Nina G. Jablonski,NELLA PELLE DELL’ALTRO, Saggio edito da Bollati Boringhieri.
Articolo di Esperance H. Ripanti
Nina G.Jablonski arriva in Italia con un saggio illuminante che aiuta a riflettere su un tema dibattuto ma mai affrontato così a fondo: la pelle. Tra preistoria, vitamina D e pregiudizi.
Quanta importanza ha avuto il colore della pelle negli anni? Quante descrizioni? Quali ruoli? Quante discussioni? Quale valore profondo e decisivo l’essere umano del passato e del presente gli ha attribuito? L’antropologa Nina Jablonski (Hamburg, NY, 1966) dopo anni di docenza presso la Pennsylvania State University e numerose ricerche sulla pigmentazione della pelle umana ha scritto un testo chiaro ed esaustivo sull’argomento. Colore vivo (Bollati Boringhieri, 2020) è stata una gradevole novità sugli scaffali della divulgazione scientifica e sociologica. Un trattato, una guida per incamminarci – privi di preconcetti e diffidenza – nel lungo e complesso cammino all’interno della pelle umana.
Un lavoro accademico che da anni si incrocia con la battaglia di sensibilizzazione verso tematiche fondamentali per il mondo occidentale attuale: la diversità e il razzismo. Con Colore vivo l’antropologa statunitense studia e narra nel dettaglio la storia dell’evoluzione della pigmentazione cutanea. Lo fa attraverso la storia; partendo dalla preistoria studiata sui libri da tutti e seguendo con un filo immaginario, ma sempre preciso e chiaro, le migrazioni e le modifiche delle diverse popolazioni in base ai territori scelti, all’esposizione solare e alle abitudini quotidiane. Un viaggio cronologicamente affascinante ed educativo. La possibilità di riguardarsi indietro e comprendere o riscoprire nozioni non solo biologiche o storiche ma anche sociali, umane.
Come il colore della pelle condiziona tutt’ora la società e i comportamenti tra le diverse popolazioni? Quanto influisce nei rapporti, nelle relazioni e nella quotidianità sempre più “mescolata”? Jablonski riesce a rispondere a queste domande con rigore accademico ma senza mai dimenticare l’idea di divulgazione. Immagini, box di approfondimento e curiosità tengono compagnia il lettore per tutta la durata della lettura. E seppur l’impatto visivo risente leggermente delle immagini in bianco e nero, la scrittura del testo è costantemente efficace e immediata. Si passa dall’aspetto biologico al piano storico con naturalezza, senza mai tralasciare gli aspetti comportamentali e scientifici legati proprio alla questione “colore della pelle” che negli anni sono sfociati poi in vere e proprie discriminazioni razziali.
Un testo accessibile, una lettura che arricchisce e non si dimentica di aiutare il lettore italiano ad entrare in punti di vista lontani e differenti; ragionamenti che da occidentale e in maggioranza portatore di pelle bianca, caucasica non è portato a fare. Nei capitoli “Aspirare al bianco” e “Desiderare il nero” è illuminante l’esercizio che la scrittura e le nozioni riportate dall’antropologa permettono di fare a chi è profondamente convinto di non aver alcun tipo di pregiudizio razziale o di essere vissuto in un ambiente privo da esso. Jablonski con Colore vivo riesce a far entrare il lettore curioso nella pelle dell’altro e ad aumentare la consapevolezza dell’involucro che ci protegge e ospita in tutte le nostre diversità e bellezze.
Colore vivo, Nina G. Jablonski, Bollati Boringhieri, 2020, 352 p., 25 euro
Fonte-Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Nina G. Jablonski è docente di Antropologia presso la Pennsylvania State University. Tra i primi membri eletti della Fletcher Foundation, «per i suoi sforzi tesi a migliorare la comprensione pubblica del significato del colore della pelle», è stata anche onorata della Guggenheim Fellowship. Le sue ricerche sulla pigmentazione della pelle umana hanno stabilito la relazione di equilibrio evolutivo tra il colore della pelle, la produzione di vitamina D e l’intensità dei raggi ultravioletti in ogni luogo specifico del pianeta. I suoi studi paleontologici, inoltre, hanno portato al primo ritrovamento di fossili di scimpanzé. Oltre alla sua ampia produzione scientifica specialistica, ha pubblicato Skin. A Natural History (2006). Colore vivo è il suo primo libro tradotto in italiano.
Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi-
L’Olio di Oliva nella Mitologia
L’Olio di Oliva nella Mitologia-Un mito greco attribuisce ad Atena la creazione del primo Olivo che sorse nell’Acropoli a protezione della città di Atene.
La leggenda racconta che Poseidone ed Atena, disputandosi la sovranità dell’Attica, si sfidarono a chi avesse offerto il più bel dono al Popolo. Poseidone, colpendo con il suo tridente il suolo, fece sorgere il cavallo più potente e rapido, in grado di vincere tutte le battaglie ; Atena, colpendo la roccia con la sua lancia , fece nascere dalla terra il primo albero di Olivo per illuminare la notte, per medicare le ferite e per offrire nutrimento alla popolazione.
