Museo di Roma in Trastevere- La Movida. Spagna 1980-1990
Museo di Roma in Trastevere La Movida –
La Movida. Spagna 1980-1990, la prima mostra in Italia del fotografo e artista Miguel Trillo, curata da Héctor Fouce, attraverso più di 60 fotografie, racconta gli anni ’80, il movimento culturale noto come La Movida e le sue conseguenze sociali e politiche.
Dopo 40 anni di dittatura militare e con la fine della censura, negli anni 80-90 inizia un periodo di costruzione della nuova Spagna democratica, che si lascia alle spalle un’eredità oscura per farsi largo tra i paesi occidentali. Mentre le generazioni precedenti danno forma a un nuovo quadro politico, i più giovani si concentrano sul godimento del nuovo regime di libertà e la Movida diventa l’immagine eccessiva di questa nuova Spagna nascente: giovane, selvaggia, irriverente, colorata, edonistica e libera.
Le canzoni e le fotografie, insieme al cinema, sono state il perfetto correlato del cambiamento politico spagnolo degli anni Ottanta. Ma Miguel Trillo, invece di condividere il fascino della sua generazione per i nuovi idoli musicali, si è fermato a guardare il pubblico che ha reso i musicisti star della cultura di massa. Nelle sue foto, la macchina fotografica dà le spalle al palco e si concentra sui partecipanti al concerto. E non lo fa in modo furtivo, come il reporter o il ricercatore che vuole catturare un istante evanescente: i protagonisti delle fotografie di Trillo sono consapevoli che la macchina fotografica li fisserà per sempre nel tempo, e si sforzano di mostrare chi sono nel miglior modo possibile.
Queste immagini testimoniano l’emergere di una nuova cultura in cui siamo immersi da allora, in cui il suono e l’immagine hanno sostituito la parola come elemento centrale.
La movida. Spagna 1980-1990 è la prima mostra di una serie di esposizioni organizzate dall’Ambasciata di Spagna in Italia, che si propone di presentare questo periodo fondamentale della storia recente della Spagna attraverso la generazione di fotografi emersa in quegli anni.
Exposición “Arde la calle”
MIGUEL TRILLO (Jimena de la Frontera, Cadice 1953)
Laureato in Imagen e in Lingüística Hispánica, dagli anni ’70 ritrae giovani in un contesto musicale. Negli anni ‘80 si concentra sui protagonisti non famosi della Movida Madrileña e inizia a presentare le sue fotografie nelle gallerie d’arte, ma anche a curare, in forma anonima, i sei numeri della fanzine Rockocó (1980-1984), che oggi fanno parte della collezione del Museo de Arte Contemporáneo Reina Sofía di Madrid.
All’inizio degli anni Novanta ha realizzato un ritratto della gioventù spagnola in sei piccole città, che ha esposto alla galleria Moriarty (Madrid, 1992) con il titolo Souvenirs, e pubblica un set di cartoline turistiche a mo’ di catalogo. Tra il 1993 e il 2004 ha sviluppato la serie Geografía Moderna, un viaggio attraverso i confini linguistici o territoriali della penisola iberica, i cui ritratti sono stati pubblicati come francobolli.
Il suo percorso internazionale è iniziato nel 1999 con la serie Habaneras, un lavoro di due anni sui travestiti a Cuba. Il progetto Afluencias. East Coast, West Coast, mostra le somiglianze tra le estetiche underground di Stati Uniti, Vietnam e Marocco. Attualmente sta lavorando a due serie: Asiatown, sulla cultura giovanile nelle megalopoli asiatiche, e Ficciones, un viaggio nel mondo dei manga, degli otaku e dei cosplay.
Il suo lavoro è stato esposto in alcuni dei principali centri del mondo della fotografia; nel 2009, il Centro Andaluz de Arte Contemporáneo di Siviglia e la Sala Canal de Isabel II di Madrid hanno organizzato congiuntamente la sua prima retrospettiva, Identidades. Nel 2014 ha esposto Afluencias alla Tabacalera di Madrid e nel 2017 il Centro de Arte 2 de Mayo di Madrid ha riprodotto quelle che sono state le sue prime due mostre. Nel 2019 ha esposto ai Rencontres d’Arles.
Ha ricevuto il Premio Kaulak per la fotografia dal Comune di Madrid (2009) e il Premio per la cultura nella categoria fotografia dalla Comunità di Madrid (2018).
Museo di Roma in Trastevere La Movida –Museo di Roma in Trastevere La Movida –El fotógrafo Miguel Trillo en Dubai, 2008
Informazioni
Luogo-Museo di Roma in Trastevere
Orario
Dal 20 gennaio al 30 aprile 2023
Dal martedì alla domenica ore 10.00-20.00 Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Giorno di chiusura: lunedì
In foto: il Direttore Valentino Nizzo riceve il Premio come Miglior Museo Italiano dalla giornalista e ideatrice del Premio, Clara Svanera. Presenti: Sabrina Talarico, Presidente di GIST e Francesco Tapinassi, Presidente di Toscana Promozione Turistica. Foto: Beppe Cabras
ETRU vince il premio GIST-ACTA
ROMA-Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è il Miglior Museo Italiano.
Consegnato ieri l’Archeological & Cultural Tourism Award
Lo scorso 26 Marzo 2023 a Firenze è stato consegnato, nell’ambito di tourismA, il Premio GIST ACTA, Archeological & Cultural Tourism Award, alla presenza del Presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, del Direttore di Toscana Promozione Turistica, Francesco Tapinassi e dell’ideatore della manifestazione tourismA, Piero Pruneti.
Il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia ottiene l’ambito riconoscimento come Miglior Museo Italiano per il rispetto, la valorizzazione, la fruizione e la comunicazione del suo patrimonio culturale.
Si tratta della prima edizione di un premio prestigioso, dedicato al turismo culturale e alle sue eccellenze internazionali, nato da un’idea di Clara Svanera, giornalista e referente progetti internazionali e turismo culturale di Toscana Promozione Turistica e sviluppato con Gist, il Gruppo Italiano Stampa Turistica, l’organismo che unisce giornalisti di viaggio, esperti di turismo, enogastronomia, cultura e tempo libero, presieduto da Sabrina Talarico.
“Nell’anno in cui celebriamo il centenario della morte del nostro fondatore, Felice Barnabei, per tutta la squadra di Villa Giulia, il premio GIST ha un valore immenso poiché costituisce un’ulteriore testimonianza di quanto il lavoro svolto e i risultati finora conseguiti dal Museo siano apprezzati. Abbiamo sempre fatto del dialogo con i territori e con i visitatori il valore aggiunto attorno a cui costruire le nostre strategie e questo riconoscimento conferma che la strada percorsa è lastricata di stima e fiducia. Riscontri come questi ci spronano ad andare avanti e a puntare a obiettivi e sfide sempre più ambiziose, non solo nel segno degli Etruschi, consapevoli dell’importanza e delle responsabilità che abbiamo come custodi di un patrimonio inestimabile per tutti gli Italiani”, afferma il Direttore del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, Valentino Nizzo.
