Enrico Berlinguer-La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-
A cura di Alexander Höbel- Donzelli Editore -Roma
Scheda del Libro-Enrico Berlinguer La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-Passione, rigore, propensione ad anticipare i tempi e a superare steccati: ciò che ha segnato l’azione di Enrico Berlinguer nella politica italiana emerge con ancora maggior forza in campo internazionale. È quanto rivelano i discorsi, gli articoli e le interviste raccolti da Alexander Höbel in questo volume, a partire dal 1972, quando Berlinguer assume la guida del Pci. Sono gli anni degli euromissili, dell’invasione sovietica in Afghanistan, dell’escalation nucleare, della guerra in Libano; ma lo sguardo del segretario sa andare anche oltre e in profondità. Per la prima volta nella storia, intuisce, il mondo è strettamente interconnesso e il suo cuore non è più l’Occidente: è necessario cooperare con le nuove realtà emergenti, anche per il bene stesso dei paesi industrializzati, i quali solo in questo modo potranno uscire dalla crisi. Una capacità di visione che coinvolge la Cee e l’intera Europa («senza un contributo ai problemi dell’Est – afferma – non vi sarà sicurezza e sviluppo») e include l’Italia, per cui l’«austerità» qui invocata diventa strumento globale di efficienza e giustizia, per superare un sistema caratterizzato dall’individualismo più sfrenato, dal «consumismo più dissennato». Lo stesso Pci, di cui con orgoglio, in uno straordinario discorso pronunciato nel 1976 a Mosca, al congresso del Pcus, rivendica la storia all’insegna della democrazia e della libertà, deve intraprendere una «terza via» che vada oltre il modello socialdemocratico e il «socialismo reale», accogliere le spinte anticapitalistiche provenienti anche dai movimenti di ispirazione cristiana, aprirsi alle istanze ambientaliste, alle battaglie femministe. È la pace l’obiettivo su cui è costantemente focalizzato Berlinguer; una meta legata a multipolarismo e cooperazione, che si fa nelle sue parole tema spinoso e urticante, pungolo che sollecita all’azione, che impone una battaglia intransigente e a tutto campo contro le diseguaglianze, non solo economiche, perché «una pace non precaria, ma solida, duratura, per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia».
Autore-Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer-Uomo politico italiano (Sassari 1922 – Padova 1984). Segretario del Partito comunista italiano dal 1972, deputato dal 1968 per tutte le legislature, fu promotore dell’idea di un “compromesso storico” tra le due grandi forze popolari, quella comunista e quella democristiana, ma dopo la deludente esperienza dei governi di unità nazionale (1976-79) riportò il PCI all’opposizione; durante la sua segreteria guidò inoltre il partito verso il progressivo distacco dall’Unione Sovietica.
Vita e attività
In contatto dal 1937 con gruppi antifascisti, nel 1943 aderì al Partito comunista italiano. Nell’immediato dopoguerra diresse il Fronte della gioventù prima a Milano e poi a Roma, entrando poco dopo nel Comitato centrale del PCI e nel 1948 nella direzione; dal 1949 al 1956 fu segretario generale del movimento giovanile comunista. Deputato dal 1968, fu eletto vicesegretario del PCI nel 1969 (XII congresso) e segretario generale nel marzo 1972 (XIII congresso). La sua linea, basata sul perseguimento dell’alleanza tra classe operaia e ceti medî, sull’affermazione del carattere laico del partito e, soprattutto, sulla proposta del “compromesso storico”, si concretizzò, dopo i successi elettorali del PCI nel 1975-76, nella politica di unità nazionale (ag. 1976-genn. 1979). Dopo la conclusione negativa di tale esperienza e il ritorno dei comunisti all’opposizione (1979), B. cercò di far fronte alla difficile situazione in cui si era venuto a trovare il PCI, accentuata dalla crisi sociale e politica dei primi anni Ottanta, con una riaffermazione del suo carattere alternativo alla Democrazia cristiana (proposta di “alternativa democratica”, del nov. 1980) e la prosecuzione del suo rinnovamento interno. In campo internazionale, la segreteria B. si è caratterizzata per il crescente distacco del PCI dall’Unione Sovietica (dall’esperienza eurocomunista degli anni Settanta alla dichiarazione del genn. 1982 circa l’esaurimento della “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre) e il perseguimento di una sua maggiore integrazione nell’ambito della sinistra europea occidentale.Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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Gastone Novelli e la scrittura francese d’avanguardia dal 16.01.2025-
Roma-In occasione del centenario della nascita dell’artista Gastone Novelli, Villa Medici e l’Archivio Novelli hanno il piacere di organizzare questo incontro sull’influenza delle sue opere sugli scrittori francesi, da Georges Bataille a Claude Simon. Questo dialogo riunisce diversi specialisti italiani e francesi, Marco Rinaldi, Davide Crosara, Andrea Cortollessa e Mireille Calle-Gruber, alla presenza di Francesca Alberti, direttrice del Dipartimento di Storia dell’Arte di Villa Medici, per esplorare i rapporti tra immagine e scrittura sviluppati in questi incontri franco-italiani.
Dalla fine degli anni Cinquanta in poi, Gastone Novelli, scrittore, ha intrecciato uno stretto e complesso rapporto tra immagine e scrittura, animando il suo mondo poetico di una continua costruzione di molteplici universi linguistici.
Se in questo senso sarà decisivo l’incontro con l’antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss, in realtà l’artista aveva già trovato una grande affinità con gli umori dello sperimentalismo linguistico che aveva coinvolto gli ambienti letterari del tardo surrealismo e del Nouveau Roman francese: Edouard Jaguer, Pierre Klossowski, Claude Simon, ma anche Georges Bataille e Samuel Beckett, saranno a lui molto vicini nella comune e appassionata ricerca di nuove strutture semantiche e narrative, solitari viandanti attraverso i meandri del linguaggio; e da qui scaturiranno alcune collaborazioni per la realizzazione di libri e opere grafiche che Novelli, più che semplicemente illustrare, tenderà a chiosare e reinterpretare con le sue vivaci e colorate immagini.
Informazioni pratiche
Giovedì 16 gennaio dalle 18:00 alle 20:00
Grand Salon di Villa Medici
Gratuito : prenotazione obbligatoria
Lingua : italiano
Gastone Novelli nasce nel 1925 a Vienna. Durante la Seconda guerra Mondiale partecipa alla Resistenza, viene arrestato, torturato e condannato a morte. La pena viene commutata in carcere a vita e viene liberato all’ingresso delle truppe alleate a Roma il 4 giugno 1944.
Nel 1948 compie il primo viaggio in Brasile, dove inizia la sua attività artistica.
Nel 1955 si stabilisce a Roma e si inserisce rapidamente nell’ambiente artistico della città grazie all’amicizia con Emilio Villa.
Nel 1957 compie diversi viaggi a Parigi, dove incontra Tristan Tzara, André Masson, Man Ray e Hans Arp. Lo stesso anno fonda con Achille Perilli la rivista “L’Esperienza Moderna” e la Galleria La Salita di Roma gli dedica una personale.
A partire dagli anni Sessanta frequenta Samuel Beckett, Georges Bataille, Pierre Klossowski, René de Solier e avvia una stretta amicizia con Claude Simon, che in uno dei suoi ultimi libri, Le Jardin des Plantes (1997), racconta la profonda consonanza intellettuale e creativa che lo legava all’artista. Con alcuni di loro Novelli avvia vere e proprie collaborazioni: con Beckett prepara un progetto editoriale per illustrare L’image, rimasto poi incompiuto; nel 1962 realizza il libro unico per Histoire de l’œil di Bataille, mentre nel 1965 commenta con le tavole del libro Das Bad der Diana il mito di Diana e Atteone, analizzato da Klossowski.
Inizia a collaborare con gli scrittori della neo-avanguardia italiana, con i quali condivide la medesima tensione verso la sperimentazione linguistica.
Nel 1964 fonda con Perilli, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli la rivista “Grammatica”. Vince il Premio Gollin alla Biennale di Venezia dove è invitato con una sala personale.
Nel 1966 pubblica il libro Viaggio in Grecia, vera e propria summa di anni di riflessioni sul linguaggio e di peregrinazioni in universi segnici, che vanno dalla psicologia del profondo, al mito, fino al definitivo approdo all’antropologia e allo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss.
Nel 1968 viene di nuovo invitato alla Biennale veneziana con una sala personale, ma per protesta contro l’intervento della polizia all’interno dei Giardini si rifiuta di esporre le sue opere rovesciandole contro le pareti. In ottobre è a Milano, dove inizia l’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Brera. Muore il 22 dicembre per un collasso postoperatorio.
Novelli ha esposto nei più importanti musei e istituzioni italiane e internazionali. Oggi le sue opere sono conservate al MoMA di New York, alla National Gallery di Washington, al MASP di San Paolo, al British Museum di Londra, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Museo del Novecento di Milano e alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.
Relatori
Mireille Calle-Gruber
Mireille Calle-Gruber, scrittrice e docente di letteratura ed estetica alla Sorbonne Nouvelle, dove dirige il Centre de recherches en études féminines et genres, è autrice di una trentina di libri. Il suo lavoro analizza il potenziale di riflessione critica della letteratura nel suo rapporto con il linguaggio, la filosofia e le arti, e i movimenti letterari del XX secolo, tra cui il “Nouveau Roman”. Lavora in particolare sulle opere di Michel Butor (di cui ha pubblicato le Oeuvres complètes in 12 volumi), di Claude Ollier, Assia Djebar, Jacques Derrida (La distance généreuse, 2009), .Marguerite Duras (La noblesse de la banalité, 2023), Peter Handke, Claude Simon (di cui ha scritto la Biografia : Une vie à écrire, 2011 ; être peintre, 2021). Dopo avere pubblicato cinque romanzi, ha scritto insieme a Michel Butor, un racconto-scenaggiatura Le Chevalier morose (2017). E’ coeditrice del Dictionnaire Universel des Créatrices (éd. des femmes, 2013) e del Dictionnaire sauvage Pascal Quignard (2015). E’ stato pubblicato un simposio dedicato alle sue opere : Mireille Calle-Gruber, l’amour du monde à l’abri du monde dans la littérature (a cura di Sarah-Anaïs Crevier Goulet et al., 2015). Nel 1997, è stata eletta all’Accademia delle arti e delle lettere della Royal Society del Canada. Ha ricevuto diverse distinzioni tra cui il dottorato honoris causa dell’Università Aristotele di Thessaloniki nel 2022. Di recente, ha pubblicato Réinventer les alphabets : Claude Simon, Gastone Novelli (2023), e ha scritto la Prefazione alla traduzione italiana del romanzo di Claude Simon, Le Jardin des Plantes (Roma, ed. Gremese, 2024).”
Andrea Cortellessa
Andrea Cortellessa è nato a Roma nel 1968. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma Tre. Ha curato mostre e testi (tra gli altri di de Chirico, Manganelli, Pagliarani, Raboni, Rosselli, Zanzotto, Di Ruscio, Paolini e Parmiggiani), realizzato trasmissioni radiofoniche e televisive, spettacoli teatrali e musicali. Fra i suoi ultimi libri Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia di poeti italiani nella Prima guerra mondiale (Bompiani 2018), Andrea Zanzotto. Il canto nella terra (Laterza 2021), Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli (Argolibri 2022), il volume a più voci Arbasino A-Z (Electa 2023) e Amelia Rosselli. Con l’ascia dietro le nostre spalle (Electa 2024). È tra i fondatori di «Antinomie. Scritture e immagini»; collabora al «manifesto», al «Corriere della Sera», al «Sole 24 ore», al «Giornale dell’Arte» e ad altre testate.
