Sarah Josepha Hale – la Poetessa della Festa del Ringraziamento –
Poet, Sarah Josepha Hale is best known for creating the nursery rhyme “Mary Had a Little Lamb.” However, her work extends far beyond her writing. Her influence can be seen in historic sites and a famous national holiday still widely celebrated today.
Sarah Josepha Hale was born on October 24th, 1788 in Newport, New Hampshire. Her parents were strong advocates for education of both sexes. Therefore, Hale was taught well beyond the normal age for a woman. Later, she married a lawyer David Hale, who supported her in all scholarly endeavors. Sadly, her husband died after only nine years of marriage, leaving Hale a widow with five children. She turned to poetry as a form of income. Her most famous book, titled Poems for Our Children included a beloved story from her childhood. “Mary Had a Little Lamb” was instantly a popular nursey rhyme.
In 1837, she became the editor of the Godey’s Lady’s Book. Her work with the magazine made her one of the most influential voices in the 19th century. Her columns covered everything from women’s education to child rearing. Hale also used her platform to support other causes, including abolishing slavery and, later, colonization (freeing African Americans and sending them to Africa). While working as editor, she raised money for various historic sites. Hale helped to preserve George Washington’s home and financially supported the construction of the Bunker Hill Monument. Her work in historic preservation has stood the test of time, as both sites are still open to public.
Hale has been criticized heavily for her support of gender roles. As an editor, she encouraged women to focus their efforts in the domestic realm. A proper woman, to Hale not only managed the home but she also imparted religion to her children. Godey’s Lady’s Book was widely known for its conservative views for much of the 19th century. Additionally, Hale did not support the women’s suffrage movement because she believed that women’s participation in politics would limit their influence in the home. However, Hale did use the magazine to advocate for the education of women and the rights of women as property owners.
Hale used her persuasive writings to support the creation of Thanksgiving as a national holiday. Beginning in 1846, she charged the president and other leading politicians to push for the national celebration of Thanksgiving, which was then only celebrated in the Northeast. Her requests for recognition were largely ignored by politicians until 1863. While the nation was in the middle of the Civil War, President Lincoln signed into action “A National Day of Thanksgiving and Praise.” Hale’s letter to Lincoln is often cited as the main factor in his decision. Hale retired as editor in 1877 and died two years later at the age of 92.
Articolo scritto da Ugo Ojetti per la Rivista PAN n°5 del 1934
Salvatore Di Giacomo nacque a Napoli il 12 marzo 1860, figlio primogenito di Francesco Saverio Di Giacomo, medico abruzzese, e Patrizia Buongiorno, il cui padre insegnava al Conservatorio di San Pietro a Maiella. Dopo aver conseguito la licenza liceale presso il Vittorio Emanuele, frequentò per volere del padre la facoltà di Medicina. Di Giacomo non aveva alcun interesse per gli studi cui era stato indirizzato, tanto che nell’ottobre 1880 abbandonò l’università in seguito a un celebre episodio che egli stesso descrisse sei anni più tardi.
Un giorno, recatosi ad assistere a una lezione di anatomia, rimase nauseato alla vista del cadavere di un vecchio, sul cui volto il professore aveva tracciato «cinque o sei linee di demarcazione», in modo da spiegare la composizione del cranio. Corso fuori dall’aula, si trovò suo malgrado protagonista di una scena raccapricciante: il bidello, che scendeva portando in una tinozza membra umane, scivolò riversando il macabro contenuto, mentre il giovane si diede alla fuga, abbandonando l’edificio di Sant’Aniello a Caponapoli e il percorso accademico. Di Giacomo si sentiva attratto dalla letteratura e dalla critica letteraria. Alleggerito del fardello di studi coatti, poté cercare di realizzare i propri desideri. Si rivolse così al Corriere del Mattino, diretto da Martino Cafiero. La collaborazione cominciò con «alcune novelle di genere tedesco», ispirate principalmente alla coppia Erckmann-Chatrian.[2] Cafiero e Federigo Verdinois, che si occupava della parte letteraria, sospettarono potesse averle tradotte. Di Giacomo fu costretto a scriverne altre per dimostrarne l’autenticità, e al tempo stesso ricevette uno sprone a proseguire nell’attività di novelliere. Dopo alcuni mesi diventò ordinario collaboratore del Corriere, assieme a Roberto Bracco, con cui instaurò una profonda amicizia, e Giuseppe Mezzanotte.[3]
Lasciato il Corriere, passò dapprima al Pro Patria, quindi alla Gazzetta letteraria diretta da Vittorio Bersezio. In seguito andò al Pungolo. Il 21 settembre 1884 perse il padre nell’epidemia di colera che colpì la città. Quell’anno pubblicò per l’editore Tocco la già copiosa produzione poetica in lingua napoletana, che apparve con il titolo Sonetti. Seguirono, nel giro di pochi anni, le raccolte poetiche ‘O Funneco verde (1886), Zi’ munacella (1888) e Canzoni napoletane (1891). Nel 1892 fu tra i fondatori, assieme a Benedetto Croce, Vittorio Spinazzola e altri intellettuali, della nota rivista di topografia e arte napoletana Napoli nobilissima.
Sinossi del libro di Maurizio Serra-Monaco 1938: una data entrata nell’immaginario collettivo come sinonimo della capitolazione delle democrazie europee di fronte al totalitarismo nazista. Sperando di salvare la pace, Gran Bretagna e Francia, con la mediazione di Mussolini, cedettero a Hitler i Sudeti, non accorgendosi di compiere il passo decisivo verso l’abisso della Seconda guerra mondiale. L’unico a comprendere la vera natura dell’accordo fu Churchill, che dichiarò: «Hanno scelto il disonore per evitare la guerra, avranno il disonore e la guerra». L’invasione russa dell’Ucraina ha riportato di estrema attualità la Conferenza di Monaco, anche se il racconto e l’interpretazione seguono l’onda dell’emozione e dimenticano il reale contesto storico. Maurizio Serra, al termine di una lunga indagine negli archivi di tutt’Europa, ci restituisce la storia autentica dell’evento che ha cambiato il mondo, chiarendo, alla luce di nuovi documenti, il ruolo di Mussolini, che a quel tempo non era ancora appiattito sulle posizioni del Terzo Reich. Consapevole delle debolezze del suo esercito e che le ambizioni naziste non corrispondessero agli interessi italiani, il duce voleva evitare il conflitto, sondare le reazioni delle democrazie e, al tempo stesso, concedere spazio al progetto tedesco enunciato, che Hitler però smentirà entrando a Praga nel marzo 1939. Interessante notare come si mossero Roosevelt e Stalin, assenti alla conferenza: Monaco stava anche preparando il futuro patto tedesco-sovietico per la spartizione della Polonia. Una storia ricca di aneddoti e rivelazioni, a partire dalle origini, il 1918, e fino alle catastrofiche conseguenze. Serra tratteggia, con la maestria che lo contraddistingue, i ritratti dei quattro attori principali (Hitler, Mussolini, Chamberlain, Daladier) e dei protagonisti dietro le quinte.
«In questo “libro evento”, lo storico e accademico Maurizio Serra ci restituisce magistralmente il momento in cui le democrazie capitolarono davanti al nazismo». Le Point
«Il grande libro che mancava su questo evento emblematico». Le Figaro
«Un saggio storico di ampio respiro sulla conferenza di Monaco, con cui l’autore aggiunge un nuovo importante capitolo ai suoi numerosi e apprezzati studi storiografici». Worldpress
L’Autore- Maurizio Serra (Londra, 1955) diplomatico e scrittore. Tra le sue opere Malaparte vite e leggende (Marsilio 2012), Antivita di Italo Svevo (Aragno 2017) e L’Imaginifico. Vita di Gabriele D’Annunzio (Neri Pozza 2019), la cui edizione francese ha ottenuto il Prix Chateaubriand (2018) e il Prix de l’Académie des Littératures (2019). Nel 2018, Serra ha ricevuto il Prix de la Fondation Prince Pierre de Monaco per l’insieme della sua opera.
