, che mise fine alla terribile Guerra dei Trent’Anni, e poi del Trattato dei Pirenei del 1659, che riportò il sereno fra Francia e Spagna con una pace plasticamente sancita dal matrimonio fra Luigi XIV e sua cugina, l’Infanta di Spagna Maria Teresa, per combinare il quale lo scaltro Cardinale non esitò a praticare l’italianissima politica dei “due forni”.
Vittima designata di questa macchinazione fu la Principessa Margherita di Savoia, convocata a Lione con la promessa di farla diventare Regina di Francia, salvo poi venir rimandata a Torino piena soltanto di regali e belle parole, perché nel frattempo gli Spagnoli, pur di piazzare su quel trono tanto prestigioso la loro candidata, avevano finito con l’accettare condizioni giudicate in un primo tempo irricevibili.
Mecenate illuminato, il Cardinale investì le enormi tangenti ricavate dall’attribuzione di appalti pubblici collezionando un’impressionante serie d’opere d’arte custodite nel bel mezzo di Parigi, nel suo “Palais Cardinal” (attuale “Palais Royal”), fra cui anche una “Bibbia a 42 righe” stampata da Gutenberg, ancora oggi nota come la “Mazzarina”.
Per uno scrupolo di coscienza, prima di morire decise di lasciare in eredità le sue ingenti ricchezze al figlioccio Luigi XIV, forse perché pentito di avergli rubato tanto.
In compenso il giovane sovrano, quando il Cardinale spirò il 9 marzo del 1661, versò forse le uniche lacrime sincere della sua vita, tanto gli era affezionato.
Accompagna questo scritto il “Ritratto del Cardinale Giulio Mazzarino” di Pierre Mignard, 1659, Museo Condé, Castello di Chantilly, Francia.
Richard Wagner-Tristano e Isotta(Tristan und Isolde)
dramma musicale su libretto dello stesso compositore
Tristano e Isotta (Tristan und Isolde) è un dramma musicale di Richard Wagner, su libretto dello stesso compositore. Costituisce il capolavoro del Romanticismo tedesco e, allo stesso tempo, è uno dei pilastri della musica moderna, soprattutto per il modo in cui si allontana dall’uso tradizionale dell’armonia tonale.
La trama è basata sul poemaTristan di Gottfried von Straßburg, a sua volta ispirato dalla storia di Tristano raccontata in lingua francese da Tommaso di Bretagna nel XII secolo. Wagner condensò la vicenda in tre atti, staccandola quasi completamente dalla storia originale e caricandola di allusioni filosofiche di stampo schopenhaueriano.
Decisivo per la stesura dell’opera fu l’amore intercorso tra il musicista e Mathilde Wesendonck (moglie del suo migliore amico), destinato a restare inappagato. Wagner era ospite dei Wesendonck a Zurigo, dove ogni giorno Mathilde poteva ammirare pagina per pagina l’evolvere della composizione. Trasferitosi a Venezia per fuggire lo scandalo, Wagner si ispirò alle notturne atmosfere della città lagunare, dove scrisse il secondo atto e dove attinse l’idea per il preludio del terzo. Scrisse Wagner nella sua autobiografia:
«In una notte d’insonnia, affacciatomi al balcone verso le tre del mattino, sentii per la prima volta il canto antico dei gondolieri. Mi pareva che il richiamo, rauco e lamentoso, venisse da Rialto. Una melopea analoga rispose da più lontano ancora, e quel dialogo straordinario continuò così a intervalli spesso assai lunghi. Queste impressioni restarono in me fino al completamento del secondo atto del Tristano, e forse mi suggerirono i suoni strascicati del corno inglese al principio del terz’atto.»
Terminato a Lucerna nel 1859, Tristano venne inizialmente proposto al teatro di Vienna, dove però fu respinto in quanto giudicato ineseguibile. Dovettero trascorrere ben sei anni prima che il dramma potesse essere rappresentato per la prima volta al Koenigliches Hof- und National- Theater (Opera di Stato della Baviera) di Monaco di Baviera il 10 giugno 1865, diretta da Hans von Bülow con Ludwig e Malwina Schnorr von Carolsfeld nelle parti dei due protagonisti, e con il concreto sostegno del re Ludwig II.
