Quello che non si è soliti sapere su il Popolo dei Sabini , passato alla storia come gli ingenui che si son fatti fregare le donne dai romani, un fatto che macchia per sempre la narrazione nella storia di questo popolo, è che le ruggini con i futuri romani iniziarono già molto prima ovvero quando Enea sbarcò sui lidi laziali; infatti, il giovane principe Sabino Clauso (capostipite della futura e nobile gens Claudia) aiutò Turno, Re dei Rutuli, nella lotta contro gli esuli troiani.
Nonostante lo sgarro ricevuto e il misterioso omicidio del Re Tito Tazio, che inizialmente divideva il trono di Roma con Romolo e lasciò al solo Romolo il trono del nuovo regno, i Sabini si fusero con i Romani e da loro usciranno Re e famiglie potenti nella stessa storia romana… insomma una sorta di grande rivincita, perciò forse tanto ingenui non erano.
In realtà i Romani non solo si presero le donne ma copiarono e adottarono persino i loro tipi di scudi e di armature e per effetto di tale fusione l’esercito romano raddoppiò e divenne il più potente esercito dell’area, incoraggiando, come abbiamo visto, il rissoso Romolo ad ingrandire i propri confini.
Pertanto I Sabini divennero assai potenti all’interno delle mura romane, anche grazie all’appoggio delle numerose mogli dei giovani romani che erano, al tempo stesso, le loro figlie e le mogli, diciamo così … usurpate, rubate o furbescamente prestate? del resto si sà che in casa, come sempre capita, a comandare sono le donne e a Roma, per la maggior parte erano di origine Sabina.
Pertanto potremmo affermare che il popolo Sabino fu il più astuto popolo antico che raggiunse un enorme potere senza essere notato, anzi addirittura sottovalutato e grazie alle proprie donne … altro che ingenui!
“Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David–Particolare Bambini“Le Sabine” è un dipinto Jacques-Louis David-Particolare Romolo
-Claribel Alegrìa poetessa e scrittrice nicaraguense-
Claribel Isabel Alegría Vides, nota semplicemente come Claribel Alegría (12 maggio 1924 – 25 gennaio 2018), era una poetessa, giornalista e scrittrice nicaraguense autrice anche di alcuni saggi, considerata con la connazionale Gioconda Belli la maggiore esponente della letteratura del Centro America. Nata a Estelí, una piccola città del Nicaragua, crebbe tuttavia a Santa Ana, nel Salvador. Nel 1943 si trasferì negli Stati Uniti per studiare e nel 1948 ricevette il B.A. (Bachelor of Arts), cioè la laurea, in Filosofia e Letteratura alla prestigiosa George Washington University di Washington.Tornata in patria, legandosi al Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale, d’ispirazione marxista, fu coinvolta nelle proteste nonviolente contro la dittatura del Presidente Anastasio Somoza Debayle. Nel 1979 Somoza cadde e il Fronte prese il potere in Nicaragua, ma Alegría, che nel frattempo aveva iniziato la propria carriera di poetessa, scrittrice, giornalista e saggista, decise di tornarvi solo nel 1985. Attualmente viveva nella capitale Managua. Scrittrice popolare in tutta l’America Latina, riflette uno stile che, a differenza di molti autori americani o europei, non è ripiegato su una lunga tradizione letteraria. Identificata come un’autrice della generación comprometida, poetessa severa e critica, a volte pessimista, in un classico umore mutevole come mutevole è la situazione politica del Centro America, Claribel Alegría usava nelle sue poesie il linguaggio comune, del popolo, e spesso una sua composizione non supera la decina di versi. Ha scritto anche romanzi, racconti e storie per bambini. Nel 1978 ha ricevuto a Cuba il Premio “Casa de las Américas”, il più prestigioso riconoscimento letterario del Centro America, e il “Neustadt International”.
Cuando me mates / muerte / tu te habiás evaporado / para siempre / yo / saltaré sobre mi cuerpo / y seguiré viviendo” (Quando mi ucciderai / morte / tu evaporerai / per sempre / io /
salterò sul mio corpo / e continuerò a vivere“
Quel bacio
Quel bacio di ieri mi ha
aperto la porta
e tutti i ricordi
che credevo fossero fantasmi
si sono ostinati
a mordermi.
La voce del ruscello
Torno verso il mare
è lì che nacqui
mi accolse una roccia
quando saltai sulla terra.
Scendo piano
mi trattengo nel muschio
tra i fiori selvatici
scendo a cercare il fiume
che mi riporti al mare.
Il mio vicino
il torrente
non sa che io esisto
brama
salta
riempie canali
scoppia
anche lui cerca il fiume
dissolversi nel fiume
che mi riporti al mare
perché il mare ci aspetta
perché il mare è la culla
perché siamo il mare.
Io sono un gabbiano
Sono un gabbiano
solitario
con l’ala spezzata
faccio un solco nella sabbia.
Inconfondibile
è la voce
che mi insegue
che non si scolla da me
che tesse insonnie.
Come la pioggia
cade
come il vento
solo questa voce ascolto
mi possiede
lascia cadere avanzi di pane
e fugge via.
(da ‘Voci‘, Samuele Editore, 2015 – Traduzione di Zingonia Zingone)
Claribel Alegria
Claribel Alegría
Cos’è poesia?Ce lo ricorda Claribel Alegría
Di: Mattia Cavadini
Capita a volte, invero raramente, di imbattersi in una successione di frasi o versi di una bellezza e potenza inaudite. Penso ad alcune poesie di Rilke, qualche verso del Montale di Xenia, alcune figurazioni dantesche, brevi illuminazioni rimbaudiane, l’incanto di Wordsworth o i sassolini naif che Walser lascia cadere nel suo camminare in prosa.
Questo catalogo è inviolabile, emana una luce abbacinante, e non sopporta volgarizzazioni. In esso entrano pochi nomi, per cui quando capita di imbattersi in nuovi cristalli verbali che possano essere annoverati nel catalogo, ecco che si sobbalza sulla sedia, si freme, si sorride e si piange di commozione. È quanto mi è successo ultimamente, leggendo la prima parte del poema Amore senza fine (edizioni Fili d’Aquilone) di Claribel Alegría, poetessa nicarguense di cui ignoravo l’esistenza.
Claribel Alegria poetessa e scrittrice nicaraguense
E allora mi sono domandato: come è possibile che determinati autori riescano a generare cristalli verbali così potenti? La sensazione è che questi momenti poetici non appartengano a colui o colei che li ha generati. Essi sembrano piuttosto superare non solo l’autore ma anche la realtà in cui sono nati. Sono, questi cristalli, l’indizio di ciò che può essere fatto senza che l’autore possa rivendicarne il dominio o la paternità. Ma allora, se non è l’autore che parla in questi momenti ieratici, chi sta parlando? Leggendo la sezione La soglia del poema di Claribel Alegría ho avuto la sensazione (come per gli altri cristalli verbali) che i suoi versi custodissero il fiato di una bocca ignota, fossero il riflesso immateriale in cui si specchiano i segreti del mondo.
n questi cristalli verbali si ha la sensazione che lo scrittore non scriva, ma che sia scritto. O meglio, che scriva parole ricevute, parole che provengono da un altro. Non a caso Rimbaud diceva: C’est faux de dire: Je pense; on devrait dire: On me pense. Stessa cosa ribadiva Jung a proposito del pensiero primitivo: La mentalità primitiva si distingue da quella civilizzata soprattutto per il fatto che non si pensa “coscientemente”, ma i pensieri semplicemente “affiorano”. Il primitivo non può dire che pensa, bensì che “in lui si pensa”.
Purtroppo nel mondo odierno questo tipo di scrittura non esiste più. Gli scrittori oggi sembrano poco disposti a farsi da parte e a lasciare che sia l’altro a scrivere al proprio posto. Eppure, come suggeriva Barthes, scrivereimplica necessariamente tacere: scrivere è in un certo modo “farsi muto come un morto”, diventare uno cui non è consentita l’ultima replica; scrivere è dal primo momento offrire all’altro quest’ultima replica. In altre parole: solo facendo olocausto di sé e delle cose stabilite, lo scrittore può servire una realtà sconosciuta ed invisibile (rovina di ciò che egli conosce e meraviglia di ciò che ignora). Solo cercando ciò che si perde, ciò che è al di là dei propri confini, è possibile essere messaggeri dell’infinito.
