In cima al colle Gianicolo (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d’agosto), si può sentire fino all’Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant’Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo nella sua collocazione attuale.
L’uso non fu interrotto dall’Unità d’Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.
Attualmente il cannone è un obice 105/22 Mod. 14/61, servito da personale dell’Esercito Italiano.
Nota copiata da Internet. Le foto sono del febbraio 2017-
l Gianicolo è un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza è 82 metri. Non fa parte del novero dei sette colli tradizionali. La pendice orientale degrada verso il fiume e alla base si trova il rione storico di Trastevere, mentre quella occidentale, meno ripida, costituisce la parte più vecchia del moderno quartiere di Monteverde.
Secondo una delle più antiche leggende della mitologia romana, il colle del Gianicolo avrebbe ospitato la città fondata dal dio Giano, da cui il suo nome. Giano ebbe diversi figli, da uno dei quali, Tiberino, deriverebbe il nome del Tevere (Tiber in latino).Alla estremità del belvedere sono posizionate due grandi riproduzioni di piante di Roma vista dal Gianicolo: quella di Antonio Tempesta e quella di Giuseppe Vasi.
Proseguendo la passeggiata panoraminca lungo via Garibaldi, nello slargo all’altezza della Fontana dell’Acqua Paola, chiamata tradizionalmente “Fontanone”, eretta da Giovanni Fontana e Carlo Maderno per Papa Paolo V (1608 – 1612), si delinea sullo sfondo, nella cornice di Villa Borghese, Villa Medici. Si prosegue verso piazza G. Garibaldi, da cui si gode uno dei più superbi panorami della città: all’orizzonte i colli, sullo sfondo dei quali risaltano le cupole e i campanili delle chiese e le maestose rovine imperiali.
In primo piano si erge il Campidoglio; in fondo, a destra, s’innalzano, bianche come apparizioni, le gigantesche statue della facciata di San Giovanni in Laterano. Tra le architetture dei palazzi si vede scorrere il Tevere.
Proseguendo la nostra passeggiata, nello scendere verso Sant’Onofrio, incrociamo la splendida Villa Lante, dell’architetto Giulio Romano (1518-27), la cui loggia-belvedere si apre verso la città; infine, arrivati nello slargo del Faro di Manfredo Manfredi (1911), è possibile gustare quella che viene ritenuta la più completa visione panoramica di Roma.
Per tutti gli inguaribili romantici che non riescono ad accontentarsi del panorama romano ammirabile dal Pincio o dal Gianicolo, l’alternativa, più intima e raccolta, è quella di accaparrarsi una terrazza affacciata sul centro storico della città eterna. L’impresa non è facile, a meno che non abbiate amici o conoscenti disposti ad ospitarvi per un giro lungo i piani alti del loro palazzo, o vogliate “corrompere” qualche portiere. Per concedersi qualche istante di fronte alle bellezze romane che si perdono all’orizzonte, ogni momento è quello giusto: quindi non preoccupatevi, perché dal tramonto all’alba Roma non perde fascino e rimane lì ad aspettarvi.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina-
Roma-Enrico Brignano in “Speciale Capodanno” al Teatro Sistina | 31 dicembre 2024 – 1 gennaio 2025
Reduce dal successo de “I 7 re di Roma”, in scena al Teatro Sistina di Roma (dove vi resterà fino a domenica 1 dicembre) Enrico Brignano festeggia con il suo pubblico anche la fine dell’anno e l’inizio del 2025 con “Speciale Capodanno”
Un doppio e unico appuntamento, che andrà in scena il 31 dicembre dalle ore 21.30 (con il brindisi di Mezzanotte) e il 1 gennaio dalle ore 18.
Enrico Brignano torna sé stesso e riveste i panni dello showman a tutto tondo per un Capodanno tra divertimento e spensieratezza. Come ama dire sempre, leggerezza non è superficialità, ma solo un modo per ridere di noi stessi e del nostro modo di essere, non senza qualche spunto di riflessione tra una risata e l’altra. Con la sua band di fiducia, capitanata dall’inseparabile maestro Andrea Perrozzi, Brignano traghetterà il pubblico verso il 202. Non mancheranno i lustrini, non mancherà il buonumore, non mancherà il brindisi di mezzanotte
‘Speciale Capodanno’ è scritto dallo stesso Brignano con Manuela D’Angelo. In scena anche Pasquale Bertucci e Michele Marra. Scene di Marco Calzavara, disegno luci di Marco Lucarelli.
QuandoDal 31/12/2024 al 01/01/2025 31 dicembre ore 21,30 – 1 gennaio ore 18
MILANO (ITALPRESS) – Descrizione del libro di Roberto Fiorentini –“I dimenticati”- Nel Maggio 1940. Ai circa 25 mila italiani residenti in Libia, tra Tripoli, Bengasi e la Cirenaica, è notificata una circolare delle autorità locali. Invita le famiglie, con figli dai 5 ai 10 anni, a inviarli in Italia dove sarebbero stati accolti, per tutto il periodo estivo, nelle colonie marine costruite del Regime Fascista. Il 3 giugno 3000 bambini, partono così dal porto di Tripoli, a bordo della nave ‘Augustus’ Il giorno successivo per il porto di Napoli. Trasferiti nelle colonie del regime chi sul mar Adriatico, chi sulla riviera ligure di Ponente, chi in zone montane. Non torneranno mai più nelle loro famiglie.
Racconta tutta questa incredibile odissea il nuovo libro del giornalista Roberto Fiorentini dal titolo ‘I dimenticatì (Ronca Editore). Lo fa con la voce di una delle sopravvissute: Silvia Napoletano, ora 92enne e che vive nel piacentino. Una storia oscura e drammatica del regime fascista quasi mai raccontata e rimasta solo nella memoria personale dei pochi sopravvissuti.
La narrazione parte proprio dalle terre libiche e da quel terribile viaggio in nave dove 3000 bambini erano stati ammassati ‘come pecorè (così racconta Silvia) per raggiungere il porto di Napoli, sempre controllati dalle ‘educatricì e dalle ‘camice nerè. La voce della protagonista narra la sua odissea. Prima nelle colonie estive della Romagna; poi in quelle in collina sull’appennino tosco romagnolo. Vita da caserma per quei bimbi e quelle bimbe.
“Alla caduta del regime la vita diventa un vero inferno”, racconta Silvia. Cibo finito. Vestiti spariti. Scarpe inesistenti. Notti da brividi e da paura in mezzo alle sparatorie tra i partigiani, uomini allo sbando del fascismo e truppe tedesche in ritirata. A pranzo e a cena solo l’erba che, di giorno, quelle bambine raccoglievano nei campi a combattimenti sospesi.
Fiorentini traccia anche una vera mappa di questi luoghi soprattutto nell’Italia del Nord che dovevano essere di villeggiatura ma che, con il passare del tempo, si sono trasformati in grandi carceri da cui non potere più uscire. Ricostruisce l’indottrinamento a cui erano sottoposti. Lettere, canzoni, disegni : tutto era utile per far celebrare ai bimbi le ‘progressive sortì del regime.
Un viaggio nell’orrore troppo velocemente dimenticato dalla memoria collettiva del Paese. “Ho voluto dar voce a questi bambini – dice Fiorentini – perchè i bimbi, ieri come oggi, sono le principali vittime di ogni conflitto bellico. I più indifesi. I più deboli. E per questo i più ‘Dimenticatì”.
– Foto: Fiorentini –
(ITALPRESS).
Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO
Bertolt Brecht:”La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria”.
