Quando si spegneranno i rossi falò della nostra vita ci toglieremo dalla fronte la ghirlanda delle feste con le foglie scompigliate e le rose cadenti, poi in silenzio scenderemo ai fiumi.
Al declinare del giorno ci fermeremo sulla loro sponda inseguendone con gli occhi la corsa, – loro, gli abbandonati e infinitamente orgogliosi della propria solitudine. E circonfusi dal rossore del crepuscolo commossi guarderemo, ed ecco arrivare fiori, fiori bianchi recati con tutti gli onori sul pelo dell’acqua – – rapiti dai margini di un giardino felice per scherzo a mezzogiorno.
Allora sapremo: davanti agli occhi ci è passata la nostra giovinezza. E quando il ricordo tramonterà dentro di noi s’allungherà, si scurirà una dolente ombra di salici sul nostro capo.
E tuttavia lassù sorgerà stella dopo stella sulla cima dei monti, santificando una notte grande ed estranea su di noi, e un vento serale ci toccherà gemendo come suonasse violini neri.
Avraham Ben Yitzhak
(Traduzione di Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen)
da “Avraham Ben Yitzhak, Poesie”, Portatori d’Acqua, 2018
Scritta verso la fine del 1909 e pubblicata per la prima volta in «HaShiloah» nel 1912.
SALMO
(Avraham Ben-Yitzhak, all’anagrafe Avraham Sonne)
Per pochissimi istanti capita che porti
in te l’anima come una goccia di cristallo:
un mondo pieno del suo sole e di sfumature rifratte,
un’orda di visioni e di parole tremanti;
là volgi gli occhi
come alla goccia di cristallo,
e tuttavia quel mondo teme di versarsi
non sopporta di essere riempito
e trema fino ai margini estremi…
ed ecco sei consegnato a tutta l’eternità.
LA NOSTRA NOSTALGIA
Così fu l’inizio della nostra nostalgia
come un ramo che fiorisce di fronte all’aurora
come fiori
come la vergogna di una terra intrisa di sale.
QUANDO IMPALLIDISCONO LE NOTTI
In queste bianche notti di sogno
sognate da un mondo stanco
il tempo silente ascolta il suo battito,
mentre le fonti giubilano
celebrando la propria essenza.
Passato e futuro si pacificano
una quiete eterna nel presente –
nel silenzio della tua vita
tacciono le stelle,
e un vento sgorga dall’eternità –
–e i tuoi occhi si spalancano.
Avraham Ben-Yitzhak / POESIE / Portatori d’acqua di Pesaro
Avraham Ben Yitzhak
Articolo di Marco Filoni, Il Venerdì, 25 dicembre 2018 –
Provate a immaginare un uomo, un poeta, che nell’arco della sua intera vita pubblica undici poesie. Undici poesie soltanto. Eppure questo corpus così esiguo acquisirà un’importanza eminente nel panorama mondiale. E il suo autore diventerà, suo malgrado, una grande figura romanzesca, quasi un culto a cui hanno tributato la loro venerazione alcuni fra gli intellettuali più blasonati del Novecento. Benvenuti nel paradosso del dottor Sonne. Che all’anagrafe si chiamava Abraham Sonne, come autore si firmerà col nome di penna Avraham Ben-Yitzhak ma poi, una volta dismessi i panni da poeta, sarà conosciuto da tutti come, appunto, “il dottor Sonne”. Nato in Galizia, allora periferia da basso impero (quello austro-ungarico), nel 1883, Sonne proveniva da una borghese famiglia ebraica. Schivo e riservato, si fece notare fin da giovane. Nella comunità ebraica del suo paesino natale, Przemysl, era in atto un forte scontro tra sionisti, che invocavano un ritorno degli ebrei in Palestina, e territorialisti, che puntavano all’insediamento anche in altri territori in parti diverse del mondo. Durante un dibattito, dopo che l’esponente di quest’ultima fazione, noto e carismatico, ebbe finito di esporre la sua tesi, un giovincello, sconosciuto a tutti, si alzò in piedi. Cominciò a parlare: in un tedesco elegante e ricco nello stile, si mise a confutare una a una tutte le tesi del relatore, rilevandone l’inconsistenza e l’irrilevanza, cintando a memoria dati, statistiche, esempi dalla storia degli insediamenti di altre nazioni, per poi proseguire – in un silenzio irreale che era calato nella sala – discettando di economia e di teoria politica fra lampi di genio e ironia folgorante. Tutti, ammutoliti, iniziarono a chiedersi chi fosse e da dove venisse quel diavolo d’un ragazzetto. Dietro quell’aria schiva albergava una grande promessa. Scriveva già poesie, accolte con stupore e grande, unanime plauso. Amici, conoscenti e lettori erano tutti d’accordo: sarebbe diventato un grande poeta. Ma lui, Avraham Ben-Yitzhak, avrebbe deluso tutti. Ripetutamente. All’età di quarantacinque anni aveva già smesso di scrivere. Il poeta scompariva per lasciare il posto alla leggenda: ad Avraham Ben-Yitzhak subentrava il dottor Sonne. Il primo prendeva posto sull’Olimpo delle lettere: gli erano bastate quelle undici mirabili composizioni per essere considerato il primo poeta in lingua ebraica dell’era moderna. Il secondo cominciò a sedersi, tutti i giorni, al Cafe Museum di Vienna col suo sguardo ascetico e il viso emaciato, sorprendentemente identico a quello dello scrittore Karl Kraus, tanto da sembrarne il gemello. E da lì, quest’uomo così riservato ma dotato di un carisma singolare, che aveva scritto poco e controvoglia, impressionava – per la sua erudizione, il suo spirito e soprattutto per i suoi silenzi epici intellettuali come Hermann Broch, Elias Canetti, James Joyce, Soma Morgenstern, Arthur Schnitzler, Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal, il musicista Arnold Schönberg, il pittore Georg Merkel. Ora finalmente in Italia arriva un libro, splendido, che raccoglie questa vicenda biografica, le poesie e tutti gli abbozzi e frammenti ritrovati: lo pubblica la giovane casa editrice Portatori d’acqua di Pesaro, nell’ottima cura di Anna Linda Callow e Cosimo Nicolini Coen. Il libro contiene fra l’altro la testimonianza della poetessa israeliana Lea Goldberg, amica di Sonne, la quale rivela qui per la prima volta notizie inedite su di lui. Non sono soltanto le sue poesie in ebraico ad aver contribuito alla costruzione del “mito”: versi di rara bellezza, distillati con perizia e grazia inedite. Il vocabolario attinge alla Bibbia e i componimenti trattano principalmente della natura – non sarebbe peregrino andare a cercare proprio qui la scintilla che balenò nella mente di Walter Benjamin quando formulava il concetto di “natura mute”. Poesie di una chiarezza di pensiero cristallina e sbalorditiva, che Canetti definì “glaciale”: «È la chiarezza di chi, dovendo molare vetri trasparenti, non è contento finché non scompare ogni macchia opaca». Come scrive Lea Goldberg: «Fu il primo poeta ebraico, il cui orologio non indicava l’ora soltanto agli ebrei, ma scandiva il tempo della letteratura mondiale». A partire dagli anni Venti non volle più sapere nulla delle sue poesie: non ne parlava e, anzi, ricordarle gli causava sofferenza e disprezzo, come se fossero un passato dal quale si era definitivamente congedato. Il fatto è che ogni persona che ebbe la buona sorte di frequentarlo ne rimase così tanto affascinata da eleggerlo a modello irraggiungibile. «Anche per lei il dottor Sonne è stato quello che è stato per me? La persona più importante della mia vita?», chiederà Elias Canetti a Goldberg nel 1951, dopo la morte del poeta. Secondo Canetti Sonne «sapeva tutto, ma non teneva niente per sé come proprietà personale. Aveva letto tutto, ma non l’ho mai visto con un libro in mano. Era lui stesso la biblioteca che possedeva. Dava l’impressione di aver già letto da tempo tutto ciò di cui si parlava». Conosceva la Bibbia al punto da poterla recitare a memoria, in ebraico, interamente, dall’inizio alla fine e parola per parola, senza mancare nemmeno un’intonazione. Un giorno sedeva a un bar con Lea Goldberg e alla radio diedero una notizia su Königsberg. A Sonne venne in mente Kant, che lì era nato e vissuto. «Ricordi quanto è bello il trattato di Kant Per la pace perpetua?», chiese all’amica. E iniziò a declamarlo, in tedesco, a memoria. La sera, rientrata, l’amica curiosa prese il libro di Kant per verificare: aveva recitato intere pagine di prosa senza tralasciare una sola parola. Questo era il dottor Sonne: un uomo coltissimo di fronte al quale si avvertiva «quella superiorità intangibile», secondo Canetti, che faceva sì che «quando aveva esaurito un argomento ci si sentiva illuminati e appagati, era una pagina chiusa, qualcosa su cui non si ritornava più perché non ti sarebbe stato nient’altro da dire». Poteva parlare con rigore e sapienza delle cose più banali – che si trattasse di miele, vino, tessili, pellame o del modo di affumicare il pesce – con una precisione stupefacente, come se non si fosse occupato d’altro in tutta la sua vita. Ecco allora ancora Canetti, definitivo: «Ciò che Sonne aveva da dire non era un giudizio sulle cose, era la legge delle cose». Lasciò l’Austria nel 1938 per quello che sarebbe poi diventato lo Stato di Israele. E qui visse fino al 1950, quando morì di tubercolosi, all’età di sessantasei anni, in una casa di cura vicino a Tel Aviv. Negli anni Trenta aveva visto prima e meglio di tutti quanto stava per accadere: aveva previsto la guerra con tutto il suo carico di morte e sangue – come un profeta, ma a differenza dei profeti non voleva aver ragione annunciando il peggio, anzi «avrebbe dato tutto, fino all’ultimo dei suoi respiri, per non aver ragione». E per molti, come per Canetti, fu una sorta di messia, giunto per redimere dal male. E, ancora un paradosso, lo faceva ammaliando tutti con il silenzio. I suoi silenzi, lunghi, arrivavano all’improvviso e, come ricorda Goldberg, «avevano il potere di zittire una brigata di persone particolarmente esuberanti». Una volta, durante uno di questi momenti di silenzio duro e renitente, l’amico Asher Beilin se ne uscì fuori, fulminante «Bene, adesso magari possiamo tacere su un altro argomento?».
Articolo di Marco Filoni, Il Venerdì, 25 dicembre 2018
Poesie di Nina Cassian tra le più importanti autrici romene del Novecento-
Nina Cassian
Nina Cassian-Renée Annie Cassian-Mătăsaru nacque a Galați, Romania il 27 novembre 1924 e morì a New York il 15 aprile 2014. Fu poetessa, scrittrice e traduttrice.
Studiò Belle Arti e Filologia presso l’Università di Bucarest. Il suo interesse per la poesia si sviluppò presto, e il suo esordio letterario risale agli anni ’40. Le sue prime opere furono influenzate dal surrealismo e da tematiche sociali. Tuttavia, con il passare del tempo, il suo stile si evolse e divenne sempre più personale, esplorando temi come l’amore, l’identità e la condizione umana.
Nel corso della sua carriera, Nina Cassian pubblicò numerose raccolte di poesie, acquisendo una reputazione distintiva all’interno della scena letteraria romena. Tra le sue opere di poesia citiamo Dialogul vântului cu marea (“Dialogo del vento col mare”, 1957), Destine paralele (“Destini paralleli”, 1967) e Numărătoarea inversă (“Conto alla rovescia”, 1983).
Nina Cassian fu anche un’abile traduttrice, portando opere di poeti stranieri come William Shakespeare, Samuel Beckett e T.S. Eliot in lingua romena. Questo contributo alla letteratura mondiale consolidò la sua posizione nel panorama culturale.