I vincitori delle 4 categorie:
1) Miglior sito Unesco: Piazza dei Miracoli di Pisa per l’Italia, Hierapolis in Turchia per l’estero
2) Miglior sito archeologico: Populonia in Toscana per l’Italia, Cesarea Marittima in Israele per l’estero
3) Miglior museo: Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma per l’Italia, il Museo del Prado per l’estero
4) Miglior articolo: Raffaella Piovan per Bell’Italia (sul Museo Guarnacci) e Laura Rysman per New York Times (Jenny Saville)
Premio speciale all’attore Fabio Troiano, per la sua opera di divulgazione Bell’Italia in viaggio su La7.
In foto: il Direttore Valentino Nizzo riceve il Premio come Miglior Museo Italiano dalla giornalista e ideatrice del Premio, Clara Svanera. Presenti: Sabrina Talarico, Presidente di GIST e Francesco Tapinassi, Presidente di Toscana Promozione Turistica. Foto: Beppe Cabras
Articolo di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua.
Associazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com– Cell-3930705272-Il Castello della Porcareccia
ROMA- XIII Municipio- Quartiere Casalotti.Fuori dal traffico della Via Boccea, in una discontinuità edilizia, c’è il Castello della Porcareccia, noto anche con il nome “Castello aureo”, che domina il suo borgo medievale. Il fortilizio, in posizione strategica, è costruito su di uno sperone roccioso. Anticamente vi era una torre di avvistamento, ora scomparsa. Il Castello nel corso dei secoli è stato, più volte, rimaneggiato e, rispetto alla costruzione originale, ora si vedono modifiche strutturali evidenti. Il toponimo deriva da “Porcaritia”. Nel passato questa era una località al centro di boschi di querce e, quindi , luogo più che mai adatto all’allevamento dei maiali. Il primo documento che parla del Castello è una lapide del 1002, che si trova nella Chiesa di Santa Lucia delle Quattro Porte ,dove si legge che un prete “romanus” dona la tenuta della Porcareccia ai canonici di Monte Brianzo. Nel 1192 Papa Celestino III dà la cura del fondo ai canonici di Via delle Botteghe Oscure. Il Papa Innocenzo III affidò una parte della tenuta all’Ordine Ospedaliero di Santo Spirito. La tenuta passò, dopo la crisi fondiaria del 1527, ai principi Massimo e nel 1700 ai Principi Borghese, quindi ai Salviati e ai principi Lancellotti, ora la proprietà del Castello è della Famiglia Giovenale che lo possiede dal 1932. Il portale d’ingresso è imponente e su di esso vi è lo stemma di Sisto IV. Prima di accedere al cortile interno, nel “tunnel”, in alto, si notano dei fori passanti sedi di una grata metallica che, alla bisogna, era calata per impedire assalti e irruzioni di nemici . Nel giardino interno del Castello vi è, in bella mostra, una stele commemorativa di un funzionario imperiale delle strade di Roma . La stele probabilmente era riversa in terra perché presenta evidenti segni di ruote di carro. Vicino vi è una lapide funeraria con incisi dei pavoni, antico simbolo di morte. Sono visibili altri reperti di epoca romana, come frammenti di capitelli e spezzoni di colonne. In bella mostra, montata alla rovescia, vi è una vecchia macina a mano per il grano, una simile è nel cortile della chiesa di Santa Maria di Galeria. Nel piazzale interno c’è la chiesetta di Santa Maria la cui costruzione risale al 1693. Ciò che colpisce nella chiesa è la bellezza dell’Altare realizzato in legno intagliato, come dice uno dei proprietari, il Sig. Pietro Giovenale:” l’Altare è stato costruito dai prigionieri austriaci della Grande Guerra che qui erano stati internati”. Nel 1909, giusto un secolo fa, in questa chiesa celebrava la Messa il giovane prete Don Angelo Roncalli, il futuro Papa Buono, Giovanni XXIII il quale veniva in questi luoghi per goderne la bellezze naturali e gustare ”la buona ricotta” della via Boccea che Gli veniva offerta dai pastori ; a ricordo di questa visite, all’interno della chiesa del castello, per desiderio della Famiglia Giovenale, il Vescovo della Diocesi di Porto e Santa Rufina, Mons. Gino Reali, nel 2004 inaugurò una lapide. La tenuta della Porcareccia fu anche antesignana della “guerra delle quote latte”; Ci narra la storia che nel periodo di carestia si diede il massimo sviluppo all’allevamento dei suini per sfamare la popolazione di Roma, come si legge in una bolla di Papa Urbano V nel 1362 che decretava “libertà di pascolo ai suini in qualsiasi terreno e proprietà…”. Per segnalare la presenza degli animali furono messi dei campanelli alle loro orecchie e chiunque ne impediva il pascolo incorreva in pene severissime. A seguito delle proteste della Germania,all’epoca maggior produttrice ed esportatrice di suini in Europa, il Papa Sisto IV nel 1481, riaffermò il documento di Avignone di Urbano V. Davanti al Castello, divisa dalle case del Borgo a chiudere la Piazza, c’è la chiesa parrocchiale, costruita negli anni 1950/54, dedicata alle S.s. Rufina e Seconda, martiri della Via Boccea. Come tutti i castelli che si rispettano, anche questo ha il suo fantasma che si aggira nei cunicoli sotterranei inesplorati che si diramano dal Castello nella campagna circostante. Ma alla domanda che rivolgo al Sig. Giovenale se esiste il fantasma del Castello della Porcareccia egli mi ha risposto con un sorriso.
Articolo di Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua.
Il Castello della Porcareccia
N.B.Le foto originali sono di Franco Leggeri- Fonte articolo: Autori Vari- Si Evidenzia e voglio ricordare che gli Alunni di Casalotti hanno realizzato un pregevole lavoro sulle origini e la Storia del Castello. L’Intervista con il Sig. Giovenale è di Franco Leggeri- Si chiarisce che l’articolo è solo una piccola sintesi ricavata da un lavoro molto più esaustivo e completo relativo al Medioevo e i sistemi difensivi della Campagna Romana – TORRI SARACENE-TORRI DI SEGNALAZIONI – realizzato da Franco Leggeri per l’Associazione Cornelia Antiqua.