Davide Crosara
Davide Crosara è ricercatore in letteratura inglese presso ‘Sapienza’ Università di
Roma. I suoi principali campi di studio sono il teatro moderno e contemporaneo, il
romanticismo, il post-umano. Ha pubblicato una monografia su Beckett e il
monodramma (Aracne, 2019), e saggi in volume e rivista su Daniel Defoe, Primo
Levi, W.B. Yeats, James Joyce, Kae Tempest. Ha recentemente curato due volumi
su Samuel Beckett: Samuel Beckett’s Italian Modernisms: Tradition, Texts,
Performance (Routledge: 2024) e Samuel Beckett and the Arts. Italian
Negotiations (Anthem Press: 2024). In quest’ultimo volume compare anche il suo
saggio ‘J’ai eu l’image’. Samuel Beckett and Gastone Novelli.
Marco Rinaldi
Marco Rinaldi è professore di Storia dell’Arte Contemporanea e Storia del Design presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e consulente scientifico dell’Archivio Gastone Novelli, artista di cui ha curato, insieme a Paola Bonani e Alessandra Tiddia, il catalogo generale dei dipinti e delle sculture. Di Novelli ha curato anche le mostre al Museo del Novecento di Milano nel 2012 e alle Gallerie d’Italia di Intesa-Sanpaolo di Napoli nel 2013-14.
È autore di saggi e monografie sull’arte e sulla cultura progettuale del Novecento, tra cui si ricordano i volumi La Casa Elettrica e il Caleidoscopio. Temi e stile dell’allestimento in Italia dal razionalismo alla neoavanguardia (2003) e Strappare il mondo al caso. Comunicazione estetica e neoavanguardia in Italia (1956-1964) (2008), e redattore della rivista “Zeusi – Linguaggi contemporanei di sempre”.
Carlo Levi- “Cristo si è fermato a Eboli”-Articolo di Luana Favaretto-
Carlo Levi- “Cristo si è fermato a Eboli” e “Le parole sono pietre”-Articolo di Luana Favaretto-Il primo titolo è un capolavoro della letteratura italiana che tutti conoscono, almeno per notorietà, ed è quello che è capitato anche a me, conoscerlo per “sentito dire”, tanto che l’ho lasciato lungamente languire sugli scaffali di casa. La trama bene o male l’avevo intuita, trattarsi di un romanzo autobiografico dove Carlo Levi, scrittore e pittore antifascista, racconta il periodo di confino, dovuto alle sue idee politiche per l’appunto, in un poverissimo paesino della Basilicata, dove per miseria, malattia, arretratezza, si è rimasti indietro nel progresso, per la maggior parte degli abitanti, quasi ai livelli dei tempi della schiavitù. Cristo si è fermato ad Eboli perché ad Aliano (Gagliano come viene citato nel libro nella versione dialettale) la civiltà non è mai arrivata. Sia che si tratti di mezzadri, sfruttati all’estremo, o di piccolissimi proprietari terrieri, la terra non rende, soprattutto se le disposizioni che vengono dalla lontanissima, in tutti i sensi, Roma, impongono di piantare grano dove al massino si potrebbero coltivare degli olivi. La religione non aiuta, anzi i suoi rappresentanti sono spesso mal visti in quanto esigono a loro volta offerte e derrate alimentari. La sanità è inesistente, i medici del paese non svolgono con responsabilità il loro lavoro, i poveri che non possono pagare non vengono curati, e le farmacie vendono a caro prezzo prodotti alterati e pressoché inutili. La gente ignorante si imbroglia meglio. Carlo Levi si trova ad affrontare situazioni, in cui viene coinvolto suo malgrado, inumani e tali da provocare una grande indignazione. Ma le persone sono abituate al giogo della povertà, c’è una rassegnazione di fondo terribile, anche se qualche volta “il popolo alza la testa”, non sempre con i risultati sperati.
Tutto il romanzo è scritto in modo impeccabile, con uno stile e contenuti di altri tempi certamente, ma sempre molto scorrevole e soprattutto si legge tra le righe lo sguardo del pittore. Sia che ci faccia vedere, attraverso la scrittura, un paesaggio, o gli occhi delle persone che incontra per strada, o la bellezza di un volto, il suo è un guardare e un sentire in modo intensissimo. Ovviamente il pregio maggiore del romanzo è dato dalla denuncia sociale della degradazione di un popolo.
Letto questo cosa ci si può aspettare da “Le parole sono pietre” cronache dei viaggi di Carlo Levi in Sicilia, questa volta, durante La Riforma Agraria, se non altrettanta fascinazione e nello stesso tempo indignazione? Sarà che leggendo le tappe raccontate da Levi nella splendida terra di Sicilia ho ripercorso l’itinerario di una mia lontana vacanza alla scoperta di quest’isola meravigliosa ma non ho potuto non rimanere incantata. Nello stesso tempo non si può non arrabbiarsi per i soprusi che come sempre colpiscono i più deboli. Ci si rende anche conto che poco o nulla cambia nel tempo, una politica lontana che spesso è solo propaganda e autoincensamento cala sulle teste dei contadini iniziative e aiuti non concordati con chi ne necessita. Basti pensare alla mucca “Bellavita” affidata dallo Stato ad un agricoltore, bellissima, bianca, imponete in mezzo alla stalla con una coroncina di fiori in testa. Lui racconta a Carlo Levi che è l’unica a fare bella vita in famiglia! Loro avevano chiesto mucche da latte, gli hanno dato questa, da lavoro, che non può essere venduta né macellata, ma che non può essere utilizzata per il lavoro dei campi in quanto essendo questi lontani 4 ore di cammino la mucca ci arriverebbe esausta. Così la devono pure mantenere.
Roma lontana, lontanissima.
Lettura consigliata, sicuramente, per i ritardatari che come me che avessero rimandato l’immersione in questo capolavoro.
Biografia di Carlo Levi-Nacque a Torino il 29 nov. 1902 da Ercole e da Annetta Treves.
I genitori appartenevano entrambi alla media borghesia ebraica: il padre era rappresentante di una ditta inglese di tessuti; la madre era sorella del leader socialista riformista Claudio Treves.
Nel 1904 la famiglia si stabilì nella villa costruita al n. 11 di via Bezzecca, destinata a diventare il cuore degli affetti infantili e adolescenziali del L.; le frequentazioni maschili (A. Lucca, F.M. Bongioanni, N. Sapegno) e femminili (le sorelle Nella, Ada e, particolarmente, Maria Marchesini), gli studi al liceo Alfieri e l’iscrizione alla facoltà di medicina dell’Università di Torino scandiscono le tappe di un percorso di formazione illuminato dall’incontro, avvenuto nel novembre 1918, con P. Gobetti: “Scrivere di Piero Gobetti, significa, per noi della nostra generazione, fare della autobiografia”, si legge nell’incipit del saggio su Piero Gobetti e la “Rivoluzione liberale” (in Quaderni di Giustizia e libertà, giugno 1933, n. 7).
Il 27 ag. 1922 il L. aveva affidato a La Rivoluzione liberale un articolo su Antonio Salandra, inaugurando una non lunga né sistematica serie di interventi che al modello gobettiano rendono esplicito omaggio sul terreno della scrittura non meno che su quello delle categorie concettuali.
La laurea in medicina, conseguita dal L. nel 1924, e la collaborazione presso la clinica medica dell’Università parrebbero alludere alla possibilità di un impegno professionale in realtà destinato a un radicale refoulement. Il servizio militare, prestato a Torino, a Firenze e successivamente, tra la fine del 1924 e il 1926, al Moncenisio, valse a distogliere solo temporaneamente il L. dai due poli fondamentali del suo lavoro: la pittura, la politica.
La lezione di F. Casorati, le prime esperienze parigine (propiziate, anche, dalla storia sentimentale con Vitia Gurevič), il dialogo con E. Persico e con L. Venturi, da una parte, l’amicizia con C. e N. Rosselli, l’elaborazione del lutto per la morte di P. Gobetti, il fraterno compagnonnage con A. Garosci, la ricerca di nuovi spazi all’interno dello schieramento antifascista, dall’altra, non sono senza rapporto con il respiro sovranazionale, consapevolmente europeo che nella seconda metà degli anni Venti sostenne gli orientamenti del L. nel campo delle arti figurative e le ragioni profonde della sua opposizione al fascismo.
A onta dell’effimera durata dell’impresa (un numero unico, datato aprile 1929), il progetto de La Lotta politica, che il L. condivise con N. Rosselli e R. Bauer, sembra prefigurare la strategia politica teorizzata e perseguita dal movimento di Giustizia e libertà, che C. Rosselli avrebbe fondato qualche mese dopo a Parigi, e nelle cui posizioni il L. si riconobbe.
I ripetuti soggiorni parigini del L. (1931-33) gli consentirono di stabilire un collegamento non episodico tra gli avversari del regime clandestinamente operanti a Torino (specialmente il gruppo che compilava e diffondeva Voci d’officina) e la galassia dei fuorusciti italiani in Francia, partecipando alla fase preparatoria del programma di Giustizia e libertà, redigendo, insieme con L. Ginzburg, Il concetto di autonomia nel programma di “Giustizia e libertà” (Quaderni di Giustizia e libertà, settembre 1932, n. 4) e finendo con l’assumere, a Torino, una sorta di leadership di fatto nella cospirazione antifascista.
Arrestato il 13 marzo 1934 ad Alassio, il 9 maggio fu rilasciato e ammonito. A un anno di distanza, il 15 maggio 1935, fu nuovamente arrestato; condannato a tre anni di confino, il 3 agosto arrivò a Grassano, dove il 20 lo raggiunse Paola Levi, moglie di A. Olivetti e fino a quel punto sua segreta compagna di vita; il 30 agosto il prefetto di Matera propose al ministro degli Interni il trasferimento del L. ad Aliano, che ebbe luogo il 18 settembre. Vi rimase otto mesi: i provvedimenti di clemenza adottati dal governo fascista per celebrare la conquista dell’Impero lo rimisero in libertà il 20 maggio 1936 e, il 26 successivo, il L. ripartì per Torino.
L’assassinio dei fratelli Rosselli (9 giugno) e la nascita di Anna, figlia del L. e di Paola Levi, segnarono indelebilmente l’anno 1937. Le leggi razziali del 1938 indussero il L. a riprendere la via della Francia, che non poté lasciare neppure in occasione della morte del padre, avvenuta ad Alassio il 24 sett. 1939. “La Baule, settembre-dicembre 1939” è la sintomatica indicazione di tempo e di luogo che sigilla gli otto “capitoli” di Paura della libertà (Roma 1946; ora in Scritti politici, a cura di D. Bidussa, Torino 2001, pp. 132-204; a pp. 216-219 la prefazione).
