Corvaro di Borgorose (Rieti)-La realizzazione del Museo Archeologico Cicolano (MAC), attualmente gestito dalla Comunità Montana Salto Cicolano, è stata possibile grazie alle risorse stanziate dalla Regione Lazio – Direzione Regionale Culturale e Politiche Giovanili, a seguito dell’Accordo di Programma Quadro siglato nel 2005 tra Governo e Regione. Il museo nasce dal continuo e incessante impegno della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, oggi BAP per le province di Frosinone, Latina e Rieti, che da molti anni lavora sul territorio della valle del Salto.
La sede del MAC è stata individuata nel vecchio edificio scolastico dismesso di Corvaro, frazione del Comune di Borgorose. Recuperato e riqualificato a nuova struttura da un moderno progetto architettonico, concluso nella primavera del 2015, essa tiene conto degli aspetti museografici dell’allestimento attraverso soluzioni spaziali e ampliamenti che garantiscono gli standard museali, la conservazione e l’esposizione al pubblico della consistente collezione dei reperti provenienti in gran parte dalle necropoli arcaiche e dai depositi votivi rinvenuti in prossimità dei santuari di età romana. L’allestimento del percorso museale, curato e realizzato da Cooperativa Archeologia, è suddiviso in dieci sale che inquadrano in ordine cronologico le varie fasi di occupazione del Cicolano: un lungo arco temporale che scorrendo sin dall’età del Bronzo Medio raggiunge la tarda età imperiale.
Fonte: www.museoarcheologicocicolano.it
ORARI
Il Museo è aperto venerdì, sabato e domenica negli orari 10:00 – 13:30 / 15:00 – 19:00
Il Museo resta chiuso domenica 5 maggio 2019 e nei giorni di Ferragosto, Natale e Capodanno.
TARIFFE
Ingresso € 3,00
Tariffa ridotta € 2,00
minori tra i 10 e i 18 anni
adulti sopra i 65 anni
studenti universitari fino a 26 anni di età muniti di libretto
scolaresche di età superiore a 10 anni.
Ingresso gratuito
bambini fino a 10 anni
classi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria che non usufruiscono dei servizi museali
insegnanti che accompagnano le classi
guide turistiche autorizzate nell’esercizio della professione
giornalisti e gli organi di informazione in genere, nell’esercizio delle loro attività
studiosi che ne abbiano fatto preventiva richiesta per motivi di ricerca e siano stati autorizzati dal Direttore del Museo.
Attività di educazione al patrimonio
Visite guidate: € 20,00 per ciascun gruppo (minimo 8, massimo 25 persone), oltre al biglietto d’ingresso, in base alle le tariffe vigenti;
Laboratori didattici per le scuole: 5,00 € per ciascun bambino/scolaro. Il costo comprende ingresso, visita guidata e attività didattica.
Eventi speciali a ingresso gratuito
Incontri di studio, convegni, conferenze e presentazioni di libri.
E’ richiesta la prenotazione per la visita guidata chiamando al 342 7543587 negli orari di apertura del MAC, oppure inviando mail a info@museoarcheologicocicolano.it
Museo Archeologico Cicolano. Via di San Francesco, Corvaro di Borgorose (Rieti)
Aperto il venerdì, sabato e domenica, ore 9-13 e 14-18
-Tumulo di Corvaro –
Museo Archeologico del Cicolano
Alla estremità occidentale della Piana di Corvaro in località “Montariolo” è situato il tumulo di Corvaro, che rappresenta l’emergenza archeologica più rilevante presente nel territorio dell’intero Cicolano.
La scoperta del grandioso monumento funerario, denominato localmente “Montariolo”, avvenuta nel 1984, ha determinato l’inizio delle ricerche archeologiche sistematiche nel territorio, condotte e sostenute economicamente dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e da alcune Università straniere. I numerosi ed importanti rinvenimenti, che sono preziosa testimonianza della cultura materiale dell’ antico popolo degli Equicoli, hanno motivato la costituzione del nuovo Museo Archeologico Cicolano (MAC) il quale deve essere considerato il museo di tutto il territorio della valle del Salto.
Museo Archeologico Cicolano. Via di San Francesco, Corvaro di Borgorose (Rieti)
Aperto il venerdì, sabato e domenica, ore 9-13 e 14-18
Foto e Poesie del Festival Riviviamo il Centro Storico anno 2005-
Immagini e poesie a cura di Paolina Carli-
Arch. Antonio ZACCHIA , Sindaco di Toffia:”…Quando si spengono le luci negli improvvisati palcoscenici per le vie diel Borgo tutto sembra perfino superato! Solo il ricordo delle scene vissute, le immagini dei fotografi Eugenio Spallazzi e Massimo Maccaroni, i racconti e la raccolta di Poesie di Paolina Carli mi rendono profondamente felice!…”
Digitalizzazione a cura dell’Associazione Culturale DEA SABINA
RIETI-Camera di commercio di Rieti-CANTIERI SCUOLA dell’anno 1948 nel territorio della Provincia .
Nel 1948 venne attribuita alla Camera di commercio di Rieti il compito di gestire ed organizzare i Cantieri scuola, in collaborazione con la Prefettura di Rieti, con l’Ufficio provinciale del lavoro e l’ispettorato ripartimentale del corpo delle foreste. Quest’attività di organizzazione e controllo, deliberata il 25 novembre 1948, comportava la realizzazione di una serie di interventi sul territorio al fine di combattere la disoccupazione e, al tempo stesso, di offrire alla provincia una adeguata ricostruzione dopo il conflitto bellico. In genere, salvo rare eccezioni, si trattava di cantieri mirati o al rimboschimento, oppure ad una più ampia sistemazione delle zone montane, o alla costruzione di un più adeguato apparato viario. I lavori erano eseguiti sotto la direzione tecnica dell’Ispettorato forestale del ripartimento di Rieti, mentre l’avviamento al lavoro era curato dall’Ufficio provinciale del lavoro tramite la sua rete di Uffici di collocamento. Durante i lavori del cantiere era prevista anche un’assistenza medica demandata alle singole condotte tramite una apposita convenzione stipulata con l’INAIL.
