Senza categoria
Poesie di Donatella Bisutti-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Donatella Bisutti-
Biografia Poesie di Donatella Bisutti dalla Biblioteca DEA SABINA-Nata a Milano, è poetessa, narratrice, saggista. Laureata all’Università di Lovanio in Belgio, giornalista professionista, è autrice delle raccolte di poesia Inganno Ottico (prefazione di Maurizio Cucchi, Guanda, 1985, premio Montale per l’Inedito, recensito tra gli altri da Pier Vincenzo Mengaldo su Panorama e tradotto da Bernard Noël in Francia per le Éditions Unes con il titolo Le Leurre Optique ( Draguignan, 1989); Penetrali (prefazione di Giovanni Tesio, Boetti & C., 1989); Violenza (Dialogolibri, 1999); La notte nel suo chiuso sangue (Éditions Unes, Draguignan, 2000); Piccolo Bestiario Fantastico (Viennepierre, 2002); La Vibración de las Cosas (SIAL Madrid 2002); Colui che viene, poemetto (prefazione di Mario Luzi, Interlinea, 2005, premio Camposampiero e premio Giuria dei Lettori Davide Turoldo, tradotto in Belgio con il patrocinio della Commissione Europea, in Spagna, negli Stati Uniti e in Francia da Bernard Noël e rappresentato come Oratorio sacro alla Corsia dei Servi di Milano e in altri santuari e chiese); The Game (con una nota di Giuseppe Conte, New York, Gradiva, 2007) e la raccolta di aforismi La parte dell’innocenza, segnalazione al premio TorinoSintesi 2008. Da poco è stata pubblicata la raccolta Rosa Alchemica (Crocetti editore 2011), prefata da Antonio Fournier e con una nota di Mohammed Bennis, già recensita su Avvenire da Cesare Cavalleri e su La Stampa Tuttolibri da Giovanni Tesio e prossimamente da Paolo Lagazzi sulla Gazzetta di Parma e da Giancarlo Pontiggia su Poesia. Il testo L’Amor Rosa, che fa parte di questa ultima raccolta, era stato in precedenza messo in musica dal compositore Marlaena Kessick e rappresentato in forma di balletto al Festival di Asti, mentre un adattamento per bambini de Il fiore dell’agave, anch’esso nella raccolta, era stato messo in scena da Giordana Moletta con la compagnia di ragazzi La Stella Danzante. La Bisutti ha collaborato a lungo all’Almanacco dello Specchio Mondadori sia con suoi testi (Poemetti in prosa, prefati da Marco Forti, 1980) sia presentando per la prima volta in Italia poeti contemporanei come Edmond Jabès e Bernard Noël . Ha poi tradotto di Edmond Jabès La memoria e la mano (Mondadori, Lo Specchio, 1992) e di Bernard Noël, La caduta dei Tempi (Guanda, 1997– Premio Biella per la traduzione) e Estratti del corpo (Mondadori Lo Specchio 2001). Suoi testi sono stati tradotti in diverse lingue, tra cui greco, portoghese, irlandese, svedese e arabo e figurano in riviste e antologie. Nel 2010 è stata invitata dalla Fondazione Mateus in Portogallo nell’ambito di una importante iniziativa di traduzione di poeti stranieri cui erano stati invitati in precedenza per l’Italia Franco Loi e Valerio Magrelli. Nel 1990 è stata presidente dell’Association Européenne pour la Diffusion de la Poésie con sede a Lovanio in Belgio, di cui sono stati presidenti fra gli altri Mario Luzi e il premio Nobel Seamous Heaney. Dal 2002 al 2005 ha ideato e diretto la collana di poesia A mano Libera (Archivi del ‘900) che ha pubblicato testi poetici inediti autografati di Maria Luisa Spaziani, Mario Luzi, Adonis. Per Scheiwiller ha curato Il Tredicesimo invitato e altre poesie, raccolta postuma di Fernanda Romagnoli (2003). Nel 1997 ha pubblicato un romanzo, Voglio avere gli occhi azzurri (Bompiani, 1997, 3 edizioni), di cui una consistente anticipazione era stata pubblicata in precedenza da Raffaele Crovi nel numero 1 della sua rivista Il Bel Paese con una presentazione di Giuseppe Pontiggia (1984). Un saggio su questo libro, intitolato Simona o le ragioni della letteratura era apparso nel Diario di un uomo a disagio di Giampaolo Rugarli (Mondadori 1989). Fra le varie recensioni si segnala quella di mons. Ravasi su Avvenire (lo stesso mons Ravasi aveva già recensito La Poesia salva la vita sempre su Avvenire). Alcuni estratti di questo libro sono stati utilizzati in Francia dal Ministero della Cultura per un CD destinato agli studenti di italiano.
