L’AQUILA – Lunedì 17 marzo 2025 si terrà la XXII edizione del Certamen Sallustianum, organizzato dal Centro Studi Sallustiani dell’Aquila, in collaborazione con il Convitto Nazionale “Domenico Cotugno” con i Licei annessi.
Una delle principali finalità del Certamen è quella di dare agli alunni meritevoli la possibilità di approfondire la conoscenza del mondo classico, anche attraverso le varie testimonianze che fanno parte integrante del tessuto storico del nostro territorio, che si colloca nel contesto di un percorso più ampio, quello delle grandi civiltà.
La XXII edizione del Certamen vedrà la partecipazione di 32 alunni, appartenenti a 12 licei italiani, e si svolgerà presso la sede del Liceo Classico “Domenico Cotugno”.
Al Certamen Sallustianum sono collegate le Giornate della Cultura Classica, che vogliono offrire l’opportunità di esplorare tra i percorsi del passato, a volte sconosciuti, le origini del nostro presente. Diventa necessario, in una società in cui tutto è messo in discussione, ritrovare le solide radici culturali della nostra civiltà e riscoprire i valori e le certezze che la stessa ci ha tramandato.
Nell’ambito delle Giornate della Cultura Classica sarà ospite del Centro Studi Sallustiani il prof. Andrea Angius, docente di Storia Romana ed Epigrafia Latina presso l’Università degli Studi “Roma Tre”, che martedì 18 marzo 2025, alle ore 11.00, in presenza presso il Liceo Classico “Domenico Cotugno” e su piattaforma digitale Zoom, terrà una conferenza dal titolo “Carceri, carcerieri e carcerati nella Roma antica”. Le credenziali per accedere all’incontro sono le seguenti: https://us06web.zoom.us/j/86542148242?pwd=E9KfdKutQ22PgrwFDb9yRlHyntR7Ri.1
Per ulteriori informazioni si rimanda alla pagina web del Centro Studi http://www.studisallustiani.com/
Sabato 8 marzo 2025, presso il Forte Malatesta di Ascoli Piceno si inaugura la mostra personale di Antonio Marras – Vedere per credere. L’ombra di Cecco, che si configura come una riflessione sia sulla figura di Cecco d’Ascoli, filosofo, astronomo, astrologo e alchimista medievale, sia sulla storia del Forte Malatesta nelle sue diverse funzioni di fortezza militare, edificio religioso, carcere e museo multidisciplinare.
Antonio Marras – Vedere per credere-
Antonio Marras
Antonio Marras – Vedere per credere-
Antonio Marras si è lasciato suggestionare dall’intera struttura dell’edificio, che ha reinterpretato nella sua totalità come luogo di ombre, intese come memorie simboliche e fisiche, presenze che legano la figura di Cecco d’Ascoli con la vita reclusa dei prigionieri del carcere, che proiettavano desideri, speranze, ricordi e memorie nei diversi ambienti, dalle celle al cortile fino allo spazio monumentale della chiesa della Madonna del Lago, ideale punto di arrivo del percorso immaginato da Marras.
Disegni, sculture, ceramiche, installazioni, arredi e manufatti ridisegnano gli spazi del Forte, inseriti in un percorso espositivo che trasforma gli spazi dell’edificio in tappe di un itinerario onirico e surreale, una sorta di “macchina del tempo” sospesa tra passato e presente.
Marras trasforma il Forte in uno spazio altro, un luogo del quale viene reinterpretata in maniera esperienziale ed immersiva la storia di ieri e di oggi, anche grazie all’inserto di alcuni manufatti provenienti da una chiesa di Arquata rasa al suolo dal terremoto del 2016, che Marras ha integrato all’interno della mostra.
Antonio Marras – Vedere per credere-
L’invito rivolto a Marras di interpretare il Genius loci del Forte Malatesta e la figura di un personaggio controverso come Cecco d’Ascoli rientra nella metodologia di Spazio Taverna, volta a riattivare le energie di luoghi e personaggi storici attraverso l’intervento e la reinterpretazione di artisti contemporanei.
“Il Forte Malatesta è un luogo di incontro di ombre, e questo è l’elemento che mi ha colpito e mi ha guidato nell’immaginare questa mostra” spiega Antonio Marras. “Luci, ombre, emozioni, desideri, sentimenti e passioni sono le vere protagoniste di questa mostra, concepita come un percorso che collega spazi fisici e mentali, apparizioni oniriche e reali” aggiunge Ludovico Pratesi. “Il Forte si trasforma grazie a Marras in un corpo vivo e pulsante, abitato da presenze naturali e soprannaturali, rianimate da opere che sembrano emergere dalle pieghe della storia per parlare al presente”. “Marras ha saputo trasformare storie e memorie dolorose in una folla di immagini, attraverso intense trame simboliche riattivate da una visione potente e vitale” aggiunge Marco Bassan.
La mostra, promossa dal Comune di Ascoli Piceno e curata da Spazio Taverna, sarà accompagnata da un catalogo, concepito da Antonio Marras, con testi di Francesca Alfano Miglietti, Marco Bassan, Donatella Ferretti, Antonio Marras, Stefano Papetti e Ludovico Pratesi.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo, concepito da Antonio Marras, con testi di Francesca Alfano Miglietti, Marco Bassan, Donatella Ferretti, Antonio Marras, Stefano Papetti e Ludovico Pratesi. Orari apertura: dal 9 marzo al 1° aprile 2025: martedì e giovedì 10.00-13.00; mercoledì e venerdì 15.00-18.00; sabato e domenica, festivi e prefestivi, 10.00-13.00 e 15.00-18.00; dal 1° aprile al 1° ottobre: dal martedì al venerdì 10.00-13.00 e 15.00-19.00; sabato e domenica, festivi e prefestivi dalle 11.00 alle 19.00. Biglietti: Ingresso museo: Intero €6; Ridotto €4; Scuole €2
Mostra promossa dal Comune di Ascoli Piceno, a cura di Spazio Taverna
Antonio Marras
Breve biografia di Antonio Marras Stilista italiano (n. Alghero 1961). Dopo aver lavorato come free-lance per varie aziende, nel 1996 ha realizzato la prima collezione con il suo nome che ha presentato nell’ambito dell’alta moda romana. Risale al 1999 il suo debutto nel prêt-à-porter. Tra i fili conduttori del suo stile, contraddistinto da una grande passione per l’artigianato, si ricordano gli omaggi al costume sardo e i numerosi riferimenti all’arte e alla letteratura. A partire dal 2003 ha affiancato alla linea donna una linea maschile. Sempre nel 2003 il Museo d’arte contemporanea Masedu di Sassari ha dedicato allo stilista la mostra Antonio Marras. Il racconto della forma. Nello stesso anno il gruppo francese LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy) lo ha nominato direttore artistico di Kenzo, carica ricoperta fino al 2011. Nel 2016 la Triennale di Milano gli ha dedicato la mostra antologica Antonio Marras: Nulla dies sine linea. Vita, diari e appunti di un uomo irrequieto, installazioni edite e inedite, disegni, schizzi e dipinti che raccontano il percorso visivo dell’artista. Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Archivi di Stato: sabato 8 marzo incontri, dibattiti e mostre per la Giornata internazionale della donna-
Roma, 7 marzo 2025 – Archivi di Stato in occasione della Giornata internazionale della donna– che si celebra l’8 marzo di ogni anno per ricordare l’importanza della lotta per i diritti delle donne, in particolare per la loro emancipazione – gli Archivi di Stato e le Soprintendenze archivistiche e bibliografiche hanno organizzato un ricco programma di iniziative sparse sul territorio.
Tra gli eventi più significativi, l’Archivio Centrale dello Stato, ha organizzato un incontro speciale rivolto alle scuole. Dopo una visita didattica a ‘Lo scrigno della memoria’, mostra permanente sulla storia dell’Unità d’Italia, il programma prevede la proiezione del cortometraggio scritto e diretto da Marco Migliozzi. L’Archivio di Stato Roma organizza la presentazione del libro ‘Ventuno parole per contenere 227 anni di storia femminile’, curato da Lidia Pupilli e Marco Severini, e promosso dall’Associazione di Storia Contemporanea, che si pone come uno strumento di ricerca e di riflessione riguardante la storia delle donne. L’Archivio di Stato di Venezia esplorerà la condizione femminile nell’epoca della Serenissima, mettendo in luce sui propri canali social figure di donne che seppero distinguersi in un mondo dominato in ogni settore dagli uomini. Protagonista sarà Caterina Cornaro, che nell’estate del 1472, a diciotto anni, si trasferì a Cipro per unirsi in matrimonio, secondo la volontà dello zio Andrea. Tuttavia rimase prima vedova, appena un anno dopo, mentre era in attesa di un figlio. Purtroppo anche il bambino morì l’anno successivo, lasciando la donna sola a regnare sull’isola, costretta a fronteggiare il conflitto per il controllo del regno, conteso tra spagnoli e veneziani. L’Archivio di Stato di Genova proporrà al pubblico sul proprio sito un percorso virtuale di documenti che tracciano il ritratto di tre donne genovesi di epoche diverse: Giovannina Pammoleo, Costanza Doria ed Emilia Belviso. L’Archivio di Stato di Bologna, invece, pubblicherà l’ultimo dei quattro episodi di “Sovversive”, il podcast di Alice Facchini e Guido Balzani, realizzato insieme all’Archivio di storia delle donne di Bologna-Associazione Orlando. All’Archivio di Stato di Verona, infine, si terrà il convegno dal titolo “Crinoline in posa. Eleganza ottocentesca nelle foto del fondo Giusti del Giardino”, a cui seguirà una rassegna documentaria.Giornata_internazionale_della_donna_2025_-_Iniziative_Istituti_archivistici
“Gli Archivi di Stato conservano testimonianze importanti sulle conquiste realizzate dalle donne in campo sociale, economico e politico. La lotta per l’emancipazione ha portato l’attenzione su questioni fondamentali come l’uguaglianza di genere, i diritti e le discriminazioni. E vi è una grande necessità di avere di queste battaglie, una conoscenza più ampia e completa possibile” dichiara Antonio Tarasco Direttore generale Archivi.
