Castel di Guido – 2 maggio 2018-Fotografare Epigrafi e segni che sono i particolari è come inserire gli incisi in un racconto. I particolari sono come sottolineature di appunti, i punti e virgola, ma anche un “nodo al fazzoletto” per ricordarsi di un fatto specifico. Ho fotografato molti particolari ,quelli che ho scoperto, di Castel di Guido. Particolari che , come in un mosaico, si vanno ad incastonare nelle storie che disegno sulla pagina di storia che sto scrivendo. Faccio alcuni esempi, ho fotografato i Punti trigonometrici dell’IGM ora non più utilizzati, vecchie epigrafi testimoni silenziose di storie antiche e ancora particolari come le antenne ripetitrici, la campana e gli stemmi SPQR . Di questi qui di seguito, galleria fotografica, ne propongo alcuni dei “particolari” che ho fotografato.
Santa Severa-Il 14 luglio 2017, come è tradizione da oltre tre lustri, presso la splendida cornice del castello di Santa Severa, sempre con inizio alle ore 21,15, si apre il ciclo di conferenze scientifico-divulgative che si concluderà il 29 settembre. Le conferenze organizzate dal Museo del Mare e della Navigazione Antica e dal Gruppo Archeologico del Territorio Cerite (GATC-onlus) in collaborazione con la Regione Lazio, il Comune di Santa Marinella, Lazio Crea e CoopCulture sono ad ingresso libero e gratuito. Tutte le dieci conferenze previste sono tenute da professori e studiosi di primissimo livello provenienti da Istituzioni universitarie e non sia italiane che estere e toccheranno ed approfondiranno varie ed interessantissime tematiche storico-archeologiche concernenti, nei secoli, il nostro Paese. Il coordinamento scientifico, di questo importante appuntamento culturale estivo, è affidato, come di consueto, al noto archeologo Flavio Enei direttore di tutti Musei del castello, il quale terrà, lui stesso, venerdì 18 agosto, una “intrigante” conferenza dal titolo: “ Storia e archeologia del castello di Santa Severa. Il racconto nel nuovo Museo del Castello”. Tutte le conferenze, alcune a più voci, saranno illustrate da video, diapositive e fotografie le quali andranno ad impreziosire ulteriormente quanto sarà esposto dai vari relatori.
RomaCapitale- Municipio XIII-Il complesso antico attualmente disposto su via di Casalotti all’angolo con via Borgo Ticino venne alla luce già nei primi anni 30 in modo del tutto occasionale, durante l’esecuzione di alcuni lavori agricoli in area.In un primo momento, nel 1930 in seguito agli scavi intrapresi dalla Soprintendenza, furono rinvenuti resti parziali di un mosaico a soggetto marino raffigurante Tritoni e Nereidi afferente ad un ambiente termale piuttosto esteso; un deposito di dolia – i grandi contenitori di derrate alimentari in terracotta – disposti irregolarmente in un ambiente sorretto da pilastri in laterizio; alcune strutture murarie anch’esse in opera laterizia; scorie di fusione di una fornace per il vetro Già due anni più tardi vennero poi rinvenuti nella stessa area una necropoli e una cisterna con alcuni cunicoli sotterranei ad essa collegati ed un pozzo, che facevano pensare sempre più ad un abitato stratificatosi nel corso del tempo ma comunque stabile e ben organizzato. Si giunse così ad interpretare l’intero sito come quello di una villa romana abitata in varie epoche, con una prima fase verosimilmente di epoca repubblicana su cui si appoggiò l’attuale villa sicuramente da attribuirsi alla piena età imperiale, costituita da una pars rustica con pavimenti in coccio pesto e laterizio e da una pars privata a carattere residenziale probabilmente a due piani, con mosaici ed intonaci dipinti con annesso un edificio termale. E’ ipotizzabile che essa restò in uso fino almeno al V sec. d.C.
In seguito, negli anni 80, grazie all’ausilio sempre più efficace della fotografia aerea, il sito venne più chiaramente a delinearsi nella sua estensione, diviso e tagliato dalla strada moderna.