L’ANALFABETA POLITICO (BRECHT) “Il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, nè s’importa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica. Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.” (Bertolt Brecht)
-Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO – La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria. Oltre la porta di casa tutto ciò che c’è è affare che non riguarda se stessi. Eppure questa ignoranza produce effetti drammaticamente deleteri perché fa regredire l’uomo da cittadino a suddito il quale non fa altro che apprendere apaticamente e subire le decisioni dall’alto. Brecht ci riporta anche degli atteggiamenti esteriori del nostro analfabeta. “Si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica”. La frase è tipica e, ahimè, troppo diffusa nella nostra società. La politica è affare di tutti e non si manifesta solo in senso stretto prendendo parte a questo o quel partito politico. Essere politicizzati significa comprendere di far parte di una società complessa, di una realtà che non può e non deve rimanerci indifferente. “Zoon politikon” diceva Aristotele, l’uomo è un “animale politico” e questa caratteristica è insita nella natura dell’essere umano. Rimanere indifferenti dinanzi alla società in cui si vive, riempendosi la bocca di espressioni come: “la politica è sporca”, “lo stato è corrotto”, “è già tutto deciso”, ci preclude di essere parte attiva, di avere un ruolo. Chi non pone rimedio alla propria ignoranza politica non sa scindere il bene dal male di una comunità. Brecht in maniera probabilmente anche molto forte fa una carrellata di esempi lampanti delle conseguenze del considerare la politica altro da sè, fuori dalla propria sfera di interessi. “Il bambino abbandonato, la prostituta, l’assaltante, il mafioso corrotto” sono solo alcuni esiti. Certamente la politica oggi non ci invita ad un suntuoso banchetto, ma nello stesso tempo non possiamo non partecipare alla mensa perchè i piatti non sono di nostro gradimento.
Bertolt Brecht -Scrittore e uomo di teatro tedesco (Augusta 1898 – Berlino 1956). Nato da genitori di agiata borghesia, frequentò gli ambienti dell’avanguardia artistica monacense e berlinese abbandonando, senza concluderli, gli studi di medicina e volgendosi all’attività letteraria. Sullo scorcio degli anni Venti venne maturando il decisivo incontro, sia teorico sia politico, con il marxismo. Andato in esilio nel 1933, fu successivamente in Svizzera, Danimarca, Svezia, Finlandia e Stati Uniti, da dove nel 1948 rientrò in Europa, stabilendosi a Berlino Est. Qui, insieme alla moglie Helene Weigel, fondò nel 1949 il Berliner Ensemble, cui dedicò quasi per intero gli ultimi anni. Formatosi nel clima dell’espressionismo patetico e umanitario nonché dei giochi paradossali e provocanti del dadaismo, seppe trovarvi uno spazio poetico autonomo sin dai primi esperimenti originali (i drammi Baal, 1918; Trommeln in der Nacht, 1918-20; Leben Eduards des Zweiten von England, 1924; alcune liriche riunite più tardi nella Hauspostille, 1927), in cui circola una considerazione del mondo e delle cose che è disincantata e nello stesso tempo piena di umana curiosità, una ironia corrosiva che si diverte a demolire i valori più tradizionali della borghesia guglielmina, una ricerca delle ragioni materiali che sollecitano azioni e comportamenti degli individui. Sbocco naturale di tale posizione critica è una prospettiva sociologica, che se da un lato mette a fuoco il tema della massificazione nella società moderna (Im Dickicht der Städte, 1921-24; Mann ist Mann, 1924-26), dall’altro illustra la tesi proudhoniana della proprietà come furto e il processo capitalistico di feticizzazione del denaro (Die Dreigroschenoper, 1928, e Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, 1927-29, nate dal felice incontro con l’estro musicale di Kurt Weill). Della prima egli darà una replica in prosa con il Dreigroschenroman, 1934). Prende anche corpo, in questo periodo, la teoria del teatro epico che Brecht contrappone allo psicologismo tradizionale: con spezzature di vario genere del crescendo drammatico, ne imbriglia gli effetti emotivi e crea un solido margine alla presenza attiva e cosciente delle facoltà razionali dello spettatore. Lo studio del marxismo, e la congiunta espansione dei suoi interessi ideologici, sono documentati dai cosiddetti “drammi didattici” (Das Badener Lehrstück vom Einverständnis, 1929; Der Jasager e Der Neinsager, 1929-30; Die Massnahme, 1930; Die Ausnahme und die Regel, 1930; Die Horatier und die Kuriatier, 1933-34, con la significativa appendice del Verhör des Lukullus, 1939). Ma attraverso l’asciuttezza della Heilige Johanna der Schlachthöfe (1929-31) e della Mutter (1930-32), e mentre le vicende politiche europee dall’avvento del nazismo allo scoppio della guerra gli ispirano opere di appassionata denuncia (Die Rundköpfe und die Spitzköpfe, 1932-34; Die Gewehre der Frau Carrar, 1937; Furcht und Elend des Dritten Reiches, 1935-38; Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui, 1941; Die Gesichte der Simone Machard 1941-43; Schweyk im zweiten Weltkrieg, 1942-43), egli matura quella sintesi di ragioni ideologiche e pienezza espressiva che si riflette non solo nelle conclusive formulazioni teoriche del Kleines Organon fu̇r das Theater (1948), ma anche nella drammatica limpidezza della tarda lirica, nella precisa dialettica dei Flüchtlingsgespräche (1940), e soprattutto nella produzione teatrale degli anni 1937-44 (Leben des Galilei, 1a stesura 1937-39; Mutter Courage und ihre Kinder, 1939; Der gute Mensch von Sezuan, 1938-41; Herr Puntila und sein Knecht Matti, 1940; Der kaukasische Kreidekreis, 1943-44): testi non slegati mai dalle vive occasioni storiche e dalle suggestioni del presente, ma pur capaci di proiettarle (meglio di quanto accada nell’incolore Die Tage der Commune, 1948-49) in una più lunga durata poetica e umana.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Franco Leggeri-Fotoreportage-ROMA e il suo GAZOMETRO
Dalla raccolta:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana.
FOTO di Franco Leggeri IL SORGERE DEL SOLE su ROMA e il suo GAZOMETRO 14 giugno 2023
“Storia del Gasometro (o Gazometro) di Roma”
Dove si trova
Lungo la via Ostiense, sul lato destro uscendo da Roma, per la precisione in via del Commercio 9/11, si impone la presenza di un’enorme struttura cilindrica, metallica che ormai fa parte del paesaggio urbano della città di Roma. Anzi, è stato definito “un pezzo pregiato dello skyline di Roma”. Si tratta del gasometro o gazometro. L’area che ospita il gasometro, fin dall’antichità, è stata deputata ad accogliere le derrate alimentari e le merci necessarie all’approvvigionamento dell’Urbe.
Nel 1863 la zona è stata attraversata dalla ferrovia costruita da Pio IX e vi è stato costruito il ponte dell’Industria (che i romani chiamano “ponte di ferro”). La presenza della ferrovia ha stimolato la crescita di alcuni insediamenti commerciali ed industriali, come il mattatoio e i Mercati Generali (dove confluivano tutta la frutta e la verdura destinate al commercio al dettaglio).
Perché è stato costruito e che cosa è
Agli inizi del XX secolo il sindaco Ernesto Nathan, uno dei migliori che abbia servito Roma, ha cominciato a promuovere una politica industriale, perciò nella zona fu costruito lo stabilimento del Gas (ora Italgas) con il Gasometro. Il gasometro è una struttura inventata nel 1789 dal fisico francese Antoine-Laurent de Lavoisier che veniva usata per accumulare il gas che in origine veniva prodotto per gassificazione del carbone e poi per cracking del petrolio.