Ordine delle foto dei Cantieri scuola:A)-Pescorocchiano;B)-Poggio Bustone;C)-Turania;D)-Contigliano;E)-Labro;F)-Poggio Catino;
G)- Corografia della provincia di Rieti con l’ubicazione dei Cantieri scuola.
A)- Pescorocchiano;
B)-Poggio Bustone;
C)-Turania;
D)-Contigliano;
E)-Labro;
F)-Poggio Catino;
G)- Corografia della provincia di Rieti con l’ubicazione dei Cantieri scuola.
Fara in Sabina -La seconda settimana del Festival FLIPT del Teatro Potlach
Fara in Sabina -Il grande festival FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali del Teatro Potlach di Fara Sabina ha avuto inizio il 26 giugno e prosegue fino al 7 luglio nella sua sessione internazionale.
Il Festival è sostenuto dalla Regione Lazio e dalla Fondazione Varrone, e che ha il patrocinio della Provincia di Rieti e del Comune di Fara Sabina.
La prima settimana di Festival ha visto succedersi numerosi spettacoli internazionali di altissima qualità, e la seconda settimana di festival non è da meno.
Ecco tutti i prossimi appuntamenti:
Lunedì 1 luglio alle 18:00 presso il Teatro Potlach
La compagnia polaccaTeatr Brama porta in scena lo spettacolo “Voices”, dove la principale forma di espressione è il canto, trasportando lo spettatore in diversi mondi emotivi. Uno spettacolo in cui gli spettatori potranno perdersi tra le polifonie meravigliose di paesi lontani, grazie ai 6 attori/musicisti in scena.
E poi alle ore 21:00 presso il Teatro Potlach
La compagnia brasiliana Estelar de Teatro si esibirà con lo spettacolo “Tarsila o il vaccino antropofagico”. Poesia, musica e videoproiezioni delle immagini del pittore brasiliano Tarsila do Amaral, in uno spettacolo-utopia e manifesto artistico alla ricerca di nuove immagini. Con l’attrice Viviane Dias.
Martedì 2 luglio altri due appuntamenti per il FLIPT:
Alle ore 18:00 lo spettacolo “La lingua dei fiori”, della compagnia italiana Teatro Nucleo, animerà la passeggiata del Belvedere di Fara in Sabina. In scena sette attori, per uno spettacolo che vuole indagare con gli strumenti della poesia, del canto, dell’immagine, la vita ribelle e silenziosa del mondo vegetale: nell’indifferenza generale, i fiori organizzano la loro lenta ma inesorabile rivoluzione fatta di bellezza, profumo, incanto. Lo spettacolo è gratuito e non è necessaria la prenotazione.
Alle ore 21:00 al Teatro Potlach una coproduzione tra “Kamigata-mai Monokai”, la compagnia di Keiin Yoshimura dal Giappone, e Residui Teatro dalla Spagna, con lo spettacolo “White Bird”. L’opera si basa su un antico racconto tradizionale giapponese, interpretato con diverse tecniche del teatro e della danza tradizionali giapponesi (teatro Noh, Kyogen e Kamigata-mai) in aggiunta a tecniche del teatro fisico e della Commedia Dell’Arte.
Mercoledì 3 luglio continuano gli spettacoli:
Alle ore 18.00 sarà presentato “La mia vita nell’arte” della compagnia brasiliana Estelar de Teatro presso il Teatro Potlach. Lo spettacolo condivide i paradossi di un regista pedagogo nel XXI secolo – un mondo digitale – che cerca ispirazione dalle lezioni di K. Stanislávski nei suoi luoghi di utopia per nutrire un teatro del futuro.
Alle ore 21:00, presso il giardino del Teatro Potlach, ci sarà lo spettacolo “caMARá” della compagnia tedesca antagon theaterAKTion. Due uomini vagano tra le onde, danzando con le stelle. Benedikt Müller e Lucas Tanajura del gruppo antagon Theater AKTion utilizzano teatro, danza, acrobazie, musica strumentale e canto per creare un viaggio intimo iniziato con la domanda: “Cosa succede quando perdiamo tutte le certezze e ci tuffiamo nell’ignoto? Dove ci porterà il nostro viaggio quando lasciamo la terraferma e ci arrendiamo alle forze della natura?” Uno spettacolo da non perdere
Giovedì 4luglio un’altra ricca giornata:
Alle ore 18:00 ci sarà, presso il Teatro Potlach, lo spettacolo “Home” della giovane compagnia ucraina“Maysternya 55”. Lo spettacolo esplora artisticamente il concetto di casa e come cambia nel tempo e durante la guerra. Il collettivo, composto da ucraini sparsi per il mondo a causa della guerra in Ucraina, riflette su due concetti di casa: quello originale e quello attuale.
