Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
5) Giovan Battista Grassi- medico, zoologo, botanico ed entomologo –
Premessa-Franco Leggeri Fotoreportage-5)Giovan Battista Grassi- medico, zoologo, botanico ed entomologo–: Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni-Murales Ospedale Spallanzani di Roma-Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, La scuola di Cinema, la scuola di Musica, Palestre , il Bistrò oltre i Bar , Ristoranti e Pizzerie e ancora Parrucchieri e specialisti per la cura della persona , Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra bambini oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico; e ancora vedendo il tronco della palma tagliato ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma lungo via Folchi ,dall’inizio di via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri ma dimenticati su questo muro di cinta – I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani” e fa da “sostegno” e “tela” è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, dal mese di aprile del 2018 sono immortalati 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto dei Murales è finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica pecca, peccato grave, non vi è immortalata nessuna donna.
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Rovellasca (Como)-Casa natale di Giovan Battista Grassi, scienziato e Senatore del Regno
Giovan Battista Grassi, scienziato di fama mondiale per gli studi di zoologia e per l’individuazione del vettore della malaria, nacque a Rovellasca il 27 Marzo 1854 da Luigi Battista Grassi, funzionario pubblico, e Costanza Mazzucchelli di origine contadina.
Nel 1872 si diplomò presso il Regio Liceo Volta di Como e nel 1878 si laureò in medicina all’Università di Pavia. Si dedicò alla biologia e alla zoologia. A Heidelberg, in Germania, incontrò la ricercatrice Marie Koenen, dapprima sua assistente e poi sua moglie. Nel 1883, a soli 29 anni, fu nominato Professore di Zoologia, Anatomia e Fisiologia Comparata all’Università di Catania.
Le sue ricerche gli procurarono fama internazionale e nel 1895 ottenne il trasferimento all‘Università di Roma.
Il 28 Novembre 1898 dichiarò, in una nota all’Accademia dei Lincei, di aver ottenuto la prova sperimentale della trasmissione del parassita della malaria e l’identificazione della specie di zanzara vettrice nell’uomo.
Dopo la delusione per il Premio Nobel al britannico Ronald Ross per un analogo studio sulla malaria, Grassi iniziò a dedicarsi alla medicina sociale e all’entomologia. Intanto, si diffuse l’idea che quel Premio Nobel spettasse a Grassi e nel 1910 la prestigiosa Università di Lipsia gli conferì la Laurea Honoris Causa per le sue “subtilissima sagacissimaque investigationes” sul contagio malarico, sottolineandone la preminenza (in primis vero).
Dopo la prima Guerra Mondiale, con un nuovo picco di diffusione della malaria in Italia, tornò ad occuparsi di questa malattia, scoprendo l’esistenza di una specie di anofele (zanzara) che non punge l’uomo, ma solo gli animali; ipotesi poi confermata da Falleroni (1926). Grassi venne insignito di numerose medaglie e onorificenze da tutto il mondo; fu anche nominato nel 1908 Senatore del Regno.
Grassi morì a Roma il 4 Maggio 1925 e fu sepolto, secondo le sue ultime volontà, nel piccolo cimitero di Fiumicino.
Giovan Battista Grassi- medico, zoologo, botanico ed entomologo.
Biologo italiano (Rovellasca 1854 – Roma 1925), prof. di zoologia a Catania (1883) e di anatomia comparata a Roma (1896); socio nazionale dei Lincei (1897). Le sue prime ricerche vertono sui vermi parassiti, di molti dei quali fece conoscere il ciclo di sviluppo; si dedicò poi a lavori di zoologia e anatomia comparata su altri gruppi, fra cui notevoli la monografia sui Chetognati (1883), e le sette memorie sui progenitori dei Miriapodi e degli Insetti (1886); del 1893 è la fondamentale memoria sulla costituzione e lo sviluppo della società dei Termitidi; del 1892-93 la dimostrazione della trasformazione del leptocefalo in anguilla. Negli stessi anni iniziò le ricerche sulla malaria degli uccelli, estese poi alla malaria umana, che lo condussero a determinare l’agente trasmettitore (1898). Al problema della malaria il G. dedicò in seguito tutta la propria attività fino alla morte, iniziando la profilassi antimalarica nell’Agro Romano. Si occupò anche dei Flebotomi e della fillossera, nonché di problemi generali e storici. Uomo di vastissima cultura, d’attività instancabile e d’inesauribile passione per la ricerca, ebbe notevolissima influenza anche come insegnante. Nel 1908 fu nominato senatore del Regno.
Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
4)Prof.Elio Guzzanti già Ministro della Sanità
Premessa-Franco Leggeri Fotoreportage:4)Prof.Elio Guzzanti già Ministro della Sanità – Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni-Murales Ospedale Spallanzani di Roma- Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, La scuola di Cinema, la scuola di Musica, Palestre , il Bistrò oltre i Bar , Ristoranti e Pizzerie e ancora Parrucchieri e specialisti per la cura della persona , Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra bambini oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico; e ancora vedendo il tronco della palma tagliato ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma lungo via Folchi ,dall’inizio di via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri ma dimenticati su questo muro di cinta – I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani” e fa da “sostegno” e “tela” è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, dal mese di aprile del 2018 sono immortalati 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto dei Murales è finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica pecca, peccato grave, non vi è immortalata nessuna donna.
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Prof. Elio Guzzanti (1920-2014)-Fonte –Il Sole24Ore
Il 2 maggio 2014 è deceduto a Roma all’età di 93 anni il Prof. Elio Guzzanti, già Ministro della Sanità. Il Prof. Guzzanti è stato tra i primi in Italia ad occuparsi ad alto livello di programmazione, organizzazione e gestione dei servizi ospedalieri e sanitari.
Ha trasferito la sua straordinaria esperienza prima clinica e poi organizzativa maturata, anche come sovrintendente sanitario dal 1976 al 1980 del Pio Istituto di Santo Spirito Ospedali Riuniti di Roma, nell’attività scientifica e poi nella legislazione sanitaria e nella pratica amministrativa.
Nel corso della sua lunga e brillante carriera è stato Direttore Sanitario degli Ospedali San Camillo, Santo Spirito ed Umberto I di Roma, componente del Consiglio Superiore di Sanità, Direttore dell’Agenzia per i Servizi Sanitari Regionali e Commissario ad acta per la Sanità del Lazio.
Modelli organizzativi sanitari attualmente di uso comune come i dipartimenti, i ricoveri in day-hospital e day-surgery, la preospedalizzazione e le dimissioni protette debbono essere fatti risalire in gran parte all’attività prima teorico-scientifica e poi di “letteratura grigia” con la quale il Prof. Guzzanti ha contribuito alla stesura di leggi sanitarie promulgate da vari governi.
Quando egli stesso fu chiamato alla responsabilità di Ministro della Sanità nel governo Dini dal 1995 al 1996 produsse una serie di atti di indirizzo e coordinamento alle Regioni per la realizzazione dei modelli organizzativi di cui abbiamo parlato. Il suo ministero si è caratterizzato in particolare per l’introduzione in Italia del sistema DRG che non è soltanto un metodo di remunerazione per prestazione, ma anche un sistema di valutazione comparata di qualità e quantità delle prestazioni ospedaliere stesse.
Credo però che sia un dovere ricordarlo anche sul nostro Giornale Italiano di Cardiologia per i suoi contributi alla crescita nel nostro Paese dei settori della Cardiologia, Cardiologia Pediatrica e Cardiochirurgia. Fin dai primi anni ’80 infatti, prima con la presidenza del Prof. Stefanini, poi con quella del Prof. Donato, il Prof. Guzzanti è stato vice-presidente della Commissione Nazionale del Ministero della Sanità per la Cardiologia e Cardiochirurgia. Tale Commissione ha introdotto per la prima volta in Italia gli standard internazionali di attività e gestione per questi settori.
Sulla base di questa esperienza e in qualità di Sovrintendente Sanitario e Direttore Scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma il Prof. Guzzanti realizzò nel 1982 il primo Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia Pediatrica che vedeva l’attività integrata di cardiologi, cardiochirurghi e intensivisti formalizzata in procedure che prevedevano responsabilità specifiche. Questo Dipartimento Medico-Chirurgico, che è stato nei primi anni diretto dal Prof. Guzzanti stesso, ha rappresentato in Italia un modello organizzativo sia per le specialità cardiologiche che per quelle neurologiche e gastroenterologiche.