Nel 2000, grazie ai fondi per il Giubileo, la Soprintendenza potè continuare gli scavi, durante i quali si rinvennero altri edifici termali e tutta una nuova parte della villa con un settore riutilizzato con funzione artigianale in età tardoantica. Il rinvenimento di alcune fistulae plumbee recanti l’iscrizione Calpurnia Cacia M(arcellina) hanno verosimilmente individuato in questo nome la proprietaria del fondo. Resti di strada basolata nei pressi della villa in direzione di P.zza Ormea fanno pensare ad un diverticolo della via Cornelia ad uso esclusivo degli abitanti della villa.
Riaperto al pubblico nel 2012, il sito – curato dal Gruppo Archeologico Romano – è fruibile alla popolazione attraverso visite guidate gratuite da richiedersi al GAR ; www.gruppoarcheologico.it.
Martedì 2 maggio 2017 i funerali a Roma, poi la salma partirà per Saluzzo, dove il giorno 3 maggio sarà esposta in Duomo dalle 10.30. Alle 15.30 il rito esequiale
Si terranno oggi 2 maggio alle ore 15, le esequie di Monsignor Diego Natale Bona, vescovo emerito della Diocesi di Saluzzo.
“Il tramonto di un grande uomo di Chiesa” così lo ha definito Monsignor Cristiano Bodo, attuale pastore della circoscrizione vescovile saluzzese.
Il rito esequiale di oggi sarà celebrato nella cattedrale dei Sacri Cuori di Gesù e Maira a La Storta, a Roma. Subito dopo la salma di Monsignor Bona verrà trasferita a Saluzzo, dove domani – mercoledì 3 maggio – dalle 10.30, sarà esposta in Duomo.
La cattedrale cittadina ospiterà, alle 15.30, le esequie, dopodiché il feretro sarà tumulato nella tomba dei vescovi.
“Siamo invitati – prosegue Monsignor Bodo – ad unirci al fratello e a tutto il presbiterio diocesano nella preghiera di suffragio, per il bene che ha saputo donare alla nostra Chiesa”.
Roma- 29 aprile 2017-Si è spento improvvisamente a Roma, questa mattina presso l’ospedale San Carlo di Nancy dove era ricoverato, monsignor Diego Natale Bona , vescovo della diocesi di Saluzzo dal 1994 al 2003.
Nato a Castiglione Tinella, nell’albese, l’11 dicembre 1926, Bona era stato ordinato sacerdote all’età di 23 anni, e precisamente l’8 ottobre del 1950.
Fu l’allora Pontefice KarolWojtyla, papa Giovanni Paolo II, il 9 novembre del 1985, ad eleggerlo vescovo alla sede suburbicaria – così si definiscono le sette Diocesi del Lazio intorno a quella di Roma – di Porto-Santa Rufina.
Il cardinale UgoPoletti, scomparso nel 1997, lo consacrò episcopo neanche un mese dopo, il 1 dicembre dello stesso anno, il 1985, mentre la nomina episcopale giunse il 30 settembre 1986.
Dal Lazio, dove Bona guidò la Diocesi di Porto per più di otto anni (dall’85 al 1994), venne trasferito in Piemonte come pastore della Diocesi saluzzese, dove si insediò il 19 marzo del 1994.
“Bona cuncta posce” (chiedi per noi ogni bene) fu il suo motto episcopale, nonchè un verso dell’antichissima preghiera a Maria, Ave Maris Stella.
A Saluzzo rimase sino al 2003, diventando vescovo emerito – il 16 aprile – affidando la circoscrizione vescovile al suo successore, Monsignor GiuseppeGuerrini.
Dal 1994 al 2002 fu anche presidente del “Pax Christi” italiano, il movimento cattolico per la pace, con Tonio Dell’Olio coordinatore nazionale.
Tra gli incarichi ricoperti, anche quello di membro della Commissione Espiscopale per il servizio della carità e della presidenza della Caritas italiana.