Alle ore 21:00 uno spettacolo in coproduzione tra il Centro Anziani “Insieme” di Fara Sabina APS, il Teatro Potlach, e l’assessorato ai Servizi Sociali del comune di Fara in Sabina. “Le radici del futuro” è il titolo dell’evento che avrà come protagonista il Monumento ai Caduti di Fara in Sabina che prenderà vita nuova con luci, proiezioni e installazioni visive. Alla fine del percorso artistico allestito sul monte, sarà possibile assistere a un filmato che racconta, attraverso la voce di chi ha il ricordo del passato e delle tradizioni, la storia dei mutamenti della vita nei borghi, per trasmetterla alle nuove generazioni. E a seguire… una sorpresa dal vivo, per permettere un contatto tra le generazioni, tra il passato e il presente!
Il 6 e 7 luglio l’appuntamento imperdibile con lo storico spettacolo del Teatro Potlach “Città invisibili”. Gli oltre 100 artisti Italiani ed internazionali che hanno partecipato a queste dodici giornate di Festival invaderanno il centro storico di Fara in Sabina con performance, teatro, danza, musica e molto altro!
Per info e prenotazioni scrivere al numero del Teatro Potlach: 3517954176
Teatro Potlach -Via Santa Maria in Castello n.28 | Fara in Sabina (RI)
Roma -Università la Sapienza-È stata fondata da papa Bonifacio VIII, il 20 aprile 1303, l’università più laica d’Italia: “La Sapienza”; la più grande d’Europa e la ventunesima ed essere nata al mondo.
Un papa che con il concetto di laicità aveva un rapporto molto personale. E cioè grande interesse, attenzione e rispetto, purché anch’essa fosse sottomessa completamente all’autorità religiosa.
A modo suo laicissimo, visto che era più interessato a cultura, politica e turismo ante-litteram che alla spiritualità, non riusciva però proprio a tollerare che tutto questo potesse muoversi autonomamente, senza riconoscere al vicario di Cristo il potere supremo. Mai contrappasso fu più sublime, di un’Università pontificia che oggi ostenta nel nome e nel suo monumento-simbolo una divinità pagana: Minerva, dea della Sapienza, la cui statua troneggia di fronte alla grande vasca nel mezzo della città universitaria e che non bisogna mai guardare – secondo una leggenda studentesca – prima di sostenere gli esami.
Forse fu il più teocratico dei pontefici dell’intera storia della Chiesa, Benedetto Caetani. Era nato ad Anagni, nel Lazio, intorno al 1230 e apparteneva ad una delle famiglie più importanti della Roma medievale che, originaria di Pisa, si spartiva con gli Orsini e i Colonna papi e potere.
Di temperamento energico e dotato di grandi capacità diplomatiche, rese ancora più decisive da una notevole cultura e da profonde conoscenze giuridiche, Benedetto aveva studiato prima a Todi e poi a Bologna, dove si era laureato in Diritto Canonico; poi aveva iniziato la carriera diplomatica in Laterano, prendendo parte anche ad una importante e delicata missione a Londra.
Diventato cardinale a 51 anni e sacerdote dieci anni dopo, nel 1291 era stato in missione in Francia per dirimere una controversia tra clero secolare e ordini religiosi e aveva partecipato a quattro conclavi: quello che aveva eletto Onorio IV nel 1285, quello da cui era uscito papa per la prima volta un frate francescano (Niccolo IV, nel 1288) e poi quello – lunghissimo – seguito alla morte di Nicolò nel 1292 e che era rimasto bloccato due anni a causa della lotta tra le famiglie rivali. Dall’impasse si era usciti quando era venuta fuori l’idea di eleggere una figura completamente al di fuori dei giochi di potere e sicuramente apprezzata dal popolo cristiano: Pietro dal Morrone, monaco eremita con fama di santità, che aveva preso il nome di Celestino V.
Dopo appena 6 mesi di pontificato Celestino, con un gesto del tutto inedito, aveva rinunciato spontaneamente al pontificato. Spontaneamente fino a un certo punto, secondo i suoi sostenitori che poi erano anche i nemici di Bonifacio, accusato di manipolare il papa santo per convincerlo a dimettersi. Quel che è certo è che il cardinale Caetani era diventato quantomeno un autorevole consigliere giuridico per il vecchio eremita finito sul trono più ambito e più scomodo del mondo. E quel che è certo è che appena dieci giorni dopo la rinuncia, i 22 cardinali riuniti in conclave a Napoli (di cui ben 13 erano stati scelti da Celestino) avevano eletto Benedetto, che aveva assunto il nome di Bonifacio VIII.
A scanso di equivoci, la prima cosa che aveva fatto Bonifacio era stata quella di arrestare e chiudere in carcere Celestino, per evitare che i suoi nemici ne facessero un antipapa. Intanto, gran parte del mondo spirituale e intellettuale, accusava il nuovo papa di simonia, ovvero di aver pagato i cardinali che lo avevano eletto.
Convinto assertore della superiorità del potere spirituale su ogni altro potere, dopo aver riportato ordine a Roma, Bonifacio VIII aveva ingaggiato una lotta con il re di Francia Filippo IV il Bello (che gli sarebbe costato il celebre “schiaffo di Anagni”), guadagnandosi – nel frattempo – un posto all’inferno all’interno della Divina Commedia.
Bonifacio VIII indice il giubileo del 1300, Giotto, affresco staccato in San Giovanni in Laterano (Roma)
Era stato proprio lui, nel 1300, a “inventare” il Giubileo moderno, grande evento turistico-spirituale, ma soprattutto segno tangibile della superiorità della Chiesa su qualsiasi altro potere. Solo lei può infatti perdonare ogni colpa e aprire la porte del cielo.
A rimarcare questa assoluta autorità, Bonifacio aveva aggiunto allo stemma papale la tiara pontificia con due corone, a rappresentare il potere temporale e quello spirituale.
Ultimo importante atto di Bonifacio, pochi mesi prima dell’umiliazione di Anagni e della morte, è la fondazione dell’Università di Roma, formalizzata con la bolla In Supremae praeminentia Dignitatis promulgata il 20 aprile 1303.