NERI POZZA EDITORE
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On a breezy morning in August 1926, nineteen-year-old Gertrude Ederle jumped into the cold waters of the English Channel. With her muscles relaxed from some rest after months of grueling training and her body coated head to toe in a mixture of lanolin, petroleum jelly, and grease for insulation against the chill and protection against the swarms of jellyfish, she felt determined and excited to attempt what no woman and only five men had ever done: swim across the Channel.
Gertrude Caroline Ederle was born to German immigrant parents in New York City on October 23, 1905. The third of six children, she grew up in a lively household in Manhattan’s Upper West Side, where during summer months, Gertrude’s family would take outings to the New Jersey shore. It was on these sunny childhood days that a passion for swimming blossomed.
Soon, she turned the joy into a pursuit of competitive swimming, where success came quickly. Gertrude set her first world record at the age of 12. Between the ages of 15 and 19, she set 29 national and world records. In 1924, she represented the United States at the Paris Olympics, earning one gold medal in the 4×100-meter freestyle relay and two bronze medals in individual freestyle events.
Yet, she wanted to challenge herself more, to push her physical limits. And she also wanted to challenge the societal expectations placed on women. Which were many at the time.
Gertrude set her sights on swimming across the English Channel. Often referred to as the “Mount Everest of swimming” for its cold, rough waters teeming with jellyfish, the twenty-one-mile span was considered the ultimate test of endurance. Many believed that women were not physically capable of such a feat. Gertrude became determined to prove them wrong.
Her first attempt in 1925 ended in disappointment. Thinking she was in distress, her trainer touched Gertrude as he attempted to pull her from the water, disqualifying the swim. Though upset, Gertrude thought of her motto, if at first you don’t succeed, try, try again. “I am going to attempt to swim the English Channel again next July,” she said to herself.
For her second attempt, she hired a new coach and developed a rigorous training regimen, swimming four hours a day. She also designed a pair of goggles to better protect her eyes and a more aerodynamic swimsuit that minimized drag in the water.
On August 6, 1926, she started the swim at Gris-Nez, France with a tugboat carrying her coach and supporters trailing, offering encouragement and supplies of broth and sugar cubes for energy. She gave her team of supporters strict instructions about taking her out of the water: “until I get there or I can’t move.”
The swim was a battle from the start. Just a few minutes in, rough swells made her consider quitting. “But I thought I had to make a showing so I just kept on and on and on. When I got a few miles out I was confident I could make it and kept on,” Gertrude later said.
Pushing through while singing her favorite song, Let Me Call You Sweetheart, she swam and swam. Even when her coach encouraged her to stop, Gertrude continued. “It’s today or never, Pop,” she shouted to her father and supporters on the tugboat. He replied, “Kiddie finish it.”
After 14 hours and 39 minutes, Gertrude emerged from the water onto the shores of Kingsdown, England. Her time was over two hours faster than the fastest man to have swum the Channel. Exhausted but triumphant, Gertrude became an international sensation. Newspapers worldwide hailed her achievement, and she was welcomed home to a ticker-tape parade in New York City attended by an estimated two million people. President Calvin Coolidge called her “America’s Best Girl,” a title she cherished throughout her life.
Gertrude soon retired and largely retreated from the public eye. She spent her later years teaching swimming to deaf children, a cause close to her heart as she herself became partially deaf after a childhood accident. On November 30, 2003, she passed away at the age of 98.
Sources:
Hasday, Judy L.. Extraordinary Women Athletes. United States, Children’s Press, 2000.
Lillian Cannon, of Baltimore, Md., offering her best wishes to Gertrude Ederle, as she starts out from Cape Griz Nez, France, on her successful attempt to swim the English Channel. Photograph. Retrieved from the Library of Congress, <loc.gov/item/95503395/>.
Parade for Gertrude Ederle coming up Broadway, New York City, with large crowd watching / photo by staff photographer. Photograph. Retrieved from the Library of Congress, <loc.gov/item/98510485/>.
Domenica 1° dicembre ingresso gratuito nei musei civici e nei siti archeologici-
Roma Capitale – Domenica 1° dicembre 2024- Ingresso gratuito nei Musei di Roma e nei Siti Archeologici -Sarà possibile visitare gratuitamente gli spazi del Sistema Musei di Roma Capitale e alcune aree archeologiche della città. Come per ogni prima domenica del mese saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis, 10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00 (Ingressi Viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura), e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca e Casino dei Principi); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele – delle quali 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su tavola –protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento. Si possono ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano è esposta la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città, realizzando dei “racconti visivi” secondo singoli e specifici progetti. Nelle sale al primo piano Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana come Francisco I. Madero, Emiliano Zapata, Pancho Villa e Venustiano Carranza. La mostra, organizzata in collaborazione con l’Ambasciata del Messico in Italia, rientra nelle commemorazioni per i 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Messico e Italia. Infine, sempre nelle sale al primo piano, prosegue Dino Ignani. 80’s Dark Rome, il ritratto della Roma ombrosa e scintillante, sotterranea e plateale, degli anni Ottanta del secolo scorso. Il nucleo centrale del progetto espositivo è costituito dal ciclo di ritratti, denominato Dark Portraits, che Ignani ha dedicato ai giovani che animavano la vita notturna dell’epoca e, in particolare, i luoghi e gli eventi legati alla scena dark. (www.museodiromaintrastevere.it).
Al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2) l’ingresso gratuito darà la possibilità di visitare LAUDATO SIE! Natura e scienza. L’eredità culturale di frate Francesco, esposizione che, nell’ottavo centenario della composizione, che si celebra nel 2025, prendendo le mosse dal più antico manoscritto del Cantico di frate Sole o Cantico delle creature – tra i primi testi poetici in volgare italiano giunti a noi –propone un itinerario, costantemente accompagnato da una narrazione multimediale, attraverso 93 opere rare del Fondo antico della Biblioteca comunale di Assisi conservate presso il Sacro Convento.