Le Parole
La sua poesia è fatta di silenzio… di boschi verdi e abissi da dove emergono scucite parole coniugate da un mistero inafferrabile che ci possiede e sfugge.
Bisogna fermarsi e riprendere fiato prima di continuare a seguire le parole che la Bisutti posa profondamente nel verso, lasciandoci rivelare dal silenzio la formula infinita di quel gesto istintivo, involontario e cosciente che la sua poesia, sommergendoci, ci trasmette con istinti e pulsioni.
Biblioteca DEA SABINA
Da Rosa Alchemica–
Canto Del Verde
Mondo arboreo equoreo
bocche di corolle botanici parasoli
trasmigranti dal mare alla terra
intrecciarsi di verdi serpenti squamati
arborescenze infiorescenze luminescenze
tenere gemme emerse dagli abissi sul dorso dei grandi cetacei
mutazioni geologiche nel molle strisciare di un bruco
che hanno disertato la nostra memoria ma ancora
ci scorrono sotterranee nel sangue se solo
decidiamo di prestarvi ascolto
nei panni scuciti
delle nostre parole
Rami che danzano battelli ebbri nel polline dell’aria
le foglie che pendono dai rami pesci lucenti
un formicolare di silenziose
infinite gradazioni del verde
le infinite coniugazioni del silenzio
nell’oscurità indecifrabile delle nervature
Sillabario d’erba
e lo stilo dei pistilli
ombra luce sinuoso
lamine di un labirinto lucente e sfuggente
foglie come zampe palmate
o mani protese
ad attutire la caduta della goccia
aperte a ricevere
ciò che è destinato a fuggire via trascolorando
Non sapremo mai
quello che veramente significano
queste infiorescenze di lucertole
questi mazzi di calici abitati dagli insetti
questo strisciare e protendersi più vivo
di qualsiasi movimento animale
queste immobili corse furiose
del verde spalancato a misurare l’azzurro
O forse solo da quando abbiamo abbandonato la forma arborea
per diventare animali che danno e ricevono morte
da quando abbiamo dismesso la nostra prima natura di foglie
per emettere suoni diversi da quelli del vento
diversi dai canti degli uccelli posati come frutti sui rami
frutti di piume che dondolano
lanugine verde equorea arborea canora
Ah verde vegetale vegetale verde
quanto sei estraneo e inaudito eppure
quanto ti apparteniamo ancora e nonostante tutto
nel fondo delle nostre viscere di sangue oscuro
quanto ti intrecci nelle ramificazioni dei nostri polmoni
quanto fiorisci sulle nostre labbra
quanto batte il becco dell’uccello sulla corteccia ispessita del nostro cuore
ah intrico labirintico del pensiero
ah lucertole sfuggite dal greto d’erba dei nostri sogni
ah verdi lance delle nostre perdute battaglie
azzurri licheni della memoria
aghi confitti nella pelle
da un vento che inutilmente gonfia
i nostri desideri
disperazioni e speranze
poema del verdazzurro e del glauco
poema del fruscio
e delle raffiche
poema della verde aureolata tempesta
del troppo umido e del troppo secco
dell’arbusto e del fiore senza nome
del leccio e del pitosforo
dell’alloro della robinia dell’acanto
dell’umile timo
e del trilobato trifoglio
su cui cammina la coccinella di una breve fortuna
prima di trasvolare
Accoglici, oh verde
consolaci dei tuoi aròmati
poni la frescura aliena della tua mano
sulla nostra fronte affaticata
e bruciante.