Il saggio, insieme politico e psicoantropologico, a specchio della instante minaccia della finis Europae, prossima a sprofondare nel rogo della guerra, offre un originale ripensamento di sollecitazioni e motivi derivati da La ribellione delle masse di J. Ortega y Gasset e da La crisi della civiltà di J. Huizinga. A vent’anni dalla sua pubblicazione, I. Calvino parlò di Paura della libertà come del “libro da cui deve cominciare ogni discorso su Carlo Levi scrittore”, “un tipo di libro raro nella nostra letteratura, inteso a proporre le grandi linee d’una concezione del mondo, d’una reinterpretazione della storia”.
Rinunciando a partire per gli Stati Uniti, come avrebbe desiderato Paola Levi, che dalla fine dell’estate del 1940 si era intanto trasferita, con la figlia Anna, a San Domenico di Fiesole, nella primavera del 1941 il L. fece ritorno in Italia: dai primi di giugno, e per quattro anni ancora, fu soprattutto Firenze il teatro di una quotidianità ora paradossalmente serena ora minacciata e ansiosa, trascorsa dapprima nello studio di piazza Donatello, poi (varcato il discrimine dell’8 sett. 1943) nelle abitazioni di amici affettuosamente solidali e, più stabilmente, nell’appartamento-pensione di Anna Maria Ichino: la fine dei “giochi di vita, d’amore e di guerra” (Benaim Sarfatti) che coinvolsero il L. e Anna Maria nei mesi che precedettero la liberazione di Firenze (10-11 ag. 1944) avrebbe impresso un sigillo funesto all’esistenza della donna.
La militanza nelle file del Partito d’azione (Pd’A) e la partecipazione alla lotta clandestina dopo l’arresto e la detenzione, alle Nuove di Torino e alle Murate di Firenze, dal 26 giugno al 26 luglio 1943 non avevano impedito al L. di attendere alla stesura della sua opera capitale nella quale liberamente rielabora, interiorizzandola, l’esperienza del confino.
Cristo si è fermato a Eboli rivela una singolarissima capacità di ibridazione dei codici che governano i generi letterari ai quali è più o meno strettamente apparentabile (romanzo, saggio, prosa d’arte, mémoire, “cosa vista”, corrispondenza di viaggio); edito a Roma da Einaudi nel settembre 1945, ottenne da subito un eccezionale successo di pubblico e di critica (dal Cristo F. Rosi trasse un film, abbastanza infedele, distribuito nel febbraio 1979) anche in forza dell’equivoco ermeneutico, diventato presto vulgata, che precipitosamente ne accreditò l’appartenenza all’area del neorealismo (le tangenze, semmai, sono con le parallele investigazioni del “mondo magico” del Sud d’Italia condotte da E. De Martino).
Cristo si è fermato a Eboli è letteralmente, per il L., il libro della vita: “In quell’arso cuore della Lucania”, ha scritto Montale, “Levi ha incontrato l’inferno di una umanità irredimibile, insospettata che vive fuori del tempo o almeno tutta al di fuori del nostro tempo”; un libro che, se si deve prestar fede alle indicazioni dell’autore, fu scritto tra il dicembre 1943 e il luglio 1944, ma che costituisce il punto di approdo di un più complicato processo di metabolizzazione e formalizzazione di un repertorio ideologico, mitografico, iconologico che il L. ha amministrato nel corso degli anni ricorrendo, di volta in volta, agli strumenti “tecnici” più vari: disegni, poesie, racconti orali, scritti politici. Non a caso la discussione intorno ai tempi di composizione di Cristo si è fermato a Eboli, che è stata, in anni recenti, al centro della riflessione critica sul L., e ha opposto i sostenitori della tesi di una redazione del testo chiusa nell’arco cronologico 1943-44 (M.A. e M.C. Grignani, Vitelli) a quanti (Wells, De Donato, Falaschi) hanno sottolineato la presenza nel manoscritto di tre date, comprese tra il 1940 e il 1941, apparentemente incompatibili con l’attestazione del L., si è progressivamente spostata dall’ambito della biografia, della filologia, della variantistica a quello dell’intertestualità e dei rapporti tra letteratura e arti figurative.
Condirettore della fiorentina La Nazione del popolo, in quota al Pd’A, dall’agosto 1944, direttore dell’edizione romana del quotidiano del partito, L’Italia libera, dal settembre 1945, il L. abbandonò il Pd’A al congresso di Roma (4-8 febbr. 1946). Spostato definitivamente nella capitale il proprio baricentro, accettò di candidarsi all’Assemblea costituente, nella circoscrizione di Potenza-Matera, nelle liste di Alleanza repubblicana; nel corso di una campagna elettorale puramente testimoniale, il cui esito negativo era scontato, il L. incontrò per la prima volta R. Scotellaro, poeta e militante socialista: la loro amicizia fu interrotta, il 15 dic. 1953, dalla prematura morte di Scotellaro.
Il L. aveva iniziato una relazione con la figlia di U. Saba, Linuccia: malgrado i risvolti conflittuali ora latenti ora flagranti del loro ménage, a Linuccia Saba rimase legato fino alla morte. Nell’aprile 1947 partì, con F. Parri, per gli Stati Uniti; tra l’ottobre 1947 e il febbraio 1949, collaborò regolarmente al quotidiano L’Italia socialista, diretto da A. Garosci, con una serie di disegni satirici.
Il successivo volume del L., L’orologio (Torino 1950), non fu soltanto la postuma certificazione di una lacerazione politica immedicabile indotta dalla crisi del governo Parri che l’immagine del presidente del Consiglio “crisantemo sopra un letamaio” memorabilmente riassume.
Con più acutezza di altri, F. Fortini ha osservato che “ogni capitolo” de L’orologio “è una scatola che ne contiene cento altre, ogni motivo frondeggia a creare l’impressione dominante, che è di fecondità, di larghezza e generazione costante, a getto continuo” (per cui non senza ragione, otto anni dopo, nella prefazione al Tristram Shandy einaudiano, il L. poté rivendicare le ascendenze sterniane del “romanzo”); ma, di là dalla non infondata registrazione della polifonia de L’orologio, Fortini pare aver toccato il cuore del libro e dell’intera esperienza inventiva del L., segnalandone “l’attrazione verso il tellurico, l’angoscioso, il tragico del popolare e del primitivo o sacro, il fascino etnografico […] o psicanalitico alla Jung”.
Le prefazioni – al Viaggio in Italia. Lettere familiari di Ch. de Brosses ([Firenze] 1957), al citato Tristram Shandy di L. Sterne (Torino 1958), a Roma Napoli e Firenze di Stendhal (Milano-Firenze 1960) – e i libri “di viaggio” che il L. dette alle stampe dopo aver pubblicato L’orologio sono certo meno perturbanti.
Il sapiente e talora callido mestiere acquisito attraverso l’assidua collaborazione a La Stampa o a L’Illustrazione italiana è messo a frutto dal L., di preferenza, entro lo spazio, in qualche misura predeterminato, del reportage: l’eleganza della scrittura e del tratto, non necessariamente accompagnata da un pungente rovello conoscitivo, trova di regola un simmetrico “equivalente” ideologico in un’ottica ante litteram politicamente corretta.
Questi libri si intitolano Le parole sono pietre. Tre giornate in Sicilia (Torino 1955), Il futuro ha un cuore antico. Viaggio nell’Unione Sovietica (ibid. 1956), La doppia notte dei tigli (ibid. 1959), Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia (ibid. 1960, con 120 fotografie di J. Reismann), Tutto il miele è finito (ibid. 1964).
Scontate le differenze dei casi, e degli oggetti (la Sicilia, l’URSS, la Germania, l’Italia, la Sardegna; di altri viaggi importanti, in India nel 1956, in Cina nel 1959, si astenne dal raccogliere in volume le corrispondenze), l’impatto bruciante con la storia, percepibile in Le parole sono pietre, è riassorbito e esorcizzato dal L. in una sorta di perpetua circolarità-ciclicità, di eterno ritorno dell’identico che dissolve il Vecchio e il Nuovo, l’Arcaico e il Contemporaneo.
Ma non fu all’insegna di una proverbialmente olimpica solarità che l’estrema fase della vicenda del L. si svolse e terminò. I fatti di Genova del luglio 1960 videro il L., alla vigilia dei sessant’anni, impegnato in prima fila nella battaglia antifascista. Eletto senatore nel 1963 nel collegio di Civitavecchia come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano (PCI), aderì al gruppo misto; riconfermato nel 1968 nel collegio di Velletri nelle liste del PCI – Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), entrò nel gruppo parlamentare della Sinistra indipendente.
Nei nove anni del suo duplice mandato parlamentare intervenne su argomenti di politica interna (il centrosinistra – che lealmente contrastò -, i problemi del Sud, l’emigrazione, la programmazione economica, la contestazione studentesca) ed estera (la guerra del Vietnam, la “primavera di Praga”) o su questioni più squisitamente “culturali” (le celebrazioni del settimo centenario della nascita di Dante, la tutela dei beni artistici e paesaggistici, la morte di G. Morandi).
Candidato nel 1972 nel collegio di Caltagirone, non venne rieletto. Al punto più alto della sua “esposizione” pubblica tenne dietro, quasi senza soluzione di continuità, la fase più accusata del ripiegamento su sé. Il distacco della retina, a fine dicembre 1972, e la temporanea perdita della vista indussero il L. a servirsi di “una sorta di scrittoio” da lui stesso ideato: e Quaderno a cancelli (Torino 1979) si sarebbe intitolato il suo libro postumo per dir così involontario – aperto da una testimonianza di Linuccia Saba e chiuso da una nota di A. Marcovecchio -, del quale Calvino ha sottolineato l’inedito “senso di sconforto, di vulnerabilità, di corrosione” che sembra aver colpito il L., fino ad atterrarlo.
Nel lungo articolo (Con l’occhio della lumaca) che a Quaderno a cancelli dedicò nel Corriere della sera del 24 giugno 1979, Calvino insiste con forza sull’opposizione stabilita dal L. tra Diabetici ed Allergici (replica flagrante dell’antica antinomia tra Luigini e Contadini fissata in Cristo si è fermato a Eboli e ne L’orologio), ma curiosamente sorvola sulla struttura franta, slogata, disarticolata del Quaderno. Il rilievo dei temi escussi (a cominciare dal repêchage dei territori dell’infanzia) è obiettivamente inseparabile da un assetto formale così inconsueto per l’autore.
Il L. morì a Roma il 4 genn. 1975 e fu sepolto ad Aliano.
