Biblioteca DEA SABINA- SALISANO (Rieti) nel Fotoreportage di Paolo GENOVESI-
SALISANO (Rieti) nel Fotoreportage di Paolo GENOVESI-Brevissimi cenni storici –La sua origine risale alla prima metà dell’XI secolo. Ben presto passò dai suoi più antichi feudatari, i Baronisci, all’Abbazia di Farfa, della quale seguì le vicende storiche fino al XVIII secolo; all’atto pratico fu comunque amministrata dalle potenti famiglie che avevano la commenda dell’abbazia (gli Orsini, i Farnese, i Barberini e i Lante Della Rovere). Sotto gli Orsini, venne ceduta a un loro protetto, il barone Galeotto Ferreoli, il quale mostrò subito una natura violenta e arrogante e sottopose la popolazione a ogni tipo di sopruso: gli abitanti, stanchi di sopportare le sue violenze, lo uccisero insieme ai familiari e alla servitù. Il toponimo si configura come una formazione prediale con il suffisso -ANUS, ma non è chiaro l’eventuale antroponimo latino da cui si sarebbe originato. Conserva i resti delle mura medievali e di un’antica fortezza, dagli storici identificata con il palazzo fatto erigere dal barone Ferreoli e poi distrutto dalla popolazione dopo l’assassinio del tirannico signore. Tra gli edifici religiosi spicca la parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo: edificata nel XVIII secolo, a pianta ellittica, è caratterizzata da due eleganti campanili simmetrici sulla facciata e all’interno custodisce una pregevole tela bizantineggiante del Quattrocento, raffigurante la Madonna con il Bambino; interessanti sono anche la chiesa di San Diego e l’attiguo convento francescano, risalenti alla fine del Cinquecento.
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Comune di Salisano
Salisano è uno dei paesi piu caratteristici della Sabina, si affaccia sulla valle del Farfa, la sua origine risale alla prima metà del XI secolo.
Questo borgo è situato a 460 m s.l.m. sulle propaggini dei monti sabini e viene attraversato dal torrente Farfa.
Fa da cornice a questo meraviglioso borgo la catena montuosa del Tancia, molto suggestiva è la contrapposizione geografica al colle vicino dove c’è Mompeo, altrettanto belli e suggestivi sono i piani di Salisano che si trovano più in alto verso Tancia.
Il nome Salisano sembra avere origine a causa del fatto che l’unica via d’accesso al paese metteva a dura prova la resistenza fisica delle persone che intendevano raggiungerlo e secondo la tradizione poteva essere percorsa esclusivamente da chi era fisicamente sano, da qui salisano, ovvero Sali solo se sei sano.
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Comune di Salisano
Sede: Salisano (Rieti) Date di esistenza: sec. IX –
Intestazioni:
Comune di Salisano, Salisano (Rieti), sec. IX -, SIUSA
Già insediamento romano, dove sorgevano numerose ville di età imperiale, Salisano compare in epoca medievale nell’ 840 quando è citato in un diploma di Lotario I tra i possedimenti dell’Abbazia di Farfa. Attorno alla prima metà dell’XI sec. fu feudo dei Baronisci dai quali lo recuperò l’abate Berardo nel 1052; nel corso del secolo la proprietà si arricchì di diverse donazioni di cui l’Abazia ebbe in seguito ratifica dall’imperatore Enrico V nel 1118, da Urbano VI nel 1262 e da Benedetto XII nel 1339. [espandi/riduci]
Condizione giuridica:
pubblico
Tipologia del soggetto produttore:
ente pubblico territoriale
Bibliografia:
TARQUINIUS, Villeggiature Sabine: Salisano, in “Terra Sabina”, 8, 1924
Salisano: nascita e sviluppo di un Castello Sabino, Roma, Fornasiero editore, 2003
AA.VV., Città e paesi del Lazio, Roma, Editrice Romana s.p.a, 1997
Grappa, C., Storia dei paesi della provincia di Rieti, Poggibonsi, Lalli, 1994
Palmegiani, F., Rieti e la regione Sabina. Storia arte, vita usi e costumi del secolare popolo sabino, Roma, Secit, 1988
Gurisatti, g., Picchi, D., Salisano: formazione e sviluppo del centro antico, Salisano, Comune di Salisano, stampa 1988
Redazione e revisione:
Barbafieri Adriana, 2007/11/03, revisione
Biblioteca DEA SABINA- SALISANO (Rieti) nel Fotoreportage di Paolo GENOVESI-Biblioteca DEA SABINA- SALISANO (Rieti) nel Fotoreportage di Paolo GENOVESI-Biblioteca DEA SABINA- SALISANO (Rieti) nel Fotoreportage di Paolo GENOVESI-Comune di Salisano Il popolo sabino, giunto dalle coste adriatiche, si stanziò intorno al secolo X-IX a.c. nella regione laziale a Nord Est di Roma, in centri quali: Reate (Rieti), Amiternum (presso l’Aquila), Nursia (Norcia), Fidenae, Cures, Nomentum (Mentana). Numerosi sono i riferimenti nella tradizione storica della partecipazione sabina alla fondazione di Roma, quale l’episodio famoso del ratto delle sabine, parzialmente confermato da elementi linguistici, per i quali non è possibile dubitare della partecipazione dei sabini al sinecismo iniziale di Roma. Nel 290 a.c. Curio Dentato conquistò tutto il territorio sabino, riducendo la popolazione a cives sine suffragio, fino a quando nel 268 a.c. ottennero piena cittadinanza essendo gradualmente assorbiti dallo stato romano. Allo stesso console romano si deve, alcuni anni dopo, il primo prosciugamento della paludosa piana reatina con l’apertura della “cava curiana” che dette luogo alla “Cascata delle Marmore”. Dopo un forte terremoto nel 174 a.c., il sorgere di numerose ville romane nella Sabina testimoniano un cambiamento nella riorganizzazione del territorio e dell’agricoltura. Furono chiamate villae rusticae, come ad esempio “i Casoni”, una villa romana attribuita a Varrone, sorta vicino all’odierno Poggio Mirteto. Intorno al II secolo a.c., il propagarsi del cristianesimo fu marcato da una serie di segni importanti: catacombe, chiese, cappelle. Testimonianze di ciò nella Sabina si ritrovano nelle rovine dell’antico municipio romano di Forum Novum, in località Vescovio, nel territorio di Torri in Sabina, costruito all’incrocio di due strade secondarie che collegavano il nuovo centro con la via Flaminia e la via Salaria. Di particolare interesse è anche la cattedrale edificata nelle vicinanze del Forum risalente allo stesso periodo di costruzione di questo. Notevole è il ciclo pittorico realizzato che scandisce i muri laterali. Sulla parte destra sono raffigurate scene dell’antico testamento, alcune delle quali divenute oggi quasi illeggibili. Sulla parete sinistra sono invece rappresentati momenti del nuovo testamento. L’interno, ad una sola navata, non è stato stravolto da rifacimenti in età moderna per la perdita di importanza della stessa sede diocesana traslata a Magliano Sabina. Livio e Dionigi d’Alicarnasso ricordano, nel periodo regio e repubblicano, guerre tra sabini e romani, fino a quando, nel 449, Roma riportando una vittoria definitiva, occupò Cures, Nomentum e Fidenae. In età longobarda, la Sabina fu invece divisa tra i ducati di Roma e Spoleto. Risale al VI secolo, con il diffondersi del cristianesimo e del monachesimo, la fondazione dell’Abbazia di Farfa la quale, insieme ai contigui edifici monastici, furono completamente distrutti dall’invasione longobarda. Sotto l’abate Ugo I° l’abbazia attraversò un fulgido periodo storico protetta dai Carolingi, in primis da Carlo Magno. Intorno all’abbazia, in virtù dell’opera dei monaci seguaci della regola di S. Benedetto, si sviluppò un borgo attivo di artigiani e di contadini in modo da vendere i loro prodotti nelle frequenti fiere che si svolgevano a Roma. Nel XII secolo la Sabina, con il declino del potere dell’Abbazia e il continuo affermarsi del dominio dello Stato pontificio, vide potenti famiglie feudatarie quali i Savelli, gli Orsini e i Colonna insediarsi in questa zona. Nel 1861 venne unificata all’Umbria e soltanto nel 1923 fu nuovamente aggregata al Lazio, costituendo poi, nel 1927 gran parte della nuova provincia di Rieti.
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Roma – La mostra di Paolo Terdich – “Esodo, per non dimenticare”-
Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare”
Roma – La mostra dell’artista piacentino Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare”.si inaugura oggi 11 febbraio 2025 alle ore 16:00 nella Sala del Cenacolo del Complesso di Palazzo Valdina, Camera dei deputati a Piazza in Campo Marzio 42 a Roma-L’esposizione è stata organizzata in coincidenza con il Giorno del Ricordo (10 febbraio 1947), in memoria dell’Esodo giuliano-dalmata e delle tragiche foibe, per voler rappresentare un esempio di come l’arte e la cultura possano fungere da ponte tra passato e presente, invitando a riflettere su eventi storici dolorosi ma fondamentali, per meglio comprendere, pienamente, la complessità del nostro tempo. Un evento promosso dal Presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana, a cura dell’Archivio Paolo Salvati. Così si è espresso il Lorenzo Fontana Presidente della Camera dei deputati: “Sono lieto di accogliere nel complesso di Vicolo Valdina della Camera dei deputati la mostra “Esodo – Per non dimenticare” dell’artista Paolo Terdich. Questo evento si inserisce nel quadro delle celebrazioni per il Giorno del ricordo, istituito per onorare la memoria delle vittime delle foibe e degli esuli giuliano-dalmati, un dramma rimasto ai margini della Storia e della coscienza collettiva del nostro Paese per tanto, troppo tempo.
Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare”-Locandina Evento
Con la sua maestria pittorica, l’artista guida lo spettatore in un viaggio che, intrecciando passato e presente, lo coinvolge sul piano emotivo e intellettuale. Particolarmente emblematiche sono le rappresentazioni delle mani: mani che parlano senza bisogno di parole, tese verso la speranza; mani che si aggrappano alla vita, che raccontano la fatica e il dolore dell’esilio. Un simbolo universale, che riesce a catturare, con straordinaria forza espressiva, l’essenza stessa della condizione umana. Quello delle Foibe e dell’esodo giuliano-dalmata rappresenta, infatti, un capitolo doloroso e complesso, che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Narrare quegli eventi significa dare voce a chi ha sofferto, a chi ha perso la propria casa, la propria terra, i propri affetti. E rendere giustizia a una verità storica che è rimasta nell’ombra, sepolta dal silenzio. Il presente catalogo è anche un dono prezioso, un invito a riflettere, comprendere e non dimenticare. Perché solo attraverso la conoscenza e il dialogo possiamo sperare di costruire un mondo in cui simili tragedie non avvengano mai più. Esso rappresenta un tributo a chi non è sopravvissuto, un omaggio a chi ha vissuto e sofferto per quei fatti e un monito per le generazioni future. Le testimonianze raccolte in queste pagine non sono soltanto cronache del passato, ma un invito a riflettere sul valore della pace e del rispetto reciproco, sul dovere della verità e della restituzione della dignità a chi la dignità è stata negata e, con essa, l’identità.
Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare”-Alt
Desidero, dunque, esprimere un sentito ringraziamento a Paolo Terdich, per il suo impegno e le sue opere d’arte, e a tutti coloro che hanno reso possibile questa mostra, contribuendo a creare un momento di grande valore culturale e umano. Il ricordo è un ponte tra passato e futuro. Coltivarlo significa nutrire il rispetto per la dignità umana, un valore imprescindibile su cui si fondano la nostra Repubblica e la convivenza civile.” In esposizione 23 opere di vari formati, che come lo stesso Terdich afferma: “Con le mie opere ho voluto fornire il mio piccolo contributo, viste le mie origini, al ricordo di tale triste vicenda, che ritengo non abbia avuto in passato il dovuto risalto. Nelle composizioni – ha aggiunto Terdich – riferite all’esodo, in cui sono rappresentati nuclei familiari e vari esuli che lasciano con vari mezzi la propria terra, ho lasciato le figure e le masserizie, appena abbozzate, vagamente distorte, cercando di rendere l’atmosfera di dolore, di ansia e di rassegnazione della scena nel suo insieme. Per cercare di creare un’atmosfera surreale, quasi metafisica, ho lavorato sul contrasto fra lo sfondo, piatto, vago, che suscita una sensazione di vuoto, e le figure in primo piano. In alcuni casi, richiamo i temi del romanticismo, del viandante, del senza patria; un eroe che è arreso al mondo e al suo destino e si avventura verso il suo futuro drammatico.”
Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare” Profugo
Un contrasto che è ben visibile ne “Il ritratto del profugo”, nel quale l’artista ha voluto esaltare il contrasto fra il dettaglio del volto riprodotto, che esprime, anche attraverso le profonde rughe, un sentimento di sofferenza passata, ma parzialmente mascherata, con la drammaticità dello sfondo, giocato su toni scuri, cupi, realizzato a spatola.
Paolo Terdich “Esodo, per non dimenticare”-RIFIUTO
Breve Biografia di Paolo Terdich Paolo Terdich nasce a Piacenza, il 28 gennaio del 1960. Pittore fortemente espressivo, catturato da una ricerca intima e sentimentale e naturalistica. La sua carriera artistica lo porta ad esporre in numerose mostre personali, a partire dagli anni duemila fino ai nostri giorni. Ha esposto con Appunti di viaggio presso l’Istituto Italiano di Cultura al Cairo in Egitto, nel 2002; con la mostra Stati d’animo al Palazzo Municipale del Comune di Sauze d’Oulx di Torino e nel 2004 all’American Women Cultural Association The Hague in Olanda. Dal 2008 al 2009 a Piacenza, prima con la mostra Le Forme e i Colori dell’Anima presso l’Atelier d’Arte e poi con Trasparenti Emozioni, allo Spazio Rosso Tiziano. Nel 2010 espone in Nigeria all’Ambasciata d’Italia a Contemporary Italian Painter con Cultural Evening with Paolo Terdich. Torna ad esporre con tre mostre personali a Piacenza nel 2015 con Luci e contrasti, a Spazio Rosso Tiziano, nel 2017 a Transparency, La pittura di Paolo Terdich in Biffi Arte, nel 2018 ancora allo Spazio Rosso Tiziano con la mostra Due mondi a confronto, un percorso espositivo che verrà ripetuto a Berlino nel 2019 alla Von Zeidler Art Gallery. Nel 2021 espone a Parigi presso la Galerie Sonia Monti con la mostra dal titolo Paolo Terdich. Nel 2022 con le mostre Acqua e Dal materico all’etereo, a New York presso la Saphira & Ventura Gallery e nella sua amata Piacenza presso Palazzo Ghizzoni, Nasalli Rossa. Si segnala la partecipazione su invito alla 59ma Biennale di Venezia 2022, all’interno del Padiglione Nazionale Grenada. Dal 2023 si dedica al progetto artistico Ricordo delle foibe, esodo giuliano-dalmata, concepito con l’unico obiettivo di una divulgazione del ricordo di queste tragiche vicende storiche, in una forma artistica inedita. Il progetto rappresenta un suo tributo alla memoria di un dramma che non ha avuto in passato il dovuto risalto e che esige di essere ricordato nella sua corretta prospettiva storica. Pur rimanendo in un ambito figurativo realistico, in queste opere Terdich sperimenta un approccio diverso rispetto al suo stile abituale, utilizzando una pittura materica e con cromie neutre. Qui egli rappresenta atmosfere che esprimono il senso di terrore delle vittime italiane innocenti delle foibe e di incertezza, ansia, smarrimento degli esuli, cimentandosi in un territorio, già sperimentato in passato, di realismo surreale e talvolta metafisico. Numerose le mostre contemporanee di carattere collettivo dal 2000 al 2025, in Italia tra Milano, Torino, Venezia e Roma, all’estero tra Miami, Londra, New York e Zurigo. Nel 2024 viene inserito su ULAN (Union List of Artist Names) da Getty Union Research per Getty Vocabulary, con ID 500780730. Membro dal 2023 di Professional Artist Association, dal 2022 Mastering the Business of Art, Professional Art Institute, dal 2008 di Master in Business Administration Degree, the Edinburgh Business School/Heriot, Watt University. Fra i critici e storici d’arte che hanno scritto di Paolo Terdich si citano: Paolo Levi, Alfredo Pasolino, Elisa Manzoni, Fabio Bianchi, Stefania Pieralice, Daniele Radini Tedeschi e Alberto Moioli.
A corollario della mostra sarà pubblicato un saggio a cura di Alberto Moioli, saggista e critico d’arte, Direttore dell’Enciclopedia d’Arte Italiana, Catalogo Generale Artisti dal Novecento ad oggi. La pubblicazione sarà curata da Editions of Italian Modern and Contemporary Art Archives, grazie alla concessione gratuita dell’Archivio Paolo Salvati. Copia saggio-omaggio non commerciale. Documento di interesse culturale destinato all’uso pubblico. Proprietà letteraria riservata.
INFORMAZIONI
Esodo per non dimenticare la personale di Paolo Terdich
11-21 febbraio 2025
Sala del Cenacolo Palazzo Valdina, Camera dei deputati, Piazza Campo Marzio 42 – Roma
Vernissage l’11 febbraio alle ore 16, obbligo di giacca per i signori, ingresso consentito entro le 15.45, fino a capienza della sala.
L’esposizione sarà visitabile, con ingresso libero, dal lunedì al venerdì dalle ore 11.00 alle ore 19.30 (ultimo ingresso alle ore 19.00).
Carteggi con Buzzati, Gadda, Montale e Parise-Neri Pozza Editore
Sinossi del libro di Neri Pozza -Saranno idee d’arte e di poesia-Neri Pozza Editore-Il 4 aprile del 1956, in una lettera a Goffredo Parise in cui rimprovera allo scrittore vicentino di aver smarrito, nel suo ultimo racconto Il fidanzamento, l’esuberanza patetica e piena di forza della sua opera prima Il ragazzo morto e le comete, Neri Pozza scrive: «Non ti dolere di questo parere negativo, io sono un vecchio provinciale con idee estremamente chiare anche se sbagliate (per te). Saranno idee d’arte e di poesia, che fanno pochi soldi, ma sono le sole capaci di sedurmi e interessarmi. Il resto, per me, è buio e vanità». La fede ostinata nel carattere d’arte e di poesia del lavoro editoriale attraversa da cima a fondo questi carteggi, che qui pubblichiamo per la prima volta nella loro completezza, tra l’editore vicentino e gli scrittori con cui ebbe un rapporto privilegiato di amicizia e di collaborazione: Dino Buzzati, Carlo Emilio Gadda, Eugenio Montale e Goffredo Parise. Dal 1946, quando Neri Pozza fondò la sua casa editrice, fino al 1988, l’anno della sua morte, l’editore intrattenne rapporti epistolari con le figure di spicco della cultura italiana del Novecento: da Giuseppe Prezzolini a Emilio Cecchi, da Massimo Bontempelli a Mario Luzi, da Camillo Sbarbaro a Corrado Govoni, da Carlo Diano a Concetto Marchesi, da Elémire Zolla a Amedeo Maiuri. È nelle lettere a Buzzati, Gadda, Montale e Parise, tuttavia, che emerge davvero la figura di Neri Pozza editore. Come ha scritto Fernando Bandini, Pozza «aveva già in mente per suo conto dei libri che pensava mancassero, e li proponeva agli autori che gli sembravano i più adatti a scriverli. Se avesse potuto li avrebbe scritti tutti lui di suo pugno». È Neri Pozza che, nel 1950, sedotto dall’idea di un’opera di Buzzati indica all’autore del Deserto dei Tartari la via per «un libro serio, vivo, necessario alla sua storia di scrittore». È Neri Pozza che, contro il parere dei critici che lo consideravano oscuro, pubblica Gadda e il suo Primo libro delle Favole, un titolo non compreso o addirittura sbeffeggiato quando apparve. È Neri Pozza che stampa coraggiosamente l’esordio in prosa di Montale, quella Farfalla di Dinard che esce nel 1956, con copertina rosso mattone, in un’edizione fuori commercio di 450 esemplari, con allegata un’incisione di Giorgio Morandi. È l’editore vicentino, infine, che non esita, in nome della chiarezza dell’arte e della poesia, a indicare «orrori» ed «errori» a Goffredo Parise, diventando, come ha scritto Silvio Perrella, oltre che il suo editore anche «il suo primo critico». A sessant’anni dalla nascita della casa editrice che reca il suo nome, con la pubblicazione di questi carteggi e della monografia Neri Pozza, la vita, le immagini, appare sempre più evidente il posto di rilievo che spetta all’editore vicentino nell’editoria e nella cultura del Novecento.