Canto Dell’Acqua
Mondo equoreo arboreo
trasmigrazione dalla terra al mare
bocche di corallo gelatinose ombrelle sospese
minuscoli inconsistenti paracaduti urticanti
intrecciarsi di rosazzurri serpenti squamati
arborescenze infiorescenze luminescenze
granchi rosati e cavallucci pallidi
infinite gradazioni di glauco verdegrigio e
viola nate dall’incontro della luce
con l’ombra
inconsistenza d’ombre e affondi di oscurità
più compatta e densa della roccia
terrificanti abissi da cui emergono creature inattese
dalle quali discendiamo del tutto inconsapevolmente
un sogno pallido e freddo preludio alla nostra vita
e simile alla morte fredda e pallida
dell’annegato
che le alghe hanno avvolto come una benda sugli occhi
mentre le anime di altre creature mai vissute e mai morte
in corteo lo trasportavano per un rito abissale
su un altare di sabbia e polveri di minuscole conchiglie
lontani dal cielo lontani dalla luce difformi e mostruosi
senza proporzione né grazia sfilano i mostri sepolti nel fondo
del nostro sé e da lì risalgono quando la luce del sole si fa lunare
e la luna è un disco pallido e biancastro come la pancia del
pesce che porta il suo nome
niente di più animale della vegetazione degli abissi
niente di più carnivoro dei filamenti che si avvolgono alle rocce
animali che come le piante non camminano
illusoria separazione di regni
pesci che nuotano come uccelli e volano talvolta sopra le acque
per breve spazio dove fulminei calano uccelli di luce
spiritati e bianchi con piccoli occhi brillanti come chicchi di ghiaia
con becchi affilati e possenti mandibole
divorano la loro carne salata e fredda
in questo mondo di ombre ci inoltriamo fra i velari di quei licheni marini
così gonfi di acqua e di sale e così viscidamente vellutati
che se ne potrebbe intessere un mantello reale
L’annegato viene ricoperto di questo regale sbiadito mantello
che non è di porpora e oro ma di infinite tonalità di grigi e gli viene posta sul capo una corona
di pungenti rametti di corallo che sporgono
e così si presenta a quelli che da prima di lui vivono dapprima nella luce smorta
e poi a poco a poco sempre più giù fino alla grande tenebra
da cui sbocciano i picchi di abissi mai innevati
ma coronati lassù da isole lussureggianti di luce
pennacchi di palme e cortine di buganvillee
mentre le loro pendici affondano nelle distese spoglie dei grandi cimiteri marini
in cui il pensiero si raggela e si perde
si fa equoreo e silente ma di un silenzio
gravido di minacce attonite di smarrimento svuotato di ogni succo come il guscio
dei molluschi, delle immense grigie aragoste che solo sul nostro piatto, morte, assumono il vivido
colore rosso del sangue e della vita
A questa tenebra grigia a questo mondo feroce e inquietante e smorto
alcune piante della terra si protendono per specchiarvisi attratte e alcuni uomini sedotti da invisibili
sirene non sanno resistere al mortale richiamo del sacrificio di sé e della perdita
nella fluidità dell’acqua
nell’acqua invasiva e feroce che trascina e abbandona
travolge e rimescola
colma ogni pertugio e varco
azzannando con le sue onde crestate di ghiaccio
onde che abbaiano come cani di mare
trasalendo con le maree che inghiottono avide la terra
con la velocità di bighe lanciate
tutto volendo strapparle
per ira ingordigia e invidia profonda
di ciò che ha luce piena e ferite inferte dal sole piaghe purulente
di frutti sugosi colorati disfatti divorati dagli insetti
Il mare vuole bagnarsi nei succhi della terra
lasciare il salato per il dolce
non più rincorrersi onda dopo onda
abbandonare la sua liquidità senza forma
per stagliarsi ombra vivida
e immota infine assorbita dal silenzio
farsi vigna gonfia dei succhi dell’uva
spremere vino vero dalle fatemorgane dei suoi tramonti
Canto Dell’Aria
Le schiere grigie degli insetti moscerini mosche zanzare coleotteri falene
gli sciami variopinti delle farfalle le discontinue libellule
e poi gli eserciti degli uccelli cardellini passeri usignoli aquile falchi
e i quasi invisibili uccelli notturni pipistrelli civette gufi
tutto ciò che a differenza di noi nel piccolo e nel grande può staccarsi da terra e volare
lasciare la terra per volteggiare nell’apparenza del vuoto nell’elemento invisibile
misteriose creature dell’aria che mai ci raccontano del loro volo e che tanto
vorremmo imitare
ma creature d’aria anche i venti divinità delicate o possenti che trascorrono per ogni dove
rasserenanti o furiosi
con dita invisibili avvolti in veli di polvere e levando sipari
divinità che non possiamo vedere ma solo cogliere per le loro tracce
l’aria essendo di tutti gli elementi il più enigmatico
per noi che non abbiamo ali né leggerezza.