Se si pensa al numero relativamente esiguo di libri pubblicati dal L. tra il 1945 e il 1964, appare impressionante la fluviale sequenza delle opere postume che si collocano ai limiti, o totalmente fuori, della giurisdizione del L. (il caso estremo è rappresentato dalle semiclandestine “raccolte” di versi pubblicate nel triennio 1990-93, allestite con inaudita disinvoltura, mentre si inscrive in un orizzonte del tutto diverso la magmatica inventio di Quaderno a cancelli, il cui attuale assetto è verosimilmente passibile di un difficile lavoro di restauro): Coraggio dei miti. Scritti contemporanei 1922-1974, a cura di G. De Donato, Bari 1975; Contadini e Luigini. Testi e disegni, a cura di L. Sacco, Roma-Matera 1975 (poi, con il titolo L’altro mondo e il Mezzogiorno, Reggio Calabria 1980); Quaderno a cancelli, cit.; Poesie inedite (1934-1946), prefazioni di G. Spadolini e R. Levi Montalcini, Roma 1990; Noi esistiamo. Poesie inedite, prefaz. di F. De Lorenzo, ibid. 1991; Bosco di Eva (Poesie inedite 1931-1972), introd. di P. Perilli, postfaz. di G. Spadolini, ibid. 1993; L’invenzione della verità, a cura di V. Barani – M.C. Grignani, introd. di M.A. Grignani, San Salvatore Monferrato 1995; Il bambino del 7 luglio. Dal neofascismo ai fatti di Reggio Emilia (1952-61), a cura di S. Gerbi, introd. di G. De Luna, Cava de’ Tirreni 1997; G. Biondillo, C. L. e E. Vittorini. Scritti di architettura, Torino 1997 (antologia di scritti del L. a pp. 7-58); Discorsi del sen. Carlo Levi, a cura di G. Volpe, presentazione di N. Mancino, Avellino 1997; L’invenzione della verità. Testi e intertesti per Cristo si è fermato a Eboli, introd. di M.A. Grignani, testi a cura di V. Barani – M.C. Grignani, Alessandria 1998; Scritti politici, cit.; Discorsi parlamentari, a cura di E. Campochiaro – F. Marcelli, introd. di M. Isnenghi, Bologna 2003.
A far data dall’ottobre 2000 hanno visto la luce a Roma, per iniziativa della Fondazione C. Levi, otto volumi (è annunciato il nono: Il dovere dei tempi. Prose politico-civili) compresi nel progetto – obbediente a criteri eminentemente tematici – delle Opere in prosa di Carlo Levi: Le mille patrie. Uomini, fatti, paesi d’Italia, a cura di G. De Donato, presentazione di G. De Donato – L. Montevecchi, introduzione di L.M. Lombardi Satriani (2000); Lo specchio. Scritti di critica d’arte, a cura di P. Vivarelli (2001); Prima e dopo le parole. Scritti e discorsi sulla letteratura, a cura di G. De Donato – R. Galvagno (2001); Le tracce della memoria, a cura di M. Pagliara, prefaz. di M. Guglielminetti (2002); Roma fuggitiva. Una città e i suoi dintorni, introd. di G. Ferroni, a cura di G. De Donato (2002); Il pianeta senza confini. Prose di viaggio, a cura di V. Zaccaro, presentazione di G. Russo – P. Santangelo (2003); Un dolente amore per la vita. Conversazioni radiofoniche e interviste, a cura di L.M. Lombardi Satriani – L. Bindi (2003); Le ragioni dei topi. Storie di animali, a cura di G. De Donato, introd. di F. Cassano, postfaz. di G. Sacerdoti (2004).
Non esiste un inventario completo e attendibile degli scritti “dispersi” del Levi. Per un catalogo degli articoli e degli interventi politici si può tener conto (con cautela) di G. Sirovich, Bibliografia, in L’azione politica di C. L., prefaz. di C. Vallauri, testimonianze di L. Anderlini, F. Ferrarotti, A. Garosci, P. Vittorelli, Roma 1988, pp. 117-123, e di D. Ward, Antifascisms. Cultural politics in Italy, 1943-46. Benedetto Croce and the liberals, C. L. and the “actionists”, Madison, NJ, 1996, pp. 192 ss. Una inadeguata selezione delle molte interviste al L. nel citato Un dolente amore per la vita.
Fonti e Bibl.: Sono in possesso di carte del L.: la famiglia Levi (Torino-Venezia); la signora R. Acetoso (Roma); l’Archivio centrale dello Stato (il fondo Carlo Levi); lo Harry Ransom Humanities Research Center della University of Texas (Austin); l’Università di Pavia (il fondo Manoscritti); la famiglia Colacicchi (Firenze); il dott. A. Ricci (Alassio). Qualche generica notizia, intorno al presente stato dell’Archivio Levi da lei detenuto, la signora Acetoso ha fornito ad A. Debenedetti (C. L.: i segreti nascosti in una Bibbia, in Corriere della sera, 17 giugno 2004). Sul complesso dei documenti depositati dalla Fondazione C. Levi presso l’Archivio centrale dello Stato, v. M. Martelli, L’archivio C. L., in Il “tempo”e la “durata”in “Cristo si è fermato a Eboli”, a cura di G. De Donato, Roma 1999, pp. 251-257, e L. Montevecchi, Laboratorio di scrittura e percorsi della memoria: l’archivio di C. L., in C. L. e il Mezzogiorno. Atti della Giornata nazionale di studi, Torremaggiore… 2001, a cura di G. De Donato – S. D’Amaro, Foggia 2003, pp. 49-57. Un rapido cenno all’acquisizione del manoscritto di Cristo si è fermato a Eboli (donato dal L. ad A.M. Ichino) da parte della University of Texas in M.X. Wells, Italian post-1600 manuscripts and family archives in North American libraries, Ravenna 1992, p. 104 (riproduzioni fotografiche a pp. 136 ss.). Le carte pavesi sono descritte da L. Bernini – D. Ferraro, Prime notizie sul “Fondo Carlo Levi”, in Autografo, III (1986), 8, pp. 77-85. Un’ampia scelta di lettere, documenti, manoscritti e disegni lasciati dal L., al momento del congedo da Firenze, all’amico pittore G. Colacicchi è stata esposta a Firenze, all’Accademia delle arti del disegno, dal 4 luglio al 29 ag. 2003, nella mostra C. L.: gli anni fiorentini 1941-1945 (catal.), a cura di B. Brunello – P. Vivarelli, Roma 2003 (F. Benfante ha selezionato i materiali di archivio; di quelle carte e delle lettere familiari che gli eredi Colacicchi hanno restituito al nipote del L., Giovanni Levi, lo stesso Benfante si è avvalso per il saggio “Risiede sempre a Firenze”. Quattro anni della vita di C. L. (1941-1945), ibid., pp. 11-103). L’ultimo dei sette “blocchi” in questione, originariamente di proprietà della signora Acetoso, è stato aggiudicato nel corso dell’asta del 17 giugno 2004 (Roma, Christie’s; cfr. il catal. Libri, autografi, carte geografiche. Ricordi familiari dei duchi di Windsor, Roma 2004, scheda n. 82, pp. 20-23, e l’articolo di G. Tesio, C. L. ritorna tra i carrubi di Alassio, in TTL, suppl. de La Stampa, 6 nov. 2004).
La fitta trama dei rapporti epistolari del L. è ricostruibile sulla base delle seguenti “voci”: U. Saba, L’adolescenza del “Canzoniere” e undici lettere, Torino 1975, p. 93; Id., Amicizia. Storia di un vecchio poeta e di un giovane canarino (Quasi un racconto) 1951, a cura di C. Levi, Milano 1976, pp. 29 ss., 82 s., (157 s.), 174, 176 s.; La fraterna amicizia dei gobettiani C. L. e N. Sapegno e L’unità e l’impegno di una generazione, a cura di L. Sacco, in Basilicata, XXVIII (1986), 1, pp. 13-20; 2, pp. 17-24; C. L. e la Lucania. Dipinti del confino 1935-1936 (catal., Matera), Roma 1990, pp. 100-104; Lettere di C. L. da Grassano, a cura di M.M. L.[amberti] e Una lettera di C. L. da Aliano e lettere a L. di familiari ed amici, a cura di P. V.[ivarelli]; Lettere e disegni 1922-1936, allegato a Linea d’ombra, dicembre 1990, n. 55; È questo il “carcer tetro”? Lettere dal carcere 1934-1935, a cura di D. Ferraro, Genova 1991; C. Levi – L. Saba, Carissimo Puck. Lettere d’amore e di vita (1945-1969), a cura di S. D’Amaro, Roma 1994; Lettere ai famigliari, in L’invenzione della verità. Testi e intertesti…, cit., pp. 103-131; N. Micoli Pasino, Linuccia, nel volume collettaneo U. Saba. Sei donne per un poeta, Empoli 2003, pp. 73-134. Sulla corrispondenza edita e inedita tra il L. e U. Saba si veda S. Ghiazza, C. L. e U. Saba. Storia di un’amicizia, Bari 2002. Due fotografie di Saba, una con la moglie Lina e l’altra con la figlia Linuccia, postillate da Saba e indirizzate al L., sono riprodotte fuori testo in U. Saba, Quante rose a nascondere un abisso. Carteggio con la moglie (1905-1956). Album fotografico, a cura di R. Acetoso, Lecce 2004 (a p. 51 un “ritratto” di Lina scritto dal L.).
La più articolata ricostruzione della vita del L. (tuttavia emendabile e integrabile in più di un luogo) si deve a G. De Donato – S. D’Amaro, Un torinese del Sud, C. L.: una biografia, Milano 2001; prima e dopo la pubblicazione di questo volume le indagini biografiche sul L. hanno soprattutto privilegiato l’arco temporale compreso tra il 1918 e il 1950 (tra la “formazione” gobettiana e L’orologio): sugli anni di apprendistato si può far riferimento, oltre che a Quaderno a cancelli, alle pagine retrospettive del fratello R. Levi, Ricordi politici di un ingegnere, Milano 1981, e della cugina G. Segre Giorgi, Piccolo memoriale antifascista, Torino 1994. Sui rapporti tra il L. e Gobetti si vedano almeno N. Bobbio, C. L. e Gobetti, in C. L.: un’esperienza culturale e politica nella Torino degli anni Trenta (catal.), a cura di E. Mongiano – I. Massabò Ricci, Torino s.d. [ma 1985], pp. 47-56; A. Radiconcini, Gobetti e L., in P. Gobetti e gli intellettuali del Sud. Atti del Seminario, Roma… 1993, a cura di P. Polito, Napoli 1995, pp. 363-382; A. d’Orsi, C. L. e l’aura gobettiana, in Il”tempo”e la”durata”, cit., pp. 31-64. Con i nomi di Enzo Bonello e Carlo Artom, P. Gobetti e il L. compaiono nel romanzo “torinese” di M. Cancogni La gioventù, Milano 1981. Per i soggiorni parigini del L. e la rete delle sue relazioni con il mondo dell’antifascismo italiano in Francia: Gli anni di Parigi. C. L. e i fuorusciti 1926-1933 (catal.), a cura di M.C. Maiocchi, Torino 2003. Altri tre importanti cataloghi consentono di mettere nitidamente a fuoco la vicenda del carcere e del confino: C. L.: disegni dal carcere 1934. Materiali per una storia, Roma 1983; C. L.: un’esperienza culturale e politica…, cit.; nonché C. L.: documenti del confino 1935/36 (mostra) e C. L. e la Basilicata. Il confino, le campagne, la sanità. Seminario di studio… 1984, in C. L. al confino da Grassano ad Aliano, Matera 1986, rispett. alle pp. 7-24 e 25-62 (è la ristampa, in forma di quaderno, del fascicolo speciale C. L. al confino 1935-36, in Basilicata, XXVIII [1986], 3). Sul cruciale quadriennio 1941-45 è fondamentale il citato C. L. Gli anni fiorentini 1941-1945, ma anche E. Benaim Sarfatti, Firenze 1943-44. Giochi di vita, d’amore e di guerra in piazza Pitti 14, in Belfagor, LV (2000), 6, pp. 689-714. Sul L. e La Nazione del popolo si veda l’antologia “La Nazione del popolo”, I-II, a cura e con introd. di P.L. Ballini, Firenze 1998, ad indicem.