Zeus scelse l’invenzione più pacifica ed Atena divenne Dea di Atene. Un figlio di Poseidone cercò di sradicare l’albero creato da Atena, ma non vi riuscì, anzi si ferì nel commettere il gesto sacrilego e morì. Al British Museum di Londra si può ammirare una scultura del frontone occidentale del Partenone, dove l’artista Fidia ha rappresentato questo episodio mitologico. Secondo una leggenda riferita da Plinio e da Cicerone, sembrerebbe che sia stato Aristeno lo scopritore dell’Olivo e l’inventore del modo di estrarre l’olio all’Epoca fenicia. Lo stesso Plinio, invece, su altri suoi scritti, parlando dell’Italia, racconta che l’Olivo fu introdotto da Tarquinio Prisco quinto Re di Roma, questa ipotesi è la più verosimile visto che le più antiche tracce archeologiche finora raccolte sull’olivicoltura in Etruria risalirebbero al VII sec. a.C., descrivendo ben 15 metodi di coltivazione di questa pianta, che, ai suoi tempi, rappresentava già la base di importanti attività economiche e commerciali. L’olivicoltura era molto diffusa al tempo di Omero; l’Iliade e l’Odissea narrano spesso dell’Olivo e del suo Olio. A Roma l’Olivo era dedicato a Minerva e a Giove. I Romani, pur nella loro praticità di considerare l’Olio d’Oliva come merce da esigere dai vinti, da commerciare, da consumare, mutuarono dai Greci alcuni aspetti simbolici dell’olivo. Onoravano i Cittadini illustri con corone di fronde di Olivo; così pure gli sposi il giorno delle nozze e della loro prima notte nunziale; ed infine i morti venivano inghirlandati per significare di essere dei vincitori nelle lotte della vita umana. Nell’area islamica molte leggende fanno riferimento all’Olivo e al suo prodotto; tra le tante storie si vuole ricordare quella di Alì Babà ed i suoi 40 ladroni nascosti negli otri che dovevano contenere Olio di Oliva.
Il quadro allegato rappresenta Dispute de Minerve et de Neptune, (1748)-Louvre,Parigi- “… e Atena ottenne di governare sull’Attica, poiché aveva fatto a quella terra il dono migliore, quello dell’ulivo……”
ULIVOAtena la creazione del primo OlivoAtena la creazione del primo OlivoULIVOAtena la creazione del primo Olivo
Antico Frantoioolio extravergine di oliva olio extravergine di oliva L’olio extravergine di olivaolio extravergine di olivaolio extravergine di olivaAtena la creazione del primo Olivoolio extravergine di olivaolio extravergine di olivaolio extravergine di oliva
I dipinti etruschi di Cerveteri in mostra al Museo Archeologico Nazionale di Firenze-
Cerveteri-“Dal 20 dicembre 2024 al 7 aprile 2025 il Museo Archeologico Nazionale di Firenze propone la mostra Visioni di miti e riti etruschi a Firenze, a cura di Daniele Federico Maras etruscologo e direttore del museo. Per l’occasione saranno esposte quattro lastre dipinte intere, risalenti alla fine del VI secolo a.C., recuperate a Cerveteri nel 2019 dalla Guardia di Finanza.
La rassegna è frutto della collaborazione tra il Museo Archeologico Nazionale di Firenze, la Direzione Generale Musei del Ministero della Cultura, il Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Roma della Guardia di Finanza – Sezione Tutela Beni demaniali e di interesse pubblico, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria Meridionale, in accordo con la Direzione regionale Musei nazionali della Toscana.
Le lastre dipinte
Le quattro lastre di terracotta dipinte, ricostruite da una serie di frammenti, furono recuperate nell’estate del 2019 dalla Guardia di Finanza, nel corso di un’operazione di contrasto al commercio clandestino di reperti archeologici. Sono state prodotte negli ultimi decenni del VI secolo a.C. in un’officina della città etrusca di Caere (l’odierna Cerveteri), probabilmente per decorare le pareti di un tempio. Il fregio della parte superiore, comune a tutte e quattro, raffigura un meandro spezzato che incornicia riquadri con uccelli acquatici e motivi floreali a stella. La superficie è stata danneggiata dai maldestri tentativi di pulizia dei ladri d’arte che le hanno strappate al loro contesto.
Una lastra raffigura il duello tra Achille e Pentesilea: l’eroe greco a sinistra, racchiuso in una pesante armatura, si ripara dietro lo scudo e si prepara a colpire la regina delle Amazzoni, che si scaglia verso di lui brandendo una spada insanguinata. Un’altra raffigura un uomo che brandisce un ramo dalle foglie dorate mentre insegue una donna dalla chioma riccia armata di arco: potrebbe trattarsi di Apollo e Artemide con i rispettivi attributi divini, oppure della vergine cacciatrice Atalanta sfidata alla corsa dal suo futuro sposo Melanione, che vinse la gara lasciando cadere tre mele d’oro per distrarla. Un’altra ancora raffigura il Giudizio di Paride: il messaggero degli dèi Hermes, dalle ali variopinte e con in mano uno scettro, precede Hera, prima delle tre dee in lizza per scegliere la più bella tra loro. In origine le altre due dee (Atena e Afrodite) e il giovane Paride chiamato a giudicare erano raffigurati su due lastre adiacenti, purtroppo andate perdute. E infine, sull’ultima lastra è raffigurato un giovane sacerdote dai capelli lunghi che ha appena completato un rito di divinazione osservando gli uccelli con il lituo (il bastone ricurvo che ora tiene sulla spalla) e sta comunicando la volontà degli dèi al suo compagno, il quale si affretta tenendo in mano un ramoscello con dei frutti rossi.