Il Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaAssociazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-Il Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaAssociazione CORNELIA ANTIQUA- Siete appassionati della Storia poco raccontata, quella da riscoprire e vi piace l’ Avventura ,oppure siete affascinati dalla bellezza della Campagna Romana ? Allora unisciti a noi. Ecco cosa facciamo: Produciamo Documentari e Fotoreportage, organizziamo viaggi ,escursioni domenicali e tantissime altre iniziative culturali. Tutti sono benvenuti nella nostra Associazione, non ha importanza l’età, noi vi aspettiamo ! Per informazioni – e.mail.: cornelia.antiqua257@gmail.com- Cell-3930705272-Il Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della Porcareccia-Cardinale Eugenio TISSERANIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della PorcarecciaIl Castello della Porcareccia
a cura di Enzo Siciliano, in “Nuovi Argomenti” n. 67-68
Prima di partire per l’America, nell’autunno del 1966 Pasolini scrive il poema bio-bibliografico “Who is me?”. Il dattiloscritto è rimasto chiuso in un cassetto, ritrovato soltanto dopo la tragica scomparse del poeta fra le carte del suo studio nella casa di via Eufrate 9. Si tratta quindi di un testo che rimarrà inedito fino a quando Enzo Siciliano non lo pubblicherà nel numero 67-68 di Nuovi Argomenti (1980). Da quel momento è noto come “Poeta delle ceneri”.
“Non sa, egli, dialogare con la realtà?
L’umile valore del poeta
è rievocarla così come egli la vede? Ma ciò è serio?
Perché non la contempla in silenzio,
— santo, e non letterato?
Tuttavia i giovani, cosa fanno,
nelle sere delle loro città di provincia,
o anche nelle grandi metropoli,
se non parlare di letteratura?
Coi loro passi faziosi, lungo le vie appena scoperte
cariche di sensi segreti e di storia?
Scoprendo i letterati, come le puttane o i misteri
di un quartiere, o le abitudini di una vita sociale
ch’è ormai loro, mentre è ancora dei padri
(che perciò preparano una guerra per mandarli a morire)?”
“Pasolini, il poeta delle ceneri”, a cura di Enzo Siciliano, in “Nuovi Argomenti” n. 67-68, Roma, luglio dicembre 1980. Ora in “Pier Paolo Pasolini, Bestemmia”. Tutte le poesie, vol. I, Garzanti, Milano 1993
Comune di MOMPEO (Rieti)-Evento Culturale “DANTEDI’”
MOMPEO-Dal 2020 il 25 marzo, giorno in cui gli studiosi fanno risalire l’inizio del viaggio di Dante nei tre Regni dell’aldilà descritto nella Divina Commedia, è la Giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, il “Dantedì”.
A Mompeo sabato 25 marzo alle ore 19.00 si potrà vivere un Dantedì speciale. Attraverso le suggestioni, le immagini, le letture e le scenografie digitali grandiose dello spettacolo “Dante – A riveder le stelle”, che andranno ad animare le mura del Cortile del Castello Orsini Naro, il pubblico potrà accompagnare Dante e Virgilio nel loro Viaggio tra i gironi dell’Inferno fino a uscire “a riveder le stelle.
Lo spettacolo “Dante – A riveder le stelle” del Teatro Potlach con la regia di Pino Di Buduo, creato nel 2021 in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, grazie alle videoproiezioni di ultima generazione trasformerà le antiche mura del Cortile interno del Castello Orsini Naro di Mompeo in gigantesche scenografie digitali che trasporteranno gli spettatori, guidati da voci narranti, nei gironi infernali a contatto con i grandi Personaggi della Commedia fino alla discesa agli Inferi e poi… “a riveder le stelle”.
“Dante – A riveder le stelle” è uno spettacolo inserito nell’ambito della Rassegna di spettacoli dal vivo “A Porte Aperte”, vincitrice dell’”Avviso pubblico per il sostegno a progetti di valorizzazione del patrimonio culturale attraverso lo spettacolo dal vivo nella Regione Lazio” della Regione Lazio
L’ingresso è totalmente libero. Lo spettacolo grazie al suo forte e suggestivo impatto visivo si appresta ad essere apprezza da un pubblico di tutte le età.
E non è tutto dalla mattina
FESTA di primavera a cura della Pro Loco di Mompeo
dalle 10.00 scambio di talee, caccia alle uova di Pasqua, piantumazione di alberi, piccolo mercato…. pranzo e altro.
VIAGGIANDO LAZIO-GRECCIO, piccolo borgo del Reatino ai confini con l’Umbria, è uno di quei nomi che ricorre spesso leggendo la biografia di San Francesco. Qui il Poverello di Assisi veniva a meditare sui monti a oltre 1.000 metri di altitudine, qui ha dato il via alla costruzione di una chiesa e, sempre a Greccio, Francesco ha rappresentato per la prima volta la scena della natività “inventando il presepe”. Oggi inserito tra i Borghi più belli d’Italia, Greccio ha mantenuto il suo affascinante aspetto medioevale, mentre il verde dei boschi che lo circondano lo rende una località ideale anche per immergersi nella natura.
Giungendo a Greccio e passeggiando per le sue vie acciottolate, salendo i gradini che portano alla trecentesca chiesa parrocchiale e ammirando i torrioni che sono ciò che rimane dell’antichissimo castello, non si può fare a meno di lasciarsi trasportare indietro nel tempo.Tra le vie del borgo si segue il Sentiero degli Artisti un percorso guidato ricco di immagini che rappresentano la natività.
Imperdibile poi la visita all’Eremo di San Francesco dove nel 1223 fu rappresentato il Primo Presepio della storia e dove è sorto un complesso conventuale con il santuario dedicato al santo. Qui è possibile ammirare la grotta dove si tenne la prima rappresentazione del presepe e la cella dove dormiva il Santo.
Roma Municipio XIII – Quartiere Casalotti – parrocchia Santa Rita da Cascia
LA CATECHESI DEL CARDINALE ANGELO COMASTRI:
Quaresima con Santa Teresa Di Calcutta-Articolo e foto della Dott.ssa Tatiana CONCAS
Roma Municipio XIII – Sabato 18 marzo 2023, alle ore 17.15, S. Em.COMASTRI Card. Angelo , ha fatto visita alla parrocchia Santa Rita da Cascia, nel quartiere Casalotti, dove ha tenuto la catechesi di “Quaresima con Santa Teresa Di Calcutta”.
CARDINALE ANGELO COMASTRI
Sua Eminenza è stato accolto dal parroco don Lulash Brrakaj, all’interno della chiesa piena di fedeli, venuti per assistere alla Catechesi e alla celebrazione della S. Messa delle ore 18.
Durante la conferenza, il Cardinale Angelo Comastri ha affrontato il tema della felicità, suggerendo quale sia il segreto per raggiungerla, partendo dall’esempio della vita di Santa Teresa di Calcutta.