Cenni biografici di Neri Pozza
Neri Pozza-
Neri Pozza nacque a Vicenza il 5 agosto 1912. Iniziò la propria attività come scultore nel 1933 seguendo l’esempio del padre, Ugo Pozza. Nell’ampia produzione è forte il richiamo di Arturo Martini e di Marino Marini. Espose alla Biennale di Venezia nel 1952 e nel 1958, alla Quadriennale di Roma e ancora alla Biennale veneziana della grafica. Nell’attività letteraria Pozza si distinse con volumi quali Processo per eresia (1970), Premio selezione Campiello, Comedia familiare (1975), Tiziano (1976), Le storie veneziane (1977), Una città per la vita (1979), Vita di Antonio, il santo di Padova e alcuni scritti sulle memorie della Resistenza come Barricata nel Carcere. Morì a Vicenza il 6 novembre 1988. Tra le opere pubblicate dalla casa editrice che porta il suo nome figurano: Neri Pozza, la vita, le immagini (a cura di Pasquale di Palmo, Neri Pozza, 2005); Saranno idee d’arte e di poesia (Neri Pozza, 2006); Opere complete (Neri Pozza, 2011).
“Da Sharaja a Roma, lungo la via delle spezie”, la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Roma Capitale-La mostra “Da Sharjah a Roma lungo la via delle spezie”, ospitata all’interno della Curia Iulia, antica sede del Senato Romano, è il frutto della collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sharjah Archaeological Authority, promossa da Sua Altezza lo sceicco Dr. Sultan bin Al Qasimi, membro del Consiglio supremo e sovrano di Sharjah.
L’esposizione, a cura di Eisa Yousif e Francesca Boldrighini, illustra al pubblico, per la prima volta in Italia, gli straordinari ritrovamenti archeologici dell’Emirato di Sharjah: le città di Mleiha e Dibba, fiorite tra l’epoca ellenistica ed i primi secoli dell’Impero Romano, città sorte al centro delle antiche vie carovaniere che collegavano l’India e la Cina con il Mediterraneo e con Roma.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Testimonianza di questi stretti contatti culturali e commerciali tra Oriente ed Occidente sono gli splendidi oggetti esposti, rinvenuti nelle necropoli e negli abitati: anfore da vino da Rodi e dall’Italia, contenitori dalla Mesopotamia e dalla Persia; unguentari in alabastro dall’Arabia e in vetro dal Mediterraneo orientale; pettini di avorio e gioielli indiani e orecchini di fattura ellenistica; statuine di Afrodite e dediche alla divinità al-Lat; monete indo-greche e romane, originali e di imitazione locale. Tutto concorre a delineare un affresco di grande varietà e ricchezza, una società aperta a numerose e diverse influenze, che potremmo definire ante litteram “multiculturale”.
La mostra, arricchita da un catalogo breve e da un’evocativa videoproiezione, permette inoltre di sottolineare l’importanza dei commerci con l’Oriente per il mondo romano. Le spezie, prima fra tutte l’incenso, prodotto in Arabia erano tra i prodotti più importati e richiesti, e proprio per questo il commercio era regolato dall’autorità imperiale. Il legame con Roma si evidenzia nella presenza nel Foro Romano, a pochi metri dalla sede della mostra, degli Horrea Piperataria, i magazzini voluti da Domiziano per la conservazione del pepe e di altre spezie, che il PArCo ha recentemente restaurato e reso accessibili al pubblico.
Con questa nuova esposizione il Parco archeologico del Colosseo intende proseguire il percorso di divulgazione e ricerca scientifica ampliandolo alla dimensione mediterranea ed internazionale – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi, e i commerci contribuirono ad ampliare le connessioni tra le due regioni, plasmando la storia del Mediterraneo e del Vicino Oriente per secoli.
Ci auguriamo che questa mostra offra ai visitatori l’opportunità di esplorare una storia globale condivisa: questi oggetti non sono semplici reliquie silenziose; sono storie vibranti che ci raccontano come civiltà e città come Roma e Sharjah abbiano stabilito legami che si estendevano lungo migliaia di chilometri – afferma Eisa Yousif, curatore della mostra e direttore della Sharjah Archaeological Authority.
SHARJAH
Sharjah è uno dei sette emirati che compongono la federazione degli Emirati Arabi Uniti. Si trova nella parte centrale della penisola dell’Oman, con accesso sia dal Golfo Arabico a ovest, sia dal mare dell’Oman a est. Rinvenimenti risalenti al periodo Paleolitico in diverse zone dell’emirato di Sharjah testimoniano l’insediamento umano nell’area, fino al Neolitico (9000-4000 a.C.), e all’età del Bronzo
(4000-1250 a.C.) e del Ferro (1250-300 a.C.). In questo periodo nell’area si attesta la domesticazione del cammello, così come la creazione di un sistema di irrigazione che permise un rapido sviluppo dell’agricoltura.
Il periodo di Mleiha (III secolo a.C. – III secolo d.C.) è il tema principale dell’attuale esposizione che narra la storia del misterioso mondo dell’antico Regno dell’Oman durante il periodo ellenistico e romano. Sebbene l’impero di Alessandro e gli stati ellenistici non siano giunti a mettere sotto il loro controllo queste terre, il Golfo ed il lato sud-est della penisola arabica si trovavano al crocevia dei commerci del continente eurasiatico. Mleiha, infatti, costituiva un importante punto di snodo lungo la Via della Seta marittima che collegava l’Occidente, con l’Egitto,
Roma e la Grecia, all’Oriente, con la Mesopotamia, l’India e l’Asia centrale, fino alla Cina, favorendo lo scambio non solo di merci e beni preziosi, ma anche di uomini e di idee che arricchirono la cultura, la religione e la visione del mondo della popolazione locale.
Tra i beni di lusso che giungevano a Roma attraverso la penisola di Oman c’erano le spezie e soprattutto l’incenso. Utilizzate per scopi alimentari, religiosi e medici, le spezie erano talmente richieste e apprezzate che la loro importazione era rigidamente regolamentata dallo Stato, tanto che gli imperatori Flavi fecero costruire nel Foro Romano un apposito magazzino: gli Horrea Piperataria, di recente resi pienamente fruibili alla visita a conclusione delle campagne di scavo archeologico.
Nel sito di Mleiha sono stati rinvenuti vasti cimiteri con tombe monumentali, appartenenti ai membri più importanti della comunità, circondate da tombe più modeste. Le tombe, risalenti al III- inizio del I secolo a.C., erano individuali e variavano in dimensione in base ai corredi funerari ospitati. La più importante tra le tombe monumentali, scoperta nel 2015, costruita con mattoni di gesso intonacato, presentava una pianta a forma di “H” con un lungo corridoio d’ingresso. Saccheggiata in antichità, la tomba fu riutilizzata e un muro di mattoni chiuse il passaggio tra le due camere. Tra i mattoni, uno recava un’iscrizione bilingue (sudarabica e aramaica) datata al 222/221 o 215/214 a.C., che attribuisce la tomba a un ispettore reale del regno dell’Oman. Questo è il primo riferimento storico al regno omanita, citato poi successivamente nel Periplus Maris Erythraei e nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. I reperti rinvenuti, tra cui un’anfora da vino di Rodi, una ciotola in bronzo decorata con iconografie ellenistiche, africane e arabe, e un set da vino in bronzo, testimoniano non solo l’alto rango del defunto ma anche il prestigio culturale e la consolidata tradizione dell’importazione di vino dal Mediterraneo.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
SHARJAH, ROMA E IL MEDITERRANEO
I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi e non toccano solo il Mediterraneo orientale, ma anche Roma e la Spagna. Con le conquiste di Alessandro Magno l’Egitto e la Mesopotamia divennero parte del mondo ellenistico. Il Mediterraneo orientale entrò poi a far parte dell’Impero Romano, che si estese più tardi, con Traiano, alla Mesopotamia e all’Arabia.
Nel 24 a.C. Elio Gallo, prefetto d’Egitto, fu inviato dall’imperatore Augusto in Arabia per aprire una via commerciale verso l’India. L’obiettivo era il controllo delle importazioni di merci, e soprattutto delle spezie: secondo Plinio il Vecchio, ogni anno arrivavano a Roma 3000 tonnellate di solo incenso. Ma si importavano anche avorio, seta, pietre preziose, perle, pepe e mirra. L’importanza di queste merci è testimoniata dalla costruzione nel Foro Romano degli Horrea Piperataria – per
immagazzinare pepe (in latino piper) e altre spezie – e della Porticus Margaritaria, dove venivano vendute perle (margaritae).
Le navi romane trasportavano a loro volta verso Oriente tessuti, corallo, gioielli, vetro e oggetti in metallo. Il vino proveniva da Rodi e dal Mediterraneo orientale, ma anche dalla Spagna. Oggetti in vetro, come gli unguentari, venivano spesso importati da Siria ed Egitto. L’influenza romana è attestata anche dai ritrovamenti di monete, sia originali sia imitazioni.
Franco Leggeri brani dal libro “Murales Castelnuovesi” :IL GIORNO DELLA MEMORIA-Tra Storia e Contro-storia-
Franco Leggeri brani dal libro “Murales Castelnuovesi” –Castelnuovo di Farfa-Il mattino a Castelnuovo, al risveglio, certe volte, mi piace prendere tempo per poi decidere se scriverò qualcosa. Ogni risveglio lo devo immaginare come il ritorno a Castelnuovo per la prima volta, cercando di pensarlo circondato da una terra sconosciuta :la Valle del Farfa. Poi prende il sopravvento il profumo del caffè e così inizio un nuovo giorno con il foglio bianco e una carovana di pensieri da trascrivere. Una collezione di immagini che pian piano si andranno, possibilmente, a sistemarsi nello spazio delle pagine non scritte. Poi uscire dalla staticità e, al terzo caffè, iniziare un viaggio negli scaffali dei libri che forse non leggerò .Muovo i libri come pedine nella scacchiera della mente , quasi sempre,poi, il desiderio di scrivere mi riporta alla scrivania. Sì, così esco dalla notte ,dai pensieri e dai disegni bui . Segni poggiati nel nulla e nel nero ma poi , pian piano, la planimetria e il progetto della pagina diventa chiaro e ben definito. E’ questo un Gennaio diverso, freddo ma con un silenzio che ricorda il momento triste della pandemia. Oggi è il GIORNO DELLA MEMORIA, e allora ecco di cosa scrivere su questo foglio bianco. Il 27 gennaio, qui a Castelnuovo, sono tutti eruditi e acculturati “storici “ .Peccato che i cosiddetti “storici” alla “castelnuovese” non ricordino perché e come iniziò l’orribile olocausto. Ma voi che vi riempite la bocca di “MEMORIA”, sì dico a voi che, con le vostre bocche piene delle parole “cultura e memoria”, gridate e vi stracciate le vostre giacchette “firmate” e continuate tutte le volte a dire e a scrivere :”Affinché non accada mai più! “. E anche oggi continuate a dirlo!E allora vi chiedo se veramente ricordate com’è iniziato l’orribile olocausto.Non certo con i campi di sterminio, non certo con i lager, non certo con le deportazioni di massa.Iniziò con l’eliminazione del dissenso, con il controllo e la paura. Iniziò con l’eugenetica. Iniziò con la divisione del popolo in categorie. Iniziò con il sospetto e la sfiducia del vicino. Voi che riempite le vostre bocche della parola “MEMORIA”, poi isolate le persone solo perché di intralcio alla vostra narrazione tesa a coprire le vostre politiche. Voi che predicate la Democrazia, siete stati i creatori del “LISTONE UNICO” , di triste memoria, oggi al “potere”. Voi isolate e cancellate la VERA STORIA CASTELNUOVESE, manovrandola e incanalandola nella direzione , a beneficio, del vostro “potere” . Credo che “la clessidra” e “il vostro tempo” si stia esaurendo, ma continuerete a cercare ogni scappatoia per galleggiare ancora per un po’. Credo che ognuno di voi avrà presto una casella che si è costruita nei “Gironi” del Nostro Castelnuovo. Concludo questa mia nota con i versi del Sommo Poeta:” E quindi uscimmo a riveder le stelle (Inferno XXXIV, 139)”.