Sulla redazione di Cristo si è fermato a Eboli: G. Falaschi, Cristo si è fermato a Eboli, in Letteratura italiana (Einaudi), Le opere, IV, Il Novecento, 2, La ricerca letteraria, Torino 1996, pp. 469-490; M.A. Grignani – M.C. Grignani, Il lungo silenzio del manoscritto, e M.X. Wells, C. L. e la Lucania: la parola e l’immagine, in L’invenzione della verità. Testi e intertesti…, cit., pp. 137-165 e 167-179; G. De Donato, Il manoscritto del “Cristo si è fermato a Eboli” e le sue varianti, in Il”tempo” e la “durata”…, cit., pp. 169-209. I termini della querelle sono lucidamente riassunti in modo non neutrale da F. Vitelli, Filologia per ilCristodi L., in Id., Il granchio e l’aragosta. Studi ai confini della letteratura, Lecce 2003, pp. 121-156. Sulla partecipazione del L. alla campagna elettorale della primavera 1946 appaiono inevitabilmente divaricate le rievocazioni di M. Rossi-Doria (C. L., in Gli uomini e la storia. Ricordi di contemporanei, a cura di P. Bevilacqua, Roma-Bari 1990, pp. 163-174) e di L. Sacco (L’orologio della Repubblica. C. L. e il caso Italia, Lecce 1996, pp. 107-119), da un lato, di G. Amendola (I duecento voti del candidato C. L., in L’Unità, 4 marzo 1979), dall’altro.
Una Bibliografia, aggiornata ma lacunosa, degli scritti critici sul L., curata da F. Terra Abrami, è in Il “tempo” e la “durata”…, cit., pp. 311-319. A essa si rimanda, avvertendo che nei poco più di vent’anni che precedono l’uscita del numero monografico su C. L., a cura di A. Marcovecchio, in Galleria, XVII (1967), 3-6, spiccano le recensioni a Cristo si è fermato a Eboli di E. Montale (Un pittore in esilio, in Il Mondo, 2 febbr. 1946) e di C. Muscetta (C. L. in Lucania, in La Fiera letteraria, 14 nov. 1946), ma anche la nota di F. Fortini su L’orologio (“La morte sta anniscosta in ne l’orloggi”, in Comunità, IV [1950], 8, pp. 64 s.). Nel fascicolo citato di Galleria si vedano, tra gli altri, V. Foa, C. L. “uomo politico”, pp. 203-213, e I. Calvino, La compresenza dei tempi, pp. 237-240.
Entro la sterminata bibliografia sul L. successiva al 1967 si vedano ancora almeno le monografie di G. Falaschi, C. L., Firenze 1971 (2ª ed. accr., ibid. 1978); G. De Donato, Saggio su C. L., Bari 1974; G.B. Bronzini, Il viaggio antropologico di C. L.: da eroe stendhaliano a guerriero birmano, Bari 1996; N. Carducci, Storia intellettuale di C. L., Lecce 1999; G. Russo, Lettera a C. L., Roma 2001; D. Ward, C. L. Gli Italiani e la paura della libertà, con un saggio di G. De Luna, Milano 2002.
Tra gli innumerevoli atti di convegni di studio sul L., oltre a quelli citati, meritano di essere segnalati: C. L. nella storia e nella cultura italiana, Roma… 1984, a cura di G. De Donato, Manduria-Bari-Roma 1993; L'”Orologio” di C. L. e la crisi della Repubblica, Roma… 1993, a cura di G. De Donato, Manduria-Roma 1997; C. Levi. Le parole sono pietre. Atti… 1995, a cura di G. Ioli, San Salvatore Monferrato 1997; Il germoglio sotto la scorza. C. L. vent’anni dopo, Matera… 1995, a cura di F. Vitelli, Cava de’ Tirreni 1998; C. L. e la letteratura di viaggio nel Novecento. Tra memoria, saggio e narrativa, San Marco in Lamis… 2002, a cura di S. D’Amaro – S. Ritrovato, Foggia 2003; Verso i Sud del mondo. C. L. a cento anni dalla nascita, Palermo… 2002, a cura di G. De Donato, Roma 2003. Non sono stati ancora pubblicati gli atti del convegno Nell’universo di C. L., Matera… 2002.
La formazione artistica del L. si svolse in ambito familiare, essendo il padre Ercole pittore e disegnatore dilettante. Fu però l’incontro con F. Casorati – avvenuto nel 1923 per il tramite di P. Gobetti – a orientare il giovane, laureando in medicina, a un maggiore impegno nella pittura. Arcadia (Roma, Fondazione C. Levi), esposto nel 1924 alla XIV Biennale di Venezia, documenta la suggestione dell’arte del maestro, della cui scuola di via Galliari il L. non fu mai allievo in senso stretto.
Un adolescente biondo è ripreso secondo un punto di vista fortemente rialzato mentre giace disteso su un pavimento a riquadri, un flauto alla mano. Intorno è una natura morta di richiamo classico: melograni, un libro, una collana di perle. I contorni sono ben delineati, l’atmosfera è sospesa, metafisica; l’avanzare in primo piano del soggetto e lo spazio alle sue spalle definiscono un equilibrio solido dell’immagine; mentre la luce effusa, nordica, rivela una pittura analitica, di osservazione. Il dipinto dà prova di una precoce maturità dell’artista, il quale, in pochi anni focalizzò gli aspetti tematici e di stile che informarono poi la sua intera produzione.
Il L. espose anche alla Biennale successiva, dove presentò Il fratello e la sorella (ibid.), doppio ritratto realizzato a cera su tavola, tecnica di derivazione casoratiana.
Il 1926 è un anno cruciale: dapprima la morte di Gobetti, quindi la pubblicazione del Gusto dei primitivi di L. Venturi, eventi che confermarono nel L. la necessità di un’apertura europea e di un confronto con le correnti artistiche straniere, specie francesi, per superare la crescente marginalità dell’arte italiana. Quello stesso anno il L. presentò alcune vedute torinesi alla mostra in tema, organizzata dalla Società di belle arti A. Fontanesi, presso la quale operava F. Casorati; vi esposero anche Jessie Boswell, G. Chessa, N. Galante, F. Menzio e E. Paulucci, il futuro gruppo dei Sei, la cui affinità di gusto cominciava a emergere.
In quest’epoca si intensificarono i soggiorni parigini del L., che si interessava al lessico postimpressionista di G. Seurat, ma guardava anche a J. Pascin e a H. Matisse, senza tralasciare peraltro di approfondire lo studio dei grandi impressionisti. I risultati di questi contatti sono da ricercare in un netto alleggerimento della linea a favore del colore quale si registra nelle opere del 1927 e compiutamente in quelle del 1928, come Place du Tertre, o Pittrice (Ragazza con l’ombrellino) dipinti che figurarono alla prima mostra del gruppo dei Sei, tenutasi nel gennaio 1929 alla galleria torinese Guglielmi (proprietà Fondazione C. Levi: cfr. I Sei pittori di Torino, ill. 11, 13).
Attivo sostenitore del gruppo fu E. Persico, giovane intellettuale crociano giunto da Napoli a Torino nel 1927, propugnatore dell'”unità e […] continuità ideale tra le arti” (Bandini, ibid., p. 17) e amico sincero del L.: fu lui, oltre a Venturi, a indirizzare gli artisti a un respiro internazionale come campo – sulla scia di Gobetti – di libertà intellettuale contro il nazionalismo di regime. Riscontrandovi la possibilità di un’azione culturale coerente con le proprie convinzioni politiche antifasciste, il L. fece sua, senza mai rinnegarla in seguito, l’idea della pittura come luogo di autonomia critica e di valori etici, i quali si concretavano nel racconto della realtà liricamente trasfigurata.
Insieme con il gruppo dei Sei (da cui presto si staccarono Galante e Jessie Boswell) il L. espose per due anni, ottenendo importanti riconoscimenti dalla critica e un peso culturale crescente all’interno della cerchia, che riconobbe in lui la statura dell’intellettuale di vaglia. In questa fase la pittura del L. evolveva rapidamente, in armonia con una sempre maggiore militanza politica che imponeva frequenti trasferte parigine. Le opere databili al volgere del decennio appaiono dapprima fortemente debitrici delle istanze di astrazione, di fluidità materica e di intensità cromatica di A. Modigliani, come nel Ritratto di Alessandro Passerin d’Entrèves (Roma, Galleria nazionale d’arte moderna), presentato nel 1930 a Venezia, che raffigurava l’amico seduto in poltrona, reso secondo la gamma azzurrognola e le linee angolate tipiche del pittore livornese. Ben presto però, la conoscenza diretta della pittura espressionista di C. Soutine e di O. Kokoschka influenzarono in maniera duratura il L., rivelandogli, nella pennellata densa e sinuosa, un dato pregnante di espressione artistica, che si avvaleva del gesto per creare la forma plastica sulla tela. L’eroe cinese, ritratto criptico di A. Garosci (datato 1932: Roma, Fondazione C. Levi, in C. L.: gli anni di Parigi, 2003, ill. 31) è forse, sotto questo aspetto, l’opera più rappresentativa: un vortice di pennellate pastose costruisce la figura, proiettata all’indietro, ma con le mani in primo piano, come ad attirare l’osservatore all’interno della rappresentazione, dinamica e vibrante.
A questa data i temi cari al L. sono ormai chiari: il ritratto, la natura morta, il paesaggio, il nudo. Specialmente nel ritratto raggiunse momenti di grande felicità, dipingendone alcuni tra i più interessanti del Novecento figurativo italiano: l’artista opera come un interlocutore, un narratore partecipe e curioso del carattere originale e irripetibile di ogni individuo, e in questo dialogo commosso il pittore lascia fluire nozioni di sé. Tale attenzione, vigile eppure distesa, serena, contraddistingue anche – accanto alla vasta galleria di ritratti di famiglia e di personalità del mondo dell’arte e della cultura – il consistente corpus di autoritratti, dipinti lungo tutta la vita.
Dopo i successi professionali dei primi anni Trenta, il L. raggiunse una compiuta maturità artistica durante gli anni del confino ad Aliano. L’arido paesaggio lucano e il mondo rurale del Mezzogiorno, offrirono al L. l’occasione per quell’arte naturalista e di forte impegno civile e sociale, ma già ricca di umana partecipazione, che egli andava immaginando. Nel Figlio della parroccola (1936: Roma, Fondazione C. Levi), giustamente celebre anche per essere stato scelto dall’autore per la copertina di Cristo si è fermato a Eboli, un bambino è colto di profilo in basso a destra – i tratti decisi, la pelle olivastra – mentre il centro del dipinto è dedicato a una natura morta di frutta che emerge da un fondo in tono grigio, colore delle crete di quelle plaghe. Uomini, luoghi e prodotti della terra costituivano un’unità che la civiltà moderna stava spezzando: il mondo contadino era portatore di una complessa cultura che non doveva andare perduta. Le opere dal confino furono esposte nel 1936 dapprima alla galleria Il Milione di Milano e quindi a Genova, alla galleria Genova di S. Cairola, con grande consenso di critica e pubblico.