Perdendosi, il poeta si scopre radunatore di miti, eco dello spirto. Dante lo sapeva bene, quando invocava: entra nel petto mio, e spira tue o quando ribadiva: Amor che ditta dentro. Stessa cosa diceva Platone, allorché affermava che per bocca dei poeti, privati del senno e della volontà, parlava la divintà. Peccato che tale scrittura sia andata scomparendo e grazie a Claribel Alegría per avermi ricordato ciò che è Poesia: la trascrizione di cristalli verbali ricevuti dal cielo, e, in assenza di questi messaggi, il silenzio.
Claribel Alegria poetessa e scrittrice nicaraguense
Claribel Alegría- La poesia è puro amore
Di: Gianni Beretta
Resisterà la poesia in un mondo caotico, sempre più razionale e virtuale, piegato al dio denaro? Per Claribel Alegría, tra i magigiori poeti latinoamericani, assolutamente sì. Per lei, che ci ha lasciti il 25 gennaio 2018, la poesia era qualcosa di antecedente il linguaggio: da quando esiste l’homo sapiens, quando una mamma coccola e canta per il suo bambino, fa poesia; la poesia è nel profondo dell’essere umano, che scriva o no. Il 14 novembre 2017 Claribel ha ricevuto dalle mani della regina emerita Sofia di Spagna la massima onorificenza per la Poesia Iberoamericana 2017 (l’equivalente del Miguel de Cervantes per la letteratura), onorificenza attribuitale dalla prestigiosa Università di Salamanca (che in passato aveva insignito poeti del calibro di Álvaro Mutis, Juan Gelman e María Victoria Atencia).
Nata il 12 maggio 1924 in Nicaragua, da madre salvadoregna e padre nicaraguense, Claribel Alegría trascorre la sua infanzia e adolescenza in El Salvador. Per poi andare a studiare lettere e filosofia alla George Washington University.
Claribel Alegría incomincia a scrivere poesie molto presto, a 14 anni, ispirata dalla lettura di un grande vate: il ceco Rainer Maria Rilke. E il suo primo maestro (severo e rigoroso, dice di lui con gratitudine) è il poeta spagnolo e nobel per la letteratura Juan Ramon Jimenez.
La sua è una poetica eminentemente lirica, in un istmo centroamericano fecondo in quanto a narrativa e poesia, avendo dato i natali a grandi letterati come Rubén Darío (in Nicaragua), Miguel Ángel Asturias (in Guatemala) e Roque Dalton (in El Salvador).
Claribel fin dall’inizio pone al centro della sua opera l’amore, nelle sue diverse manifestazioni, a immagine del suo profondo amore verso la vita intera. La sua poesia non si arresta, infatti, di fronte al negativo ma si dispone con lo stesso amore e con la stessa partecipazione sia alla gioia che al dolore, sia alla nascita che al tramonto, sia alla presenza che all’assenza.
La Rivoluzione Cubana del 1959 le apre gli occhi sulla realtà sociale dei paesi centroamericani, allora oppressi sotto il giogo di dittature oligarchico-militari. La forza della rivoluzione le dimostra che la cogenza storica e sociale (che a prima vista potrebbe sembrare ineluttabile e priva di futuro) può essere cambiata. Cominciai a scrivere oltre il mio ombelico, afferma Claribel, che ciononostante preferisce tenersi alla larga dal poema politico e di denuncia (e, più in generale, dalla letteratura impegnata): la poesiaè scrivere e riscrivere al meglio un poema;non deve fare compromessi né essere al servizio di nessuno. E, a coloro che ritengono che i suoi sarebbero talvolta versi politici, risponde: la mia poesia è puro amore verso la mia gente.
Claribel ha scritto pure diverse novelle insieme al suo compagno di vita: Darwin Flakoll, detto Bud, suo coetaneo, determinante nella sua opera e ispirazione poetica. Insieme hanno vissuto a Città del Messico, Santiago del Cile, Buenos Aires, Montevideo e Parigi. Per poi ritirarsi a Mayorca, a fianco dell’abitazione dello scrittore Robert Graves.
Julio Cortázar, Mario Benedetti, Eduardo Galeano, Vargas Llosa, Carlos Fuentes fra gli altri, erano di casa da loro nell’isola. Così come erano altrettanto di casa a Managua quando Claribel e Bud si trasferirono definitivamente in Nicaragua nel 1982, in piena Rivoluzione Popolare Sandinista.
Con Bud (scomparso nel 1995) aveva un rapporto che, se possibile, veniva prima dei sentimenti che nutrivano verso i loro quattro figli. Mi chiedono spesso, afferma Claribel, quale sia il segreto per un amore duraturo. Rispondo che oltre all’amore ci deve essere una grande amicizia. Senza amicizia l’amore appassisce. Per Claribel Alegría dunque l’amore “eterno” esiste, e lei ha avuto il privilegio di viverlo.
La parola è un’ossessione per Claribel, che considera la poesia un esercizio ben più arduo della prosa: ho passato notti insonni per trovare la parola giusta di un verso. Claribel Alegría ha pubblicato una ventina di libri di poesie, fra cui: Variaciones en clave de mí, Sobrevivo, Umbrales, Saudade, Soltando amarras… In italiano sono stati tradotti Alterità (Incontri Editrice 2012) e Voci (Samuele Editore 2015), oltre alla novella Ceneri d’Izalco (Incontri Editrice 2011) scritta nel 1966 con il marito Darwin Flakoll. E il poemaAmore senza finededicato al suo Bud: sessantuno pagine fitte di versi dove Claribel compie un dolce e misterioso viaggio nell’aldilà, un viaggio che supera il tempo e la morte.
Gertrud Kathe Sara Chodziesner nasce a Berlino nel 1894, in una famiglia ebrea.Lavora come insegnante in una scuola femminile e coi bambini disabili e, nel mentre, scrive varie poesie con lo pseudonimo di Gertrud Kolmar.La poetessa esprime, nelle opere, il suo modo di essere e la struggente richiesta di essere ascoltata dagli altri, lontana da qualsiasi ambizione mondana.Le sue poesie giungono al grande pubblico nel 1938, ma vengono subito cancellate dalle leggi razziali. Gertrud le consegna a familiari emigrati, poi è costretta a prendere la dimora, con il padre, nella “Casa degli Ebrei”.Il padre nel 1941 viene inviato al campo di Theresienstadt, Gertrud il 2 marzo 1943 viene caricata sul treno senza ritorno con Auschwitz come destinazione finale.
L’animale
Vieni qui. E vedi la mia morte e vedi questo
eterno patire,
L’ultima onda che tremando si perde sul mio
pelo,
E sappi che il mio piede con gli artigli fu
debole e sfuggente,
E non chiedere se sono lepre, scoiattolo, o
topo.
Perché non importa. Sempre ti voglio male
o bene;
Sei il tiranno che inventa la legge,
E la misura secondo le sue membra, come fosse il suo mantello,
il suo cappello.
E tra le mura della sua città lo straniero
stringe e offende.
Muto ti adagi sulle tombe degli uomini
Fatti a pezzi da te;
Soffrendo, diventarono santi, cinti d’oro.
Porti la pelle della madre morta e la metti addosso
a tuo figlio,
Regali giochi sbocciati dalla fronte insanguinata
dei martiri.
Perché in vita siamo bestiame e selvaggina; cadiamo:
preda, carne e pasto –
Non rugiada di mare, né raccolto di terra che voi senza riserva
concedete.
Con l’inferno ed il cielo vi addormentate; quando
crepiamo siamo carogne,
Ma il vostro cruccio è che non ci potete più
ammazzare.
A chi un tempo pregasti, io diedi le mie
immagini,
Finché riconoscesti il dio dell’uomo, non più
il dio degli animali,
Ed estirpasti la mia prole e chiudesti tra pietre
la mia fonte
E ciò che scrisse la tua brama chiamasti
una frase dell’Altissimo.
E tu hai la speranza e l’orgoglio, l’al di là, e ancora hai
del soffrire la ricompensa
Che si rifugia inviolabile nella tua anima;
Ma in una veste di piume e squame, io sopporto
mille volte,
E se tu piangi, sono il tappeto, sopra cui s’inginocchia
la tua pena.