Oh l’inebriante vertigine del vapore condensato in forme
l’abbraccio del vento
che eternamente le feconda
oh essere quel vapore e quelle forme
cancellarsi e riscriversi negli zefiri e
nelle tempeste
oh essere
l’ebbrezza dell’aquila che piomba
trascinando l’azzurro
in vertiginosi avvitamenti.
Inutilmente spasimano
le nostre ali di carne
nell’affanno della pesantezza.
Ma nasce dentro di me un diverso canto
il canto dell’anima rimasta senza guscio
della materia spirituale messa a nudo
sottile vibrazione di una corda d’arpa
così struggente
affinché gli dei mostrino il loro volto
striato da venti luminosi e oscuri
il canto dello spazio vuoto.
mutazioni del fuoco
vento ardente
il dio muta come il fuoco
quando si mescola ai profumi
A loro consustanziali saremo
non più le nostre braccia
pinne strappate
ma finalmente ali di una materia trasparente
fluide ali
di una diversa immortale sostanza
E allora
a smemorarci nell’aria
fatti aria
saremo
puri fiati
o ombre
proiettate sui quadranti celesti
uccelli posati
sul ramo ondeggiante dell’universo.
Canto Dell’Oscurita’
Dio della tenebra
che ci assedî da ogni parte
dall’oceano oscuro del cosmo
dove la Terra galleggia in una ghianda di luce
nascono per magia animali e nuvole
sui tenebrosi abissi
della nostra solitudine
Angeli dalle nere ali
vegliano su venti stellari e polveri
Il buio misura il cammino che la luce compie
dal momento in cui nasce
al momento in cui muore
misura la Bellezza
dell’immensità profonda
Non vedo il buio fuori dalla finestra
è lui che vede me
nella sua cecità
Una volta si credeva che le stelle
fossero gli occhi del cielo
la bellezza del firmamento
alludeva a un’eterna luce
Quando la luna è irrequieta
un panno nero ricopre la gabbia dell’uccello
Canto Del Fuoco
Il pianeta è vivo nel fuoco
una sottile maschera d’argilla
protegge il sé da quanto
radicalmente è altro
non c’è sollievo
alla violenza
che ribolle e ci divora dentro
non c’è riparo di frescura
all’aurora
che rossa trema all’orizzonte degli oceani
vento ardente
il dio muta come il fuoco
in quell’ora che non è
giorno né notte
il nostro fuoco interno ci consuma
ma dal nero di uno spazio già rovente
pallida spunta una primissima foglia
Canto Della Luce
Celebrerò la gloria della terra quando s’accende
nei mattini
puoi comprendere in te
questa rosa che si illumina
rifiorendo dall’inizio?
la melagrana che pende
dall’albero del cosmo
piante fiori animali di luce
mari cieli nuvole di cui
la luce è forma
la forma consapevolezza di ciò
che consiste
in ogni cosa
Celebrerò la bellezza di ciò che è trasparente,
di ciò che è traslucido,
di ciò che è scintillante,
di ciò che è chiaro,
colorato screziato lucente
che la buia onda sospinge
ai limiti
gli spruzzi della luce che si infrange
quando la terra espira inspira
gli scintillii e le effervescenze
per cui ogni cosa può essere amata
Puoi tu comprendere in te
questa rosa?
Canto D’Immortalita’
Che soprassalto
che trasalimento
che sommovimento di gioia
l’efflusso di luminosi granelli
che la trasmutazione sparge
nella gloria dei mattini.
Che soprassalto
che trasalimento
che sommovimento
di gioia
così infiniti granelli di luce sulla rena del giorno
infinitesimo nulla che feconda
le nostre mani e i nostri volti
le nostre labbra e i nostri occhi
straripa
lo splendore incandescente
la radiosa spina che s’infigge
nel suggello del palmo
a dirci
la nostra vivente
quotidiana eternità
Lezione di bicicletta
La mia prima bicicletta a due ruote
tu mi tenevi il sellino
davanti al paesaggio d’estate
vuoto
finché perduta la pazienza
ricordo i tuoi
schiaffi sonori sulle guance
Così mi spingesti
verso l’infinito
ho imparato a pedalare per sfuggirti
muovendo i piedi ho trovato i pedali
non avevo altro modo per sottrarmi
trovando in qualche modo un equilibrio
ho affrontato la vita per paura.