Em. ha ricordato con commozione le parole pronunciate in diverse occasioni dalla Santa, che aveva conosciuto personalmente quando era ancora in vita e con la quale aveva stretto un bel legame d’amicizia.
Il Cardinale ha presentato Santa Madre Teresa attraverso alcune domande che lui stesso le pose e le risposte da lei fornite, al fine di comprendere quale fosse la sua spiritualità e la sua visione della vita:
Madre qual è per lei il giorno più bello della sua vita?
“Oggi, perché posso ancora riempirlo di bene”
La maggior parte di noi, pensa che la felicità venga dal di fuori (dal denaro, dai successi, dai divertimenti), mentre Madre Teresa aveva capito che in realtà, essa dipende da come siamo dentro.
Madre qual è per lei la persona più importante?
“Quella con cui sto parlando.”
Qual è il suo passatempo preferito?
“Il lavoro, perché mi permette di spendermi per gli altri! E poi, a non fare niente, ci si stanca molto di più”
Ma lei Madre, non fa mai le ferie?
“Non ho bisogno di ferie, perché i miei giorni sono tutti festivi. Fare del bene è una festa!”
Qual è il segreto della felicità?
“La felicità non si trova cercandola! La felicità si riceve in regalo da Dio cercando la felicità degli altri. Per questo gli egoisti sono tutti infelici. Sfido chiunque: non troverete mai un egoista felice.”
Il Cardinale Comastri ha ricordato poi, la domanda che un fotografo un giorno fece a Madre Teresa di Calcutta:
“Madre, mi tolga una curiosità: perché nei suoi occhi brilla tanta felicità?”
La Madre con semplicità rispose:
“I miei occhi sono felici perché le mie mani asciugano tante lacrime!”
Questa meravigliosa risposta, ha commentato S. Eminenza, ci fa comprendere come Madre Teresa fosse felice, perché viveva intensamente la carità. La carità, la santità e la felicità sono la stessa cosa!
Il Cardinale, ha proseguito poi il discorso parlando del Premio Nobel per la Pace, che Santa Teresa di Calcutta ricevette nel 1979.
In quell’occasione la Santa andò a ritirare il premio con la corona del Santo Rosario stretta tra le mani, ma “nessuno osò rimproverarla per il suo affetto verso la Madonna, neppure in una terra rigidamente luterana!”.
Em. durante la Catechesi, ha ricordato anche il viaggio in India, che Pier Paolo Pasolini fece nel 1961, perché invitato insieme ad Alberto Moravia ed Elsa Morante, alle celebrazioni per il centenario del grande poeta nazionale Tagore.
Lo scrittore, quando arrivò a Calcutta, guidato dalla curiosità, volle conoscere questa suora, di cui aveva sentito parlare, sebbene allora avesse solo 50 anni e fosse semplicemente Suor Teresa.
Il ricordo di tale incontro, è riportato da Pasolini nel suo bellissimo libro, intitolato L’odore dell’India, nel quale scrisse:
“Suor Teresa è una donna anziana (in realtà aveva solo 50 anni), bruna di pelle perché è albanese, asciutta, con due mascelle quasi virili, e l’occhio dolce, che dove guarda, vede”
Da quest’ultima osservazione, emerge come Pasolini, grazie alla sua sensibilità di grande scrittore, avesse percepito la capacità di Suor Teresa di comprendere immediatamente, nelle persone il bisogno.
Un’altra importante riflessione su cui si è soffermato il Cardinale Comastri nel corso della conferenza, riguarda il valore della famiglia e degli insegnamenti che i genitori trasmettono ai propri figli.
Madre Teresa diceva: “Le famiglie non finiscono perché non c’è l’amore, ma perché in realtà, non c’è mai stato”.
Per la Santa fu molto importante l’esempio di carità e amore che le trasmisero i suoi genitori e come affermava lei stessa, senza di loro, non ci sarebbe mai stata una Madre Teresa di Calcutta.
Suo papà in particolare, le diceva così: “Figlia mia, non prendere ed accettare mai un boccone se non è diviso con gli altri!”. Oppure: “L’egoismo è una malattia spirituale che ti rende schiavo e non ti permette di vivere o di servire gli altri”.
Oggi purtroppo si è smarrito il senso e l’importanza della famiglia ed i giovani non hanno più modelli di riferimento a cui ispirarsi per le proprie scelte di vita, non hanno più ideali. In questo modo, possono nascere dei giovani vuoti, che non si pongono il problema morale delle loro azioni.
A tal proposito S. Eminenza ha ricordato una tragedia che avvenne nei pressi di Tortona nel 1997, dove un grosso sasso lanciato da tre ragazzi, colpì una giovane sposa in viaggio di nozze, che morì sul colpo.
Il noto psichiatra Andreoli, nel cercare di capire per quale motivo questi tre giovani omicidi, compirono questo gesto così assurdo, trasse queste conclusioni:
“Quei giovani non erano malati, non erano squilibrati, non erano neppure sprovveduti. Erano giovani vuoti, neppure conoscevano la categoria del bene o del male. Per loro esisteva un solo dilemma: mi piace o non mi piace, mi diverte o non mi diverte, mi va o non mi va. Per loro non esisteva il problema morale delle azioni”.
I modelli che offriamo ai nostri giovani sono fondamentali, anche per la nascita di nuove famiglie, futuri “padri” e “madri” che non siano soltanto “mostri di egoismo”.
Senza modelli di generosità ed altruismo alimentiamo solo l’egoismo, che conduce alla violenza e provoca anche l’esplosione delle guerre tra popoli, come quella a cui purtroppo, stiamo assistendo attualmente.
Il cardinale Comastri ci ha invitato inoltre, a riflettere sul fatto che se ognuno di noi, come diceva Madre Teresa, tenesse pulita la propria mattonella, tutto il mondo sarebbe più pulito.
Il segreto per trovare la felicità consiste quindi, nell’uscire dal proprio egoismo e seguire l’esempio di carità e santità trasmessoci da Santa Teresa di Calcutta.
Em. il Cardinale Angelo Comastri infine, ha donato a don Lulash Brrakaj, di origine albanese, una reliquia, consistente in una particella di stoffa bianca, proveniente da una federa usata da Santa Madre Teresa di Calcutta nell’ultimo periodo della sua vita.
Padre Lulash ha ringraziato di cuore S. Em e a sua volta gli ha fatto dono di una bellissima immagine raffigurante la Madonna, come ringraziamento per il Rosario che recitava tutti i giorni, durante la pandemia, in diretta video dalla Basilica di San Pietro, scaldando i cuori di molte persone.