La critica dell’epoca si divise tra coloro che videro in quest’opera un capolavoro assoluto e quelli che la considerarono una composizione incomprensibile. Tra questi ultimi figura il critico austriaco Eduard Hanslick, noto per le sue posizioni conservatrici in ambito musicale. Fu proprio l’atteggiamento di Hanslick a fornire a Wagner l’idea per il personaggio di Sixtus Beckmesser ne I maestri cantori di Norimberga.Il cosiddetto “accordo del Tristano“, che apre la partitura.Una copia del manoscritto originale . Finale.
Al Teatro alla Scala di Milano, il 29 dicembre 1900, andò in scena nella traduzione italiana di Boito ed Angelo Zanardini con la direzione di Arturo Toscanini. Nel 1902 avvenne la prima rappresentazione in concerto nel Théâtre du Château-d’Eau di Parigi di “Tristan et Isotte” nella traduzione francese di Alfred Ernst.
Musica
Nella musica del Tristano si è voluta vedere un’anticipazione del futuro.[1] Servendosi dell’uso ossessivo del cromatismo e della tecnica della sospensione armonica, Wagner ottiene un effetto di suspense che dura per tutto il corso dell’azione. Le cadenze incomplete del preludio non vengono risolte fino alla fine del dramma, che si chiude col canto di amore e morte di Isotta (Liebestod). Come dice il critico Rubens Tedeschi, il linguaggio musicale del Tristano deve farsi infinitamente duttile per dipingere – oltre il pochissimo che accade – il moltissimo che viene alluso. Il Leitmotiv deve quindi smussare la propria nettezza melodica a favore della massima incertezza. In questo sbiadire dei contorni melodici si insinua l’allentamento dei rapporti armonici, come l’ombra notturna dei due amanti contribuisce all’ambiguità dei significati. È una sorta di ondeggiamento perpetuo simile al movimento del mare. Hanslick stroncò il valore della partitura affermando che “contiene della musica ma non è musica” e denunciando “il fumo dell’oppio suonato e cantato”. Lo stesso Wagner, in una lettera a Mathilde Wesendonck, definì il proprio lavoro “qualcosa di terribile, capace di rendere pazzi gli ascoltatori”.
Particolarmente impressionanti per la loro modernità – al limite della dodecafonia – sono le variazioni del tema del Filtro d’amore e della Canzone mesta del pastore, a metà del terzo atto, che accompagnano il protagonista nella sua delirante allucinazione. Il cromatismo e il prevalere dell’armonia sulla melodia appaiono già evidenti fin dalle prime battute del preludio (tema del Desiderio). Carl Dahlhaus definisce queste battute come una serie informe e insignificante di intervalli se non fosse per gli accordi che sorreggono e determinano la condotta melodica. La condotta armonica del tema del Desiderio (ossia il famoso “accordo del Tristano”) acquista carattere motivico in proprio. Allo stesso modo, il motivo del Destino deve la sua inconfondibile fisionomia non tanto alla condotta melodica quanto al collegamento con una successione di accordi che ha l’evidenza inquietante dell’enigma. In altre parole, la condotta armonica (che se ascoltata autonomamente non avrebbe senso) scaturisce nel rapporto che intercorre tra il motivo melodico del tema del Destino e un contrappunto cromatico a suo modo integrato nel motivo stesso: affiora l’idea paradossale di un “motivo polifonico”.[2]
La prima rappresentazione del Tristano nel 1865 ebbe un effetto non indifferente sul pubblico dell’epoca. Rubens Tedeschi segnala che l’estetica del decadentismo europeo nacque in quel momento, sebbene all’interno di un processo che sarebbe accaduto anche senza il diretto intervento di Wagner. La “valanga intellettuale” investì letterati, pittori e musicisti preparando la ribellione della avanguardie novecentesche. Valgono tra tutte le parole di Giulio Confalonieri:
«Tristano non ha soltanto soddisfatto una sete e placato una febbre ormai brucianti nell’umanità intera, ma altresì infettato la musica di un bacillo che nulla, nemmeno le più moderne penicilline, sono ancor riuscite ad eliminare del tutto.»