Il Prof. Guzzanti è stato un maestro per molte generazioni di direttori sanitari e manager della sanità. Il suo tratto umano, la sua ironia e la sua profonda cultura per tutti gli aspetti della medicina come scienza, ma principalmente come applicazione pratica, ne facevano una guida per chiunque entrava in contatto con lui. Tutti gli operatori sanitari e in particolare quelli del settore della Cardiologia e Cardiochirurgia del nostro Paese avranno sempre un debito di riconoscenza per il Prof. Elio Guzzanti.
Fonte –Giornale italiano di Cardiologia-Articolo di Bruno Marino-
Bruno Marino
U.O.C. Cardiologia Pediatrica
Dipartimento Attività Integrata di Pediatria
Sapienza Università di Roma
Elio Guzzanti, un padre putativo e un maestro- Fonte –Il Sole24Ore
di Giuseppe Ippolito (National Institute forInfectious Diseases Lazzaro Spallanzani)
È morto Elio Guzzanti, per me un padre, e per la sanità italiana, oltre che per le malattie infettive, un grande stratega. Avevo avuto la fortuna di incontrarlo all’inizio degli anni ’80 quando mi suggerirono di rivolgermi a Lui per avere suggerimenti per uno studio di incidenza sulle infezioni ospedaliere nei reparti di terapia intensiva. Lo studio l’avevo scritto come prova di ammissione a un corso negli Stati Uniti e volevo sapere se fosse realizzabile in Italia. Volevo presentarlo al Programma del Cnr sulle malattie da infezione, all’epoca diretto da Ferdinando Dianzani. Elio Guzzanti mi diede appuntamento una domenica mattina nel suo studio, mi ascoltò, s’informò sui miei programmi, cercò di sondare se ero conscio della difficoltà dell’avventura. Mi diede suggerimenti preziosi e si attivò per farmi incontrare le persone del mondo della rianimazione che potevano consentirmi di realizzare lo studio.
Da quel momento è diventato per me un punto di riferimento. Solo pochi giorni fa mi chiese di trovargli la Sua famosa circolare su Ebola del 1996, con la quale aveva definito la strategia nazionale contro le febbri emorragiche. Ero in partenza e avevo lasciato la copia della circolare al portiere, perdendo così l’occasione di salutarlo per l’ultima volta. Avevamo continuato a discutere del permanere della validità dei contenuti e di come una costante attenzione verso le malattie infettive sia la migliore linea di risposta per affrontare l’inatteso.
Era stato così che si era confrontato, nella seconda metà degli anni ’80, nella realizzazione del grande piano contro le malattie infettive alla comparsa dell’Aids. Erano anni terribili: l’incredulità e il preconcetto dominavano; i pazienti non avevano alcuna speranza; il personale sanitario era impaurito.
Con una grande attenzione e con un metodo stringente aveva iniziato a studiare il fenomeno con rigore scientifico e curiosità organizzativa, a valutare i bisogni assistenziali, a dare attenzione ai sentimenti e alle paure, a cercare un dialogo con le associazioni dei pazienti e le organizzazioni sindacali, gli scienziati puri, a visitare gli ospedali e le carceri. Sono fiero di averlo aiutato in questo lavoro, ho visto come gestiva il rapporto con i politici con sereno distacco, come affrontava persone e situazioni “difficili”. Non si arrendeva mai, era pronto al confronto, ma senza perdere mai di vista il proprio obiettivo.
Quando lo conobbi aveva già molte esperienze positive e difficili alle spalle, era il riferimento della programmazione sanitaria nazionale, della costruzione e della gestione degli ospedali. Per Lui non faceva differenza se era Pronto Soccorso, Cardiochirurgia, Rianimazione o Malattie infettive. Lui applicava un metodo che partiva da una conoscenza degli ospedali dall’interno, delle persone che ci lavorano e di quelli che ci vanno per farsi curare. Amava dire che gli ospedali erano fatti di tecnologie e di contatto umano, di insegnamento continuo, di cambiamento giorno per giorno.
Quando mi scelse come collaboratore per l’avventura del piano Aidsiniziammo una stretta frequentazione, soprattutto domenicale. Nel corso di tali incontri commentava i materiali prodotti, scrivendo a mano appunti con penne di più colori. Aveva letto sempre un lavoro nuovo, un nuovo modello di valutazione, dei dati di prevalenza. Di aggiustamento in aggiustamento, il piano prendeva corpo per coprire non solo la costruzione degli ospedali, ma anche la prevenzione, la ricerca, l’introduzione dell’innovazione.
Questo permise all’Italia di avere un piano organico, strutturale e finanziato, prima che la stessa Organizzazione mondiale della sanità redigesse il documento per la preparazione dei piani nazionali.
Che dire poi delle sue capacità di gestire il confronto nelle commissioni e nelle audizioni, alle quali arrivava preparato nei minimi dettagli, con un piano generale e un’exit strategy, senza mai perdere la calma, senza mai una parola di troppo. Anche quando si trovava a frenare posizioni intemperanti, incluse le mie, lo faceva con estremo garbo, cercando sempre di costruire, anche nelle difficoltà, nei dissidi, nelle posizioni contrastanti. Amava investire sui giovani e sul fatto che da tutti si poteva apprendere, ma prima di tutto dalla frequentazione delle biblioteche. Teneva rigidamente distinto il professionale dal personale e limitava al massimo gli eventi sociali e conviviali.
Ma era ed è stato fino all’ultimo sempre disponibile a letture critiche di documenti e a fornire suggerimenti o a scrivere piani. È questa la fase in cui le attività di Guzzanti si legano al destino dello Spallanzani, che lui vedeva come punto centrale dell’intero piano. Conosceva in dettaglio lo Spallanzani come Ospedale e la sua esperienza pregressa di medico impegnato sulle malattie infettive faceva il resto. Eravamo in un momento in cui sembrava che solo il nord Italia avesse ospedali, conoscenze e competenze uniche per affrontare l’epidemia. Non era vero. Già da circa 10 anni lavorava al progetto per la costruzione del nuovo Spallanzani e l’Aids gli dava la possibilità di portarlo a termine, grazie anche al senso di appartenenza e al desiderio di riscatto degli operatori tutti dell’Ospedale che con lui, e grazie a lui, vedevano la realizzazione di un miraggio.
Fu così che mentre era ministro, a metà degli anni ’90, a un consiglio dei ministri europei, si impegnò affinché ogni Paese europeo identificasse una istituzione nazionale per le malattie infettive e avviò la realizzazione presso l’Istituto del laboratorio Bsl4 e la trasformazione in Irccs.
Da allora ha sempre seguito con la massima attenzione le vicende dell’Istituto con un affetto da padre nobile che gioiva in maniera sincera e assolutamente disinteressata degli sviluppo dell’Istituto. Fino alla fine è stato lucido e lungimirante, ottimista anche quando sembrava che non ci fossero speranze. Con la sua morte l’Italia perde un grande uomo, io un padre putativo e lo Spallanzani un grande supporter.
Sento di poter dire che tutti quelli dello Spallanzani che lo hanno conosciuto, e anche quelli che ne hanno solo sentito parlare, condividano il profondo dolore per la perdita di un grande uomo e per me un grande maestro.
Specialist in respiratory diseases and in hygiene, he was director of the hospitals Santo Spirito, San Camillo and Policlinico Umberto I in Rome. From 1976 to 1984 and from 1991 to 1993 he was a member of the Italian Superior Council of Health. From 1985 to 1994 he was health director of the Bambino Gesù Children’s Hospital and from 1996 to 1998 he was director of the Agency for Regional Health Services.
Author of numerous publications on health organization, from 17 January 1995 to 17 May 1996 he was Minister of Health with the Dini Cabinet.
He was president of the scientific committee of the Cesare Serono Foundation. On 28 October 2009, following the resignation of the President of the Lazio Region, Piero Marrazzo, he was appointed by the Berlusconi Cabinet as Commissioner for Health in the same Region.
He was scientific director of the Institute for Scientific Hospitalisation and Care IRCCS Oasi di Troina (Enna).
È stato presidente del comitato scientifico della Fondazione Cesare Serono. Il 28 ottobre 2009, in seguito alle dimissioni del presidente della Regione LazioPiero Marrazzo, è stato nominato dal Governo Berlusconi commissario ad acta per la Sanità nella stessa Regione[1].