La gassificazione è un processo chimico che permette di trasformare in monossido di carbonio, in idrogeno e in altre sostanze gassose materiali ricchi di carbonio, come per esempio carbone, petrolio o biomassa. Nel gasometro romano veniva distillato e opportunamente depurato, soprattutto il carbon fossile. Il gas veniva prodotto nei forni di distillazione e poi temporaneamente immagazzinato nei gasometri.
Quando è stato costruito
Il complesso del gasometro di Roma fu progettato nel 1909 e la struttura oggi visibile è stata preceduta da tre gasometri “minori” che sono stati costruiti dalla Samuel Cuttler & Sons di Londra tra il 1910 e il 1912. Il gas ivi prodotto veniva utilizzato sia per l’illuminazione pubblica, sia per quella domestica.
La struttura ancora visibile, in ferro, è stata messa in opera tra il 1935 e il 1937 dalla società Ansaldo di Genova e dalla tedesca Klonne Dortmund. Misura un’altezza di m 89,10 e un diametro di m 63; i pali che la compongono raggiungono una lunghezza totale di km 36; la sua capienza è di 200.000 mc di gas.
Come funziona
Il gasometro aveva la funzione di contenere il gas, dopo la sua produzione che avveniva nei forni e prima della distribuzione. Il gasometro, quando era in funzione, si alzava e si abbassava; il nostro gasometro è del tipo detto a “telescopio” che vuol dire che il cilindro interno si innalza e si abbassa, attraverso le guide laterali, indicando la quantità di gas contenuto.
I gasometri non avevano un grande capienza e quindi non potevano essere utilizzati come serbatoio a lungo termine, ma si limitavano solo a regolare a breve termine il passaggio tra la produzione del gas e il suo consumo.
Quando e perché è stato dismesso
Con la diffusione del gas metano il gasometro è caduto in disuso. Infatti nel 1960 si decide di portare a Roma il metano naturale. Nel 1970 il gas metano ha cominciato ad alimentare il quartiere di Spinaceto e nel 1981 è stata avviata la completa metanizzazione della città di Roma. La società Italgas che prima produceva il gas, attualmente si occupa solo della sua distribuzione.
Dagli anni ’90 sono state avanzate varie ipotesi di recupero del gasometro, ma ad oggi non è stato realizzato nulla. Nella zona limitrofa però, dalla fine degli anni ’90, sono stati aperti numerosi locali (discoteche, ristoranti, pub, gelaterie) e adesso il quartiere intorno al gasometro si annovera tra quelli che fanno da sfondo alla “movida” romana.
SINOSSI- Il libro Tullia Romagnoli Carettoni nell’Italia repubblicana-è stata partigiana, insegnante, funzionaria dell’Udi, dirigente socialista, senatrice dapprima con il Psi poi con la Sinistra indipendente, figura di spicco in vari organismi nazionali e internazionali. La sua biografia permette di ripercorrere i primi tre decenni della storia repubblicana: la transizione postfascista, il miracolo economico, le riforme mancate e quelle varate dal centro-sinistra, le battaglie per i diritti civili degli anni Settanta; ma anche la Guerra fredda, il processo di decolonizzazione, il movimento internazionale delle donne. A partire dal suo archivio personale, il volume restituisce il profilo di una “socialista autonoma” che, in Italia e nel mondo, si è battuta per intrecciare universalismo e differenze.
In copertina: Tullia Carettoni, da poco eletta senatrice del Psi (1963 ca). AUFN, TRC/I, busta 38, fasc. 1.
INDICE
Introduzione
1. Storia politica, questioni di genere, biografia
2. Costruire un archivio, costruire una memoria: il fondo Tullia Romagnoli Carettoni
3. Attraverso le sue carte: una lunga transizione postfascista
1. Tra le giovani donne della nuova Repubblica
1. Da Tullia Romagnoli a Tullia Carettoni
2. Partigiana combattente
3. «Tornata a valle», la Resistenza continua
4. Con Rodolfo Siviero: il recupero delle opere d’arte trafugate
5. Scuola e famiglia: l’impegno nell’Udi
6. «Candidata della pace» alle elezioni del 1948
7. Il “pellegrinaggio politico” in Urss e in Cina
8. Gli anni Cinquanta: tra modernità e tradizione
2. Nella stanza dei bottoni
1. Napoli, 1959. Nella Direzione del Psi
2. Dalla Scuola al Movimento femminile socialista
3. La “questione femminile” negli anni del centro-sinistra
4. Nel salotto delle Tribune politiche
5. 1963: l’ingresso a Palazzo Madama
6. Verso la stagione dei diritti civili
7. La Commissione Franceschini per i beni culturali
3. “Socialista autonoma” nella Sinistra indipendente
1. Conflittualità sociale e immobilismo parlamentare: l’uscita dal Psi
2. Una scuola per l’infanzia
3. Con Parri, per l’unità delle sinistre
4. Dagli Affari esteri alla Vicepresidenza del Senato
4. Nel mondo. I diritti umani
1. Contro la “guerra americana”: l’Issoco e il Comitato Italia-Vietnam
2. La tutela internazionale dei diritti umani: America Latina, Africa e Medioriente
3. L’Italia, la Cee e i paesi fascisti europei
4. Sulla linea della distensione
5. 1975: Anno internazionale della donna
5. In Italia. I diritti civili
1. In difesa del divorzio
2. La “lex Tullia” antireferendum
3. La riforma di famiglia e la “legge per le divorziate”
4. Aborto: problemi e leggi
5. Per il controllo delle nascite
6. Una legge «ipocrita ma necessaria»: la 194/1978
6. Per l’abrogazione della causa d’onore
1. 25 aprile 1976: il contributo della Resistenza alla libertà femminile
2. La protezione sotto attacco
3. La tutela dell’uguaglianza nel ddl 4/1976
4. Lo smantellamento della proposta
5. Il dibattito su delitto d’onore e matrimonio riparatore
6. L’infanticidio per causa d’onore
7. «Un gioco perfido di contro luci»
8. La legge 442/1981
Epilogo
1. Al Parlamento europeo (1979-1984)
2. La Presidenza dell’Istituto italo-africano (1980-1996)
3. All’Unesco (1984-2005)
4. Attraverso i confini
Indice dei nomi
AUTORE–Paola Stelliferi ha insegnato Storia delle donne e di genere all’Università degli Studi di Padova ed è stata assegnista di ricerca all’Università degli Studi Roma Tre. Fa parte della Società italiana delle storiche, per la quale è stata membro del consiglio direttivo nazionale. È autrice di Il femminismo a Roma negli anni Settanta. Percorsi, esperienze e memorie dei collettivi di quartiere (Bup, 2015), di saggi di ricerca sulla storia dell’aborto nell’Italia repubblicana e sulla storia e la memoria dei femminismi.
EDITORE
Viella Libreria Editrice
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
Copia anastatica dell’Articolo scritto da MARIA BELLONCI
per la Rivista PAN diretta da Ugo Ojetti- n°3 del 1935
Biografia di Maria BELLONCI-Nacque a Roma il 30 novembre 1902, primogenita di Gerolamo Vittorio Villavecchia, discendente da una famiglia aristocratica piemontese, e di Felicita Bellucci, di origine umbra. Il padre, professore di chimica, fondatore della chimica merceologica in Italia, dal 1896 al 1934 tenne la direzione del Laboratorio chimico centrale delle gabelle.