Interpretazione
Wagner all’epoca del Tristano.
Si dice spesso che nel Tristano Wagner abbia voluto mettere in scena la filosofia di Schopenhauer. In effetti, in una lettera spedita a Franz Liszt nel dicembre del 1854, Wagner scrisse che l’incontro col grande filosofo gli aveva rivelato un “accorato e sincero desiderio di morte, la piena incoscienza, la totale inesistenza, la scomparsa di tutti i sogni, unica e definitiva redenzione”. Ma (come nota il critico Petrucci nel suo Manuale wagneriano), se così fosse, Tristano e Isotta avrebbero saputo dominare la loro passione. Schopenhauer insegna che per raggiungere la serenità occorre accettare la sofferenza e rassegnarsi alla concezione pessimistica dell’impossibilità del desiderio. Tristano è invece letteralmente divorato dal desiderio. L’esaltazione della notte – cantata per tutto il secondo atto come brama irrisolta di fuggire la luce del giorno e con essa la vacuità del reale – trova nella morte la sua naturale conseguenza in quanto liberazione. Una liberazione, dunque, non pessimistica rinuncia ma simbolo (per metà ascetico, per altra metà panteistico) di unione cosmica. Per questo motivo, Tristano era addirittura venerato dal filosofo Nietzsche, anche in virtù delle sue ideologie dell’ateismo: “Vorrei immaginare un uomo capace di ascoltare il terzo atto del Tristano senza il supporto del canto, come una gigantesca sinfonia, senza che la sua anima esali l’ultimo respiro in un doloroso spasimo”.
Schopenhauer e la filosofia della pace dei sensi saranno piuttosto trattati nel mistico Parsifal, che decretò l’allontanamento di Nietzsche dalla concezione wagneriana. A proposito del presunto ateismo del Tristano, vale la pena di segnalare un’osservazione di Antonio Bruers: “A chi giudicasse esagerato l’uso della parola ateo, dobbiamo rilevare un fatto che non si discute: in tutto il Tristano non è mai nominato Dio.”
Un altro dubbio circa il legame con Schopenhauer arriva da Thomas Mann: “Tristano si rivela profondamente legato al pensiero del Romanticismo e non avrebbe avuto bisogno di Schopenhauer come padrino. La notte è il regno di ogni romanticismo; scoprendola esso ha sempre identificato in lei la verità, in contrasto con la vaga illusione del giorno, il regno del sentimento in antitesi a quello della ragione”.
In effetti Tristano racchiude in sé la percezione di un mondo misterioso e fantastico in cui esprimere la propria “eterna eccezionalità”; racchiude l’inconsapevole ricordo di eventi passati e fondamentali; racchiude l’individuo che per comprendersi si isola dalla società. Cos’altro simboleggiano, per esempio, i favolosi castelli che Ludwig II eresse tra i monti della Baviera? Lo stesso Ludwig che, un’ora dopo aver assistito alla prima rappresentazione, decise di ritirarsi da solo nella notte, cavalcando nel bosco in preda ad una fortissima emozione. Allo stesso modo farà Zarathustra di Nietzsche, che per ritrovare se stesso si ritira sulla cima di una montagna. Siamo già molto lontani dall’eroe medievale del soggetto originale. L’eroe è stato trasferito dalla dimensione dell’amore cortese alla tenebrosa atmosfera degli Inni alla notte di Novalis.
Del resto, come sempre capita in Wagner, non è possibile non rintracciare alcune latenti allusioni politiche che tanto fecero discutere in seno alla Tetralogia. Già il poeta Hölderlin aveva decantato la “grande missione” della Germania, situata al centro dell’Europa e considerata come il “cuore sacro dei popoli”. In questa direzione, Tristano e Isotta potrebbero forse simboleggiare la verità intima che la forza del filtro magico ha saputo rivelare contrapponendola al resto del mondo, all’apparenza delle convenzioni sociali. Tali allegorie (che in futuro avrebbero contagiato pericolosamente la politica intesa come purezza dello spirito tedesco) si associano però al costante desiderio di annullamento nutrito dai protagonisti. Il loro desiderio non è deputato a risolversi nell’opulenza della vita materiale ma in un’altra dimensione, simbolo metafisico della vita più autentica e segreta. Questo è il vero dramma dei due amanti: l’impossibile conciliazione della dicotomia in cui sono costretti a vivere, divisi come sono tra anima e corpo, tra essenza e apparenza, come rivela il tormento allucinato di Tristano nel terzo atto, mirabilmente reso nell’incisione discografica di Wilhelm Furtwängler.