State Archives: Saturday, March 8 meetings, debates and exhibitions for International Women’s Day
On the occasion of International Women’s Day-which is celebrated on March 8 each year to commemorate the importance of the struggle for women’s rights, particularly for their emancipation-the Italian State Archives and the Archival and Bibliographic Superintendencies have organized a rich program of initiatives scattered throughout the territory.
Among the most significant events, the Central State Archives, has organized a special meeting aimed at schools. After an educational visit to ‘The Casket of Memory,’ a permanent exhibition on the history of the Unification of Italy, the program includes the screening of the short film written and directed by Marco Migliozzi. The Rome State Archives is organizing the presentation of the book ‘Twenty-one Words to Contain 227 Years of Women’s History,’ edited by Lidia Pupilli and Marco Severini, and promoted by the Contemporary History Association, which stands as a tool for research and reflection concerning women’s history. The Venice State Archives will explore the condition of women in the era of the Serenissima, highlighting on its social channels figures of women who knew how to distinguish themselves in a world dominated in every sector by men. The protagonist will be Caterina Cornaro, who in the summer of 1472, at the age of eighteen, moved to Cyprus to be united in marriage, according to the wishes of her uncle Andrea. However, she was widowed first, just a year later, while expecting a child. Unfortunately, the child also died the following year, leaving her alone to reign over the island, forced to cope with the conflict over control of the kingdom, which was disputed between the Spanish and the Venetians.
The Genoa State Archives will offer to the public on its website a virtual tour of documents that trace the portrait of three Genoese women from different eras: Giovannina Pammoleo, Costanza Doria and Emilia Belviso. The Bologna State Archives, meanwhile, will publish the last of four episodes of “Subversive,” the podcast by Alice Facchini and Guido Balzani, produced in conjunction with the Women’s History Archive of Bologna-Associazione Orlando. Finally, the Verona State Archives will host a conference entitled “Crinoline in posa. Nineteenth-century elegance in photos from the Giusti del Giardino fund,” which will be followed by a documentary review.
“The State Archives preserve important records on the achievements made by women in the social, economic and political fields. The struggle for emancipation brought attention to fundamental issues such as gender equality, rights and discrimination. And there is a great need to have of these struggles, the broadest and most complete knowledge possible,” says Antonio Tarasco, Director General of Archives.
Allegate n.5 foto relative alla Processione del 1992.
Filetta , località sita a 5km. dal capoluogo Amatrice, dove il 22 maggio 1472 ,dalla pastorella Chiara Valente, fu trovata una piccola immagine incisa su di un cammeo , che fu venerata dal popolo.
AMATRICE-Santuario di Filetta del sec. XV:
Nello stesso anno(1472), nel luogo in cui avvenne il rinvenimento dell’Immagine , fu eretta la chiesa di Santa Maria dell’Ascensione.
Il Santuario, nella facciata principale , presenta un portale ad arco acuto, un campanile a doppia vela e, lateralmente, un secondo ingresso.
L’interno della chiesa è ad una sola navata, il soffitto è a carena. I dipinti, di notevole interesse, sono opera degli Artisti Dioniso Cappelli, Pier Paolo da Fermo e di altri pittori minori locali.
Ogni anno, la domenica dopo l’Ascensione, il reliquiario, contenente la Sacra immagine, è portato in processione , dalla chiesa di San Francesco di Amatrice sino al Santuario di Filetta.
La Processione, prima di avviarsi verso Filetta, sosta nella chiesa del Crocifisso in Amatrice, dove il reliquiario viene preso in consegna, dopo una piccola cerimonia, dal Parroco di S.S. Lorenzo a Flaviano, il quale ha la giurisdizione ecclesiastica su Filetta.
La processione dei fedeli riprende il cammino e giunta al torrente Mareta si congiunge con i cortei delle Confraternite di S.S. Lorenzo a Flaviano, che hanno il privilegio di accompagnare la Madonna del Santuario di Filetta, restando, come indica il cerimoniere, in prima fila. Questa processione , come è sopra descritta, si rinnova da secoli rispettando ogni parte del vecchio cerimoniale.
Le foto allegate al post:
A) Madonna di Filetta;
B) Santuario di Filetta del sec. XV:
C) Filetta di Amatrice – la casa della pastorella Chiara Valente, la quale, il 22 maggio del 1472, trovò la Sacra Immagine della Madonna;
D) Amatrice-Chiesa di San Francesco (sec.XIII)-Altare ligneo con fregi, capitelli e pregiati lavori d’intaglio. Al centro, la Sacra Immagine della Madonna di Filetta, custodita nell’artistico e prezioso reliquiario- Particolare :le famose 7 chiavi con cui viene chiusa.
E) Seguono n.5 foto relative alla Processione del 1992.
AMATRICE- Festa della Madonna della Filetta.AMATRICE-Santuario di Filetta del sec. XV:Filetta di Amatrice – la casa della pastorella Chiara Valente, la quale, il 22 maggio del 1472, trovò la Sacra Immagine della Madonna;AMATRICE-Sacra Immagine della Madonna di FilettaAMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.AMATRICE-foto relative alla Processione del 1992.
Roma-L’Arte dei Papi. Da Perugino a Barocci in mostra a Castel Sant’Angelo-
Roma, Castel Sant’Angelo dal 6 marzo – 31 agosto 2025-Una mostra immaginata come esperienza dell’anima. La migliore pittura italiana declina i temi essenziali del Vangelo: l’infanzia, il perdono, il volto della Madre, la lezione della povertà, la speranza dell’amato innamorato, la sapienza dei santi e la fedeltà della Chiesa. È una mostra che vuole oltrepassare i confini della storia dell’arte, offrendo un viaggio spirituale attorno alla bellezza come riscoperta del senso della vita
Roma-L’Arte dei Papi in mostra a Castel Sant’Angelo-
L’ARTE DEI PAPI. Da Perugino a Barocci, ideata dal Centro Europeo per il Turismo e la Cultura, presieduto da Giuseppe Lepore, organizzata in collaborazione con Castel Sant’Angelo, diretto da Massimo Osanna, e con il patrocinio del Dicastero per l’Evangelizzazione Giubileo 2025 presieduto dall’Arcivescovo Rino Fisichella, è la mostra che Castel Sant’Angelo offre al pubblico dal 6 marzo al 31 agosto, in occasione dell’anno giubilare 2025.
L’esposizione vuole essere il racconto di una città che sogna d’essere santa. I grandi artisti e l’impegno dei Papi hanno reso Roma non solo il patrimonio dallo splendore incomparabile ma anche quell’idea di città costruita sul desiderio cristiano di esaltare la bellezza, la memoria, la civiltà della tradizione, la dignità e l’ideale universalistico di un uomo riscattato dal dolore. La mostra è soprattutto un’esperienza tematica. Fuori dal rigore cronologico, declina i temi evangelici: l’infanzia, la maternità, la gioia e la sofferenza, la resurrezione, la misericordia, la speranza.
L’ARTE DEI PAPI narra, opera dopo opera, i sogni e le aspirazioni dell’essere umano nel riconoscere in sé un “seme divino”. La Madonna con il Bambino, San Giuseppe e San Pietro Martire di Andrea del Sarto indica la gioia dell’esser famiglia, così come lo manifesta l’esaltazione pittorica dell’opera di Giovanni Gerolamo Savoldo l’Adorazione del Bambino con San Girolamo e San Francesco. Per il visitatore, il racconto vuole essere un’esperienza vissuta, quel momento di raccoglimento e di serenità che solo l’arte, nel suo stupendo stupore, sa offrire. Capitoli dell’esposizione sono affidati all’Adorazione dei pastori di Luigi Crespi, all’Annunziata di Carlo Maratti e, al contempo, ai sogni del Perugino, di Annibale Carracci, Pietro da Cortona, del Cavalier d’Arpino, di Pompeo Batoni, Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato, Anton Raphael Mengs, Battistello Caracciolo o delle nubi rosate di Federico Barocci. Le incursioni storiche sono molteplici; molti i ritratti dei papi; singolari le esplorazioni dell’arte contemporanea dedicata al sacro, come l’opera di Bruno Ceccobelli, Giuseppe Salvatori, Luigi Stoisa e di Giorgio Di Giorgio.