L’Università era allora un’istituzione ancora giovanissima, ma in piena espansione.
Con il decadere dell’impero romano, a lungo gli unici luoghi di insegnamento erano stati gli studia organizzati presso le sedi vescovili urbane per l’apprendimento dei fondamenti della grammatica e della retorica e la formazione teologica.
Presso alcuni di essi, a partire dalla fine del decimo secolo, un numero crescente di docenti e studenti provenienti da ogni parte d’Europa, aveva dato vita a gruppi di studio (studia generalia), inizialmente organizzati in modo spontaneo, sulla base della nazionalità, ma presto strutturatisi in corporazioni di docenti e studenti delle Universitates magistrotrum et scholarium. La prima a sorgere era stata Bologna nel 1088, alla quale era seguita Oxford nel 1167 e poi Parigi nel 1170. Nel corso del XIII secolo le università si erano andate moltiplicando in Italia, Francia, Inghilterra e nella penisola iberica, dove erano diventate un ponte tra mondo europeo e arabo e, tramite questo, veicolo della riscoperta della cultura greca.
Come tutte le corporazioni di mestieri, le università erano dotate di propri statuti e autonome autorità di governo: assumevano i docenti e organizzavano l’attività didattica in un ciclo introduttivo alle arti liberali (6 anni di frequenza), seguito dagli insegnamenti superiori di Diritto, Medicina (6 anni) e Teologia (8 anni), si preoccupavano di garantire gli alloggi e i locali per la comunità di studenti e maestri e ne curavano gli interessi di fronte all’autorità
Studenti a lezione in un frammento dell’arca di Giovanni da Legnano, Pierpaolo dalle Masegne, 1383, Museo medievale di Bologna
Dopo Parigi erano nate le università di Vicenza (1204), Valencia (1208), Cambridge (1209), Arezzo (1215), Padova (1222), Napoli (1224), Vercelli (1228), Tolosa (1229), Angers (1229), Salerno (1231), Salamanca (1242), Piacenza (1248), Siviglia (1254), Reggio Emilia (1276), Montpellier (1289), Lisbona (1290), Lerida (1300) e Avignone (1303).
A Roma, prima della istituzione dello “studio bonifaciano”, gli istituti di istruzione superiore erano esclusivamente rivolti al clero di Roma. Tra questi c’era la Scuola capitolare Lateranense, a indirizzo teologico e giuridico, destinata alla formazione dei quadri direttivi del governo ecclesiastico, la Universitas Romanae Curiae, istituita a Lione da Innocenzo IV intorno al 1245, aperta agli impiegati della curia, e che, senza sede stabile a Roma seguiva la corte papale “ubicumque Romanam Curiam residere contigerit” a causa di eventi religiosi o politici; gli Studi generali in teologia, tenuti dalla seconda metà del secolo XIII dagli Ordini mendicanti erano invece riservati ai frati. Mancava quindi un centro di studi superiori aperto alla cittadinanza romana e destinato a formare la futura classe dirigente.
Statua di Bonifacio VIII, Arnolfo di Cambio (1298 ca.), Museo dell’Opera del Duomo, Firenze
Bonifacio, che è tra i primi papi ad essersi laureato in un’Università (la prima al mondo, quella di Bologna, appunto) vuole dotare anche la sua città di una struttura simile, capace di offrire una formazione in tutte le discipline e aperta anche ai laici. Laici come lui stesso era stato, dopotutto, fino a 60 anni.
Quella di Roma diventa così la prima università ad essere fondata dall’autorità politica e religiosa e non costituita spontaneamente da un’associazione di studenti e insegnanti.
Bonifacio la chiama “Studium Urbis” (nome ancora oggi utilizzato nello stemma) e la colloca fuori dalle mura vaticane, ubicazione che segna l’inizio di un nuovo rapporto tra la città di Roma e gli studiosi che in essa giungono da tutte le parti del mondo.
L’università municipale di Roma comprende tutte le facoltà con una forte presenza degli studi giuridici. Nasce come istituzione laica ma subisce inevitabilmente le ingerenze del papato risentendo, nei suoi primi decenni di vita, del clima turbolento che i moti politici e gli scontri tra le fazioni guelfa e ghibellina provocano a Roma.
Nella seconda metà del Trecento, lo Studium è costretto a ricorrere a docenti non romani di Legge, Medicina, Grammatica e Logica, non compromessi nelle lotte politiche. I finanziamenti iniziali giungono dalla tassazione del vino forestiero, oltre che dalla munificenza di alcuni nobili romani. Quando la sede pontificia sarà spostata ad Avignone, la gestione dell’università sarà affidata al Comune di Roma.
Lo Studium Urbis acquista man mano importanza e prestigio e dal 1363 riceve dalla città di Roma un contributo stabile. La sede di Trastevere non è più sufficiente; così nel 1431 papa Eugenio IV, per dare all’Università una struttura più articolata, affianca al rettore quattro amministratori e provvede all’acquisto di alcuni edifici nel rione Sant’Eustachio, tra piazza Navona e il Pantheon. In quell’area sorgerà duecento anni dopo l’edificio della Sapienza.
Già nella seconda metà del ‘400, invece, il termine “Sapientia” viene usato nei documenti per indicare l’insieme di scuole e collegi riuniti nello Studium Urbis.
Con Niccolò V (1447-1455), papa mecenate e protettore di studiosi e letterati, il ginnasio attraverserà un periodo di rinascimento delle lettere latine e greche, con maestri illustri quali Lorenzo Valla, fondatore della critica filologica, Poggio Bracciolini, il grande letterato greco Crysoloras, il cardinal Bessarione e il poeta Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa con il nome di Pio II.