È stato direttore scientifico dell’Istituto di ricovero e Cura a Carattere Scientifico IRCCS Oasi di Troina (Enna).
Morte
È morto il 2 maggio 2014 all’età di 93 anni al Policlinico Gemelli di Roma, dove era ricoverato da qualche giorno[3].
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
2)Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo-
Roma lungo via Folchi ,dall’inizio di via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri ma dimenticati su questo muro di cinta – I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta costeggia l’Ospedale “Lazzaro Spallanzani” e fa da “sostegno” e “tela” è un muro di cinta di 270 metri, lungo il quale, dal mese di aprile del 2018 sono immortalati 13 volti di scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Un progetto dei Murales è finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, iniziato a febbraio – e inaugurato il 3 maggio – grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica pecca, peccato grave, non vi è immortalata nessuna donna.
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Biografia du Caio Mario Coluzzi Bartoccioni-Biologo
Biologo italiano (Perugia 1938 – Roma 2012). Introdotto allo studio scientifico dal padre (noto malariologo), ancora liceale ha pubblicato il suo primo contributo sulla resistenza al DDT dei vettori italiani di malaria (1956). Durante la formazione universitaria e post-universitaria in Malariologia, Genetica e Parassitologia ha continuato le ricerche sugli insetti responsabili della trasmissione e negli anni è giunto a riconoscere sei specie gemelle di zanzara Anopheles (arrivando a identificarne l’intero genoma). Nominato professore ordinario di Parassitologia alla Sapienza di Roma (1982, Facoltà di Medicina e Chirurgia), è stato direttore del Centro Collaboratore per l’Epidemiologia e il Controllo della Malaria dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Nel 2008 gli è stato consegnato il BioMalPar Life Award dal gruppo istituito dalla Commissione Europea per la biologia e la patologia del parassita della malaria; nel 2009 C. è diventato membro ordinario dell’Accademia dei Lincei.
Figlio dell’epidemiologo umbro Alberto Coluzzi, e di Anna Wimmer, educatrice tedesca di Passavia, ebbe come sorella l’attrice Francesca Romana Coluzzi. Visse i primi anni con la famiglia in Albania, dove il padre era stato inviato per svolgere attività di ricerca e lotta antimalarica dall’Istituto di MalariologiaEttore Marchiafava, durante il periodo di occupazione italiana. In seguito agli eventi legati all’Armistizio di Cassibile, il 14 ottobre 1943 la famiglia fece ritorno a Perugia, per poi trasferirsi alla fine del 1945 nella Casa delle Palme, una grande casa di campagna sita nella frazione di Monticelli, acquistata dal padre per insediarvi la famiglia, ed affittata dallo Stato Italiano per crearvi congiuntamente un laboratorio sperimentale di indagini malariologiche.
Dopo la laurea in Scienze Biologiche, si è sposato il 14 luglio 1963 con Adriana Sabatini, ricercatrice in Parassitologia all’Istituto Superiore di Sanità di Roma, con la quale ha portato avanti una fruttuosa collaborazione scientifica per anni, e dalla quale ha avuto una figlia, Barbara Coluzzi Bartoccioni, nata a Roma l’8 giugno 1970.[1]
È stato diagnosticato affetto da un Parkinson rigido nel 1994, ed è morto di polmonite ab-ingestio dopo una decina di anni da quando era rimasto immobilizzato in sedia a rotelle a causa della rottura a distanza di poco tempo di un femore dopo l’altro. Nel frattempo la malattia era stata più accuratamente diagnosticata come una paralisi sopra-nucleare progressiva, in base all’esame della RMN.
Contributi scientifici
Iniziato alla ricerca scientifica in giovane età dal padre Alberto (la sua prima pubblicazione risale ai tempi del Liceo classico), è stato autore di oltre 300 pubblicazioni scientifiche. Le ricerche di Mario Coluzzi hanno intanto messo in evidenza gli effetti disastrosi del DDT sull’equilibrio degli ecosistemi (laghetti e simili), quindi anche di medicinali quali la clorochina sull’insorgenza di fenomeni di resistenza del plasmodio responsabile della malaria nella zanzaraAnopheles, vettore della malattia.
Importanti sono i suoi contributi sulla genetica dei vettori malarici, che lo hanno portato al riconoscimento dell’esistenza di sei specie gemelle del genere Anopheles, ciascuna in possesso di diversa capacità di contribuire alla diffusione della malattia, che possono distinguersi solo in base all’esame intanto con microscopio ottico dei cosiddetti “cromosomi giganti”, presenti in particolare nelle ghiandole salivari per permettere la produzione rapida di un’abbondante quantità di saliva (che viene iniettata alla puntura per impedire la coagulazione del sangue, che poi è quella che produce la caratteristica reazione di prurito e nella quale si trovano eventualmente i plasmodi responsabili della malaria). Collegato a questo lavoro è l’ipotesi da lui avanzata negli ultimi anni, su una speciazione tuttora in atto nel complesso Anopheles gambiae, che è stata successivamente confermata da studi di biologia molecolare. Un’altra linea di ricerca originale importante è stata quella sull’origine e diffusione della forma di malaria che può rivelarsi fatale per l’Homo sapiens, dovuta all’opera di diverse specie di Anopheles divenute spiccatamente antropofile circa 6 000 anni fa, in concomitanza con il passaggio dell’Homo sapiens da arboricolo ed allevatore a coltivatore prevalentemente stanziale, dando inizio al processo che avrebbe portato all’espansione e diffusione attuale della malattia nella popolazione umana.
Le sue ricerche genetiche hanno poi portato alla pubblicazione dell’intero genoma dell’Anopheles e del Plasmodium. All’attività di Coluzzi si deve poi la creazione di una scuola scientifica, che conta decine di importanti scienziati, e la promozione e direzione di importanti collaborazioni scientifiche internazionali con paesi in via di sviluppo, per la lotta alla malaria, soprattutto in area sub-sahariana, finanziati dal Ministero degli affari esteri e dall’Istituto Pasteur-Fondazione Cenci Bolognetti. In particolare, è stato dedicato alla sua memoria il nome di una specie identificata in seguito nell’Africa sub-sahariana, l’Anopheles coluzzii.
Gli studi di Mario Coluzzi sui siti riproduttivi del vettore malarico Anopheles gambiae, costituiti da piccoli ed effimeri accumuli temporanei di acqua dolce, hanno mostrato come non sia acriticamente estensibile, all’Africa subsahariana, il modello sinergico che vede, nel mondo occidentale, le pratiche e lo sviluppo agricolo quali importanti elementi di contrasto alla riproduzione del vettore. In ambiente subsahariano, al contrario, i fattori di trasformazione ambientale indotti dall’uomo (deforestazione, irrigazione, desalinizzazione delle aree costiere), hanno il solo effetto di moltiplicare i siti e le opportunità riproduttive del vettore, incrementando la trasmissione del parassita.
^ Jeffrey R. Powell, Nora J. Besansky, Alessandra della Torre, Vincenzo Petrarca, Mario Coluzzi (1938–2012), in Malaria Journal, vol. 13, n. 1, 22 gennaio 2014, pp. 10, DOI:10.1186/1475-2875-13-10. URL consultato il 25 febbraio 2024.
Inizia una collaborazione con Trabalza, dedicandosi soprattutto al reperimento di immagini fotografiche[2] e all’impostazione redazionale della rivista che però, a causa degli alti costi, uscirà per soli tre anni[3].
Nel 1909 fonda una propria rivista dal titolo Rassegna d’arte umbra; si avvale del contributo di Dante Viviani, in qualità di garante scientifico, e del sostegno di intellettuali stranieri come Bernard Berenson, di politici come Cesare Fani e di molti esponenti della nobiltà perugina come Vittoria Aganoor (che sostiene economicamente la rivista), Rodolfo Pucci Boncambi, Vincenzo Ansidei e la contessa Margherita Hummel. Anche Rassegna d’arte umbra sarà pubblicata per soli tre anni, con un’interruzione di dieci anni fra la prima serie (1909-1911) e la seconda (1921). Nei primi numeri vengono trattate e valorizzate opere di Niccolò di Liberatore, detto l'”Alunno”, Pietro Vannucci, detto il “Perugino”, e Pietro Lorenzetti. Nel frattempo collabora ripetutamente con la rivista ufficiale del Ministero della pubblica istruzione, il Bollettino d’Arte.