I solenni funerali si svolgeranno il 2 maggio alle ore 15.00 nella Parrocchia dei SS Cuori di Gesù e Maria
Chiesa Cattedrale Diocesi di Porto e Santa Rufina -Loc. LA STORTA-Roma
Castel di Guido- 12 aprile 2017-Distruggere un Borgo medievale, la Sua Storia millenaria, non è impresa da poco, solo “piccolissimi uomini dal prezzo facile” sono in grado di poterlo fare. Castel di Guido il Borgo medievale “violentato da cialtroni incapaci, uomini rozzi estranei al bello , nemici del sole e della luna”. Vivere Castel di Guido in un modo diverso, osservarlo con occhi “puliti”, essere un abitante del Borgo che non ha istinti da “PREDONE” , essere Cittadino di Castel di Guido VERO come si diceva una volta :”con il cuore e con l’anima”. I “signori” che hanno depredato e distrutto “il nostro” Castel di Guido sono ormai “altrove” a godersi i frutti dello scempio che ci hanno lasciato. I barbari che hanno “SPEZZATO L’EMOZIONE” sono “altrove a godersi il brutto frutto della loro anima arida”. C’è forse un pensiero che è pari. Per profondità e smarrimento. C’è forse un’emozione che è pari. Forse un dolore che è pari nel vedere un Borgo bello e forte crollare col cuore a pezzi in un deposito di meschini interessi . Piccoli interessi da “bottegaio” . Vi è un dolore, un’emozione che forse sono pari a quello che hanno dominato gli occhi e i cuori nel mondo nel vedere un Borgo bello e forte cadere ed avviato alla morte troppo presto, ma la partita non è finita. E sono il dolore, l’emozione che ci prende nel pensare che Castel di Guido, quel bel vigore che infondeva non abbiano avuto senso. Vedere, l’amato, Castel di Guido, così com’è ridotto, è un nodo alla gola. L’ingiustizia di un Borgo che cade nel pieno del suo splendore, è quasi pari all’ingiustizia di pensare che la vita, quella di tanti giovani, sia priva di senso. Sia come un bell’”arabesco” nel nulla. Sia come una cosa fantastica e breve, priva di reale significato, cioè priva di un destino buono. Perciò vedendo lo spaventoso spettacolo di Castel di Guido che crolla sotto “l’ignorante bastone di piccoli uomini privi di scrupolo ” .E a quel crollare fa eco, per così dire, quel sorgere e cantare la SPERANZA. E a quell’emozione che fa quasi perdere il senno, risponde, con l’”ultrasuono” di un’impalpabile ma ragionevole speranza, l’emozione di vedere questi vecchi e giovani che gridano e cantano perché la vita – duri cent’anni o venti o un mese – ce l’ha. Scene ed emozioni OPPOSTE al neutro e scialbo chiacchiericcio di prezzolati “capibastone” che per “ un misero piatto di lenticchie” vendono il futuro del Borgo ad avvoltoi e sciacalli. Resistere agli sciacalli e alla serpe che sputa il veleno dell’odio.
Guido da Spoleto vinse i Saraceni, riusciremo noi, oggi, a vincere la giostra della MezzaLuna? Vivere Castel di Guido, andare oltre e che il bagordo innalzi le membra degli avvoltoi come trofeo di vittoria.
-articolo di Franco Leggeri-
Roma- 8 febbraio 2017-Un ciclo di incontri nell’ambito del Master Progettista di Architetture Sostenibili per discutere di città e beni comuni, politiche pubbliche ed economia circolare a cura di MariaLuisa Palumbo.
Attraverso tre incontri con studiosi provenienti da campi diversi e complementari a quello dell’architettura, il master IN/ARCH in Architetture Sostenibili promuove una riflessione sul rapporto tra sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale della rigenerazione urbana e della gestione della città. Christian Iaione, professore di Diritto pubblico ed esperto di governance dei beni comuni, Maria Cristina Antonucci, ricercatrice in Scienze Sociali al CNR e studiosa del terzo settore e Filippo Celata, professore di Geografia Economica esperto di politiche territoriali, saranno i protagonisti di tre tavole rotonde per discutere di modelli e strumenti per ripensare le nostre città. Il rapporto tra pubblico e privato e l’idea di comunità, nello scenario della crisi economica e ambientale tipica dei nostri anni, saranno un tema centrale di discussione. I seminari, organizzati nell’ambito del Master, sono pensati come eventi aperti e pubblici, per costruire un dialogo a partire da saperi disciplinari diversi, che devono incontrarsi, farsi domande e trovare risposte comuni.
Mercoledì 15 febbraio, ore 15 Christian Iaione : La città come bene comune
Mercoledì 22 marzo, ore 15 Filippo Celata : Auto-organizzazione, comunità e sostenibilità
Mercoledì 5 aprile, ore 15 Maria Cristina Antonucci : Democrazia dal basso
Gli incontri si terranno presso la sede dell’Istituto Nazionale di Architettura, Viale Gorizia 52, 00198 Roma
Ladispoli- 2 febbraio 2017-La prossima settimana inizierà una seconda fase del restauro e del recupero della fontana del Capitello Piacentini.