Un punto di forza istituzionale è il fatto che abbiano collaborato molti istituti nazionali del Ministero della Cultura, quali le Gallerie Nazionali di Arte Antica-Palazzo Barberini e Galleria Corsini, la Galleria Nazionale dell’Umbria, la Galleria Nazionale delle Marche e i Musei Reali di Torino-Galleria Sabauda, oltre all’Accademia Nazionale di San Luca e ad alcune istituzioni comunali quali il Museo della Città civico diocesano di Acquapendente. Del patrimonio di quei soggetti prestatori sono stati privilegiati i depositi e le opere rare di grandi artisti ma non solo, nell’idea che un punto di forza della mostra sia anche la “restituzione” al visitatore di un mondo artistico tanto vasto quanto, per alcuni aspetti, poco conosciuto. Aspetto sostenuto dal dott. Mario Turetta, Capo Dipartimento per le attività culturali del MiC, per il quale non c’è recupero che non sia valorizzazione di un immaginario culturale storico che esiste e che tuttavia è ancora da ridisegnare, facendolo emergere dai depositi.
La mostra è curata da Arnaldo Colasanti, in collaborazione con Annamaria Bava.
Arch. Maurizio Pettinari-POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Arch. Maurizio Pettinari-POGGIO NATIVO: Convento di S. Paolo. Cenacolo del Refettorio.
Un’analisi al particolare del pregevole affresco.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari–Un’analisi al particolare del pregevole affresco.La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Convento di San Paolo – Poggio Nativo (Rieti)
Nei pressi dell’abitato sorge la Badia delle suore benedettine di S. Paolo che, rimasta disabitata per circa dieci anni dopo le guerre del papa Pio II, fu ceduta nel 1471 ai frati minori di San Francesco. Di questa badia si trova una prima menzione nel Codice Barberiniano Latino nell’anno 1322. Fu edificata in una zone ove quasi certamente era esistita una villa romana, poiché , quando passò ai francescani che ampliarono il monastero e la chiesa, vennero alla luce sepolture e grosse tegole di terracotta, simili a quelle rinvenute negli antichi cimiteri di Roma e numerosi altri reperti. “molte fabbriche sotterranee alla foggia di conserve di acqua, non più grandi di una gran cassa capace di due grandi cadaveri, molte vittine di terracotta… quantità grande di pezzi di finissimo marmo et un cavallo di bronzo vuoto dentro, di peso di 40 libbre romane e così ben formato dall’arte che non haveva di che invidiar la natura che nella vita. Molte monete di Roma di bronzo et una anche d’oro, di valore di sei scudi romani, cioè di Vespasiano, Galba e Caracolla. Onde parmi si possa dire in questo luogo medesimo fosse in quei trasandati secoli qualche nobile e ragguardevole edificio romano”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
La costruzione dell’abbazia risale alla metà del XIII secolo (1261). Ne fa fede un’iscrizione ancora leggibile, scolpita nell’architrave dell’attuale porta della chiesa del convento, che doveva essere lo stesso architrave della porta della primitiva chiesa abbaziale delle suore:
AD PORTV(M) VI(TA)E QVI Q
FERT VENIT E TER(R)AM
CALCANTES SVRSVM PIA(M)
CORDA(M) LEVANTES
ARCHIPR. ODO HOC OP(VS)
ANN(O) DMNI MCCLXI
Secondo P. Ludovico da Modena fu il monastero di Farfa “assai famoso per lunga giurisdizione, che fabbricò un divoto monastero di Monache in detto territorio, sotto l’invocazione di S. Paulo, assegnandoli tutto il territorio in dote con l’aggiunta di due altre considerevoli tenute chiamate anche hoggi S. Severino una e Carpignano l’altra, delle quali tenute si vede il monastero suddetto in pacifico possesso, come consta da un antichissimo instromento fatto dalla Madre Abbadessa, con un tale di Toffia, a cui diede le mole del Poggio Nativo in affitto, et essa si sottoscrisse in tale forma = Suor Massimilla Abbatissa S. Pauli S. Severini et Carpignani =”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Le suore vi rimasero fino al 1460 (la loro presenza è attestata già nel 1343 nel Registrum Jurisdictionis Episcopatus Sabinensis in cui sono registrate tutte le visite effettuate in quell’anno dal vescovo della diocesi di Sabina, Cardinal Pietro Gomez de Barcos), poi papa Pio II ordinò che si trasferissero a Roma, ove furono accolte (e qui le notizie sono discordi) o nel monastero di Campo Marzio o in quello di Tor de’ Specchi o di S. Ambrogio. Il monastero rimase disabitato per oltre dieci anni, durante i quali non vi si celebrarono funzioni religiose. Minacciava di andare in rovina ed il pontefice Paolo II, pochi giorni prima di morire, accogliendo le insistenti preghiere della popolazione e su istanza stessa del Capitolo della Basilica vaticana, cui il castello confiscato era stato assegnato, nel 1471ordinò la cessione del monastero ai frati Minori Osservanti di San Francesco (che nel 1596 passò ai Padri Riformati di San Francesco), “perché abitandolo ne evitassero la ulteriore rovina.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Nel novembre dello stesso anno papa Sisto IV ratificò la concessione, che divenne pertanto operante. Ne riporta la notizia il Wadding: Extra muros castri Podii Donadei, vulgo Poggio Nativo, Dioc. Sab. constitit olim Monasterium S. Pauli Monalium S. Benedicti, quod ruinae proximum, et incolsi destitutum, unicum et Capitulo Basilicae Principis Apostolorum de Urbe. Castri universitas et Capitulum praedictum, cuius temporali dominio praedictum castrum tunc erat subiectum, rogarunt Paulum pontificem ut liceret illud in Conventum Minorum converti. Annuit Paulus, paucis ante obitum diebus, non scilicet Kalendis Augusti; sed cum, superveniente morte, de hac re litterae non fuissent confectate, suas dedit Sixtut hoc anno 8 kalendis septembris quibus rata voluti Pauli concessionem. Commodus est Conventus paretque fratribus strictioris observantiae Provinciae Romanae Anno 1471 Sisto IV anno I – Federico III imp. A. 32.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
I frati, con l’aiuto della popolazione (oppidanorum sumptibus) presero, appena possibile, a ricostruire e ad ingrandire il convento. La vecchia chiesa del monastero fu trasformata in Coro, che fu arredato con magnifici scanni in legno intarsiato tuttora ben conservati: l’opera fu ultimata nel 1482 e questa data la si trova scolpita nell’architrave di una porticina situata nella parete di sinistra, che mette dal Coro alla torre campanaria. Fu costruito un nuovo refettorio, lo stesso attualmente in funzione, ed il vecchio fu trasformato in magazzino; recentemente in una parete di quest’ultimo sono venuti alla luce affreschi di pregevole fattura, raffiguranti Gesù assiso tra gli apostoli nell’Ultima Cena ed un S. Francesco d’Assisi. Fu ex novo costruita l’attuale chiesa (nel pavimento in cotto furono inclusi i magnifici marmi intarsiati con mosaici di fattura cosmatesca che erano nella vecchia chiesa) ed il monumentale altare maggiore, che ai due lati ha le statue di S. Giacomo e S. Filippo, fu riccamente ornato di pregevoli marmi.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Nell’unica navata sono sei cappelle, concesse in patronato alle nobili famiglie del luogo, i cui stemmi gentilizi fanno tuttora mostra di se negli archi delle stesse. Il portale della vecchia chiesa venne riutilizzato anche per la nuova. P. Ludovico da Modena così lo descrive: “ ha soglie di finissimo marmo listato di antico e pretioso mosaico con lettere e millesimo apportato di sopra et è probabile, anzi comune opinione, siino quelle soglie le medesime che servirono alla porta dell’antichissima chiesa delle Monache”. Ai lati del portale sono due pitture murali rappresentanti la decollazione di S. Paolo e la crocifissione di S. Pietro.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Dal citato manoscritto del P. Ludovico da Modena si apprende ancora: “in prosieguo di tempo, vedendo i religiosi esserci necessarie più stanze per dare ai poveri passeggeri religioso e comodo ricovero, determinarono nuovo dormentorio fabbricare, e con tale occasione anche nuove officine e fu cominciato l’anno 1672, quando il feudo era già stato acquistato dai Borghese. Avendo cominciata la fabbrica soverchiamente maestosa e più da ricchi monaci che da poveri Riformati, non è per anche finita benché siino ad hora 26 anni trascorsi, e vi siano fatte considerabili spese, provenienti dalla bontà et amorevolezza delle povere genti. Sono in convento stanze abitabili in ambedue li dormitori, vecchio e nuovo, sino al numero di 31, oltre le officine che di tutta comodità vi godono tanto superiori quanto anche inferiori e sotterranee. Vi è una assai comoda Libraria, ricca di 685 pezzi di libri”.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Questa fu successivamente dotata di altri pregevoli libri per le sollecite cure del reverendo padre Francesco Antonio da Collelungo, come è tramandato dalla seguente epigrafe:
D.O.M.
UT SUORUM CONSODALIUM
PROSPICERET
BIBLIOTHECAM HANC EXCITAVIT SELECTISQUE LIBRIS
LOCUPLETAVIT
FRANCISUA ANTONIUS A COLLILUNGO LECTOR EMERITUS
CONCILII ROMANI SUB BENEDICTO XIII THEOLOGUS
SACRORUMQUE RITUUM CONGREGATIONIS CONSULTOR
ANNO MDCCXL
Nell’interno del convento è un chiostro con il caratteristico pozzo d’acqua al centro e con spaziosi porticati, nelle cui pareti, nelle lunette, sono affrescate scene della vita di S. Francesco d’Assisi.