Gertrud Kolmar – Das Tier
(Traduzione di Adelmina Albini e Stefanie Golish)
Das Tier
Komm her. Und siehe meinen Tod, und siehe dieses
ewige Ach,
Die letzte Welle, die verläuft, durchzitternd meinen
Flaus,
Und wisse, daß mein Fuß bekrallt und daß er flüchtig
war und schwach,
Und frag nicht, ob ich Hase sei, das Eichhorn, eine
Maus.
Denn dies ist gleich. Wohl bin ich dir nur immer böse
oder gut;
Der Willkürherrscher heißest du, der das Gesetz erdenkt,
Der das nach seinen Gliedern mißt wie seinen Mantel,
seinen Hut.
Und in den Mauern seiner Stadt den Fremdling drückt
und kränkt.
Die Menschen, die du einst zerfetzt: an ihren Gräbern
liegst du stumm;
Sie wurden leidend Heilige, die goldnes Mal verschloß,
Du trägst der toten Mutter Haut und hängst sie deinem
Kinde um,
Schenkst Spielwerk, das der blutigen Stirn Gemarteter
entsproß.
Denn lebend sind wir Vieh und Wild; wir fallen:
Beute, Fleisch und Fraß –
Kein Meerestau, kein Erdenkorn, das rückhaltlos ihr
gönnt.
Mit Höll und Himmel schlaft ihr ein; wenn wir
verrecken , sind wir Aas,
Ihr aber klagt den Gram, daß ihr uns nicht mehr
morden könnt.
Einst gab ich meine Bilder her, zu denen du gebetet
hast,
Bis du den Menschengott erkannt, der nicht mehr
Tiergott blieb,
Und meinen Nachwuchs ausgemerzt und meinem Quell
in Stein gefaßt
Und eines Höchsten Satz genannt, was deine Gierde
schrieb.
Und hast die Hoffnung und den Stolz, das Jenseits, hast
noch Lohn zum Leid,
Der, unantastbar dazusein, in deine Seele flieht;
Ich aber dulde tausendfach, im Federhemd, im
Schuppenkleid,
Und bin der Teppich, wenn du weinst, darauf dein
Jammer kniet.
“La città è per me un vino colorato in un levigato
calice di pietra
che sta e brilla
davanti alla mia bocca
e specchia la mia immagine nella sua cavità.
Esso riflette il suo cerchio
più profondo che ognuno conosce, ma nessuno sa perché, ciechi,
ci colpiscono tutte le cose
a noi quotidiane e usuali.
Davanti a me
la rigida parete
delle sagge case con il suo «Qui da noi…» sicuro di sè;
il volto di vetro
della piccola bottega
si chiude riservato:
«Io non t’ho chiamata.»
II selciato ascolta
e cerca a tentoni
il mio passo
pieno di sospetto e di curiosità
e dove il legno
si unisce con la colla,
là si parla una lingua
che non è mia.
La luna palpita rossastra
come un assassinio
sopra il corpo lontano,
sopra la parola smarrita, quando, la notte,
contro il mio petto
s’infrange il respiro
d’un mondo straniero.”
L’ABBANDONATA
A K. J.
Ti sbagli. Credi di esser lontano,
e che ti cerchi ansiosamente e non riesca più a trovarti?
Ti tocco con i miei occhi,
con questi occhi, che sono buio e una stella.
Ti trascinai sotto questa palpebra,
la chiusi e sei per sempre prigioniero.
Come credi di poter fuggire ai miei sensi,
alla rete del cacciatore, a cui mai sfuggì una preda?
Non mi lasci più cadere dalle tue mani
come un mazzo di appassiti fiori,
per strada gettati, e sulle soglie
calpestati e da tutti infangati.
Ti ho voluto bene. Tanto bene.
Ho pianto tanto…con preghiere ardenti…
E ti amo ancora di più, perché per te soffrii,
quando la tua penna non scrisse più lettere, non più lettere per me.
Ti chiamavo amico e signore e guardiano del faro
sul sottile tratto d’isola,
tu, il giardiniere del mio frutteto,
e ce n’erano mille buoni, e nessuno era quello giusto.
Non mi accorsi che mi si infranse il vaso
che conteneva la mia giovinezza – e piccoli soli,
gocce ch’essa stillava, si dispersero nella sabbia.
Ero in piedi e ti fissavo.
Il tuo passaggio rimase nei miei giorni,
come profumo sta attaccato ad un abito,
che inconsapevolmente lo accoglie solo
per portarlo sempre addosso.
*
DIE VERLASSENE
Du irrst dich. Glaubst du, dass du fern bist
Und dass ich dürste und dich nicht mehr finden kann?
Ich fasse dich mit meinen Augen an,
Mit diesen Augen, deren jedes finster und ein Stern ist.
Ich zieh dich unter dieses Lid
Und schliess es zu und du bist ganz darinnen.
Wie willst du gehen aus meinen Sinnen,
Dem Jägergarn, dem nie ein Wild entflieht?
Du lässt mich nicht aus deiner Hand mehr fallen
Wie einen welken Strauss,
Der auf die Strasse niederweht, vorm Haus
Zertreten und bestäubt von allen.
Ich hab dich liebgehabt. So lieb.
Ich habe so geweint…mit heissen Bitten…
Und liebe dich noch mehr, weil ich um dich gelitten,
Als deine Feder keinen Brief, mir keinen Brief mehr schrieb.
Ich nannte Freund und Herr und Leuchtwächter
Auf schmalen Inselstrich,
Den Gärtner meines Früchtegartens dich,
Und waren tausend weiser, keiner war gerechter.
Ich spürte kaum, dass mir der Hafem brach,
Der meine Jugend hielt – und kleine Sonnen,
Dass sie vertropft, in Sand verronnen.
Ich stand und sah dir nach.
Dein Durchgang blieb in meinen Tagen,
Wie Wohlgeruch in einem Kleide hängt,
Den es nicht kennt, nicht rechnet, nur empfängt,
Um immer ihn zu tragen.
NOI EBREI
Solo la notte è in ascolto: ti amo, ti amo popolo mio,
voglio abbracciarti forte,
come una donna fa col suo compagno alla gogna, nella fossa,
la madre non lascia il suo figlio ingiuriato precipitare da solo.
E se un bavaglio ti soffoca in gola il grido straziato,
e – crudeli – ti legano le braccia tremanti,
lasciami essere la voce che cade nell’abisso dell’eternità,
la mano che si tende a toccare Dio in cielo.
Dalle rocce delle montagne il Greco trascinò giù i suoi pallidi dei,
e Roma lanciò sulla terra uno scudo di ferro,
un turbinio vorticoso dal cuore dell’Asia, orde di mongoli si sollevarono,
gli imperatori da Aquisgrana seguivano il sud con lo sguardo.
E la Germania e la Francia portano un libro e una spada fiammeggiante,
sulle navi l’Inghilterra percorre un sentiero d’argento e d’azzurro,
e la Russia è un’ombra che incombe, una fiamma arde sul suo focolare,
e noi, noi siamo nati dal patibolo e dalla forca!
Questo cuore che scoppia, trasudare di morte, senza lacrime gli occhi,
e al palo della tortura il gemito eterno che il vento, ululando, consuma,
e la mano scarna – le vene come vipere verdi – la povera mano
che lotta contro la morte fra roghi e capestri.
L’inferno ha bruciato la barba canuta, gli artigli del diavolo l’han fatta a brandelli,
l’orecchio mutilato, le ciglia strappate; gli occhi, velati, si offuscano:
Oh, voi ‘ Quando giunge l’ora fatale, qui ed ora, io voglio alzarmi,
voglio essere il vostro arco trionfale attraverso il quale passano le pene e i tormenti!
Non bacerò la mano che agita il turgido scettro dei pieni poteri,
non bacerò il ginocchio di bronzo, ne il piede d’argilla del dio d’un tempo crudele;
Oh, potessi – io, fiaccola ardente – levare la voce
nell’oscuro deserto del mondo: giustizia! giustizia! giustizia!
Caviglie. Ho trascinato catene, risuona il mio passo di prigioniero.
Labbra. Serrate, sigillate da cera incandescente.
Cuore. Una rondine in gabbia che supplica di volare.
E sento la mano che trascina su un mucchio di cenere il mio viso piangente.
Solo la notte è in ascolto: ti amo popolo mio, vestito di stracci:
come il figlio di Gea, terra dei pagani, si trascina spossato verso la madre,
tu ora buttati in basso, sii debole, abbraccia il dolore,
un giorno il tuo piede di viandante, stanco, calpesterà il capo dei potenti!