Castelnuovo di Farfa-Disegno di Tatiana Concas
Castelnuovo di Farfa :” La SMEMORIZZAZIONE” dei Giovani castelnuovesi e gli avvinazzati “AMARCOD da CANTINA” .
Castelnuovo di Farfa-A Castelnuovo è in atto una operazione di “SMEMORIZZAZIONE” . Operazione di pura barbarie porta avanti da individui “APPECORONATI” e “ACCAPEZZATI” che conducono, da sempre, una vita da servi e ascari dei vari capibastone. Questi personaggi, ahimè, sono addetti alla demolizione di Castelnuovo. Questi barbari ne distruggono la storia , le tradizioni ed esiliano, culturalmente, i nativi non graditi ai capibastone. Evidentemente questi ascari ,ed i vari sotto panza, non comprendendo che senza memoria storica le società , in particolare le piccole comunità, sono candidate all’autodistruzione se non a quella fisica: certamente a quella morale e culturale. Gli appecoronati castelnuovesi non comprendono che la storia serve certamente a conoscere il passato: ma in funzione del presente e nella prospettiva del futuro. E’ questo, a mio avviso, che sta avvenendo a Castelnuovo. La maggior parte dei giovani castelnuovesi è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale è mancato ogni tipo di rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono e non hanno radici che si nutrono dell’Orgoglio Castelnuovese. E dunque, se non è una scempiaggine, è per lo meno un’ingenuità ritenere che il passato sia passato del tutto o stia sepolto o fermo nella “teca del tempo”. Al passato, anche il più gravoso, – certo se ne abbiamo la forza e la capacità –, può essere restituita energia, fino a farne sprizzare fuori qualcosa di utile non solo per il presente ma anche per il futuro. Se tutto questo discorso vale per la storia in generale credo che sia ancor più valido per la storia locale. Voglio ricordare ai giovani castelnuovesi che la prima identità si forma nei luoghi dove nasciamo. L’identità è ,in gran parte, un abito dismesso da chi ci ha preceduto, noi lo ritroviamo, lo rattoppiamo e se il rammendo sarà eseguito bene allora l’abito diventa anche più bello di quello che abbiamo trovato. Ma se di quell’abito dismesso,-memoria-, ci vergogniamo e lo buttiamo allora indossiamo altri abiti e questo, ahimè, nel tentativo di travestirci da quello che non siamo e , quindi, noi crediamo di esistere solo se rassomigliamo a qualcuno visto in qualche altra parte ma sicuramente non a Castelnuovo allora , sicuramente, non saremo mai veri castelnuovesi.
La FONTANELLA della PIAZZETTA-Disegno di Tatiana CONCAS
CASTELNUOVO DI FARFA La FONTANELLA della PIAZZETTA
Castelnuovo di Farfa (Rieti)
nei disegni di Francesca Vanoncini-
La Fontanella della Piazzetta
Franco Leggeri –Castelnuovese
Franco Leggeri-POESIA Castelnuovo noi che siamo andati via-Biblioteca DEA SABINA
dall’introduzione Murales Castelnuvesi :“-………..E’ innegabile che la maggior parte dei morti tace. Non dice più niente. Ha – letteralmente – già detto tutto. Ho cercato di raccogliere, scrivere, un flusso tempestoso o calmo di pensieri: Emozioni che ho cercato di trasformare in poesia. Ho cercato di attraversare il confine verso la prateria della poesia, dove riposano i Castelnuovesi………..”.
Castelnuovo noi che siamo andati via.
Noi castelnuovesi che abbiamo viaggiato dietro la polvere
alzata dagli zoccoli dei cavalli del padrone.
Noi che abbiamo bevuto l’acqua del nostro fiume Farfa
e mangiato il pesce pescato in quelle Gole
maestre del nostro nuoto .
Castelnuovo , siamo andati via
seguendo la luna del mattino
tra gli sguardi nascosti dietro le finestre.
Siamo andati via cercando il sole,
il suo nascondiglio dietro Fara.
Siamo andati via , non ricordo, o non voglio ricordare la stagione
dei silenzi, madre dei nostri mille perché.
Siamo andati via noi che conoscevamo
il suono della cedra solo dal racconto dei vecchi castelnuovesi
guerrieri reduci di assurde e folli guerre in terre lontane.
Siamo andati via , noi poveri tra i poveri,
accolti da Pasolini e da Mamma Roma.
Siamo stati neorealismo e protagonisti
di pellicole in bianco e nero.
Castelnuovo, noi torniamo con le nostre cicatrici e i nostri racconti.
Noi castelnuovesi abbiamo nostalgia
dei vecchi sorrisi , di volti amici,
siamo tornati con lo zaino ancora pieno di perché.
Siamo tornati alla ricerca dei suoni e voci antiche,
quelle conservate in angoli chiusi e bui.
Siamo tornati per rileggere lapidi a noi care.
Castelnuovo, siamo tornati ora
tra sguardi estranei alle nostre cicatrici.
Eppure, Castelnuovo
noi non siamo mai andati via
perché abbiamo nelle nostre vene il tuo sangue.
Torniamo a prenderci e testimoniare quel che nessuno
potrà mai riscrivere o certificare: la nostra Storia.
La Storia quella che abbiamo lasciato
chiusa dietro le nostre vecchie porte.
Castelnuovo, si quelle porte dove aspettavamo
di uscire dietro i passi certi da seguire.
Castelnuovo, siamo tornati forti con il coraggio di terminare
l’inverno e l’amara stagione dei rancori e dell’odio.
Roma Capitale – Domenica 2 febbraio 2025 Musei e siti archeologici gratis-
ROMA-Campidoglio-Marco Aurelio
Roma Capitale-Ingresso gratuito per tutti domenica 2 febbraio,2025 prima domenica del mese, nei siti del Sistema Musei di Roma Capitale e in alcune aree archeologiche della città. Saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17.30), con il Museo della Forma Urbis (10:00 – 16:00 con ultimo ingresso alle ore 15:00, iIngressi viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16:00, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9:00 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
Questi i musei civici aperti a ingresso gratuito per l’occasione: Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca. Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini. (www.museicapitolini.org).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) sarà possibile visitare la nuova mostra L’albero del poeta. La quercia del Tasso al Gianicolo. Attraverso documenti, fotografie, grafiche, dipinti e testimonianze, molte delle quali esposte per la prima volta, il visitatore potrà riscoprire l’importanza di questo luogo caro a Torquato Tasso, e il suo legame indissolubile con la città di Roma.
Al piano terra l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città. Infine, nella sala del pianoforte al primo piano, prosegue Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana. (www.museodiromaintrastevere.it).
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale del Casino dei Principi Titina Maselli nel centenario della nascita, un’ampia visione retrospettiva dell’opera di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Alla Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili (www.museivillatorlonia.it).
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente.
Domenica 2 febbraio sarà anche l’ultima occasione per ammirare À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo luogo. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane. Sarà inoltre ancora possibile ammirare L’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo un restauro da parte dei tecnici dell’ICR. (www.galleriaartemodernaroma.it).
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. (www.museonapoleonico.it )
DEA SABINA-Olio Extravergine di Oliva “Sabina Dop” è “il migliore del mondo”
Claudio Galeno (129 d.C-216 d.C.), padre della moderna Farmacopea:“L’olio della Sabina il migliore del mondo”.Nei territori della Sabina, tra Roma e Rieti, si produce l’olio Sabina Dop, antichissimo olio extravergine di oliva ottenuto dalle varieta’ di olive Carboncella, Leccino, Raja, Frantoio, Olivastrone, Moraiolo, Olivago, Salviana e Rosciola. L‘olio Sabina Dop ha un colore giallo oro dai riflessi verdi, il suo sapore e’ aromatico e l’acidità massima è pari allo 0,60%.
Olio Extravergine di Oliva Sabina DopClaudio Galeno (Κλαύδιος Γαληνός)
Claudio Galeno (Κλαύδιος Γαληνός) – è considerato, dopo Ippocrate, il medico più illustre dell’antichità.Nato a Pergamo nel 129 d. C., figlio dell’architetto Nicone che diresse i suoi studî, frequentò le scuole dei filosofi greci e s’approfondì ben presto nello studio della filosofia aristotelica. Studiò medicina nella sua città natale, poi a Smirne ove si dedicò particolarmente a ricerche anatomiche, si recò quindi in Alessandria, e nel 157 tornò a Pergamo dove divenne medico della scuola dei gladiatori acquistando una vasta conoscenza nel campo della chirurgia. Nel 162 si portò a Roma ove presto ebbe grande rinomanza; nel 166, essendo scoppiata una grave epidemia, abbandonò l’Italia e tornò a Pergamo, ma fu ben presto richiamato a Roma da Marco Aurelio (169). Medico dell’imperatore ne ebbe la piena fiducia, lo curò ripetutamente e nel 176 lo guarì da una malattia erroneamente dignosticata dagli altri medici. La sua attività scientifica fu particolarmente intensa negli anni fra il 169 e il 180, cioè fino alla morte di Marco Aurelio. Sotto gl’imperatori che succedettero G. continuò a essere il medico di fiducia di corte; morì nel 201, non è noto se a Roma o a Pergamo.