Nelle sale del terzo piano L’incanto della Bellezza.Dipinti ritrovati di Sebastiano Ricci dalla Collezione Enel, esposizione inedita di due tele, raffiguranti Il trionfo di Venere e Bacco e Arianna, probabilmente eseguite dal Ricci nei primi anni del Settecento, durante il suo soggiorno fiorentino. Da poco riscoperti, i due dipinti sono stati sottoposti a un restauro che ha evidenziato le straordinarie doti di colorista del pittore veneto.(www.museodiroma.it)
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente. All’ingresso del museo, i visitatori saranno inoltre accolti da À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo spazio e che in una parte del complesso monumentale ancora sono presenti. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane, in occasione della ricorrenza dei sessant’anni dalla nascita del Gruppo 70. Sarà inoltre ancora possibile ammirareL’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo circa due anni di un accurato e specialistico restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale della Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili, unendo l’antica tecnica del piccolo punto con influenze contemporanee. Per la prima volta la Casina delle Civette accoglie al suo interno una mostra di arazzi del XX secolo che dialogano con il liberty architettonico delle vetrate e degli ambienti di questo gioiello romano. (www.museivillatorlonia.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero, ovvero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. Le opere esposte si inseriscono nella ricerca che Visca porta avanti da decenni. Attraverso le serie dei Teatrini e delle Silhouette, l’artista, indagando la potenza espressiva della materia, esplora il rapporto tra il frammento e l’oggetto. La sua poetica si manifesta nella volontà di preservare la vita che emana dai più disparati elementi di materia, i cui frammenti sono elevati a simbolo di una condizione umana precaria e sfuggente. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. Nello stesso museo Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente, una mostra tematica sull’interesse del conte Giuseppe Primoli per l’arte del Giappone e, più in generale del continente asiatico. Documenti, fotografie, libri, oggetti e manufatti di gusto, tema o manifattura orientale provenienti dalla Fondazione Primoli e dalla collezione del museo, tra i quali riveste un ruolo di primo piano il ventaglio con scene giapponesi dipinto da Giuseppe de Nittis a Parigi intorno al 1880 per la principessa Mathilde Bonaparte. Fiore all’occhiello della mostra, l’esposizione di quattordici kakemono, rotoli dipinti in carta o stoffa della tradizione giapponese. (www.museonapoleonico.it )
Fanno eccezione alla gratuità (ingresso a tariffazione ordinaria, con tariffa ridotta per i possessori della MIC Card): Roma pittrice. Le artiste a Roma tra il XVI e XIX secolo al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2), che si focalizza sulle artiste donne che lavorarono a Roma a partire dal XVI secolo, con un percorso che giunge fino al 1800 e alle nuove modalità di progressivo accesso alla formazione che lentamente si impongono in accordo con il panorama europeo. Al centro della mostra le tante artiste donne che dal XVI al XIX secolo hanno fatto di Roma il loro luogo di studio e di lavoro con una produzione ricca, variegata e di assoluto rilievo artistico, spesso relegate in una sorta di silenzio storiografico. Protagoniste le artiste presenti nelle collezioni capitoline, come Caterina Ginnasi, Maria Felice Tibaldi Subleyras, Angelika Kaufmann, Laura Piranesi, Marianna Candidi Dionigi, Louise Seidler ed Emma Gaggiotti Richards, oltre a una selezione significativa di altre importanti artiste attive in città come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, e di molte altre il cui corpus si sta ricostruendo in questi ultimi decenni di ricerca. (www.museodiroma.it) Rifugio antiaereo e bunker di Villa Torlonia, (Casino Nobile, Via Nomentana 70) con un nuovo percorso espositivo che documenta la vita di Mussolini e della famiglia nella villa e, attraverso un’esperienza multimediale immersiva, permette di rivivere i momenti drammatici delle incursioni aeree durante la Seconda guerra mondiale. Prenotazione obbligatoria per singoli e gruppi. (www.museivillatorlonia.it)
Circo Maximo Experience, offre la visita immersiva del Circo Massimo in realtà aumentata e virtuale, dalle 9:30 alle 16:00 (ogni 15 min. – ultimo ingresso ore 14:50). Ingresso a tariffa ridotta per possessori della MIC Card. (www.circomaximoexperience.it)
Tutte le informazioni e gli aggiornamenti sono disponibili su www.museiincomuneroma.it e sui canali social del Sistema Musei di Roma Capitale e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura.
Biografia e Poesie di Christina Rossetti Poetessa italo-britannica-Biblioteca DEA SABINA-nacque a Londra il 5 dicembre 1830 ove mori il 29 dicembre 1894-fu educata in casa dalla madre. Intorno al 1840 la famiglia aveva grosse difficoltà economiche dovute al peggioramento della salute fisica e mentale di suo padre. A 14 anni Christina soffrì di una crisi nervosa che fu seguita dalla depressione. In questo periodo lei, la madre e la sorella si interessarono al movimento anglo-cattolico, che era parte della Chiesa anglicana. La devozione religiosa ebbe un ruolo importante nella vita di Christina: appena diciottenne si impegnò sentimentalmente con il pittore James Collinson, ma la relazione finì perché quest’ultimo tornò ad essere cattolico. In seguito si legò al linguista Charles Cayley ma non lo sposò, nuovamente per motivi religiosi. Morì di cancro nel 1894 e venne seppellita nell’Highgate Cemetery. All’inizio del Novecento, con il modernismo, la sua popolarità venne offuscata, come anche quella di molti altri scrittori dell’epoca vittoriana. Christina Rossetti rimase a lungo dimenticata fino a quando negli anni settanta venne riscoperta da studiose femministe.
Il posto più umile
Dammi il posto più in basso; non lo merito,
lo so, ma Tu scegliesti di morire
perch’io potessi vivere e godere
la gloria dalla stessa parte Tua.
Dammi il posto più in basso, e se per me
troppo alto fosse, un altro più giù ancora,
dove possa sedermi per vedere
il mio Signore, e così amare Te.
Maggio
Io non ti posso dire come è stato:questo soltanto so, che è già passato.In un giorno di pura luce e brezza,un maggio dolce, in piena giovinezza.Non erano i papaveri ancor natitra lievi steli del granturco incerto,l’ultimo uovo ancor non s’era apertoe gli uccelli volavano accoppiati.Io non ti posso dire come è stato:questo soltanto so, tutto è passato.Con quel sole di maggio è andata viaogni dolce ed amata compagniae sola, vecchia e grigia m’ha lasciato.
Nel mezzo di un gelido inverno
Nel mezzo di un gelido invernoIl vento gelato portava lamenti,La terra era dura come il ferro,L’acqua come una pietra;La neve era caduta,Neve su neve,Nel mezzo di un gelido inverno,Molto tempo fa Nostro Dio, il paradiso non può trattenerlo,Né la terra sorreggerlo;Il cielo e la terra fuggirannoQuando verrà il suo Regno;Nel mezzo di un gelido invernoUna stalla fù sufficientePer il Signore Dio incarnato,Gesù Cristo. Bastò per lui, che i cherubinilo adorassero notte e giornoUn seno pieno di latteE una mangiatoia piena di fieno.Bastò per lui, che angelicaduti in passato,Il bue, l’asino e il cammellolo adorassero. Angeli ed arcangelierano tutti lì riuniti,Cherubini e serafiniAffollavano l’ariaMa solo sua madreNella sua fanciulla beatitudine,Adorò l’amatoCon un bacio. Cosa posso dargli,Povera come sono?Se fossi un pastorePorterei un agnello,Se fossi un MagioFarei la mia parte,Ecco cosa posso dargli —Gli dono il mio cuore
Quando io sono morta
Quando io sono morta, mio carissimo,non cantare canzoni tristi per me;non piantare rose alla mia testanè ombroso albero di cipresso:sia la verde erba su di mecon acquazzoni e gocce di rugiada umida;e se tu vuoi, ricordae se tu vuoi, dimentica.Io non vedrò le ombre,non sentirò la pioggia;non udirò l’usignolocantare come se fosse addolorato:e sognando durante il il crepuscoloche nè sorge nè tramonta,per caso possa ricordaree per caso possa dimenticare.
Ricordami
Tu ricordami quando sarò andatalontano, nella terra del silenzio,né più per mano mi potrai tenere,né io potrò il saluto ricambiare. Ricordami anche quando non potraigiorno per giorno dirmi dei tuoi sogni:ricorda e basta, perché a me, lo sai,non giungerà parola né preghiera. Pure se un po’ dovessi tu scordarmie dopo ricordare, non dolerti:perché se tenebra e rovina lasciano tracce dei miei pensieri del passato,meglio per te sorridere e scordareche dal ricordo essere tormentato.
A Birthday
My heart is like a singing bird
Whose nest is in a water’d shoot;
My heart is like an apple-tree
Whose boughs are bent with thickset fruit;
My heart is like a rainbow shell
That paddles in a halcyon sea;
My heart is gladder than all these
Because my love is come to me.
Raise me a dais of silk and down;
Hang it with vair and purple dyes;
Carve it in doves and pomegranates,
And peacocks with a hundred eyes;
Work it in gold and silver grapes,
In leaves and silver fleurs-de-lys;
Because the birthday of my life
Is come, my love is come to me.
(Traduzione)
È un uccello canoro il mio cuore
che ha fatto il nido su una fresca cima –
un melo ricco di rami è il mio cuore
ricco di frutti come mai fu prima
È come una conchiglia iridescente
su un mare luminoso e trasparente.
Più felice di sempre oggi è il mio cuore
perché è giunto l’amore.