In questi ultimi anni la chiesa ha subito nuovi rifacimenti di gusto molto discutibile, in quanto soffitto e pavimento modernissimi offrono un contrasto troppo stridente con quello che è lo stile prevalentemente barocco della chiesa. Sono di conseguenza scomparse dal pavimento le lastre di marmo intarsiate con il mosaico cosmatesco che dava austerità e solennità all’ambiente.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
“nel Coro eranvi a quel tempo ragguardevoli quadri in tela rappresentanti i diversi misteri dell’humanato Iddio, della Sua dolcissima Madre e altri Santi del cielo. Vedevasi nel mezzo della volta del Coro un Salvatore dipinto, a cui hanno dato li nimici dell’antichità ai tempi nostri il bianco, che mostravasi fosse posto un principio della sua erezione, cioè quando fu edificato per chiesa delle Monache”. Sopra il detto Coro si vede ancora il vecchio campanile delle suore: “sono nella Tribuna per vago ornamento di essa dui quadri riguardevoli che ne rappresentano quello in corno epistulae S. Salvatore d’Horto… vedesi anche in alto nella Tribuna medesima, sopra un pezzo di finissimo marmo il seguente millesimo scolpito: …”.
Il Guardabassi vide “presso l’altar maggiore una tavola a tempra in fondo oro: Maria in trono con Gesù e ai lati S. Paolo e S. Francesco; nel gradino si legge Anthonatius Romanus pinxit”. Il dipinto rimase ignorato per moltissimi anni, finché Diego Angeli, solerte studioso e ricercatore di antichità, lo ritrovò “sotto un cumula di immondizie nel convento di S. Paolo”. Il campo artistico nazionale ed internazionale si interessò alla ritrovata tavola ed Adolfo Venturi ottenne che la Sovrintendenza alle Bella Arti l’acquistasse per curarne il restauro e l’esposizione al pubblico: acquistata dallo Stato fu restaurata ed esposta nel museo di Palazzo Venezia, quindi alla Galleria Nazionale Romana di Palazzo Barberini, ove si trova tuttora. La tavola misura 1,66m x 1,55m ed il primo a studiarla minuziosamente fu lo stesso Venturi il quale, parlando dell’attività di Antonio Aquilio, detto Antoniazzo Romano, così ne scrive: “ma il campo maggiore dell’attività dell’artista dovette essere la Sabina, donde proviene il quadro della Galleria Nazionale segnato Anthonatius Romanus pinxit e con la data in una tabellina MCCCCLXXXVIII.
A Poggio Nativo, ove si trova un’altra pittura di Antonizzo, il quadro stava sulla parete della soppressa chiesa di S. Paolo. Rappresenta la Madonna in trono di marmo rosso col Bambino in piedi benedicente sulle sue ginocchia, S. Paolo a sinistra e S. Francesco a destra su fondo oro. L’opera eseguita con la rapidità propria di un frescante; e molte parti si disegnano di primo acchitto, con segni facili e pronti, sulle carni e sulle vesti condotte a tratti e sfumate. Il divin Bambino non manca di bellezza nelle forme sane e forti, né S. Paolo della sua energia; la Vergine è meno piacente per la pienezza delle forme e così S. Francesco per la poca spiritualità. È opera dell’età matura di Antoniazzo, quando si erano in lui affievoliti gli influssi del suo grande maestro Melozzo da Forlì”.
Gino Focolari a proposito del trittico dello stesso artista, conservato nell’antica cattedrale di S. Pietro in Fondi, che riproduce in maniera identica la figura della Vergine e di S. Paolo, così scrisse: “il trittico di Antoniazzo assomigliano un poco al quadro che si conserva nella Galleria Nazionale di Roma, proveniente da Poggio Nativo; la Madonna ha la stessa faccia stretta e lunga, con l’alta fronte e il naso diritto che si unisce alle sopracciglia con disegno schematico un poco duro, gli occhi dalle pupille tonde e nere che guardano fisse e come trasognate, le labbra strette insieme e sporgenti come nella Madonna e nella S. Lucia della tavola di Antoniazzo nel duomo di Capua. La Madre divina stende intorno alla nudità del Bambino lo stesso velo trasparente, e le mani aperte con le lunghe dita piegate leggermente stanno nell’atteggiamento di chi tocchi e suoni un istromento a corde. Nello sportello di destra il pittore ha ripetuto la figura di S. Paolo con lo spadone e col libro, imponente nella sua rigida immobilità…”.
La datazione controversa colloca il quadro tra il 1460 e il 1489.
La tradizione locale attribuisce all’Antoniazzo anche l’affresco che è nella lunetta della Porta di S. Paolo del paese, che fu innalzata verso la fine del XV secolo, dopo il ritorno del castello dei Savelli; l’affresco non è purtroppo ben conservato, essendo esposto alle intemperie e non mostra pertanto caratteristiche sufficienti per poterne stabilire con esattezza la paternità; il dipinto riproduce la figura di S. Michele.
Appesa alle pareti del coro sono rimaste alcune tele di qualche pregio e precisamente: nella tribuna un quadro raffigurante la conversione di S. Paolo (restaurato dalle mani di un artista locale in obsequium Divi Pauli magis crescens ac magis Johanna Crescentii Pauletti hanc renovavit iconem MDCCXXVIII), una discreta Deposizione nella parete di destra, una Natività ed un S Antonio in quella di sinistra, un grande quadro nella parete di fondo che raffigura S. Anna nell’atto di insegnare la scrittura alla Madonna che ha ai suoi lati S. Francesco e S. Bernardino.
Altare maggiore: ha incorniciata una grande tela di ottima scuola raffigurante S. Paolo che mostra a S. Francesco e a S. Pasquale una sua epistola; nella parte più alta un quadro di minori dimensioni ma di ottima fattura che rappresenta la Santissima Vergine col Bambino attribuito forse a torto ad Antoniazzo Romano.
I cappella: con l’altare dedicato alla Madre degli Angeli per la presenza di un grande quadro “con la bellissima effigie dipinta in nuovo, che da numerosa moltitudine d’Angeli coronata ne La rappresenta, insieme con li Santi Antonio Abate et Egudin similmente Abate”. È ora sostituito da un quadro con l’immagine della Vergine col Bambino. L’arco della cappella è sormontato da un elaborato stemma gentilizio della famiglia Sassi, poiché la cappella fu concessa in patronato a questa famiglia e vi furono tumulate le salme di persone appartenenti alle famiglie Ruffetti, Ottaviani e Mazzetti.
II cappella: con l’altare dedicato a S. Anna in quanto vi era collocato il quadro che attualmente è nel coro, ora sostituito da un dipinto di buona maniera raffigurante Cristo sotto la croce e S. Giovanni. Nell’arco della cappella, che appartenne alle famiglie Pascazi e Giordani, è lo stemma gentilizio attribuibile a una delle suddette famiglie.
III cappella: detta della Circoncisione, essendovi delineato da buona mano “in muro il misterioso fatto della circoncisione di Cristo et anche il nostro S. Padre stigmatizzato, che in tanto mistero devotamente adora”. La cappella appartiene alle famiglie Colantoni e Farsarelli.
IV cappella: con l’altare dedicato a S. Antonio, appartenente ai Pisauri, poi agli Angelici-Traversa ed in ultimo ai Pompei. Vi era una tela “con S. Antonio che accarezza il Bambino e dipinta in muro la gloriosa S. Barbara Vergine e Martire”. Attualmente sono venute alla luce pitture murali raffiguranti S. Giovanni a destra e S. Biagio a sinistra con la seguente iscrizione: “Clara Christi germina immaculatae Virginis Beatorum Johannis Baptistae Blasii atque Antonii vos precarum supplices pro nobis Deo supplicare ut vestris meriti set precibus de regnum consequamur. Amen Pisaurus Podii Donadei Archypresbiter Palumbariae fieri curavit die X 8bris MDLX (segue stemma gentilizio)”.
V cappella: con l’altare dedicato alla conversione di S. Paolo, appartenente ai signori Paletti prima, poi concesso ai marchesi Ciccalotti. Vi era una tela raffigurante la conversione dell’apostolo, ora situato nella tribuna del coro ed al suo posto è stata collocata la statua di S. Francesco.
VI cappella: altare dedicato a S. Pietro d’Alcantara, è più recentemente detta del Crocifisso e posta sotto il patronato della famiglia dei baroni Brunetti. Di un certo pregio artistico sono pure i 14 quadretti delle stazioni della Via Crucis, opera firmata da “F. Joseph Venetus inventor. Anno 1737”.
L’ultimo rinnovamento della chiesa fu fatto dopo il terremoto del 1915, che vi produsse serie lesioni, ad opera di P. Atanasio Pecci dei Minori si S. Francesco che ne fu parroco. In quell’occasione fu riparato il tesso, fu abbellito il soffitto, furono convenientemente rafforzate le mura maestre e fu rifatto il pavimento, avendo cura di lasciare in si tu le epigrafi sepolcrali.