. L’attività scientifica di G. fu così vasta, profonda e molteplice, che egli ebbe a giusta ragione la fama d’essere stato, dopo Ippocrate, il più insigne medico dell’antichità classica. Non tutti i suoi scritti ci sono conservati; molti di essi bruciarono nell’incendio del tempio della Pace. Non meno di quattrocento sono gli scritti a lui attribuiti. L’autore stesso divide le sue opere in sette gruppi: anatomia, patologia, terapia, diagnostica e prognostica, commentarî degli scritti ippocratici, filosofia e grammatica. Centotto sono gli scritti medici che sono giunti fino a noi, alcuni di questi però soltanto attraverso la traduzione araba, altri in frammenti. Settantadue libri appartengono al gruppo dei commentari, non meno di 175 erano gli scritti filosofici.
Le opere sono tutte scritte in greco. Fra quelle che furono più studiate e citate e generalmente considerate come le più importanti vanno nominate in prima linea la Θεραπευτικὴ μέϑοδος (Methodus medendi), testo classico di terapia, noto sotto il nome di Megatechne, e la Τέχνη ἰατρική (Ars medica), generalmente indicato col nome di Microtechne, che contiene un riassunto di tutto il sistema galenico e costituì per molti secoli il testo fondamentale dell’insegnamento medico.
I libri anatomici di G. dimostrano come egli si sia occupato dell’anatomia degli animali, particolarmente del maiale e della capra, e abbia conosciuto la letteratura anatomica degli Alessandrini. Sembra di potersi rilevare che egli abbia avuto una tecnica esatta nelle preparazioni anatomiche; ripetutamente afferma d’aver esaminato e studiato le ossa delle scimmie, i visceri di varî animali, e da questi studî egli trasse direttamente e immediatamente conclusioni per l’anatomia umana. Questa anatomia di G., ricca di alcune preziose osservazioni, specialmente nel campo dell’osteologia, della miologia, e dell’anatomia del sistema nervoso (G. fu il primo a descrivere i nervi cerebrali e a distinguere i nervi motori dai sensorî), contiene anche grandi errori, fra i quali primissimo quello di aver affermato l’esistenza di una comunicazione fra il cuore destro e il cuore sinistro attraverso i fori del setto cardiaco.
Il motivo principale sul quale si fonda la fama di G. è da ricercarsi nella sua geniale intuizione dell’orientamento sperimentale e analitico della medicina, nelle sue doti eccellenti di osservatore e di critico e infine nell’aver egli saputo seguire l’ideologia monoteistica che s’andava formando. Galeno volle raccogliere sistematicamente tutto ciò che sino a lui si sapeva in fatto di medicina, riaffermando la necessità dell’analisi e l’opportunità di derivare la terapia dalla conoscenza della malattia e delle sue cause. Ippocratico nel seguire le massime fondamentali della scuola di Coo, egli si allontanò dall’antico maestro nella concezione della malattia, che egli non considerò più come una discrasia, cioè come un perturbamento nell’armonia, ma come un fatto locale, come un’alterazione dei singoli organi. Egli cercò di dimostrare col suo sistema che la struttura degli organi è conforme allo scopo preesistente al quale essi sono destinati, che ogni organismo è costruito secondo un piano logico prescritto da un Ente supremo. G. si stacca da Ippocrate in quanto non riconosce più in linea assoluta l’azione sanatrice della natura e non considera funzione del medico il lasciarsi guidare da essa, ma il combattere i sintomi.
Secondo la dottrina galenica, il pneuma che è l’essenza della vita è di tre qualità: il pneuma psychicón (spirito animale) ha sede nel cervello, centro delle sensazioni e dei movimenti; il pneuma zooticón (spirito vitale) risiede nel cuore, si manifesta nel polso; il pneuma physicón (spirito naturale) ha il suo centro nel fegato e nelle vene. La vita psichica, l’animale e la vegetativa hanno differenti funzioni e sono dirette da forze che hanno una propria sfera d’azione. Il corpo non è che uno strumento dell’anima. Il sistema galenico ebbe ben presto l’appoggio dei Padri della Chiesa, ciò che spiega come la dottrina galenica rimanga immutabile e inattaccabile fino al Rinascimento e G. assuma nel campo della medicina il medesimo posto che Aristotele tenne nel campo della filosofia.
Anatomico, fisiologo dotato d’uno spirito d’osservazione così acuto e d’una così profonda passione per l’esperimento da poter essere considerato come il creatore della fisiologia sperimentale, medico di grande esperienza, G. fu senza dubbio il fondatore della medicina sistematica. I suoi scritti furono studiati dai medici dei tempi posteriori come testi classici, ma l’autorità a lui conferita dagli studiosi in un’epoca di grave decadenza dello spirito scientifico, fece del sistema galenico un “noli me tangere” e diede a tutte le sue affermazioni il valore di altrettanti dogmi. Così il tesoro di esperienze e di idee feconde che si trova nelle opere di G. si cristallizzò e divenne sterile. Oltre ai libri citati, sono fra i più importanti degli scritti galenici i seguenti: 1. Scritti di commenti ad Ippocrate: Il Glossario di Ippocrate con 15 commentarî; 2. Anatomici e fisiologici: Dell’uso delle parti del corpo umano, l. XVII; Dei dogmi di Ippocrate e di Platone, l. IX; Delle amministrazioni anatomiche, l. XV. 3. Scritti di igiene: Della conservazione della salute, l. VI. 4. Scritti di dietetica: Della dieta dimagrante, Dei buoni e cattivi succhi degli alimenti; 5. Scritti di terapia: Dei temperamenti e delle facoltà dei medicamenti semplici, l. XII; Degli antidoti, l. II; Del metodo di curare, l. XIV. Molti altri scritti trattano di etiologia, di patologia e di diagnostica.
Ediz.: Delle antiche edizioni greche di G. la più importante è quella in cinque volumi, pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1525. L’edizione latina più antica è quella pubblicata a Venezia da Filippo Pinzio De Caneto il 27 agosto 1490 in due volumi. Delle edizioni moderne e complete, una delle migliori è l’ed. greca edita dal Kühn, Lipsia 1821-33, in 22 volumi con la traduzione latina a fronte. L’edizione pubblicata dal Daremberg (Parigi 1854-1856) contiene un’eccellente traduzione francese degli scritti anatomici e fisiologici. Una nuova ed. critica delle opere di G. è in corso di pubblicazione nel Corpus medicorum graecorum, per cura dell’Accademia prussiana delle scienze.
Bibl.: Fra i saggi completi di bibliografia galenica va citato in prima linea quello di L. Choulant, in Handbuch der Bücherkunde für die ältere Medizin, Lipsia 1841, rist. Monaco 1926. Intorno alla vita e alle opere di G. esiste una letteratura vastissima; infiniti sono i commentarî ai suoi scritti, dato che fra il 1400 e il 1700 quasi tutti gli autori di opere mediche usavano presentare i loro lavori sotto la veste di commentarî di uno o dell’altro dei libri di Ippocrate o di Galeno. Fra le più importanti opere moderne: J. G. Ackermann (Prefazione all’edizione del Kühn), Lipsia 1821; J. Mayer-Steineg, Ein Tag im Leben des Galen, Lipsia 1913; M. Meyerhof, Über echte und unechte Schriften Galens nach arabischen Quellen, in Ber. der Pr. Akad. der Wissenschaften, XXVIII, 1928; G. Bilancioni, G., Milano 1930. Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Olio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina DopOlio Extravergine di Oliva Sabina Dop
Roma-Parco Archeologico del Colosseo, apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo, sul Palatino-
Roma-Il Parco Archeologico del Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo alle pendici meridionali del Palatino, portando quindi a compimento il primo dei dieci progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Caput Mundi nell’ambito della Missione 1 Digitalizzazione, Innovazione, Competitività, Cultura e Turismo. Un intervento articolato che ha coinvolto tutti gli aspetti della ricerca interdisciplinare, dalle indagini preliminari tramite prospezioni, ai rilievi fotogrammetrici 3d (ante e post operam), fino agli scavi archeologici, ai restauri conservativi delle superfici, alla valorizzazione illuminotecnica con la sponsorizzazione di iGuzzini e la predisposizione di una nuova rampa e vetrata per la migliore visione del mosaico e delle pitture che hanno dato il nome al contesto.
La Schola Praeconum si trova sulla terrazza più bassa del versante meridionale del Palatino, in una posizione che suggerisce un possibile collegamento in antico con il vicino Paedagogium. Pur appartenendo a epoche diverse (il Paedagogium è d’impianto domizianeo ma rimase a lungo in uso anche successivamente, mentre la Schola risale all’età severiana), entrambi gli edifici avevano funzioni legate ai servizi imperiali: il Paedagogium, come indica il nome, era una sorta di collegio per l’istruzione degli schiavi imperiali ed è oggi visibile lungo il percorso meridionale del Palatino, con i suoi pavimenti musivi originari restaurati. La Schola Praeconum, invece, era la sede della corporazione degli araldi, i praecones, incaricati di annunciare le pompae circensi.
Colosseo apre al pubblico la Schola degli araldi del Circo Massimo sul Palatino
Costruita nel III secolo d.C. su edifici preesistenti, la Schola si inserisce nel progetto di ristrutturazione generale del versante meridionale del Palatino promosso dalla dinastiadei Severi. Il suo orientamento rispetta quello dell’asse del Circo Massimo. Dal punto di vista architettonico, la struttura era caratterizzata da una corte rettangolare circondata da un portico sorretto da pilastri (oggi non più visibili se non per lo spazio calpestabile), con un sistema tripartito di ambienti voltati. L’edificio rimase in uso fino al V secolo d.C., come testimoniato dalla sequenza degli apparati decorativi verticali e orizzontali.
Il primo intervento decorativo, risalente al 200-240 d.C., consisteva in pitture murali raffiguranti figure maschili in piedi, vestite con abiti servili e collocate all’interno di architetture ad edicole. Questi personaggi, che portano bastoni, mappe, serti o cassette, sono stati interpretati come tricliniarii. Successivamente, le pareti furono rivestite di lastre di cipollino, mentre sul pavimento venne posato un grande mosaico bianco e nero che ha dato il nome all’edificio. Questo mosaico, unico nel suo genere, raffigura otto figure maschili in corte tuniche, disposte in due gruppi di quattro, con in mano un caduceo, uno stendardo, un bastone. Si ritiene che il mosaico risalga agli inizi del IV secolo d.C., forse durante gli interventi di ristrutturazione avviati dall’imperatore Massenzio.