Tuttavia, la sua attività artistica la portò ad essere perseguitata dal regime comunista romeno. Nel 1985, dopo aver criticato apertamente il regime, si trasferì negli Stati Uniti, dove visse in esilio. Negli USA, continuò la sua produzione poetica, pubblicando nuove raccolte, tra cui Take my word for it del 1998, e proseguendo l’attività di pittrice.
Nina Cassian
Dopo essersi affermata in patria come poetessa e scrittrice, oltre che musicista e illustratrice di libri, nel 1985 è stata costretta a chiedere asilo politico in USA, dove ha vissuto il resto dei suoi giorni, poichè era stata presa di mira dalla Securitate, la polizia segreta del dittatore Ceauşescu, per aver trascritto alcune sue strofe compromettenti nel diario di un amico dissidente.
La stessa Cassian, che in una sua lirica scriverà, “pur se verrò sepolta in una terra aliena, risorgerò un giorno nella lingua romena”, ricorda così il periodo in cui maturò all’improvviso la dolorosa decisione di riparare oltreoceano:
“Sono partita nel settembre 1985. Avevo ricevuto un invito per insegnare Poesia alla New York University. Cinque mesi in tutto. Avevo solo un cappotto, pantaloni, maglioni e qualcosa di più elegante per Natale e Capodanno, che avrei trascorso a New York. Non avevo nemmeno una maglietta o un vestito estivo con me. A novembre ricevo una telefonata da Chicago, dalla figlia di George ‘Babu’ Ursu, che mi dice che suo padre è morto. Come sappiamo oggi, è stato ucciso in prigione, percosse. Ricevo poi un’altra chiamata, questa volta da una parente di Iordan Chimet, che mi consiglia di non tornare indietro.”
Nina Cassian
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SERENO
(Nina Cassian, pseudonimo di Renée Annie Cassian-Mătăsaru)
Sarà un tempo sereno, un tempo da inni.
Con un sol gesto l’aria fenderò,
pronuncerò solo parole immacolate.
Dirò “cielo”, “fonte”, dirò “sole”
e “lacrima” e “musica”, “immunità”.
Sarà il tempo in cui il mio ricordo
non sarà sfiorato da eco di massacri
ma da aliti soavi di poesia
ché a volte anche il sangue alita.
Di tutto quel che un tempo era promiscuo
conservo solo il sacro e mossa al perdono
loderò i contrasti perdonanti.
Dirò “cielo” e “sole” ma anche “musica”
e sarà “sole”, “musica” e “cielo”
intorno a me e intorno al mondo.
Le vocali assumeranno, naturali, la loro gloriosa aureola.
E verrà il tempo sonoro, scintillante,
un tempo solenne e puro, un tempo da inni
e verrà un giorno il tempo! Oh se verrà!
C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007 (Adelphi, 2013), trad. it. A. N. Bernacchia, O. Fatica
POESIA
Da questa matita si diparte una strada di grafite
e sulla strada passeggia una lettera, come un cane,
ed ecco una parola come una città abitata
dove forse arriverò domani.
SE TU POTESSI VIVERE
Se tu potessi vivere
le ore del tè, del caffè,
il tintinnio indolente delle tazze,
se potessi concepire le soavi ore ramate
nel pomeriggio di una vecchia famiglia di un secolo vecchio
che si è crogiolato in una memoria romantica,
se potessi non spaventarti quando
nella tazza colma di tè vedi il tuo volto
dalla fiamma dell’inferno intensamente illuminato.
C’è modo e modo di sparire
Ho creduto
di essere facilmente riconoscibile
dal mio leggiadro anulare
(ora tutto ingobbito)
e dal cane piumato
che mi accompagna.
Ho creduto di poter essere
una nappina appesa al Suo abat-jour,
Donna Decrepitudine.
La sabbia rosicchia la mia sagoma.
Scompaio,
divengo con lei una cosa sola.
C’è modo e modo di sparire (Adelphi, 2013), cura e traduzione di O. Fatica, A. Bernacchia
Volevo restare a settembre
sulla spiaggia pallida e deserta,
volevo caricarmi di cenere
delle mie volubili gru
e che il vento grave dormisse
come acqua nelle reti fra le chiome;
volevo una notte accendermi
una sigaretta più bianca della luna
e intorno a me – nessuno, solo il mare
con la sua forza grave e latente;
volevo restare a settembre,
presente al trascorrere del tempo,
una mano fra gli alberi e l’altra
nella sabbia canuta – e scivolare
nell’autunno insieme all’estate…
Ma a me sono stati prescritti,
è chiaro, più penosi abbandoni.
Mi è toccato strapparmi a paesaggi
a cuore impreparato
e mi è toccato lasciare l’amore
quando ancora amare vorrei…
C’è modo e modo di sparire (Adelphi Edizioni, 2013) trad. it. A. N. Bernacchia
Nina Cassian
Preghiera
Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
– resuscitami.
La tentazione
Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.
Nina Cassian
Ginnastica mattutina
Mi sveglio e dico: sono perduta.
È il mio primo pensiero all’alba.
Comincio bene la giornata
con questo pensiero assassino.
Signore, abbi pietà di me
– è il secondo, e poi
scendo dal letto
e vivo come se
nulla mi fosse accaduto.
Ermetica
Se ci fosse un luogo dove conficcare un altro grido
quale potrebbe essere, la roccia o il mare
o l’occhio dell’uccello della notte, fisso e tondo, duro come la pietra,
giallo come la luna?
Ah, tutto è impenetrabile.
E il grido viene fuori dalla bocca
pendulo come la lingua dell’impiccato.
Articolo di Daniele Piccinini- Nina Cassian, una nuova genesi per il mondo –Fonte-Famiglia Cristiana-
13/06/2014 Viaggio nell’universo poetico della romena, in “esilio” negli Stati Uniti, una enciclopedia del ‘900 che tenta di immaginare la realtà a partire dall’esistente, fino alla preghiera finale: «Resuscitami».
L’esilio è per la poesia come una nutrice austera. In esso i fuochi della lingua materna brillano più chiari, il mondo diventa un unico grandioso mistero. Anche Nina Cassian, romena, si è abbeverata a questa fonte oscura, ricavandone una densa lezione. La sua poesia era già ampiamente formata quando il tema del non-ritorno, della fuoriuscita è venuto a visitarla.
Nel 1985 era in viaggio negli Stati Uniti: allora nella sua Romania le rivelazioni di un dissidente arrestato e torturato la mettono in pericolo e la rendono un possibile bersaglio del regime. Così decise di non tornare indietro. Da allora è vissuta negli Stati Uniti, fino alla recente scomparsa (aprile 2014), esprimendosi dunque in romeno e in inglese («Solo un sibilo bilingue» dice della sua lingua) oltre che nelle parole inventate dello spargano.
C’è modo e modo di sparire, suona il titolo della scelta di testi presentati al lettore italiano (C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007, a cura di Ottavio Fatica, Adelphi, pp. 304, euro 25,00). Nata nel 1924, la Cassian ha attraversato il secolo (che come Caproni vedeva ferito: «Ma non guarisco dalla ferita del secolo, dalla ferita del mondo»), anzi la sua poesia sembra per molti aspetti una specie di enciclopedia del Novecento, non solo letterario, ma anche artistico, a partire almeno dal surrealismo. Colori, pensiero, forme sembrano attinti a un unico misterioso bulicame caotico e zampillante (non per nulla la poetessa parla di un’«apocalisse ilare»): si tratta insomma, novecentescamente, di rifare il mondo, di immaginarlo a partire dall’esistente, rovesciando e inclinando le categorie, mescolando sogno e veglia, visione e vista.
Come nota Ottavio Fatica, curatore del volume e traduttore dei testi scritti in inglese (quelli in romeno sono tradotti da Anita Natascia Bernacchia), c’è prima di tutto un vasto bestiario nei versi della Cassian: dal cucciolo di squalo alla tigre con gli occhi gialli, dallo scoiattolo al mite asino. Quasi mai naturalistici in senso stretto, questi animali sono l’alfabeto di un universo da rifare. Infatti si tratta, come dice la poetessa, di «giocare alla Genesi», «perché qui come altrove tutto si rimescola».
Anche la musica entra nella nuova creazione, nel caotico convergere delle specie e delle arti (la Cassian si è anche dedicata a comporre musica e a dipingere): più che verso un’ampia sonata (si veda la lunga poesia su Bach), la Cassian ha tuttavia il respiro del testo medio e breve e soprattutto di quello epigrammatico, fino a sconfinare nell’aforisma. Lì sa dare il meglio del suo guizzo inventivo e arioso, con un tocco che ha forse qualche punto di contatto con la grande polacca Szymborska (sua quasi coetanea), nell’ironia, nella leggerezza, anche se intrise qui di onirico e magari di macabro.
Come non molti poeti moderni (viene in mente da noi il versante giocoso di Sanguineti) la Cassian gioca a farsi l’autoritratto, ne sorride (specie parlando del proprio naso), si diverte nell’autocaricatura, che è di nuovo, però, una ricetta di poesia all’insegna della commistione, dell’impurità, dell’invenzione fantastica e dell’antiretorica: «Mi è toccato questo volto strano, triangolare, / questo pan di zucchero o questa / polena degna di navi corsare / e capelli lunghi, lunari, sulla cresta. // Mi è toccato portare in giro un aggressivo contorno / errabondo da mane a sera che spesso / squarcia la retina di chi mi sta dintorno / quando proietto alla parete il mio incongruo essere». Così recitano le prime due quartine di Autoritratto, mentre la terza, la penultima, aggiunge: «A chi appartengo? Mi rinnegano antenati e genitori. / Temporaneamente alleate mi rinnegano le razze, / i bianchi, i gialli, i rossi e i neri. / Neppure la specie mi riconosce tutta d’un pezzo».
Invenzione e scherzo non tolgono serietà alla parola poetica, anzi ne sono il contraltare e la conferma, essa che è tutta protesa a «rendere felicità e dolore gradini della conoscenza».
La poesia, che imprigiona il mondo per ansia di conoscerlo e ricrearlo, ha un suo aldilà, può tentare – ancora alla Caproni – una preghiera paradossale ma non troppo («Se esisti per davvero – fatti avanti»), si tende da giovinezza a decrepitudine fino a un’ombra, un’idea di resurrezione. Da parola a parola, da soffio a sibilo, la poetessa arriva a pensare di risorgere nella lingua materna; a chiedere nella sua non convenzionale preghiera «- resuscitami»
Traduzione di Anita Natascia Bernacchia, Ottavio Fatica
A cura di Ottavio Fatica
SINOSSI
Ultima figura emblematica di una ormai classica tradizione modernista, erede e testimone di quel fecondo ambiente romeno di cui facevano parte Brâncusi e Tzara, Ionesco, Eliade e Cioran, e come loro inevitabilmente esule, Nina Cassian ha percorso un tragitto artistico e umano singolare come la sua persona. Nel 1985, già titolare di una lunga carriera di successo (con qualche strappo al morso del regime), durante un soggiorno negli Stati Uniti finisce nel mirino della polizia, che ha scoperto certi suoi testi a dir poco caustici contro la politica e i politicanti del Paese: decide allora di non tornare in patria e chiede asilo politico. Qui, sostenuta e tradotta da vari poeti americani, rinasce a nuova vita. E la scelta, la riproposta, la traduzione, a volte la vera e propria ricreazione delle poesie romene precedenti l’esilio, nonché la stesura di nuovi componimenti – in romeno prima, e dopo qualche anno anche in inglese –, alimenteranno un corpus che non ha riscontri, né rivali, nell’odierno panorama poetico internazionale. Si avvertono, nella voce della Cassian, echi ravvicinati di tutta la più nobile stagione del Novecento: da Mandel’štam a Cvetaeva, da Apollinaire a Brecht a Celan, e si potrebbe risalire fino a Emily Dickinson, «sublime sorella», o anche più indietro, all’amoroso furor saffico. Il timbro è unico: diretto, spudorato, strenuamente lirico, a tratti disarmante, a tratti sornione, arguto e brutale al tempo stesso – e nudo, sempre, e sempre seducente. Si passa dalle punte epigrammatiche avvelenate ai voli pindarici sulle ali d’organo di un Bach – non per niente la Cassian compone musica: e dipinge, disegna, illustra libri anche per l’infanzia, spesso scritti da lei –, e ogni volta queste poesie, come ha scritto Vittorio Sermonti, ci riguardano da vicino, «sconvenientemente».