Breve biografia di Lucrezia Borgianasce a Subiaco il 18 aprile 1480, figlia di Vannozza Cattanei (la donna che rimase al fianco di Alessandro VI per un quindicennio, devota come una moglie morganatica e madre di quattro dei suoi figli: Juan, Cesare, Jofrè e Lucrezia) e di Rodrigo Borgia, poi papa con il nome di Alessandro VI. Si sposa a 13 anni con Giovanni Sforza di Pesaro (il suo abito nuziale vale ben 15.000 ducati) e successivamente a 18 anni, dopo il decreto di annullamento del primo matrimonio, con Alfonso d’Aragona, duca di Bisceglie, fatto uccidere due anni dopo dal fratello di lei, Cesare Borgia, il celebre Valentino. Fra i due matrimoni intesse inoltre una relazione con Pedro Calderon, uomo di fiducia del padre. Anche questo rapporto viene troncato drammaticamente dalla famiglia: prima ferito di spada, Pedro viene poi ritrovato cadavere nel Tevere, mani e piedi legati. In seguito ai nuovi progetti matrimoniali della famiglia Borgia, Lucrezia si sposa con Alfonso d’Este, primogenito del duca Ercole I. Accompagnata da un grande corteo, il 2 febbraio 1502 entra a Ferrara, portando con sé la terribile fama di essere al tempo stesso “figlia, moglie e nuora” del papa Alessandro VI.
Biografia di Maria BELLONCI
di Luisa Avellini – Dizionario Biografico degli Italiani
Biografia di Maria BELLONCI-Nacque a Roma il 30 novembre 1902, primogenita di Gerolamo Vittorio Villavecchia, discendente da una famiglia aristocratica piemontese, e di Felicita Bellucci, di origine umbra. Il padre, professore di chimica, fondatore della chimica merceologica in Italia, dal 1896 al 1934 tenne la direzione del Laboratorio chimico centrale delle gabelle.
Gli studi e il matrimonio, 1909-1928
Iscritta nel 1909 alla scuola delle monache del Sacro Cuore, presso Trinità dei Monti – un collegio che le sarebbe rimasto nel cuore come una seconda casa piena di affabili, profonde liturgie – fra il 1913 e il 1921 frequentò il ginnasio-liceo Umberto I. Di questi anni intellettualmente attivi e illuminati dai primi amori adolescenziali rievocò, in una pagina giornalistica datata 3 gennaio 1959, «il senso di vita traboccante dei miei sedici anni per il quale mi pareva d’essere chiusa in una mandorla d’immortalità» (Pubblici segreti, Milano 1965, pp. 110 s.1). Ma una formazione interiore importante è attribuita nei suoi ricordi anche ad alcune frequentazioni ambientali, come S. Maria Maggiore: la basilica a pochi passi dall’abitazione familiare, in via Farini, le offriva «il linguaggio narrativo dei mosaici» e la contemplazione di «cadenze espressive» che suggerivano un «neorealismo storico» (ibid., 30 agosto 1959, p. 173).
Nel corso degli anni Venti si presentarono due eventi biograficamente decisivi: la stesura di una prima prova narrativa – il romanzo Clio o le amazzoni (1922) – e l’occasione di sottoporre quella prova d’apprendistato al giudizio di Goffredo Bellonci, illustre critico militante d’origine bolognese, nonché in quegli anni redattore del Giornale d’Italia. Il lavoro, giudicato promettente ma acerbo, non vide mai la luce; ma la relazione allieva-maestro che s’instaurò con Bellonci, più anziano di vent’anni, generoso di consigli di lettura e di presentazioni ai letterati romani, sfociò nel fidanzamento (1925-27) e quindi nel matrimonio, celebrato l’11 agosto 1928. «Quando ci sposammo, lui mi fece lezione sui classici per anni […]. Sono stata cresciuta da lui per scrivere», confessò anni dopo (intervista a Giorgio Torelli, in Epoca, 4 marzo 1973).
La biografia di Lucrezia Borgia, 1929-1939
Il 7 luglio 1929 uscì, sulle colonne del Popolo di Roma, l’articolo Letture di fanciulle: primo di una serie di interventi pubblicati due volte al mese nella rubrica «L’altra metà», dedicati al tema della donna nella vita sociale e nella storia, un dato della biografia intellettuale che situò precocemente la questione critica dello specifico e personale femminismo di Maria. Qualche mese dopo (marzo 1930) l’illustre filologo e accademico d’Italia Giulio Bertoni, imbattutosi in un elenco di gioielli di Lucrezia Borgia, affidò alla già appassionata indagatrice di fonti il compito di studiare il documento per darne conto all’associazione di Studi romani. La descrizione delle gioie borgiane – in particolare quella dell’armilla recante inciso un distico di Pietro Bembo – aprì all’aspirante scrittrice nuovi orizzonti: i tempi inquieti e il profilo chiaroscurale della figlia di papa Alessandro VI, tramite il medium degli oggetti che la ornarono, si imposero come esigenza di studio storico approfondito e di racconto biografico, in un percorso di letture e di ricerche archivistiche svolte fra Roma, Mantova e Modena, che si protrasse dall’inverno del 1930 fino al 1937.
Nel frattempo Goffredo Bellonci aveva informato Arnoldo Mondadori dell’attività in corso e si avviò così la trattativa per la pubblicazione del lavoro. Alla curiosità dell’editore, fece riscontro la lettera di Maria: «Si tratta di un’opera alla quale lavoro da due anni assiduamente: ho voluto seguire la vita veramente straordinaria di questa donna sui documenti del tempo, numerosissimi, sparsi in tutti gli archivi di’Italia. Ho avuto la fortuna di trovare molte cose inedite che mi permettono di ricostruire questa vita con una novità di prospettiva che, credo, stupirà tanto quelli che sono avvezzi a vedere nella Borgia il simbolico fiore del male, quanto quelli che addirittura vorrebbero fare di lei un innocente fiorellino sbattuto dalla tempesta» (Milano, Fondazione Mondadori, Arch. storico Arnoldo Mondadori editore, Carteggio Maria Bellonci 1932-1968: 5 novembre 1932).
Nel marzo 1933 l’autrice firmò il contratto per la pubblicazione e nel 1935 si apprestava alla consegna, ma una serie di difficoltà editoriali rinviò la programmazione fino alla primavera del 1938 quando finalmente, dopo aver accettato a malincuore la richiesta di alcuni tagli, congedò il suo lavoro per la stampa.
Nel Piccolo libro delle consolazioni segrete (Fondazione Bellonci), un diario tenuto fra 1936 e 1937, si trova conferma di un dato importante, documentato dagli studi di Ilaria Calisti (2008, Appendice) e di Luisa Avellini (2011): la nascita di un’amicizia profonda, corroborata dall’interesse comune per i destini femminili, e in particolare per il diritto delle donne all’affermazione intellettuale, e sfociata in un insistito scambio intellettuale, con Anna Banti (Lucia Lopresti, moglie di Roberto Longhi). Dalle lettere di quest’ultima (della corrispondenza fra le due scrittrici restano solo le sue lettere, poiché Banti distrusse quelle di Bellonci con molti altri documenti verso la fine della vita), come anche dal Diario breve 1938-1943 (conservato anch’esso presso la Fondazione Bellonci) si evince che, ricevute dall’editore le bozze della biografia borgiana nel luglio 1938, lo scrittoio di Bellonci vide spesso la vicinanza informata e partecipe dell’amica.