Fatemi un trono di piume e seta
di morbide pellicce e drappi rossi
colombe e melagrane sian scolpite
intrecciate a cento occhi di pavone,
grappoli d’oro e grappoli d’argento
in viluppi di bianchi fiordalisi.
È il compleanno della vita mia,
l’amore è giunto e non andrà più via
The lowest place (1863)
Give me the lowest plase: not that I dare
Ask for that lowest place; but Thou hast died
That I might live anch share
Thy glory by Thy side.
U That lowest plase too high, make one more low
Where I may sit and see
My God and love Thee so.
(Traduzione)
Dammi l’ultimo posto: non che osi
chiederlo, ma Tu sei morto
perché io viva e divida con Te
la gloria al tuo fianco-
Dammi l’ultimo posto: o se per me
l’ultimo è troppo, creane un altro più giù
dove possa sedere e vedere
il mio Dio e così amarTi [
Composizioni di Christina Rossetti
L’Italo-britannica Christina Rossetti iniziò a scrivere molto presto, ma solo all’età di 31 anni vide pubblicata la sua prima raccolta di poesie, Goblin Market and Other Poems (1862). L’opera ottenne una critica molto favorevole e Christina venne salutata come la naturale erede di Elizabeth Barrett Browning nel ruolo di female laureate. Il titolo che dà il nome alla raccolta è il lavoro più famoso di Christina Rossetti, e nonostante a prima vista sembri semplicemente una filastrocca sulle disavventure di due sorelle in mezzo agli gnomi (goblins), la poesia è complessa e ha diversi livelli di lettura. La critica l’ha interpretata in modi molto diversi: vi ha visto un’allegoria sulla tentazione e la redenzione, un commento sui ruoli sessuali nell’epoca vittoriana, e la tematizzazione del desiderio erotico e la redenzione sociale.
Christina Rossetti continuò a scrivere e pubblicare per il resto della sua vita e si concentrò soprattutto sulla poesia devozionale e per bambini. Tuttavia le cose più interessanti che ha scritto sono poesie d’amore. Non si tratta di fantasie o di petrarchismo cortese: nascono da storie d’amore dolorosamente vissute e da sprazzi di lucidità che trasformano il dolore in un sentimento leggero e giocoso. La famosa When I am dead, my dearest esprime tutta la sua insicurezza: Christina non è sicura del proprio amore quanto non è sicura dell’amore dell’amato, il quale dunque non viene caricato di doveri, che del resto neppure lei potrebbe sopportare.
Mantenne una grande cerchia di amici e per dieci anni lavorò come volontaria in una casa di accoglienza per prostitute. Rimase ambivalente riguardo al suffragio femminile, ma molti hanno riconosciuto tematiche femministe nella sua poesia. In più era contro la guerra, la schiavitù, la crudeltà contro gli animali, lo sfruttamento sessuale delle minorenni e ogni forma di aggressione militare.
Else Lasker-Schüler, all’anagrafe Elisabeth Schüler (Elberfeld, 1869 – Gerusalemme, 1945), poetessa tedesca, considerata da Schalom Ben-Chorin la più grande che l’ebraismo abbia mai saputo esprimere; o secondo Karl Kraus «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna». O ancora, per Gottfried Benn, la più grande che la Germania abbia mai avuto.
Solo te
Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.
Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.
Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.
Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.
Stregato
Giace sul mio fondo.
Forse il mio cuore è il mondo,
Batte –
E cerca ancora te –
Come ti devo invocare
Ascolta
Io mi prendo nelle notti
Le rose della tua bocca
Che nessun’altra ci beva.
Quella che ti abbraccia
Mi deruba dei miei brividi
Che intorno al tuo corpo io dipinsi.
Io sono il tuo ciglio di strada.
Quella che ti sfiora
Precipita.
Senti il mio vivere
Dovunque
come orlo lontano?
Conciliazione
Cadrà una grande stella nel mio grembo…
Vogliamo vegliare la notte,
Pregare nelle lingue
intagliate come arpe.
Vogliamo conciliarci la notte,
tanto trabocca Dio.
Son bimbi i cuori nostri,
che vorrebbero dolci di stanchezza posare.
E vogliono baciarsi
le nostre labbra – di che cosa temi?
non confina il mio cuore
col tuo – sempre il tuo sangue mi colora
le guance in rosso
Vogliamo conciliarci la notte,
se ci abbracciamo non moriamo.
Cadrà una grande stella nel mio grembo.
Faraone e Giuseppe
Ripudia Faraone
le sue donne fiorite, profumate
dei giardini di Amon.
Riposa la sua testa
regale
sulla mia spalla che odora di grano.
È d’oro Faraone.
Il moto dei suoi occhi è come quello
delle cangianti onde del Nilo – ma
nel mio sangue è il suo cuore;
al mio abbeveratoio
andaron dieci lupi.
Ai miei fratelli
che mi gettaron nella fossa,
Faraone pensa sempre.
Le sue braccia diventano nel sonno
minacciose colonne!
Ma il suo cuore
sognatore bruisce sul mio fondo.
Perciò grandi dolcezze
il mio labbro va poetando nel frumento del nostro
mattino.
Fuga dal mondo
Io nell’immenso voglio
tornare a me,
già mi fiorisce il colchico autunnale dell’anima,
forse è già troppo tardi per tornare.
Oh, fra di voi io muoio!
perché voi mi asfissiate di voi stessi.
Vorrei tirare fili intorno a me
per metter fine alla babele!
fuorviarvi,
confondervi,
per fuggire
verso di me!
Sera
Si strappò da me il mio riso,
il mio riso dagli occhi di bambino –
il mio giovane riso zampillante
dinanzi alla tua porta canta tempo di notte oscura.
Da me partito prese stanza in te
per accenderti a gioia la più grande tristezza;
ora ride d’un riso di vegliardo
e soffre, povero di giovinezza.
Esistenza
Ebbi notturna chioma fluttuante –
da lungo tempo giace sepolta.
Come ruscelli chiari gli occhi – prima
che la tristezza fosse ospite mia –
le mani biancorosse di conchiglia,
però il lavoro ne consunse il bianco.
E un giorno viene l’ultimo,
che china il cupo sguardo
sul mio corpo fugace
e mi libera dalla morte – tutta.
L’anima mia respira di sollievo –
beve l’eterno.
Dolore cosmico
Io, il bruciante vento del deserto,
mi raffreddai e presi forma.
Dov’è il sole, che possa liquefarmi,
od il lampo che possa frantumarmi!
Irosamente ora guardo, petrosa
testa di Sfinge, verso tutti i cieli.
Al pagano Giselheer
Piango – i miei sogni cadono nel mondo.
Nelle mie tenebre nessun pastore
osa entrare.
I miei occhi non mostrano la via
come le stelle.
Sempre vo mendicando
davanti alla tua anima – lo sai?
Almeno fossi cieca –
allora penserei
d’essere nel tuo corpo.
Verserei tutti i fiori nel tuo sangue.
Molto ricca son io,
né chiunque può cogliermi
o
portarsi via i miei doni.
Con ogni tenerezza
voglio insegnarmi a te;
già sai dire il mio nome.
Guardali i miei colori, nero e stella
e non amare
il freddo giorno che ha l’occhio di vetro.
Tutto è morto
io e te soli vivi.
Te solo
In una cinta di nuvole il cielo
porta la curva luna.
Sotto l’icona-falce
nella tua mano voglio riposare.
Il mio volere dev’essere sempre
quello della tempesta – sono un mare
senza riva.
Pure dacché tu cerchi
le mie conchiglie, il cuore mi risplende.
Giace
sul mio fondo incantato.
Forse è il mondo il mio cuore,
bussa –
E te solo ormai cerca –
Come devo chiamarti?
Georg Trakl
Erano lontanissimi i suoi occhi.
Da fanciullo già fu una volta in cielo.