Tra il 1926 e il 1935 vive e studia a Brașov, successivamente si trasferità a Bucarest dove terminerà gli studi liceali. Nella capitale inizia a frequentare corsi di recitazione con l’attrice Beate Fredanov, la scuola di pittura diretta dall’artista M.H. Maxy e studiare il pianoforte con il musicista Constantin Silvestri.
Nel 1943 sposa lo scrittore Vladimir Colin da cui divorzierà nel 1948, per sposarsi con il critico letterario Al. I. Stefanescu.
Nel 1944 si iscrive alla Facoltà di Lettere e Filosofia, ma non completerà mai gli studi universitari. Nel 1945 pubblica la sua prima poesia sul giornale România liberă, seguita a due anni di distanza dal volume La scară 1/1, opera stilisticamente vicina all’espressività delle avanguardie artistiche e per questo definita decadente dalla critica ufficiale comunista.
Negli anni successivi aderirà allo stile imposto dal regime scrivendo versi encomiastici verso il regime comunista e i suoi leader. A questo periodo risalgono le raccolte Sufletul nostru (1949), An viu – nouă sute și șaptesprezece (1949), Tinerețe (1953), Florile patriei (1954) e Versuri alese (1955). Solo nel 1957 con i volumi Vârstele anului e Dialogul vântului cu marea
La poetessa riapproderà a una poesia svincolata dalla celebrazione ideologica del regime comunista. Negli anni successivi si dedicherà a un’intensa attività poetica e alla produzione di libri per bambini. Nel 1969 riceve il Premio dell’Unione degli Scrittori di Romania.
Nel 1985 è invitata negli Stati Uniti a tenere un corso di “Creative Writting” all’Università di New York e decide di non rientrare più in Romania. Ha vissuto a New York fino alla morte, avvenuta il 15 aprile 2014, all’età di 89 anni, a seguito di un attacco cardiaco[1].
Opere
La scara 1/1 (“Scala 1/1”), 1947
Sufletul nostru (“La nostra anima”), 1949
An viu, nouă sute şi şaptesprezece (“Anno vivo, novecento e diciassette”), 1949
Horea nu mai este singur (“Horea non è più solo”), 1952
Tinereţe (“Gioventù”), 1953
Versuri alese (“Versi scelti”),1955
Vârstele anului (“Le età dell’anno”), 1957
Dialogul vântului cu marea (“Dialogo del vento col mare”), 1957
Spectacol în aer liber – o monografie a dragostei (“Spettacolo all’aperto – una monografia dell’amore”), 1961
Numărătoarea inversă (“Conto alla rovescia”), 1983
Blue Apple, trad. in inglese di Eva Feiler, New York, 1981;
Lady of Miracles, versi, trad. di Laura Schiff, Bucarest, 1982;
Numărătoarea inversă, versi, Bucarest, 1983;
Jocuri de vacanță, versi e prosa, Bucaresti, 1983;
El sangre, trad. in spagnolo di Mihaela Rădulescu, Bucarest, 1983;
Lady of Miracles, trad. di Laura Schiff, Berkley, 1988;
Call Yourself Alive?, versi, trad. in inglese di Brenda Walker e Andreea Deletant, Londra, 1988 (II, 1989);
Life Sentence. Selected Poems, New York & London, 1990 (Trad.: Richard Wilbur, Stanley Kunitz, Carolyn Kiser, Nina Cassian, Andreea Deletant, Petre Solomon, Cristian Andrei etc);
Cheerleader for a Funeral, Trad. da Brenda Walker con l’autrice, London & Boston, 1992;
Cearta cu haosul, versi e prosa (1945-1991), Bucarest, 1993;
Iannis Ritsos, A patra dimensiune, Bucarest, 1964;
D. Rendis, Poezii, Bucarest, 1966;
B. Brecht, Versuri, Bucarest, 1966;
Christian Morgenstern, Cântece de spânzurătoare, Bucarest, 1970;
Paul Celan, Versuri, in collaborazione con Petre Solomon, Bucarest, 1973;
H. Kahlau, Fluxul lucrurilor, Bucarest, 1974;
Moliere, Femeile savante, Bucarest, 1974;
E. Guillevie, Poemi, Bucarest, 1977;
I. Manger, Balada evreului care a ajuns de la cenușiu la albastru, trad. in collaborazione con I. Bercovici, Bucarest, 1983.
Traduzioni in lingua italiana
C’è modo e modo di sparire. Poesie 1945-2007, Milano, Adelphi, 2013. A cura di Ottavio Fatica. Traduzioni dal romeno di Anita Natascia Bernacchia; traduzioni dall’inglese di Ottavio Fatica.
Iarna (inverno), Caltanissetta-Roma, S. Sciascia, 1960, versione a cura di Antonino Uccello.
Poesie scelte, in L’immaginazione, n. 246/2009 (Manni Editori), traduzione di Anita Natascia Bernacchia.
Il sangue; La tentazione; Cedere il posto agli anziani e agli ammalati; Mi tagliano in due; Il mio dialogo con la dittatura, in Il vizio di leggere di Vittorio Sermonti, Rizzoli, 2009, ISBN 88-17-03298-0 traduzione a cura di Anita Natascia Bernacchia.
David Copperfield di Charles Dickens –Articolo di Giovanni Teresi-
David Copperfield è l’ottavo romanzo dello scrittore inglese Charles Dickens e rientra nei romanzi sociali . L’opera, inizialmente, è stata pubblicata a puntate mensili tra il 1849 e il 1850 con il titolo originale The Personal History, Adventures, Experience and Observation of David Copperfield the Younger of Blunderstone Rookery (Which He Never Meant to Be Published on Any Account).
É il romanzo più popolare ed autobiografico di Dickens.
Charles Dickens -David Copperfield
David Copperfield, dopo la morte della madre, lascia Blunderstone per Londra. Mr Murdstones, il patrigno, lo obbliga ad andare a lavorare al magazzino di vini di Murdstone and Grimby. All’ età di dieci David diventa un piccolo apprendista. Egli lavora insieme con altri tre o quattro ragazzi che lavorano sotto il controllo di un supervisore adulto. David descrive la miseria e la sporcizia del posto di lavoro. Così, sotto la sferza del tirannico maestro Creakle e la fatica del lavoro in fabbrica, sperimenta presto la durezza della vita.
Ma grazie alle cure della bizzarra zia Betsey, che lo aiuta a sistemarsi presso l’avvocato Wickfield e a terminare gli studi, David scoprirà la propria vocazione letteraria e riconquisterà il suo rango borghese. Impareggiabile nel raccontare paure ed emozioni dell’universo infantile, Dickens sfodera doti di acuto osservatore nel disegnare la galleria di tipi umani che ruota attorno al protagonista: da Mr. Micawber, sempre sull’orlo del fallimento ma capace del più genuino entusiasmo, all’ammirato compagno di studi Steerforth, che rivelerà da adulto la sua natura spregiudicata e viziosa, al servile e viscido Uriah Heep, il cattivo della storia. Alla fine del diciannovesimo secolo il lavoro minorile e le dure condizioni erano considerate una cosa normale e i piccoli lavoratori erano sottoposti a grossi rischi. Ma David non può esprimere la segreta agonia della sua anima. Egli vede il futuro in modo negativo e non ha speranza: nessuna possibilità di crescere e di distinguersi come individuo. La miseria del suo lavoro e la sua condizione sociale soffocano i suoi sogni e le sue aspettative.
Con geniale esuberanza il romanzo intreccia commedia e tragedia sullo sfondo di una Londra prototipo della metropoli moderna e tetra incubatrice di miseria, solitudine, crimine.
Charles Dickens miscelando insieme una buona dose di dramma ma anche di ironia, riesce a trasmettere al lettore una miriade di emozioni, che passano dalla tristezza, alla gioia, dalle risate alle lacrime, dalla rabbia ai sospiri. Insomma, immergersi tra le pagine di David Copperfield equivale a vivere un vero e proprio viaggio non solo in un’epoca passata, ma anche in sensazioni molto forti, che rendono la lettura un’esperienza completa e piena.
Biografia-Charles Dickens, secondo di otto figli, nasce a Portsea, il 7 febbraio 1812. È considerato uno dei maggiori autori inglesi del suo secolo, ed è ritenuto dalla critica il “fondatore” del romanzo sociale, che tratteggia la vita dei ceti sociali economicamente svantaggiati e denuncia situazioni di sopruso e pregiudizio.
Nel 1815, quando Charles ha tre anni, la famiglia si trasferisce a Londra. Due anni dopo, un nuovo trasferimento, stavolta a Chatham, nel Kent. Passa il tempo libero all’aperto impegnato in voraci letture. Più tardi racconterà delle sue vivide memorie riguardanti l’infanzia e della particolare memoria fotografica che lo aiutò a dar vita alle sue finzioni. Nel 1823, la famiglia Dickens, assai impoverita, è costretta nuovamente a trasferirsi a Camden Town, allora uno dei quartieri più poveri di Londra.
All’età di quindici anni entra nello studio legale Ellis & Blackmore come praticante. Nel frattempo, comincia a frequentare i teatri londinesi, assistendo a diversissimi generi, dalle tragedie shakespeariane alle farse e alle operette musicali.
Nel 1832 inizia a collaborare con alcuni quotidiani, come cronista.
Nel 1836, in aprile, comincia in dispense mensili a pubblicare sul Morning Chronicle il primo romanzo. Il romanzo s’intitola I quaderni postumi del Circolo Pickwick (The Posthumous Papers of the Pickwick Club): il libro lo rende in breve assai famoso nel panorama della narrativa inglese.
A gennaio del 1837, con il primo numero della rivista Bentley’s Miscellany, esce la prima puntata di Oliver Twist.
Tra il maggio 1849 e il novembre 1850 viene pubblicato, a cadenza mensile su un giornale di proprietà di Dickens, il romanzo David Copperfield; l’idea di un’opera scritta in prima persona fu suggerita allo scrittore dall’amico e confidente John Forster. Nell’opera a fondo autobiografico si possono riconoscere personaggi e situazioni che lo stesso Dickens aveva conosciuto e vissuto in prima persona.
Muore il 9 giugno 1870.
Il 14 giugno è sepolto nell’abbazia di Westminster, nella quale la sua salma viene portata da un treno speciale, nell’angolo dei poeti (Poets’Corner).
Canto di Natale è stato scelto come libro della gara di lettura delle scuole medie per l’anno scolastico 2013/2014.