Incarichi e collaborazioni
Sempre nel 1909 viene nominato Ispettore storico dell’arte presso la Soprintendenza ai Monumenti dell’Umbria. Nel 1921 è direttore della Regia Galleria dell’Umbria e soprintendente alle Gallerie, ai musei medievali e moderni e agli oggetti d’arte[4]. Redige un nuovo inventario della Galleria e si adopera per una nuova sistemazione espositiva, ampliando la sede museale ai piani superiori del Palazzo dei Priori. Promuove l’incremento del patrimonio con nuove acquisizioni, acquisti o donazioni. Entrano al museo opere di Arnolfo di Cambio, alcune tele settecentesche, una raccolta di tessuti umbri donata da Mariano Rocchi, un’opera di Francesco di Gentile da Fabriano. Si impegna nel 1923 per la valorizzazione di importanti collezioni ecclesiastiche favorendo l’istituzione del Museo dell’Opera del Duomo di Perugia. Durante l’incarico, durato venti anni (interrotti per partecipare alla prima guerra come tenente di artiglieria), pubblica numerose opere e favorisce la conoscenza in ambito nazionale e internazionale dell’arte umbra, intento condiviso con alcuni colleghi stranieri come Raimond van Marle, Frederick Mason Perkins e Walter Bombe, anche loro residenti a Perugia[5]. Insieme incentivano l’attività di recupero e restauro delle numerose testimonianze artistiche del territorio, contenendone la dispersione.
Si impegna anche per la salvaguardia dell’immenso patrimonio artistico dello Stato italiano, spesso trascurato e dimenticato, lasciato in rovina. Suo principale obiettivo è:
«…render conto di quanto si fa dagli enti e dai privati per la protezione del patrimonio artistico e riassumere quanto in Italia e all’estero si scrive sull’Arte umbra… e illustrare la regione ne’ suoi monumenti, far conoscere le opere inedite o mal note e pubblicare nuovi documenti»
(Umberto Gnoli. Introduzione al primo numero di Rassegna d’arte umbra[6])
Nel 1923 dà alle stampe Pittori e miniatori nell’Umbria con introduzione di Federico Zeri, testo che ancora oggi costituisce un importante strumento di informazione storico-artistica.
Viaggia molto in Italia e in Europa al fine di studiare chiese, musei e monumenti e fare ricerche nelle biblioteche e archivi. Si reca spesso anche negli Stati Uniti perché nominato nel 1927 rappresentante Europeo del Metropolitan Museum di New York, con l’incarico di acquistare opere d’arte in Europa[7]. Inoltre collabora alla rivista Art in America, bimestrale edito a New York da Frederic Fairchild Sherman.
Tra il 1926 e il 1929 per motivi di salute sospende l’attività lavorativa e da Perugia si trasferisce a Roma. Qui riprende gli studi iniziati dal padre circa la toponomastica della città, studi che nel 1939 saranno pubblicati in Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna. Il Ministero dell’Educazione Nazionale non rinnoverà il suo rapporto di lavoro, probabilmente per crescenti incomprensioni con il regime che non vedeva di buon occhio l’attività di consulente da lui svolta negli Stati Uniti anche per antiquari privati[8].
Nel 1908 sposa la contessa Margherita Hummel (1884-1922) con cui ha quattro figli tra il 1909 e il 1921; tre di loro muoiono in tenera età, sopravvive solo Claudine, nata nel 1917. Nel 1922 muore prematuramente anche la moglie[10]. Nel 1927 sposa in seconde nozze la giovane ceramista Annie de Garrou (1900-1994) con cui ha due figli: Domenico, artista di fama internazionale, e Marzia (1934). La famiglia De Garrou possiede una villa a Monteluco di Spoleto, alternano quindi la residenza fra Roma e l’Umbria. Il secondo matrimonio finisce nel 1940; Gnoli si ritira a Campello sul Clitunno restando molto presente nella vita e nell’educazione dei figli.
Muore a Campello sul Clitunno il 15 gennaio 1947.
Pubblicazioni
(Elenco parziale)
Le origini dell’architettura lombarda, Roma, Tip. dell’Unione Cooperativa Editrice, 1908.
I documenti su Pietro Perugino, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1923.
La Pinacoteca di Perugia, Firenze, F.lli Alinari, Soc. An. Idea, 1927.
Giulio Urbini, Disegno storico dell’arte italiana preceduto da un trattatello sulla tecnica delle arti figurative, a cura di Umberto Gnoli, Torino, Paravia, 1931.
Alberghi e osterie di Roma nella rinascenza, Spoleto, C. Moneta, 1935.
Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna, Roma, Staderini, 1939.
Cortigiane romane: note e bibliografia, Arezzo, Edizioni della Rivista Il Vasari, 1941.
Piante di Roma inedite, Istituto di studi romani, 1941.
Raffaello e la Incoronazione di Monteluce, in Bollettino d’Arte, 1917.
Topografia e toponomastica di Roma medioevale e moderna: Supplement, ristampa, Foligno, Edizioni dell’Arquata, 1984 [1939].
Note
^ Umberto Gnoli, L’arte romanica nell’Umbria, in Augusta Perusia. Rivista di topografia, arte e costume dell’Umbria, I, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1906, pp. 22-25, 41-43. URL consultato il 7 marzo 2020.
^Una corposa raccolta fotografica di Gnoli è confluita nella fototeca di Federico Zeri. Cfr.: Giulia Alberti, Il fondo fotografico di Umberto Gnoli, su fondazionezeri.unibo.it. URL consultato il 6 marzo 2020.
^ Maria Raffaella Trabalza, Regionalismo nella cultura del primo Novecento: storia di una rivista umbra: Augusta Perusia (1906-1908), Le Monnier, 1981.
L’indocile scrittura di Anna Franchi, paladina dei diritti femminili- Articolo di Laura Candiani-
Anna Franchi è stata una pioniera del femminismo, attenta e sensibile ai diritti delle donne in un’epoca in cui se ne parlava con prudenza e i soprusi venivano taciuti per ipocrisia e perbenismo. Non solo; è stata anche musicista, scrittrice, traduttrice, giornalista, biografa e critica d’arte; una intellettuale completa, i cui interessi hanno spaziato in molteplici campi. Di tutto ciò ci parla la bella, esauriente biografia dal titolo significativo Anna Franchi: l’indocile scrittura-passione civile e critica d’arte, scritta dalla studiosa toscana Elisabetta De Troja e pubblicata nel 2016 a cura dell’Università di Firenze. Il libro è anche arricchito da una scelta di testi significativi e da un album fotografico. Anna Franchi era nata il 15 gennaio 1867, quando Firenze era capitale del Regno d’Italia, figlia unica di una famiglia livornese benestante; Cesare, il padre, era commerciante, la madre, Iginia Rugani, una casalinga molto riservata. Anna aveva maggiori affinità con il padre e la nonna Ernesta con i quali condivideva gli interessi e l’amore per la letteratura e la musica. Comincia presto ad attingere alla biblioteca paterna e legge avidamente Giusti, Dumas, Guerrazzi, romanzi sentimentali, patriottici e storici. Diventa un’ottima pianista e a soli 16 anni, nel 1883, sposa il suo insegnante, il violinista Ettore Martini. La coppia si trasferisce ad Arezzo e poi a Firenze (1889), città nelle quali il marito è direttore teatrale.