In un periodo di espansione dell’università, Alessandro VI (1492-1503) ne amplierà la sede e i lavori saranno portati avanti da Pio VIII (1503) e Giulio II (1503-1513).
Nel Cinquecento sarà il figlio di Lorenzo De’ Medici, papa Leone X, a dare un forte impulso all’Università romana, chiamando da tutta Europa studiosi famosi. È a Roma che per la prima volta in Europa vengono introdotte materie come i simplicia medicamenta, base della spagirica, un sistema di cure che a partire dall’energia presente nell’uomo cerca di ristabilirne l’equilibrio turbato dalla malattia. È in quegli anni che lavora nello Studium Urbis Bartolomeo Eustachio, uno dei fondatori della scienza anatomica moderna. Sarà sempre papa Leone X a dare impulso agli insegnamenti storici, umanistici, archeologici e scientifici mentre nel 1592 papa Clemente VIII chiamerà a Roma Andrea Cesalpino che l’anno dopo fornirà la prova della circolazione sanguigna.
Papa Celestino V, oggetto di importanti studi proprio nell’università fondata da Bonifacio VIII, il pontefice che lo fece incarcerare
Sotto l’impulso di Paolo III Farnese (1534-1549), cultore di astronomia e di matematiche, l’università si aprirà inoltre alle scienze e all’archeologia. La crescita continuerà nel Seicento con l’inaugurazione nel 1660 – sotto Alessandro VII – del Palazzo della Sapienza e della chiesa annessa dedicata a Sant’Ivo, protettore degli avvocati. Sarà lo stesso Alessandro VII a fondare la biblioteca universitaria ancora oggi chiamata “Alessandrina”.
Nel 1870, dopo l’unità d’Italia, l’Università passerà al Regno d’Italia e nel 1935 la sede sarà trasferita nella Città piacentiniana, teatro di alcuni dei momenti più importanti della storia politica, sociale e culturale dell’Italia degli ultimi 60 anni. Qui insegnerà infatti Storia del cristianesimo uno dei più importanti teologi del Novecento: Ernesto Bonaiuti, antifascista e modernista, cacciato dall’università per una singolare convergenza di interessi di fascismo e Vaticano, formalizzata in un apposito articolo nei Patti Lateranensi; ma qui fiorirà negli anni ‘60 anche una delle più importanti cattedre di Storia Medievale, destinata a diventare con Raoul Manselli il più importante centro al mondo di studi francescani; e da qui partirà anche la riscoperta della figura di Celestino V, riabilitato in tutta la sua grandezza dopo secoli di luoghi comuni sulla sua presunta vigliaccheria dovuti a quel “fece per viltade il Gran rifiuto” di Dante Alighieri.
Chissà, se lo avesse saputo, cosa avrebbe detto Bonifacio.
Castelnuovo di Farfa. L’Acquedotto di Cerdomare ha il suo terminale e monumento nella mitica FONTANA, dove si possono leggere i nomi , riportati in epigrafe, dei Castelnuovesi che iniziarono e portarono a termine l’Opera.
DOMANDA su Castelnuovo di Farfa ACQUEDOTTO DI CERDOMARE :”MA L’ACQUEDOTTO DI CERDOMARE E’ ANCORA UNA PROPRIETA’ DEI CITTADINI CASTELNUOVESI?”
Ripubblichiamo la Domanda rivolta dal nostro compaesano AUGUSTO MEI al sindaco Zonetti – L’articolo fu “postato” il 12 settembre 2016.
10) Che fine ha fatto l’acquedotto “storico” di “CERDOMARE” di proprietà dei Cittadini di Castelnuovo sin dal 1915 e realizzato da Amministratori veri castelnuovesi, Sindaco Scoccia, nel 1923? Quest’acquedotto è ancora “proprietà esclusiva” dei Cittadini di Castelnuovo oppure è stato “dismesso”?
Alleghiamo al post –Foto delle sorgenti e Gazzetta del Regno d’Italia dell’Agosto del 1915 dove è riportato il bando di Appalto dei lavori per la realizzazione dell’Acquedotto – l’Appalto è firmato dal Sindaco facente funzione. G.FABRI e dal Segretario comunale G.SALZERI.
Il progetto dell’Acquedotto fu eseguito dall’Ing.Vincenzo Jacobini nel 1908 e ,con le varianti ,terminato il 30 giugno 1910.
L’acquedotto fu iniziato, terminato e inaugurato dal Sindaco Giuseppe Scoccia nel il 21 ottobre 1923 coadiuvato dagli Assessori: GIACOMO SIMONETTI-UGO MALFRANCI-GIOVANNI CARGONI-RAIMONDO UMANI. I lavori furono eseguiti dalla Ditta FANTE&MANNI.
L’Acquedotto ha il suo terminale e monumento nella mitica FONTANA, dove si possono leggere i nomi , riportati in epigrafe, dei Castelnuovesi che iniziarono e portarono a termine l’Opera.
Nota e foto di Franco Leggeri, castelnuovese.
Castelnuovo di Farfa sorge a 358 metri di altezza sul livello del mare, sulle propaggini meridionali dei monti Sabini.