BIBLIOGRAFIA SINTETICA
Le avventure di Oliver Twist David Copperfield Grandi speranze Canto di Natale
Charles Dickens
Charles Dickens: biografia
Charles Dickens nasce a a Portsmouth nel 1812. La sua famiglia non lo favorisce negli studi. I nonni paterni erano stati domestici presso famiglie della nobiltà: il nonno materno, colpevole di appropriazione indebita, era fuggito per sottrarsi all’arresto. Nel 1824 il padre, un modesto impiegato con abitudini superiori alle sue possibilità, viene rinchiuso per debiti nelle carceri londinesi di Marshall sea ed il piccolo Dickens è costretto a interrompere gli studi. Lavora per sei mesi in una fabbrica di lucido per scarpe. Anche dopo la scarcerazione del padre, la madre lo fa continuare a lavorare. Una precoce esperienza di miseria, umiliazione e abbandono, che lo segna in modo irreparabile. Dopo un’istruzione sommaria, lavora come commesso in uno studio legale, poi come cronista parlamentare e collaboratore di giornali umoristici.
CHARLES DICKENS RIASSUNTO VITA – Grazie a “Il circolo Pickwick”, il ventiseienne Dickens diventa di colpo uno scrittore di successo. La sua popolarità aumenta con i romanzi successivi, usciti a dispense mensili, con le conferenze, gli spettacoli teatrali da lui organizzati, in cui Dickens si esibisce anche come attore. Tra il 1837 e il 1839 abita al 48 di Doughty Street (Londra). S’impegna in una prolifica attività creativa, scrivendo anche due romanzi alla volta, ma senza mai perdere il gusto per la convivialità. Nel 1846 fonda il quotidiano “Daily News”, che dura meno di un anno. Nel periodo tra il 1850 e il 1859 è direttore del mensile “Household Words”. Innamoratosi della giovanissima Ellen Ternan, nel 1858 si separa dalla moglie da cui aveva avuto dieci figli. Una nuova relazione, poco fortunata. Muore a Gad’s Hill [Kent] nel 1870.
Il Circolo Pickwick: riassunto
Il romanzo si sviluppa come il resoconto dei viaggi che Samuel Pickwick, fondatore dell’omonimo circolo, compie con gli amici Nathaniel Winkle, Augustus Snodgrass e Tracy Tupman, in Inghilterra all’inizio dell’Ottocento. Pickwick vuole studiare le persone che incontra e descriverne abitudini e caratteristiche. All’inizio del viaggio il gruppo di amici viene notato da Jingle e dal suo domestico Job Trotter, due delinquenti che riescono a ingannarli e a metterli nei guai. L’episodio più importante del romanzo è l’incontro con Mr. Wardle, un gioviale e ricco gentiluomo, che nel corso della storia Pickwick ed i suoi amici torneranno spesso a trovare. Snodgrass si innamora di Emily, figlia di Wardle; Winkle di Arabella, amica di Emily e Tupman dalla sorella di Wardie, Rachel. Quest’ultima viene ingannata da Jingle, che la sposa per la sua dote e poi fugge con lei. Ma Pickwick e Wardle riescono a trovarli e a convincere Jingle a lasciar stare la signora. Pickwick conosce Sam Weller, un onesto lustrascarpe, che diventa suo domestico ed un grande amico. Pickwick deve anche affrontare una causa legale mossa dalla sua governante per una mancata promessa di matrimonio. Dopo un periodo trascorso in prigione, riesce ad uscire e tutto si risolve per il meglio.
Oliver Twist: riassunto
Storia di un orfano, che prima viene segregato in un ospizio di mendicanti e poi è costretto a vivere tra ladri e prostitute. Tutto inizia in un paesino dell’Inghilterra nel XIX secolo, con una vagabonda che muore dando alla luce un bambino, il cui nome sarà Oliver Twist.
Fino all’età di nove anni, il bambino resta in orfanotrofio ma la fame e le continue punizioni lo spingono a fuggire. Arriva a Londra e fa casualmente conoscenza con un giovane che approfitta della sua ingenuità per introdurlo in una banda di ladruncoli capeggiata dall’ebreo Fagin. Un giorno i borsaioli derubano un vecchio gentiluomo, il signor Bronlow. Oliver fugge inorridito, ma, scambiato per il vero ladro, viene arrestato. Bronlow lo discolpa e lo ospita a casa sua, ma per ordine di Fagin, che aveva paura delle possibili rivelazioni che Oliver poteva fare, Sikes lo scassinatore e la sua amante Nancy riprendono il ragazzo. Così Oliver, costretto nuovamente a fare il ladro, partecipa ad un un furto. Ma il colpo va male e Oliver è ferito ad una spalla da un colpo di pistola. Lo salvano la signora Maylie con la nipote adottiva Rose. Grazie a loro il ragazzo ritrova fiducia e salute. Fagin intanto cerca Oliver insieme a Monks, un altro scagnozzo che sembra avere un odio particolare per il ragazzo. Nancy, che è sempre stata buona con Oliver, avverte Rose Maylie del complotto che Fagin sta tramando contro di lui.
Il tradimento della ragazza viene scoperto e Sikes la uccide. L’assassino, costretto a nascondersi, viene rintracciato e mentre tenta di fuggire rimane accidentalmente impiccato. Il signor Bronlow, saputa tutta la vicenda, fa arrestare Fagin e la sua banda e si scopre che Monks è un fratellastro di Oliver ed è figlio illegittimo della sorella di Rose, Maylie: Rose è quindi zia di Oliver. Il padre di Oliver, prima di morire, aveva lasciato del denaro a entrambi i figli e per questo motivo Monks avrebbe voluto togliere di mezzo il fratello per accaparrarsi tutta l’eredità. Ma questo non gli è stato possibile e Oliver venne adottato da Bronlow che lo educa con l’affetto di un padre.
David Copperfield: riassunto
I primi capitoli del romanzo David Copperfield sono dedicati all’infanzia di David che, orfano di padre, vive con la madre e con la governante Peggotty. Il clima felice viene interrotto dal matrimonio della madre di David con Mr. Murdstone, un uomo freddo e crudele che, spalleggiato da sua sorella, instaura in casa un clima di terrore. David, viene prima mandato nella scuola del signor Creakle e, dopo la morte della madre, è costretto a lavorare a Londra in un deposito di vino. Qui trova conforto solo nell’amicizia del signor Micawber e della sua famiglia presso la quale vive. Quando Micawber è arrestato per debiti, David fugge da Londra e si reca da una zia materna, Miss Betsy Trotwood, che si prende cura di lui. Il ragazzo può continuare la sua educazione a Canterbury, nella casa dell’avvocato Wickfield, la cui assennata figlia Agnes è destinata ad influire grandemente sulla sua vita.
Completati gli studi, va a far pratica nello studio legale di Mr. Spenlow. Ritrova anche un suo compagno di collegio, Steerforth e lo presenta alla famiglia della sua amica nutrice Peggotty.
Ma Steerforth seduce la nipote di Peggotty, Emily, e muore in un naufragio. David sposa la giovane Dora Spenlow che dopo pochi anni muore. Il giovane, dapprima sconsolato, scopre finalmente l’errore che ha fatto nel trascurare Agnes. Il padre di Agnes intanto è caduto nelle mani di un individuo ipocrita e malvagio, il suo assistente, Uriah Heep, dal viso cadaverico e dalle mani appiccicose, che si sta impadronendo del suo patrimonio e aspira alla mano di Agnes. Le malefatte di Heep vengono però smascherate da David con l’aiuto di Micawber. Tutto allora finisce bene: Heep è condannato; David, che ha raggiunto la fama come autore di romanzi, sposa Agnes; Micawber, sistemati finalmente i debiti, parte per le colonie.
Tempi difficili: riassunto
Il signor Gradgrind si è impegnato nella sua vita a realizzare fatti, perché tutto il resto è inutile, anche i sentimenti. Ha educato i suoi figli inculcando loro l’importanza dei fatti e si stupisce molto quando sorprende due di loro, Louisa e Thomas, a guardare attraverso una fessura il circo appena giunto in città. Su consiglio del suo vecchio amico banchiere, il signor Bounderby, decide che la colpa dell’accaduto è della figlia di un clown, Cecilia Jupe detta Sissy, che il giorno prima è andata a casa sua per chiedere il permesso di iscriversi nella scuola. Gradgrind decide di cacciarla e si reca nella locanda dove la giovane alloggia col padre per comunicare che non c’è posto nella scuola. Qui scopre che il clown ha abbandonato la figlia e decide di accoglierla in casa sua per educata secondo le sue idee. Sissy fa subito amicizia con la primogenita del signor Gradgrind, Louisa, la prediletta del signor Bounderby. Tom, il fratello di Louisa, pensa che una volta diventato grande sarebbe potuto andare a lavorare nella banca di Bounderby, approfittando del debole dell’uomo per la sorella. Bounderby è stato abbandonato dalla madre quand’era ancora in fasce e ora è uno degli uomini più ricchi di Coketown, possedendo anche molte fabbriche. Ha alle sue dipendenze una signora di nobili origini, la signora Sparsit, ed un certo Stephen Blackpool.
Andando via dalla casa del signor Bounderby, Blackpool conosce una vecchia signora, che si reca un paio di volte all’anno a Coketown, per cercare di vedere da lontano il Signor Bounderby, verso il quale prova una vera e propria ammirazione. Gli anni passano ed il signor Gradgrind si accorge che la figlia è diventata una donna. Così le parla di una proposta di matrimonio ricevuta dal signor Bounderby. Louisa, un po’ per l’educazione ricevuta e un po’ per assecondare il fratello, acconsente alle nozze. Dopo il matrimonio, la signora Sparsit si trasferisce dalla casa del signor Bounderby alla banca, per gestirla. Qui lavora anche il fratello di Louisa, che approfitta del matrimonio della sorella per far carriera. Il signor Gradgrind viene eletto nel parlamento inglese, dove conosce il signor Harthouse, che lo convinve ad inviare, dietro una sua lettera di presentazione, il proprio fratello, James Harthouse, a Coketown.
Harthouse giunge in città e si reca dal signor Bounderby per presentarsi. Incontra Louisa, di cui rimane subito affascinato. Per avvicinarsi a lei, fa amicizia col fratello. In città intanto il clima è rovente tra operai e padroni: Stephen Blackpool viene evitato dai suoi compagni, perché rifiuta di aderire alle manifestazioni sindacali. Un giorno, viene invitato a casa del signor Bounderby, che lo licenzia additandolo come sobillatore. Più tardi Stephen riceve a casa la visita di Louisa che gli porta dei soldi per aiutarlo dopo il licenziamento.
Anche il fratello di Louisa dice di volerlo aiutare e gli chiede di andare ad aspettare fuori dalla banca nei seguenti due giorni. Stephen segue le istruzioni ricevute da Tom, ma non vede nessuno. Viene però notato dalla signora Sparsit. Sapendo che ormai non avrebbe più avuto nessuna possibilità di trovare un posto di lavoro a Coketown, decide di abbandonare la città. Qualche giorno la banca viene rapinata. Il signor Bounderby incolpa Blackpool, visto sorvegliare la banca qualche giorno prima. Poi accoglie a casa sua la signora Sparsit, rimasta sconvolta dalla rapina. La signora Sparsit nota la simpatia tra Louisa e il signor Harthouse. Dato che la presenza della signora Sparsit gli fa piacere, il signor Bounderby decide di invitarla ogni week-end a casa sua. Una settimana il signor Bounderby rimane fuori città per lavoro e la signora Sparsit fa sapere a Louisa che non si sarebbe recata a casa loro, ma vi si reca lo stesso di nascosto per sorprenderla col signor Harthouse. Sente la dichiarazione d’amore del signor Harthouse a Louisa e si reca subito dal signor Bounderby per avvisarlo. Dopo l’accaduto Louisa si reca dal padre in cerca di conforto, mentre Sissy va dal signor Harthouse e lo convince ad andare via per il bene di Louisa. Alla fine però Il signor Bounderby e Louisa si separano. Il signor Bounderby vuole trovare Stephen, sospettato della rapina insieme ad una misteriosa vecchia signora. Fa affiggere manifesti ovunque, dove si dice che Stephen è il colpevole della rapina.