Fra una tournée e l’altra in cui si esibiscono insieme, nascono quattro figli: Cesare, Gino, Folco (che muore bambino) e Ivo; tuttavia il matrimonio è infelice: Ettore contrae debiti, mantiene a fatica il lavoro solo grazie all’impegno della moglie, la tradisce, non sa fare il padre; sarebbe un bravo violinista ma è incostante e instabile, finché parte per l’America con i due figli maggiori (1903). Di fatto il matrimonio è finito da tempo e Anna è stata costretta a vendere la casa di Livorno e a mantenere i figli (pure affidati legalmente al padre). Intanto trova il tempo per migliorarsi studiando con Ettore Janni ed Ernesta Bittanti, allora universitari molto promettenti. Inizia a scrivere e comincia a pubblicare: escono le novelle Dulcia-Tristia (1898) e un libro illustrato per bambini (I viaggi di un soldatino di piombo). Negli anni di fine secolo si impegna nella Lega Femminile (che aderisce alla Camera del Lavoro) e poi nella Lega Toscana; è attiva a fianco delle “trecciaiole” nelle agitazioni del biennio 1896-97 e, pur non essendo iscritta ad alcun partito, è vicina all’ideologia socialista. Nel 1900 è ammessa nell’associazione dei Giornalisti milanesi (seconda donna, dopo Anna Kuliscioff) e scrive su quotidiani e periodici, fra cui il “Corriere dei piccoli” (con lo pseudonimo “nonna Anna”). Con brevi articoli di informazione artistica e corrispondenze (da Venezia e Parigi, ad esempio) collabora a varie testate; risulta essere la prima donna editorialista dei quotidiani “Lombardia” e “La Nazione”. Gli anni 1902-3 rappresentano il periodo in cui più si impegna per una causa che le sta a cuore: il divorzio. Il Codice civile (1865) e l’enciclica Arcanum divinae sapientiae (1880) attraverso il potere dello Stato e della Chiesa ribadiscono la subordinazione femminile all’uomo padrone e signore in famiglia, ma anche nella vita sociale e professionale. Le donne non possono conseguire titoli di studio superiori, né decidere sui propri beni né stipulare contratti; la moglie deve condividere la residenza scelta dal marito e ne deve avere l’autorizzazione se vuole esercitare il commercio o compiere operazioni bancarie. Questa «mostruosa catena» (Sibilla Aleramo) si spezza nell’opera di Anna perché la protagonista del suo romanzo Avanti il divorzio rifiuta le convenzioni e un matrimonio iniziato con un vero e proprio stupro: «La prese brutalmente, violando quella purezza che gli si abbandonava quasi con incoscienza, la prese spudoratamente, nulla attenuando con gentilezza amorevole, senza risparmiarla (…)». Significativi i nomi della coppia: perché il riferimento autobiografico risulti ben chiaro, cambiano solo i cognomi (Mirello lei e Streno lui). Anna Mirello cresce, matura, rischia e cambia grazie a un nuovo amore, ma soprattutto grazie alla propria realizzazione attraverso il lavoro, la letteratura, l’indipendenza economica. La vera nemica della donna infatti è la rassegnazione (come spiegherà la scrittrice nel saggio Il divorzio e la donna). Interessante risulta anche il confronto con la posizione assunta dalla contemporanea Grazia Deledda che, nel medesimo anno 1902, pubblica il romanzo Dopo il divorzio, mentre veniva discussa e respinta la proposta di legge del Governo Zanardelli. Nel 1909 compare il secondo importante romanzo: Un eletto del popolo in cui la protagonista Mariangela viene abbandonata con un figlio da un deputato avido e arido preoccupato dalla carriera. Una vicenda che non può non ricordare quella personale vissuta dalla scrittrice e che rappresenta comunque una vittoria del coraggio e dell’anticonformismo perché la “sora Lange” rifiuta il cognome dell’uomo per il figlio e lo dispensa dall’obbligo del mantenimento. Nel 1910 esce un romanzo in forma di diario: Dalle memorie di un sacerdote, in cui Angelo, curato nella campagna toscana, soffre per le maldicenze dopo aver salvato da morte certa un neonato abbandonato dalla madre disperata sul greto di un fiume. Don Angelo prova pietà, sa capire e perdonare, mentre il Codice penale (art. 369) distingue fra omicidio e infanticidio (“omicidio scusato”), e libera l’uomo (padre/seduttore) da qualsiasi responsabilità. Per di più il Codice civile (art. 340) proibisce la ricerca del padre con ipocrite motivazioni. Oppresso dalla cattiveria dei parrocchiani e dai dubbi sulla propria fede, disgustato dai compromessi e dall’autorità ecclesiastica, don Angelo arriva al suicidio.
Nel periodo fiorentino Anna frequenta assiduamente i Macchiaioli e in particolare lo studio di Telemaco Signorini di cui parla ampiamente nella autobiografia (La mia vita-1940), in biografie specifiche e in saggi (Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi), accompagnati da conferenze molto apprezzate. La sua fama raggiunge la Francia – che frequenta durante le esposizioni internazionali – dove diviene affettuosamente “Franscì” per gli amici intellettuali, fra cui Matisse. Trasferita a Milano prosegue con fervore la sua attività di intermediaria fra i pittori, i galleristi e i collezionisti e scrive la biografia di Fattori (1910) di cui con sapienza mette in luce le doti nel saper rielaborare l’oggetto in modo tutt’altro che fotografico. Negli stessi anni varie testimonianze ricordano l’impegno di Anna sul fronte anticlericale messo in atto con scritti e conferenze; nel 1913 entra nella loggia massonica torinese “Anita Garibaldi” e nel 1914 fonda a Milano la loggia “Foemina superior”, il cui nome indica sia l’intento di «mettere sulla via della verità le giovani menti nelle quali si sviluppa uno spirito di osservazione critica» sia «l’aspirazione della donna verso il miglioramento spirituale». Siamo ormai alla vigilia della Grande guerra e Anna prende posizione da interventista con le opere Città sorelle (1915) e Il figlio della guerra (1917). Le tragiche vicende nazionali e internazionali la colpiscono duramente: il figlio Gino muore al fronte e il suo corpo non verrà mai ritrovato. Anna fonda allora la Lega d’Assistenza per le madri dei caduti, allo scopo di sollecitare la politica a prendere a cuore la situazione delle madri che non possono avere benefici economici nel caso i figli uccisi siano coniugati. Nel dopoguerra con coerenza Anna non entra nelle file del Partito fascista e invece si avvicina ai Valdesi tanto da diventare “direttore responsabile” del loro periodico “L’Appello”. Intanto continua a pubblicare saggi, romanzi, biografie (Caterina de’ Medici– 1932), racconti per bambini (Gingillo-1946) e a impegnarsi in pubbliche conferenze. Durante la Seconda guerra mondiale opera nelle file della Resistenza e, con la pace ritrovata, il 1946 è per lei un momento di grande soddisfazione: finalmente le donne italiane hanno accesso al voto attivo e passivo; si realizzava dunque il sogno di quelle pioniere come Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni che tanto a lungo e con tenacia si erano battute. Per l’occasione scrive Cose d’ieri dette alle donne di oggi. Ormai anziana prosegue tuttavia il lavoro e nei primi anni Cinquanta escono ancora sue opere.
Muore a Milano il 4 dicembre 1954, ma il funerale si svolge a Livorno dove è sepolta nella cappella di famiglia. «L’equilibrio dovrebbe nascere da una coscienza morale, da una dignità diversa tanto nel maschio quanto nella femmina (…) uguale al maschio? No. Inferiore? Nemmeno. Diversa ma non meno degna di tutte le considerazioni». (Per le donne, 1913) Le sono state intitolate una via a Olbia, una a Roma e un largo a Livorno.
Articolo di Laura Candiani-Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
Rivalutiamo Anna Franchi
scrittrice, giornalista, donna di cultura e di impegno civile per l’emancipazione femminile
Con questo progetto il Club intende rivalutare Anna Franchi una delle figure più significative del panorama intellettuale livornese e nazionale del primo Novecento per il coraggioso impegno messo nella lotta per la conquista di diritti allora solo maschili.
Cresciuta ed educata in un ambiente familiare ricco di memorie risorgimentali, porterà sempre con sé i valori della democrazia e dell’uguaglianza ricevuti dal padre, dalla nonna e dagli amici di famiglia che frequentavano la casa paterna.
Le sue vicende personali, poi, la spingeranno a battersi per una identità nuova della donna nella società e nel mondo del lavoro con chiari collegamenti agli ideali risorgimentali.
Anna Franchi, sostenitrice delle idee progressiste che fioriscono nella stampa femminista del tempo, si trova a vivere in questa fase di trapasso epocale e decide, a seguito del fallimento matrimoniale e delle difficoltà economiche, di lottare come giornalista affinché possa realizzarsi l’uguaglianza tra uomo e donna.
Anna Franchi nasce a Livorno nel 1867 e ottantasettenne muore in povertà a Milano nel 1954. La salma, rispettando le sue volontà, viene traslata a Livorno al cimitero dei Lupi dove si trova tuttora.