Storia
Il territorio di Castelnuovo di Farfa risulta frequentato già a partire dal Neolitico. In epoca protostorica il sito più importante è sicuramente la Grotta Scura, al termine di Via Cornazzano, a poca distanza dal fiume Farfa. I primi ritrovamenti risalgono agli anni 1987-88, quando il Gruppo Speleologico “F. Orofino” rinvenne alcuni frammenti ceramici protostorici, risalenti all’età del Bronzo medio (XV-XIV secolo a.C.). La grotta è costituita da un’ampia sala in roccia calcarea, a cui si accede attraverso una stretta apertura, dove venne recuperato il materiale. Secondo la descrizione del Guidi “dalla sala un lungo corridoio porta ad una serie di piccoli ambienti dove sono stati individuati resti di focolari, ossa animali e vasi integri, gli unici materiali in giacitura sicuramente primaria”[4]. Alcuni frammenti con decorazione “appenninica” hanno permesso una datazione per tutta la durata della media età del Bronzo (XV-XIV secolo a.C.). La grotta presenta un ramo, lungo più di 200 metri, periodicamente occupato dalle acque, dove sono stati rinvenuti insieme oggetti ceramici sia di epoca protostorica che di epoca romana (lucerne in terracotta e monete). La presenza di vasi integri in ambienti difficilmente accessibili della grotta dimostra che una parte della cavità fosse riservata alla deposizione di offerte. Inoltre le tracce di focolari, riferibili a cerimonie rituali, sembrano attestare un utilizzo della grotta sia a fini abitativi che cultuali. La grotta è costituita da un ramo attivo e da due rami fossili, posti a livelli diversi e raggiungibili tramite cunicoli. La presenza di acque sorgive deve aver comportato la destinazione cultuale della grotta. Questo luogo di culto in grotta, tra i più antichi di tutta la Sabina, è stato identificato recentemente nel “santuario di Marte”[5], riportato da Dionigi di Alicarnasso presso Suna (oggi Toffia), antica città degli Aborigeni (mitologia)[6].
Medioevo
Nel VI secolo è riferito in zona l’arrivo di San Lorenzo di Siria, fondatore dell’Abbazia di Farfa, il quale avrebbe svolto opera di evangelizzazione cristiana anche nei territori limitrofi. Una chiesa dedicata a San Donato è riportata già in un documento dell’877, per cui si può tranquillamente fissare la nascita del primitivo insediamento rurale all’Alto Medioevo. In questo documento la chiesa viene ceduta dal vescovo di Arezzo, Giovanni, al monastero di Farfa, in cambio di altri beni, tra cui San Donato ed annesse “terre, case, chiese, selve, molini” ecc…, una elencazione che spiega il livello di organizzazione che si era formato attorno alla prima chiesa[7]. Questa chiesa divenne anche il centro catalizzatore del territorio, elemento di aggregazione sociale, antesignano del castrum. Il primo insediamento fortificato e protetto da mura, il Castellum Sancti Donati, è citato in un documento del 1046, che ne attesta la cessione al vicino monastero di Farfa, e risulta decaduto già nel 1104.
Il Castrum Novum risale al Duecento. A partire dal 1288 nacque una disputa a riguardo di chi appartenesse il colle in cui sorgeva questo castrum medievale: secondo i castellani apparteneva alla comunità, secondo i monaci all’Abbazia di Farfa. La lunga contesa fu lontana dall’essere risolta. Nel 1477 i cippi confinari, rimossi dagli abitanti, vennero riportati al loro posto dall’abate commendatario[8]. Il castello medievale è difeso da una cinta muraria con ben nove torri, presidiate nel Rinascimento da “guardie civiche” e comandate da un “capitano”. Nel 1592 una delibera del Consiglio ordinò l’acquisto di 50 “archibusci” (fucili) e 4 “archibuscioni” (cannoncini). Lungo le mura si aprono due porte, Porta Castello e Porta Cisterna. Il borgo è caratterizzato da strette vie lastricate e da edifici civili, tra cui quelli appartenuti, ad esempio, alle famiglie Cherubini e Simonetti. Nel nucleo del paese sorge la chiesa di San Nicola di Bari ed una bella fontana seicentesca “a parete”, con arco centrale.
Negli anni dalla seconda guerra mondiale, tra il 1940 e il 1943, a Farfa sorse un campo d’internamento civile. Vi giunsero in soggiorno coatto 21 profughi ebrei. Dopo San Donato Val di Comino Castelnuovo fu il comune nella regione Lazio ad ospitare il gruppo più numeroso di rifugiati ebrei.[9] Il periodo più difficile venne dopo l’8 settembre 1943 con l’occupazione tedesca e la Repubblica Sociale Italiana. Nonostante il pericolo di arresto e la fuga, quasi tutti gli ex-internati riuscirono a sfuggire alla cattura e alle deportazioni. Solo uno di loro, lasciato il paese, sarà arrestato a fine novembre 1943 nella provincia di Macerata e nell’aprile 1944 condotto alla morte ad Auschwitz.[10]
Monumenti e luoghi di interesse
Architetture religiose
S. Donato, chiesa di origine altomedievale (IX secolo), in cui si conservano alcune nicchie affrescate. In seguito è stata inglobata in un moderno casolare.
S. Nicola di Bari, chiesa parrocchiale. La chiesa originaria venne eretta poco dopo la metà del Cinquecento, nel punto più alto del castello. Ormai vecchia e malandata venne interamente ricostruita nel decennio 1769-1779 su progetto del capomastro Antonio Lepri, che poté contare nell’aiuto manuale dei castellani. La costruzione venne in gran parte finanziata dai marchesi Simonetti. All’interno della chiesa venne tumulato nel 1781 il corpo di S. Vittore “martire fanciullo”, privo delle mani e dei piedi (forse da mettere in relazione al martirio).