I giorni passano e Stephen non torna. Un giorno la signora Sparsit si reca dal suo padrone con l’anziana sospettata di essere la complice di Stephen e si scopre che quella anziana signora è la madre del signor Bounderby e che questi ha mentito sul fatto di essere stato abbandonato. Stephen è quindi scagionato. Una domenica Rachel e Sissy vanno in campagna per una passeggiata e trovano Stephen, che incarica il signor Gradgrind di discolparlo. Nel frattempo Tom scappa e si nasconde nel circo del signor Sleary, dove lavorava il padre di Sissy. Il signor Gradgrind elabora un piano per far abbandonare il paese a Tom, che sale su una nave diretta in America. Sissy si trasferisce stabilmente a vivere dal padre, mentre il signor Bounderby, per rifarsi della figura fatta in paese, fa fare carriera a Bitzer, che per poco non è riuscito a catturare Tom. La signora Sparsit rimane per qualche tempo al servizio del signor Bounderby, che alla fine la licenzia.
La signora Sparsit è ben felice di lasciare il suo impiego, anche se è costretta ad andare al servizio di una sua dispotica parente.
Grandi speranze: riassunto
Pirrip Philip, detto Pip, è un ragazzo orfano che viene cresciuto dalla sorella, prepotente e violenta, Mrs Gargery, che lo picchia spesso. Stessa sorte tocca al buon Joe, marito di Mrs Gargery, con il quale Pip ha un buon rapporto. Durante una passeggiata alla palude Pip incontra un evaso che lo minaccia e lo obbliga a portargli del cibo per rifocillarsi ed una lima per liberarsi dagli anelli da deportato che ha alle caviglie. Pip sottrae del cibo da casa e una lima dalla fucina di Joe e, come stabilito, li porta all’evaso che lo ringrazia. Un giorno Pip viene portato a giocare da Miss Havisham, che vive in una casa maestosa, ma molto buia. Miss Havisham indossa un abito da sposa ingiallito e logoro e nella sua sala da pranzo ci sono ancora i resti di un pranzo nuziale e di una torta, tra ragni e topi. Qui Pip conosce Estella, adottata da Miss Havisham. Pip è affascinato da Estella anche se lei lo tratta con superbia e altezzosità. Dopo la visita da Miss Havisham e le parole di disprezzo di Estella, Pip inizia a vergognarsi di Joe, della sua ignoranza, della sua rozzezza e della sua semplicità e da quel momento decide di studiare per diventare migliore. Un giorno gli viene data la notizia che un benefattore sconosciuto gli ha lasciato i suoi beni, dandogli “grandi speranze”. Pip è convinto che Miss Havisham sia la benefattrice e che il suo progetto sia di unire Pip ed Estella. Pip va a vivere a Londra, studia presso Mr Pocket, vive con Herbert, un ragazzo conosciuto anni prima a casa di Miss Havisham. L’avvocato Jaggers ed il suo aiutante Mr Wemmick gestiscono i beni di Pip. Con Mr Wemmick, Pip intrattiene rapporti amichevoli.
Ogni tanto Pip torna al paese a far visita a colei che considera la sua benefattrice e dal paese intero è chiamato Mr Pip. Continua a vergognarsi di Joe e per anni evita di andarlo a trovare. Nel frattempo la sorella di Pip viene picchiata da Orlick, aiutante di Joe alla fucina, rimane invalida, viene assistita da Biddy e muore dopo qualche anno. Un giorno Pip riceve la visita di uno strano uomo ed in lui riconosce l’evaso che molti anni prima aveva salvato portandogli del cibo ed una lima. E’ Magwitch, tornato clandestinamente dall’Australia dove si era arricchito, per rivelare a Pip di essere il suo benefattore. Pip resta meravigliato e scopre che il piano di Miss Havisham non era di unirlo ad Estella, ma di farlo soffrire per amore di Estella. Miss Havisham è stata abbandonata dall’uomo che doveva sposarla nel giorno delle nozze e, per vendicarsi di questa triste sorte, aveva deciso che Estella avrebbe dovuto far soffrire tutti gli uomini che la amavano. Pip ed Herbert decidono di aiutare “zio Provis”, il nome dato a Magwitch, a fuggire.
Il giorno della fuga il piano fallisce e Magwitch viene catturato e ferito gravemente. Dopo il processo viene condannato. Magwitch muore e Pip perde le sue grandi speranze. Poi si ammala e viene assistito amorevolmente da Joe che sa di essere inferiore a lui, ma nonostante questo gli è sempre fedele. Guarito, Pip decide di tornare al paese, di sposare Biddy e restare per sempre accanto a Joe, ma tornato a casa scopre che Biddy e Joe si sono appena sposati.
Ad entrambi chiede perdono per il suo comportamento e per la sua ingratitudine e parte per raggiungere Herbert al Cairo che, con i soldi donati a sua insaputa da Pip, ha avviato un’attività. L’attività procede bene, Pip torna in Inghilterra, rivede Estella che gli confida il suo pentimento per l’atteggiamento nei suoi confronti. Pip le dice che saranno sempre amici e che non l’abbandonerà mai.
Canto di Natale: riassunto
Ebenezer Scrooge è un tirchio, ricco e avaro finanziere della City che non spende nulla e pensa che il Natale sia una perdita di tempo, come anche la domenica, che intralcia il commercio e il suo guadagno. Infastidito dalle festività, costringe il suo contabile Bob Cratchit a lavorare anche il giorno dopo Natale, per rifarsi del tempo perduto. Risponde male a chi gli fa gli auguri per la strada, compreso il nipote Fred, figlio della defunta sorella, che lo prega di pranzare con la sua famiglia. Ma l’unica compagnia che ha importanta per Scrooge è quella della sua cassaforte. Tornato a casa, gli sembra di vedere nel battiporta del portone il volto di Marley, il suo socio in affari morto da 7 anni. Chiuso nella sua vecchia casa, inizia a sentire dei rumori strani (un carro funebre sulle scale, catene dalla cantina) e vede oscillare da sola una campanella. A questo punto si apre una porta e compare il fantasma di Marley, che è condannato a vagare per il mondo senza vedere la luce di Dio perché ha vissuto chiuso nel proprio egoismo lontano dalle persone che amava e che lo amavano. Ammonisce Scrooge e gli annuncia la visita di 3 spiriti: lo spirito del Natale passato, quello del Natale presente e quello del Natale futuro.
Il primo riporta Scrooge al periodo della sua infanzia, che ha dimenticato, e gli fa rivivere i momenti importanti della sua vita, come quando promette ad una ragazza di sposarla, ma poi annulla le nozze perché la giovane non ha soldi per la dote. Da quel giorno Scrooge è rimasto solo e il suo cuore è diventato sempre più arido. Il secondo spirito gli mostra come le persone che conosce trascorrono il Natale. Il terzo spirito gli fa vedere cosa accade dopo la sua morte e cosa la gente pensa di lui. Alla fine Scrooge si ritrova nel suo letto e scopre che è la mattina di Natale. Forte della lezione ricevuta fa mandare un grande tacchino a casa del suo contabile, esce per strada salutando tutti con affetto e si reca dal nipote che lo aveva invitato per il pranzo di Natale.
Passa così il più bel Natale della sua vita. La mattina dopo aspetta l’arrivo in ufficio di Cratchit, ignaro del cambiamento del suo datore di lavoro, ed inizia a trattarlo da amico, gli dà un aumento di stipendio e le vacanze tanto meritate. Da allora Scrooge diventa una delle persone più amate del paese.
Roma al Teatro Ghione va in scena LA VEDOVA ALLEGRA
Roma al Teatro Ghione va in scena La Vedova Allegra, 24-26 Gennaio 2025-una delle operette più amate dal grande pubblico-Con uno straordinario cast e corpo di ballo-Una trama vorticosa e divertente
Roma al Teatro Ghione LA VEDOVA ALLEGRA
La Vedova Allegra, celebre operetta musicata in maniera magistrale da F. Lehár, è ambientata a Parigi, presso l’Ambasciata del Pontevedro e ha per protagonista Hanna Glavary, vedova del ricco banchiere di corte.
L’ambasciatore pontevedrino, il Barone Zeta, riceve l’ordine di combinare un matrimonio tra Hanna e un compatriota per far si che la dote della ricca vedova resti nelle casse dello Stato.
Roma al Teatro Ghione LA VEDOVA ALLEGRA
Roma al Teatro Ghione LA VEDOVA ALLEGRA
Roma al Teatro Ghione LA VEDOVA ALLEGRA
Il Barone Zeta, coadiuvato da Njegus segretario un po’ pasticcione, tenta di risolvere la situazione, innescando però una serie di equivoci comici trascinanti che condurranno nonostante tutto ad un lieto fine.
La vedova allegra (nell’originale tedesco Die lustige Witwe; The Merry Widow in inglese e La Veuve joyeuse in francese) è un’operetta in tre parti di Franz Lehár, su libretto di Victor Léon e Leo Stein[1], dalla commedia L’Attaché d’ambassade di Henri Meilhac (1861)[2].
Debuttò con enorme successo al Theater an der Wien a Vienna il 30 dicembre 1905 con la boema Mizzi Günther, soprano di operetta, ed il tenore viennese Louis Treumann sotto la direzione del compositore. L’operetta è stata scritta per un’orchestra di grandi dimensioni comprendente l’Arpa ed il Glockenspiel. Dopo duecento rappresentazioni (arriveranno ad oltre quattrocento) la direzione del teatro dona a Lehár una medaglia di riconoscimento.
In Italia debutta il 27 aprile 1907 al Teatro Dal Verme di Milano nella traduzione di Ferdinando Fontana con Adrienne Telma, in arte Emma Vecla. Dopo cinquecento repliche Lehár viene in Italia appositamente a complimentarsi con lei.
Roma al Teatro Ghione LA VEDOVA ALLEGRA
Trama
L’operetta, ambientata a Parigi, parla del tentativo dell’ambasciata Pontevedrina di far sposare la ricca vedova Hanna Glavari con il conte Danilo, sua antica fiamma. Nel frattempo si sviluppa il triangolo amoroso tra il Barone Mirko Zeta, sua moglie Valencienne e Camille de Rossillon.
Hanna Glavari è rimasta presto vedova del ricchissimo banchiere di corte del piccolo stato di Pontevedro; un suo matrimonio con uno straniero provocherebbe la fuoriuscita dei milioni di dote della signora e il collasso delle casse statali. La vedova è ora a Parigi e il sovrano di Pontevedro, preoccupatissimo, incarica il proprio ambasciatore a Parigi, barone Zeta, di trovarle un marito pontevedrino.
L’ambasciatore Zeta e il suo cancelliere Niegus, cercano un candidato e lo individuano nel conte Danilo Danilovich che in passato ha interrotto una storia d’amore con Hanna su pressione della famiglia, a causa delle umili origini di lei. Cogliendo l’occasione del compleanno del sovrano, il barone Zeta organizza una festa all’ambasciata, durante la quale, con Niegus, cerca di convincere Danilo a sposare la vedova. Hanna ama ancora Danilo, tuttavia non lo vuole dimostrare e anzi cerca di ingelosirlo.
Frattanto si intreccia la storia d’amore della moglie del barone Zeta, Valencienne, con il diplomatico francese Camille de Rossillon; durante un ballo in casa Glavari, i due si appartano nel padiglione; stanno quasi per essere scoperti dal barone Zeta, quando Niegus, meno sbadato di quel che sembra, riesce a far uscire per tempo Valencienne e a sostituirla con Hanna.
Quando Hanna esce dal padiglione con Rossillon, sembra chiara la scelta del futuro marito: un parigino… Tutto sembra compromesso; Danilo è furioso e lascia la festa; Zeta non capisce se la moglie lo ha tradito o no.