Uscivano perciò le sue parole
da nubi azzurre e bianche.
Bisticciavamo
di religione, sempre però come
due compagni di giochi.
Da bocca a bocca creavamo Dio
In principio era il verbo.
Una fortezza il cuore del poeta,
tesi cantanti le sue poesie.
Forse
era Martin Lutero.
L’anima triplice portava in mano,
quando partì per la guerra santa.
– Poi seppi che era morto –
La sua ombra indugiava incomprensibile
sulla sera della mia stanza.
Congedo
La pioggia ha ripulito gli erti muri di case
io scrivo sopra l’arco di pietra bianca
e lievemente sento
rafforzarsi la mano stanca ai versi
d’amore, dolci eterni ingannatori.
Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E sfuggii forse alla mano amorosa
del mio angelo: ho ingannato il mondo, e il mondo me.
Vicino alle conchiglie, nella sabbia,
ho sepolto la salma.
Tutti leviamo gli occhi a un cielo – ma
ci invidiamo la terra?
Perché Dio balenando ha trasmigrato a Oriente,
vinto
dall’immagine della sua creatura?
Io veglio nella notte tempestosa sui flutti alti del mare!
E quel che poté unirmi al giorno di riposo
della Sua creazione, è come un tardo stormo d’aquile
sparito in questo buio minaccioso.
DUE IMPRESSIONI DI RIGUARDO SU ELSE LASKER-SCHÜLER
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«Era piccola, allora aveva l’esilità di un ragazzo e capelli neri come la pece, tagliati corti, cosa ancora rara a quel tempo, grandi occhi molto neri e molto mobili, con uno sguardo sfuggente e inesplicabile.
Né allora né poi si poteva andare in giro con lei senza che tutti si fermassero a guardarla: gonne o pantaloni erano larghi e stravaganti, il resto dell’abbigliamento impossibile, collo e braccia coperti di vistosi gioielli falsi, catene, orecchini, anelli d’oro falso alle dita; e poiché era continuamente occupata a scostare dalla fronte i ciuffi di capelli, quegli anelli da donna di servizio – bisogna pur chiamarli così – erano sempre al centro degli sguardi di tutti. Non mangiava mai regolarmente, mangiava pochissimo, spesso viveva di noci e frutta per settimane.
Dormiva spesso sulle panchine, e fu sempre povera in tutte le situazioni e le fasi della sua vita.»
GOTTFRIED BENN, in: “Lo smalto sul nulla”, trad. Luciano Zagari, Adelphi 1992. [Si tratta di una memorabile pagina, scritta da Benn quando Else era già morta. Appena qualche rigo dopo, l’antico amico aggiunge che questa donna «era la più grande poetessa che la Germania avesse mai avuto».]
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«La Lasker-Schüler è una grande poetessa: l’aggettivo non è speso inutilmente. Purtroppo non è conosciuta come avrebbe dovuto neppure dai germanisti. Esisteva soltanto, prima di questa, un’antologia curata da Giuliano Baioni parecchi anni fa, con traduzioni estremamente sensibili. La Lasker-Schüler appartiene alla prima generazione dell’espressionismo, dove figurano poeti altrettanto importanti, come Trakl, e altri minori come Stadler o Schikele; sono poeti che si collocano alla periferia della lingua tedesca (Alsazia o Slesia) e in questa periferia si colloca anche la Lasker-Schüler, che nasce nel 1869 a Elberfeld in Westfalia e muore a Gerusalemme nel 1945: quindi non fa parte dell’espressionismo berlinese, anche se a Berlino ha vissuto molti anni della sua vita disordinata col fascino della bohème che la induceva a frequentare il famoso “Café des Westens”: amava molto vivere nell’ambiente dei caffè, che ai suoi occhi diventavano ricchi di finzioni fantastiche. È interessante l’uso che la Lasker-Schüler fa dei nomi di fantasia, riferendoli, oltre che a se stessa, ai propri amici (Kraus, “il Dalai Lama”, Benn, di cui fu innamorata per molto tempo, “Giselheer il Barbaro”, Werfel, “il Principe di Praga”, e lei chiamava se stessa “Tino di Bagdad”): erano tutti maschere di sogno, stilizzazioni fantastiche in cui il motivo fanciullesco-fiabesco della maschera si intrecciava con quello della fascinazione dell’esotico, che è un motivo originariamente romantico. In questa percezione dell’elemento esotico sta molta della poesia della Lasker-Schüler, con una sottaciuta intenzione antiborghese: il filisteismo borghese, per cui tutto deve rientrare in una determinazione anagrafica rigorosa, viene qui sconvolto da questa grande onda di trasfigurazione fantastica. Tra gli elementi di questa poesia ha poi un ruolo determinante la grande tradizione della cultura ebraica tedesca che culmina in Rosenzweig e in Martin Buber, la tradizione del chassidismo orientale e la mistica kabbalista o la Leienmystik.
Questa è la prima traduzione delle Ballate ebraiche, alla quale si unisce la traduzione di parti di altre sillogi o cicli poetici, che sono anteriori e poeticamente ancor più significativi. Certamente nella Lasker-Schüler si ha l’identificazione della poesia con la persona: si potrebbe dire di lei quello che Eichendorff disse di Brentano, che la sua stessa esistenza era poesia: c’era in lei questa capacità di identificazione totale nella forma espressiva del linguaggio. Si pensi che quando a Gerusalemme venne proposto alla Lasker-Schüler di far tradurre le sue poesie in ebraico, lei rispose con grande stupore: “Ma sono scritte in ebraico!” e si rifiutò di farle tradurre: lei scrive in tedesco, ma queste poesie vivono profondamente nella matrice ebraica da cui si originano. La loro scrittura è prevalentemente simbolico-metaforica, dotata di un alto grado di stilizzazione dell’imagery, di un’articolazione di Stimmungen, che si inseriscono in questa architettura con un procedimento del tutto libero, senza nessuna “rotondità”, con grandi salti ellittici e con questa magia di concatenazione ritmica dei versi: in questa poesia c’è un grado d’astrazione estremo, l’io lirico che parla per “fusioni”, per metafore assolute.
Bisogna dare senz’altro lode alla traduttrice perché l’impresa non è certamente stata facile. Maura Del Serra ha saputo, soprattutto per quanto riguarda i timbri espressivi, trovare delle soluzioni molto felici. Spesso, purtroppo, per un condizionamento dovuto alla difficoltà del fraseggio lirico della Lasker-Schüler, si è vista costretta a moltiplicare i versi, perdendo quella suggestione dovuta alla concentrazione espressiva tipica di questa poesia. Tuttavia si tratta di un lavoro degno di ogni lode; interessanti sono anche le parti filologiche, soprattutto le note, di cui questi testi poetici sono corredati, e così l’introduzione, che pur non essendo di una germanista è però estremamente significativa per tutti i richiami e le indicazioni che ci dà.»
FERRUCCIO MASINI
Biografia di Else Lasker-Schüler, all’anagrafe Elisabeth Schüler (Elberfeld, 1869 – Gerusalemme, 1945), poetessa tedesca, considerata da Schalom Ben-Chorin la più grande che l’ebraismo abbia mai saputo esprimere; o secondo Karl Kraus «il più forte e impervio fenomeno lirico della Germania moderna». O ancora, per Gottfried Benn, la più grande che la Germania abbia mai avuto.
Ultima di sei fratelli, Else Schüler nacque nel 1869 a Elberfeld, in Vestfalia, dal banchiere Aaron Schüler e da Jeanette Kissing, che fu una delle figure centrali nella sua poesia. Else crebbe come bambina prodigio all’interno della famiglia: a quattro anni sapeva già leggere e scrivere. Dal 1880 frequentò il Liceo West an der Aue. Nel 1894 morì il fratello Paul, cui era molto legata, nel 1890 la madre e nel 1897 il padre. La morte della madre significò per lei «la cacciata dal paradiso terrestre».