Rientrato in Italia dopo l’esilio parigino, negli anni di Firenze il L. si dedicò prevalentemente al ritratto, di cui fa fede l’Autoritratto con berretto (1945: Roma, Galleria nazionale d’arte moderna). È del 1942 il testo critico Paura della pittura, apparso dopo la guerra in appendice alla monografia dedicatagli nel 1948 da C.L. Ragghianti, dove il L. condanna la pittura astratta contemporanea in quanto si distacca dall’uomo e dalla realtà del mondo, che invece deve restare l’oggetto della creazione artistica, pena la perdita di unità spirituale e il senso di paura, di sgomento che pervade il pensiero moderno.
Negli anni del dopoguerra, anche in virtù dello straordinario successo di Cristo si è fermato a Eboli, la produzione leviana ottenne numerosi riconoscimenti mentre si susseguivano le esposizioni in tutta Italia. Nel 1954 la XXVII Biennale gli dedicò una personale, in cui figuravano molti dipinti di tema meridionalista, secondo la poetica del realismo cara ai pittori vicini al partito comunista. La critica rilevò comunque (R. Longhi in testa) uno scadimento delle qualità pittoriche e un allontanamento dai dibattiti artistici di portata europea.
Gli anni Sessanta evidenziano – anche in ragione della ormai preponderante attività di scrittore, giornalista e parlamentare – una stanchezza d’ispirazione e di resa formale; il L. intanto, andava dipingendo con rinnovato interesse i paesaggi di Alassio, ambientati nel giardino della villa di famiglia. Si tratta di grandi tele in cui gli alberi, i carrubi, sono protagonisti che vengono rappresentati singolarmente, con forti pennellate corsive, come fossero persone che raccontano una propria storia.
Il L. affiancò sempre la produzione pittorica a quella grafica: celebri i disegni realizzati durante la prima detenzione, nel carcere romano di Regina Coeli, e rinvenuti in anni recenti: nature morte connotate da quiete atemporale. I temi dei disegni leviani accompagnarono quelli della pittura (gli amanti, le maternità, il mondo rurale); ma se nei dipinti il valore dominante è quello cromatico, nella grafica si percepisce una ricerca di circolarità, quasi di armonia cosmica, ottenuta con un segno grasso, esteso.
Una menzione a parte merita la produzione di monotipi; cioè opere a stampa a tiratura unica a partire da una lastra di vetro inchiostrato, tecnica poco utilizzata dagli artisti italiani. Il L. la apprese da L. Spazzapan alla fine degli anni Venti e in seguito continuò a praticarla; particolarmente riuscita la serie degli Amanti, che risale agli anni Cinquanta (I monotipi: C.L., 1977).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carlo Levi (conserva un vasto corpo di stampati, recensioni, cataloghi relativi all’attività artistica del L.); Galleria nazionale d’arte moderna, Carlo Levi (particolarmente documentata la produzione giovanile); C.L. Ragghianti, C. L., Firenze 1948; A. Trombadori, Gente del Mezzogiorno di C. L., in Realismo, 1953, nn. 13-15, pp. n.n.; A. Bovero, Archivi dei Sei pittori di Torino, Roma 1965, pp. 31-37; I Sei di Torino, 1929-1932 (catal.), a cura di V. Viale, Torino 1965, pp. 133-170; C.L. Ragghianti, Incontro con C. L., in Critica d’arte, XXII (1976), 148-149, pp. 11-43; C. L. si ferma a Firenze. Cento disegni (catal.), a cura di G. Gromo, Firenze 1977; C. L.: opere grafiche, a cura di F. Fiorani – P.P. Tarasco, Matera 1977; I monotipi: C.L. (catal., Ferrara), a cura di G. Gromo, Cento 1977; C. L.: disegni dal carcere 1934. Materiali per una storia (catal.), Roma 1983; C. L.: opere dal 1923 al 1973 (catal., Umbertide), a cura di E. Boccia et al., Perugia 1988 (con bibl.); C. L. e Lucania 61 (catal., Benevento), a cura di G. Appella, Roma 1989; C. L. e la Lucania. Dipinti dal confino 1935-1936, a cura di P. Vivarelli, Roma 1990; I Sei pittori di Torino (catal., Torino), a cura di M. Bandini, Milano 1993, pp. 4, 11-13, 42-48, 62-65, 72 s., 79; C. L.: galleria di ritratti (catal.), a cura della Fondazione C. Levi, Roma 2000; G. De Donato – S. D’Amaro, Un torinese del Sud: C. L., Milano 2001; C. L.: paesaggi, 1926-1974 (catal.), a cura della Fondazione C. Levi, Roma 2002; C. L.: gli anni fiorentini 1941-1945 (catal., Firenze), a cura di P. Vivarelli, Roma 2003; Gli anni di Parigi. C. L. e i fuorusciti, 1926-1933 (catal., Torino), a cura di M.C. Maiocchi – M.M. Lamberti, Savigliano 2003.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –
On. Elettra POLLASTRINI-L’unica donna della provincia di Rieti eletta alla Costituente-
On.Elettra Pollastrini -P.C.I.Nata a Rieti il 15 luglio 1908, deceduta a Rieti il 2 febbraio 1990, operaia e parlamentare Comunista.La sua famiglia di antifascisti nel 1934 fu costretta a emigrare in Francia per sottrarsi alle persecuzioni del regime. Trovato un lavoro la giovane Elettra, che aveva aderito al Partito Comunista, fece l’operaia alla Renault e nell’azienda francese fu alla testa delle lotte di quei lavoratori. Incaricata della redazione di Noi Donne, allo scoppio della guerra civile nella penisola iberica si portò in Spagna. Al rientro in Francia fu arrestata e rinchiusa nel campo di Rieucross. Riuscita a rientrare in Italia, nel 1941 la Pollastrini tornò a Rieti dove riprese l’attività antifascista clandestina e, dopo l’annuncio dell’armistizio, entrò nella Resistenza romana. Arrestata dai tedeschi e tradotta in Germania trascorse venti mesi nel carcere di Aichach. Dopo la Liberazione, tornata in Italia, fu una delle nove donne comuniste entrate a far parte della Consulta nazionale e, nel 1948, fu eletta deputata del PCI alla Camera, dove restò per due Legislature. Nel 1958 si trasferì in Ungheria dove, per 5 anni, lavorò a Radio Budapest. A Rieti, a Elettra Pollastrini è stata intitolata una strada; porta il suo nome anche una Sezione dell’ANPI, che vi si è recentemente costituita.
Fonte- ANPI nazionale-L’On.Elettra Pollastrini , nella foto in B/N è quella seduta a dx dell’On. Nilde Jotti-(Foto Archivio Camera dei Deputati)-
Nota- A)L’On.Elettra Pollastrini , nella foto in B/N è quella seduta a dx dell’On. Nilde Jotti-(Foto Archivio Camera dei Deputati)- B)La pagina di giornale con le 21 Onorevoli elette alla Costituente è del Corriere della Sera -1946- C) Scheda della Camera dei Deputati con le coordinate anagrafiche dell’On. Elettra Pollastrini. ANPI COMITATO ANTIFASCISTA DELLA SABINA-
Roma Capitale -Domenica 5 gennaio 2025, musei civici e siti archeologici gratis-
Roma Capitale –Domenica 5 gennaio 2025 ,prima domenica del mese, sarà possibile visitare gratuitamente gli spazi del Sistema Musei di Roma Capitale e alcune aree archeologiche della città.
Saranno aperti a ingresso libero il Parco Archeologico del Celio (ore 7-17:30), con il Museo della Forma Urbis (10 – 16 con ultimo ingresso alle ore 15 – Ingressi Viale del Parco del Celio 20/22 – Clivo di Scauro 4); l); l’Area Sacra di Largo Argentina (via di San Nicola De’ Cesarini di fronte al civico 10, 9:30 – 16, ultimo ingresso ore 15), l’area archeologica del Circo Massimo (ore 9:30 – 16, ultimo ingresso ore 15), Villa di Massenzio (via Appia Antica 153, dalle 10 alle 16, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura) e i Fori Imperiali (ingresso dalla Colonna Traiana ore 9 – 16:30, ultimo ingresso un’ora prima della chiusura).
I musei civici aperti a ingresso gratuito per l’occasione
Musei Capitolini; Mercati di Traiano – Museo dei Fori Imperiali; Museo dell’Ara Pacis; Centrale Montemartini; Museo di Roma; Museo di Roma in Trastevere; Galleria d’Arte Moderna; Musei di Villa Torlonia (Casina delle Civette, Casino Nobile, Serra Moresca); Museo Civico di Zoologia.
L’iniziativa è promossa da Roma Capitale, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Ingresso libero compatibilmente con la capienza dei siti. Prenotazione obbligatoria solo per i gruppi al contact center di Roma Capitale 060608 (ore 9-19).
A ingresso gratuito sia le collezioni permanenti che le esposizioni temporanee, a partire dai Musei Capitolini (piazza del Campidoglio 1) dove si potrà ammirare, nelle sale terrene del Palazzo dei Conservatori, Tiziano, Lotto, Crivelli e Guercino. Capolavori della Pinacoteca di Ancona, una selezione di grandi opere provenienti dalla Pinacoteca Civica ‘Francesco Podesti’ di Ancona. Sei prestigiose tele protagoniste di un percorso espositivo che racconta l’importanza della collezione della Pinacoteca Nella Sala degli Arazzi del Palazzo dei Conservatori, Agrippa Iulius Caesar, l’erede ripudiato. Un nuovo ritratto di Agrippa Postumo, figlio adottivo di Augusto, tre ritratti di Agrippa Postumo, uno appartenente alle collezioni dei Musei Capitolini, un altro proveniente dagli Uffizi e il terzo della Fondazione Sorgente Group, in cui, solo di recente, si è riconosciuto lo sfortunato erede di Augusto.
Nelle sale di Palazzo Clementino l’ingresso gratuito comprende la visita a I Colori dell’Antico. Marmi Santarelli ai Musei Capitolini, un’ampia panoramica sull’uso dei marmi colorati, dalle origini fino al XX secolo, attraverso una raffinata selezione di pezzi provenienti dalla Fondazione Santarelli.
La prima domenica del mese può essere infine l’occasione per ammirare, nel giardino di Villa Caffarelli, l’imponente ricostruzione in dimensioni reali del Colosso di Costantino, una statua alta circa 13 metri realizzata attraverso tecniche innovative, partendo dai pezzi originali del IV secolo d.C. conservati nei Musei Capitolini.
Ai Musei di Villa Torlonia (via Nomentana 70) nelle sale del Casino dei Principi Titina Maselli nel centenario della nascita, un’ampia visione retrospettiva dell’opera di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Alla Casina delle Civette è possibile ammirare l’esposizione Niki Berlinguer. La signora degli arazzi, una panoramica completa della produzione di arazzi realizzati dall’eminente tessitrice e artista, pioniera nel tradurre la pittura in narrazioni tessili (www.museivillatorlonia.it).