“Grazie a iniziative espositive come questa, che fa seguito a una breve anteprima nella primavera del 2024 a Vetulonia, si porta a compimento il ciclo della tutela per le quattro lastre, dalla protezione (assicurata dalla Guardia di Finanza), alla conservazione (resa possibile dalla Soprintendenza) fino alla valorizzazione (garantita nel contesto del Museo). Solo così lo sguardo etereo di Pentesilea, l’esuberante vitalità della coppia in corsa, l’esplosione di colori delle ali di Hermes, i gesti enigmatici degli aruspici torneranno a svolgere la funzione per cui sono stati creati: comunicare con il pubblico e trasmettere la voce degli artisti del passato”, ha dichiarato Maras, sin dall’inizio all’interno del gruppo di lavoro della Soprintendenza che ha studiato le lastre per renderle visibili al pubblico.
CGIL Teramo- Che genere di arte: Le artiste cancellate dai manuali di storia-
CGIL Teramo- Articolo di Antonia Fama-“Non sono una critica, sono una sindacalista. Ma sono un’appassionata d’arte e mi sono ritrovata a studiare”. Fa una premessa che definisce doverosa, Eliana Como, prima di cominciare a raccontare cosa l’ha portata a diventare curatrice della mostra Che genere di arte: le artiste cancellate dalla storia dell’arte, inaugurata nei giorni scorsi alla Cgil di Teramo, dove resterà aperta fino al 26 gennaio 2025.
UNA PAGINA FACEBOOK
CGIL Teramo-Le artiste cancellate dai manuali di storia
Ma tutta quella passione è il motore di un percorso cominciato nel 2019, con l’apertura della pagina facebook omonima, e la nascita di un progetto artistico significativo e ambizioso: riportare alla luce, come in un dipinto restaurato, quei soggetti che il tempo e le insidie hanno cancellato. In questo caso, le artiste.
LE MINIATURISTE DEL MEDIOEVO
“Incredibile come la maggior parte delle donne siano state dimenticate sistematicamente, non compaiono neanche nei manuali di storia dell’arte” spiega Eliana Como, che negli ultimi anni è andata a recuperare con lavoro certosino opere e nomi delle artiste che le hanno realizzate nei secoli. E proprio a proposito di monaci: “Siamo sempre stati convinti che gli amanuensi fossero uomini istruiti che hanno permesso al patrimonio dell’arte medievale di arrivare fino a noi e non sapevamo che, invece, in molti casi si trattava di artiste, donne”.
UNA CANCEL CULTURE ANTE LITTERAM
Miniaturiste, pittrici, scultrici, che sono state persino note al pubblico, nelle epoche in cui hanno vissuto. Eppure vittime di una feroce cancel culture ante litteram, che non ha permesso loro di arrivare fino a noi. A differenza delle opere realizzate, che pure sono esposte nei musei in giro per il mondo, ma non campeggiano nell’indice analitico di saggi e manuali. “Basti pensare che “nel manuale La storia dell’arte di Gombrich, il libro d’arte più venduto al mondo, tra le oltre 400 immagini e centinaia di pagine, solo una è dedicata a un’opera di una donna. Si tratta di Not (Il bisogno), realizzata nel 1897 da Käthe Kollwitz”.
LA DAMNATIO MEMORIAE
“Un’assenza che racconta quanto il sistema dell’arte abbia escluso le donne dalla narrazione ufficiale”. Artiste, come anche letterate, scienziate, filantrope, scrittrici, che nei secoli hanno dovuto faticare per affermarsi e affermare la propria libertà. Spesso anche a costo della felicità. E che però hanno subito una seconda discriminazione, come la definisce Como: “Essere state cancellate dai libri”. Una damnatio memoriae che tutt’ora si fatica a contrastare.
LA FATICA DI CHIAMARSI PITTRICE
“Noi ci domandiamo spesso come mai siano state così poche le artiste nella storia – osserva la sindacalista e curatrice della mostra – ma al contrario dovremmo domandarci come abbiano fatto a essere così tante”. Questo perché, come spiega Eliana Como, per secoli lo status di pittrice o scultrice era riservato a chi già nasceva figlia d’arte. In più bisognava essere dotate del dono e pronte a esercitarlo. Le grandi accademie, fino agli inizi del Novecento, hanno interdetto l’accesso alle donne, e poi perpetrato a lungo il divieto di seguire i corsi di nudo.
SOLO DA NUDE ENTRANO NEI MUSEI
“Do women have to be naked to get into the Metropolitan Museum” recita il manifesto geniale, adottato dalla mostra, e realizzato dalle Guerrilla Girls, un collettivo anonimo di artiste che si celavano dietro la maschera di un gorilla. “Le donne possono entrare soltanto se nude in un museo”, un’intuizione acuta e divertente al tempo stesso, che mette in evidenza una dolorosa e atavica idiosincrasia: le donne come oggetto – corpo nudo – dell’arte. Ma non riconosciute come soggetto della creazione artistica.