Dopo aver lasciato la scuola e aver preso lezioni private in casa dei genitori, nel 1894 sposò il medico Jonathan Berthold Lasker, fratello maggiore del campione mondiale di scacchi Emanuel, e si trasferì a Berlino nel 1895, dove rimase fino al 1933. Qui iniziò la sua formazione come disegnatrice e pubblicò nel 1899 le prime poesie sulla rivista Die Geseleschaft. Durante gli anni berlinesi fu una delle principali animatrici dei “tavoli” letterari tenuti al Café des Westens. Il 24 agosto 1899 nacque il figlio Paul. La prima raccolta di poesie, Styx, venne pubblicata nel 1902.
L’11 aprile del 1903 divorziò da Berthold Lasker per sposare, il 30 novembre dello stesso anno, lo scrittore Georg Lewin, che a lei deve il suo pseudonimo di Herwarth Walden. Separatasi anche da Lewin nel 1910, nel 1912 ottenne il divorzio. Senza un reddito proprio, visse grazie all’appoggio di amici, in particolar modo Karl Kraus. Nel 1912 incontrò Gottfried Benn. Tra i due si sviluppò una profonda relazione, e lei gli dedicò numerose poesie d’amore.
Nel 1906, dopo la morte del suo carissimo amico Peter Hille, comparve la prima opera in prosa, Das Peter-Hille-Buch. Nel 1909 pubblicò il testo teatrale Die Wupper, che venne messo in scena solo nel 1919 a Berlino. Con la raccolta di poesie Meine Wunder(e in particolare con la poesia Ein alter Tibetteppich) Else Schüler divenne nel 1911 una delle principali esponenti dell’espressionismo.
Nel 1927 morì di tubercolosi il figlio Paul e iniziò per lei una profonda crisi. Vinto nel 1932 il premio Kleist, il 19 aprile 1933 emigrò a Zurigo in seguito a minacce e violenti attacchi da parte del partito nazista. A Zurigo, tuttavia, le venne vietato di pubblicare. Compì due viaggi in Palestina, nel 1934 e nel 1937. Nel 1938 le fu revocata la cittadinanza tedesca. Nel 1939 compì il terzo viaggio in Palestina. A causa dello scoppio della guerra non le fu possibile tornare in Svizzera. Nel 1944 si ammalò gravemente, e in seguito a un attacco di cuore avuto il 16 gennaio 1945, il 22 gennaio Else Lasker-Schüler morì e fu sepolta sul Monte degli Ulivi a Gerusalemme.
Opere
Else Lasker-Schüler ha lasciato un cospicuo numero di opere poetiche, tre testi teatrali, alcuni racconti, schizzi nonché numerose lettere e disegni. In vita, le sue poesie comparvero sia in numerosi giornali e periodici, tra cui quello del suo secondo marito, Der Sturm e quello di Karl Kraus Die Fackel, sia in alcuni volumi curati e talvolta illustrati da lei stessa, tra cui
Styx (1902)
Der siebente Tag (1905)
Meine Wunder (1911)
Hebräische Balladen (1913)
Gesammelte Gedichte (1917)
Mein blaues Klavier (1943)
Else Lasker-Schüler si dedicò molto alla poesia amorosa, che occupa uno spazio centrale nella sua produzione lirica; si trovano inoltre molte poesie dal profondo carattere spirituale: le opere tarde in particolare sono dense di riferimenti biblici e orientali. Else Lasker-Schüler.
Nella sua pièce teatrale Artur Aronymus(1933) Else Lasker-Schüler tratta apertamente e lucidamente delle persecuzioni antisemite e l’opera venne prima censurata dal regime e poi cancellata dai programmi teatrali. I riferimenti alla contemporanea situazione politica si fanno ancor più espliciti nella sua ultima opera teatrale, Ichundich (ioeio), a cui lavorò fino ai suoi ultimi giorni a Gerusalemme. In quest’opera emerge una complessa continuazione del Faust di Goethe, in cui Faust e Mefisto osservano dall’inferno Hitler conquistare il mondo pezzo dopo pezzo. In seguito a tali fatti spaventosi perfino Mefisto deve ammettere che il male non può essere approvato e con Faust invoca il perdono divino; entrambi vengono assunti in cielo mentre il Terzo Reich sprofonda in un mare di fiamme.
Giornata contro la violenza sulle donne: la poesia africana
Rivista L’Altrove
Giornata contro la violenza sulle donne -la poesia africana-I dati riferiscono che nel mondo il 35% delle donne ha subito una forma di violenza. In Africa questi dati salgono ancora di più. Si parla del più del 50%; in alcuni Paesi come il Kenya, l’Etiopia, la Tanzania o il Sudafrica i casi di violenza sulle donne sono all’ordine del giorno, un uomo su quattro ha commesso un reato sessuale.
La povertà dilagante, la cultura, gli usi e i costumi di queste genti rendono la situazione ancora più drammatica. Essere donne in Africa significa essere private di qualunque cosa, della propria libertà, della propria femminilità, della propria dignità e soprattutto della propria vita.
La violenza assume diverse forme: discriminazioni, abusi, matrimoni forzati e precoci, mutilazioni genitali, malattie.
Le disuguaglianze di genere, l’analfabetismo obbligato, rendono le violenze ancora più diffuse e insensate. Le donne che non hanno un lavoro o un istruzione dipendono ancora di più dai loro mariti e vengono maggiormente sottomesse alla loro volontà.
Ancora oggi molte bambine vengono date in sposa prima che compiano la maggiore età e si ritrovano presto madri, ferite, scoraggiate e senza futuro. Sposandosi da bambine devono anche subire una delle pratiche più crudeli e atroci che una donna possa affrontare: la mutilazione. Più di duecento milioni di bambine e donne tuttora in vita hanno subito mutilazioni genitali. Le conseguenze delle mutilazioni genitali femminili sono diverse: infezioni, rapporti sessuali dolorosi, ripercussioni psicologiche, persino la morte della donna.
Ogni violenza porta con sé altra violenza.
A raccontarla ci pensano le poetesse. È una sola voce potente quella che ci arriva dallo Stato Africano. A portarla nel nostro Paese è l’iniziativa chiamata Afro Women Poetry, un progetto ambizioso che vuole far conoscere al pubblico italiano e internazionale l’Africa vissuta dalle donne. Le poetesse esprimono bene le violenze di genere di cui sono vittime; tra loro Mariska Araba Taylor-Darko, Maame Afia Konadu Sarpong e Line Zokro descrivono la brutalità della violenza domestica.
Sono poesie di facile lettura, che, nella loro semplicità di forma, provocano nel lettore tristezza e rabbia. Sono testi narrativi, lunghi monologhi liberatori, che somigliano alla spoken word poetry, la parola-poesia parlata, recitata e quasi urlata.
Sì, in questi versi è possibile sentire anche il grido di ogni donna africana, di richiesta d’aiuto, di ribellione.