Alla Biblioteca Labronica Guerrazzi la Franchi lascia in dono numerose sue opere, articoli, manoscritti che oggi costituiscono il Fondo Anna Franchi ovvero la testimonianza di vita di una donna semplice, onesta e coraggiosa.
Il progetto prevede le seguenti 3 attività:
allestimento di una mostra delle sue opere artistiche e manoscritti secondo il seguente calendario:
– 28 novembre 2024 inaugurazione della mostra presso la Biblioteca Comunale Guerrazzi con apertura straordinaria domenica 1 dicembre e termine il 7 dicembre
– 6 dicembre 2024 presso la sala degli specchi del Museo Fattori conferenza conclusiva sull’attività letteraria, giornalistica e politica della Franchi
febbraio 2025 apposizione di una lapide commemorativa presso il Famedio del Santuario di Montenero dove a ora sono presenti solamente figure di grandi uomini illustri livornesi, sarebbe la prima donna ad avere questo riconoscimento ( data da definire)
marzo 2025 Intitolazione del plesso secondaria di 1° nel quartiere La Rosa dell’istituto comprensivo Bartolena ( data da definire)
Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola
Conferenza del critico d’arte Jacopo Suggi all’interno del Progetto Rivalutiamo Anna Franchi
Venerdì 6 dicembre, presso il salone degli specchi, all’interno della Villa Mimbelli sede del Museo G.Fattori ha avuto luogo una conferenza del giornalista e critico d’arte Jacopo Suggi dal titolo “Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola“.
Anna Franchi è stata una personalità eclettica, moderna scrittrice e giornalista d’arte, autrice di oltre sessanta pubblicazioni e innumerevoli saggi, drammaturga, musicista, ma anche attivista, mossa da una complessa coscienza sociale che la portò a combattere per tante cause, in particolare per i diritti delle donne.
Davanti a un pubblico attento e appassionato Jacopo Suggi ha messo in luce un altro aspetto di questa donna eccezionale: la sua passione per l’arte, i contributi dati come critica d’arte e i legami con il movimento dei Macchiaioli. Anna Franchi è stata infatti la prima donna che ha creduto nel movimento macchiaiolo: ne ha scritta la storia, ha conosciuti gli artisti, ha cercato per loro un mercato che ne riconoscesse il valore. Importante l’amicizia con Giovanni Fattori e la corrispondenza con molti pittori: le lettere ricordano non soltanto le loro intenzioni artistiche ma anche gli stati d’animo, le relazioni, i viaggi, i successi e anche i momenti di tristezza che venivano confidati all’amica Anna.
A seguire ha avuto luogo una visita guidata al museo G. Fattori, dove sono allocate le opere dei pittori macchiaioli. In alcune stanze sono state allestite bacheche con documenti e opere che mostravano l’interesse e il legame di Anna con gli artisti di quel movimento pittorico.
Un bel pomeriggio, il finissage della mostra che chiuderà i battenti sabato 7 dicembre, che ha avuto un grande interesse e partecipazione pertanto… è stata chiesta un proroga, speriamo di ottenerla!
-Indagini archeologiche Via Aurelia Antica-Località Malagrotta-(2011-2013)–
Malagrotta-Osteria a sinistra della Via Aurelia Antica, o strada di Civitavecchia, 8 miglia lungi da Roma , posta nel tenimento di Castel di Guido, poco prima del diverticolo di Maccarese. Essa è nella valle del Rio di Galeria, che si traversa sopra un ponte : ivi dappresso è un Casale , un granaio , la chiesa , ed un fontanile fornito di acqua da una sorgente condotta, i cui bottini veggasi a destra della strada. Il nome Malagrotta suol dirsi da una grotta che si vede sul colle a sinistra ; a me sembra però che sia un travolgimento del nome Mola Rupta, che almeno fin dal secolo X. questo fondo portava: dico fin dal secolo X, poiché non voglio fare uso della Carta di donazione di Santa Silvia per le ragioni che furono indicate nell’articolo su Maccarese. Or dunque negli annali de’ i Camaldolesi, ne’ quali si riporta quell’Atto di donazione , si trova pure riportata una Carta genuina pertinente all’anno 995, ( leggasi il tomo I.p.p.126) nella quale si ricorda la cessione e permuta fatta da Costanza nobilissima donna di una metà di un suo Casale denominato Casa Nobula, posto circa l’ottavo miglio fuori della porta San Pietro nella contrada che corrisponde appunto a Malagrotta. E questa contrada si ricorda ancora anche in altre Carte degli stessi annali, come in una dell’anno 1014 nella quale si pone fuori di porta San Pancrazio nella via Aurelia, e si nomina come Casale ,in un’altra carta del 1067 si nomina come affine al Rio Galeria, e nel secolo XIII. Col nome di Castrum Molarupta colle chiese di Santa Maria e di Santa Apollinare si designa nelle bolle di papa Innocenzo IV. Nel 1249 e di Papa Bonifacio VIII. Nel 1299, con le quali furono conferiti i beni di San Gregorio: come pure in due Atti pertinenti all’anno 1280 e 1296, documenti che sono inseriti nell’appendice del tomo V. degli Annali suddetti. Quindi il nome Molarupta rimaneva sul principio del secolo XIV. E quanto a questa denominazione così antica , che rimonta, come si vide , almeno al secolo X. facile è derivarne la etimologia da una mola ivi sul fiume Galeria esistente, la quale rottasi, ne derivò al fondo ed alla contrada il nome do Molarupta.
Roma: Malagrotta – via Aurelia-indagini archeologiche finalizzate all’individuazione ed all’apposizione del vincolo di un tratto della via Aurelia antica e della mansio di età imperiale ad essa afferente.Committente:Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (dott.ssa Daniela Rossi)
Scavi a cura della Cooperativa Parsifal – Cooperativa di Archeologia.
Roma: Malagrotta – via Aurelia–indagini archeologiche finalizzate all’individuazione ed all’apposizione del vincolo di un tratto della via Aurelia antica e della mansio di età imperiale ad essa afferente.
Committente: Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (dott.ssa Daniela Rossi)
Scavi a cura della Cooperativa Parsifal – Cooperativa di Archeologia.
ROMA-Mausoleo di Augusto-Nuovo importante ritrovamento a Piazza Augusto Imperatore
Roma, 06 luglio 2023 – “Riqualificazione del Mausoleo di Augusto e piazza Augusto Imperatore”-Dichiarazione del Sovrintendente Capitolino Claudio Parisi Presicce“Grazie al lavoro attento degli archeologi e delle archeologhe della Sovrintendenza, siamo in grado di approfondire la conoscenza di un quadrante della città che stupisce per la ricchezza della sua storia millenaria.
La testa appena ritrovata, di elegante fattura, scolpita in marmo greco, appartiene probabilmente a una statua di divinità femminile, forse Afrodite, di dimensioni naturali. Mostra una raffinata acconciatura di capelli raccolti sul retro grazie ad una “tenia”, un nastro annodato sulla sommità del capo.
Il reperto è stato rinvenuto nella fondazione di un muro tardoantico ma si conserva integro; riutilizzato come materiale da costruzione giaceva con il viso rivolto verso il basso, protetto da un banco d’argilla sul quale poggia la fondazione del muro. Il riuso di opere scultoree, anche di importante valore, era una pratica molto comune in epoca tardo medioevale, che ha consentito, come in questo caso, la fortunata preservazione di importanti opere d’arte.
La testa è al momento affidata ai restauratori per la pulizia, e agli archeologi per una corretta identificazione e una prima proposta di datazione, che appare ancorata all’epoca augustea.”
La scoperta è avvenuta nel corso dei lavori per la “Riqualificazione del Mausoleo di Augusto e piazza Augusto Imperatore”, sul lato orientale dell’area in corso di intervento.
Mausoleo di Augusto
Di ritorno dalla campagna militare in Egitto, conclusasi con la vittoria di Azio del 31 a.C. e la sottomissione di Cleopatra e Marco Antonio, nel 28 a.C. Ottaviano Augusto diede inizio alla costruzione del Mausoleo nell’area settentrionale del Campo Marzio all’epoca non ancora urbanizzato.
Già in precedenza occupato dai sepolcri di alcuni uomini illustri, lo storico greco Strabone descrisse il monumento come “un grande tumulo presso il fiume su alta base di pietra bianca, coperto sino alla sommità di alberi sempreverdi; sul vertice è il simulacro bronzeo di Augusto e sotto il tumulo sono le sepolture di lui, dei parenti, dietro vi è un grande bosco con mirabili passeggi”.