SE PICASSO FOSSE STATO DONNA
“Cosa sarebbe accaduto se Rembrandt, Picasso, Van Gogh fossero nati donne?”, si chiede Eliana Como: “Ma pensiamo anche a un’artista ricordata e riconosciuta al livello mondiale: Frida Kahlo è stata per moltissimo tempo solo la moglie di Diego Rivera”. I primi passi di questa rivoluzione culturale verso una narrazione di genere della storia dell’arte risalgono agli anni ottanta. “Soprattutto negli Stati Uniti e nei paesi anglosassoni ha cominciato ad affermarsi una letteratura specifica per raccontare le artiste. La prima grande storica dell’arte che se ne occupò fu l’americana Linda Nochlin, autrice di un manuale che andava dal 1400 al 1900. Nel 1980 a Milano Lea Vergine realizzò la mostra L’altra metà dell’avanguardia”.
UNA NARRAZIONE DI GENERE
Non un caso, certo, che questo percorso sia iniziato negli stessi luoghi di nascita dei gender studies, per poi arrivare al resto del mondo. Eppure, quarant’anni dopo, si fa ancora fatica a consultare dei manuali di storia che siano davvero emblematici di un cambio di paradigma. E se, come qualcuno pubblicamente sostiene, il patriarcato non esiste, anche le donne più illustri, nella narrazione mainstream, non esistono ancora. O non ancora completamente.
RISCRIVERE UNA STORIA NUOVA
“Auspico un momento – dice Como – in cui si possano riscrivere i manuali da zero. Ovvero non solo affiancare la narrazione di genere a quella “principale”. Ma proprio raccontare la storia da capo, da una prospettiva più giusta, autentica, equilibrata”.
LA VICENDA DI CHARLOTTE SALOMON
Ci troveremo finalmente il nome di Charlotte Salomon, nata a Berlino nel 1917 e morta ad Auschwitz nel 1943. “Una pittrice espressionista di origine ebraica, potentissima, che realizzò un suo personale Diario di Anna Frank, ma per immagini. E con i soli quattro colori primari di cui disponeva, nel suo esilio a Vichy”. Fu proprio Otto Frank, dopo la morte della ragazza, a suggerire a suo padre che tutto quel prezioso patrimonio artistico non poteva e non doveva rimanere un’eredità privata. “Immagini meravigliose – conclude Eliana Como – che commuovono, e tramandano una storia che tutti dovremmo conoscere”.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione-
Roma, 22 dicembre 2024 – A conclusione dei lavori di manutenzione della Fontana di Trevi, curati dalla Sovrintendenza Capitolina nell’ambito del programma di interventi PNRR Caput Mundi, è stata oggi restituita alla cittadinanza una delle aree più simboliche della città, tra le più amate e visitate al mondo.
Gli interventi si sono resi necessari a causa dei fenomeni di degrado che hanno interessato il monumento, situato in una zona ad alta frequentazione pedonale e sottoposto a particolari condizioni microclimatiche che hanno favorito la formazione di patine biologiche, vegetazione infestante e depositi calcarei sulle parti più esposte al contatto con l’acqua.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
L’intervento, della durata di circa tre mesi e del costo di 327mila euro, ha previsto un’attività di pulitura approfondita delle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare della scogliera e della zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso. Sono state riparate le stuccature dei giunti in varie zone della fontana per preservarne l’integrità strutturale ed estetica ed è stata impermeabilizzata la vasca.
Inoltre ACEA per ottimizzare la circolazione dell’acqua ha effettuato una manutenzione straordinaria su tutto l’impianto di ricircolo, pompe, apparecchiature elettromeccaniche, sostituendo anche gli organi di manovra presenti.
Il monumento recuperato sarà visitabile secondo una nuova modalità che consentirà di ammirarlo senza il sovraffollamento che ne ha sempre caratterizzato la fruizione.
L’esperienza fatta con la passerella installata durante l’intervento di manutenzione ha evidenziato il gradimento dei cittadini e dei turisti per una visita di qualità e più diretta. Grazie alla nuova gestione dei flussi sarà possibile anche garantire l’appropriata fruizione della fontana, da sempre sottoposta a un’intensa presenza antropica non regolamentata ed eccessivamente invasiva per i delicati materiali che la compongono.
L’accesso, garantito a un numero massimo di 400 persone circa in contemporanea, è previsto dalla scalinata centrale mentre l’uscita si trova presso il varco dal lato di via dei Crociferi.
La visita sarà regolamentata con le seguenti modalità: tutti i giorni dalle 9 alle 21 (ultimo accesso ore 20.30); il lunedì e il venerdì dalle 11 per consentire le operazioni di raccolta delle monete; ogni due lunedì dalle 14 alle 21 per lo svuotamento e la pulizia della vasca. Accesso libero dalle ore 21.
All’entrata, all’uscita e all’interno del monumento sarà presente personale dedicato all’accoglienza e alla sicurezza. Il servizio è affidato a Zètema Progetto Cultura.
I visitatori potranno liberamente circolare negli spazi dell’invaso della fontana, ma non sarà consentito sedersi sul bordo della vasca, mangiare, bere, fumare.