Roma-Notte Morricone al Teatro Argentina -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Roma-Notte Morricone al Teatro Argentina –
Roma- Notte Morricone al Teatro Argentina-Dopo il successo del debutto outdoor al Macerata Opera Festival, avvenuto il 1° agosto scorso e che ha visto l’Arena Sferisterio completamente sold out, il Centro Coreografico Nazionale/Aterballetto approda con Notte Morricone al Teatro Argentina di Roma, dal 24 ottobre al 10 novembre.
La potenza visionaria e la capacità di trasfigurare universi musicali propria di Marcos Morau propone una serata unica che intreccia danza, arti visive e suggestioni cinematografiche. Lo spettacolo, presentato nell’ambito della trentanovesima edizione del Romaeuropa Festival e in apertura di stagione del Teatro Argentina, è infatti il risultato di collaborazioni interdisciplinari tra realtà di danza, musica e teatro: Macerata Opera Festival e Teatro di Roma, i due coproduttori principali, accompagnati dalla Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, il Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento, il Centro Teatrale Bresciano e Ravenna Festival che ha messo a disposizione l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, alla quale è affidata la registrazione della partitura, adattata e trascritta dal maestro Maurizio Billi. Secondo Gigi Cristoforetti direttore del Centro, «grazie anche alla collaborazione di importanti partner produttivi, alcuni dei quali fedeli negli anni, altri nuovissimi e arrivati per l’occasione, il CCN/Aterballetto arriva alla sua sfida più ambiziosa».
Marcos Morau si avvicina al repertorio iconico di Ennio Morricone, omaggiandolo e liberandolo dal contesto canonico di lettura e presentazione. Come dichiara lui stesso, «sebbene sia quasi impossibile separare la sua musica dalle immagini che la accompagnano, Morricone trascende e si intreccia con la vita stessa, con i ricordi, con la bellezza e la crudeltà di un mondo che continua ad avanzare».
«Spesso mi chiedono che musica ascolti, quale musica mi ispiri o mi accompagni nel mio quotidiano e io rispondo sempre allo stesso modo: dalla musica classica alle nuove ondate contemporanee io prendo ispirazione da molte e diverse fonti, ed Ennio Morricone è sempre in cima alla lista». Così Morau racconta la sua relazione con la musica del Maestro. «Di formazione classica e vocazione avanguardistica, Morricone è sempre stato al di là delle tendenze del momento. Oggi, a quattro anni dalla sua morte, Morricone continua a ispirare artisti e visionari di diversi campi. La sua musica appartiene ad un intero secolo e ha fatto rivivere molti dei nostri grandi maestri… la sua musica era un genere a sé stante e per questa serata vorrei costruire un universo basato sulla sua sensibilità per confermare che la sua eredità è ancora più viva che mai e che, come direbbe lui stesso, la mia musica ha una vita propria, che può vivere lontano dai film per cui è stata creata».
La prima rappresentazione indoor sarà il 24 ottobre alle 20:00, e le successive repliche, dal 25 ottobre al 10 novembre 2024, presso il Teatro Argentina. In questo contesto, Notte Morricone sarà co-presentato dal prestigioso Romaeuropa Festival. Lo spettacolo sarà accompagnato da incontri esclusivi: il 6 novembre alle 17:30 una serata in ricordo di Vittoria Ottolenghi, il 10 novembre alle 18:30 la presentazione del libro di Marco Morricone e Valerio Cappelli “Ennio Morricone. Il genio, l’uomo, il padre”, con ospiti d’eccezione.
Notte Morricone
24 – 26 ottobre 2024 Romaeuropa Festival 2024
27 ottobre – 10 novembre 2024
regia e coreografia Marcos Morau
musica Ennio Morricone
direzione e adattamento musicale Maurizio Billi
sound design Alex Röser Vatiché, Ben Meerwein
danzatori Ana Patrícia Alves Tavares, Elias Boersma, Estelle Bovay, Emiliana Campo, Albert Carol Perdiguer, Sara De Greef, Leonardo Farina,
Matteo Fiorani, Matteo Fogli, Arianna Ganassi, Clément Haenen, Arianna Kob, Federica Lamonaca, Giovanni Leone, Ivana Mastroviti, Nolan Millioud
direttore Gigi Cristoforetti – direttrice di compagnia Sveva Berti – maitre de ballet Giuseppe Calanni, Macha Daudel
testi Carmina S. Belda – set e luci Marc Salicrù – costumi Silvia Delagneau
assistenti alla coreografia Shay Partush, Marina Rodrìguez – immagine Christophe Bernard
Produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto
commissione, coproduzione, prima rappresentazione outdoor Macerata Opera Festival
coproduzione, prima rappresentazione indoor Teatro di Roma – Teatro Nazionale
coproduzioni Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Centro Servizi Culturali Santa Chiara Trento, Centro Teatrale Bresciano
coproduzione Ravenna Festival | Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Informazioni, orari e prezzi
Orari spettacolo: martedì, venerdì e giovedì ore 20.00 I mercoledì e sabato ore 19.00 I giovedì 7 novembre e domenica ore 17.00 I lunedì riposo I durata spettacolo 90 minuti.