Il Mausoleo con il suo diametro di 300 piedi romani (circa m 87) è il più grande sepolcro circolare che si conosca. Il monumento si componeva di un corpo cilindrico rivestito in blocchi di travertino, al centro del quale si apriva a sud una porta preceduta da una breve scalinata; in prossimità dell’ingresso, forse su pilastri, erano collocate le tavole bronzee con incise le Res Gestae, ovvero l’autobiografia dell’imperatore, il cui testo è trascritto sul muro del vicino Museo dell’Ara Pacis.
Nell’area antistante erano collocati due obelischi di granito, poi riutilizzati uno in piazza dell’Esquilino, alle spalle di S. Maria Maggiore (1587), l’altro nella fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale (1783).
Varie ipotesi di ricostruzione del monumento sono state proposte sulla base dei resti conservati e dei disegni realizzati nel XVI secolo da Baldassarre Peruzzi. Su di un basamento alto circa m 12 si elevava, impostato su una delle murature anulari più interne, un secondo ordine architettonico coronato da una trabeazione dorica, di cui vari elementi sono stati rinvenuti nell’area del monumento. Su questa altissima struttura svettava, a 100 piedi romani di altezza (circa 30 metri), la statua di Augusto in bronzo dorato, probabilmente l’originale bronzeo della statua in marmo rinvenuta nella villa di Livia a Prima Porta.
Attraverso un lungo corridoio d’accesso, il dromos, si giungeva alla cella sepolcrale, di forma circolare, con tre nicchie rettangolari ove erano collocate le urne. La nicchia di sinistra, ospitava le ceneri di Ottavia, sorella dell’imperatore e di suo figlio Marcello, successore designato di Augusto prematuramente morto nel 23 a.C. Augusto fu forse sepolto nell’ambiente ricavato all’interno del nucleo cilindrico centrale. All’interno del sepolcro vennero deposte le ceneri dei membri della famiglia imperiale: il generale Marco Agrippa, secondo marito di Giulia figlia di Augusto, Druso Maggiore, i due bimbi Lucio e Gaio Cesare figli di Giulia, Druso Minore, Germanico, Livia, seconda moglie di Augusto, Tiberio, Agrippina, Caligola, Britannico, Claudio, e Poppea, moglie di Nerone; quest’ultimo fu invece escluso dal Mausoleo per indegnità, come già Giulia, la figlia di Augusto. Per breve tempo il Mausoleo ospitò le ceneri di Vespasiano e infine di Nerva e dopo oltre un secolo dall’ultima deposizione si riaprì per ospitare le ceneri di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo.
Venduta all’asta la più antica Bibbia ebraica ad oggi conosciuta
Acquistata per oltre 38 milioni di dollari la più antica Bibbia, entrerà a far parte della collezione permanente del museo di Tel Aviv-Il Codex Sassoon, un libro della fine del IX o dell’inizio del X secolo che Sotheby’s ha definito «la prima e più completa copia della Bibbia ebraica», è stato venduto per 38,1 milioni di dollari all’associazione American Friends of the ANU, Museum of the Jewish People. Secondo Sotheby’s, il Codice entrerà a far parte della collezione permanente del museo di Tel Aviv, in Israele.
L’acquisto del Codice Sassoon è stato possibile grazie alla donazione di Alfred H. Moses, ex ambasciatore americano in Romania, e della sua famiglia. Si tratta di uno dei documenti storici più costosi mai venduti all’asta, appena inferiore ai 43,2 milioni di dollari della Costituzione degli Stati Uniti venduta nel novembre 2021 al collezionista d’arte Ken Griffin. Una collezione di scritti scientifici di Leonardo da Vinci del valore di 30,8 milioni di dollari (secondo il New York Times vale 62,4 milioni di dollari al giorno d’oggi) è stata acquistata da Bill Gates nel 1994.
«La Bibbia ebraica è il libro più influente della storia e costituisce la base della civiltà occidentale. Mi rallegro nel sapere che appartiene al popolo ebraico. La mia missione, rendendomi conto dell’importanza storica del Codice Sassoon, è stata quella di fare in modo che risiedesse in un luogo accessibile a tutti», ha dichiarato Moses in un comunicato stampa. «Nel mio cuore e nella mia mente quel luogo era la terra d’Israele, la culla dell’ebraismo, dove ha avuto origine la Bibbia ebraica».
Il codice non deriva il suo valore dalle centinaia di pelli di pecora necessarie per la pergamena del libro di 26 libbre, dal lavoro richiesto per scrivere a mano i 24 libri della Bibbia ebraica o anche necessariamente dalla precisione del testo stesso. Invece, come ha detto a Religion News Service Tzvi Novick, titolare della cattedra di pensiero e cultura ebraica all’Università di Notre Dame, in Indiana, «la fama del Codice Sassoon sta nella sua combinazione di precocità e completezza».
Il nome è legato a David Solomon Sassoon (1880-1942), appassionato collezionista di manoscritti giudaici ed ebraici, che lo acquistò nel 1929. Il libro contiene tutti i 24 libri della Bibbia ebraica (mancano solo alcuni fogli) e precede di quasi un secolo la prima Bibbia ebraica interamente completa, il Codice di Leningrado.
“Codice Sassoon, una pietra miliare della storia ebraica e dell’umanità”
È nota come Codice Sassoon la copia più antica e completa del Tanakh mai ritrovata. Un manoscritto risalente alla fine del IX o all’inizio del X secolo, considerato fondamentale per capire l’evoluzione della tradizione ebraica. Il nome deriva da un suo precedente proprietario, che l’acquistò nel 1929: David Solomon Sassoon, appassionato collezionista di Judaica e di manoscritti ebraici. Il Codice Sassoon contiene 24 libri e, spiegano gli esperti della casa d’aste Sotheby’s, “precede di quasi un secolo la prima Bibbia ebraica completa, il Codice di Leningrado”. Rappresenta in questo senso una “pietra miliare della storia umana”. Proprio Sotheby’s metterà all’asta il prezioso volume il prossimo maggio a New York. Una notizia ripresa dai media da tutto il mondo, che evidenziano il valore storico del manoscritto, realizzato da uno scriba su pergamena. “Nel Codice Sassoon viene rivelata una trasformazione monumentale nella storia della Bibbia ebraica, portando alla luce la sua storia completa, che in precedenza non era mai stata presentata in forma di libro” dichiara Sharon Mintz, esperta di Sotheby’s della divisione libri e manoscritti. Segna perciò “una svolta cruciale nel modo in cui percepiamo la storia della parola divina attraverso migliaia di anni, ed è una testimonianza di come la Bibbia ebraica abbia influenzato i pilastri della civiltà – arte, cultura, legge, politica – per secoli”. Parlando con la rivista Barron’s, Mintz ha ricordato come i primi scritti conosciuti della tradizione ebraica siano i frammenti dei Rotoli del Mar Morto, composti tra il III e la fine del I secolo a.e.v. Nei 700 anni successivi non si hanno notizie di una Bibbia scritta, ha spiegato l’esperta. “Nessuno sa perché. Presumibilmente, dovevano esserci dei libri prima. Ma i primi esempi che abbiamo, e certamente i primi codici biblici che abbiamo, risalgono alla fine del IX e all’inizio del X secolo. E sono solo due”. Uno è il Codice Sassoon, l’altro è il più antico Codice di Aleppo, realizzato attorno al 930. Quest’ultimo è però arrivato incompleto ai giorni nostri, mancando quasi del tutto dei cinque libri della Torah (il Pentateuco). Tra i due testi, spiega Mintz, c’è un collegamento. A compilare il Codice di Aleppo, testo masoretico, fu la famiglia di “Aaron ben Moses ben Asher, un importante studioso della Bibbia incaricato di correggere il Codice per adeguarlo alla tradizione che aveva ereditato su come le parole dovevano essere scritte, vocalizzate e accentate”. Il Codice di Aleppo servì in seguito come esemplare per gli scribi per assicurarsi di aver copiato correttamente la Bibbia. “È significativo che il Codice Sassoon contenga note fedeli della Masorah. – l’analisi di Mintz – Una di queste note fa riferimento al ‘grande maestro, Aaron ben Moses ben Asher’ e al suo lavoro su al-taj, l’onorifico tradizionale del Codice di Aleppo, suggerendo che lo scriba masoreta che ha copiato la Masorah del Codice Sassoon potrebbe aver consultato il volume quando risiedeva a Tiberiade o a Gerusalemme nel X o XI secolo”.