Nella pannellistica informativa all’ingresso e nei totem sui lati della piazza è presente un qr code che consente di ottenere informazioni storiche sulla fontana.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
CENNI STORICI
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso da cui emerge vincitore l’architetto Nicola Salvi (1697-1751). Il monumento, concepito come mostra dell’acquedotto Vergine e addossato alla facciata del retrostante Palazzo Poli, è articolato come un arco di trionfo e digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (cui è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014-2015 grazie a un contributo di FENDI.
Fontana di Trevi, mostra dell’acqua vergine
Mostra terminale dell’acquedotto Vergine – unico degli acquedotti antichi (19 a.C.) ininterrottamente in uso fino ai nostri giorni – è la più nota delle fontane romane e la più famosa nel mondo per la sua scenografica monumentalità.
Documentata nel medioevo, la sua denominazione deriva da un toponimo in uso nella zona già dalla metà del XII secolo (regio Trivii), oppure dal triplice sbocco dell’acqua dell’originaria fontana.
Nel 1640 per volontà di papa Urbano VIII (1622-1644), in concomitanza con l’ampliamento della piazza, Gian Lorenzo Bernini progetta una nuova fontana orientata come l’attuale, la cui costruzione si limita alla messa in opera di un basamento ad esedra con una vasca antistante, addossato agli edifici poi inglobati nel palazzo Poli.
La realizzazione dell’attuale fontana di Trevi si deve a papa Clemente XII (1730-1740), che nel 1732 indice un concorso al quale partecipano i maggiori artisti dell’epoca. Il pontefice sceglie tra i progetti dell’architetto Nicola Salvi (1697-1751) quello più monumentale e “di minor pregiudizio per il retrostante palazzo” sulla cui facciata si inserisce l’intera mostra con uno studio meditato delle proporzioni e delle decorazioni.
La fontana, articolata come un arco di trionfo, con una profonda nicchia, digrada verso l’ampio bacino con una larga scogliera, vivificata dalla rappresentazione scultorea di numerose piante e dallo scorrere spettacolare dell’acqua. Al centro domina la statua di Oceano alla guida del cocchio a forma di conchiglia, trainato dal cavallo iroso e dal cavallo placido, frenati da due tritoni. Rilievi che alludono alla storia dell’acquedotto e figure allegoriche collegate agli effetti benefici dell’acqua decorano, a vari livelli, il prospetto. Si fondono così magistralmente nell’opera del Salvi storia e natura intese in un rapporto dialettico, quale veniva affermato dal nascente illuminismo.
La costruzione viene conclusa da Giuseppe Pannini (c.1720-c.1810) che modifica parzialmente la scogliera regolarizzando i bacini centrali.
Dopo un intervento di restauro negli anni 1989-1991 (ad esso è seguita una manutenzione della parte centrale nel 1999), l’ultimo importante restauro è avvenuto nel 2014 grazie a FENDI, concludendosi dopo diciassette mesi nel 2015, con inaugurazione il 3 novembre. Maggiori informazioni
L’intervento di manutenzione straordinaria del 2024
Tra i mesi di ottobre e dicembre 2024 è stato effettuato un intervento di manutenzione della Fontana di Trevi nell’ambito del programma PNRR – Caput Mundi (Manutenzione straordinaria di alcune fontane monumentali del Centro Storico di Roma, n. 323). Tale attività si pone in una posizione intermedia tra le operazioni di pulitura e manutenzione ordinaria che periodicamente vengono effettuate con lo svuotamento delle vasche, e gli interventi strutturali di restauro (come quelli del 1989-90, 1999 e 2014) mirati a eliminare il calcare e le patine biologiche che si depositano sui materiali. L’intervento è stato finalizzato a rimuovere localmente gli elementi che determinano un rischio di conservazione dell’opera stessa, agendo sulle superfici lapidee della parte inferiore del monumento, in particolare la zona tra il bordo della vasca e le gradinate di accesso, sottoposta a una pulitura approfondita.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
L’operazione, condotta a cura della Sovrintendenza Capitolina, è parte di un programma che ha interessato anche la Fontana del Quirinale, della Barcaccia, delle Tartarughe e delle Tiare, per un importo complessivo di 1,187 milioni di euro.
L’indagine preliminare sui materiali
Propedeutica a ogni intervento di manutenzione o restauro è la fase conoscitiva del monumento, con analisi diagnostiche non invasive atte a indagare lo stato di conservazione del bene.
La Fontana di Trevi è costituita da un insieme eterogeneo di materiali, quali ad esempio marmo di Carrara, travertino, stucco e metalli. La loro analisi e il confronto con campioni di riferimento permette di quantificare gli effetti del degrado e stabilire gli interventi più opportuni, atti a rimuovere ad esempio patine e incrostazioni.
Il travertino della Fontana di Trevi in particolare è caratterizzato da una predominante composizione calcarea, con elevata concentrazione di calcio e, in quantità minori, ferro e stronzio. La patina rossa visibile sulla superficie della scogliera dimostra un notevole aumento della concentrazione di ferro, evidenziando un’alterazione significativa rispetto al travertino di riferimento.
I fattori di degrado
Esposta all’aperto, la Fontana di Trevi è soggetta a un insieme di fattori di degrado quali la presenza di inquinanti e agenti atmosferici, acqua e umidità che esplicano la propria azione attraverso processi di natura chimica, fisica e biologica.