Ha luogo una nuova festa in casa Glavari con tema le atmosfere e i balli di Chez Maxim’s; Danilo si consola bevendo champagne e con le famose ballerine grisettes; Hanna gli spiega però che è stato Niegus a effettuare lo scambio di persona nel padiglione per salvare Valencienne.
Dopo tante schermaglie e sofferenze, Danilo dichiara il proprio amore a Hanna, che annuncia il suo matrimonio con Danilo.
In quanto a Zeta è stato ritrovato il ventaglio della moglie nel padiglione. Rimprovera quindi Valencienne, ma questa gli dice di aprire il ventaglio, dove lei ha scritto “io sono una donna onesta”. Felicità del barone e quindi giubilo generale.
Numeri musicali
Atto I
1 Introduzione: Verehrteste Damen und Herren (Cascada, Zeta, Valencienne, Sylviane, Olga, Praskovia, Camille, St. Brioche, Kromow, Coro)
2 Duetto So kommen Sie! ’s ist niemand hier! (Valencienne, Camille)
3 Entrata e Ensemble Bitte, meine Herr’n! (Hanna, Cascada, St. Brioche, Coro)
4 Entrata O Vaterland (Danilo)
5 Duetto Das wäre herrlich! (Valencienne, Camille)
6 Finale Damenwahl! (Hanna, Danilo, Cascada, St. Brioche, Valencienne, Coro)
Atto II
7 Introduzione, danza e romanza della Vilja Ich bitte, hier jetzt zu verweilen… Es lebt’ eine Vilja (Anna)
8 Duetto Heia, Mädel, aufgeschaut (Hanna, Danilo)
9 Marcia-Settetto Wie, die Weiber man behandelt? (Danilo, Zeta, St. Brioche, Cascada, Kromow, Bodanowitsch, Pritschitsch)
10 Scena muta e Duetto-Danza
11 Romanza Mein Freund, Vernunft!… Wie eine Rosenknospe (Camille)
12 Finale Ha! Ha! Hanna und Camille! (Danilo, Zeta, Hanna, Valencienne, Camille, Njegus, SIlviaine, Olga Praskowia, Bogdanowitsch, Kromow, Pritschitsch, Coro)
Atto III
13 Scena di Danza
14 Canzone delle Grisettes Ja, wir sind es, die Grisette (Valencienne, Lolo, Dodo, Jou-Jou, Frou-Frou, Clo-Clo, Margot, Danilo, Zeta, Bogdanowitsch, Pritschitsch, Kromow, Coro)
15 Duetto Lippen schweigen (Danilo, Hanna)
16 Finale Ja, das Studium der Weiber ist schwer! (Hanna, Zeta, Danilo, Valencienne, Lolo, Dodo, Jou-Jou, Frou-Frou, Clo-Clo, Margot, Kromow, Bogdanowitsch, Pritschitsch, Coro)
Brani celebri
O Vaterland/Vo da Maxim allor (Danilo)
Es lebt’ eine Vilja/Romanza della Vilja (Anna)
Ja, das Studium der Weiber ist schwer!/È scabroso le donne studiar (Danilo, Zeta, St. Brioche, Cascada, Kromow, Bodanowitsch, Pritschitsch)
ROMA. Musei Capitolini – Sala degli Arazzi, fino al 27 aprile 2025 Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato-
Roma-Nella Sala degli Arazzi dei Musei Capitolini di Roma viene presentato al pubblico per la prima volta il ritratto di Agrippa Postumo della Fondazione Sorgente Group che dialoga idealmente con altri due ritratti di Agrippa: uno proveniente dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze ed un altro dalle Collezioni Capitoline. Aperta al pubblico fino al 27 aprile 2025, la mostra riunisce per la prima volta insieme questi tre capolavori marmorei che raccontano la storia dello sfortunato erede di Augusto, Agrippa Postumo, ultimo figlio di Marco Vipsanio Agrippa e di Giulia, unica figlia di Augusto. L’esposizione, a cura di Laura Buccino, Eugenio La Rocca e Valentina Nicolucci, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con l’organizzazione di Fondazione Sorgente Group e il sostegno del Gruppo Sorgente e Condotte 1880. Servizi museali Zètema Progetto Cultura. Le tre sculture esposte, tra cui la testa di recente acquisizione della Fondazione Sorgente Group, rappresentano le repliche migliori conservate di un tipo di ritratto che la critica attribuisce ad Agrippa Postumo. I ritratti sono databili tra l’adozione del 4 e la condanna del 7 d.C., nel periodo in cui Agrippa Postumo ricevette onorificenze e dediche statuarie a Roma ed in tutti i territori soggetti all’impero.
ROMA. Musei Capitolini –Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato-
I ritratti di Agrippa Postumo ci riportano alle vicende della storia dell’Impero romano, quando, dopo il 4 d.C. e numerosi lutti per la morte precoce dei successori designati alla successione di Augusto, prima Marcello (figlio della sorella di Augusto Ottavia) e poi Lucio e Gaio Cesari (anch’essi figli di Marco Vipsanio Agrippa e di Giulia), l’imperatore fu costretto a rivedere la sua linea di successione adottando Tiberio Claudio Nerone, figlio di primo letto della moglie Livia, e Agrippa Postumo, l’ultimo dei cinque figli di Marco Vipsanio Agrippa, il più grande collaboratore di Augusto e di Giulia, sua figlia. Il nome “Agrippa” fu scelto dallo stesso Augusto, in quanto era nato poco tempo dopo la morte del padre, da cui il cognomen Postumus. Al momento dell’adozione, il giovane cambiò il suo nome in Agrippa Iulius Caesar, poiché era entrato a far parte della famiglia di Augusto, la Iulia, ed era così divenuto uno degli eredi designati (Caesar) alla successione. Nonostante Agrippa Postumo fosse l’unico nipote rimastogli, Augusto lo ripudiò ben presto, pare per ragioni caratteriali, allontanandolo da Roma e facendolo esiliare prima a Sorrento e poi a Pianosa, come riferiscono le fonti antiche, ma forse anche per le lotte di potere che animavano la corte negli ultimi anni di vita dell’anziano princeps. I tratti fisionomici delle tre sculture in mostra sono inconfondibili – la fronte accigliata, gli occhi stretti e allungati profondamente infossati, gli orbitali enfiati, la piccola bocca serrata, segnata da rigonfiamenti ai lati, le due fossette incavate, tra il naso e il labbro superiore e tra il labbro inferiore e il mento sporgente – e contribuiscono a conferire al volto giovanile un’espressione seria e concentrata, resa ancora più incisiva dalla torsione della testa. La principale caratteristica del ritratto è lo sguardo “torvo”, particolarmente evidente nella replica ai Capitolini, ma presente anche nelle altre. Il tipo ufficiale del ritratto di Agrippa Postumo della Fondazione Sorgente Group fu realizzato verosimilmente in occasione della sua adozione da parte di Augusto nel 4 d.C., quando Agrippa Postumo aveva 16 anni, e utilizzato per le onorificenze dedicategli in quanto erede designato, con il nome di Agrippa Iulius Caesar, almeno fino al suo allontanamento dalla famiglia e all’esilio nel 7 d.C. “Ci riempie di orgoglio l’aver promosso la Mostra monografica dedicata alla presentazione, per la prima volta al pubblico, del volto del giovane principe giulio-claudio, identificato dal prof. Eugenio La Rocca con Agrippa Postumo” – ha dichiarato Valter Mainetti, Presidente della Fondazione Sorgente Group –. “L’esposizione dei tre ritratti, riuniti per la prima volta, è un’importante occasione di conoscenza e di studio, e soprattutto un’opportunità che vede coinvolta la nostra Fondazione, quale istituzione privata, e la prestigiosa sede dei Musei Capitolini, guidati dal Sovrintendente Capitolino, Claudio Parisi Presicce, il cui rapporto di stima e di collaborazione ha consentito la realizzazione di molti progetti culturali”. “Una parte importante della collezione archeologica della nostra Fondazione – ha dichiarato Paola Mainetti, Vicepresidente della Fondazione Sorgente Group – riguarda proprio la ritrattistica dei protagonisti della gens giulio-claudia, in modo particolare degli eredi designati da Augusto alla sua successione imperiale. La Fondazione Sorgente Group ha proseguito in questi anni la sua attività con l’obiettivo di implementare la collezione dei ritratti imperiali, promuovendoli e valorizzandoli attraverso esposizioni e studi scientifici, così come è avvenuto anche per i volti di Lucio Cesare e Gaio Cesare, fratelli dello stesso Agrippa Postumo in mostra; poi Germanico, figlio di Druso e Antonia Minore, il cui ritratto è presente in collezione”.
Info:Musei Capitolini – Sala degli Arazzi, fino al 27 aprile 2025
Carla Cerasa-Valeria Mosca-Non ci è lecito mollare-
Introduzione di Simone Visciola
Saggio conclusivo di Gigliola Sacerdoti Mariani
Edizioni Effigi
DESCRIZIONE del libro di Carla Cerasa-Valeria Mosca-Non ci è lecito mollare-Carteggio tra Amelia Rosselli e Gaetano Salvemini-Nella loro densa corrispondenza (che copre fondamentalmente il periodo intercorso tra il 1937, poco dopo l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, e la prima metà degli anni Cinquanta), le voci di Amelia Rosselli e di Gaetano Salvemini sono unite da un imperativo comune, “Non ci è lecito mollare”. Esso riprende il monito che aveva dato il nome al primo giornale clandestino antifascista della penisola, fondato nel 1925 dallo stesso Salvemini e dai suoi giovani discepoli. I due protagonisti condividono una missione: difendono la memoria di Carlo e Nello dalle distorsioni che il regime fascista, per depistare le indagini intorno all’assassinio, sta diffondendo sulla stampa in Italia e all’estero, e la coltivano perché venga tramandata in tutta la sua autenticità negli anni a venire. Sorretti da profonda amicizia, Amelia e Gaetano iniziano un complesso “percorso di lavoro” volto a vivificare l’eredità culturale e civile dei due fratelli, a fare chiarezza sui responsabili della loro morte, ad organizzare la raccolta, la cura e la divulgazione dei loro scritti: un’operazione umana e intellettuale di altissimo profilo che si avvale, fra Italia, Europa e Stati Uniti, della fitta rete di rapporti dei Rosselli oltre che del network salveminiano. Il confronto tra Amelia e Gaetano tocca, inoltre, il processo di edificazione dell’Italia repubblicana. Un’esperienza che, nelle sue fasi più critiche, i due amici vissero e condivisero con passione, inquietudine e speranza, fissando riflessioni che si rivelano illuminanti per (ri)leggere, oggi, quella transizione cruciale della Storia dell’Italia contemporanea.
Edizioni Effigi
C&P Adver Effigi è una società che si occupa di comunicazione da oltre vent’anni. Il lavoro editoriale di Effigi muove dal territorio, in particolare dalla Maremma e dall’Amiata. Proprio dalla valorizzazione del patrimonio territoriale nasce, infatti, l’ispirazione per la maggior parte dei libri prodotti. Tra le prime collane realizzate si ricordano “Genius loci” (approfondimenti su temi di cultura locale), “Parole e memorie – tradizione e folclore” e “Archivi riemersi”. La produzione si è poi avventurata nell’ambito delle guide con “Microcosmi” (viaggi dentro al territorio) e con le declinazioni “Del vedere”, “Delle arti”, “Dei luoghi”. Con “Sul confine – opere in penombra”, la casa editrice ha iniziato ad indagare la letteratura e la poesia disperse e appartate, gli scrittori che non sanno di esserlo, i poeti dialettali. E da qui è nata la collana “Narrazioni”, con l’ambizione di scoprire nuovi talenti e valorizzarne altri. Dedicata ai giovani è la collana “Cavalli a dondolo” e nutrita è anche la collana “Tavole imbandite” che si occupa di gastronomia.