Finita la Catechesi di Quaresima, abbiamo recitato insieme la preghiera scritta sul retro del santino di Santa Teresa di Calcutta, donato da S. Em. a tutti i fedeli presenti.
Dopodiché il Cardinale Angelo Comastri e padre Lulash Brrakaj, hanno celebrato insieme la Santa Messa delle ore 18.00.
Articolo e foto della Dott.ssa Tatiana CONCAS
CARDINALE ANGELO COMASTRI–Piccola Nota Biografia COMASTRI Card. Angelo Il Cardinale Angelo Comastri, Arciprete emerito della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano, Vicario Generale emerito di Sua Santità per la Città del Vaticano ePresidente emerito della Fabbrica di San Pietro, è nato in Sorano, in provincia di Grosseto e diocesi di Pitigliano-Sovana-Orbetello (Italia), il 17 settembre 1943. La sua era un’umile famiglia delle colline della Maremma. La mamma, profondamente religiosa, è stata la vera educatrice della sua vita. Ha compiuto gli studi ginnasiali nel seminario di Pitigliano e quelli liceali nel seminario regionale di Viterbo. Ha poi completato la formazione nel seminario romano maggiore frequentando la Pontificia Università Lateranense, dove ha conseguito la licenza in teologia. L’11 marzo 1967 è stato ordinato sacerdote e subito nominato vicerettore del seminario diocesano di Pitigliano. Nel 1968 è stato chiamato a lavorare a Roma, nella Congregazione per i Vescovi, e contemporaneamente è stato nominato padre spirituale nel seminario romano minore e aiuto-cappellano nel carcere di Regina Coeli. Gli anni di apostolato nel carcere li ha successivamente raccontati in un libro dal titolo: «Ero in carcere!». Nel 1971 ha lasciato Roma per assumere la direzione del Seminario della sua diocesi in Toscana: in quegli anni quel seminario conosce una bella fioritura di vocazioni sacerdotali. Nel 1979 è stato nominato parroco di Porto Santo Stefano: gli undici anni di missione sacerdotale all’Argentario sono stati per lui pieni di consolazioni spirituali e, tra l’altro, ricordano una storica visita alla parrocchia compiuta da madre Teresa di Calcutta, alla quale egli è stato legato da profonda amicizia. Il 25 luglio 1990 è stato nominato vescovo di Massa Marittima-Piombino. Il 12 settembre successivo ha ricevuto l’ordinazione episcopale. Ma, a causa di un’improvvisa malattia al cuore, nel 1994 ha interrotto con grande sofferenza l’esperienza di pastore di quella diocesi che gli è rimasta sempre particolarmente cara. Vescovo emerito di Massa Marittima-Piombino, nel 1994 ha ricevuto l’incarico di presidente del Centro nazionale italiano per le vocazioni ed è stato anche nominato presidente del Comitato nazionale italiano per il grande Giubileo dell’anno 2000. Ristabilitosi in salute, il 9 novembre 1996 è stato nominato Arcivescovo Prelato di Loreto e Delegato pontificio per il santuario Lauretano. A Loreto ha vissuto una intensa esperienza di accoglienza di pellegrini, specialmente degli ammalati dell’Unitalsi e dell’Oftal. Per nove anni consecutivi ha predicato i «Quaresimali», pubblicando poi in altrettanti libri le riflessioni dettate in quelle occasioni. Contemporaneamente è stato nominato presidente della Conferenza episcopale marchigiana, del Comitato per i congressi eucaristici nazionali italiani, del collegamento nazionale dei santuari italiani. È stato nominato anche vice-presidente della Pontificia Accademia dell’Immacolata. Per la Quaresima dell’anno 2003 Giovanni Paolo II lo ha chiamato a predicare gli esercizi spirituali alla Curia romana. Ha scelto come tema degli esercizi: «Dio è Amore!». Le meditazioni sono raccolte in un libro tradotto in varie lingue. Il 5 febbraio 2005 Giovanni Paolo II lo ha nominato suo Vicario generale per la Città del Vaticano, Presidente della Fabbrica di San Pietro e Coadiutore dell’Arciprete della Basilica di San Pietro, che era allora il Cardinale Francesco Marchisano. Il Cardinale Comastri ha svolto i suddetti Incarichi fino al 20 febbraio 2021. Benedetto XVI lo ha invitato a preparare i testi per la Via Crucis al Colosseo, il venerdì santo dell’anno 2006. E il 31 ottobre dello stesso anno il Papa lo ha nominato Arciprete della Basilica di San Pietro. È autore di numerose pubblicazioni di spiritualità e di pastorale, tradotte nelle principali lingue. Ha partecipato al conclave del marzo 2013 che ha eletto Papa Francesco. Da Benedetto XVI creato e pubblicato Cardinale nel Concistoro del 24 novembre 2007, del Titolo di San Salvatore in Lauro, Diaconia elevata pro hac vice a Titolo presbiteriale (19 maggio 2018). È Membro: del Dicastero delle Cause dei Santi.
Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’archeologia
Marcella Frangipane-Un frammento alla volta. Dieci lezioni dall’archeologia
Editore Il Mulino
DESCRIZIONE
Gli oggetti hanno un’anima e una storia che passa attraverso le mani degli artigiani che li hanno forgiati e di coloro che li hanno usati. Ecco il senso dell’archeologia: far parlare il tempo attraverso le cose, per ricostruire l’impossibile fotografia del passato. Frammenti di vita quotidiana, tracce di rituali religiosi, di attività economiche e di relazioni tra persone e con l’ambiente: gli oggetti portano il segno di quanto avvenuto nel tempo in cui furono creati e delle loro funzioni all’interno della comunità. Come schegge di uno specchio ci restituiscono l’immagine di quello che siamo stati e ci aiutano a dar forma al passato. Per riannodare i fili di questi mondi lontani e poco riconoscibili è necessario un lavoro lungo anni. Oltre quaranta sono quelli che Marcella Frangipane ha trascorso sul sito di Arslantepe in Anatolia, dove sorge il palazzo pubblico più antico del mondo: un viaggio nel tempo – che risale al V millennio a.C. e oltre – e nello spazio – esteso a tutto il territorio della Mezzaluna fertile – alla scoperta delle prime civiltà umane e di quei fenomeni politici e sociali che ancora regolano le nostre vite. Dieci lezioni dall’archeologia dei tempi più antichi per capire come siamo arrivati fin qui e come potrebbe essere il nostro domani.