Tristano e Isotta non vivono un amore normale ostacolato dalle avversità come accade in Romeo e Giulietta, bensì inappagabile per sua stessa natura, condannato a vivere nel finito e soddisfabile solo nella morte. È la verità più profonda che gli amanti avrebbero taciuto reprimendola nel subcosciente. Non c’è da stupirsi, quindi (anche se per altri comprensibili motivi) che Cosima Wagner ironizzò riguardo l’amore intercorso tanti anni prima tra suo marito e Mathilde Wesendonck. Nel suo libro La mia vita a Bayreuth, Cosima scrisse: “Poverina, si spaventerebbe se sapesse cosa c’è nel Tristano!”
Trama
Antefatto
Per liberare la Cornovaglia da un ingiusto tributo imposto dagli irlandesi, Tristano ha ucciso il cavaliere Morold, patriota irlandese e fidanzato della principesse Isotta, figlia del re d’Irlanda. Ferito durante il combattimento, viene amorevolmente curato dalla stessa Isotta, la quale non conosce la sua identità. Soltanto il ritrovamento di un frammento della spada le fa capire di trovarsi davanti all’assassino del suo uomo; allora lo risparmia, facendosi promettere di sparire per sempre dalla sua vita. In seguito, Tristano infrange il giuramento e ritorna per portarla in sposa al Re di Cornovaglia, come pegno di riconciliazione tra i due paesi.
Atto I
Scena 1ª
La voce di un giovane marinaio si alza dal ponte di un vascello:
“Verso levante muove la nave, soffia il vento verso il nostro paese: e tu, bimba irlandese, dove rimani?…”
In rotta verso l’Inghilterra, Isotta sfoga la sua rabbia contro il giovane Tristano, cui la lega un confuso sentimento di amore e di odio. Lo fa chiamare affinché la venga a trovare ma Tristano, turbato, risponde di non poter abbandonare il timone della nave.
Scena 2ª
Isotta ricorda il passato, racconta alla sua ancella Brangania di essersi affezionata a un misterioso guerriero di nome Tantris, il giovane rimasto ferito nella battaglia, che lei raccolse curandone le ferite. In realtà, Tantris era Tristano, che presentandosi sotto falso nome era riuscito a scampare alla vendetta di Isotta grazie al suo sguardo supplicante.
“Con lucida spada mi presentai davanti a lui, per vendicare la morte di Morold. Dal suo giaciglio egli mi guardò: non sulla lama, non sulla mano, ma sui miei occhi egli alzò lo sguardo. Con mille giuramenti mi promise lealtà eterna ed ebbi pietà per la sua pena. Ma ben altro sfoggio fece Tristano di ciò che in me celavo. Colei che tacendo gli ridava la vita, colei che tacendo lo salvava dall’odio, tutto egli ha messo in mostra! Borioso del successo, mi ha additata quale preda di conquista. Sii maledetto, infame!…”
Reprimendo l’amore che li unisce, Isotta vorrebbe uccidersi con lui per cancellare l’affronto.
Scena 3ª
Tristano arriva e, in un impeto di rabbia, accetta di sacrificarsi con onore.
“La signora del silenzio, silenzio a me impone. Se comprendo ciò che ha taciuto, taccio ciò che non comprende.”
Entrambi credono di bere un potente veleno ma Brangania ha sostituito il veleno con un filtro d’amore. Nell’orchestra, ricompaiono i temi del Desiderio e dello Sguardo, che erano già apparsi nel preludio strumentale. Il loro sentimento si rivela con forza alla realtà, ogni incomprensione svanisce e il mondo circostante non ha più alcun significato. Quando lo scudiero di Tristano, Kurwenald, giunge ad avvertire dell’imminente incontro col Re, Tristano risponde: “Quale re?” ormai del tutto ignaro di ciò che sta avvenendo. Nel momento in cui la nave approda nel porto, Tristano e Isotta si gettano l’uno nelle braccia dell’altro.