Edizioni Effigi
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I bambini e l’Epifania: la figura della Befana ed il suo significato profondo articolo di Marialuisa Roscino-
La figura della Befana, con la sua scopa e la sua calza piena di doni, è un elemento fondamentale delle tradizioni natalizie italiane, e rappresenta un simbolo di speranza e di ricompensa per moltissimi bambini. Le teorie sulla sua nascita sono molteplici. Alcuni studi scientifici la collegano alla tradizione cristiana dei Re Magi, altre la vedono come una divinità pagana legata ai culti invernali. Ma quali sono le origini di questa simpatica vecchietta, cosa si cela dietro questa figura così affascinante? E quali sono gli effetti psicologici che esercita sui più piccoli? Lo abbiamo chiesto ad Adelia Lucattini, Psichiatra e Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana
Happy Epiphany
Dott.ssa Lucattini, la storia della Befana, a Suo avviso, stimola la fantasia dei bambini? Cosa illustrano in particolare, i diversi studi in merito alle sue origini?
La figura della Befana, con il suo aspetto misterioso e il ruolo di portatrice di doni o carbone, offre ai bambini un terreno fertile per l’immaginazione. Il suo carattere ambivalente – gentile e generoso, ma anche severo e giudicante – permette ai più piccoli di proiettare desideri, paure e conflitti. Il volo su una scopa e la capacità di visitare tutte le case in una sola notte aggiungono un elemento magico che affascina e stimola la fantasia, creando un ponte tra il mondo della realtà e quello del mito. Inoltre, i rituali legati alla Befana, come lasciare una calza o immaginare il contenuto che troveranno, favoriscono il gioco simbolico, un’attività fondamentale per lo sviluppo psicologico ed emotivo. Le origini della Befana affondano le radici in tradizioni pagane e cristiane, offrendo un ricco substrato culturale che i bambini, anche inconsciamente, percepiscono. Gli studi evidenziano che la Befana potrebbe derivare da antichi riti di passaggio legati alla natura e ai cicli agricoli. Nell’antichità, si celebrava una figura femminile associata alla rinascita e alla fertilità, rappresentata spesso come una vecchia che, simbolicamente, “porta via” l’anno passato per far spazio al nuovo. Con il cristianesimo, la Befana si è legata alla celebrazione dell’Epifania, diventando un personaggio più familiare e accessibile.
L’attesa dell’arrivo della Befana suscita nei bambini una vasta gamma di emozioni: gioia, ansia, speranza, eccitazione. Queste emozioni contribuiscono a sviluppare la loro intelligenza emotiva?
L’attesa del suo arrivo è un’opportunità preziosa per i bambini di esplorare e comprendere il proprio mondo emotivo. La varietà di sentimenti che provano – gioia per i doni in arrivo, ansia per l’eventualità del carbone, eccitazione per il mistero e la sorpresa – favorisce alcuni processi fondamentali per lo sviluppo dell’intelligenza emotiva, che include la capacità di comprendere e regolare le proprie emozioni, di relazionarsi con gli altri in modo empatico e di affrontare le difficoltà in maniera resiliente.
Come è possibile creare un’atmosfera magica per l’arrivo della Befana e come i genitori possono gestire le paure dei bambini più piccoli legate a questa figura?
L’atmosfera dell’Epifania si costruisce con piccoli gesti e abitudini che alimentano la fantasia dei più piccoli. Ad esempio, preparare la calza insieme, scegliendola con cura, che sia capiente e diversa per ciascuno; raccontare della Befana, magari aggiungendo un tocco originale, aiuta i bambini a immergersi nella magia; lasciare (biscotti, latte o frutta) come ringraziamento per la sua venuta, qualunque regalo voglia portare; raccontare dei Re Magi che portarono Oro, Incenso e Mirra come regali di benvenuto a Gesù Bambino.
La notte della Befana può secondo Lei rappresentare un’esperienza educativa per i bambini?
Assolutamente sì, oltre ad essere un momento magico e di festa, racchiude diversi insegnamenti, offre ai bambini la possibilità di riflettere sul proprio comportamento. Racchiude un valore simbolico, aiuta a comprendere l’importanza delle azioni e a valorizzare i comportamenti positivi come a poter rimediare quelli negativi. Aiuta ad interiorizzare valori come la gentilezza, il rispetto anche del giudizio altrui e la condivisione di un momento di gioia. Aspettare il suo arrivo aiuta i bambini a gestire l’ansia dell’attesa e ad aspettare, dopo un piccolo sacrificio, andare a dormire presto, ci sarà la gratificazione desiderata.
Ricevere un dono è sempre un’occasione che va colta, per insegnare ai bambini il valore della gratitudine e della bontà d’animo. I doni non sono semplicemente degli oggetti materiali, racchiudono in sé anche l’affetto e le attenzioni dei genitori, per questo devono essere pensati e non essere per forza costosi. Possono essere semplici pensierini.
Il sistema di premi e punizioni legato alla figura della Befana (dolci per i bambini buoni, carbone per quelli cattivi) contribuisce a rafforzare il loro senso del bene e del male?
Sapere che possono ricevere anche carbone o frutta insieme ai dolciumi, li stimola ad affrontare la coesistenza nella propria vita e in se stessi, di cose buone e cose cattive. Poiché il carbone è “simbolico”, è bene che sia un dolciume insieme a frutta amata dai bambini, scelta con cura dai genitori proprio per loro. In questo modo, superano la frustrazione e la delusione iniziale e comprendono profondamente, che anche le cose cattive sono affrontabili, interiorizzabili, digeribili.
L’Epifania è anche un’occasione per le famiglie di riunirsi e condividere momenti unici, di spensieratezza, ritiene che la figura della Befana possa dunque diventare un momento importante per rafforzare i legami affettivi e familiari?
L’Epifania è sia un evento religioso, rappresentato dall’arrivo dei tre Re Magi, che secolarizzato con le tradizioni legate alla Befana in sé, comprese le canzoncine propiziatorie come “La Befana vien di notte”. È un modo per trasmettere ai bambini la storia di Gesù e i suoi insegnamenti o narrare Gesù storico. Conoscere e sapere, renderà i bambini liberi di scegliere in futuro, coltivando comunque una spiritualità, ideali e valori indispensabili per una vita ben vissuta. Inoltre, rappresenta un momento speciale in cui le famiglie possono rafforzare i propri legami affettivi attraverso la condivisione di consuetudini tramandate, tradizioni familiari, attività condivise con gioia e piacere, con allegria, nutrimento per l’anima e la mente di grandi e piccini.
Cosa fare se i bambini hanno paura della Befana?
Questo tipo di paura si genera soltanto se vi è una rappresentazione concreta dei personaggi con un’aura di magia. Ogni volta che si passa da una visione fantastica, idealizzata e il magico, avvolto da un’aura di mistero si tramuta in reale, vale a dire “in un momento più concretizzato”, nei bambini si crea uno sconcerto e un conflitto interiore che sfocia nella paura. Infatti, la ricostruzione che ogni bambino fa della Befana nella propria mente ha delle caratteristiche peculiari e delle originalità. Inoltre, fa sentire al bambino che le cose brutte che sente di avere dentro di sé, sono accettabili e rappresentabili, in questo modo possono trasformarsi in cose buone, di valore. Se attraverso un personaggio vivente (una persona travestita da Befana), il reale irrompe bruscamente nel mondo interiore, non è elaborabile spontaneamente per la mente e spaventa. Mentre interiormente è possibile conciliare il brutto e il buono nella realtà, l’imponenza del personaggio (interpretato sempre da un adulto) rispetto al bambino e le caratteristiche di trascuratezza (i vestiti stracciati e il volto sfigurato) angosciano e spaventano i bambini.
Quali consigli si sente di dare ai genitori?
-Tenere conto che ciascun bambino vive la magia della Befana in modo diverso. Alcuni sono incuriositi, altri possono essere intimoriti da una figura misteriosa, con la scopa volante, ma anzianissima, non è certo Harry Potter! È importante adattare i racconti all’età e al vissuto emotivo dei propri bambini;
-Preparare la calza insieme, scrivere la letterina se piccoli, lasciare che la scrivano da soli quando più grandicelli;
– Se chiedono su come faccia a volare o essere così piccola da entrare dalla cappa della cucina, domanda classica, naturalmente è bene mantenere la magia;
-Non esagerare con carbone o frutta. I bambini devono vedere e sapere che possono affrontare i cambiamenti richiesti dai genitori e che il loro sforzo per essere buoni e comportarsi bene sono serviti;
-Valorizzare sempre i risultati dei bambini, spiegando anche con l’aiuto di una letterina, lasciata dalla Befana, in che cosa possono migliorare e cosa possono fare attivamente. Dare dei compiti rigidi o viceversa, essere troppo generici, non li aiuta, poiché tutti i bambini sanno di essere sia buoni, che un po’ cattivelli, ma sperano di essere ugualmente amati, con pregi e difetti;
-Prepararli alla verità, iniziando fin da subito il racconto dei tre Re Magi. Quando la Befana diventerà un personaggio fantastico e i regali saranno portati dai genitori, resterà l’aspetto spirituale e storico dell’evento dei Re Magi e la magia dell’infanzia sarà in salvo, come tesoro prezioso: l’affetto e l’attenzione dei genitori ormai interiorizzati, di cui si ha sempre bisogno, per tutta la vita.
Franco Leggeri Fotoreportage-Fiume ARRONE-Confine di Roma-Fiumicino
Franco Leggeri Fotoreportage-L’Arrone è un fiume del Lazio; scorre nella provincia di Roma, è lungo 35 chilometri, nasce nella parte sud-orientale del lago di Bracciano ad Anguillara Sabazia e sfocia a Fiumicino nel mar Tirreno tra Maccarese e Fregene. Il bacino misura 125 km² di superficie.
Pur configurandosi emissario del lago di Bracciano, il contributo del lago alla portata del fiume è esiguo, e in alcuni mesi dell’anno del tutto nullo. Nell’alto bacino sono presenti le sorgenti dell’Acqua Claudia.
Dall’estremità sudorientale del lago, a quota 164 nsln, il fiume si dirige da Nord Ovest a Sud Est per circa 3 km, poi si dirige a Sud per 12 km e quindi a Sud Ovest fino alla foce. In questo tratto confluisce il Rio Maggiore, affluente di destra. Subito a valle di questa confluenza il bacino dell’Arrone è attraversato dalla Strada Statale Aurelia.
Alla foce è presente un prezioso ambiente umido che, insieme a tutta l’area contigua coperta da macchia mediterranea detta Bosco Foce dell’Arrone, fa parte della Riserva naturale Litorale romano.
Curiosità
“Sulle rive dell’Arrone” è il titolo di una canzone di Daniele Silvestri, contenuta nell’album “Il Latitante” (2007), in cui si parla della prospettiva, raggiungibile dalle rive del fiume, con cui si riescono a vedere diversamente le cose.
All’Arrone accenna in tutt’altri termini lo spettacolo teatrale “Storie di scorie” di Ulderico Pesce, in cui si affronta il problema delle scorie nucleari, come quelle stoccate nel deposito nucleare alla Casaccia che avrebbero contaminato in passato anche il fiume, con danni incalcolabili all’ambiente.