La pavimentazione: La mancanza di documentazione precisa riguardo l’originaria sistemazione interna della chiesa antica di S. Paolo, prima della sua trasformazione nel Coro dell’attuale impianto, non permette di stabilire con esattezza assoluta la collocazione dei cinque pannelli. Da una attenta analisi dei manufatti in questione sono emersi dati significativi per la ricostruzione della loro funzione primitiva: la tecnica dell’intarsio e le dimensioni dei pannelli inducono a pensare ad un loro impiego come elementi verticali. Sappiamo da Padre Ludovico da Modena che al momento della costruzione della chiesa del XV secolo, nel nuovo pavimento si inclusero i marmi intarsiati di fattura cosmatesca che provenivano dal vecchio edificio e che il nuovo altare maggiore fu riccamente ornato di pregevoli marmi. Supponendo che il nuovo altare ne abbia sostituito uno più antico, ma altrettanto importante, l’ipotesi più plausibile sembra essere quella per cui i cinque pannelli facessero parte dell’antica decorazione dell’altare maggiore, poi smembrati e riutilizzati disordinatamente nel pavimento della chiesa del XV secolo. Se così fosse, questa sarebbe stata la posizione dei pannelli nell’altare: al centro il pannello E con quincunx con croce, al lati i pannelli A e B con fiori a quattro petali lanceolati, sui lati minori le lastre C e D.
Si tratta di cinque lastre in marmo bianco venato con decorazioni a commesso marmoreo:
– Pannello A: l’unico ad esserci pervenuto in buono stato di conservazione, è composto di una lastra di marmo bianco venato (dimensioni: 60cm x 43cm; spessore: 3cm circa) mutila nella parte alta e decorata da una doppia incisione (quella più esterna è larga ca. 1,5cm, mentre quella esterna solamente pochi millimetri). La lastra marmorea mostra un incavo di 20cm x 50cm al cui interno è presente la decorazione ad intarsio nella quale si può riconoscere il motivo a cerchi intersecanti che generano fiori a quattro petali lanceolati, che includono un quadrato in porfido rosso di 3cm x 3cm posto diagonalmente e negli spazi di risulta triangolini in porfido rosso e porfido verde alternati a triangolini di calcare bianco. Nella zona inferiore è inserita una stretta fascia di riempimento composta da listelli di porfido verde dello spessore di ca 2,5cm. Completano la decorazione sui lati lunghi e nella parte superiore del pannello listelli porfiretici verdi e rossi alternati.
– Pannello B: giunto a noi quasi del tutto privo delle tarsie marmoree appartenenti alla decorazione, mostra caratteristiche tipologiche (dimensioni: 60cm x 43cm; spessore: 3cm circa) e decorative del tutto analoghe al pannello A. composto da una lastra di marmo bianco venato mutila nella parte bassa e decorata da una doppia scanalatura, presenta uno schema decorativo uguale a quello già visto e descritto nel pannello precedente.
– Pannello C: Anche esso di marmo bianco (dimensioni: 67cm x 52cm; spessore: 3,5cm circa) è giunto a noi piuttosto danneggiato. Si può riconoscere uno schema disegnativo a quincunx del tipo più canonico con cinque rotae annodate, di cui quella centrale (24cm di diametro) probabilmente a disco centrale in porfido e fascia circolare, quelle periferiche, anch’esse con dischetto porfiretico al centro e fascia che si annoda secondo lo schema consueto. Dei quattro dischetti in porfido contenuti nelle rotae angolari rimane solamente quello in basso a sinistra di 4,5cm ca. di diametro. Nella campitura dello spazio lungo nel lato corto superiore è da notare, oltre ai soliti triangoli in porfido e calcare, anche l’uso di listelli e quadratini anch’essi di materiale porfiretico.
– Pannello D: si presenta mutilo di tutta la porzione angolare superiore di sinistra. Anche esso di marmo bianco con venature (dimensioni: 67cm x 52cm; spessore: 3,5cm circa), riproduce un disegno decorativo che ricorda espressamente il quincunx a quadrato centrale. Tale quadrato, privo della decorazione ad intarsio, si raccorda, tramite le annodature caratteristiche dello stile cosmatesco, con quattro rotae a fascia che si impostano al centro dei quattro lati del quadrato stesso. La campitura dell’annodatura e della rota superiore, di dimensioni minori rispetto a quella inferiore, presenta un intarsio marmoreo del tutto analogo a quello descritto per il pannello C. Nella rota inferiore invece si apprezza uno schema a clessidre composto da triangolini di porfido verde e di calcare bianco intervallato da elementi di forma quadrata e trapezoidale in porfido rosso. Gli spazi di risulta al centro dei quattro lati e negli spazi angolari sembrano anch’essi campiti dallo stesso motivo. Al centro di ciascuna rota un dischetto in porfido rosso di ca. 4-5cm di diametro completa il motivo decorativo secondo la consuetudine dello stile cosmatesco.
– Pannello E: Pervenutoci interamente spogliato dell’antica decorazione, presenta solamente alcuni piccolissimi frammenti di porfido su un braccio della croce. Del tutto integra è invece la lastra di marmo bianco venato di forma perfettamente quadrata (dimensioni: 70cm x 70cm; spessore: 3-4cm circa). Dal disegno dell’incavo, nel quale alloggiava il commesso marmoreo, si può ricostruire facilmente lo schema del pannello. Anch’esso presenta il quincunx a quadrato centrale con quattro rotae a fascia che si impostano al centro dei quattro lati dello stesso, ciascuna con dischetto centrale. Quadrato e roate sono raccordati tramite annodature spezzate. Il quadrato centrale presenta un motivo decorativo composto da una croce a quattro bracci di eguali dimensioni (10cm di lunghezza) e da quattro sfere di 8cm di diametro poste tra i bracci. Al centro si trova un incavo di forma quadrata di 6cm di lato
Il borgo sorge su uno scosceso sperone di roccia a 455 metri s.l.m. sulle propaggini meridionali dei monti Sabini. Il territorio comunale è di tipo collinare, tipico delle colline della Sabina, ed è caratterizzato da un andamento ondulato e ricco di vegetazione. La caratteristica morfologia collinare del terreno favorisce, principalmente, la coltura della vite, dell’ulivo, mentre il grano è coltivato negli appezzamenti più grandi. Nelle zone più impervie si conservano le macchie, caratteristiche dei colli sabini.
Nella maggior parte dei documenti medievali disponibili, la denominazione di Podium de Donadei (o Podium Donadei) deriva probabilmente dal nome di quello che viene identificato come il fondatore del paese, un possidente locale chiamato Donadeo (o Donadio). Non esiste però una documentazione concreta che possa permettere di identificare in modo inequivocabile il presunto Donadeo. Una versione più accreditata sull’origine del nome è invece legata alla posizione arroccata in cima ad una collina che il paese occupa. Tale posizione lo rendeva difficilmente accessibile e, in epoca medievale, ciò rappresentava un grande vantaggio per la difesa del paese, in quanto questo offriva un sicuro rifugio alla popolazione durante le invasioni barbariche del periodo e venne per questo battezzato “podium donum Dei”, dono di Dio.
Qualunque sia stata la sua origine, tuttavia, l’antica denominazione “Podium de Donadei” o solamente ”Podium Donadei”, negli anni, attraverso le corruzioni linguistiche del latino e l’evoluzione del volgare, si sarebbe evoluta in “Podium Donadei, poi Podio Donadeo, per passare a Poggio Donadio, Poggio Nadio, Poggio Natio ed infine a Poggio Nativo, come lo conosciamo oggi.
Storia
Il territorio di Poggio Nativo risulta abitato già durante l’età del Bronzo. In località Casali di Poggio Nativo, lungo le pareti del Fosso di Riana, sono presenti due grotticelle che hanno restituito reperti ceramici pertinenti all’età del Bronzo antico e medio, entrambe indicate con il toponimo di Battifratta. Accanto ai frammenti ceramici vennero rinvenute anche parti scheletriche umane, pertinenti ad una sepoltura “in grotta”. Questo fece supporre che entrambe le grotte fossero destinate ad uso funerario ed adibite a sepolcreto. Tuttavia la presenza di fauna selvatica, tra cui i resti osteologici di cervo, cinghiale, capriolo, tasso e lupo, farebbe supporre che la prima grotticella venisse utilizzata anche come postazione durante i periodi di caccia[5].
Il primo nucleo abitato, databile all’alto Medioevo, si trovava probabilmente nella parte più alta. In quel luogo, ben protetto e più sicuro, si erano rifugiati gli abitanti del contado in seguito all’invasione saracena. Nella metà del XII secolo, il possessore del Podium Donadei era Rainaldo Senibaldi che lo donò al papa, sotto la cui giurisdizione rimase fino al ‘400, quando passò ai Savelli, sotto il cui dominio il borgo fu protagonista di un episodio ricordato nei Commentarii di papa Pio II. Poggio Nativo, dopo aver ospitato in paese per ordine di Jacopo Novelli le truppe del Piccinino al soldo dei Braccesi, fu cinto d’assedio dalle truppe pontificie guidate da Antonio Piccolomini. Il castello si arrese, ma quando il Piccolomini, con la scorta, ebbe varcato l’accesso al centro le porte furono chiuse e il drappello catturato. L’esercito papale reagì e fece irruzione nel paese sottoponendolo a saccheggio e distruzione. Vent’anni più tardi, nel 1480, Poggio Nativo tornò in possesso dei Savelli e nel XVII secolo passò sotto il dominio dei Borghese, che ne furono proprietari per lungo tempo. Durante il secondo dominio della famiglia Savelli fu eretto il castello, fu ricostruita dalle fondamenta la chiesa di San Paolo, con l’annesso convento (risalenti al XIII secolo), e furono apportati considerevoli miglioramenti all’assetto urbano.