15.9.1933
Traduzione Germana Carlino
Tratta dall’opuscolo GERTRUD KOLMAR. LA STRANIERA 1894 – 1943 che trovate qui
Wir Juden
Nur Nacht hört zu. Ich liebe dich, ich liebe dich, mein Volk,
Und will dich ganz mit Armen umschlingen heiß und fest,
So wie ein Weib den Gatten, der am Pranger steht, am Kolk
Die Mutter den geschmähten Sohn nicht einsam sinken lässt.
Und wenn ein Knebel dir im Mund den blutenden Schrei verhält,
Wenn deine zitternden Arme nun grausam eingeschnürt,
So lass mich Ruf, der in den Schacht der Ewigkeiten fällt,
Die Hand mich sein, die aufgereckt an Gottes hohen Himmel rührt.
Denn der Grieche schlug aus Berggestein seine weißen Götter hervor,
Und Rom warf über die Erde einen ehernen Schild,
Mongolische Horden wirbelten aus Asiens Tiefen empor,
Und die Kaiser in Aachen schauten ein südwärts gaukelndes Bild.
Und Deutschland trägt und Frankreich trägt ein Buch und ein blitzendes Schwert,
Und England wandelt auf Meeresschiffen bläulich silbernen Pfad,
Und Russland ward riesiger Schatten mit der Flamme auf seinem Herd.
Und wir, wir sind geworden durch den Galgen und das Rad!
Dies Herzzerspringen, der Todesschweiß, ein tränenloser Blick
Und der ewige Seufzer am Marterpfahl, den heulenden Wind verschlang.
Und die dürre Kralle, die elende Faust, die aus Scheiterhaufen und Strick,
Ihre Adern grün wie Vipernbrut dem Würger entgegenrang.
Der greise Bart, in Höllen versengt, von Teufelsgriff zerfetzt,
Verstümmelt Ohr, zerrissene Brau und dunkelnder Augen Fliehn:
Ihr! Wenn die bittere Stunde reift, so will ich aufstehn hier und jetzt,
So will ich wie ihr Triumphtor sein, durch das die Qualen ziehn!
Ich will den Arm nicht küssen, den ein strotzendes Zepter schwellt,
Nicht das erzene Knie, den tönernen Fuß des Abgotts harter Zeit;
O könnt ich wie lodernde Fackel in die finstere Wüste der Welt
Meine Stimme heben: Gerechtigkeit! Gerechtigkeit! Gerechtigkeit!
Knöchel. Ihr schleppt doch Ketten, und gefangen klirrt mein Gehn.
Lippen. Ihr seid versiegelt, in glühendes Wachs gesperrt.
Seele. In Käfiggittern einer Schwalbe flatterndes Flehn.
Und ich fühle die Faust, die das weinende Haupt auf den Aschenhügeln mir zerrt.
Nur Nacht hört zu. Ich liebe dich, mein Volk im Plunderkleid:
Wie der heidnischen Erde, Gäas Sohn entkräftet zur Mutter glitt,
So wirf dich zu dem Niederen hin, sei schwach, umarme das Leid,
Bis einst dein müder Wanderschuh auf den Nacken des Starken tritt!
(Das Lyrische Werk S.101)
Gertrud Kolmar (pseudonimo di Gertrud Käthe Chodziesner, Berlino 1894 – Auschwitz 1943?), nata in una famiglia ebrea, studiò da maestra e lavorò come insegnante e istitutrice tra Germania e Francia. Nel 1915 l’amore infelice per un militare la condusse a un aborto e a un tentativo di suicidio, esperienza che segnò profondamente la sua vita e la sua scrittura. Costretta a trasferirsi nel 1939 in una “casa per ebrei” e nel 1941 al lavoro forzato in una fabbrica di armi, nel marzo 1943 fu deportata ad Auschwitz, da dove non fece ritorno. La sua opera, già apprezzata dal cugino Walter Benjamin, fu conosciuta soprattutto a partire dagli anni Novanta del Novecento. Il 27 febbraio del 1943 a Berlino anche Gertrud Kathe Sara Chodziesner subisce l’Azione nelle fabriche: migliaia di ebrei come lei vengono prelevati dai posti di lavoro e ‘smistati’ in campi di raccolta. da qui, il 2 marzo parte il ‘ 32° trasporto all’est’: è il convoglio della deportazione finale a Auschwitz dell’autrice, nota con lo pseudonimo di ‘Gertrud Kolmar’, dove ‘Kolmar’ è la germanizzazione del polacco ‘Chodziesen’, città d’origine della famiglia paterna.
Gertrud Kolmar
Poesia. Gertrud Kolmar: il silenzio in versi salva inizio e fine
Morì ad Auschwitz nel 1943. Rimase sconosciuta ai più fino al 1947, quando uscì la raccolta “Mondi” ora tradotta in italiano: un insieme di “sinfonie” dove le pause giocano un ruolo decisivo-
Della poetessa ebrea tedesca Gertrud Kolmar, pseudonimo di Gertrud Käthe Chodziesner (1894-1943), si sono conservate solo poche tracce: alcune fotografie dell’infanzia, una fotografia ritratto del 1928, una foto con un’amica, una con la famiglia scattata nel 1937, e poco altro, oltre alle sue opere, la maggior parte delle quali edite solo dopo la sua morte. Walter Benjamin, cugino da parte di madre, ebbe molta considerazione dei suoi componimenti e tentò in più occasioni di favorirne la pubblicazione, perché le sue erano tonalità, scrisse, che «non sono più state percepite nella poesia femminile tedesca dopo Annette von Droste». Dopo che il padre nel 1917 si era speso per l’uscita di una prima raccolta, Benjamin riuscì a far pubblicare su rivista solo alcune sue poesie, perché Kolmar era aliena da qualsiasi avanguardia e nulla nei suoi componimenti era concessione ai parametri dettati da mode e sensibilità artistiche contemporanee.
Del resto l’indifferenza verso la sua opera rimase praticamente intatta anche quando nel 1947 venne pubblicata da Suhrkamp la raccolta Mondi. Un’indifferenza motivata certo dalla sua adesione alla tradizione letteraria, ma anche dalla sua decisione di rimanere accanto al padre malato, un ebreo convintamente assimilato, finché quello, nel 1942, non venne rinchiuso nel lager di Theresienstadt, dove sarebbe morto un anno dopo. Nell’estate 1941 Kolmar accettò il lavoro forzato nelle fabbriche berlinesi di Lichtenberg e Charlottenburg, perché perfettamente consapevole del suo destino. «Voglio andare incontro al mio destino, che sia alto come una torre, o che sia scuro e gravoso come una nuvola», scrisse allora alla sorella Hilde, esule in Svizzera.
Arrestata in fabbrica il 27 febbraio 1943, alcuni giorni dopo venne trasportata ad Auschwitz, dove morì. Scritto nel 1937, il ciclo poetico Mondi (Mondadori, pagine 112, euro 16,00) è una grande sinfonia di componimenti consistente ciascuno per lo più di quattro parti, nelle quali un ruolo significativo è giocato dal silenzio, proposto in forma di pausa. Kolmar apprezzava molto il silenzio, il suo come quello degli altri, anche nella vita, tanto che nelle lettere a Hilde ripete spesso che il silenzio è quanto vi è di più vicino al suo cuore.
La conclusione di ogni sinfonia è silenzio che si fa vuoto. I suoi mondi respirano una vacuità che significa inizio e fine: il mondo inizia nel vuoto e finisce in esso. Come un suono dalle profondità, da quel vuoto sorge una natura incomprensibile: le isole Mergui. Il loro potere nascosto fa nascere il desiderio di altri mondi. Meglio, di due mondi, quello dell’uomo e quello della natura, popolato da animali e piante. Le parole della poesia (ed ogni parola è per lei una scoperta) sono per Kolmar lo strumento per ricercare il primordiale dell’umanità, cioè del proprio io. Attraverso la memoria e l’evocazione dell’infanzia cerca tracce, ma è un evento vissuto da giovane donna a rappresentare la traccia evidente e dominante del suo poetare.