Sarà installato l’impianto di depurazione e clorazione che consentirà di avere l’acqua sempre limpida e il capitello esente dalla ricrescita delle alghe. Sarà inoltre rifatta tutta l’impermeabilizzazione della vasca.
I lavori saranno effettuati a cura di sponsor e dureranno circa un mese: la fontana sarà di nuovo aperta prima della Sagra del Carciofo.
Fontane identiche a quelle di Ladispoli sita in piazza della Vittoria esistono in altre 4 città del Lazio: Civitavecchia, Sora, Pontecorvo e Cassino.
Una delegazione di allevatori sardi dell’organizzazione agricola incontra a Roma i presidenti delle Commissioni competenti di Camera e Senato. Chiedono una trattativa istituzionale per salvare il comparto e tutta l’agricoltura isolana: un piano d’emergenza, con l’attivazione del Fondo di Garanzia e mutui al “de minimis” e un progetto di medio termine con accordi di filiera, investimenti e un progetto sul marchio di qualità Sardegna.
Roma, 1 febbraio 2017 – Agricoltori sardi in fermento. Mentre montano le proteste di piazza per la crisi generale del settore ovicaprino, la Cia-Agricoltori Italiani con una delegazione di allevatori sardi sceglie la strada del dialogo e della trattativa con le Istituzione preposte per salvare circa 12 mila aziende isolane che sono nel baratro: il prezzo del Pecorino Romano si è praticamente dimezzato, passandoda 9,50 euro al kg a 5,20euro al kg, con conseguenze pesantissime sul prezzo del latte alla stalla che ha perso oltre il 50% del suo valore. In crisi anche l’ortofrutta, con le quotazioni in picchiata del 30%. Per questo motivo, oggi, gli agricoltori della Cia incontrano i presidenti delle commissioni Agricoltura di Camera e Senato, Luca Sanie Roberto Formigoni.
Sul tavolo un documento di proposte per tutelare il reddito di produttori e allevatori dal crollo dei prezzi. La Cia chiede di mettere in campo subito una serie di misure per affrontare l’emergenza: l’attivazione del Fondo di Garanzia; l’immediata emanazione del Bando Agea per gli indigenti con l’inclusione del Pecorino Romano tra i prodotti del paniere; il pagamento automatico degli impegni comunitari; l’accesso agevolato al mutuo di conduzione con copertura degli interessi attraverso l’uso del de minimis; l’attivazione di un Fondo regionale di rotazione reso accessibile alle aziende agricole e che sia garantito direttamente dalle produzioni ferme nei magazzini.
La seconda parte del documento della Cia-Agricoltori italiani riguarda invece gli interventi di carattere strutturale e organizzativo necessari al settore ovicaprino. In questo senso, è necessario: affrontare il problema dell’organizzazione della produzione, fortemente polverizzata; favorire la nascita dell’Interprofessione, anche per prodotti specifici (Dop e Igp); stipulare accordi di filiera e contratti di coltivazione e/o di produzione, anche utilizzando lo strumento degli accordi interprofessionali; favorire la capacità valorizzativa del marchio qualità Sardegna, quale strumento identitario di distinzione delle produzioni, gestito dalle imprese agricole e agroindustriali regionali; creare nuovi strumenti assicurativi, anche potenziando e riformando le funzioni dei Consorzi di Tutela, a difesa dei produttori dalle crisi di mercato; agevolare il ritiro dal mercato dell’ortofrutta, del latte, dei formaggi o di altri prodotti eccedenti nei periodi di crisi.
Gli agricoltori e gli allevatori della Cia confidano che le loro istanze vengano accolte e sia data rapida esecuzione a quelle misure necessarie a non rompere quel “filo” che tiene vive decine di migliaia di aziende, e quindi, il sostentamento di centinaia di migliaia di famiglie sarde.
Il servizio postale nel Medioevo iniziò come un affare di stato. Risorse, piano piano, dai fasti dell’antica Roma. Dove le cose si facevano in grande e anche la posta funzionava.