Alcune poesie scelte per la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne:
Picchiare per amore
Il tuo pugno mi ha colpito in viso Sono rimasta sotto shock Senza muovermi né urlare La prima volta che è successo Dicesti che mi picchiavi perché mi amavi
Mi hai incolpata Non ricordo d’aver sbagliato Il tuo gioco d’azzardo e le bevute Il tuo andare a donne, il flirtare I tuoi problemi e preoccupazioni Era tutta colpa mia Dicevi che mi picchiavi perché mi amavi
Ti ho chiesto perché lo facevi “Mi hai costretto tu!” hai detto “Devo correggerti, amore mio” “Ti amo, per questo ti picchio”
Non sapevo l’amore fosse così Forse nessuno me l’aveva detto Pensavo l’amore fosse amare e prendersi cura Risate e felicità Non questo: paura ed essere picchiata “per amore”
Sono invecchiata nel cuore Il mio amore si è trasformato in paura e odio Vivevo solo nel terrore di quel pugno in faccia Perché non me ne sono andata, perché? La vergogna di affrontare il mondo di dire la verità Perché ti amavo Perché mi minacciavi Dicevi di amarmi, per questo mi picchiavi Mi addormentavo piangendo, in silenzio Perché lui non mi sentisse e non arrivasse un altro pugno in viso
È amore questo? Un pugno in faccia Devo aver sognato l’altro amore Quello delle stelle del cinema Quello dei libri Cosa ho fatto per meritarmi questo? Questo pugno “d’amore” in faccia
La mano che mi colpisce mi accarezza Non riesco ad andare via Né a dire cosa ho nel cuore Nessuno deve conoscere la mia vergogna Giaccio maltrattata e morta dentro Aggrappata a te, non per amore ma per paura Mentre temo il mattino perché avrò un altro pugno in faccia Mi chiederai, mentre io mi farò scudo “Sei sveglia?” E sussurrerai tra i baci “Ti picchio perché ti amo”
Di Mariska Araba Taylor-Darko.
Traduzione di Serena Piccoli
Non voglio sposarmi mai
Non voglio sposarmi Svegliarmi ogni mattina e vedere la faccia di mia mamma dipinta di sonori schiaffi dai palmi di papà, fa male all’anima Le cingeva il collo con le mani per prenderle la vita Dio sa quanto l’ha picchiata
Mio papà non mangia cibo stantio e mio papà è quel tipo pulito, sempre in ordine preciso, curato, il classico uomo alla moda di Bristol così la mamma ha dovuto lasciare il lavoro mollare la sua vita e fare lavori a domicilio: pompini, effusioni da letto sfruttando leve e controluce cucinare e pulire
Ogni notte lui abusava sessualmente di lei in svariati modi fino a toglierle il fiato, incessantemente Quello stesso fiato che le toglieva la mattina dopo picchiandola anche se aveva fatto tutto bene Mia madre era solo un manichino che indossava ferite come sciarpe e calci invece di camicie
Io, piccola bimba, sbirciavo tra i due cardini della porta per guardare la mamma che implorava che la lasciasse stare Quel che vedevo nei suoi occhi erano solo ferite nell’anima Mia madre cadeva in ginocchio e pregava come se Gesù dovesse prendere il posto di papà Piangeva e urlava a Dio di prendersi le sue pene o la sua vita Piangeva sempre
Quando la mamma disse che stava andando via tutto ciò che papà rispose fu “Ciao, Felicia” Non gli importava che lei stesse andando via Dopo tutto era solo un perfetto nessuno che nessuno era triste di veder partire Ma poi mia madre non è poi mai partita e questo per i suoi figli
Mia madre non ha sposato un uomo ha sposato la violenza Girata e rigirata come una trottola Era al suo servizio tutto il giorno e comunque la notte le squarciava la cervice L’amore era andato e lei aveva perso la fiducia e la capacità di parlare, a forza di nascondere le prove delle due azioni, eppure lui non si pentiva
Il suo corpo era una mappa Ogni linea un sentiero, una strada di classe una via verso una città Ogni città, un ricordo d’amore e dolore Il suo amore era un rapper e lei era tutto il suo pubblico I segni dei suoi pugni erano sofferenze d’amore nascoste Il corpo, l’ego, l’amore, lo spirito e l’anima di lei erano un mucchio di cicatrici incasinate
Non voglio mai sposarmi A volte mi chiedevo perché rimanesse. Ma se solo il dolore non facesse male se si potesse tornare indietro nel tempo senza rimpianti L’uomo di cui si era innamorata era cambiato era diventato uno squilibrato Ha lasciato che lui avesse il coltello dalla parte del manico e che stabilisse ogni quanto le fosse permesso di non poterne più di lui
Tutto questo mi cambiò Mi girava nella testa di giorno, di notte e proprio non trovavo pace La mia famiglia veniva presa in giro la gente spettegolava perché il matrimonio dei miei era diventato un incontro di boxe
Lei aveva perso il suo gusto per la moda il suo stile erano maniche lunghe occhiali scuri e trucco pesante Notti lunghe di chiacchiere piene di risate erano ora un disastro Ma mia madre non si è mai arresa
Mio padre era un cocainomane e quando lei si lamentava lui la prendeva a schiaffi e urlava “Me ne sbatto di quello che pensi!” Quindi un’altra guancia bluastra e un labbro rotto perché lei aveva cercato di distoglierlo dall’ennesima sniffata Fu troppo tardi quando realizzò che i suoi cieli blu erano diventati grigi e i suoi ricordi erano svaniti
Mia madre era incinta eppure mio padre la forzava a fare sesso con lui Stavano facendo a botte quando lei cadde dal settimo gradino E con la vista appannata, è rotolata giù giù, giù e ancora più giù fino a che la sua vita non si è spenta Era morta
Che gran dolore fu pensare che era l’ultima volta che vedevo mia madre E tutti continuavano a dire “va tutto bene”, “lui cambierà” “le cose andranno meglio” Mia madre è ora due metri sottoterra e io non so cosa sente Non può neanche sapere quanto mi manca né vedere come sto crescendo male e non c’è nessuno che mi dica “Ama, andrà tutto bene”
Sono stata stuprata più volte Sono diventata una dannata Mio fratello ora è un tossicodipendente e io una ninfomane perché non c’è nessuno con cui parlare e nessuna madre da cui andare Mio padre, mio padre è in prigione per droga Se solo potesse capire la bellezza della resilienza Se solo potesse capire la bellezza della resilienza non soffrirebbe le conseguenze di questo seguito grottesco ‘Mi dispiace’ ora è soltanto una parola
Fidatevi, c’è stato un tempo prima delle guerre un tempo prima delle cicatrici un tempo in cui per lei lui non era che dolce e adorabile un tempo in cui non si era accorta del difetto della sua stella candente C’è stato un tempo in cui lei era il suo mondo, la sua casa
Quando le promesse dovevano arare l’amore tra di voi perché hai consentito a te stessa di essere così acerba?
Non voglio mai sposarmi… con un uomo come mio padre
Innamorarsi di un violento è come vivere in un sacchetto di plastica Ti sembra di avere abbastanza aria per respirare ma sai per certo che morirai Allora prenditi un momento e ricordati che non c’è fretta per il matrimonio Prenditi tempo per trovare te stessa e migliorarti Le relazioni e i matrimoni di successo non prosperano di solo amore, ma di vera amicizia Non voglio mai sposarmi con un uomo come mio padre.
– Questo lavoro mi è stato ispirato dai fatti accaduti nella famiglia di una cara amica.