In Mondi, come anche in altri componimenti, ricorre ed è evocata con frequenza la figura di un bambino, evidentemente quel bambino desiderato e amato, ma mai partorito, abortito all’età di 21 anni per volontà dei genitori. La sua intera opera poetica palpita del desiderio di riempire quel vuoto rimasto nel suo grembo: «Con le mie piccole opere, mi sento come una madre con il suo bambino appena nato; una madre che certo è felice dell’entusiasmo del padre e dei nonni, delle congratulazioni dei parenti, ma la gioia più grande è averlo partorito ». Così scrisse alla sorella, a motivo della raccomandazione di prendersi cura dei suoi componimenti.
Articolo di Vito PUNZI –Fonte Avvenire del 14 aprile 2023-
Novita Amadei- Da solo -Neri Pozza –Articolo di Paola Schellenbaum-
L’intenso ultimo romanzo di Novita Amadei-Pochi giorni fa, il 24 febbraio, i media hanno ricordato l’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina. Sono già passati tre anni e la situazione è in stallo. Ogni tentativo di fare progressi verso una pace giusta e duratura si arenano, come accade nelle guerre ibride, dove si utilizzano le armi insieme a disinformazione, fake news, cyberattacchi, in un clima di sospetto e di allarme continuo che impediscono fiducia e collaborazione. Se il 24 febbraio 2022 è considerato dagli ucraini un aggravamento di un conflitto, che si era già manifestato in altre forme dal 2014, non si può che concordare con il tentativo di riaffermare il ripristino del diritto internazionale e il rispetto delle regole nei negoziati, pena la disintegrazione di ciò che era stato pazientemente creato all’indomani della Seconda guerra mondiale in Europa, cioè il valore della collaborazione comunitaria e delle diversità riconciliate.
Novita Amadei
Novita Amadei- Da solo -Neri Pozza –
Novita Amadei
Che senso ha dunque riflettere su empatia e compassione, in tempo di guerra?
Il nuovo romanzo di Novita Amadei, Da solo (Neri Pozza 2025) affronta il tema, raccontando la vicenda di un bambino costretto dalla madre a mettersi in salvo da solo, salendo su un treno per Bratislava nella affollatissima stazione di Zaporizzja. Jarek ha solo 10 anni, la destinazione è scritta a penna sulla mano, nello zainetto ci sono le pagelle perché è bravo in matematica, e nella mente ha tanti giochi di immaginazione. L’Autrice, che da molti anni opera in progetti con migranti e rifugiati, ne ha ricostruito la vicenda seguendo un doppio registro: quello del romanzo inventato a cui si aggiunge un breve reportage in cui la scrittrice va in cerca dei suoi interlocutori per ascoltare quali significati e quali sacrifici hanno comportato le scelte, pur di sopravvivere. Nel rispetto della verità finzionale e di quella reale che si intrecciano, diventando risorsa una per l’altra, in un gioco di immaginazione che coinvolge lettori e lettrici. È il coraggio di una donna che è anche madre e figlia, è il coraggio di un bambino che è costretto a crescere in fretta.
L’Autrice ha sviluppato il suo talento a partire da un gruppo di ricerca che nel 2003-2006 all’OIM-Organizzazione internazionale delle migrazioni di Roma inventò l’approccio etno-sistemico-narrativo nella formazione per terapeuti transculturali e operatori psicosociali. È lì che la incontrai per la prima volta. Da allora siamo diventate amiche e siamo rimaste in contatto, nonostante le distanze geografiche, gioendo insieme per l’uscita di ogni suo nuovo libro (ricordo a Pralibro ma anche a Pinerolo le presentazioni di Dentro c’è una strada per Parigi e di Finché notte non sia più, sempre per Neri Pozza).
Da solo si legge d’un fiato per la scorrevolezza del flusso narrativo che alterna i punti di vista dei diversi personaggi coinvolti nella vicenda drammatica. È una fiaba onirica e trasformativa – una storia di guarigione – per lo stile di scrittura ma anche per la capacità dell’Autrice di chinarsi su ogni personaggio empaticamente e intersoggettivamente, al fine di raccontare quel dialogo reale e immaginario che sempre accompagna le situazioni difficili, nelle microsituazioni quotidiane. A dimostrazione di come il conflitto si sia insinuato nella società, la storia comincia con il gioco della guerra con cui i bambini si intrattengono prima che essa sia scoppiata per davvero, quando ancora un adulto può intervenire per fermarne l’insensatezza. Dopo, è troppo tardi e occorre solo affrontare l’emergenza con tutti i limiti e le difficoltà ma – talvolta – anche con le risorse positive che emergono inaspettatamente, nelle situazioni disperate, attraverso le relazioni con chi è diverso o con chi non si conosce. Come avviene nel lungo viaggio in treno per il piccolo Jarek.
In televisione la guerra in Ucraina sembra solo un gioco di cattivo gusto per questioni territoriali, mentre nel Paese la popolazione civile sperimenta condizioni di vita difficilissime, c’è la paura dello stress post-traumatico nelle famiglie, si contrasta la diffidenza che si insinua per le atrocità subite, si tenta di arginare la disperazione – sperando contro speranza – in un futuro che si allontana sempre più, con un tessuto comunitario da ricostruire, relazioni umane da salvaguardare, una nuova generazione da proteggere, di qua e al di là dei confini. Ci sono da ricostruire case, scuole, ospedali, biblioteche, teatri, cinema, centri sociali, e invece siamo fermi ai giochi geopolitici, alla volontà di dominio e al bullismo di leader che continuano a ritardare il momento in cui tutto potrà ricominciare.Articolo di Paola Schellenbaum
Fonte- Riforma.it-Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Novita Amadei
Breve Biografia di Novita Amadeiè nata a Parma e vive in Francia. Lavora come consulente nel campo dell’asilo politico e delle migrazioni internazionali, e anche la sua attività da giornalista pubblicista è relativa a questi temi. Dentro c’è una strada per Parigi (Neri Pozza 2014), il suo romanzo d’esordio, è stato finalista alla prima edizione del Premio Nazionale di Letteratura Neri Pozza e anche ai premi Bottari Lattes Grinzane e Corrado Alvaro e ha vinto il XXVIII Premio Massarosa. Sempre presso Neri Pozza sono usciti i romanzi Finché notte non sia più (2016) e Il cuore è una selva (2020), le raccolte di racconti Ragazze di Parigi (2018) e Operazione umanitaria (2019), oltre a un contributo nell’antologia L’allegra brigata (2020).
ROMA-L’incredibile lettera di un’antica donna romana alla sorella-
Lettera-antica-donna-romana -British Museum/Art resource, NY
Tempo fa è stato trovato e tradotto un invito di compleanno mandato da un’antica donna romana, moglie del comandante del forte di Vindolanda – Gran Bretagna – alla sorella.
La regione a quel tempo era ancora più fredda ed umida di oggi. Spesso chi veniva inviato qui, ai confini dell’impero, poteva aver la sensazione di essere isolato ed esiliato dalla lontana, potente e lussuosa Roma.
Ciò non impediva ai romani di sentirsi tali; un fatto dimostrato dal ritrovamento di numerose ville e strade costruite proprio da questo popolo. Anche lo stesso forte militare ci ha consegnato ampio materiale sulla vita di tutti i giorni dei romani.
A partire dal 1973, gli studiosi hanno cominciato a trovare frammenti di tavolette coperte di scrittura corsiva romana e sature d’acqua. Una volta conservate e decifrate, è stato possibile osservare rari dettagli della vita quotidiana e il funzionamento del forte; liste dei rifornimenti necessari, tra cui la pancetta, le ostriche, e il miele; la lettera di un soldato che scrive da casa e dice che ha inviato più calze, sandali, e biancheria oltre a descrivere i nativi britannici.
Tra le tavolette-i più antichi documenti scritti a mano in Gran Bretagna-sopravvive un invito dalla moglie del comandante del forte a sua sorella per una festa di compleanno, incredibile per la semplicità e la somiglianza oltre alla sua attualità nell’uso delle parole.
La lettera
“Claudia Severa alla sua Lepidina, saluti. Questo 11 settembre, sorella, per la celebrazione del mio compleanno, ti ho inviato un caldo invito per essere sicura che tu verrai, così da rendere la mia giornata migliore se tu sarai presente. Porgi i miei saluti al tuo Cerialis. Il mio Aelius (Elio) e mio figlio ti inviano i loro saluti. Ti aspetto sorella. Saluti, sorella, anima a me più cara, che spero prosperi e possa salutare. A Sulpicia Lepidina, moglie di Cerialis, da Severa.” La Moglie di Aelius, Claudia, fece probabilmente comporre da qualcun altro la lettera, elemento che sembra emergere dalla professionalità con cui è scritta la missiva. Sembra esserci però anche una parte del messaggio scritta direttamente da Claudia quando si legge: Ti aspetto sorella. Saluti, sorella, anima a me più cara, che spero prosperi e possa salutare”. Questo passaggio, seppur breve, rappresenta il primo testo conosciuto scritto da una donna romana in latino.