L’imperatore Augusto istituì uno dei più imponenti sistemi di comunicazione dell’Antichità. Il “Cursus publicus”, cioè la posta statale, aveva i “cursores”, corrieri che portavano una piuma sul copricapo come simbolo di velocità. Viaggiavano su carri e sostavano in apposite stazioni per il cambio dei cavalli chiamate “statio posita”, ossia “luoghi fissi”, da cui le moderne stazioni di posta. La loro forza era la capillarità della rete stradale. I dati desunti dalla Tavola Peutingeriana, una copia del XII-XIII secolo di una antica carta romana che mostra le vie militari dell’Impero, totalizzano ben 200.000 chilometri di strade.
Roma docet, ma l’uomo è un animale sociale. E la storia della posta nasce, di fatto, insieme alla sua voglia di comunicare. Notizie di scambi di messaggi arrivano dall’antico Egitto, dove il sistema di corrispondenza scritta era ben strutturato e sfruttato anche per il commercio, dalla Cina, ma anche da aztechi, incas, assiri e dalla dinastia indiana dei Maurya.
Nel VI secolo a.C., Ciro Il Grande portò la Persia nel progresso della comunicazione con un efficiente servizio di posta che copriva distanze anche di 150 chilometri al giorno. Erodoto cantava le lodi di questo sistema, quando nelle sue Storie scrisse un commento ora impresso sul Farley Post Office Building di New York: «E non c’è neve, né pioggia, né caldo, né notte, che impediscano mai a un corriere di percorrere, il più velocemente possibile, quel tratto di strada che gli è assegnato».
I greci dedicarono sublimi poemi alle gesta eroiche dei loro corridori, gli emerodromi, a cui veniva spesso affidata la consegna dei messaggi più importanti. Filonide, corriere e ispettore di Alessandro Magno, una volta andò di corsa da Sicione a Elis e coprì 240 chilometri in un giorno solo. E la corrispondenza non era solo di tipo militare. Le famiglie più ricche possedevano scuderie di corridori e all’apice della loro civiltà produssero un ingente volume di corrispondenza sui più svariati, anche frivoli, argomenti.
La Grecia però fu un’eccezione. Il servizio postale dell’Antichità era di norma uno strumento bellico: serviva a controllare il nemico, sistematicamente spiato dai corrieri che poi riferivano le informazioni ottenute.
Il califfo Abu Ja’far al-Mansur, che nell’VIII secolo regnò sull’impero arabo, espresse molto chiaramente l’importanza militare della posta: «Il mio trono poggia su quattro colonne e il mio governo su quattro uomini: un irreprensibile cadi (giudice), un energico capo della polizia, un onesto ministro delle finanze e un fedele direttore della posta, che mi fornisce informazioni vere su tutto». Nell’860, il califfato islamico vantava 930 stazioni di posta. Gli arabi furono anche i primi a introdurre l’uso dei piccioni per la corrispondenza.
Ma in Europa, dopo la decadenza dell’Impero romano la frammentazione politica mandò all’aria parecchie di quelle che noi oggi chiamiamo infrastrutture, tra le quali il servizio postale. E del ben oliato sistema statale di Augusto non restò neanche il ricordo.
Lettere e missive però si scambiavano ugualmente. Carlo Magno (742-814) ad esempio, aveva una fitta rete di corrieri per comunicare con gli ufficiali di tutti i suoi territori, staffette che viaggiavano a piedi e poi a cavallo.
Tutti i governanti del Medioevo si dotarono di messaggeri che in un modo o nell’altro consegnavano informazioni. Gli imperatori, i re e gli eserciti predatori mantennero sistemi di corrispondenza privati e per il resto, in mancanza di una organizzazione centralizzata, ognuno fece per conto suo.
Soltanto la Chiesa cattolica arrivò a possedere una organizzazione paragonabile al servizio impostato nell’antica Roma.
La fitta rete di monasteri che si era costituita con l’impulso di San Benedetto da Norcia (480-547), in origine popolata semplicemente da comunità di religiosi laici, dal IX secolo in poi cominciò a essere strutturata e ad adottare una serie di liturgie ufficiali e un modus vivendi comune. I benedettini svilupparono un vero e proprio servizio di posta.
Anche i monaci degli altri ordini religiosi si tenevano in contatto fra loro grazie ai conversi che si recavano da un monastero all’altro. I loro viaggi potevano durare anche parecchi mesi.