L’interpretazione delle figure rappresentate nel mosaico ha sollevato diversi interrogativi. Sono state viste come araldi (praecones), impiegati pubblici a servizio dello Stato (apparitores) o aurighi. Tuttavia, appare certo che l’edificio e coloro che vi ’abitavano’ svolgevano funzioni strettamente connesse con il Circo e le relative manifestazioni. Alcune ipotesi suggeriscono che la struttura potesse avere un secondo piano, utilizzato come tribuna imperiale per assistere agli spettacoli circensi.
Un’immagine, una fotografia, alcune parole ci aprono a ricordi che pensavamo di aver dimenticato… Antonio Vivaldi –Qui è una lapide appesa ad una chiesa (si chiama della Pietà ed è ben visibile dalla Riva degli Schiavoni a due passi da Piazza San Marco) a ricordarmi chi in questo luogo passò gran parte della sua vita a suonare il violino e a dirigere i concerti che lui stesso componeva. Di lui oggi si sa quasi tutto anche se un oblio prolungato durato 200 anni ne aveva fatto scomparire la memoria. Forse avrete già intuito a chi alludo: lui è Antonio Vivaldi, uno dei più grandi compositori del suo tempo… (Venezia 1678-Vienna 1741).
Antonio VIVALDI
Ma non starò certo a raccontarvi la sua storia che, pur interessante, immagino già conoscerete, anche se certe parti della sua vita, forse, sono rimaste ancora nell’ombra. Quello che cercherò di fare sarà un breve viaggio nella Venezia della sua decadenza, alla ricerca del suo stile, tra quello spazio che va dalla fine del 1600 ai primi decenni del 1700, tempo in cui Vivaldi visse e dove seppe esprimere tutto il suo genio.
Sembrerà curioso sapere che, nonostante la città non fosse più la stessa dei secoli precedenti (in quanto a ricchezza e potenza bellica) e faccia fatica a fronteggiare le calamità verificatesi più volte (la più gravosa fu l’epidemia di peste che il secolo prima aveva decimato la sua popolazione) si aprono nuovi teatri, dove la gente si precipita: per divertirsi, o per dimenticare. Emergono figure di scrittori divenuti poi in seguito famosi: Carlo Goldoni, i fratelli Gozzi, Giacinto Gallina…
Ma quanto accade in città non è ancora, per Vivaldi, motivo di interesse. Iniziò qui la sua storia quando, uscito dal seminario, ha già 25 anni, ma soprattutto è un sacerdote. Sembra però che la vita ecclesiastica non sia stata quella adatta a lui. Il pretesto, o la causa, che lo allontana dai suoi obblighi sacerdotali è una malattia di cui soffriva fin da ragazzino e diagnosticata allora come « strettezza de petto » (un’asma bronchiale). Per il giovane Antonio la dispensa dal dire messa fu una vera fortuna che gli consentì di dedicarsi esclusivamente alla musica, unica ragione della sua vita. Ma al periodo passato in seminario Vivaldi sarà sempre grato: gli consentì di studiare e approfondire la conoscenza della musica, imparando a suonare il violino e a perfezionare una tecnica virtuosistica, da molti definita insuperabile.Ma, in cuor suo, Vivaldi si sente attratto dalla composizione. Scrive musica, anzitutto quella strumentale, che sottopone al padre (suona il violino nella Cappella Marciana, l’unica istituzione musicale della città), ma non trova estimatori. Il suo sogno di dirigere un giorno la Cappella Marciana si infrange quasi subito. Gli unici che si accorgono di lui sono i membri del direttivo dell’Oratorio della Pietà, luogo di carità istituito già nel lontano 1300. Lì verrà accolto nell’organico degli insegnanti come « maestro de violin » e compensato con 40 ducati annui, aumentati poi a 100 per l’incarico aggiuntivo di maestro concertatore.
Antonio VIVALDI
Questa assunzione presso l’oratorio sarà la sua fortuna. Tra l’impenetrabile silenzio delle sue mura, lavorerà per decenni portando avanti la sua non dichiarata “rivoluzione musicale”, dando vita a tutto il suo estro creativo, mettendo la sua musica su un piano che allora, ma anche oggi, sorprese tutti per le evidenti novità che introdusse. Dagli studi fatti al seminario Vivaldi si era accorto di come tutto ciò che aveva appreso appartenesse ad un’epoca ormai spenta. Le dinamiche espressive dei concerti che ascoltava risentivano della lentezza con cui venivano eseguiti. Certi strumenti, come il clavicembalo, non potevano esprimere più nessuna nuova potenza sonora, ragione che lo spinse, progressivamente, ad escluderlo dagli strumenti della sua orchestra a favore degli archi e dei fiati di cui intravvedeva nuovi e più importanti sviluppi. Nelle sue partiture emergono nuovi simboli dove si riconoscono ben tredici graduazioni che stabiliscono le intensità dei “piani” e dei “forti”. Nel solo tempo “allegro”, 18 sono le variazioni sonore a riprova che tutto era stato da lui vagliato e migliorato.
Dentro all’Oratorio spetta a lui scegliere tra le allieve le più meritevoli (non sorprenda questo fatto ma l’istituto raccoglieva solo ragazze, abbandonate in tenera età). Per disciplina interna sono tenute al rispetto e all’obbedienza e lui non chiede di più: l’impostazione musicale ottenuta porterà nel giro di qualche anno le sue allieve al massimo grado di perfezione, superando, per capacità, l’orchestra ed il coro della stessa Cappella Marciana. A Vivaldi molti guarderanno con rinnovato interesse. Dall’estero gli giungeranno richieste per poter partecipare alle sue lezioni, domande che non sempre furono concesse.
Antonio VIVALDI-Venezia-Calle della Pietà-Lapide Vivaldi-Foto-Giovanni Dall’Orto
Dal libro di Walter Kolneder Vivaldi (edit. Rusconi), a proposito della sua musica, leggo : «… le prime opere di questo genere dovettero apparire al pubblico come rivelazioni di una nuova umanità, l’ampiezza degli sviluppi dovette produrre un effetto tale da mozzare il respiro».
Che cosa aveva di così travolgente la musica di Vivaldi su chi l’ascoltava? Anzitutto quella gran massa di suoni eseguiti a ritmi elevati per quei tempi (ma ci sorprendono anche oggi!), poi le variazioni tonali, l’uso degli archi così sorprendente, frutto di una tecnica eccelsa in possesso delle sue allieve, e le novità messe in atto dallo stesso Vivaldi che aggiungeva difficoltà crescenti allo svolgimento dei suoi concerti. Sorpresero tutti le “martellate”, così definite allora, quelle specie di frustate buttate addosso alle corde degli archi, con gesti eseguiti soprattutto dalle violiniste, che le impegnarono anche fisicamente, in una fatica nuova ma esaltante. Tutto, alla fine, produceva un effetto estraniante, che stordiva piacevolmente chi ascoltava.
Antonio VIVALDI
Nel corso degli anni successivi, Vivaldi comincerà a comporre anche per le corti europee più importanti. La sua musica aveva raggiunto le vette più alte guadagnata in anni di silenzioso lavoro. Il re di Francia Luigi XV per il compleanno del figlio Delfino chiese a Vivaldi una cantata. “La Senna festeggiante”, così si chiama, fu composta ed eseguita nel 1726, tra la compiaciuta contentezza dei convenuti.
Ma ad impreziosire i suoi rapporti di quegli anni va ricordata l’amicizia e stima di J. S. Bach il quale intuì, e fu forse l’unico, l’enorme portata del rinnovamento messo in campo dal “prete rosso”; lo apprezzò così tanto che trascrisse alcune sue sonate portandole alla sola voce del clavicembalo (Bach era innamorato di questo strumento scrivendo per lui decine e decine di pezzi). Si sa della loro corrispondenza e di come Bach studiasse gli spartiti di Vivaldi. Tracce dell’influenza vivaldiana si possono trovare nei Concerti Brandeburghesi.
Di Vivaldi esiste un unico disegno fatto da Pier Leone Ghezzi nel 1723 quando giunse a Roma. Aveva allora 45 anni. Dal profilo si nota la grande massa dei suoi capelli (erano rossi e arricciati), gli cadono sulle spalle. L’ampia fronte fa scendere lo sguardo sul naso aquilino, poi sulle labbra, forse sottili. Più volte ho cercato di immaginarlo Vivaldi. Alto circa un metro e settanta, dentro al suo lungo abito nero, col breviario stretto sotto al braccio, la mente che inseguiva le sue musiche, il suo passo veloce per tornare all’Oratorio e metterle nel foglio pentagrammato. Di lui Charles De Brosse disse che era più veloce a scrivere un concerto di quanto non facesse un copista a ricopiarlo…
Tralascio ciò che fece Vivaldi nei decenni successivi dove si dedicò quasi esclusivamente alla musica profana, scrivendo più di 90 fra opere e cantate. Potrà sorprendere questo cambio di indirizzo, ma Vivaldi aveva capito che le nuove tendenze che circolavano in città volevano altro. La musica sacra, che gli aveva dato la notorietà, non era più richiesta come prima. In questa sua nuova veste Vivaldi si dedicherà anima e corpo in un lavoro che sembrava non aver mai fine. La grande produzione del “prete rosso” ammonta a più di 750 composizioni, ma ciò non deve sorprendere perché ogni compositore dell’epoca aveva come requisito necessario, quello di saper scrivere musica con continuità. Allora, nelle chiese e nelle sale da concerto, non era previsto che una stessa musica fosse suonata due volte.
Vivaldi avverte che il suo tempo sta per scadere. A Venezia altri sono i compositori le cui musiche trovano maggiori consensi. Si fanno largo Benedetto Marcello, Tommaso Albinoni e per Vivaldi gli spazi si vanno restringendo. Molti non approvano che un prete, come continuava ad essere lui, dovesse vestire anche i panni dell’impresario e uomo d’affari. (Per gli accordi presi con il Teatro di S. Angelo e per garantire i contratti con le maestranze con cui era venuto a collaborare, Vivaldi si prese cura di tutta la gestione). Ma erano troppe le voci contrarie per poter respingere i pregiudizi più velenosi.