“Fa che il dio che dimora in te sia la guida di un vero uomo, maturo e rispettabile, di un cittadino, di un Romano, di un magistrato, fermo al suo posto, pronto a lasciare la vita come chi non aspetta che il segnale della ritirata, senza giuramento né testimoni, sereno nell’intimo e tale da non aver bisogno né d’aiuto esterno né della tranquillità che possono procurare gli altri.” ‒ Marco Aurelio, Pensieri III 5,2
Nel film “Il silenzio degli innocenti” il cannibale Hannibal Lecter, impersonato da uno strepitoso Anthony Hopkins, così si rivolge alla sua interlocutrice Sterling (Jodie Foster): “Leggi Marco Aurelio! Di ogni singola cosa chiedi cos’è in sé, qual è la sua natura!”.
L’imperatore filosofo indossa il “sagum” da viaggio e, pur vestendo abiti civili, pare nell’atto di celebrare una vittoria.
Dignitoso e regale, cavalca sul suo cavallo mentre col braccio destro teso trasmette grande serenità e consapevolezza del fatto suo. La calma serafica e la spiritualità del volto testimoniano che vanagloria ed alterigia furono sempre estranee alla sua persona.
La statua di Marco Aurelio, che nel 1538 Michelangelo decise di collocare nel bel mezzo della piazza del Campidoglio, a Roma, nel Medioevo era conosciuta come “Caballus Costantini”, perché a torto la si riteneva una raffigurazione del primo imperatore cristiano.
Soltanto grazie a questo provvidenziale scambio d’identità, il bronzo si salvò dalla fusione che invece fece altre vittime illustri fra le statue della classicità, tramandandoci così un capolavoro artistico d’ineguagliabile bellezza e grande valore storico che ora fa bella mostra di sé presso i Musei Capitolini.
Nato a Roma nel 121 e rimasto subito orfano di padre, Marco Aurelio fu cresciuto dal nonno paterno e dalla mamma, da cui ereditò il culto per la “pietas” religiosa, oltreché i modi frugali che avrebbero caratterizzato tutta la sua vita anche quando, diventato l’uomo più potente di quei tempi, ascoltava seduto come un normale discepolo le lezioni del sofista Aristide di Smirne, applaudendolo e chinando per rispetto il capo davanti a lui.
Fu il grande Adriano ad imporre al suo erede Antonino Pio di adottarlo come figlio, quando il ragazzo aveva diciassette anni. Questa scelta velocizzò la sua ascesa sociale e il conseguente “cursus honorum”, che in rapida successione gli guadagnò le cariche di “tribunus monetalis” e poi di “tribunus militum”.
Dopo la scomparsa di Adriano, Antonino Pio volle ulteriormente rinsaldare i vincoli parentali con lui dandogli in sposa sua figlia Faustina, dalla quale Marco Aurelio avrebbe avuto ben 13 figli, oltreché nominandolo console.
Diventato a sua volta imperatore nel 161, seppure in un primo tempo a fianco del fratello Lucio Vero, Marco Aurelio portò a compimento quella che fu definita “l’Età dell’oro” del II secolo,che vide l’Impero Romano toccare il suo apogeo non solo in termini di estensione territoriale, ma anche come centro di potenza, ricchezza e irradiazione culturale.
Certamente il suo principato non fu immune da guerre, carestie e rivolte ma, da monarca illuminato quale fu, Marco Aurelio si dimostrò in ogni circostanza rispettoso delle prerogative del Senato, che coinvolse in tutte le decisioni importanti.
Istituì l’anagrafe, riformò il processo penale ripulendolo da abusi e condanne non basate su prove certe, regolarizzò le vendite pubbliche punendo severamente malversazioni e ruberie, colpì l’usura e preferì spendere il denaro in opere di pubblica utilità, piuttosto che in feste e giochi gladiatori.
Il suo più grande lascito alla posterità è tuttavia costituito dai dodici libri di ricordi e meditazioni intime scritte in greco, in forma aforistica, e intitolate “Tà eis eautòn” (cioè: “A se stesso”), un’opera non destinata alla pubblicazione, ma all’uso personale, tutta improntata allo stoicismo classico di Epitetto e all’ammirazione per il pensiero di Seneca.
Ciò nonostante, i suoi “Pensieri” col passare dei secoli sono diventati un best seller amato da milioni di persone, lettura prediletta di presidenti e generali, fra i quali Napoleone che ne conservò sempre una copia sul suo comodino.
Il lettore, anche se nei panni di un curioso che va a ficcare il naso nel diario intimo di un’altra persona, afferra l’importanza attribuita da Marco Aurelio alla provvidenza divina, vista come forza ordinatrice dell’Universo.
E’ infatti con queste frasi che egli si rivolge al Cosmo: “Da te ogni cosa, in te ogni cosa, verso di te ogni cosa”, ma anche “Pensa continuamente che il Cosmo è come un unico essere vivente che racchiude in sé una sostanza e una sola anima”.
Dopo la morte, Marco Aurelio ammette dunque la possibilità che l’anima si ricongiunga con la ragione cosmica, concetto non poi così distante dal Dio dei Cristiani, da lui però perseguitati in ossequio alla fedeltà per la religione tradizionale dell’Impero.
Forse anche per questo motivo il pensiero di Marco Aurelio per tanti secoli cadde in un limbo fatto di oblio e ignoranza, dal quale sarebbe uscito nel 1559 con la prima edizione a stampa della sua opera, poi affermatasi in tutta la sua validità come metodo di ricerca interiore particolarmente adatta alla psiche dell’uomo contemporaneo.
Quando morì il 17 marzo del 180, certo non poteva immaginare che quei suoi pensieri tanto intimi e personali, a distanza di quasi due millenni dalla sua scomparsa, ancora tanta saggezza e consolazione avrebbero arrecato all’uomo contemporaneo.
Accompagna questo scritto la “Statua equestre di Marco Aurelio”, autore sconosciuto, 176 d.C., Musei Capitolini, Roma.
Enzo Traverso Dialettica dell’irrazionalismo – La Città Futura
Enzo Traverso: Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo.
Editore-Ombre corte- Verona
Recensione di Renato CAPUTO
Il saggio di Traverso è la versione italiana dell’introduzione alla pubblicazione a Londra e New York, da parte della casa editrice Verso, de La distruzione della ragione di Lukács. L’obiettivo del saggio è di ricomprendere l’opera nel contesto storico in cui è nata e di interrogarne l’attualità alla luce del fatto che l’irrazionalismo da ideologia di estrema destra ha oggi successo anche a “sinistra”, in ideologie antiumaniste e antiuniversaliste. Traverso propone una rilettura critica di un grande autore marxista troppo spesso dimenticato. A conclusione del volume è posta la traduzione del saggio di Lukács: Grand Hotel “Abisso”, considerato un utile complemento a La distruzione della ragione.