Lucrezia Borgia e il suo tempo uscì nella primavera del 1939, con successo di pubblico e traduzioni in tedesco, ungherese e spagnolo. In luglio vinse il premio Viareggio ex aequo con Arnaldo Frateili (per Clara fra i lupi, Bompiani) e Orio Vergani (per Basso profondo, Garzanti). Il cammino dell’opera prima continuò sul binario delle ristampe e delle nuove edizioni con revisione dell’autrice, come quella del 1960, rivista e arricchita di numerose illustrazioni, ma soprattutto quella del 1974 nella collana «Scrittori italiani e stranieri» (SIS) sotto gli auspici di Vittorio Sereni, che avendo già accolto nella stessa collana una seconda edizione de I Segreti dei Gonzaga, sollecitava l’autrice a sottrarre anche il primo libro dal genere storiografico per sottolinearne la valenza narrativa.
Il secondo romanzo storico, 1941-1947
La rinnovata spinta creatrice che portò all’uscita nell’immediato dopoguerra de I Segreti dei Gonzaga (Milano 1947 e 1971) si muoveva in parallelo con le revisioni di Lucrezia. In questa fase, nello sguardo di Bellonci ormai sistematico sul Rinascimento e via via più solido e acuto, il profilo di Isabella d’Este – già vivido e plasticamente antagonista della Lucrezia Borgia del 1939 – ascese, nella sezione dei Segreti a lei riservata (Isabella fra i Gonzaga), al ruolo di comprimaria, per assurgere a quello di ‘fantasma’ di primo piano nel successivo impegno narrativo.
Anche per il trittico sui Gonzaga, come era accaduto con i gioielli di Lucrezia, lo spunto narrativo nacque da situazioni visuali, in particolare nella sezione Ritratto di famiglia condotta sulla contemplazione degli affreschi della Camera degli Sposi di Andrea Mantegna, ma anche per Isabella fra i Gonzaga con le visite pressoché medianiche all’appartamento della marchesa nel castello di Mantova. Si trattava di interrogare oggetti, profili pittorici, ambienti per trarne quasi il calco che l’intelligenza, la sensibilità, il più intimo carattere di una figura del passato vi avevano impresso.
Nella corrispondenza con Mondadori del 1941 Bellonci, segnalando l’uscita del Ritratto di famiglia nel numero di febbraio de La Lettura, dava notizia di una proposta di Bompiani, per aderire alla quale chiedeva l’autorizzazione al suo editore. Bompiani si diceva disposto a raccogliere il Ritratto in un volumetto illustrato, aggiungendovi anche lo scritto in corso di stesura dedicato all’appartamento di Isabella d’Este nel castello di Mantova, proposta forse sostitutiva dell’epistolario di Isabella che Bellonci avrebbe dovuto curare e che veniva rinviato per la chiusura dell’Archivio Gonzaga. Lo studio dell’appartamento e la lettura già avviata delle lettere della marchesa portavano dunque in primo piano negli interessi dell’autrice l’antagonista di Lucrezia, tanto che l’anno successivo trattò con Mondadori la stampa del libro organico cresciuto intorno al Ritratto con la gran parte delle tre sezioni (la terza era Il duca nel labirinto dedicata a Vincenzo Gonzaga) già pronte.
Tramite la preziosa documentazione epistolare dell’Archivio mondadoriano emerge, pur nel difficile passaggio della guerra e del primo dopoguerra vissuto dai Bellonci a Roma e nelle oscillazioni di umore di Maria connesse a una depressione strisciante, l’affollarsi di progetti nella mente della scrittrice, come il più volte preannunciato lavoro sulla Fine degli Este studiato per anni e poi abbandonato o come il progetto di un libro su Vespasiano Gonzaga di Sabbioneta accarezzato fino alla morte e mai realizzato.
Nel frattempo però un’altra brillante idea le aprì un nuovo fronte di attività e di notorietà: le riunioni di letterati che dal giugno 1944 erano divenute un’abitudine domenicale (gli ‘Amici della domenica’) di casa Bellonci si trasformarono nel 1946, con la partecipazione economica di Guido Alberti produttore del liquore Strega, nella struttura del premio letterario italiano più celebrato, dotato di un inusuale sistema di valutazione affidato a una votazione pubblica a due turni spettante all’intero gruppo di ‘Amici’.
La prima sessione del premio Strega, nell’estate del 1947, cui Bellonci per correttezza non presentò I segreti dei Gonzaga, vide vincitore Tempo di uccidere di Ennio Flaiano su una rosa di partecipanti di altissimo livello, fra i quali Alberto Moravia con La romana, Vasco Pratolini con Cronache di poveri amanti, Cesare Pavese con Il compagno, Anna Banti con Artemisia. Nella stessa estate, con i Segreti, Bellonci sfiorò la seconda affermazione al premio Viareggio, andato infine alle Lettere dal carcere di Antonio Gramsci.
Narratrice senza limitazione di genere, 1951-1972
Nella seconda metà degli anni Quaranta le condizioni economiche precarie indussero Bellonci, come molti intellettuali del tempo, a impegnarsi in traduzioni di romanzi stranieri e in attività giornalistiche, proseguite peraltro per tutta la vita (da menzionare, per qualità e successo, le versioni dal francese dei Racconti di Stendhal, 1961; della Signora delle camelie di Dumas figlio, 1970; dei Tre moschettieri di Dumas padre, 1978; del Viaggio al centro della terra di Verne, 1983). Ma dal 1951, con la rubrica radiofonica Scrittori al microfono, iniziò anche una proficua collaborazione con la Rai, che dalla radio approdò poi nei decenni successivi alla televisione, passando per l’impegno nel Terzo Programma con l’appuntamento mensile delle ore 21 La donna e il secolo nel 1952, il ciclo di trasmissioni, sempre del Terzo Programma, intitolato Milano viscontea (1953) di cui pubblicò per la ERI i testi nel 1954, il programma Racconti di viaggio del 1955-57, fino alla rubrica «Taccuino» consistente nella lettura di un testo nell’intervallo di un concerto, che proseguì continuativamente sul Terzo Programma dal 1959 al 1974. Senza dimenticare la partecipazione, con l’Intervista impossibile a Lucrezia Borgia interpretata da Anna Maria Guarnieri, alla serie radiofonica delle «Interviste immaginarie» del 1974.
A fronte di un successo professionale costante, gli anni Cinquanta riservarono a Bellonci inquietudini private. Nel 1952 il marito venne licenziato dal Giornale d’Italia: la solidarietà del mondo della cultura e l’intervento di Alcide De Gasperi, cui Bellonci si era rivolta, procurarono all’anziano critico bolognese un nuovo impiego sulle pagine del Messaggero, ma la sua salute risentì del trauma con il primo manifestarsi dei disturbi cardiaci che lo avrebbero condotto alla morte nell’agosto 1964.
Al principio degli anni Sessanta, l’aspirazione a essere riconosciuta come narratrice senza limitazione di genere letterario aveva incontrato la chiaroveggenza critica di Giacomo Debenedetti, allora docente incaricato di letteratura moderna e contemporanea all’Università di Messina. In un intervento tenuto in un convegno a Positano nel 1961 Debenedetti – che frequentava con la moglie Renata il salotto degli Amici della domenica dal 1946 – si assunse l’impegno di parlare dell’opera di Bellonci mentre era in gestazione il terzo libro: un nuovo trittico di racconti, che sarebbe stato edito nel 1972 sotto il titolo di Tu, vipera gentile.