Dove e quando
- Spettacoli
- Dal 24/10/2024 al 10/11/2024
- Teatro Argentina
- Largo di Torre Argentina, 52 – Roma (RM)
- Centro
Alfredo CHIGHINE Il segno e il senso nelle sue Opere-Articolo di Cesare VIVIANI -Rivista ORIGINI N°37 anno 1999-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Alfredo CHIGHINE “Il segno e il senso nelle sue Opere”-
Articolo di Cesare VIVIANI scritto per la Rivista ORIGINI N°37 anno 1999-
Alfredo Chighine – cenni biografici:
Alfredo Chighine nacque a Milano il 9 marzo 1914 da padre sardo e madre lombarda. Giovanissimo entrò in fabbrica a lavorare come operaio mentre, cominciati subito i suoi interessi artistici, frequentava il Corso di Incisione all’Umanitaria. Nel 1941 espose alla III Mostra Provinciale al Palazzo della Permanente un dipinto intitolato “Composizione”. Nel 1945 studiò all’Istituto Superiore d’Arte Decorativa di Monza e finalmente all’Accademia di Brera di Milano, dove seguì il corso di scultura. In questo periodo conobbe Giacomo Manzù e fu suo allievo. Aveva stretti rapporti di amicizia e di lavoro con Franco Francese, più giovane di lui di sei anni. Erano gli anni del dopoguerra: Alfredo Chighine entrò nell’ambiente di Brera, che gravitava intorno al Bar Giamaica. Aveva intanto continuato a dipingere. Ma nel 1948 si presentò alla Biennale di Venezia con due sculture in legno. Era poverissimo, gli mancavano i materiali per lavorare, colori, tele, legno, ecc. La scultura “Maternità” del 1946 è fatta con un acero di un viale di Milano, segato e portato a casa di notte. Aveva studio in via Mac Mahon. Qui lo frequentò, primo dei critici a capirne le qualità, Marco Valsecchi. Fondamentale fu in quel momento l’incontro, tramite Valsecchi, con Gino Ghiringhelli. Ne derivò un rapporto di stima, di amicizia e di lavoro che durò fino alla morte di Ghiringhelli nel 1964, e che fu testimoniato da numerose mostre alla Galleria del Milione. Un eccezionale collezionista, Carlo Frua De Angeli, colse allora il valore di Chighine e acquistò molte delle sue migliori opere degli anni cinquanta e primi sessanta. Nel 1956 lasciò lo studio di via Mac Mahon e si trasferì in uno studio in via Rossini 3, che divise col pittore Giordano. Nel 1957 Alfredo Chighine compì il primo viaggio a Parigi. Dal 1958 cominciò a recarsi nell’estate a Viareggio; qui ebbe studio e vi tornò ogni anno, acquisendo nuovi temi e un senso diverso della luce. In quello stesso anno lasciò lo studio di via Rossini e ne sistemò uno, che fu il definitivo, in Corso Garibaldi. Nel 1959 fece un breve soggiorno a Positano e fu colpito dalla violenza cromatica del Sud. Ormai la sua opera si era imposta e la sua vita non ebbe più vicende che non fossero quelle interiori e del lavoro quotidiano di pittura, di grafica e di incisione. Morì a Pisa il 16 luglio 1974.