Portavano dei rotoli di pergamena chiamati “rotulae”, una prima rudimentale versione delle mailing list. Uno di questi rotoli poteva partire da un monastero centrale e contenere, per esempio, una semplice lista di confratelli o benefattori morti di cui era opportuno ricordare il nome. In ciascuno dei monasteri in cui faceva tappa veniva aggiunto un supplemento, con un messaggio di avvenuta ricezione da parte dell’abate locale e forse qualche commento o altre notizie. Queste appendici venivano cucite sul fondo dell’originale con «sottili strisce di pergamena avvoltolata, così che il rotolo rimaneva un foglio singolo sempre più lungo», come spiega l’autore finlandese Laurin Zilliacus (From pillar to post, the troubled history of the mail, Heinemann, Londra, 1956).
Una rotula del 1122 misura 8 metri e mezzo di lunghezza e 25 centimetri di larghezza, ed è fittamente scritta su entrambi i lati: contiene una notizia, la morte dell’abate di San Vitale, a cui fanno seguito 206 interventi che gli rendono omaggio, alcuni sotto forma di preghiera, altri di poesia. E la rotula del 1133 che annuncia la morte della figlia di Guglielmo il Conquistatore, la badessa Matilde del convento della Trinità a Caen, passò per 252 monasteri e alla fine del suo percorso misurava circa 20 metri.
Per tutti i lunghi secoli del Medioevo, inoltre, lettere apostoliche e pastorali «divulgavano delibere dottrinali, decisioni dei sinodi episcopali, questioni politiche inerenti il potere temporale», come ha scritto Charles Bazerman, della Università della California.
Altri sistemi postali si svilupparono naturalmente all’interno delle corporazioni dei mestieri e nelle imprese di commercio. Nelle Tavole amalfitane (Capitula et ordinationes Curiae Maritimae nobilis civitatis Amalphe) dell’XI secolo, il più antico statuto marittimo italiano, uno degli articoli parla della paga da corrispondere allo scriba, che riceverà sette grana per ogni giorno in cui sia rimasto a terra per gli interessi della società. Pagato tre soldi in meno del capitano, ma due in più del marinaio, lo scriba doveva essere una figura essenziale all’interno della nave. Che, oltre a far di conto, scriveva e leggeva messaggi per chi da solo non sarebbe stato in grado di farlo.
Nel frattempo, anche i sistemi postali di imperi e reami cominciarono ad aprirsi al pubblico.
In Francia, la prima rete organizzata di postini a cavallo fu quella dei Cavalieri di San Luigi istituita da Luigi IX (1214-1270), che diventò sovrano a dodici anni e che, sebbene sia passato alla storia come Luigi il Santo per il fervore del suo spirito religioso (e per la mania di collezionare reliquie), nei vent’anni in cui regnò fu anche un grande amministratore, promotore di riforme sociali e pubbliche che regolarono e migliorarono la vita dei suoi sudditi.
Un altro importante sistema di scambio di notizie nacque insieme alle università. La prima fu quella di Bologna nel 1088 e dal XII secolo la presenza di atenei in tutta Europa segnò un grande proliferare di servizi postali. Ogni università aveva il suo, che su pagamento trasportava anche lettere di privati e piccoli pacchi.
Una volta stabilito il valore economico dei servizi postali, università, commercianti e sovrani resteranno in concorrenza per molto tempo sul fronte della comunicazione.
Ma per parecchi secoli, solo una famiglia riuscirà a gestire un servizio di corrispondenza privato attivo in gran parte d’Europa: l’impresa familiare dei Tasso. Venivano da Cornello, un borgo medioevale dell’Alta Val Brembana che adesso è conosciuto come Cornello dei Tasso, anche perché il Torquato della “Gerusalemme liberata” fu un illustre membro della famiglia dei grandi imprenditori postali. Il loro impero, nato alla fine del XV secolo grazie a una importante collaborazione con la Repubblica di Venezia, gestì e allacciò legami d’affari con i servizi postali dello Stato Pontificio, dello Stato di Milano e di molte contrade europee. Nei primi del Cinquecento il centro nevralgico della rete era a Bruxelles e raggiungeva per corriere Roma, Napoli, la Spagna, la Germania e la Francia. A tutti gli effetti, l’impresa familiare dei Tasso fu una delle prime multinazionali europee e restò attiva fino al XVIII secolo. Ma questa è un’altra storia. Prof.ssa Giulia Cardini
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