Secondo l’attitudine di intuizione prospettica propria delle letture critiche di Debenedetti fin dal 1961, il dato emergente fu che, in controtendenza rispetto a quanto il pubblico continuava ad attendersi da lei, «Maria Bellonci è intenta a un lavoro segreto» (cfr. Debenedetti, [1961], p. 9). Sembrava che la grande «trasparenza pubblica» dell’autrice, che in questa fase si confessava a diari e taccuini e diffondeva opinioni, interviste e polemiche, fosse un modo per «difendere il segreto dell’altro lavoro». «Ci si domanda» – concludeva Debenedetti – «se Maria Bellonci […] non abbia ora, nella sua più intensa maturità di scrittrice, il dubbio di avere solo giocato alla libertà». Ha ricevuto finora ordini dalla storia, e la tentazione ora può essere quella di «lavorare senz’ordini […] d’essere lei insomma a crearsi la trama delle sue storie con la stessa disponibilità con cui finora ne ha foggiato la forma vitale». Forse è giunto il momento per lei di sostituire ai romanzi ottenuti resuscitando la storia altri romanzi che «raccontino il possibile anziché riavverare il già accaduto» (ibid., pp. 10 s.). Debenedetti, scomparso prematuramente nel 1967, non ebbe la possibilità di verificare che il segreto del «romanzo romanzo» avrebbe dato il suo frutto migliore nell’ultimo lavoro di Bellonci: il racconto di se stessa narrato in prima persona da Isabella d’Este.
Lo ‘schianto’ della morte di Goffredo, vittima di un infarto fulminante il 31 agosto 1964, mentre era ospite nella villa dei Mondadori in occasione del premio Viareggio, costituì uno spartiacque nella vita e nella scrittura.
Il trauma venne lentamente riassorbito. Bellonci prese a occuparsi dell’Istituto internazionale per la storia del teatro fondato da Goffredo a Venezia nel 1963, accettò di condurre per Il Messaggero la rubrica «Pubblici segreti» che mantenne fino al 1970 (tali interventi sono apparsi postumi col titolo Pubblici segreti 2, Milano 1989, per cura di Anna Maria Rimoaldi, che aveva curato anche Segni sul muro: racconti, articoli ed elzeviri 1944-70, ibid. 1988), dette alle stampe sotto il titolo di Pubblici segreti alcuni scritti usciti su Il Punto fra 1958 e 1964 (ibid. 1965), e costituì infine nel 1966 l’Associazione Goffredo Bellonci. Nella citata intervista a Giorgio Torelli per Epoca del 1973, a quasi dieci anni dalla scomparsa del marito, del superamento della crisi diede lei stessa la valutazione più consona: «Ho portato con me questa privazione di Goffredo in quello che faccio. E credo si avverta, nei miei scritti, tanta disperazione umana».
La frequentazione assidua della Rai e l’attenzione per le possibilità dello strumento televisivo furono in questo periodo all’origine di un incontro che si rivelò determinante per il futuro della vita e dell’opera della scrittrice: la conoscenza nel 1965 – in occasione della proiezione dello sceneggiato televisivo di tre racconti di Grazia Deledda, George Sand e George Eliot – con Anna Maria Rimoaldi che ne aveva curato la regia. Di formazione scientifica – era laureata in matematica e statistica – la nuova amica, appassionata di teatro ed esperta dell’ambiente della produzione televisiva, divenne collaboratrice di fiducia di Bellonci che la nominò poi anche sua erede ed esecutrice testamentaria.
Nello stesso tempo, sembra fra il 1969 e il 1970, s’interrompeva il lungo e duraturo sodalizio con Anna Banti: probabilmente per dissensi innescati da valutazioni opposte su lavori letterari, per reciproche delusioni o, complessivamente, per il logorarsi inevitabile di un legame intenso e prolungato proveniente però da stagioni tramontate.
Dalla Rai giunse intanto (1969) la proposta di una sceneggiatura televisiva dedicata a Isabella d’Este: un lavoro che, con la collaborazione costante della Rimoaldi, occupò quasi sette anni e migliaia di pagine, senza mai pervenire alla messa in onda. Nel frattempo Bellonci pubblicò sempre con Mondadori Come un racconto gli anni del Premio Strega (Milano 1971: già apparso nel 1968 nella collana del Club degli editori dedicata alle opere vincitrici del premio e diretta da lei stessa) e, poco dopo, Tu, vipera gentile.
Gli archivi mondadoriani permettono una precisa ricostruzione della vicenda ideativa del nuovo trittico nel quale emerge, a fianco del racconto eponimo che rielaborava Milano viscontea uscito nel 1954 presso la ERI e di Soccorso a Dorotea aggiunto nel 1971, il taglio innovativo di Delitto di Stato, la cui stesura era stata avviata nel 1955, ma protratta per problemi esterni (come la sospensione da parte di Mondadori di un assegno mensile concordato in precedenza) e interni: di carattere esistenziale (i tentativi di curare una depressione ricorrente; la mancanza dell’incoraggiamento di Goffredo a proseguire il lavoro), ma anche legati alle esigenze narrative (secondo la testimonianza postuma di Rimoaldi, soprattutto la difficoltà di «proseguire il racconto con il linguaggio cancellieresco dello Striggi […] quasi raffreddato dal calcolo politico»: cfr. E. Ferrero, Note ai testi, in Opere, II, 1997, p. 1513).
Nel febbraio 1962 Delitto di Stato era uscito in una prima stesura sulla rivista Pirelli diretta da Vittorio Sereni. Circa dieci anni dopo, durante l’inaugurazione a Mantova del Teatro scientifico del Bibbiena, un incontro occasionale con un lettore appassionato alla vicenda riaccese la facoltà creativa di Bellonci, decisa alla fine a superare ogni difficoltà stilistica facendo narrare la storia dal giovane Paride. Tu, vipera gentile giunse in libreria nell’ottobre 1972, nella collana mondadoriana SIS.
La soddisfazione per il successo fu oscurata fra 1973 e 1974 dalla grave malattia e poi dalla morte della madre, cui nel decennio successivo si aggiunsero i lutti per il fratello Leo, deceduto nel marzo 1979, e per la sorella Gianna, morta dopo una prolungata malattia nel marzo 1983.
Il romanzo capolavoro, 1976-1986
Mentre, nel corso del 1976, si palesava il fallimento per problemi economici del monumentale sceneggiato su Isabella d’Este – un’amarezza cocente per la scrittrice – giunse però dalla Rai la proposta di sceneggiare in due puntate Delitto di Stato, per la regia di Gianfranco De Bosio. Con l’appoggio di Anna Maria Rimoaldi e in un’amichevole sintonia con il regista, Bellonci consegnò nella primavera del 1977 il copione, partecipò con grande interesse alle riprese svolte a Mantova nell’estate del 1980, con un cast eccellente (Sergio Fantoni, Remo Girone, Eleonora Brigliadori); non mancò infine nel gennaio 1982 alla presentazione a Londra del film televisivo in occasione della mostra sui Gonzaga allestita al Victoria and Albert Museum.