L’utilizzo del ferro per le staffe di sostegno ai gruppi scultorei, ad esempio, se da un lato garantisce vantaggi in termini di stabilità e resistenza meccanica, dall’altro pone dei problemi legati ai processi di ossidazione cui il metallo va incontro, con formazione di ruggine e, di riflesso, alterazioni estetiche del travertino.
Un altro fattore di degrado è la presenza costante di acqua e umidità, che comportano rischi di erosione e la formazione di un habitat favorevole allo sviluppo di flora e fauna microbiche, dannose per la pietra e gli altri materiali costitutivi.
Un ruolo, infine, è giocato dagli inquinanti atmosferici, solo in parte mitigati dalla semi-pedonalizzazione della piazza. Piccole particelle si depositano continuamente sulle superfici, richiedendo costante monitoraggio e pulizia.
Roma-Fontana di Trevi, concluso l’intervento di manutenzione
Gli interventi
Gli interventi sulle superfici lapidee si sono sviluppati attraverso tre fasi:
Pulitura. Disinfezione da microrganismi e rimozione dei depositi superficiali incoerenti e parzialmente aderenti, croste nere, strati carbonatati e ossidi di ferro.
Consolidamento. Ripristino della coesione, riadesione di scaglie e frammenti ed esecuzione e riparazione delle stuccature.
Applicazione di protettivo. Applicazione di uno strato protettivo sulle superfici per contrastare l’azione degli agenti atmosferici e inquinanti.
Sugli elementi metallici è stato eseguito un trattamento per l’arresto dell’ossidazione al fine di prevenire la corrosione di perni, grappe, staffe e cerchiature.
Nell’area di rispetto si è svolta un’attività di diserbo, disinfezione e lavaggio, la revisione delle stuccature alterate e il riposizionamento degli elementi pavimentali divelti a causa della frequentazione pedonale della piazza.
Nella vasca principale e in quelle secondarie, infine, sono stati applicati rivestimenti impermeabilizzanti al fine di proteggere il materiale lapideo dalle infiltrazioni.
La passerella: un modo nuovo di ammirare la Fontana
Nell’ottica di garantire la fruibilità del monumento e offrire al visitatore una prospettiva nuova da cui poter ammirare la Fontana di Trevi, nel primo mese di cantiere è stata allestita una passerella temporanea che ha consentito di osservare a pochi metri di distanza i celeberrimi apparati scultorei, nonché le operazioni di manutenzione in corso. La passerella ha offerto inoltre l’occasione per acquisire nuovi dati sulla frequentazione, utili a risolvere i problemi di sovraffollamento dell’area.
Fara in Sabina-Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina si illumina grazie al Teatro Potlach-
Fara in Sabina, 22 dicembre 2024-Un fine settimana pieno di luce a Fara in Sabina. A poche ore dal giorno più magico ed emozionante dell’anno, il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – situato nel cuore del borgo medievale di Fara in Sabina – si illumina e splende grazie alle luci installate dal Teatro Potlach. Ieri infatti a Palazzo Brancaleoni, sede del museo, è avvenuta l’accensione delle luci che durerà fino a oggi: grandi e piccoli hanno quindi la possibilità di ammirare il museo vestito a festa in occasione dell’arrivo del Natale. Un gioco di luci che immerge il centro storico della città in un’atmosfera ancora più fiabesca e suggestiva. Si tratta infatti di una delle numerose iniziative che, organizzate dalla Pro Loco di Fara in Sabina APS in collaborazione con il Comune, sono dedicate alla promozione turistica del borgo: una delle tante attività volte renderlo ancora più attrattivo e accogliente.
Fara in Sabina-Il Museo Civico Archeologico si illumina grazie al Teatro Potlach-
Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina
Il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina è uno dei punti di riferimento per la conoscenza della civiltà dei Sabini, in quanto conserva i materiali provenienti dai due centri più importanti della Sabina Tiberina: Cures ed Eretum. Allestito a partire dal 2001 all’interno del rinascimentale Palazzo Brancaleoni (sito in piazza del Duomo) ha visto – nel corso degli anni – le sue collezioni ampliarsi, grazie agli scavi effettuati con regolarità proprio a Cures ed Eretum. Il cospicuo aumento del numero dei materiali ha reso necessario nel corso del tempo l’allestimento di nuove sale: la sala della Scrittura, interamente dedicata al cippo inscritto ritrovato nel greto del Fiume Farfa, e la sala dedicata alla Tomba XXXVI di Colle del Forno. Della fase rinascimentale, l’edificio conserva intatta la facciata della prima metà del ‘400, mentre gli interni sono stati pesantemente ristrutturati dai successivi proprietari: al tardo barocco possono essere ascritti gli affreschi di una delle sale, dipinti con motivi a grottesche come si usava nei piani nobili delle case di fine ‘700. Inoltre, a inizio anno si sono conclusi i lavori per l’allestimento in via definitiva di un’altra sala, dedicata ad una tomba i cui corredi sono stati protagonisti di vicende tra le più travagliate e a tratti rocambolesche della storia dell’archeologia: la Tomba XI di Colle del Forno, meglio conosciuta come Tomba del Carro.
Per informazioni e prenotazioni: visitfarainsabina@gmail.com 0765277321 – 3802838920.