Gustavo Zagrebelsky-Il diritto mite – Legge diritti giustizia- Piccola Biblioteca Einaudi
Breve descrizione del libro di Gustavo Zagrebelsky-La prima edizione di questo libro risale a trent’anni fa. Oggi si propone una nuova edizione corredata da un’Introduzione dove si cerca di rispondere alle critiche suscitate dalla novità controcorrente della tesi sostenuta.
Gustavo Zagrebelsky-il-diritto-mite
Questa è la tesi: chi maneggia il diritto sa che ciò che è davvero fondamentale sta non nella Babele dei codici, delle leggi, dei regolamenti, ma nelle concezioni della giustizia, in cui il diritto è immerso. I giuristi consapevoli della funzione sociale del diritto non possono ignorare queste radici complicate della loro professione. Il «diritto mite» è una proposta di apertura culturale indirizzata a loro. Ripercorrendo la storia europea fino allo Stato costituzionale di oggi, il libro mostra come le norme di diritto non possano più essere espressione di interessi di parte né formule imposte e subite. L’autorità della legge, infatti, come mostrano tanti esempi in materie che toccano la vita di tutti, entra in contatto con i casi della vita, illuminati dai principî di libertà e di giustizia. L’applicazione della legge da parte dei giudici è oggi ben altro compito che quello di semplici «bocche della legge».
Gustavo Zagrebelsky.Presidente Onorario Libertà e Giustizia
Gustavo Zagrebelsky
Presidente Onorario Libertà e Giustizia
Nato a San Germano Chisone (To) il 1° giugno 1943. Laureato a Torino, Facoltà di Giurisprudenza, nel 1966, in diritto costituzionale, col professor Leopoldo Elia.
Professore di diritto costituzionale e diritto costituzionale comparato alla Facoltà di Giurisprudenza e alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Sassari dal 1969 a 1975.
Professore di diritto costituzionale comparato alla Facoltà di scienze politiche dell’Università di Torino dal 1975.
Professore di diritto costituzionale alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dal 1980 al 1995.
Dal 1995 al 2004, giudice della Corte costituzionale, per nomina del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro e, nell’anno 2004, Presidente della Corte medesima, per elezione dal parte dei suoi componenti Alla scadenza del mandato, è stato nominato giudice e presidente emerito della Corte costituzionale.
Attualmente, è rientrato alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dove insegna Giustizia costituzionale.
Collaboratore, prima della nomina a giudice costituzionale, del quotidiano La Stampa e, dopo la scadenza, del quotidiano La Repubblica. Socio dell’Accademia delle Scienze di Torino e dell’Accademia Nazionale dei Lincei; socio corrispondente della Accademia delle scienze del Cile. Dottore honoris causa all’Università di Toulon et Vars.
Componente e collaboratore di numerose riviste scientifiche italiane e straniere, tra cui Giurisprudenza costituzionale, Quaderni costituzionali e Revista Iberoamericana de Derecho Procesal Constitucional.
Socio fondatore del Gerjc (Gruppo di ricerca internazionale sulla giustizia costituzionale) con sede a Aix en Provence.
Prof.Carlo Franza-L’Appia consolare (Roma-Brindisi) madre di tutte le vie-
La via Appia-E’ in Campania che staziona la bellissima mostra fotografica, non solo documentaria ma anche multimediale dal titolo “L’Appia ritrovata. In cammino da Roma a Brindisi”; essa riscopre e racconta il percorso della prima grande via europea, da Roma a Brindisi, percorsa a piedi nell’estate 2015 da Paolo Rumiz, Riccardo Carnovalini, Alessandro Scillitani e Irene Zambon. Inaugurata a Roma nell’Auditorium, la mostra è ospitata nel Museo Archeologico dell’antica Capua fino al 25 marzo 2017, rievocando la prima tappa del percorso della Regina viarum. La via consolare fu il tramite per diffondere i principi della civiltà romana, lo strumento che fisicamente collegò il “centro del Potere” con i luoghi strategici della penisola. Appio Claudio nei cinque anni della sua censura tracciò la via da Roma a Capua per 132 miglia. L’Appia fu il tracciato lungo il quale marciò il temuto esercito romano, ma anche la via della condivisione, degli scambi culturali, dei traffici; ma è stata anche la triste strada lungo la quale giungevano a Capua gli schiavi e i gladiatori, dove i 6.000 compagni di Spartaco vennero crocifissi atrocemente e simbolicamente esposti a mo’ di monito. Ed è sempre lo stesso selciato calcato da Paolo di Tarso e dai primi apostoli che, con la loro testimonianza, segneranno la fine dei culti pagani e delle religioni misteriche. Un ulteriore invito a visitare la mostra è offerto da una selezione di iscrizioni, rilievi e sculture provenienti dalla città. Tra questi spicca la statua del Trittolemo, l’eroe ateniese che dispensava il dono dell’agricoltura all’umanità, unico esemplare a tutto tondo finora noto, a simboleggiare la straordinaria fertilità dell’Ager Campanus.
L’Appia consolare
Paolo Rumiz e compagni hanno intrapreso il loro viaggio – conclusosi il 13 giugno 2015 dopo 611 chilometri, 29 giorni di cammino e circa un milione di passi – con l’idea di tracciare finalmente il percorso integrale della madre di tutte le vie, dimenticata in secoli di dilapidazione, incuria e ignoranza. Ecco l’Appia. Ora sono essi stessi a raccontare un’avventura che definiscono “magnifica e terribile, terrena e visionaria, vissuta attraverso meraviglie ma anche devastazioni, sbattendo talvolta il naso contro l’indifferenza di un Paese cinico e prono ai poteri forti, ma capace di grandi slanci ospitali e di straordinari atti di resistenza “partigiana” contro lo sfacelo”. “È compito di ciascuno di noi, come cittadini, – spiegano – restituire alla Res Publica questo bene scandalosamente abbandonato, ma ancora capace – dopo ventitré secoli – di riconnettere il Sud al resto del Paese e di indicare all’Italia il suo ruolo mediterraneo. Appia è anche un marchio, un “brand” di formidabile richiamo internazionale. Un portale di meraviglie nascoste decisamente più vario e di gran lunga più antico del Cammino di Santiago de Compostela. La mostra ci accompagna sui Colli Albani, sotto i Monti Lepini con le fortezze preromane sugli strapiombi, lungo i boscosi Ausoni che hanno dato all’Italia il nome antico e ai piedi dei cavernosi Aurunci dalle spettacolari fioriture a picco sul mare. Ci guida nella Campania Felix, sui monti del Lupo e del Picchio e gli altri della costellazione sannitica, nell’Italia dimenticata degli Osci, degli Enotri e degli Japigi fino all’Apulia della grande sete. In questo itinerario, Paolo Rumiz e compagni non sono stati soli, ma hanno avuto altri compagni d’avventura, da citare in ordine di chilometri percorsi: Marco Ciriello, Sandra Lo Pilato, Michaela Molinari, Mari Moratti, Barsanofio Chiedi, Settimo Cecconi, Giulio e Giuseppe Cederna, Giovanni Iudicone, Franco Perrozzi, Cataldo Popolla, Andrea Goltara e Giuseppe Dodaro, con la partecipazione straordinaria di Vinicio Capossela. La mostra consente di rivivere questa affascinante riscoperta attraverso le fotografie di Riccardo Carnovalini integrate da un reportage di Antonio Politano realizzato per il National Geographic Italia e da istantanee estratte dai filmati “on the road” di Alessandro Scillitani. Nel percorso espositivo, curato da Irene Zambon, con testi e didascalie di Paolo Rumiz, anche alcune immagini dei viaggi di Luigi Ottani sui confini dei migranti e dei sopralluoghi di Sante Cutecchia sulla Regina Viarum, oltre ai filmati di Alessandro Scillitani e le musiche e le installazioni audio di Alfredo Lacosegliaz. Completano il percorso un apparato cartografico curato da Riccardo Carnovalini e Cesare Tarabocchia e il materiale documentario conservato negli Archivi della Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma – Capo di Bove e della Società Geografica Italiana, come fotografie, cartoline d’epoca, mappe antiche e moderne. La mostra è a cura della Regione Campania, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Polo museale della Campania, Scabec Spa, Società Geografica Italiana onlus e Festival della Letteratura di Viaggio. La mostra e le attività connesse, che interesseranno anche ulteriori siti lungo il percorso campano dell’antica Appia, sono realizzate nell’ambito del progetto “Itinerari culturali e religiosi” programmato e finanziato dalla Regione Campania con fondi POC.