Già da due anni era peraltro immersa in un arduo lavoro commissionato dalla ERI per la ricostruzione del testo originale del Milione di Marco Polo da codici antichi francesi, italiani e latini. L’impresa doveva fiancheggiare l’uscita dello sceneggiato diretto da Giuliano Montaldo prevista per il novembre 1982: il testo vide infatti la luce in giugno. Si era aggiunta poi nel 1981 l’ulteriore richiesta della Rai di trarre un video novel dalla sceneggiatura di Montaldo, ritrascrivere cioè in forma romanzata un film televisivo secondo un’abitudine angloamericana inusuale in Italia. Non occorre sottolineare come tutte queste attività di scrittura di fatto sperimentali, del resto praticate in prospettiva drammaturgica anche nella sceneggiatura abbandonata del film televisivo progettato per Isabella d’Este, offrissero a Maria motivi tecnico-stilistici di riflessione, l’aprirsi di nuove ‘zone poetiche’ che sollecitavano risposte nuove, pur nel quadro costante della sua raffinata attenzione per lo strumento linguistico del narratore, quella lingua italiana la cui «fluidità senza bastioni di regole fisse rende possibili tutti gli ardimenti, tutti gli scorci, tutti i moti» (Pubblici segreti, 1965, p. 136). Cosicché, quando Montaldo (1983) la invitò a rileggere i sette copioni della sceneggiatura isabelliana, riprese vigore l’ipotesi, già presente nelle sue agende del 1976, di far confluire il lungo e inutilizzato lavoro in un romanzo, che tuttavia sembrò in competizione, nella progettazione creativa di Bellonci ormai ultraottantenne, con il fantasma di Vespasiano Gonzaga, anch’esso presente a intermittenza nella ricerca documentaria e nelle prove di scrittura dell’autrice.
Fu Isabella d’Este ad avere la meglio, e nell’accanito lavoro del 1984-85 prese forma il capolavoro di Bellonci, Rinascimento privato (Milano 1985), il racconto di Isabella che, in prima persona, mette in scena se stessa e la propria vita con il controcanto delle dodici lettere (senza risposta ma mai distrutte e spesso rilette) di Robert de la Pole.
L’invenzione dell’ecclesiastico inglese, ammiratore segreto della marchesa, fu un’intuizione del febbraio 1981, a seguito di una lettera del giovane prete canadese André Desjardins studioso del Rinascimento, ammiratore e corrispondente di Bellonci: dalla missiva, in cui il giovane si scusava per aver tenuto nascosto senza una precisa ragione il sacerdozio nell’incontro romano di anni prima, la scrittrice prelevò direttamente l’inizio della prima lettera di Robert a Isabella.
Il romanzo apparve sulla metà di aprile 1985. Un coro di amici l’anno dopo convinse Maria a presentare finalmente un ‘suo’ romanzo al ‘suo’ premio Strega. Ma era destino che, il 4 luglio, la sua Isabella dovesse vincere sola.
Maria Bellonci, cedendo a un male incurabile, era morta infatti a Roma, poche settimane prima, il 13 maggio 1986.
I suoi scritti sono stati riuniti nei due «Meridiani» Mondadori delle Opere, I-II, a cura di E. Ferrero, Milano 1994-97.
Fonti e Bibliografia
Milano, Fondazione Mondadori, Arch. storico Arnoldo Mondadori editore, Carteggio M. B. 1932-1968; Roma, Fondazione Bellonci: M. Bellonci, Piccolo libro delle consolazioni segrete 1936; Diario breve 1938-1943.
Debenedetti, M. B., presentazione di M. Forti, Milano s.d. [ma 1961]; A. Banti, I pubblici segreti. Appunti, in Paragone, XVI (1965), ottobre, pp. 137-139; M. Grillandi, Invito alla lettura di M. B., Milano 1983; V. Branca, B., M., in Diz. critico della letteratura italiana (UTET), a cura di V. Branca, Torino 1986, ad vocem; E. Ferrero, Introduzione, in M. Bellonci, Opere, I, cit., pp. XI-XXXVI; G. Leto, Cronologia, ibid., pp. XXXIX-LXXII; L. Serianni, La prosa di M. B., ovvero la ricerca dell’acronia, in Studi linguistici italiani, XXII (1996), pp. 50-64; M. Onofri, Introduzione, in M. Bellonci, Opere, II, cit., pp. XI-XLIV; V. Della Valle, L’italiano «d’autrice» di M. B., ibid., pp. XLVII-LXXII; M. Simonetta, M. B., Manzoni e l’eredità impossibile del romanzo storico, in Lettere italiane, L (1998), pp. 248-263; S. Roush, Isabella inventrix. History and creativity in M. B.’s «Rinascimento privato», in Italica, LXXIX (2002), pp. 189-203; G. Antonelli, La voce dei documenti nella scrittura di M. B., in Narrare la storia: dal documento al racconto, a cura di T. De Mauro – N. Fusini, Milano 2006, pp. 95-112; I. Calisti, Per il romanzo storico di mano femminile nel Novecento: lo sguardo sul Rinascimento di Anna Banti e M. B., tesi di dottorato, Università degli studi di Bologna, 2008; Id., «La maestosa armonia di un tempo senza tramonti»: la ‘plenitudo temporis’ romana in «Rinascimento privato» di M. B., in Fra Olimpo e Parnaso. Società gerarchica e artificio letterario, a cura di F. Pezzarossa, Bologna 2008, pp. 193-224; L. Avellini, Gli orologi di Isabella. Il Rinascimento di M. B., Bologna 2011
Fonte Enciclopedia TRECCANI online. di Luisa Avellini – Dizionario Biografico degli Italiani
Domenica 1° dicembre ingresso gratuito nei musei civici e nei siti archeologici-
Roma Capitale – Domenica 1° dicembre 2024- Ingresso gratuito nei Musei di Roma e nei Siti Archeologici -Sarà possibile visitare gratuitamente gli spazi del Sistema Musei di Roma Capitale e alcune aree archeologiche della città. Come per ogni prima domenica del mese saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis, 10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00 (Ingressi Viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura), e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca e Casino dei Principi); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele – delle quali 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su tavola –protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento. Si possono ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano è esposta la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città, realizzando dei “racconti visivi” secondo singoli e specifici progetti. Nelle sale al primo piano Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana come Francisco I. Madero, Emiliano Zapata, Pancho Villa e Venustiano Carranza. La mostra, organizzata in collaborazione con l’Ambasciata del Messico in Italia, rientra nelle commemorazioni per i 150 anni delle relazioni diplomatiche tra Messico e Italia. Infine, sempre nelle sale al primo piano, prosegue Dino Ignani. 80’s Dark Rome, il ritratto della Roma ombrosa e scintillante, sotterranea e plateale, degli anni Ottanta del secolo scorso. Il nucleo centrale del progetto espositivo è costituito dal ciclo di ritratti, denominato Dark Portraits, che Ignani ha dedicato ai giovani che animavano la vita notturna dell’epoca e, in particolare, i luoghi e gli eventi legati alla scena dark. (www.museodiromaintrastevere.it).
Al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2) l’ingresso gratuito darà la possibilità di visitare LAUDATO SIE! Natura e scienza. L’eredità culturale di frate Francesco, esposizione che, nell’ottavo centenario della composizione, che si celebra nel 2025, prendendo le mosse dal più antico manoscritto del Cantico di frate Sole o Cantico delle creature – tra i primi testi poetici in volgare italiano giunti a noi –propone un itinerario, costantemente accompagnato da una narrazione multimediale, attraverso 93 opere rare del Fondo antico della Biblioteca comunale di Assisi conservate presso il Sacro Convento.