I Borghese nel 1600 ne divennero duchi, esercitandone i diritti fino all’abolizione della feudalità (1816), cui spontaneamente rinunciarono.
Poggio Nativo è patria dell’insigne umanista Francesco Floridio.
Simboli
Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 18 ottobre 2002.[6] Lo stemma si può blasonare:
«d’azzurro, al monte di tre cime all’italiana di verde, movente dalla punta, sostenente una colomba sorante dello stesso, con la testa rivolta, tenente col becco un ramoscello di verde. Ornamenti esteriori da Comune.»
Il gonfalone è un drappo di bianco.
Monumenti e luoghi d’interesse
Della rocca-palazzo ben poco rimane, soprattutto in conseguenza del funesto terremoto del 1915 che lo rase al suolo quasi completamente: ne rimangono oggi, al centro del paese, due livelli di finestre quattrocentesche murate ed un bastione poligonale.
Fonte-Wikimedia-enciclopedia multilingue liberamente consultabile sul Web.
Nota e Foto sono dell’Arch. Maurizio Pettinari
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
POGGIO NATIVO(RI) : Convento San Paolo. analisi Cenacolo del Refettorio.
Roma ,Metti una mattina alle ore 05:00 al Portuense tra Viale di Vigna Pia e l’Ospedale Lazzaro Spallanzani
Franco Leggeri Fotoreportage -Roma-Metti una mattina alle ore 05:00 tra via Portuense-viale di Vigna Pia e l’Ospedale Lazzaro Spallanzani–Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, la scuola di Cinema, la scuola di Musica, le Palestre , il Bistrò ,i Bar ,i Ristoranti, le Pizzerie e ancora i Parrucchieri e gli specialisti per la cura della persona e come non ricordare l’Ottica Vigna Pia .Non mancano gli Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra ragazzi ,oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico. Infine, vedendo il tronco della palma tagliato, ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma,lungo via Folchi ,con inizio dalla via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri, ma dimenticati su questo muro di cinta . I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta dell’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, lato via Folchi, fa da “sostegno” e “tela” ai murales realizzati in questi 270 metri. L’Opera fu iniziata nel febbraio del 2018 e completata e inaugurata il 3 maggio dello stesso anno. Nei Murales sono immortalati i 13 volti di Scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Il progetto dei Murales, finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, è stato realizzato grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica grave pecca ,ahimè, non vi è immortalata nessuna donna.
Roma -Università la Sapienza-È stata fondata da papa Bonifacio VIII, il 20 aprile 1303, l’università più laica d’Italia: “La Sapienza”; la più grande d’Europa e la ventunesima ed essere nata al mondo.
Un papa che con il concetto di laicità aveva un rapporto molto personale. E cioè grande interesse, attenzione e rispetto, purché anch’essa fosse sottomessa completamente all’autorità religiosa.
A modo suo laicissimo, visto che era più interessato a cultura, politica e turismo ante-litteram che alla spiritualità, non riusciva però proprio a tollerare che tutto questo potesse muoversi autonomamente, senza riconoscere al vicario di Cristo il potere supremo. Mai contrappasso fu più sublime, di un’Università pontificia che oggi ostenta nel nome e nel suo monumento-simbolo una divinità pagana: Minerva, dea della Sapienza, la cui statua troneggia di fronte alla grande vasca nel mezzo della città universitaria e che non bisogna mai guardare – secondo una leggenda studentesca – prima di sostenere gli esami.
Forse fu il più teocratico dei pontefici dell’intera storia della Chiesa, Benedetto Caetani. Era nato ad Anagni, nel Lazio, intorno al 1230 e apparteneva ad una delle famiglie più importanti della Roma medievale che, originaria di Pisa, si spartiva con gli Orsini e i Colonna papi e potere.
Di temperamento energico e dotato di grandi capacità diplomatiche, rese ancora più decisive da una notevole cultura e da profonde conoscenze giuridiche, Benedetto aveva studiato prima a Todi e poi a Bologna, dove si era laureato in Diritto Canonico; poi aveva iniziato la carriera diplomatica in Laterano, prendendo parte anche ad una importante e delicata missione a Londra.
Diventato cardinale a 51 anni e sacerdote dieci anni dopo, nel 1291 era stato in missione in Francia per dirimere una controversia tra clero secolare e ordini religiosi e aveva partecipato a quattro conclavi: quello che aveva eletto Onorio IV nel 1285, quello da cui era uscito papa per la prima volta un frate francescano (Niccolo IV, nel 1288) e poi quello – lunghissimo – seguito alla morte di Nicolò nel 1292 e che era rimasto bloccato due anni a causa della lotta tra le famiglie rivali. Dall’impasse si era usciti quando era venuta fuori l’idea di eleggere una figura completamente al di fuori dei giochi di potere e sicuramente apprezzata dal popolo cristiano: Pietro dal Morrone, monaco eremita con fama di santità, che aveva preso il nome di Celestino V.
Dopo appena 6 mesi di pontificato Celestino, con un gesto del tutto inedito, aveva rinunciato spontaneamente al pontificato. Spontaneamente fino a un certo punto, secondo i suoi sostenitori che poi erano anche i nemici di Bonifacio, accusato di manipolare il papa santo per convincerlo a dimettersi. Quel che è certo è che il cardinale Caetani era diventato quantomeno un autorevole consigliere giuridico per il vecchio eremita finito sul trono più ambito e più scomodo del mondo. E quel che è certo è che appena dieci giorni dopo la rinuncia, i 22 cardinali riuniti in conclave a Napoli (di cui ben 13 erano stati scelti da Celestino) avevano eletto Benedetto, che aveva assunto il nome di Bonifacio VIII.
A scanso di equivoci, la prima cosa che aveva fatto Bonifacio era stata quella di arrestare e chiudere in carcere Celestino, per evitare che i suoi nemici ne facessero un antipapa. Intanto, gran parte del mondo spirituale e intellettuale, accusava il nuovo papa di simonia, ovvero di aver pagato i cardinali che lo avevano eletto.
Convinto assertore della superiorità del potere spirituale su ogni altro potere, dopo aver riportato ordine a Roma, Bonifacio VIII aveva ingaggiato una lotta con il re di Francia Filippo IV il Bello (che gli sarebbe costato il celebre “schiaffo di Anagni”), guadagnandosi – nel frattempo – un posto all’inferno all’interno della Divina Commedia.
Bonifacio VIII indice il giubileo del 1300, Giotto, affresco staccato in San Giovanni in Laterano (Roma)
Era stato proprio lui, nel 1300, a “inventare” il Giubileo moderno, grande evento turistico-spirituale, ma soprattutto segno tangibile della superiorità della Chiesa su qualsiasi altro potere. Solo lei può infatti perdonare ogni colpa e aprire la porte del cielo.
A rimarcare questa assoluta autorità, Bonifacio aveva aggiunto allo stemma papale la tiara pontificia con due corone, a rappresentare il potere temporale e quello spirituale.
Ultimo importante atto di Bonifacio, pochi mesi prima dell’umiliazione di Anagni e della morte, è la fondazione dell’Università di Roma, formalizzata con la bolla In Supremae praeminentia Dignitatis promulgata il 20 aprile 1303.
L’Università era allora un’istituzione ancora giovanissima, ma in piena espansione.
Con il decadere dell’impero romano, a lungo gli unici luoghi di insegnamento erano stati gli studia organizzati presso le sedi vescovili urbane per l’apprendimento dei fondamenti della grammatica e della retorica e la formazione teologica.
Presso alcuni di essi, a partire dalla fine del decimo secolo, un numero crescente di docenti e studenti provenienti da ogni parte d’Europa, aveva dato vita a gruppi di studio (studia generalia), inizialmente organizzati in modo spontaneo, sulla base della nazionalità, ma presto strutturatisi in corporazioni di docenti e studenti delle Universitates magistrotrum et scholarium. La prima a sorgere era stata Bologna nel 1088, alla quale era seguita Oxford nel 1167 e poi Parigi nel 1170. Nel corso del XIII secolo le università si erano andate moltiplicando in Italia, Francia, Inghilterra e nella penisola iberica, dove erano diventate un ponte tra mondo europeo e arabo e, tramite questo, veicolo della riscoperta della cultura greca.
Come tutte le corporazioni di mestieri, le università erano dotate di propri statuti e autonome autorità di governo: assumevano i docenti e organizzavano l’attività didattica in un ciclo introduttivo alle arti liberali (6 anni di frequenza), seguito dagli insegnamenti superiori di Diritto, Medicina (6 anni) e Teologia (8 anni), si preoccupavano di garantire gli alloggi e i locali per la comunità di studenti e maestri e ne curavano gli interessi di fronte all’autorità
Studenti a lezione in un frammento dell’arca di Giovanni da Legnano, Pierpaolo dalle Masegne, 1383, Museo medievale di Bologna
Dopo Parigi erano nate le università di Vicenza (1204), Valencia (1208), Cambridge (1209), Arezzo (1215), Padova (1222), Napoli (1224), Vercelli (1228), Tolosa (1229), Angers (1229), Salerno (1231), Salamanca (1242), Piacenza (1248), Siviglia (1254), Reggio Emilia (1276), Montpellier (1289), Lisbona (1290), Lerida (1300) e Avignone (1303).