Fara in Sabina: tra passato e presente
Popolata fin dall’epoca preistorica, Fara in Sabina, ridente comune in provincia di Rieti, fa risalire le origini del suo attuale abitato ad epoca longobarda. Placidamente adagiato a circa cinquecento metri, il borgo di Fara in Sabina è contornato da un incantevole panorama.
Un dolce paesaggio, ove spiccano uliveti e verdi colline. Nel suo territorio, inoltre, vi è una ampia presenza di monumenti e testimonianze storiche di grande rilevanza. Visitando Fara in Sabina, si rimarrà ammaliati dall’incantevole visione di secolari ulivi, abbazie, rocche e torri.
Fara in Sabina tra passato e presente, offre la possibilità di godere di un momento unico, in cui vivere le emozionanti storie e leggende legate a mostri spaventosi, briganti, ma anche a condottieri e santi.
Gioiello di Fara Sabina è il suo centro storico, un delizioso ricco scrigno, che ha conservato, nonostante l’inesorabile trascorrere dei secoli, angoli pittoreschi e alquanto caratteristici.
Girovagando per i vicoli di Fara in Sabina vi imbatterete nel Palazzo Baronale, oggi sede di un interessante Museo Archeologico. Merita una nota particolare la Seicentesca Chiesa intitolata a San Giacomo, e la Collegiata di Sant’Antonio risalente al XVI. Eretto nel XVII secolo sulle rovine del suo castello, vi è il Monastero delle Clarisse Eremite.
Se brillano gli esempi di architettura religiosa, non sono da meno quelli relativi ai suoi palazzi. Una magnifica rassegna è data dal Palazzo Foschi del XV secolo, dal Palazzo Farnese risalente al 1585 e dal Palazzo Orsini, un eccellente esempio di architettura civile del XV secolo.
Tra i siti archeologici presenti a Fara in Sabina, si segnalano i Ruderi di San Martino e i resti di Cures Sabini, di origine preromana. Una gita a Farfa in Sabina, quindi, è una occasione magnifica per riscoprire un territorio stupendo e degustare ottimi piatti della fantastica cucina sabina.
Se siete a Fara in Sabina, non potete di certo perdere l’occasione per visitare anche la celeberrima Abbazia di Farfa, indiscutibile punta di diamante del territorio sabino e che dista solo pochi chilometri dal borgo di Fara.
I segni del lavoro. I siti industriali in Bassa Sabina tra agricoltura e industria dal XVIII al XX secolo
A cura di Fondazione Nenni e Associazione Eolo
Editore Espera
DESCRIZIONE del libro I segni del lavoro. I siti industriali in Bassa Sabina Il volume è il risultato di una ricerca storico-archivistica, coordinata dalla Fondazione Pietro Nenni e dall’Associazione Eolo, che ha permesso di riscoprire all’interno di sette comuni della Bassa Sabina, con l’ausilio di documenti inediti e fonti orali, tracce di industrie, miniere, botteghe artigianali, mulini e mattatoi, forni, frantoi, allevamenti di bachi da seta, officine meccaniche, fabbriche di utensili e ceramiche, laboratori di sartoria e maglieria. Il lettore troverà un volume ricco di informazioni, dati e curiosità, sui siti produttivi, sul tessuto economico e sociale dei comuni di Cantalupo, Casperia, Forano, Magliano Sabina, Poggio Mirteto, Roccantica e Stimigliano tra il XVIII e il XX secolo. L’agricoltura ha rappresentato sempre un aspetto dominante dell’economia locale ma, nel corso del periodo preso in esame, si sono sviluppati oltre ad essa insediamenti produttivi e protoindustriali che hanno cambiato radicalmente la vita della popolazione. È uno studio realizzato con rigore, pensato per valorizzare il patrimonio archeologico industriale e agricolo di questo territorio.
Chronique d’une famille italienne dans les tourments du XXe siècle.
La migration est un thème d’actualité mais qui n’est pas nouveau. La Bible n’en parle-t-elle pas déjà abondamment ? Une chose est d’en parler, tout autre est d’en témoigner. Dans son livre,Mario Petricola (qui est issu d’une famille italienne venue s’installer en Lorraine) s’est lancé le défi de décrire les tribulations de sa famille dans les contextes géographiques, politiques, sociaux et religieux de son terroir d’origine comme des lointaines contrées où le destin a jeté les siens. Il le fait en ajoutant à la sensibilité d’un poète la rigueur d’un ethnologue, d’un sociologue et d’un historien.
D’une plume alerte, il emporte le lecteur dans les paysages des mondes d’hier et d’avant-hier. Avec un art consommé, ainsi fait-il monter aux narines les puissants effluves de la garrigue et de la cuisine parfumée des Abruzzes, berceau de sa famille. En suivant les migrants, ce décor bucolique laisse bientôt place aux vapeurs d’échappement du Nouveau Monde, aux remugles des tranchées de 14-18 et des sinistres camps nazis de la seconde guerre mondiale avec, pour finir, les jets de gaz brûlants des coulées de fonte des fours de Longwy qu’avec tristesse on verra démanteler sans que les mouvements sociaux des ouvriers désemparés n’y puissent mais.