Atto II
Scena 1ª
Nel giardino del castello di re Marke, durante la notte, Isotta attende l’arrivo di Tristano. Brangania la avverte del pericolo che stanno correndo, sapendo che Melot, amico di Tristano, ma innamorato segretamente di Isotta, potrebbe rivelare al Re l’amore clandestino della coppia. Isotta non le crede. Tristano si precipita in scena con un abbraccio travolgente.
Scena 2ª
Incomincia la lunga notte dei due innamorati che è la vera protagonista del dramma, è l’oscurità che circonda i due amanti e li riassorbe in un’originaria, individuale armonia. Dice Isotta:
“Chi là segretamente celai, come mi parve malvagio quando, nello splendore del giorno, l’unico fedelmente amato sparve agli sguardi d’amore, e quale nemico s’erse dinnanzi a me! Trascinarti voglio laggiù, con me nella notte, dove il mio cuore mi promette la fine dell’errore, dove svanisce la follia del presentito inganno.”
Dice Tristano:
“Su noi discendi, notte arcana! Spargi l’oblio della vita!… Quel che là nella notte vegliava cupamente richiuso, quel che, senza sapere e pensarci, oscuramente concepii – l’immagine che i miei occhi non osavano osservare, ferita dalla luce del giorno – mi si rivelò scintillante.”
”Gloria al filtro e alla sua forza! Mi dischiuse le vaste porte dove solo in sogno ho soggiornato. Dalla visione celata nel segreto scrigno del cuore, esso cacciò lo splendore ingannevole del giorno, sì che il mio orecchio, penetrando la notte, potesse vederla davvero.
“Chi amoroso osserva la notte della morte, a chi essa confida il suo profondo mistero: la menzogna del giorno, fama e onore, forza e ricchezza, come vana polvere di stelleinnanzi a lui svanisce!…Fuor dal mondo, fuor del giorno, senza angosce, dolce ebbrezza, senza assenza, mai divisi, soli, avvinti, sempre sempre, nell’immenso spazio!..”
Ma nel momento più impetuoso della passione, quando le voci e la musica vengono sospinte dal motivo della Felicità, improvvisamente l’incanto si spezza. Arrivano il Re, Melot e i cortigiani del castello, che circondano inorriditi la coppia degli amanti. Il tema musicale del Giorno avverso invade la scena. Sorge l’alba.
Scena 3ª
Melot, tradendo Tristano, presenta al Re la sua vittima. Il magnanimo re Marke si perde allora in un lungo monologo cantato sul tema del Cordoglio, addolorato per il comportamento di Tristano e rievocando le vicende che li unirono in passato.
“A me, questo? Perché? Chi mi è fedele, se il mio Tristano mi tradì?… Se non c’è redenzione, chi può spiegare al mondo tale cupo immenso abisso?…”
Ma Tristano, come trasognato, non può fornire alcuna spiegazione. “Ciò che tu domandi non potrai mai comprendere”, e si volge quindi verso l’amata:
“Dove ora Tristano s’avvia, vuoi tu seguirlo, Isotta? È terra buia, muta, da cui mia madre m’inviò, quando mi partorì dal regno della morte…”
Mentre Isotta lo bacia, Melot incita il Re a reagire. Tristano sfida l’amico a duello e si lascia cadere sulla sua spada. Cade ferito tra le braccia di Kurwenald.
Atto III
Scena 1ª
Il castello di Tristano nel terzo atto.
Tra le rovine del suo castello, accudito dal fedele Kurwenald, Tristano riprende lentamente conoscenza. Ferito nel corpo e nell’anima, egli ha delle allucinazioni. Ciò che desidera gli è negato e il pensiero di Isotta, simbolo di quel desiderio, lo travolge. Immobile sul letto la cerca, in preda al delirio la invoca:
“Kurwenald, non la vedi?!”