A Roma, prima della istituzione dello “studio bonifaciano”, gli istituti di istruzione superiore erano esclusivamente rivolti al clero di Roma. Tra questi c’era la Scuola capitolare Lateranense, a indirizzo teologico e giuridico, destinata alla formazione dei quadri direttivi del governo ecclesiastico, la Universitas Romanae Curiae, istituita a Lione da Innocenzo IV intorno al 1245, aperta agli impiegati della curia, e che, senza sede stabile a Roma seguiva la corte papale “ubicumque Romanam Curiam residere contigerit” a causa di eventi religiosi o politici; gli Studi generali in teologia, tenuti dalla seconda metà del secolo XIII dagli Ordini mendicanti erano invece riservati ai frati. Mancava quindi un centro di studi superiori aperto alla cittadinanza romana e destinato a formare la futura classe dirigente.
Statua di Bonifacio VIII, Arnolfo di Cambio (1298 ca.), Museo dell’Opera del Duomo, Firenze
Bonifacio, che è tra i primi papi ad essersi laureato in un’Università (la prima al mondo, quella di Bologna, appunto) vuole dotare anche la sua città di una struttura simile, capace di offrire una formazione in tutte le discipline e aperta anche ai laici. Laici come lui stesso era stato, dopotutto, fino a 60 anni.
Quella di Roma diventa così la prima università ad essere fondata dall’autorità politica e religiosa e non costituita spontaneamente da un’associazione di studenti e insegnanti.
Bonifacio la chiama “Studium Urbis” (nome ancora oggi utilizzato nello stemma) e la colloca fuori dalle mura vaticane, ubicazione che segna l’inizio di un nuovo rapporto tra la città di Roma e gli studiosi che in essa giungono da tutte le parti del mondo.
L’università municipale di Roma comprende tutte le facoltà con una forte presenza degli studi giuridici. Nasce come istituzione laica ma subisce inevitabilmente le ingerenze del papato risentendo, nei suoi primi decenni di vita, del clima turbolento che i moti politici e gli scontri tra le fazioni guelfa e ghibellina provocano a Roma.
Nella seconda metà del Trecento, lo Studium è costretto a ricorrere a docenti non romani di Legge, Medicina, Grammatica e Logica, non compromessi nelle lotte politiche. I finanziamenti iniziali giungono dalla tassazione del vino forestiero, oltre che dalla munificenza di alcuni nobili romani. Quando la sede pontificia sarà spostata ad Avignone, la gestione dell’università sarà affidata al Comune di Roma.
Lo Studium Urbis acquista man mano importanza e prestigio e dal 1363 riceve dalla città di Roma un contributo stabile. La sede di Trastevere non è più sufficiente; così nel 1431 papa Eugenio IV, per dare all’Università una struttura più articolata, affianca al rettore quattro amministratori e provvede all’acquisto di alcuni edifici nel rione Sant’Eustachio, tra piazza Navona e il Pantheon. In quell’area sorgerà duecento anni dopo l’edificio della Sapienza.
Già nella seconda metà del ‘400, invece, il termine “Sapientia” viene usato nei documenti per indicare l’insieme di scuole e collegi riuniti nello Studium Urbis.
Con Niccolò V (1447-1455), papa mecenate e protettore di studiosi e letterati, il ginnasio attraverserà un periodo di rinascimento delle lettere latine e greche, con maestri illustri quali Lorenzo Valla, fondatore della critica filologica, Poggio Bracciolini, il grande letterato greco Crysoloras, il cardinal Bessarione e il poeta Enea Silvio Piccolomini, divenuto papa con il nome di Pio II.
In un periodo di espansione dell’università, Alessandro VI (1492-1503) ne amplierà la sede e i lavori saranno portati avanti da Pio VIII (1503) e Giulio II (1503-1513).
Nel Cinquecento sarà il figlio di Lorenzo De’ Medici, papa Leone X, a dare un forte impulso all’Università romana, chiamando da tutta Europa studiosi famosi. È a Roma che per la prima volta in Europa vengono introdotte materie come i simplicia medicamenta, base della spagirica, un sistema di cure che a partire dall’energia presente nell’uomo cerca di ristabilirne l’equilibrio turbato dalla malattia. È in quegli anni che lavora nello Studium Urbis Bartolomeo Eustachio, uno dei fondatori della scienza anatomica moderna. Sarà sempre papa Leone X a dare impulso agli insegnamenti storici, umanistici, archeologici e scientifici mentre nel 1592 papa Clemente VIII chiamerà a Roma Andrea Cesalpino che l’anno dopo fornirà la prova della circolazione sanguigna.
Papa Celestino V, oggetto di importanti studi proprio nell’università fondata da Bonifacio VIII, il pontefice che lo fece incarcerare
Sotto l’impulso di Paolo III Farnese (1534-1549), cultore di astronomia e di matematiche, l’università si aprirà inoltre alle scienze e all’archeologia. La crescita continuerà nel Seicento con l’inaugurazione nel 1660 – sotto Alessandro VII – del Palazzo della Sapienza e della chiesa annessa dedicata a Sant’Ivo, protettore degli avvocati. Sarà lo stesso Alessandro VII a fondare la biblioteca universitaria ancora oggi chiamata “Alessandrina”.
Nel 1870, dopo l’unità d’Italia, l’Università passerà al Regno d’Italia e nel 1935 la sede sarà trasferita nella Città piacentiniana, teatro di alcuni dei momenti più importanti della storia politica, sociale e culturale dell’Italia degli ultimi 60 anni. Qui insegnerà infatti Storia del cristianesimo uno dei più importanti teologi del Novecento: Ernesto Bonaiuti, antifascista e modernista, cacciato dall’università per una singolare convergenza di interessi di fascismo e Vaticano, formalizzata in un apposito articolo nei Patti Lateranensi; ma qui fiorirà negli anni ‘60 anche una delle più importanti cattedre di Storia Medievale, destinata a diventare con Raoul Manselli il più importante centro al mondo di studi francescani; e da qui partirà anche la riscoperta della figura di Celestino V, riabilitato in tutta la sua grandezza dopo secoli di luoghi comuni sulla sua presunta vigliaccheria dovuti a quel “fece per viltade il Gran rifiuto” di Dante Alighieri.
Chissà, se lo avesse saputo, cosa avrebbe detto Bonifacio.
Franco Leggeri-Fotoreportage-ROMA e il suo GAZOMETRO
Franco Leggeri-Fotoreportage-ROMA e il suo GAZOMETRO
Dalla raccolta:Fotografie per raccontare Roma e la sua Campagna Romana.
FOTO di Franco Leggeri IL SORGERE DEL SOLE su ROMA e il suo GAZOMETRO 14 giugno 2023
“Storia del Gasometro (o Gazometro) di Roma”
Dove si trova
Lungo la via Ostiense, sul lato destro uscendo da Roma, per la precisione in via del Commercio 9/11, si impone la presenza di un’enorme struttura cilindrica, metallica che ormai fa parte del paesaggio urbano della città di Roma. Anzi, è stato definito “un pezzo pregiato dello skyline di Roma”. Si tratta del gasometro o gazometro. L’area che ospita il gasometro, fin dall’antichità, è stata deputata ad accogliere le derrate alimentari e le merci necessarie all’approvvigionamento dell’Urbe.
Nel 1863 la zona è stata attraversata dalla ferrovia costruita da Pio IX e vi è stato costruito il ponte dell’Industria (che i romani chiamano “ponte di ferro”). La presenza della ferrovia ha stimolato la crescita di alcuni insediamenti commerciali ed industriali, come il mattatoio e i Mercati Generali (dove confluivano tutta la frutta e la verdura destinate al commercio al dettaglio).
Perché è stato costruito e che cosa è
Agli inizi del XX secolo il sindaco Ernesto Nathan, uno dei migliori che abbia servito Roma, ha cominciato a promuovere una politica industriale, perciò nella zona fu costruito lo stabilimento del Gas (ora Italgas) con il Gasometro. Il gasometro è una struttura inventata nel 1789 dal fisico francese Antoine-Laurent de Lavoisier che veniva usata per accumulare il gas che in origine veniva prodotto per gassificazione del carbone e poi per cracking del petrolio.
La gassificazione è un processo chimico che permette di trasformare in monossido di carbonio, in idrogeno e in altre sostanze gassose materiali ricchi di carbonio, come per esempio carbone, petrolio o biomassa. Nel gasometro romano veniva distillato e opportunamente depurato, soprattutto il carbon fossile. Il gas veniva prodotto nei forni di distillazione e poi temporaneamente immagazzinato nei gasometri.
Quando è stato costruito
Il complesso del gasometro di Roma fu progettato nel 1909 e la struttura oggi visibile è stata preceduta da tre gasometri “minori” che sono stati costruiti dalla Samuel Cuttler & Sons di Londra tra il 1910 e il 1912. Il gas ivi prodotto veniva utilizzato sia per l’illuminazione pubblica, sia per quella domestica.
La struttura ancora visibile, in ferro, è stata messa in opera tra il 1935 e il 1937 dalla società Ansaldo di Genova e dalla tedesca Klonne Dortmund. Misura un’altezza di m 89,10 e un diametro di m 63; i pali che la compongono raggiungono una lunghezza totale di km 36; la sua capienza è di 200.000 mc di gas.