FIUME ARRONECASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.Stemma sul PONTE sul FIUME ARRONEIl fiume ArroneIl fiume ArroneIl fiume ArroneIl fiume ArronePONTE SUL FIUME ARRONEIl fiume ArroneCASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.CASTEL di GUIDO-Bivio di FREGENE-via Aurelia- PONTE ROMANO SUL FIUME ARRONE.Il fiume Arrone
E’ il 1902 a Salonicco, quando viene al mondo Nazim Hikmet, in una famiglia aristocratica e privilegiata. Sua madre, un’appassionata pittrice, è una grande amante della poesia francese, specialmente di Baudelaire e Lamartine. Suo padre è un diplomatico, ma anche lui di tanto in tanto butta giù qualche verso e qualche testo in prosa. L’interesse magnetico per la parola, scorre nel DNA della famiglia: persino il nonno di Hikmet ne subisce il fascino e di professione è filologo.
È inverno-
E improvvisamente,
la neve,
caduta all’insaputa nella notte.
Il mattino comincia con i corvi
in fuga tra i rami tutti bianchi.
È inverno,
inverno a perdita d’occhio.
Così la stagione muta
d’un tratto
e sotto la terra, laboriosa
e fiera, la vita prosegue.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
sei la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Alla vita
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla dal di fuori o nell’al di là.
Non avrai altro da fare che vivere.
La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Amo in te
Amo in te
l’avventura della nave che va verso il polo
amo in te
l’audacia dei giocatori delle grandi scoperte
amo in te le cose lontane
amo in te l’impossibile
entro nei tuoi occhi come in un bosco
pieno di sole
e sudato affamato infuriato
ho la passione del cacciatore
per mordere nella tua carne.
amo in te l’impossibile
ma non la disperazione.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Anima mia
Anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
e come s’affonda nell’acqua
immergiti nel sonno
nuda e vestita di bianco
il più bello dei sogni
ti accoglierà
anima mia
chiudi gli occhi
piano piano
abbandonati come nell’arco delle mie braccia
nel tuo sonno non dimenticarmi
chiudi gli occhi pian piano
i tuoi occhi marroni
dove brucia una fiamma verde
anima mia.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Angina pectoris
Se qui c’è la metà del mio cuore, dottore,
l’altra metà sta in Cina
nella lunga marcia verso il Fiume Giallo.
E poi ogni mattina, dottore,
ogni mattina all’alba
il mio cuore lo fucilano in Grecia.
E poi, quando i prigionieri cadono nel sonno
quando gli ultimi passi si allontanano
dall’infermeria
il mio cuore se ne va, dottore,
se ne va in una vecchia casa di legno, a Istanbul.
E poi sono dieci anni, dottore,
che non ho niente in mano da offrire al mio popolo
niente altro che una mela
una mela rossa, il mio cuore.
È per tutto questo, dottore,
e non per l’arteriosclérosi, per la nicotina, per la prigione,
che ho quest’angina pectoris…
Guardo la notte attraverso le sbarre
e malgrado tutti questi muri che mi pesano sul petto
il mio cuore batte con la stella più lontana.
Nazim Hikmet- Poeta turco
I tuoi occhi
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che tu venga all’ospedale o in prigione
nei tuoi occhi porti sempre il sole.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
questa fine di maggio, dalle parti d’Antalya,
sono così, le spighe, di primo mattino;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
quante volte hanno pianto davanti a me
son rimasti tutti nudi, i tuoi occhi,
nudi e immensi come gli occhi di un bimbo
ma non un giorno han perso il loro sole;
i tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
che s’illanguidiscano un poco, i tuoi occhi
gioiosi, immensamente intelligenti, perfetti:
allora saprò far echeggiare il mondo
del mio amore.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
così sono d’autunno i castagneti di Bursa
le foglie dopo la pioggia
e in ogni stagione e ad ogni ora, Istanbul.
I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi
verrà un giorno, mia rosa, verrà un giorno
che gli uomini si guarderanno l’un l’altro
fraternamente
con i tuoi occhi, amor mio,
si guarderanno con i tuoi occhi.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Ho sognato della mia bella
Ho sognato della mia bella
m’è apparsa sopra i rami
passava sopra la luna
tra una nuvola e l’altra
andava e io la seguivi
mi fermavo e lei si fermava
la guardavo e lei mi guardava
e tutto è finito qui
Nazim Hikmet- Poeta turco
L’uomo
Le piante, da quelle di seta fino alle più arruffate
gli animali, da quelli a pelo fino a quelli a scaglie
le case, dalle tende di crine fino al cemento armato
le macchine, dagli aeroplani al rasoio elettrico
e poi gli oceani e poi l’acqua nel bicchiere
le stelle
il sonno delle montagne
dappertutto mescolato a tutto l’uomo
ossia il sudore della fronte
la luce nei libri
la verità e la menzogna
l’amico e il nemico
la nostalgia la gioia il dolore
sono passato attraverso la folla
insieme alla folla che passa.
Nazim Hikmet- Poeta turco
.
Ti sei stancata di portare il mio peso
Ti sei stancata di portare il mio peso
delle mie mani
dei miei occhi, della mia ombra
le mie parole erano incendi
le mie parole eran pozzi profondi
verrà un giorno un giorno improvvisamente
sentirai dentro di te
le orme dei miei passi
che si allontanano
e quel peso sarà il più grave.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
Sei la mia schiavitù sei la mia libertà
la mia carne che brucia
come la nuda carne delle notti d’estate
sei la mia patria
tu, coi riflessi verdi dei tuoi occhi
tu, alta e vittoriosa
sei la mia nostalgia
di saperti inaccessibile
nel momento stesso
in cui ti afferro-
Nazim Hikmet- Poeta turco
Nazim Hikmet: la poetica libera da ogni reclusione.
E’ il 1902 a Salonicco, quando viene al mondo Nazim Hikmet, in una famiglia aristocratica e privilegiata. Sua madre, un’appassionata pittrice, è una grande amante della poesia francese, specialmente di Baudelaire e Lamartine. Suo padre è un diplomatico, ma anche lui di tanto in tanto butta giù qualche verso e qualche testo in prosa. L’interesse magnetico per la parola, scorre nel DNA della famiglia: persino il nonno di Hikmet ne subisce il fascino e di professione è filologo.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Una vita turbolenta
La vita di Nazim Hikmet è tutt’altro che serena e lineare. Da adolescente frequenta l’Accademia di Marina a Istanbul, che ben presto lascia, trovando la sua strada altrove. La vera svolta arriva quando decide di intraprendere gli studi di sociologia in Russia. All’università di Mosca ha modo di studiare e fare propri i principi di Karl Marx. Inizia a frequentare quelli che saranno i grandi nomi della storia, tra i quali Lenin e Majakovskij e si consacra definitivamente al partito comunista.
Insieme alle sue scelte politiche, arriva anche la definizione di uno dei suoi maggiori nemici per tutta la vita: il governo turco. Le condanne non tardano ad arrivare e caratterizzano lunghi anni della vita di Hikmet, condannandolo a terribili torture e lunghi anni di reclusione in condizioni indegne.
Nazim Hikmet- Poeta turco
Nazim Hikmet e gli anni di reclusione
La prima volta nel 1928 viene arrestato per affissione irregolare di manifesti politici. Dopo dieci anni, torna ancora una volta in carcere con l’accusa di propaganda comunista e complotto contro il governo. Nei dodici anni di reclusione, la vita di Hikmet si alterna tra momenti di febbrile produzione poetica e pesanti tentativi di protesta.
Il più importante è un lungo sciopero della fame, dopo il quale sviluppa i problemi cardiaci che lo porteranno alla morte. Nonostante la reclusione, Nazim Hikmet scrive dei versi memorabili, come il suo capolavoro Poesie d’amore, che inizia in carcere e porta avanti pressoché fino alla sua morte, che coincide con la data di pubblicazione dell’opera stessa.
Nazim Hikmet- Poeta turco
La poetica di Nazim Hikmet
L’amore per la patria e la malinconia per il passato si permeano di un estremo attaccamento alla vita. La presenza costante della speranza, rende la sua opera un inno alla libertà, al rispetto della dignità umana e al suo immenso valore. Attraverso un lessico non troppo ricercato, l’autore delinea dei sentimenti con una delicatezza sbalorditiva, se si pensa alla durezza degli eventi che lo toccano.
Con uno stile eterogeneo, caratterizzato da una visione quasi mistica e al ritmo incalzante della scrittura di avanguardia francese, Nazim Hikmet può essere considerato il più grande poeta turco del secolo scorso.
Gli ultimi anni
Nel 1950 esce dal carcere, grazie all’intervento di una commissione internazionale d’eccellenza formata tra gli altri da Picasso, Tzara e Neruda. Ma dopo i dodici anni di reclusione, il governo continua a opprimere Hikmet, organizzandogli due attentati e costringendolo a un lungo esilio itinerante.
Nazim Hikmet si spegne nel 1963, dopo aver visto i suoi scritti tradotti in molte lingue, tranne la sua. Solo nel 2002, in occasione del centenario della sua nascita, il governo turco gli restituirà la tanto agognata cittadinanza.
Recensione del romanzo “Storia di una ladra di libri”
Articolo di Esperance H.Ripanti
Articolo di Esperance H.Ripanti-Che bene fanno le parole? Sono gli anni della guerra, della Germania glorificata e vincente e in un paesino accanto alla più grande e conosciuta Monaco, Liesel sopravvive alle conseguenze di un conflitto di cui è vittima innocente. Dodici anni sono troppo pochi per vedere suo fratello morire e vivere l’abbandono di una madre che non sa come convivere col peso dell’indigenza, del dolore troppo grande e del vuoto della solitudine. Proprio per questo viene affidata a una famiglia tedesca che la adotterà nonostante la povertà collettiva di un paese scosso.
Inizia così uno dei più famosi best seller letterari degli ultimi anni, Storia di una ladra di libri. La vita di Liesel stravolta e portata dentro le mura di una casa che l’accoglie con umanità e calore nonostante la sua identità sia un pericolo per tutti e non solo per lei. Liesel è ebrea; e la sua condizione la porta a convivere con un’angoscia costante che le si riversa addosso nelle fredde notti tedesche che solo una cosa riuscirà a calmare: i libri. Il primo trovato accanto al fratellino morente, preso per curiosità; senza sapere cosa sia – arrivando da una realtà di analfabetismo e povertà – ma con la certezza che le appartenga. E così, il suo rapporto con questi oggetti che piano piano prendono significato oltre alla forma si fa sempre più forte, più intensa; fino a diventare una vera e propria ricerca, ossessione che supera tutti i divieti e addirittura le fiamme dei roghi di un passato che così vicino a noi non lo è mai stato. Sarà tramite la pazienza quasi commovente dei suoi genitori adottivi che Liesel imparerà a leggere, andrà a scuola, familiarizzerà col quartiere trovando amici, complici e un pizzico di serenità. Ed è proprio tramite il piacere e l’amore per la lettura, la ragazzina, troverà la via migliore per liberarsi – per il tempo di un capitolo – dalla sua storia cruda e dagli strascichi feroci che la guerra le ha lasciato addosso senza pietà. Un racconto che ha emozionato e continua a colpire le corde più profonde dei lettori che ad ogni lettura, nuova o ripetuta, riescono ad immedesimarsi nella passione ardente che una storia, un personaggio, la descrizione di un attimo importante riescono ad accendere. Storia di una ladra di libri è diventato best seller e anche prodotto cinematografico di successo perché è riuscito a portare su carta e sugli schermi l’esatta sensazione che Liesle prova quando si chiede con innocenza e fervore “che bene fanno le parole?”. La risposta a una domanda semplice e la certezza che una volta finito di leggere, questo libro, possa lasciare colme e complete le risposte grandi o piccole che fanno vagare per il mondo l’umanità da anni. Un’esperienza forte, una narrazione scorrevole e potente, perché reale e perché, dopo la sua lettura è impressionante il desiderio sempre impellente di andare a salvare i libri dai roghi di questo presente cupo ma pieno di speranza.
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