Chighine alla Galleria Marini: ALFREDO CHIGHINE Pensare con le mani
– Milano Arte Expo-
Chighine alla Galleria Marini: ALFREDO CHIGHINE Pensare con le mani – mostra consigliata da Milano Arte Expo. Inaugurazione giovedì 11 dicembre 2014 alla Galleria Marini (via Appiani 12 vedi MAPPA) – aperta fino al 28 febbraio 2015. Grande omaggio ad Alfredo Chighine (Milano 1914 – Pisa 1974), tra i protagonisti storici della pittura informale italiana. In espsosizione più di quaranta opere eseguite dal 1953 al 1973 a testimoniare tutto il percorso artistico del maestro. Scrive Elisabetta Longari nella presentazione in catalogo “…Pensare con le mani: non riesco a trovare una formulazione alternativa che dia altrettanto precisamente conto della matrice “immanente e pragmatica” propria del laboratorio creativo dell’artista, tanto nella sua prima fase come scultore quanto nella sua attività di pittore, e dei suoi processi, legati soprattutto all’immediatezza del fare, un fare interamente basato su una sorta di intuito fulmineo della mano e dell’occhio (“come se a vedere fossero le mani”) …”. >
E Cristina Casero osserva “…Per Chighine mi sembra che la stagione informale vada intesa, da un lato come la volontà di avvicinarsi alla realtà per restituirne l’essenza vitale, il ritmo, guardando alla natura naturans più che alla natura naturata, dall’altro come un fondamentale esercizio sul piano della prassi pittorica, della costruzione dell’immagine attraverso il lessico della pittura: segno, colore, luce …”
Longone Sabino – Presentazione del libro “L’Abbazia di San Salvatore Maggiore” autrice Ileana Tozzi -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Longone Sabino – Presentazione del libro
“L’ L’Abbazia di San Salvatore Maggiore e il paesaggio della Massa Torana” autrice Ileana Tozzi
edito da L’Angelo Di Mario APS
Longone Sabino (RIETI)- Il prossimo 20 agosto, presso la sala convegni comunale di Longone Sabino, alle ore 18, sarà presentato il libro della studiosa Ileana Tozzi dal titolo L’Abbazia di San Salvatore Maggiore e il paesaggio della Massa Torana. Il volume, edito da L’Angelo Di Mario APS, sarà introdotto dalla direttrice della biblioteca, Maria Grazia Di Mario. L’iniziativa vede la collaborazione del Comune di Longone Sabino, dell’Università Agraria, della Pro Loco locale e della Biblioteca Angelo Di Mario.
Durante l’evento, verrà reso omaggio anche a Giorgio Di Mario, fratello di Angelo, figura di rilievo nel panorama politico e sociale della comunità di Longone Sabino. Alla vedova Rita Spagnoli sarà consegnata una targa commemorativa in ricordo del suo impegno.
Un volume che esplora il patrimonio culturale locale
«Questo libro non si limita a ripercorrere la storia dell’Abbazia di San Salvatore Maggiore,” spiega l’autrice Ileana Tozzi. “Attraverso un’accurata analisi delle fonti documentarie e una rilettura critica della storiografia esistente, offre una visione inedita dei percorsi e dei territori legati all’Abbazia. Ogni castello sotto la sua giurisdizione viene esaminato con attenzione, insieme alle numerose chiese e ai loro arredi, dalle suppellettili liturgiche ai crocifissi, dalle statue processionali agli affreschi e alle tele degli altari. Un’attenzione particolare è riservata ai piccoli santuari mariani e alle pievi rurali, parrocchiali e cimiteriali, rendendo l’opera tanto approfondita quanto accessibile».
Il libro, frutto di un lungo e scrupoloso studio, ha ottenuto il sostegno del Ministero della Cultura – Direzione Generale Educazione, Ricerca e Istituti Culturali, che ne ha riconosciuto il valore con il Decreto 442-04/11/2023. Tra i partner che hanno contribuito alla realizzazione del progetto figurano l’Archivio Diocesano di Rieti e il Comune di Concerviano. L’Associazione “L’Angelo Di Mario APS” prosegue con determinazione il suo impegno nel campo della ricerca scientifica applicata ai Beni Culturali, portando avanti il lascito intellettuale dello studioso Angelo Di Mario. L’associazione, a lui intitolata, è anche promotrice della Biblioteca Casa Museo Angelo Di Mario di Vallecupola (Rieti), che rappresenta un centro di cultura e memoria nella comunità locale.
Abbazia di San Salvatore Maggiore
L’Abbazia di San Salvatore Maggiore è uno dei più antichi e suggestivi monumenti della provincia di Rieti, prestigiosa testimonianza dell’Ordine Benedettino. Sorge sul pianoro Letenano, tra le vallate dei fiumi Salto e Turano, ed è costituita da una chiesa a navata unica, con cappelle laterali e presbiterio rialzato, da un imponente campanile e da tre edifici conventuali attorno a un cortile rettangolare di 50×50 metri.