Madonna degli Angeli. Eretta nell’anno giubilare 1600, quando i Castelnovesi, per intercessione della Vergine, restarono immuni da una spaventosa epidemia che seminò strage nei dintorni. La costruzione fu affidata a tali Mastro Plauto e Mastro Giovanni, che realizzarono un tempietto rotondo con 4 cappelle ed un’abside, in pietra spugnosa locale. Nel 1698 venne aggiunto il campanile. La chiesa, ormai fatiscente, crollò nel 1933, rimanendone illeso soltanto il muro su cui si apriva la nicchia con l’immagine della Madonna. Venne quindi interamente ricostruita nel 1939, a spese del cavalier Angelo Salustri Galli.
S. Maria. Eretta al di fuori dalle mura castellane nel 1577 da tal Mastro Giovanni, cui andò un compenso di 20 scudi.
Architetture civili
Il torrione di Porta Castello, con l’ingresso principale al borgo, a ridosso della strada.
Il Palazzo dei marchesi Simonetti (oggi Salustri Galli), grandi benefattori del paese. Tra costoro si annovera il cardinale Giuseppe Simonetti, concittadino, alla cui elezione a porporato nel 1766 vennero indetti nel paese tre giorni di spettacoli, con musiche, spari e fuochi artificiali.
La poesia di Madre Teresa per riflettere sullo spirito del Natale.
È Natale, la poesia
È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano. È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro.
È Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.
È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.
È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.
Madre Teresa di Calcutta ci ha lasciato una profonda meditazione sul significato del Natale, consegnandoci un testo sorprendente per la sua semplicità ma ricco di quell’umanità che il Figlio di Dio viene a portare ad ogni essere umano. Leggiamo con umiltà queste parole ricolme della gratuità dell’amore di Dio per ogni sua creatura:
È Natale ogni volta che sorridi a un fratello e gli tendi la mano.È Natale ogni volta che rimani in silenzio per ascoltare l’altro.È Natale ogni volta che non accetti quei principi che relegano gli oppressi ai margini della società.È Natale ogni volta che speri con quelli che disperano nella povertà fisica e spirituale.È Natale ogni volta che riconosci con umiltà i tuoi limiti e la tua debolezza.È Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri.
Queste parole sono un vero decalogo dell’accoglienza, dell’accettazione e del servizio gratuito verso il prossimo.
Il sorriso del cuore è un segno di apertura verso l’altro, perché riflette quella disposizione dell’animo riconciliato e riappacificato, il quale è molto più eloquente di tante inutili e vuote parole.
Il sorriso esprime quell’apertura che ha perdonato profondamente il torto subito. Potremmo dire che il sorriso è l’apertura della porta giubilare della misericordia della propria casa perché manifesta una retta intenzione di convivialità e di condivisione.
La realtà, molte volte, è diversa, perché la durezza del nostro cuore ritiene difficile sorridere a quel parente che, dopo tanto mesi, si è riaffacciato alla soglia della nostra casa; ci viene più facile giudicarlo per il suo allontanamento piuttosto che riaccoglierlo, con la gioia di avere ritrovato una persona che ritenevamo perduta.
Quanto è facile cadere nel rischio di offrire “falsi sorrisi” che sono il preludio di dialoghi aridi, di discorsi inutili, di relazioni finte e di falsa vanagloria.
Il vero sorriso è il preludio dell’ascolto, il quale è la chiave universale per entrare nel cuore del nostro interlocutore. L’ascolto silenzioso è quella forza interiore capace di trasferire l’altro dalla periferia dell’emarginazione al centro dell’attenzione. L’ascolto restituisce dignità e valore a quegli avvenimenti della vita che hanno bisogno di essere detti a qualcuno per essere compresi da colui che li racconta. L’ascolto è un servizio insostituibile ed efficace perché contiene la forza silenziosa di fare uscire dal cuore di chi abbiamo difronte quelle verità scomode, che sono il preludio della possibilità di offrirgli parole di incoraggiamento e di speranza.
Queste parole di Madre Teresa contengono un prezioso segreto evangelico: se vogliamo capire e riconciliarci con quel parente che siede con noi alla mensa di Natale, evitiamo di usare troppe parole per giustificarci o per cercare di ridurre la situazione imbarazzante. Il giusto atteggiamento che ristabilisce una sana e duratura riappacificazione è l’umiltà dell’ascolto, capace di comprendere le difficoltà dell’altro e di ricucire quello strappo che il nostro spietato giustizialismo ha creato per la superbia e la durezza del nostro cuore.
L’ascolto, preceduto dal sorriso, è davvero misericordioso quando offre parole e gesti di speranza verso coloro che sono stati travolti dalle vicende della vita e non riescono a trovare un via d’uscita da quel deprimente stato di angoscia e di disperazione.
Come sarebbe bello sentire a Natale le suocere che consolano le nuore per le fatiche nell’educazione dei figli e nel conciliare il lavoro con la famiglia, quanto farebbe bene ai figli vedere il padre dialogare con gioia con il loro nonno, quale gioia sarebbe ricordare durante questa notte santa tutti quelli che ci hanno preceduto facendo memoria di alcuni episodi della loro vita, quanto sarebbe bello parlare con quel parente con il quale riteniamo di avere subito un torto e riconoscere il nostro limite invece che condannare la sua debolezza.
Il Natale è la festa del memoriale della venuta del Figlio di Dio sulla terra, affinché il Bambino Gesù possa rinascere in ogni essere umano e rinnovare dall’interno le nostre vite, la frase di Madre Teresa, “è Natale ogni volta che permetti al Signore di rinascere per donarlo agli altri”; sono parole piene di speranza, perché contengono una sapienza che non è di questo mondo, affermando quella verità cristiana tanto dimenticata ai nostri giorni: il cambiamento del mondo è possibile quando si inizia a cambiare prima il nostro cuore.