Carlo Franza
Carlo Franza
Carlo Franza è Nato nel 1949, due lauree conseguite all’Università Statale La Sapienza di Roma. Allievo di Giulio Carlo Argan. Storico dell’Arte Moderna e Contemporanea, professore prima a Roma, poi a Torino, oggi a Milano.
Stefano Garzaro – “Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza “
Per un nuovo 25 aprile- Articolo di Gian Mario Gillo-Il libro Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza di Stefano Garzaro (edito da Piemme) è stato recentemente presentato nei locali della libreria Claudiana di Torino. L’ultima fatica editoriale dell’autore, professionista nel campo dell’editoria scolastica e saggista, è un antidoto alla riscrittura della storia. Ripercorre la tragedia delle ultime due guerre mondiali e si sofferma in particolar modo sulla Seconda, preceduta dal Ventennio fascista che aveva attuato in Italia persecuzioni contro gli oppositori con la promulgazione di leggi “fascistissime”, antiebraiche e razziali, razziste; racconta poi la lotta per giungere alla Liberazione.
Stefano Garzaro – “Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza “
Le circa duecento pagine sono anche un omaggio ai tanti martiri della giustizia e della libertà; soprattutto partigiani e partigiane, come ben ricorda nella prefazione la segretaria nazionale dell’Anpi, Michela Cella.
Il libro risponde a domande dirimenti: perché si festeggia il 25 aprile? Che cosa è stata la Resistenza? Chi furono e come operarono i partigiani? Perché l’Italia fascista decise di entrare in guerra? Soprattutto, consegna al lettore tante storie, alcune delle quali inedite. I nomi citati sono un mosaico narrativo dal quale emergono figure importanti legate all’antifascismo.
Dall’opposizione del torinese Gobetti (morto in Francia per le botte prese in Italia) si passa a quella di Giacomo Matteotti (di cui lo scorso anno ricorreva il centenario della morte), un uomo capace di essere la sintesi di qualità diverse in una persona sola: politico, intellettuale, pubblicista antiregime: per questo ucciso dai fascisti nel giugno 1924.
Cita Willy Jervis, il “traghettatore” di perseguitati su irti sentieri di montagna, che, ricercato nella zona di Ivrea, trovò rifugio in val Pellice, dove proseguì l’attività della Resistenza. Il volume ricorda anche aneddoti come quello di Sandro Pertini che, quand’era presidente della Camera dei deputati, non volle ricevere il fascista che lo teneva recluso in confino a Ventotene, all’epoca questore di Milano.
Garzaro racconta anche le tragedie belliche, sociali e antropologiche più dolorose: le stragi naziste contro i civili, come quella di Sant’Anna di Stazzema, e altre, dimenticate dalla storia; entra nell’abisso umano della Shoah, ricorda le deportazioni di politici e di dissidenti, e di coloro che erano considerati diversi.
Il libro è un omaggio al grande valore civile e umano di tante persone. Garzaro ricorda ad esempio Nunziatina, la staffetta partigiana «che visse due volte» perché sopravvissuta alla fucilazione (seppur fucilata), e ancora i due bambini napoletani, che persero la vita per liberare – impugnando le armi – la loro città.
Uno scrigno prezioso di pagine che dona nuova vita a coloro che la persero, proprio per difendere quella che oggi è la nostra libertà. Elenca nomi, fatti, storie che rischierebbero di perdersi. Partigiano della memoria, l’autore, ci regala questo piccolo manuale da leggere tutto d’un fiato come esercizio democratico in vista del prossimo 25 Aprile.
* S. Garzaro, Per la libertà – Raccontare oggi la resistenza. Milano, Piemme, 2022, pp. 192, euro 14,50.
Fonte- Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste metodiste e valdesi in Italia.
DESCRIZIONE-Torino operaia e fascismo- Una storia orale –Questo libro, pubblicato per la prima volta quarant’anni fa e tradotto in inglese pochi anni dopo, è basato sulla memoria di circa settanta donne e uomini nate-i tra il 1884 e il 1922, intervistate-i nella seconda metà degli anni settanta, comparata con una serie di fonti d’archivio (rapporti di polizia, cinegiornali dell’Istituto Luce, documenti giudiziari). I protagonisti, appartenenti alla classe operaia torinese, raccontano la loro visione della vita, della storia, di se stessi, evocando il periodo fascista e il rapporto ambivalente tra Mussolini e le masse. Si delinea così un quadro multiforme della Torino operaia degli anni venti e trenta nel secolo scorso: i divertimenti e le canzoni popolari, la condizione delle donne, l’atteggiamento verso i meridionali, la religione, il fascismo nella vita di tutti i giorni.
Ne emerge un quadro di piccoli episodi di «resistenza» quotidiana come graffiti e scherzi, una cravatta rossa o una vecchia canzone socialista, ma anche da eventi traumatici come l’aborto, unico mezzo di controllo della fertilità largamente disponibile ancorché clandestino. È quindi documentata una negoziazione quotidiana col potere che va al di là del semplice dilemma consenso/dissenso. Un capitolo finale è dedicato a un evento «mitico» della Torino operaia e antifascista: il silenzio degli operai della Fiat in risposta al discorso del duce, nel corso dell’inaugurazione della Fiat Mirafiori nel 1939. Il testo combina approcci mutuati dalla storiografia, dall’antropologia, dalla psicologia e dalla microsociologia, offrendo un ampio spettro di forme narrative e metodologiche e una riflessione sui meccanismi della memoria e sul suo rapporto con il presente in cui è elaborata. La sua riproposta invita ad attualizzare il ruolo centrale di una categoria politica e sociale come la vita quotidiana in quanto luogo privilegiato della soggettività, e a prendere in considerazione quanto i «grandi mutamenti» devono a «decisioni individuali».
Luisa Passerini
Autore-Luisa Passerini-Emerita di Storia all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ha usato fonti orali, scritte e visuali per lo studio dei soggetti del cambiamento sociale e culturale, dai movimenti di liberazione africani ai movimenti operai, delle donne e degli studenti. Ha indagato il rapporto tra il concetto di identità europea e quello di amore romantico. Tra i suoi libri: La quarta parte (Manifestolibri, 2023); Storie d’amore e d’Europa (L’ancora del Mediterraneo, 2008); Memoria e utopia. Il primato dell’intersoggettività (Bollati Boringhieri, 2003); L’Europa e l’amore (Il Saggiatore, 1999); Storie di donne e femministe (Rosenberg & Sellier, 1991); Mussolini immaginario (Laterza, 1991); Autoritratto di gruppo (Giunti, 1988).
Editore-Officina Libraria
Officina Libraria • LO edition • Ab Ovo
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Officina Libraria, “casa editrice” in latino umanistico, ha vocazione internazionale ed è specializzata in pubblicazioni d’arte e illustrati.
Fondata nell’ottobre 2006 a Milano e oggi a Roma, l’Officina Libraria di Marco Jellinek e Paola Gallerani ha pubblicato da allora oltre 450 titoli, che spaziano dalla saggistica storico artistica alla fotografia, dal design di gioielli alla ceroplastica, aprendo di recente alla storia e alla letteratura.