L’auteur dépeint avec délicatesse comment, confrontée aux bouleversements survenus entre 1880 et 1980, sa famille pastorale est passée d’un mode de vie proche de la nature et largement autosuffisant où l’eau se cherchait au puits et les repas mijotaient dans l’âtre, à l’ère du béton qui a effacé ciel et terre et instillé une dépendance qui fait craindre désormais la moindre coupure de courant électrique. Autrement dit, les aventures des différents membres de la famille auxquels le lecteur s’identifie volontiers permettent de réaliser comment d’une société rurale à la stabilité millénaire que nos parents savaient presque instinctivement maîtriser, nous sommes passés à une civilisation urbaine dans laquelle nous éprouvons la frustration de n’en pouvoir assujettir les aléas devenus complexes.
En parallèle, l’auteur fait vivre les affres d’une traversée de trois semaines à fond de cale, entre Naples et New-York où, à l’ombre de la statue de Bartholdi, les rêves se fracassent contre la réalité. Il fait, en outre, assister à l’éclatement des familles en raison de la conscription qui, pour des combats stériles, coupe l’individu de ses racines, à moins qu’il ne doive affronter l’isolement et l’inconnu pour emplir les assiettes.
Pourtant, en dépit des vicissitudes, flotte constamment dans le livre une brise tonique qui trouve son dénouement dans les dernières pages. On y voit en effet, avec soulagement, les transalpins poser leurs valises et sereinement s’intégrer dans leur pays d’adoption, “happy end” qui, au départ, n’avait rien d’évident.
Mario Petricola- “Partir pour un ailleurs”PARTIR-pour-un-ailleurs
Recension par Pierre Yves Divisia
La version italienne de l’ouvrage est à paraître en octobre 2021 chez l’éditeur Il Filo d’Arianna.
Partir pour un ailleurs Chronique d’une famille italienne dans les tourments du XXe siècle.
De Mario Petricola
(paru en France en 2019 à compte d’auteur)
Vous pouvez en savoir plus, voir quelques photos et lire le premier chapitre du livre sur le site de Mario PETRICOLA : https://vivrecrire.monsite-orange.fr/
Si vous souhaitez vous procurer le livre il est disponible sur Amazon en format broché ou kindle et sur Fnac.com mais en version e-book uniquement sur liseuse Kobbo by FNAC.
In cima al colle Gianicolo (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d’agosto), si può sentire fino all’Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant’Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo nella sua collocazione attuale.
L’uso non fu interrotto dall’Unità d’Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.
Attualmente il cannone è un obice 105/22 Mod. 14/61, servito da personale dell’Esercito Italiano.
Nota copiata da Internet. Le foto sono del febbraio 2017-
ROMA-Il cannone del Gianicolo
l Gianicolo è un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza è 82 metri. Non fa parte del novero dei sette colli tradizionali. La pendice orientale degrada verso il fiume e alla base si trova il rione storico di Trastevere, mentre quella occidentale, meno ripida, costituisce la parte più vecchia del moderno quartiere di Monteverde.
Secondo una delle più antiche leggende della mitologia romana, il colle del Gianicolo avrebbe ospitato la città fondata dal dio Giano, da cui il suo nome. Giano ebbe diversi figli, da uno dei quali, Tiberino, deriverebbe il nome del Tevere (Tiber in latino).Alla estremità del belvedere sono posizionate due grandi riproduzioni di piante di Roma vista dal Gianicolo: quella di Antonio Tempesta e quella di Giuseppe Vasi.
Proseguendo la passeggiata panoraminca lungo via Garibaldi, nello slargo all’altezza della Fontana dell’Acqua Paola, chiamata tradizionalmente “Fontanone”, eretta da Giovanni Fontana e Carlo Maderno per Papa Paolo V (1608 – 1612), si delinea sullo sfondo, nella cornice di Villa Borghese, Villa Medici. Si prosegue verso piazza G. Garibaldi, da cui si gode uno dei più superbi panorami della città: all’orizzonte i colli, sullo sfondo dei quali risaltano le cupole e i campanili delle chiese e le maestose rovine imperiali.
In primo piano si erge il Campidoglio; in fondo, a destra, s’innalzano, bianche come apparizioni, le gigantesche statue della facciata di San Giovanni in Laterano. Tra le architetture dei palazzi si vede scorrere il Tevere.
Proseguendo la nostra passeggiata, nello scendere verso Sant’Onofrio, incrociamo la splendida Villa Lante, dell’architetto Giulio Romano (1518-27), la cui loggia-belvedere si apre verso la città; infine, arrivati nello slargo del Faro di Manfredo Manfredi (1911), è possibile gustare quella che viene ritenuta la più completa visione panoramica di Roma.
Per tutti gli inguaribili romantici che non riescono ad accontentarsi del panorama romano ammirabile dal Pincio o dal Gianicolo, l’alternativa, più intima e raccolta, è quella di accaparrarsi una terrazza affacciata sul centro storico della città eterna. L’impresa non è facile, a meno che non abbiate amici o conoscenti disposti ad ospitarvi per un giro lungo i piani alti del loro palazzo, o vogliate “corrompere” qualche portiere. Per concedersi qualche istante di fronte alle bellezze romane che si perdono all’orizzonte, ogni momento è quello giusto: quindi non preoccupatevi, perché dal tramonto all’alba Roma non perde fascino e rimane lì ad aspettarvi.
ROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del Gianicolo
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Pericle
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.