Ma l’orizzonte del mare è completamente vuoto. Tristano, allora, maledice il filtro magico che gli rivelò l’amore e la verità:
“Il terribile filtro, che m’ha votato al tormento, io stesso l’ho distillato! Nell’affanno del padre, nel dolore della madre, nel riso e nel pianto, ho trovato i veleni del filtro!”…
Sono pagine molto drammatiche, dove la musica rompe definitivamente con la tonalità tradizionale anticipando per la prima volta il sistema dodecafonico. Ma intanto la nave di Isotta è apparsa davvero all’orizzonte, salutata da un’allegra cantilena del corno inglese. Tristano è fuori di sé dalla gioia. Egli segue l’arrivo del veliero e manda Kurwenald a ricevere l’amata. Rimasto solo, si strappa le bende della ferita e si alza in piedi sanguinante:
“O sangue mio, scorri giulivo!… Lei, che un dì mi guarì le ferite, a me s’avvicina per salvarmi!… Possa il mondo perir, dinnanzi alla mia esultante fretta!”…
Isotta entra in scena. Sulle grandi note del tema del Giorno avverso, i due amanti si abbracciano. Sul tema dello Sguardo, Tristano esala l’ultimo respiro.
Scena 2ª
Mentre Isotta piange la morte di Tristano, un’altra nave approda al castello. Si tratta di re Marke che, venuto a conoscenza del filtro magico e dell’inevitabile verità, è accorso con Melot a chiedere perdono. Ma Kurwenald, furibondo per la morte del suo padrone, si scaglia contro di lui. Appena Melot arriva lo uccide in un colpo; resta ferito a sua volta e muore egli stesso accanto al corpo di Tristano. Il Re, addolorato, cerca di spiegarsi con Isotta ma lei, ormai, non lo ascolta più. Nel suo canto supremo, Isotta invoca la celebre Liebestod, la “morte d’amore” che riunirà i due amanti:
“Son forse onde di teneri zeffiri? Son forse onde di voluttuosi vapori? Nel flusso ondeggiante, nell’armonia risonante, nello spirante universo del respiro del mondo, annegare, inabissarmi, senza coscienza, suprema voluttà!”
Sulle note della Felicità, Isotta cade trasfigurata sul corpo di Tristano. Il Re benedice i cadaveri. Si chiude lentamente il sipario.
Casa Chopin e la vocazione per la bellezza- Il mistero del Notturno op. 72 n. 1.
Zecchini Editore Varese
Verità o mezza verità?
Fryderyk Chopin scrisse nel 1827, quando aveva 17 anni, una composizione di straordinaria bellezza che per ragioni sconosciute non diede mai alle stampe.
Il mistero del Notturno op. 72 n. 1.
Descrizione del libro su Fryderyk Chopin – La composizione del Notturno op. 72 n. 1.fu pubblicato solo dopo la sua morte , benché fosse evidentemente anteriore ai tre Notturni dell’op. 9, editi nel 1833 a Parigi. Il manoscritto però non è mai stato ritrovato e si ignora completamente il percorso che lo ha portato a finire nelle mani dell’amico Fontana, il quale ha curato per volere della famiglia la pubblicazione delle opere inedite, avvenuta nel 1855. Emilia è una sorella del compositore, dotata di una squisita sensibilità artistica, considerata una promessa della letteratura polacca, che fu stroncata dalla tubercolosi il 10 aprile 1827, non ancora quindicenne. La protagonista è Ludwika, un’altra delle sorelle (la terza è Izabela) che nel racconto sono depositarie di un segreto relativo a questa composizione. Il romanzo immagina la vicenda legata alla nascita di questo Notturno e suggerisce una prospettiva particolare dalla quale coglierne il significato. Allo stesso tempo disegna uno scenario che coglie alcuni momenti particolari della famiglia Chopin, profondamente legati alla vicenda umana e creativa dell’artista. Tutte queste figure, e tra esse la madre Justyna, sono unite, oltre che da un intenso legame famigliare, anche dalla comune vocazione per la Bellezza, che costituisce un altro filo conduttore della narrazione.
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