, con l’importanza di studiare anche le opere di autori nazisti o ultrareazionari. L’intento dell’autore è di portare avanti una critica impietosa, in primo luogo, del socialismo reale. Per Traverso “rileggere La distruzione della ragione è quindi parte di una necessaria storicizzazione critica dello stalinismo” [1]. Al punto che Traverso definisce l’opera di Lukács “un’esplicita apologia filosofica dello stalinismo” (22).
Traverso mostra in seguito (cfr. pp. 27-31) che l’opera di Lukács conclude una interpretazione critica del nazismo come irrazionalismo, che si era sviluppata fra diversi dei principali intellettuali tedeschi nel mondo occidentale. Traverso ne conclude: “le discrepanze fra Lukács e Adorno, Arendt e Strauss, erano certamente molto significative, ma tutti si erano ritrovati nello stesso campo durante lo spartiacque storico della Seconda guerra mondiale, in un conflitto ideologico che, ben oltre due alleanze militari e politiche, opponeva due visioni del mondo: le forze dell’Illuminismo contro quelle dell’irrazionalismo, l’alleanza provvisoria fra il comunismo e la democrazia liberale contro il fascismo” (31). Anzi Traverso giunge alla conclusione che “il manicheismo de La distruzione della ragione rispecchia quello dei vincitori della seconda Guerra dei trent’anni” (37). Questa contestualizzazione delle tesi dell’opera di Lukács è decisamente in contraddizione con la sua precedente sostanziale liquidazione come “esplicita apologia filosofica dello stalinismo”.
Finalmente l’autore prova alla pagina 38 a dare conto dei suoi giudizi tranchant, almeno altrettanto manichei dell’opera che intende criticare. La tesi di Lukács parte dalla critica della cultura della Restaurazione, quale culla dell’irrazionalismo. Tale parabola si sviluppa con la reazione ideologica alla Comune di Parigi che porta all’aperto irrazionalismo di Nietzsche. I passaggi successivi sarebbero stati il vitalismo e l’esistenzialismo heideggeriano. Le critiche di Traverso sono rivolte alle forzature delle tesi di Lukács che, sostanzialmente metterebbe in evidenza esclusivamente gli aspetti negativi degli autori che intende criticare. Inoltre l’autore si dimostrerebbe dogmatico nella sua condanna della decadenza della cultura borghese, non includendo in tale critica la sua stessa opera giovanile premarxista. Si tratta di critiche finalmente determinate e sensate. D’altra parte, è evidente che se si vuole mostrare come la filosofia borghese da rivoluzionaria fino ai tempi di Hegel, diventi progressivamente controrivoluzionaria dopo la conquista del potere, è naturale che si dia conto dell’andamento complessivo del fenomeno, senza dare conto di tutte le secondarie controtendenze. Allo stesso modo, considerate le difficoltà incontrare da Lukács nel furore della guerra fredda all’interno delle suo stesso campo, per le sue posizioni critiche e antidogmatiche, diviene anche comprensibile la sua necessità di mostrarsi fedele alla linea condannando in blocco la filosofia borghese dell’epoca dell’imperialismo e cercasse, al contempo, di occultare le sue stesse colpe giovanili, per non essere alla mercé dei suoi dogmatici critici. D’altra parte la critica di dogmatismo potrebbe essere facilmente rigirata a Traverso che si dimostra inflessibile nel criticare Lukács – in quanto si sarebbe dimostrato servile nei confronti dello stalinismo, pur avendo rischiato la vita per le sue posizioni non allineate – e naturalmente non dice nulla del suo continuo autocensurarsi e del suo insistito accanimento, del tutto adialettico, contro il socialismo reale, dal momento che altrimenti non potrebbe certo continuare a insegnare nell’università della potenza imperialista più aggressiva del mondo.
Certo, sicuramente, Traverso ha ragione nel sostenere che la deriva ideologica che ha portato al nazismo è stata meno lineare di come è stata descritta da Lukács. Ancora più ragionevole è la constatazione che “nonostante i suoi limiti il libro di Lukács possiede tuttavia una forza critica incontestabile” (53).
L’accusa più significativa che Traverso rivolge a Lukács, sviluppando alcune critiche di Adorno, è di aver ridotto la “dialettica a teleologia e la storia intellettuale a una forma di causalità deterministica” (55). Inoltre Traverso sottolinea che “molti pensatori critici – compresi quelli marxisti – furono capaci di pensare con e attraverso i materiali altamente infiammabili forniti dalle critiche di Nietzsche, Heidegger e Schmitt alla modernità, all’universalismo, all’umanesimo, alla democrazia, alla razionalità” (57). Resta però una questione determinante, che Traverso non prende nemmeno in considerazione, cioè ha ragione o torto Lukács nel mostrare come evidentemente il pensiero filosofico borghese è mutato radicalmente nel momento in cui questa classe, da essere la classe universale nella rivoluzione contro il feudalesimo, ha conquistato una parte del potere scendendo a patti con l’aristocrazia. Così un pensiero ancora rivoluzionario nella dialettica hegeliana è divenuto già con il secondo Schelling e poi con Schopenhauer fino a Nietzsche e Heidegger una ideologia in larga parte conservatrice e reazionaria. Certo questa tesi generale, come tutte le generalizzazioni potrebbe essere criticata sostenendo che la realtà è sempre più complessa di ogni universalizzazione. In tal modo, però, si finirebbe per sostenere la tesi reazionaria postmoderna per cui bisognerebbe contrastare ogni universalizzazione.
Un’altra critica significativa, fra tante davvero poco generose, è che “è l’irrazionalismo nazista a rivelare la sua genealogia, la quale si spiega attraverso alcuni snodi storici decisivi – in primo luogo quello della Grande guerra – e non può essere dedotta teleologicamente dai suoi «precursori»” (62). Altro rilievo critico significativo lo si trova quando Traverso osserva: “l’irrazionalismo nazista andava al di là di una deviazione filosofica: era una sintesi di gestione e genocidio, di razionalità produttiva e realizzazioni socialmente irrazionali, di razionalità dei mezzi (l’amministrazione, il management e le procedure scientifiche) e irrazionalità degli obiettivi (il dominio della razza)” (65).