Come funziona
Il gasometro aveva la funzione di contenere il gas, dopo la sua produzione che avveniva nei forni e prima della distribuzione. Il gasometro, quando era in funzione, si alzava e si abbassava; il nostro gasometro è del tipo detto a “telescopio” che vuol dire che il cilindro interno si innalza e si abbassa, attraverso le guide laterali, indicando la quantità di gas contenuto.
I gasometri non avevano un grande capienza e quindi non potevano essere utilizzati come serbatoio a lungo termine, ma si limitavano solo a regolare a breve termine il passaggio tra la produzione del gas e il suo consumo.
Quando e perché è stato dismesso
Con la diffusione del gas metano il gasometro è caduto in disuso. Infatti nel 1960 si decide di portare a Roma il metano naturale. Nel 1970 il gas metano ha cominciato ad alimentare il quartiere di Spinaceto e nel 1981 è stata avviata la completa metanizzazione della città di Roma. La società Italgas che prima produceva il gas, attualmente si occupa solo della sua distribuzione.
Dagli anni ’90 sono state avanzate varie ipotesi di recupero del gasometro, ma ad oggi non è stato realizzato nulla. Nella zona limitrofa però, dalla fine degli anni ’90, sono stati aperti numerosi locali (discoteche, ristoranti, pub, gelaterie) e adesso il quartiere intorno al gasometro si annovera tra quelli che fanno da sfondo alla “movida” romana.
Franco Leggeri-Fotoreportage-ROMA e il suo GAZOMETRO
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Descrizione-Il Museo di “Santa Filippa Mareri” sito in loc. Borgo San Pietro di Petrella Salto (RI) raccoglie parte dei reperti, dei documenti e dei ricordi dell’antico Monastero di San Pietro de Molito, fondato dalla Baronessa Santa nel 1228 ed abbandonato perché sommerso nel 1940, insieme al centro antico di Borgo S. Pietro, dalle acque del lago artificiale del Salto.
Petrella Salto (Rieti) Museo del Monastero di Santa Filippa Mareri
Le Suore hanno voluto che importanti testimonianze storiche del Cicolano venissero non solo conservate come é avvenuto per secoli, ma anche esposte all’ammirazione dei fedeli e alla vista degli studiosi di storia, diplomatica, sfragistica, arti locali e artigianato.
Il Museo, realizzato all’interno del nuovo Monastero, é stato inaugurato nel 1977 (progetto architettonico dell’arch. Renato Ales) ed é stato ampliato e completamente rivisto nell’allestimento nel 2000.
Il nuovo allestimento, curato dagli archh. Francesco Melaragni e Marina Campagna, propone gli oggetti e i reperti sopravvissuti e conservati (già selezionati dal dott. Vinicio Biondi e restaurati dal maestro Domenico Santarelli) secondo una chiave di lettura simbolica e suggestiva e in tre momenti tematici pregnanti.
Il primo, che da inizio al percorso di visita, vuole rievocare al visitatore l’architettura dell’antico monastero di San Pietro de Molito, non solo attraverso immagini grafiche e fotografiche, ma soprattutto attraverso la suggestione dei frammenti decorativi rimasti (capitelli, formelle, cornici, stemmi, mascheroni, campane dei secc. XII-XVIII) e dell’imponente portone ligneo a formelle di Maestro Giacomo di Bernardino del 1511.
L’antico portone ligneo invita simbolicamente, insieme a tre antichi bauli da corredo del XVII sec in cuoio decorato appartenuti alle clarisse, al viaggio indietro nel tempo e nella memoria alla scoperta, attraverso gli oggetti, di quella che era la vita di “preghiera” e la vita di “lavoro” nell’antico monastero: il secondo e terzo momento tematico del museo.
Petrella Salto – Museo del Monastero di Santa Filippa Mareri
Due volumi-vetrina, piccole architetture all’interno dell’involucro architettonico, rievocano la prima, piccola e mistica cappella, la vita di preghiera delle clarisse, custodendo in particolare gli arredi e gli oggetti sacri (secc. XVII-XVIII) della chiesa monastico-parrocchiale di San Pietro de Molito, alcuni paramenti sacri (secc. XVII-XVIII), e poi una pregevole statua lignea di madonna (sec. XIV-XV), una statua lignea di Santa Filippa (arte abruzzese sec.XV), le grate in ferro battuto, dalle quali le clarisse assistevano alle funzioni religiose, una Croce astile del 1550, la seconda, con una teoria di profonde bucature, come celle delle clarisse, la vita domestica e di lavoro del monastero, dedita alla tessitura, alla filatura, alla farmacia, custodendone gli utensili e gli oggetti di uso domestico (secc. XIII-XIX), testi, ricettari e gli strumenti della farmacia (secc. XVI-XIX), gli attrezzi per la filatura e la tessitura.
Borgo San Pietro (Petrella Salto).Il Santuario di Santa Filippa, nel quale sono conservati i resti della Santa si trova nella frazione di Borgo San Pietro. Nel comune molti sono i luoghi legati alla vita della Santa, nata da una nobile famiglia verso la fine del secolo XII, nel castello di loro proprietà della famiglia a Borgo San Pietro. La sua famiglia ne ostacolò la scelta monastica, per cui Filippa fuggì, rifugiandosi in quella che oggi viene chiamata “Grotta di Santa Filippa” (1210 m.s.l.m.), situata sopra l’abitato di Piagge (961 m.s.l.m.), e vi rimase circa tre anni, fino al 1228 quando i fratelli le donarono il castello con l’annessa chiesa di San Pietro e la Santa si trasferì nella tenuta con le sue compagne vivendo secondo la regola indicata da San Francesco per Santa Chiara e le monache di San Damiano.
In passato la località è stata anche chiamata Petrella di Cicoli. Il nome deriva dal latino petra da cui pietra e quindi pietraia. Nel 1598 ebbe luogo nella Rocca di Petrella uno dei più celebri delitti del XVI secolo, l’assassinio del conte Francesco Cenci, organizzato dalla figlia Beatrice.
Cleonice Tomassetti durante gli anni della Seconda guerra mondiale abitava a Milano, dove si era trasferita da Petrella Salto per fare la maestra. Quando il suo compagno era passato nella Resistenza aveva deciso di raggiungerlo e, nell’aprile del 1944 la giovane donna era entrata come staffetta nella stessa formazione partigiana. Era la sola donna del gruppo di 43 partigiani, prigionieri dopo il Rastrellamento della Val Grande e fucilati dai nazifascisti a Fondotoce il 20 giugno 1944
Simboli
Lo stemma e il gonfalone sono stati concessi con decreto del presidente della Repubblica del 19 marzo 2003.[7]
«D’argento, alla torre di due palchi, di rosso, mattonata di nero, ogni palco merlato di cinque alla ghibellina, finestrata di due nel palco superiore, poste in fascia, di nero, chiusa dello stesso, fondata sulla collina trapezoidale, di verde, con rocce di argento, fondata in punta, essa torre accompagnata da quattro stelle di sei raggi, di azzurro, due per parte, ordinate in palo, le più alte poste all’altezza della merlatura del palco superiore, le altre all’altezza della merlatura del palco inferiore. Ornamenti esteriori da Comune.»
Il gonfalone è un drappo partito di bianco e di rosso.
Petrella Salto
Si affaccia sul Lago del Salto questo affascinante borgo ricco di storia, arte e i reperti archeologici.
Il centro storico, ben conservato, con vicoli tortuosi, belle case, portali e finestre tre e quattrocenteschi, sorse nel sec. XI su uno sperone difendibile dalle invasioni, nell’ambito del fenomeno dell’incastellamento, molto diffuso nella zona.
Dai Mareri, feudatari di Petrella, nacque Filippa: l’incontro con san Francesco rafforzò la sua vocazione religiosa e santa Filippa fondò il primo monastero delle Clarisse nel regno di Napoli, trasformando il Castello e la Chiesa di San Pietro di proprietà della famiglia; crebbe nel tempo la devozione per la santa alla quale sono attribuiti moltissimi miracoli.
Da non perdere il borgo e i suoi eleganti palazzi medievali e rinascimentali, con portali, finestre, cornici e architravi scolpiti; la Rocca della Petrella, la Chiesa di Santa Maria, con brani di affreschi e fregi di grande interesse, recentemente restaurata; il Museo di Santa Filippa Mareri a Borgo San Pietro, con i resti dell’antico monastero sommerso dalle acque del lago artificiale, e la biblioteca, ricca di pergamene e bolle papali del sec. XII .
Nel 1598 nella Rocca di Petrella si consumò uno dei più celebri delitti del XVI secolo, l’assassinio di Francesco Cenci, organizzato dalla figlia Beatrice.
Alla sua figura, spesso romanzata, Petrella è legata indissolubilmente, come peraltro a quella opposta, di Santa Filippa.
Sulle rive del Lago del Salto potete gustare piatti a base di tartufo e funghi porcini; ottime anche le carni locali, il pesce di lago con l’anguilla allo spiedo o la trota tartufata; tra i molti prodotti PAT, la castagna rossa del Cicolano, le pere sciroppate al mosto, gli gnocchi di castagne, i ravioli di patate o con crema di castagne, la cicerchia e i tersitti de’girgenti, ai quali curiosamente dà il nome una località fondata da agrigentini.
***Prima di programmare una visita si consiglia di contattare il luogo
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