Al Museo di Roma in Trastevere (piazza S. Egidio 1/b) l’esposizione Roma ChilometroZero, un lavoro fotografico di ricerca in cui 15 fotografi romani documentano la complessità, i cambiamenti e le particolarità della città. Nelle sale al primo piano Testimoni di una guerra – Memoria grafica della Rivoluzione Messicana, 40 fotografie provenienti dal prestigioso Archivio Casasola, che percorrono le tappe fondamentali della Rivoluzione Messicana, periodo in cui sono sorte figure che hanno segnato la storia messicana come Francisco I. Madero, Emiliano Zapata, Pancho Villa e Venustiano Carranza. Infine, sempre nelle sale al primo piano, prosegue Dino Ignani. 80’s Dark Rome, il ritratto della Roma ombrosa e scintillante, sotterranea e plateale, degli anni Ottanta del secolo scorso.
Al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2) l’ingresso gratuito darà la possibilità di visitare LAUDATO SIE! Natura e scienza. L’eredità culturale di frate Francesco, esposizione che, prendendo le mosse dal più antico manoscritto del Cantico di frate Sole o Cantico delle creature – tra i primi testi poetici in volgare italiano giunti a noi –propone un itinerario, attraverso 93 opere rare del Fondo antico della Biblioteca comunale di Assisi conservate presso il Sacro Convento.
Nelle sale del terzo piano L’incanto della Bellezza. Dipinti ritrovati di Sebastiano Ricci dalla Collezione Enel, esposizione inedita di due tele, raffiguranti Il trionfo di Venere e Bacco e Arianna, probabilmente eseguite dal Ricci nei primi anni del Settecento da poco sottoposti a un restauro.
Negli spazi della Galleria d’Arte Moderna (via Francesco Crispi 24), la mostra Estetica della deformazione. Protagonisti dell’Espressionismo Italiano, una selezione delle opere della collezione Iannaccone di Milano relative alla linea espressionista dell’arte italiana tra gli anni Trenta e Cinquanta – dalla Scuola Romana al gruppo Corrente. All’ingresso del museo, i visitatori saranno inoltre accolti da À jour. Laura VdB Facchini, un progetto site-specific in dialogo con il complesso monumentale tardo-cinquecentesco che oggi ospita il museo, ispirato dal ricamo à jour, come omaggio alle monache che per secoli hanno abitato questo. Nelle sale al secondo piano prosegue il successo della mostra “La poesia ti guarda”. Omaggio al Gruppo 70 (1963-2023), una selezione di opere di uno dei sodalizi artistici più interessanti sorti nel contesto delle neoavanguardie e delle ricerche verbovisuali italiane. Sarà inoltre ancora possibile ammirare L’allieva di danza di Venanzo Crocetti. Il ritorno, una delle prime sculture di grande formato dedicate al tema della danza di Crocetti, tornata in tutta la sua magnificenza dopo un restauro da parte dei tecnici dell’ICR.
Aperti regolarmente al pubblico anche i musei abitualmente ad ingresso libero, ovvero: Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco; Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese; Museo Pietro Canonica a Villa Borghese; Museo Napoleonico; Museo della Repubblica Romana e della memoria garibaldina; Museo di Casal de’ Pazzi; Museo delle Mura; Villa di Massenzio.
Al Museo Carlo Bilotti, Aranciera di Villa Borghese (via Fiorello La Guardia 6 – viale dell’Aranciera 4) la mostra Sandro Visca – Fracturae, un’occasione unica per esplorare la produzione dell’artista abruzzese con particolare attenzione al suo continuo dialogo tra la materia e la sua messa in forma. (www.museocarlobilotti.it )
Al Museo Napoleonico (Piazza di Ponte Umberto I 1) si potrà ammirare Carolina e Ferdinando. E non sempre seguendo il dopo al prima, sculture, incisioni, installazioni multimediali di Gianluca Esposito che esplorano artisticamente le relazioni fra Maria Carolina d’Asburgo Lorena, il marito Ferdinando IV di Borbone e il Regno di Napoli. Nello stesso museo Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente, una mostra tematica sull’interesse del conte Giuseppe Primoli per l’arte del Giappone e, più in generale del continente asiatico, con documenti, fotografie, libri, oggetti e manufatti di gusto, tema o manifattura orientale provenienti dalla Fondazione Primoli e dalla collezione del museo. (www.museonapoleonico.it )
Eccezione alla gratuità
(ingresso a tariffazione ordinaria, con tariffa ridotta per i possessori della MIC Card):
Franco Fontana. Retrospective al Museo dell’Ara Pacis (lungotevere in Augusta angolo via Tomacelli), la prima grande mostra retrospettiva dedicata all’intera carriera artistica del fotografo modenese, con opere selezionate dal suo vasto archivio.
Roma pittrice. Le artiste a Roma tra il XVI e XIX secolo al Museo di Roma (Piazza San Pantaleo, 10 e Piazza Navona, 2), che si focalizza sulle artiste donne che lavorarono a Roma a partire dal XVI secolo, con un percorso che giunge fino al 1800 e alle nuove modalità di progressivo accesso alla formazione che lentamente si impongono in accordo con il panorama europeo. Protagoniste le artiste presenti nelle collezioni capitoline, come Caterina Ginnasi, Maria Felice Tibaldi Subleyras, Angelika Kaufmann, Laura Piranesi, Marianna Candidi Dionigi, Louise Seidler ed Emma Gaggiotti Richards, oltre a una selezione significativa di altre importanti artiste attive in città come Lavinia Fontana, Artemisia Gentileschi, Maddalena Corvina, Giovanna Garzoni, e di molte altre.
Rifugio antiaereo e bunker di Villa Torlonia, (Casino Nobile, Via Nomentana 70) con un nuovo percorso espositivo che documenta la vita di Mussolini e della famiglia nella villa e, attraverso un’esperienza multimediale immersiva, permette di rivivere i momenti drammatici delle incursioni aeree durante la Seconda guerra mondiale. Prenotazione obbligatoria per singoli e gruppi.
Circo Maximo Experience, offre la visita immersiva del Circo Massimo in realtà aumentata e virtuale, dalle 9:30 alle 16:00 (ogni 15 min. – ultimo ingresso ore 14:50). Ingresso a tariffa ridotta per possessori della MIC Card.
Tutte le informazioni e gli aggiornamenti sono disponibili su www.museiincomuneroma.it e culture.roma.it e sui canali social di Roma Culture, del Sistema Musei e della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. Servizi museali a cura di Zètema Progetto Cultura.
ROMA Municipio XIII-La VILLA ROMANA delle COLONNACCE
– Fotoreportage di Franco Leggeri
Roma- Municipio XIII-Castel di Guido- Fotoreportage di Franco Leggeri –I visitatori che in questi giorni , a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, sono stati ospiti del GAR a Villa Romana delle Colonnacce e qui guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana molti ospiti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi , muniti di cartello con la relativa descrizione di Plinio, che si trovano nell’angolo in fondo all’area archeologica sono alcuni esemplari di : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
Questi alberi sono qui a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato una occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
ROMA – Municipio XIII-Castel Di Guido – Villa Romana delle Colonnacce
Fotoreportage di Franco Leggeri -Anno 2005-
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale.La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “. Ricordiamo il recente, superbo, lavoro della Dott.ssa Daniela Rossi nel quartiere Massimina sulla via Aurelia. La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela.Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .
L’Alba dell’Italia democratica-Articolo di Valdo Spini-
L’Alba dell’Italia democratica-Articolo di Valdo Spini-Questo del 25 aprile 2023 non è un anniversario qualsiasi. Si svolge dopo che le elezioni dello scorso settembre hanno dato vita a un governo di destra-centro presieduto da Giorgia Meloni, leader di un partito, Fratelli d’Italia che ha nel suo simbolo la Fiamma tricolore che aveva caratterizzato il Movimento sociale italiano, la formazione politica di estrema destra fondata a suo tempo da reduci e nostalgici del fascismo della Repubblica di Salò. Il modo in cui verrà celebrato il 25 aprile rappresenta quindi un test importante del comportamento degli esponenti di questo partito, che oggi rivestono importantissime cariche istituzionali come la Presidenza del Consiglio e la Presidenza del Senato. Ma è importante allora il modo in cui ci prepariamo a questa ricorrenza noi che ci riconosciamo nella Resistenza e nella lotta di Liberazione e che ci richiamiamo alle tradizioni di quei partiti che l’hanno guidata politicamente.Credo che la cosa importante che dobbiamo sottolineare è il carattere nazionale assunto dalla lotta di Liberazione, un richiamo a cui nessuno si può sottrarre. Da dove parte infatti la Resistenza e dove arriva.
Il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, viene firmato l’armistizio dal generale Castellano inviato del capo del governo Badoglio e il generale Bedell Smith, inviato dal generale Eisenhower. Solo che questo armistizio non viene annunciato, e tanto meno le nostre truppe vengono a questo avvenimento preparate e informate. Fino a che, l’8 settembre, lo stesso comandante in capo delle truppe alleate, dal suo comando in Algeri, lo rende noto. Seguono a Roma ore concitate, fino a che Badoglio non va alla radio, annuncia l’armistizio con le Forze armate alleate e pronuncia quella frase del tutto incomprensibile: «le Forze armate italiane reagiranno ad eventuali altri attacchi di qualsiasi altra provenienza». Avviene così che circa seicentomila militari italiani vengono catturati senza colpo ferire e inviati nei campi di concentramento, mentre le truppe tedesche occupano il territorio italiano non già liberato dagli Alleati e vi installano il governo collaborazionista della Repubblica Sociale italiana con alla testa Benito Mussolini. È un momento così tragico che fece parlare allo storico Ernesto Galli Della Loggia di “morte della patria”. Rispose il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che non di morte della patria si trattava ma di Rinascita della patria, della nascita dell’Italia democratica. Si riferiva al fatto che in realtà era nata l’Italia democratica e che questa era nata grazie a chi, in questo sfascio totale, aveva preso le armi contro i tedeschi occupanti e i fascisti della Repubblica Sociale italiana.
Cominciò così la lunga lotta di Liberazione che doveva durare per tutto l’aprile del 1945 fino al 5 maggio, la resa della Germania. Una lotta che fu condotta con molto valore anche nelle valli valdesi. La celebriamo il 25 aprile, che è la data dell’insurrezione generale proclamata dal Clnai, Comitato nazionale di liberazione dell’Alta Italia.
Questa lotta fu condotta dai partigiani e dai patrioti (così si chiamarono nella valorosa Massa Carrara), ma anche dagli internati militari, gli Imi che scelsero il campo di prigionia nazista piuttosto che venire a combattere per la Repubblica Sociale. Pensiamo infatti quanto sarebbe stata più lunga la guerra di liberazione se i tedeschi avessero potuto rovesciare qualche centinaio di migliaia di militari a combattere al loro fianco sul fronte italiano. Ma anche le Forze regolari italiane ricostituite al Sud svolsero un ruolo importante nella guerra di Liberazione, in particolare nello sfondamento del fronte ad Alfonsine. Ma un discorso particolare va riservato ai civili. Senza un appoggio dei civili non c’è Resistenza che tenga. Donne e uomini pagarono un prezzo pesantissimo nelle rappresaglie e nelle stragi con cui si cercò invano di fiaccare la Resistenza del popolo italiano.