Molti dei volumi più ricercati sono produzioni o coedizioni con prestigiose istituzioni italiane e straniere: dalla I Tatti – The Harvard University Center for Italian Renaissance Studies (l’imponente catalogo della collezione di dipinti, la collana I Tatti Research Series), al Kunsthistoriches Institut di Firenze e al Centro Internazionale Studi di Architettura Andrea Palladio; dalla Galleria d’Arte Moderna di Milano (la guida di tutti i dipinti esposti e il catalogo della mostra 100 anni di scultura) alla Galleria Borghese (le mostre su Bernini, Picasso e Valadier e i prossimi cataloghi ragionati delle Sculture e degli Arredi), le Gallerie Nazionali Barberini Corsini (diversi cataloghi e i 100 capolavori), dal Museo del Bargello (il catalogo ragionato degli avori) all’Accademia Carrara di Bergamo (100 capolavori, il catalogo ragionato dei dipinti del XIV-XV secolo) per citarne alcuni. Senza dimenticare il musée du Louvre, di cui Officina è il solo coeditore italiano: con la preziosa collana di facsimili del Cabinet des dessins, la serie dei cataloghi ragionati dei disegni italiani e i volumi per mostre come Giotto, Messerschmidt, Valentin de Boulogne, Rembrandt fino a Le corps et l’ame, sulla scultura italiana del ’500, insignito del Prix du catalogue d’exposition 2021, e che nell’edizione italiana accompagna la mostra Il corpo e l’anima al Castello Sforzesco di Milano.
Che si tratti di cataloghi di mostre, opere di fondo, guide o saggistica applichiamo all’editoria contemporanea, che ha tempi di produzione sempre più serrati, l’attenzione e la cura editoriale d’altre epoche, sia nella redazione che nei progetti grafici e nella riproduzione delle immagini. Alla base del nostro lavoro c’è il progetto culturale di fare libri di qualità, nei contenuti e nella forma, restituendo all’editore quel ruolo di mediazione culturale e non semplice marchio di produzione che gli è proprio, nella scelta dei progetti, nell’interazione con autori, istituzioni e committenti, nella realizzazione dei volumi, e nella loro promozione e diffusione a pubblicazione avvenuta, sia attraverso le librerie (in Italia siamo distribuiti da Messaggerie Libri; in Francia da Daudin (DOD & Cie), in US-UK e resto del mondo da ACC Art Books) che nei principali bookshop di mostre e musei, e con campagne mailing specifiche presso le biblioteche italiane e straniere.
Gli editori
Marco Jellinek
Marco Jellinek • Laureato in chimica e filosofia alla University of Kansas, ha cominciato ad occuparsi di editoria nel 1987 come redattore e responsabile commerciale extra-librario alla Jaca Book di Milano, per passare alla Disney Libri come senior editor e poi come direttore marketing da Skira. Nel 2002 ha fondato la 5 Continents Editions e nel 2005 la consociata Equatore che ha diretto fino all’ottobre 2006, pubblicando prestigiosi volumi d’arte e fotografia, come Parate Trionfali e New Guinea, rispettivamente vincitori dei premi Justus Lipsius e 2006 AAM Museum Publications Design Competition.
È la mente economica e strategica di Officina Libraria e le scelte editoriali poggiano sulla sua cultura storico artistica, seconda soltanto alla sua passione per la montagna.
Paola Gallerani • Laureata e specializzata in storia dell’arte all’Università degli Studi di Milano, è stata caporedattore della 5 Continents Editions dalla sua fondazione al maggio 2006, occupandosi del coordinamento editoriale dei volumi d’arte e saggistica e di tutte le coedizioni con il musée du Louvre. Ha collaborato con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, catalogando l’archivio Giovanni Testori, di cui è la principale esperta, e ha insegnato Organizzazione delle attività editoriali all’Accademia di Belle Arti di Brera.
Nell’ottobre 2006 fonda con Marco Jellinek l’Officina Libraria, occupandosi oltre che della direzione editoriale anche della grafica della maggior parte dei volumi. Dal 2011 si occupa anche di LO, l’etichetta per bambini, scegliendone i titoli con Marco, spesso traducendoli e a volte inventandoli (anche con lo pseudonimo di Amélie Galé). Nel 2016 crea Ab Ovo edizioni, il marchio di Officina dedicato a salute e benessere.
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium compie 20 anni!-
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Per festeggiare questo traguardo del Museo Civico Archeologico Lavinium, Sabato 5 Aprile vi invitiamo a trascorrere il pomeriggio al Museo per la presentazione del catalogo della mostra “Frammenti di storia dalla Lavinium imperiale”.
L’appuntamento è alle ore 17:00 nella sala conferenze e numerosi gli interventi, oltre a quelli istituzionali del Sindaco, dell’Assessore alla Cultura e del Funzionario di Soprintendenza.
Entrando nel vivo ci saranno anticipazioni di progetti, idee e cambiamenti per il futuro, a cui farà cenno la Direttrice, Federica Colaiacomo.
Il Prof. Domenico Palombi presenterà il volume “Frammenti di storia della Lavinium imperiale” per dare seguito alla bellissima mostra da poco conclusa (il catalogo sarà a disposizione presso il book-shop del Museo), si concluderà con una visita in alcune sale del museo, accompagnati dal Prof. Alessandro Maria Jaia e naturalmente con un brindisi.
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Descrizione
Il Museo Archeologico “Lavinium” si trova a Pomezia (RM) in Via Pratica di Mare, a pochi metri dal Borgo medioevale che sorge sull’antica città di Lavinium fondata dal mitico eroe troiano Enea. Il Museo evidenzia lo stretto legame fra la città di Lavinium e il suo mitico fondatore. A Enea è dedicata un’intera sezione in cui sono illustrate le tematiche del suo viaggio e il tipo di imbarcazione utilizzata dai contemporanei dell’eroe troiano intorno al 1200 a. C. I reperti esposti e gli apparati illustrativi tendono, soprattutto, a sottolineare l’aura di religiosità che circondava l’antico centro laziale. Sono, infatti, i grandi santuari di Minerva e dei XIII altari i principali temi sviluppati nel percorso. Si tratta di un Museo assolutamente innovativo, dove l’esposizione tradizionale convive con le più alte tecnologie multimediali; gli strumenti tecnologici e le ricostruzioni plastiche riescono a mediare tutti i dati storici non visibili, rendendoli al contrario visibili e quindi comprensibili. Il mondo antico è in perfetta sinergia con quello moderno ed ogni reperto archeologico diventa il protagonista di una vera e propria opera di intrattenimento volta alla minuziosa conoscenza del passato.
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Museo Lavinium e Area archeologica
Realizzato nel 2005, il museo si trova in località Pratica di Mare nelle vicinanze del Borgo il cui insediamento medievale si erige sulle vestigia storiche dell’Antica Lavinium, Civitas Religiosa dei Popoli Latini la cui fondazione è legata alla figura leggendaria di Enea, figlio della dea Afrodite, considerato il capostipite della stirpe Latina, da cui nasceranno Romolo e Remo, fondatori di Roma.Il complesso espone una parte significativa dei reperti archeologici rinvenuti sul territorio a partire dagli anni ’50 del Novecento e presenta un percorso museale multimediale innovativo in cui la tradizione storica sposa l’alta tecnologia attraverso pannelli esplicativi, proiezioni video, effetti sonori ed ologrammiche contestualizzano i beni rinvenuti e ne specificano i significati, con il fine ultimo di catapultare il visitatore in un passato ambientato nell’antica terra dei latini che ha come protagonisti l’Eroe Troiano, gli abitanti della Città e le loro divinità.
Articolato in cinque sale tematiche, il Museo espone reperti databili tra il X sec. a.C. e l’Età romana. Di pregio e notorietà sono la grande Statua di Minerva Tritonia del V sec. a C. e le statue votive in terracotta provenienti dal santuario della Dea. Suggestiva l’ultima sala dedicata ad Enea ove sono esposti gli oggetti del corredo funerario rinvenuti nel monumento sepolcrale a lui dedicato: la spada, le lance e il coltello sacrificale.
Il museo è progettato per accogliere un pubblico diversificato grazie alle innumerevoli iniziative che si svolgono al suo interno: visite guidate, progetti didattici, mostre e conferenze.
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Pomezia-Pratica di Mare (Roma)-Il Museo Civico Archeologico Lavinium
Ricordiamo ai gentili utenti che dal 1° aprile al 30 settembre entrerà in vigore l’orario estivo:
Lunedì e festa patronale (11/7) chiuso Martedì e giovedì: 9.00-13.00 / 15.00 – 18.00 Mercoledì e venerdì: 9.00-13.00 Sabato, domenica e festivi: 10:00-13.00 / 16:00-19.00 La biglietteria chiude 45 minuti prima dell’orario di chiusura
Per restare aggiornati su tutte le attività vi invitiamo
a visitare il nostro sito internet http://www.museolavinium.it
e a seguirci sui nostri social!
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