D’altra parte assolutamente inaccettabile e del tutto infondata è la conclusione che ne trae l’autore per cui “sia l’ontologia esistenziale di Heidegger che la teoria della razionalità strumentale di Weber potrebbero servire a svelare il retroterra dell’irrazionalismo nazista, più di quanto non faccia Lukács nel suo libro” (ibidem). Qui si arriva al paradosso di dare la propria preferenza persino a un autore che non ha mai rinnegato la sua adesione al nazismo, pur di dimostrarsi intransigenti nella critica del socialismo reale di cui, in qualche modo, Lukács sarebbe il più significativo rappresentante filosofico. Naturalmente, anche in tal caso, dimostrando di portare avanti lo stesso tipo di dogmatismo rimproverato a Lukács – che sarebbe colpevole di non essersi fatto uccidere per denunciare, quando era al potere, lo stalinismo – mentre nel caso di Traverso non si dice una parola sulle affinità fra l’imperialismo nazista e quello del paese per il quale lavora. Se dovessimo usare lo stesso metodo di adialettica intransigenza che rivolge nei suoi pesantissimi attacchi a Lukács e alla sua grandissima opera – un’opera che Travaglio mai sarà in grado, nemmeno lontanamente, di realizzare – dovremmo accusare questo saggio di essere, per usare la sua stessa terminologia, “una esplicita apologia filosofica” dell’imperialismo occidentale in generale e statunitense in particolare, in quanto per non rischiare di perdere il posto non lo mette mai in discussione.
Non pago dei suoi attacchi a qualsiasi vestigia di socialismo reale, Traverso giunge a sostenere “che Lukács guardava a Stalin nello stesso modo in cui Carl Schmitt guardava a Hitler” (70). Abbiamo un ennesimo parallelismo fra comunismo e nazismo, il quale è invece sempre contrapposto alle “democrazie liberali”. Non pago della sua professione di fedeltà ai più biechi luoghi comuni della propaganda ideologica statunitense fra i due speculari totalitarismi, Traverso arriva a sostenere: “modernizzare la Russia era un’ambizione razionale, ma realizzare questo obiettivo attraverso il ritorno allo schiavismo e al lavoro forzato fu una scelta intellettualmente irrazionale ed economicamente catastrofica. La «razionalità irrazionale» sovietica rovescia esattamente la «contro-razionalità» o, per dirla con Horkheimer e Marcuse, la «irrazionalità razionale» nazista” (71). Paradossalmente Traverso finisce per riprodurre, su scala decisamente allargata, le semplificazioni adialettiche che rimprovera a “La distruzione della ragione” di Lukács, improvvisando una sua versione de “La distruzione della ragione”, evidentemente necessaria a far carriera nel paese imperialista più aggressivo di sempre, ponendo di fatto sullo stesso piano stalinismo e nazismo, per occultare che il nazismo è in realtà una forma di imperialismo. Si arriva così a sostenere, con l’ennesima cattiva generalizzazione adialettica, che “il nazionalsocialismo e lo stalinismo erano due forme antinomiche di irrazionalismo, ma entrambi partecipavano alla stessa dialettica dell’Illuminismo, allo stesso processo di «autodistruzione della ragione»” (72). Naturalmente dopo aver rimproverato a Lukács di non tenere nel giusto conto le prese di posizione antifasciste di Croce e Jaspers, contrappone come modello positivo al filosofo ungherese pensatori come Adorno e Horkeimer, di cui non si mostrano mai i lati negativi, le contraddizioni, i compromessi con l’irrazionalismo e l’imperialismo.
È davvero imbarazzante che l’autore non colga l’attualità della critica di Lukács all’irrazionalismo, nella necessaria critica al postmodernismo quale ideologia dominante, almeno al di fuori dei paesi anglosassoni in cui prevale il neopositivismo. Quindi dal momento che l’ideologia dominante non può che essere l’ideologia della classe dominante, il postmodernismo è oggi espressione dell’imperialismo europeo. Traverso, naturalmente, non coglie affatto il profondo irrazionalismo dell’ala “sinistra” dell’imperialismo, che scambia per la “nuova sinistra”. Anzi auspica, credendo sostanzialmente superato Marx a causa della questione ambientale, il richiamarsi della sinistra a tematiche irrazionaliste, non comprendo minimamente gli aspetti reazionari di certo ambientalismo. Non comprende nemmeno i pericoli dovuti al fatto che larga parte della sedicente intellettualità di sinistra ha introiettato tanti aspetti dell’irrazionalismo. Del resto, abbandonando il marxismo, non si può che essere egemonizzati dall’ideologia dominante, alla quale lo stesso autore del libro per molti aspetti è decisamente subalterno.
In conclusione possiamo osservare che in lingua inglese almeno è uscita una riedizione de La distruzione della ragione a settanta anni dalla sua prima edizione. Il prezzo da pagare all’ideologia dominante è stato di farla precedere da una introduzione volta a scoraggiare la lettura dell’opera, presentandola come un relitto dello stalinismo, con il quale le democrazie occidentali si sarebbero dovute alleare per battere il nazismo, ma ormai del tutto superato. D’altra parte, ancora più catastrofica è la situazione italiana, in cui si pubblica soltanto l’introduzione volta a scoraggiare la lettura dell’opera – necessaria, però, alla sua ripubblicazione nei paesi anglosassoni – mentre nel nostro paese ci si è guardati bene dal ripubblicarla. Al suo posto, per spacciare come un libro la traduzione italiana di un introduzione scritta in inglese da un italiano, si pubblica un breve saggio di Lukács, intitolato Grand hotel “abisso”. Il suo senso è completamente travisato in senso rovescista dall’autore dell’introduzione che lo spaccia come una critica ai comunisti, complici dell’avvento al potere del fascismo, per aver sviluppato la concezione del social-fascismo. Al contrario l’opera è stata scritta contro quei pensatori borghesi “di sinistra” che, come Adorno e l’autore dell’introduzione – un epigono del francofortese – dinanzi ai pericoli per la stessa sopravvivenza del genere umano provocati dall’imperialismo, invece di contrastare quest’ultimo, si ingegnano a fare le pulci a grandi filosofi del passato che si sono battuti contro l’imperialismo del loro tempo.
Naturalmente queste critiche impietose a uno dei più importanti filosofi marxisti e comunisti, accompagnata a una altrettanto liquidatoria e postmoderna disamina del socialismo reale, sono proprie di intellettuali che, esattamente come gli intellettuali borghesi della Repubblica di Weimar, non fanno assolutamente nulla nemmeno per denunciare i rischi posti per la sopravvivenza del genere umano da parte della più aggressiva potenza imperialista del mondo, per la quale lavorano pur non essendo statunitensi. Più o meno è come leggere un autore italiano andato a lavorare in una università della Germania hitleriana che, non solo non denuncia il più pericoloso imperialismo del tempo, ma passa il tempo a gettare fango sulle forze politiche e intellettuali che lo sconfiggeranno, sebbene siano le uniche in grado di farlo.
Note:
[1] Traverso, Enzo, Dialettica dell’irrazionalismo. Lukács tra nazismo e stalinismo, Ombre corte, Verona 2022. D’ora in avanti citeremo questo libro direttamente nel testo indicando fra parentesi tonde il numero di pagina di questa edizione.
FONTE-Ass. La Città Futura – Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Resp. Adriana Bernardeschi
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