Vivaldi lasciò per sempre Venezia accogliendo l’invito di Carlo VI d’Asburgo che lo volle alla sua corte a Vienna. Era il 1728. Nella capitale asburgica rimase fino al 1741, anno della sua morte, un anno dopo la morte del sovrano Carlo VI che lasciò il nostro Vivaldi in condizioni economiche precarie. Fu sepolto nel cimitero dell’ospedale in una fossa comune. Le note del suo funerale , trascritte nel registro parrocchiale così dicono: «Si è constatata la morte del molto reverendo Sig. Antonio Vivaldi prete secolare età 60 anni, avvenuta per infiammazione interna, nella casa Satler presso la porta di Carinzia.» Si concluse così la vita di uno dei più grandi musicisti del 700.
Ed il suo stile? Vi chiederete. Già… Sta tutto nei fogli pentagrammati, negli ascolti ripetuti che ce lo rivelano puntualmente. Se confrontati con altre composizioni dell’epoca, si potrà intuire quasi subito nei duetti fra l’assolo del violino e l’orchestra, fra soprano e contralto, fra flauto dolce e orchestra.
Per quanti volessero farsi un’idea più precisa della musica di Vivaldi potrei suggerire l’ascolto di alcuni brani che, a mio avviso, sono tra i più significativi della sua arte.
Tra le Quattro Stagioni scelgo L’Estate (LINK). Poi passo ai Concerti di Dresda, allo Stabat Mater (Philippe Jaroussky LINK), al Concerto Grosso in fa minore, il Concerto per flauto dolce e orchestra RV 443, la Cantata Juditha Triumphans. Aggiungo, e lo consiglio vivamente, il bellissimo documentario girato dalla BBC che ha per titolo Gloria at Pietà. All’ascolto del celeberrimo brano, si aggiungono le immagini, e la ricostruzione fedele delle atmosfere dei concerti vivaldiani all’interno della chiesa della Pietà.
Massimo Rosini
Massimo Rosin nato a Venezia nel 1957. Appassionato di cinema, musica, letteratura, cucina, sport (nuoto in particolare). Vive e lavora nella Serenissima.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma-
9) Carlo Forlanini-Medico- Inventore del pneumotorace artificiale –
Premessa-Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 9) Carlo Forlanini- Medico ha inventato lo pneumotorace artificiale che ha guarito tanti tubercolotici–Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni–Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, La scuola di Cinema, la scuola di Musica, Palestre , il Bistrò oltre i Bar , Ristoranti e Pizzerie e ancora Parrucchieri e specialisti per la cura della persona , Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra bambini oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico; oppure vedendo il tronco della palma tagliato ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma lungo via Folchi ,dall’inizio di via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri ma dimenticati su questo muro di cinta – I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani” e fa da “sostegno” e “tela” è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, dal mese di aprile del 2018 sono immortalati 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto dei Murales è finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica pecca, peccato grave, non vi è immortalata nessuna donna.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Carlo Forlanini
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da
Carlo Forlanini, l’uomo che curò la tubercolosi
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Carlo Forlanini di Roma
A Roma il Forlanini è un grande complesso ospedaliero che tutti conoscono ed usano come punto di riferimento, come il Colosseo, o il McDonald’s di Piazza di Spagna: se cerchi una via tra Piazzale della Radio e la Portuense, ti diranno di costeggiare il Forlanini tre romani su tre. Ma chi era Forlanini, Carlo Forlanini? La cosa è meno nota. Carlo Forlanini, medico milanese vissuto a cavallo tra otto e novecento, è colui che grazie ad una invenzione, lo pneumotorace artificiale, ha contribuito alla cura della tubercolosi. Una invenzione. Si immagina che gli inventori siano gente stravagante, chiusa in laboratori improvvisati, almeno così l’iconografia del fumetto e del cinema ci ha abituato a ritrarli, ma è una immagine che va rivista, almeno in questo caso. Tutta la famiglia Forlanini era dotata di talento inventivo, non solo Carlo. Il fratello Enrico, che fu pioniere dell’aviazione, per esempio fu anche il primo a concepire l’aliscafo. E non solo, ebbe idee necessarie per l’ideazione dell’elicottero, dotando un velivolo con elica sul tetto di un motore a vapore, e poi sperimentò i primi dirigibili. Carlo non era da meno. Da ragazzo, al liceo, si guadagnò un premio per uno studio sui palloni aerostatici. Poi si iscrisse alla facoltà di medicina di Pavia e trovò in seguito impiego all’ospedale Maggiore di Milano. I talenti inventivi, almeno nel 1876, facevano agilmente carriera e Carlo Forlanini divenne primario del Comparto delle malattie cutanee. Ebbe così l’occasione di concentrarsi sull’ambito che più lo attraeva: lo studio della tubercolosi polmonare. Ma bisogna aspettare la cattedra di Propedeutica e Patologia Speciale Medica all’università di Torino nel 1884 per vedere i primi risultati della sua ricerca. La pneumoterapia (una pratica terapica fatta con apparecchi pneumatici per il bagno d’aria compressa) era usata già con successo nell’asma, nell’enfisema, nelle bronchiti, nelle laringiti e anche nella tisi al primo e secondo stadio. Forlanini fece di più: inventò nuovi apparecchi pneumatici che potevano essere trasportati e dunque anche meglio applicati. A fine ottocento tornò a Pavia. E’ stato un grande insegnante, prova ne fu la passione con la quale i suoi studenti seguivano le lezioni, e prova ne fu anche l’ostinazione che ebbe nel continuare ad insegnare anche in precarie condizioni di salute. Il suo nome rimarrà sempre legato allo pneumotorace artificiale, la cui applicazione fu universalmente promossa attraverso la fondazione dell’Associazione internazionale dello pneumotorace (Londra,1913). Tuttavia la scienza va avanti, e sia la sicurezza che l’efficacia della terapia sono state fortemente discusse e poi superate. Ma per sempre, se passate in zona portuense a Roma, la pietra miliare da seguire sarà Carlo Forlanini: costeggiatelo.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Carlo Forlanini di Roma
Biografia di Carlo Forlanini a cura di M.U. Dianzani
Carlo Forlanini nacque a Milano nel 1847 da famiglia agiata, imparentata con Paolo Mantegazza. La madre di questi, patriota e organizzatrice nel settore della beneficenza, era infatti nonna di Carlo Forlanini. Il suo nome (Laura Solera) è rimasto nella storia milanese. Fratello di Forlanini fu il famoso Enrico, ingegnere aeronautico di grandi vedute. Un altro fratello, Luigi, fu medico, Presidente, a Milano, della Croce Rossa. Il giovane Carlo studiò a Pavia, ove frequentò il Laboratorio di Patologia Sperimentale, diretto prima da Bizzozero, e poi, dopo la chiamata di questi a Torino, da Camillo Golgi. Si formò scientificamente in questo ambiente, ma preferì poi passare alla Clinica. Interessato soprattutto alle malattie polmonari, fu il primo a intuire che l’unico modo per chiudere le caverne tubercolari del polmone era quello di farne collabire le pareti. Ci riuscì costruendo un apparecchio che serviva a introdurre aria nel cavo pleurico, in modo da creare uno pneumotorace. Il parenchima polmonare si ritraeva all’ilo, e le pareti delle caverne collabivano e potevano chiudersi. La scoperta del pneumotorace come mezzo di cura (1882) gli attirò grande rinomanza.
Carlo Forlanini-Medico- Inventore del pneumotorace artificiale
Si presentò nel 1883 al concorso per un posto di professore straordinario di Clinica Medica Propedeutica, posto vacante per il passaggio di Camillo Bozzolo alla Clinica Medica. Fecero parte della Commissione Domenico Tibone, Giulio Bizzozero, Camillo Bozzolo, Lorenzo Bruno e Angelo Mosso, e Carlo Forlanini fu vincitore. La sua grande passione per le tecnologie nuove distinse la sua attività torinese. Fu sotto la sua direzione che il suo Aiuto, Scipione Riva Rocci, costruì lo sfigmomanometro per la misurazione della pressione arteriosa, usato ancora oggi. La presenza a Torino di Forlanini accrebbe certamente la rinomanza della Facoltà Medica torinese, che diveniva antesignana anche nella terapia della tubercolosi. Disgraziatamente, dopo un primo periodo di collaborazione, si creò un forte contrasto in Facoltà fra lui e Bozzolo. Forlanini, infatti, aveva chiesto di diventare titolare di una seconda Clinica Medica, ma Bozzolo non aveva gradito. Il problema era acuito dal fatto che il Ministro aveva abolito la cattedra di Clinica Medica Propedeutica.
Difeso dalla Facoltà, Forlanini rimase peraltro al suo posto per vari anni. Il problema fu risolto con l’apertura di un concorso per professore ordinario di Patologia Speciale Medica a Torino, contestualmente all’apertura di un altro concorso, identico, a Pavia. Il vincitore di Torino fu Forlanini, quello di Pavia fu Bernardino Silva, un allievo di Bozzolo.
Il Ministero accettò che Silva fosse comandato a Torino, e Forlanini a Pavia. Col 1899, si ebbero infine i decreti di trasferimento. Silva restò a Torino, praticamente subalterno a Bozzolo, fino al 1905, quando morì in un incidente di montagna. Forlanini ebbe via libera a Pavia, dove insegnò e operò scientificamente sino all’anno della sua morte, avvenuta nel 1918.