Ma guardiamo questa vicenda a guerra conclusa. Qual è stata la condizione delle altre nazioni sconfitte. L’Austria, che pure aveva subito l’Anschluss, l’unificazione nel Reich tedesco, occupata e divisa fino al 1955. Il Giappone sotto il proconsolato del generale Mac Arthur fino alla guerra di Corea del 1953. La Germania, occupata e divisa fino al crollo del muro di Berlino nel 1989. Che cosa sarebbe stato dell’Italia se non avesse partecipato, con la Resistenza e la guerra di Liberazione, alla lotta contro il nazifascismo e questa lotta non fosse stata guidata dall’unità dei partiti antifascisti nel Comitati di Liberazione? E nonostante questo il Trattato di pace non fu lieve, ma sarebbe stato assai più duro se non ci fosse stata la Resistenza e la Guerra di Liberazione.
D’altro canto la nostra Costituzione è antifascista, perché non è una Costituzione concessa dai vincitori a una nazione vinta, ma è il frutto della lotta condotta dal popolo italiano contro i nazisti e i fascisti. Noi dobbiamo. rivendicare il carattere nazionale di questa lotta, al cui ricordi e alla cui celebrazione nessuno si può sottrarre. Questo valeva per ieri, ma vale per l’oggi e per il domani.
Il XXV Aprile è festa di tutti e tutte nel nostro paese; dopo l’8 settembre la lunga lotta di Liberazione coinvolse i partigiani e i militari che dissero no a Salò.
La Costituzione è conseguenza di quell’impegno di popolo.
VALDO SPINI, già professore universitario associato alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, è stato deputato al Parlamento per otto legislature (fino al 2008) e vicesegretario nazionale del Partito socialista (1981-1984).Ministro dell’Ambiente, sottosegretario all’Interno (1986-1992) e agli Esteri, presidente della Commissione Difesa della Camera, è stato cofondatore dei Democratici di sinistra di cui è stato eletto presidente della direzione nel 2000. Oggi presiede l’Associazione delle Istituzioni culturali italiane (AICI).
VALDO SPINI,Uomo politico italiano (n. Firenze 1946), figlio di Giorgio. Socialista, vice-segretario nazionale del PSI (1981-84), nel nov. 1994 ha promosso la scissione dal partito della componente che ha dato vita alla Federazione laburista, di cui è stato eletto presidente e che è poi confluita nei Democratici di Sinistra (DS). Deputato dal 1979, è stato ministro dell’Ambiente (1993-94) e presidente della commissione difesa della Camera dei Deputati (dal 1996 al 2001). Confermato alla carica di deputato nelle elezioni politiche del 2006 con la lista dell’Ulivo, l’anno successivo ha aderito al nuovo Partito socialista ma non è stato rieletto nelle politiche del 2008 a causa del risultato negativo ottenuto dalla nuova formazione. Tra le pubblicazioni: Naia? No grazie (1997); La rosa e l’ulivo (1998); Compagni siete riabilitati! Il grano e il loglio dell’esperienza socialista, 1976-2006 (con G. M. Gillio, 2006); Vent’anni dopo la Bolognina (2010); La buona politica. Da Machiavelli alla Terza Repubblica. Riflessioni di un socialista (2013); Sul colle più alto. L’elezione del presidente della Repubblica dalle origini a oggi (2022).
Gian Arturo Ferrari–Storia confidenziale dell’editoria italiana-
-Marsilio Editori-Venezia–
Descrizione del libro di Gian Arturo Ferrari-Chi racconta questa storia di scrittori e editori, stampatori e mecenati, talenti e miserie è stato un protagonista dell’editoria italiana del Novecento. Ha lavorato in case editrici medie e grandissime, si è occupato di patrie lettere e letterature straniere, soprattutto ha incontrato persone e cose, attraversato epoche, inventato collane, assunto e licenziato. Chi racconta somiglia abbastanza all’editoria italiana, elegante e iraconda, generosa e umbratile, colta e commerciale. Perché l’editoria, si legge in queste pagine, è figlia dell’intellettualità e del commercio, non appartenendo in fondo a nessuno dei due. E poi, annosa questione, sono gli editori capitani d’azienda? Esistono ancora come i primi trent’anni del Novecento ce li hanno consegnati? Chi racconta ricostruisce con passione e puntualità una storia che si suppone magmatica, casuale, con accelerazioni improvvise e sacche, costellata di invidie e affetti, rabbie e riconciliazioni, amori e antipatie. Chi racconta sa che attraverso l’editoria si può raccontare la storia d’Italia, quella tra le due guerre e quella degli anni di piombo, quella dei magnifici anni Ottanta e la più recente, quando i protagonisti sono forse meno eroici ma più inattesi. Con tono epico e comico, affettuoso e tagliente, con occhi distanti e nel contempo vicinissimi, Gian Arturo Ferrari ci accompagna nelle avventure umane e culturali degli uomini e delle donne che si sono occupati di scegliere come, quando e quali libri pubblicare in un paese in cui tutti scrivono e pochi leggono.
Breve biografia di Gian Arturo Ferrari
Gian Arturo Ferrari ha perseguito per un certo tratto una doppia vita: da un lato l’insegnamento universitario, dall’altro l’apprendistato editoriale. Collaboratore di Paolo Boringhieri, editor della Saggistica Mondadori nel 1984, direttore dei Libri Rizzoli nel 1986, rientrato in Mondadori nel 1988, nel 1989 ha scelto infine l’editoria libraria come propria unica vita, e si è dimesso dall’università. Direttore dei Libri Mondadori nei primi anni Novanta, è stato dal 1997 al 2009 direttore generale della divisione Libri Mondadori. Dal 2010 al 2014 ha presieduto il Centro per il libro e la lettura, presso il ministero dei Beni e delle attività culturali. Dal 2015 al 2018 è stato vicepresidente di Mondadori Libri. È stato editorialista del Corriere della Sera ed è presidente del Collegio Ghislieri di Pavia. Oltre a Storia confidenziale dell’editoria italiana, è autore di Libro (Bollati Boringhieri 2014) e Ragazzo italiano (Feltrinelli 2020, finalista al premio Strega).
Charles-Henri Favrod è scomparso alle soglie dei novant’anni il «padre» del Museé de l’Elysée di Losanna.
Parigi.Charles-Henri Favrod In un’intervista rilasciata a «Le Temps» nel 2015, aveva detto: «Vi immaginate com’era il mondo prima di duplicarlo, prima di inventariarlo, prima di fotografare ognuna delle cose che lo costituiscono? La gente non aveva idea; come immaginare il Louvre quando si vive ad Angoulême? Ci sono due invenzioni fenomenali nel XIX secolo: la fotografia e la psicoanalisi, due fondamenti».
Scomparso a Morges lo scorso 15 gennaio, quasi novantenne, Charles-Henri Favrod (giornalista, fotografo, scrittore, storico, erudito, collezionista, direttore editoriale) torna qui a sottolineare l’enorme portata del cambiamento che ha travolto il mondo dopo l’invenzione della fotografia, arte alla quale ha dedicato buona parte della sua vita.
Nato a Montreux il 21 aprile del 1927, dopo gli studi umanistici all’Università di Losanna si dedica al giornalismo, sia come reporter per la «Gazette de Lausanne» sia come critico letterario per il supplemento «La Gazette littéraire». È corrispondente di guerra in Indocina e in Algeria, dove si impegnerà attivamente per la decolonizzazione del Paese, tanto da essere poi insignito della Médaille de la Reconnaissance algérienne. Dirige le Éditions Rencontre per le quali si occupa dell’enciclopedia Edma e degli «Atlas des voyages»: sono i primi anni Sessanta e Favrod lavora già in stretto contatto con i fotografi. Diventa responsabile de La Guilde du livre dell’editore Albert Mermoud, e a lui si deve la creazione della Fondation suisse pour la photographie nel 1974. «Ho passato il mio tempo a reclamare un museo della fotografia, prosegue nella stessa intervista, trovavo insensato che non esistesse alcun luogo per presentare la fotografia, e soprattutto per spiegarla. L’inizio delle mie proteste risale agli anni Cinquanta, il museo è nato nel 1985!».
Il museo in questione è il Musée de l’Elysée di Losanna, il primo in Europa a essere consacrato esclusivamente alla fotografia, e costruito su quello che era stato il Cabinet des estampes. «Desideravo esporre i più grandi come i più giovani, nell’idea di costituire una collezione, perché un museo senza collezione è un’assurdità». Nei suoi spazi passeranno le immagini dei più noti autori internazionali, da Capa a Man Ray, da Atget a Henri Cartier-Bresson, da William Klein a Robert Frank a Lee Friedlander.
E quando dopo dieci anni, come previsto dalla legge cantonale, deve lasciare la direzione dell’Elysée, è con qualche dissapore che si separa dalla sua creatura, anche se subito dopo la Fratelli Alinari lo incarica dell’apertura del Museo di Storia della Fotografia Fratelli Alinari, che avverrà nel 2006. Favrod affida proprio al museo la conservazione della sua sterminata collezione, dalla quale provengono le opere che lui stesso seleziona per «Cento fotografi del XX secolo», la mostra con la quale nel 2007 l’istituzione fiorentina rende omaggio alla sua attività di collezionista. Intanto continuano a susseguirsi attività e pubblicazioni, a ribadire una passione per l’immagine che le sue parole spiegano bene: «La fotografia cattura il mio interesse perché mi fornisce delle informazioni. Desiderio di riconoscere, piacere di guardare. E senza dubbio anche perché essa permette d’ingannare un po’ la morte».
Francesco Riccio-Lo rifarei. Vita di partito da via Barberia a Botteghe Oscure –
prefazione di Gianni Cuperlo
DESCRIZIONE- del libro di Francesco Riccio -Una serie di racconti, un viaggio nella vita del Partito, del Pci, con il dichiarato intento di rendere omaggio alle donne ed agli uomini, alle compagne e ai compagni con i quali l’autore ha trascorso (da militante-funzionario-dirigente) un importante trentennio. Un omaggio a quelle figure sconosciute al grande pubblico e spesso genericamente indicate come “apparato”, anche con un certo disprezzo. In realtà si trattava di una comunità che ha dedicato la propria vita agli ideali della solidarietà, della difesa dei più deboli, del progresso sociale. Donne e uomini che non avevano nulla di quel grigiore con il quale venivano descritti. Anzi, attraverso la caratterizzazione di ciascuno si disegna il quadro di un popolo che sapeva coniugare la massima serietà dell’impegno politico con lo spensierato divertimento. Certo, c’è nostalgia di quel tempo e di quel popolo. La storia ha assegnato a quella vicenda un esito ben noto. Ciò non può impedire che ciascuno di quelli che l’hanno vissuta avverta un sentimento di nostalgia e di rimpianto. Nella consapevolezza che i sentimenti possono sempre reinventarsi se non si nega il loro valore profondo.
Gianni Cuperlo, che ha curato la prefazione, coglie brillantemente gli aspetti principali del racconto. Bruno Magno, storico grafico del Pci, li sintetizza con maestria nella copertina. Due omaggi all’autore per tanti anni loro compagno in quel viaggio.
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