La conversione è davvero contagiosa, quando siamo noi per primi a riconoscere di essere bisognosi della Misericordia di Dio. Se Cristo nascerà in noi, la nostra casa diventerà come la umile stalla di Betlemme, povera di sicurezze terrene ma ricca di umanità e del calore umano, la quale sarà visitata dai tanti pastori emarginati del nostro quartiere, i quali ascoltando le voci dei vicini di casa, potranno accorrere con fiducia al nostro focolare. Sarebbe bello pensare ad un Natale che trasformi le nostre famiglie nelle quali nessuno che bussa alle nostre porte tornerebbe a casa sua a mani vuote, ma troverebbe tanti segni visibili della misericordia di Dio, fatta a volte di parole ma altre volte di gesti concreti, usando quella carità cristiana che è davvero autentica quando ha la forza di spogliarsi di qualcosa di proprio per rivestire il bisogno materiale e spirituale dell’altro.
L’antologia sulla violenza contro le donne non trova poesie: «Solo 16 in 2 mesi»
Pochi componimenti per il progetto «Dalla stessa parte». Gli abusi sembrano cancellare l’ispirazione
Le violenze degli uomini hanno fatto un’altra vittima. Una inaspettata, ancora di più se si pensa quanto è partecipata la ricerca di una vetrina da parte dei numerosi autori di liriche e versi. L’odio contro le donne ha cancellato l’ispirazione dei poeti (o aspiranti tali) che popolano gli appuntamenti letterari, le pagine web, le caselle di posta delle editrici.
Scrittori in serie di sonetti, poemi o haiku. Appassionati che, pur di farsi notare dal pubblico, sono pronti a esplorare qualsiasi argomento. Tranne uno. Quello scelto per costruire l’antologia intitolata: «Dalla stessa parte. Uomini contro la violenza sulle donne».
«Era da tempo che coltivavo l’idea di un progetto per raccogliere i versi di uomini che hanno a cuore la stigmatizzazione della violenza di genere». Salvatore Sblando, 50 anni, è un poeta e un organizzatore di eventi dedicati a questa arte. Con la sua associazione, che si chiama «Periferia Letteraria», ne ha organizzati in sei anni oltre 150. Rassegne, festival, reading e performance a Torino e fuori città. Due mesi fa, ha lanciato un bando per raccogliere poesie scritte per denunciare i soprusi, spesso taciuti, contro moglie, compagne, madri. L’idea è diffonderle con un libro. «Un modo per andare oltre una doverosa testimonianza di solidarietà — spiega Sblando, che nella vita lavora a Gtt —. Con questa idea in testa, abbiamo ipotizzato un’antologia che potesse diventare una chiamata “alle arti” per tutti quegli uomini contrari a questa forma di odio».
Sblando parla al plurale perché «Dalla stessa parte» è un progetto con più protagonisti. Se l’idea è sua, l’impegno di metterla in piedi è condiviso con Salvatore Contessini, poeta di Roma, e «La vita felice». È una casa editrice specializzata. Negli ultimi mesi, è stata sommersa dai manoscritti di scrittori col sogno di sbarcare in libreria. Una valanga di proposte, tanto che la direzione è stata costretta a sospendere la raccolta lanciata poco tempo prima con un avviso. «Nei giorni scorsi, mi hanno avvisato che, paradossalmente, sul tema che abbiamo deciso di esplorare noi, il risultato è stato l’inverso», aggiunge il curatore dell’antologia. In due mesi, sono stati spediti appena 16 componimenti. «È un po’ il numero che ci si aspettava per un singolo giorno», puntualizza Sblando che, visto l’insuccesso, ha provato a farsi più di una domanda. La prima: il concorso è stato poco pubblicizzato? «No, non penso sia questo il caso. La partecipazione è gratuita e, nei canali dedicati, ha avuto anche un buon riscontro», racconta.
Lunedì, alle 17, il progetto «Dalla stessa parte», a riprova di quanto affermato, sarà presentato con una diretta web organizzato dalla storica libreria milanese Bocca.
E, allora, non resta che provare a guardare altrove per trovare un motivo della mancata attenzione al progetto editoriale. Le antologie come «Dalla stessa parte» sono molto diffuse tra gli appassionati. Libri, anche di 200 pagine e con una buona tiratura, dedicati alla raccolta di versi. Tutti legati a un tema: come l’amore, la primavera, un territorio. Argomenti variegati che non hanno mai scoraggiato una partecipazione «di massa».
Tanto che, tra gli addetti ai lavori, si mormora che in Italia ci siano più poeti che lettori. Ma non questa volta. Sblando sostiene: «La violenza, che non è solo fisica, contro le donne è un problema culturale che, forse nell’inconscio, è giustificata da molti uomini». Compresi i poeti che, per questa spiegazione, non hanno partecipato al progetto. Ma c’è ancora tempo per rimediare. La raccolta di poesia contro i femminicidi prosegue fino a luglio.
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Il DEGRADO E ABBANDONO DEGLI AFFRESCHI DELL’EX-CHIESA DI SANTA MARIA –
In Italia esistono luoghi, se pur carichi di storia per i Borghi dove sorgono, lasciati nel degrado e nella più completa rovina .L’Abside dell’ex-chiesa di Santa Maria di Castelnuovo non sono “pietre disperse” e senza storia , ma è sicuramente un edificio, porzione di edificio, dal passato antico che per qualche ragione sconosciuta non gode dei “diritti” di recupero e restauro come di altri luoghi simili esistenti nella provincia di Rieti. L’Abside è forse condannata a una fine ignobile, soffocata dai suoi stessi calcinacci?
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