A cura di M.U. Dianzani
Carlo Forlanini, apparatus Credit: Wellcome Library, London. Wellcome Images images@wellcome.ac.uk http://wellcomeimages.org Forlanini’s apparatus for artificial pneumothorax. ‘Die Indikationem und die Technik des kunstlichen Pneumothorax bei der Behandlung der Lungenschwindsucht’ Die Therapie der Gegenwart Carlo Forlanini Published: 1908 Copyrighted work available under Creative Commons Attribution only licence CC BY 4.0 http://creativecommons.org/licenses/by/4.0/
Biografia di Carlo Forlanini
Carlo Forlanini-Medico- Inventore del pneumotorace artificiale
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Carlo Forlanini
Ultimato il liceo, si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Pavia (nell’Almo Collegio Borromeo è presente una lapide commemorativa in suo onore) e, dopo la campagna garibaldina, si laureò nel 1870 con la tesi “Teoria della piogenesi-fachite”. La Ca’ Granda lo attirava e il 23 agosto 1870 presentò domanda all’Ospedale Maggiore di Milano che fu accolta e lì iniziò la sua pratica ospedaliera occupandosi di chirurgia nella sala di San Paolo sotto la guida del Dott. Monti, continuando le ricerche nel campo dell’oculistica. Rimase per due anni all’ambulanza oculistica di Santa Corona. Nel gennaio 1876 fu nominato primario del Comparto delle malattie cutanee dove rimase sei anni, continuando gli studi che più lo attiravano: quelli sulla tubercolosi polmonare, malattia che nell’infanzia gli aveva portato via la madre.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
Nel 1884 la Facoltà Medica dell’Università di Torino lo propose per la cattedra di Propedeutica e Patologia Speciale Medica che Forlanini accettò con entusiasmo. A Torino numerosi erano gli studenti che frequentavano le sue lezioni di semeiotica e di clinica: le più ascoltate furono quelle che riguardavano i metodi clinici per la diagnosi delle pleuriti e della tisi polmonare. La pneumoterapia (terapia con apparecchi pneumatici per praticare il bagno d’aria compressa) era usata con successo nell’asma, nell’enfisema, nelle bronchiti, nelle laringiti e anche nella tisi al primo e secondo stadio. Inventò nuovi apparecchi pneumatici trasportabili per renderli più facilmente applicabili e, per rendere più precisa la semeiotica della patologia polmonare, modificò il plessimetro di Seitz: il miglior plessimetro era in avorio, di cinque centimetri di diametro e due millimetri di spessore, da percuotere con le dita per ottenere un suono che rifletteva la natura della zona sottostante.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Carlo Forlanini
Ritornò nel 1899 all’Università di Pavia, titolare della cattedra di Patologia Speciale Medica e dal 3 febbraio 1900 di quella di Clinica Medica Generale, al posto del Prof. Orsi, in un Ateneo che vantava una tradizione gloriosa, dove Bizzozero aveva compiuto geniali scoperte sulla fisiologia del sangue, dove Golgi aveva svelato il segreto della fine struttura del sistema nervoso, dove Mantegazza aveva segnalato l’importanza delle ghiandole a secrezione interna, dove Bassini aveva creato il metodo di cura dell’ernia inguinale.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Carlo Forlanini
La sua opera di insegnante, che era tanto ammirata, fu negli ultimi anni limitata dalle condizioni di salute. Per l’incrollabile fede nell’efficacia di una cura che, esclusivamente per merito del suo studio, entrò nella pratica quotidiana, gli è dovuto l’appellativo di “inventore dello pneumotorace”, che gli è riconosciuto dagli studiosi di tutto il mondo[senza fonte].
Carlo Forlanini-Medico- Inventore del pneumotorace artificiale
Senatore dal 1913, fu anche membro del consiglio superiore dell’istruzione, dedicandosi anche a ricerche sull’uremia, sull’ipertensione arteriosa essenziale e su diverse patologie polmonari. Al suo nome è intitolato l’Ospedale Carlo Forlanini, sanatorio di Roma, sede della Clinica universitaria della tubercolosi e delle affezioni respiratorie.
I risultati di questi lavori portarono Forlanini a ricevere più volte la candidatura al Premio Nobel per la Medicina, almeno una ventina, tra il 1912 e il 1919[4].
Nel 1877 fondò l’Istituto medico pneumatico, dove iniziò gli studi sulla cura della TBC polmonare, arrivando nel 1882 ad ideare lo pneumotorace artificiale.[6][7][8] Applicò la tecnica con pieno successo nel 1888, ma essa solo nel 1912 ebbe piena accettazione dalla comunità medica.[9]
Appassionato di apparecchi pneumatici e stimolato dal fratello Enrico, collaborò con lui discutendo su problemi di idraulica, aerodinamica e fisica, cercando di trarre il massimo beneficio dall’associazione tra scienza medica e meccanica. Il problema di poter applicare l’aria compressa nella cura della tisi lo entusiasmava e i disegni degli apparecchi di aeroterapia, di spirometria e per la cura della tisi erano tutti di mano sua e fatti con tale cura da poter servire al costruttore. Fa brevettare due modelli di aeroterapia per la cura della pleurite con inspirazioni di aria compressa per far dilatare il polmone e per la cura dell’enfisema con espirazioni in aria rarefatta. Disegna apparecchi per le inalazioni medicamentose di cui intuisce l’avvenire. I suoi lavori sull’enfisema polmonare e quelli sulla cura dei versamenti pleurici sono pietre miliari nella storia della medicina. La toracentesi con introduzione di aria filtrata (estrazione di quanto più liquido è possibile e introduzione di aria al posto del liquido estratto) è uno dei lavori fondamentali della medicina pratica. Si deve alla sua scuola l’invenzione dello sfigmomanometro di Scipione Riva Rocci, ancora oggi usato in tutto il mondo, che permise la misurazione della pressione arteriosa con un metodo incruento.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma-Muro di cinta
Forlanini ebbe il merito di accorgersi che lo pneumotorace spontaneo che fortuitamente si aveva in ammalati di tubercolosi cavitaria (la tisi polmonare), imprimeva alla malattia un andamento più favorevole. Secondo le sue idee la malattia era dovuta alla particolare funzione del polmone, cioè al respiro che in ogni istante fa variare la tensione del parenchima polmonare attraverso la variazione della quantità e pressione del suo contenuto (aria polmonare). Il polmone diventa tisico perché si muove e la tensione statica e dinamica impedisce la riparazione delle lesioni polmonari: l’immobilizzazione assoluta arresta il processo distruttivo favorendo la cicatrizzazione delle lesioni cavitarie.
Per guarire un polmone dalla tisi è necessario pertanto sopprimere la sua funzione, cioè collassarlo per eliminare il costante trauma respiratorio. Il metodo si basa sulla tecnica della collassoterapia, elaborata dallo stesso Forlanini, e consiste nell’introdurre gas inerte nella cavità pleurica corrispondente al polmone leso, in modo che esso venga posto in stato di riposo funzionale, così da favorirne la cicatrizzazione.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
Tecnica del pneumotorace artificiale
Il metodo di cura del Forlanini è detto pneumotorace artificiale che in medicina significa presenza d’aria nel sacco pleurico. L’apparecchio di Forlanini era costituito da un manometro ad acqua in comunicazione con un rubinetto a tre vie: da una parte c’è un tubo di gomma portante l’ago d’introduzione, dall’altra un cilindro graduato di vetro contenente il gas sotto pressione in comunicazione con un altro contenitore di vetro. Il gas usato era l’aria atmosferica filtrata dal pulviscolo. L’ossigeno si evitava perché veniva assorbito troppo velocemente e l’azoto perché poteva provocare embolie.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
L’immobilizzazione del polmone veniva ottenuta introducendo nelle pareti toraciche a ridosso del polmone stesso, e cioè nel sacco pleurico una tal quantità d’aria la cui pressione doveva vincere quella espansiva dell’aria inspirata dal polmone: questo verrà in tal modo a trovarsi come sotto una campana d’aria in pressione, che gli impedirà di espandersi durante l’inspirazione e quindi di muoversi. L’introduzione dell’aria era effettuata con un ago che veniva inserito sulla linea ascellare media del torace, all’altezza del IV-VII spazio intercostale, fino a raggiungere la cavità pleurica, dove si registrava una pressione negativa. A quel punto si iniettava il gas fino a raggiungere una pressione intorno allo zero: il polmone collabiva e rimaneva così, con successivi rifornimenti di gas, per un periodo prolungato di almeno due, tre anni. Si procedeva quindi alla sua riespansione quando si era completamente cicatrizzato.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
Al Congresso Internazionale di Roma del 1894 venne data dimostrazione pratica dell’utilità dello pneumotorace e al VI Congresso Nazionale della Medicina a Roma nel 1895 Forlanini espose i primi risultati ottenuti con il nuovo metodo di cura che fu accolto però con incomprensione dai contemporanei che consideravano probabilmente un’eresia l’aver studiato il problema della cura della tisi senza tentare qualcosa contro l’agente eziologico della malattia: il bacillo di Koch.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Carlo Forlanini di RomaFranco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Carlo Forlanini di Roma
Nonostante lo scetticismo sul suo metodo Forlanini continuò i suoi esperimenti. Se fino al 1894 erano svolti su malati nei quali l’estensione, la gravità e la bilateralità delle lesioni toglievano ogni ragionevole speranza di salvezza, dopo il 1895 la sua attività si rivolse ai malati con monolateralità delle lesioni e buone condizioni generali e così aumentò il numero dei successi. Nel 1907 si decise a rompere il silenzio che durava ormai da 13 anni e nel giugno si svolsero due conferenze all’Associazione Sanitaria Milanese, una teorica e la seconda nella quale furono presentati i casi di guarigione e il numeroso uditorio lo seguì con interesse e i giornali milanesi si fecero portavoce del successo ottenuto. Il pneumotorace artificiale fu riconosciuto ufficialmente dai tisiologi di tutto il mondo al Congresso Internazionale della tubercolosi tenutosi a Roma nel 1912. La applicazione fu universalmente promossa attraverso la fondazione dell’Associazione internazionale dello pneumotorace, avvenuta a Londra nel 1913.[10][11] Studi più recenti tuttavia hanno sollevato forti dubbi sia sulla sicurezza, sia sulla efficacia della terapia[senza fonte], comunque oggi abbandonata.
Principali lavori pubblicati
1875 Brevissimi cenni di aeroterapia e sullo Stabilimento Medico-pneumatica di Milano. Gazzetta Medica Italiana Lombardia. Serie VII: 6
1882 A contribuzione della terapia chirurgica nella tisi del polmone. Ablazione del polmone? Pneumotorace artificiale? Gazzetta degli Ospedali e delle Cliniche di Milano
1894 Primi tentativi di pneumotorace artificiale della tisi pulmonare. Gazzetta Medica di Torino. 45:381-4, 401-3
1894 Su un caso di stenosi dell’arteria polmonare con persistenza del dotto di Botallo e di tisi polmonare
1895 Primo caso di tisi pulmonare monolaterale avanzata curato felicemente col pneumotorace artificiale. Gazzetta Medica di Torino 46:857
1897 Contributo allo studio del polso venoso presistolico
1897 Contributo alla terapia dell’empiema
1906 Zur Behandlung der Lungenschwindsucht durch künstlich erzeugten Pneumothorax. Deutsche Medizinishe Wochenschrift 32:1401-5
1908 Apparati e tecnica operativa dello pneumotorace artificiale
1909 Cenni storici e critici sul pneumotorace artificiale nella tisi pulmonare. In: Cappelli, ed. Scritti di Forlanini. Bologna, 1928:1013
1912 Il pneumotorace artificiale nella cura della tisi pulmonare. Atti de VII Congresso Internazionale Contra la Tubercolosi. Vol 3 Rome, 182.
Franco Leggeri Fotoreportage-
Logo dell’Associazione Graffiti Zero, Associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano-Foto Franco Leggeri
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