Nelle sale del terzo piano L’incanto della Bellezza.Dipinti ritrovati di Sebastiano Ricci dalla Collezione Enel, esposizione inedita di due tele, raffiguranti Il trionfo di Venere e Bacco e Arianna, probabilmente eseguite dal Ricci nei primi anni del Settecento, durante il suo soggiorno fiorentino. Da poco riscoperti, i due dipinti sono stati sottoposti a un restauro che ha evidenziato le straordinarie doti di colorista del pittore veneto.(www.museodiroma.it)
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente. All’ingresso del museo, i visitatori saranno inoltre accolti da À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo spazio e che in una parte del complesso monumentale ancora sono presenti. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane, in occasione della ricorrenza dei sessant’anni dalla nascita del Gruppo 70. Sarà inoltre ancora possibile ammirareL’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo circa due anni di un accurato e specialistico restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale della Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili, unendo l’antica tecnica del piccolo punto con influenze contemporanee. Per la prima volta la Casina delle Civette accoglie al suo interno una mostra di arazzi del XX secolo che dialogano con il liberty architettonico delle vetrate e degli ambienti di questo gioiello romano. (www.museivillatorlonia.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero, ovvero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. Le opere esposte si inseriscono nella ricerca che Visca porta avanti da decenni. Attraverso le serie dei Teatrini e delle Silhouette, l’artista, indagando la potenza espressiva della materia, esplora il rapporto tra il frammento e l’oggetto. La sua poetica si manifesta nella volontà di preservare la vita che emana dai più disparati elementi di materia, i cui frammenti sono elevati a simbolo di una condizione umana precaria e sfuggente. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. Nello stesso museo Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente, una mostra tematica sull’interesse del conte Giuseppe Primoli per l’arte del Giappone e, più in generale del continente asiatico. Documenti, fotografie, libri, oggetti e manufatti di gusto, tema o manifattura orientale provenienti dalla Fondazione Primoli e dalla collezione del museo, tra i quali riveste un ruolo di primo piano il ventaglio con scene giapponesi dipinto da Giuseppe de Nittis a Parigi intorno al 1880 per la principessa Mathilde Bonaparte. Fiore all’occhiello della mostra, l’esposizione di quattordici kakemono, rotoli dipinti in carta o stoffa della tradizione giapponese. (www.museonapoleonico.it )
Fanno eccezione alla gratuità (ingresso a tariffazione ordinaria, con tariffa ridotta per i possessori della MIC Card): Roma pittrice. Le artiste a Roma tra il XVI e XIX secolo al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2), che si focalizza sulle artiste donne che lavorarono a Roma a partire dal XVI secolo, con un percorso che giunge fino al 1800 e alle nuove modalità di progressivo accesso alla formazione che lentamente si impongono in accordo con il panorama europeo. Al centro della mostra le tante artiste donne che dal XVI al XIX secolo hanno fatto di Roma il loro luogo di studio e di lavoro con una produzione ricca, variegata e di assoluto rilievo artistico, spesso relegate in una sorta di silenzio storiografico. Protagoniste le artiste presenti nelle collezioni capitoline, come Caterina Ginnasi, Maria Felice Tibaldi Subleyras, Angelika Kaufmann, Laura Piranesi, Marianna Candidi Dionigi, Louise Seidler ed Emma Gaggiotti Richards, oltre a una selezione significativa di altre importanti artiste attive in città come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, e di molte altre il cui corpus si sta ricostruendo in questi ultimi decenni di ricerca. (www.museodiroma.it) Rifugio antiaereo e bunker di Villa Torlonia, (Casino Nobile, Via Nomentana 70) con un nuovo percorso espositivo che documenta la vita di Mussolini e della famiglia nella villa e, attraverso un’esperienza multimediale immersiva, permette di rivivere i momenti drammatici delle incursioni aeree durante la Seconda guerra mondiale. Prenotazione obbligatoria per singoli e gruppi. (www.museivillatorlonia.it)
Circo Maximo Experience, offre la visita immersiva del Circo Massimo in realtà aumentata e virtuale, dalle 9:30 alle 16:00 (ogni 15 min. – ultimo ingresso ore 14:50). Ingresso a tariffa ridotta per possessori della MIC Card. (www.circomaximoexperience.it)
Tutte le informazioni e gli aggiornamenti sono disponibili su www.museiincomuneroma.it e sui canali social del Sistema Musei di Roma Capitale e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura.
Dalla Pinacoteca Podesti di Ancona in mostra ai Musei Capitolini di Roma le Opere di:
Tiziano/Lotto/Crivelli/Guercino- dal 25 /11/2024 -30/03/2025-
Roma Capitale-Dalla Pinacoteca Podesti di Ancona ai Musei Capitolini in mostra la maestosa Pala Gozzi (1520), capolavoro assoluto di Tiziano Vecellio insieme ad altre 5 celebri opere, tutte di carattere religioso e provenienti dalla Pinacoteca Podesti di Ancona, saranno eccezionalmente esposte, per la prima volta a Roma, in occasione del prossimo Giubileo, dal 26 novembre nelle sale di Palazzo dei Conservatori ai Musei Capitolini.
6 prestigiose tele – delle quali 5 pale d’altare di grandi dimensioni e una piccola ma lussuosa tempera su tavola – saranno protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Podesti e, in filigrana, la ricchezza della città dorica committente dei maggiori artisti italiani fra Cinquecento e Seicento.
Si potranno quindi ammirare la Circoncisione dalla chiesa di San Francesco ad Alto, opera di Olivuccio Ciccarello, interprete principale del rinnovamento della pittura anconetana che fiorì fra Trecento e Quattrocento; la preziosa Madonna con Bambino di Carlo Crivelli, icona della collezione dorica e somma realizzazione del pittore veneto che visse e operò nelle Marche; la Pala dell’Alabarda di Lorenzo Lotto, per la chiesa di Sant’Agostino, in cui si esplicita l’emozionante talento del pittore veneziano, esule a più riprese nella regione. Ancora di Tiziano sarà esposta la monumentale Crocifissione realizzata per la chiesa di San Domenico in cui l’artista esplora la tragedia e la sofferenza umana. Chiude la rassegna l’imponente Immacolata di Guercino, in cui la delicata figura della Vergine si staglia su un paesaggio marino il cui modello potrebbe essere la baia di Ancona.
Con questa mostra si intende avviare un percorso di valorizzazione nazionale della collezione anconetana, con lo scopo di restituire ai cittadini e ai visitatori lo spaccato di un periodo cruciale della storia del gusto, del collezionismo e della museologia nella città marchigiana. Un lavoro che proseguirà con il riallestimento della Pinacoteca Civica Podesti, aperta nel dopoguerra dall’allora soprintendente Pietro Zampetti, con le opere salvate dai bombardamenti da un altro grande protagonista della storia della tutela, Pasquale Rotondi, l’eroico direttore del Palazzo Ducale di Urbino a cui si deve la salvaguardia del patrimonio artistico nazionale negli anni tumultuosi del secondo conflitto mondiale.
La mostra romana, con questa importante esposizione delle pale d’altare della città dorica, oltre a testimoniare la sacralità e l’importanza che assunse l’arte adriatica del ‘500, anticipa gli eventi culturali previsti per il prossimo Giubileo.
Promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni culturali, con il patrocinio di Giubileo 2025 – Dicastero per l’Evangelizzazione, la mostra è organizzata da Arthemisia in collaborazione con Comune di Ancona, Ancona Cultura, Pinacoteca Civica di Ancona, Regione Marche e Palazzo Ducale di Urbino – Direzione Regionale Musei Nazionali Marche ed è curata da Luigi Gallo, Direttore della Galleria Nazionale delle Marche e da Ilaria Miarelli Mariani, Direttrice della Direzione dei Musei Civici della Sovrintendenza Capitolina. Servizi museali di Zètema Progetto Cultura.
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