Franco Leggeri Fotoreportage -Borgo Testa di Lepre-” IL PALIO DEI FONTANILI ” 2018
Articolo e fotoreportage di Franco Leggeri–Il Borgo TESTA di LEPRE a settembre avrà il “suo” Palio. E’ in fase avanzata la realizzazione della prima edizione del “Palio dei Fontanili del Borgo di Testa di Lepre” da parte della Proloco.
Testa di Lepre- 11 luglio 2018-Quella che sta nascendo a Testa di Lepre è una manifestazione ,sempre più concreta, con il fine di far rivivere e far conoscere , con giochi e manifestazioni varie, una battaglia che avvenne nell’846 d.C. nella Valle dell’Arrone, zona Fontanile di Mezza Luna, quando la Milizia Contadina, condotta e guidata ad una vittoria storica dal Duca Guido da Spoleto, sconfisse i saraceni che stavano per invadere Roma.
Il Consiglio Direttivo della Proloco ha suddiviso in quattro il territorio del Borgo e saranno , appunto, quattro gli stemmi che rappresenteranno, al Palio, le Contrade di Testa di Lepre. Tutti gli abitanti del Borgo, con spirito cavalleresco, saranno uniti nelle competizioni che si svolgeranno a settembre durante il Palio.
Ci dice Luca Calderoni il Presidente della Proloco:” Questa prima edizione del Palio sarà puramente ludico-sportivo, ma con lo scopo di esaltare i valori della nostra Campagna Romana. Quello di Testa di Lepre sarà un Palio per le famiglie, persone, ragazzi di ogni età che vorranno riprendere una storia ormai quasi dimenticata per ricominciare a “scriverla” di proprio pugno.” Prosegue Luca Calderoni “Da un’idea, una semplice idea e intuizione passare alla fase realizzativa è ,e sarà, una bella sfida che , speriamo, dal bilancio partecipativo di scoprire una realtà che riempirà di colori e calore umano il Borgo di Testa di Lepre, nel suo intero, con: musica, balli,cucina campagnola, stendardi, foulard, sorrisi e vera amicizia. Questo è il mio augurio e la mia speranza che ripongo in questa iniziativa” Conclude infine così il suo colloquio con me Luca Calderoni” voglio ringraziare tutto il Comitato Direttivo e i Soci della Proloco per il FATTIVO e concreto sostegno OPERATIVO che stanno mettendo al fine di vedere il trionfo della manifestazione del Palio dei Fontanili. “
Aggiungo che tutto il Palio sarà un’opera Corale a più voci , auguro agli organizzatori che dal Borgo si possa udire un “INNO ALLA GIOIA” da tutta Campagna Romana.
Seguiranno, da parte di noi di Campagna Romana, altri report sulla fase organizzativa del Palio dei Fontanili con interviste e foto a tutti i membri del Comitato Direttivo della Proloco, ai partecipanti e ai Capitani delle Contrade. Cercheremo di scrivere, raccontare, con approfondimenti storici , i fatti relativi alla battaglia dell’846 d.C. e la storica vittoria della Milizia di Campagna sui saraceni. Andremo a fotografare i Fontanili e l’area della famosa Battaglia. Racconteremo la vita di questi eroi della Campagna Romana che formarono l’esercito , MILIZIA CONTADINA, del famoso Condottiero il Duca Guido da Spoleto.
Articolo di Franco Leggeri
N.B.Foto di Franco Leggeri- Le foto sono a disposizione di TUTTI e libere .
Altre foto sono su Facebook-CAMPAGNA ROMANA BENE COMUNE
Enrico Berlinguer-La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-
A cura di Alexander Höbel- Donzelli Editore -Roma
Scheda del Libro-Enrico Berlinguer La pace al primo posto-Scritti e discorsi di politica internazionale (1972-1984)-Passione, rigore, propensione ad anticipare i tempi e a superare steccati: ciò che ha segnato l’azione di Enrico Berlinguer nella politica italiana emerge con ancora maggior forza in campo internazionale. È quanto rivelano i discorsi, gli articoli e le interviste raccolti da Alexander Höbel in questo volume, a partire dal 1972, quando Berlinguer assume la guida del Pci. Sono gli anni degli euromissili, dell’invasione sovietica in Afghanistan, dell’escalation nucleare, della guerra in Libano; ma lo sguardo del segretario sa andare anche oltre e in profondità. Per la prima volta nella storia, intuisce, il mondo è strettamente interconnesso e il suo cuore non è più l’Occidente: è necessario cooperare con le nuove realtà emergenti, anche per il bene stesso dei paesi industrializzati, i quali solo in questo modo potranno uscire dalla crisi. Una capacità di visione che coinvolge la Cee e l’intera Europa («senza un contributo ai problemi dell’Est – afferma – non vi sarà sicurezza e sviluppo») e include l’Italia, per cui l’«austerità» qui invocata diventa strumento globale di efficienza e giustizia, per superare un sistema caratterizzato dall’individualismo più sfrenato, dal «consumismo più dissennato». Lo stesso Pci, di cui con orgoglio, in uno straordinario discorso pronunciato nel 1976 a Mosca, al congresso del Pcus, rivendica la storia all’insegna della democrazia e della libertà, deve intraprendere una «terza via» che vada oltre il modello socialdemocratico e il «socialismo reale», accogliere le spinte anticapitalistiche provenienti anche dai movimenti di ispirazione cristiana, aprirsi alle istanze ambientaliste, alle battaglie femministe. È la pace l’obiettivo su cui è costantemente focalizzato Berlinguer; una meta legata a multipolarismo e cooperazione, che si fa nelle sue parole tema spinoso e urticante, pungolo che sollecita all’azione, che impone una battaglia intransigente e a tutto campo contro le diseguaglianze, non solo economiche, perché «una pace non precaria, ma solida, duratura, per essere tale non può che essere fondata sulla giustizia».
Autore-Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer-Uomo politico italiano (Sassari 1922 – Padova 1984). Segretario del Partito comunista italiano dal 1972, deputato dal 1968 per tutte le legislature, fu promotore dell’idea di un “compromesso storico” tra le due grandi forze popolari, quella comunista e quella democristiana, ma dopo la deludente esperienza dei governi di unità nazionale (1976-79) riportò il PCI all’opposizione; durante la sua segreteria guidò inoltre il partito verso il progressivo distacco dall’Unione Sovietica.
Vita e attività
In contatto dal 1937 con gruppi antifascisti, nel 1943 aderì al Partito comunista italiano. Nell’immediato dopoguerra diresse il Fronte della gioventù prima a Milano e poi a Roma, entrando poco dopo nel Comitato centrale del PCI e nel 1948 nella direzione; dal 1949 al 1956 fu segretario generale del movimento giovanile comunista. Deputato dal 1968, fu eletto vicesegretario del PCI nel 1969 (XII congresso) e segretario generale nel marzo 1972 (XIII congresso). La sua linea, basata sul perseguimento dell’alleanza tra classe operaia e ceti medî, sull’affermazione del carattere laico del partito e, soprattutto, sulla proposta del “compromesso storico”, si concretizzò, dopo i successi elettorali del PCI nel 1975-76, nella politica di unità nazionale (ag. 1976-genn. 1979). Dopo la conclusione negativa di tale esperienza e il ritorno dei comunisti all’opposizione (1979), B. cercò di far fronte alla difficile situazione in cui si era venuto a trovare il PCI, accentuata dalla crisi sociale e politica dei primi anni Ottanta, con una riaffermazione del suo carattere alternativo alla Democrazia cristiana (proposta di “alternativa democratica”, del nov. 1980) e la prosecuzione del suo rinnovamento interno. In campo internazionale, la segreteria B. si è caratterizzata per il crescente distacco del PCI dall’Unione Sovietica (dall’esperienza eurocomunista degli anni Settanta alla dichiarazione del genn. 1982 circa l’esaurimento della “spinta propulsiva” della rivoluzione d’ottobre) e il perseguimento di una sua maggiore integrazione nell’ambito della sinistra europea occidentale.Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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