Di Maame Afia Konadu Sarpong
Traduzione di Serena Piccoli
L’amore
C’era una volta l’amore Un sentimento divenuto così raro che ogni cuore lo chiama con tutto se stesso C’era una volta l’amore E finalmente un giorno l’amore è venuto a lei Amore benedetto amore delirio amore commovente In nome di questo amore il suo cuore è rimasto sordo Sordo quando le si diceva che il suo era pesante, pesante per troppi sentimenti cattivi Rispondeva, io lo amo, non c’è amore senza dolore E durante questi giorni feroci In queste notti pungenti in un sanguinoso silenzio Ha sopportato la sua violenza In amore ci si mette in coppia per costruire e vivere insieme Lui preferisce distruggerla e ridere quando lei trema All’inizio era splendente e gioviale Colpo dopo colpo è sfiorita e divenuta pallida Le sue illusioni sul loro idillio sono scomparse Ormai nella sua vita accumula bile I suoi occhi sono un torrente inesauribile La sua vita un castello di sabbia Le sue promesse delle favole In amore ci si mette in coppia per rendersi felici Ma lui preferisce coprirla di lividi Un atto disumano non è quando un cane fa del male ad un altro cane È sicuramente un linguaggio che ogni cuore capirà L’amore non è mai stato compagno della violenza Se vivi questo calvario Sappi che hai il diritto di dire sì Sì a un cambiamento radicale Sì all’amore…
Fotoreportage FRASSO SABINO-Il Borgo di Frasso Sabino ha origini molto antiche, appartenendo all’abbazia di Farfa fin dalla fine del X secolo. La prima apparizione è infatti del 955 sul “Regestum Farfense”, dove viene registrato che Sindari e Gauderisio donano all’abbazia terre “locus ubi dicitur ad Frassum-La sua fondazione risale con molta probabilità alla fine del X secolo, epoca in cui appare più volte citata nelle cronache e nei documenti della vicina abbazia di Farfa; c’è da dire, però, che la diffusa presenza di sepolcri e di resti di costruzioni romane testimonia la presenza dell’uomo in epoche ben più remote. Per lungo tempo appartenne all’abbazia di Farfa e quando l’astro di questo centro di potere monastico cominciò a declinare (XII secolo) divenne proprietà della nobile famiglia dei Brancaleone. Nel 1441 passò ai Cesarini, che per un lungo periodo dovettero difenderla dalle mire espansionistiche dei Savelli; la contesa terminò nel 1573 con un atto di concordia, con il quale veniva confermato ai Cesarini il pieno possesso del feudo. Nel 1673, in seguito al matrimonio tra Livia Cesarini e Federico Sforza, passò alla casata Sforza-Cesarini che ne fu l’ultima proprietaria. Il toponimo, di chiara origine fitonimica, deriva dal latino FRAXINUS, ‘frassino’, e con tutta probabilità testimonia la massiccia presenza, in passato, di questa specie vegetale; la specificazione geografica è stata aggiunta nel 1863. Agli Sforza-Cesarini si deve la trasformazione di un preesistente castello, del quale rimane un possente torrione cilindrico, nell’attuale rocca. Il patrimonio storico-architettonico locale annovera inoltre la parrocchiale della Natività e la semplice ed elegante chiesa romanica di San Pietro in Vincoli, risalente al Trecento. Tra i cospicui resti romani sparsi sul territorio comunale spicca, in località Osteria Nuova, la cosiddetta grotta dei Massacci, un sepolcro di epoca incerta (età repubblicana oppure I-II secolo d.C.), edificato con enormi blocchi di pietra. Fonte -Italiapedia
la storia
Il toponimo
Frasso compare nella documentazione farfense nella prima metà del X secolo.
Il castello fu probabilmente fondato in questo periodo per iniziativa signorile, anche se la prima notizia certa della sua esistenza risale al 1055, quando Alberto figlio di Gibbone lo dono’ all’abate di Farfa, Berardo I.
L’atto è di particolare interesse perché descrive con precisione il territorio di pertinenza del centro fortificato.
Il castello di Frasso dovette rimanere in possesso del monastero per non molto tempo. Infatti già nel 1118 non risultava piu’ sotto la sua giurisdizione, pur mantenendo diritti di proprietà sul suo territorio, riconosciuti nel Quattrocento. Per piu’ di due secoli non si hanno notizie sui signori del castello. Sullo scorcio del Trecento ne erano in possesso i Brancaleoni. Nel 1441, quando Frasso era stato occupato da Battista Savelli, Paolo e Francesco Brancaleoni, signori di Monteleone lo donarono, come dote, alla loro sorella Simodea, che aveva sposato Orso Cesarini. Le controversie tra Savelli e Cesarini proseguirono a lungo fino ad estinguersi grazie ad un accordo raggiunto nel 1573.La forma
Il centro di Frasso sorge alto su un colle a quota 405 s.l.m, in posizione elevata sulla riva sinistra del Farfa, con andamento parallelo al corso del torrente. Il sito è circondato da alture verdeggianti e colture di ulivo e non lontano si trovano le sorgenti del Farfa, dette Le Capore, in località Ponte Buida.
La forma complessiva dell’abitato è dettata dalla conformazione stessa del supporto naturale e ne segue l’andamento fino ai bordi estremi. La dominante mole della Rocca dei Cesarini, davvero notevole rispetto alla dimensione dell’abitato, conserva ancora un alto bastione cilindrico con basamento a scarpa e munito di beccatelli nella parte Terminale. La rocca e l’intera struttura dell’abitato, sono state oggetto di continue modifiche che ne hanno cancellato la forma primitiva; anche la torre ha subito sorte analoga con l’abbattimento della parte piu’ alta.
La struttura del centro antico è composta da costruzioni che si attestano lungo un percorso principale che dalla rocca si inoltra verso il margine opposto dove la piccola piazza belvedere si apre spettacolarmente verso la valle del Farfa. Da qui il circuito viario, delimitando il bordo del colle verso valle, segue la mole della rocca, ricongiungendosi al punto di accesso al paese.
Di notevole interesse la chiesa romanico trecentesca di S. Pietro in Vincoli, la cui posizione elevata rispetto al paese, consente un’ampia vista sul paesaggio della valle. A pochi passi dalla chiesa un osservatorio astronomico di recente costituzione è ubicato nei locali di un ex mulino settecentesco.Una lunga via rettilinea esterna all’abitato, parte terminale della diramazione che porta al paese dalla via Mirtense, dà accesso alla parte più antica.
Lungo il suo asse si è sviluppato l’ampliamento urbano di più recente formazione.
Diego Dilettoso-La Parigi e la Francia di Carlo Rosselli
Editore Biblion
Descrizione-Questo saggio ripercorre gli ultimi otto anni della biografia di Carlo Rosselli (1929-1937), che il militante antifascista trascorre principalmente in Francia e, più precisamente, a Parigi. Gli anni dell’esilio non costituiscono per Rosselli soltanto un momento cruciale della lotta antifascista, con la fondazione di Giustizia e Libertà, la pubblicazione del saggio “Socialisme libéral” (Parigi, 1930), la partecipazione in prima persona ai combattimenti della guerra civile spagnola, fino al tragico assassinio, con il fratello Nello, a Bagnoles-de-l’Orne. L’esperienza d’oltralpe permette a Roselli – in misura senz’altro maggiore rispetto agli altri dirigenti dell’antifascismo in esilio – di entrare in contatto con i milieux politici ed intellettuali locali, lasciando tracce significative del suo passaggio e allargando i propri orizzonti culturali sulla Francia, paese al cuore di quella civilizzazione europea che Rosselli concepiva come naturalmente contrapposta alla barbarie fascista.
Uomo politico (Roma 1899 – Bagnoles de l’Orne 1937); antifascista, allievo di G. Salvemini; prof. (fino al 1926) all’univ. Bocconi di Milano e all’Istituto superiore di commercio di Genova, dopo il delitto Matteotti aderì al Partito Socialista Unitario. Fondatore, con G. Salvemini, E. Rossi e il fratello Nello, del foglio clandestino Non mollare!, poi (1926) con P. Nenni della rivista Il quarto stato, fu uno degli organizzatori dell’emigrazione politica antifascista clandestina; per aver aiutato l’evasione di F. Turati, fu confinato a Lipari, dove scrisse Socialismo liberale (pubbl. in Francia nel 1930), revisione teorica del marxismo in funzione di un socialismo democratico. Evaso da Lipari con F. S. Nitti e E. Lussu (1929), riparò in Francia, dove costituì il movimento Giustizia e Libertà, di cui fu la guida fino alla morte. Combattente (1936) nella guerra civile spagnola a fianco delle truppe repubblicane, venne ferito in battaglia; tornato convalescente in Francia, fu assassinato con il fratello Nello (v.) da cagoulards assoldati dal SIM. Le lettere dei due fratelli alla madre, Amelia Pincherle R. (n. 1870 – m. 1937), autrice di commedie e di libri per ragazzi, sono raccolte in Epistolario familiare. Carlo e Nello Rosselli alla madre (1914-1937), a cura di Z. Ciuffoletti (1979)
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