I tre edifici, con fasi costruttive e connotazioni architettoniche varie, hanno nel tempo ospitato funzioni diverse. L’ala est, annessa alla chiesa, ha accolto gli spazi comuni, come il refettorio, il capitolo, le cucine e gli ambienti dormitorio, ormai scomparsi dopo l’intervento del Genio Civile. È il più antico e in origine comprendeva l’intera struttura monastica. L’ala nord, nata con funzioni fortificatorie, di ricovero e di deposito, nel Rinascimento venne destinata a residenza. L’ala ovest ha avuto funzioni amministrative e di rappresentanza, quali Curia e Tribunale, e una parte più moderna, nata in fase post conventuale e destinata a cappella e a dormitorio per i seminaristi.
Fondata nel 735, fu distrutta dai saraceni intorno all’891 e ricostruita completamente nel 974, ampliata e trasformata più volte nel medioevo e in epoca moderna.
Fino al XIII secolo fu al centro di numerose contese tra papato e impero e di dispute locali, con notevoli lavori di ampliamento. Continui lavori di riadattamento e ricostruzione ebbero luogo anche in seguito, a causa di assedi e danni accidentali.
Con l’istituzione della commenda, verso la fine del XVI secolo, il complesso cominciò a trasformarsi in fortilizio e Ranuccio Farnese riadattò l’intera ala nord come propria residenza, aumentò lo spessore del corpo di fabbrica e realizzò il nuovo prospetto verso il cortile.
Interventi di riadattamento più limitati sono poi dovuti a Francesco Barberini nel XVII secolo, commendatario che si adoperò, con successo, per la soppressione del monastero, sancita da Urbano VIII nel 1632.
L’abbandono dei monaci e la nuova destinazione a sede del seminario diocesano provocò l’ultima grande trasformazione del complesso, che tra 1600 e 1700 aggiunse un nuovo corpo di fabbrica nell’ala ovest e fu riadattato per la nuova funzione.
La storia secolare del monumento, che ebbe per lungo tempo stretto legame con l’abbazia di Farfa, è stata spesso tormentata, con ripetuti cambi di comunità religiose, e conosce dagli inizi del novecento un degrado sempre più evidente e un’accelerata distruzione.
Un intervento del Genio Civile, negli anni Trenta, ha prodotto un vero e proprio scempio delle strutture, vetuste, ma ancora resistenti, comportando numerosi crolli e distruzioni, soprattutto nel blocco est e il complesso ha vissuto un progressivo deterioramento sino alla metà degli anni Ottanta, che lo ha reso un rudere, fino all’intervento del Comune di Concerviano, guidato dal sindaco Damiano Buzzi, che lo ha acquisito nel 1986 e si è successivamente prodigato per avviarne valorizzazione e restauro.
ROMA al Teatro Ambra Jovinelli va in scena “Iliade – il gioco degli dei”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
ROMA al Teatro Ambra Jovinelli va in scena “Iliade – il gioco degli dei”-
Dal 13 sino al 24 marzo, al Teatro Ambra Jovinelli, Alessio Boni insieme agli storici compagni di avventure teatrali Roberto Aldorasi, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, firma dopo I Duellanti e Don Chisciotte, la drammaturgia di Iliade – il gioco degli dei, per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella guerra di tutte le guerre. Interpreti della piéce saranno Alessio Boni, Iaia Forte, Haroun Fall, Jun Ichikawa, Francesco Meoni, Elena Nico, Marcello Prayer ed Elena Vanni.
Iliade canta di un mondo in cui l’etica del successo non lascia spazio alla giustizia e gli uomini non decidono nulla, ma sono agiti dagli dèi in una lunga e terribile guerra senza vincitori né vinti. La coscienza e la scelta non sono ancora cose che riguardano gli umani: la civiltà dovrà attendere l’età della Tragedia per conoscere la responsabilità personale e tutto il peso della libertà da quegli dèi che sono causa di tutto ma non hanno colpa di nulla.
In quel mondo arcaico dominato dalla forza, dal Fato ineluttabile e da dèi capricciosi non è difficile specchiarci e riconoscere il nostro: le nostre vite dominate dalla paura, dal desiderio di ricchezza, dall’ossessione del nemico, dai giochi di potere e da tutte le forze distruttive che ci sprofondano nell’irrazionale e rendono possibile la guerra. Ci sono tutti i semi del tramonto del nostro Occidente in Iliade che, come accade con la grande poesia, contiene anche il suo opposto: la responsabilità e la libertà di scegliere e di dire no all’orrore.
A dieci anni dalla nascita, dopo I Duellanti e Don Chisciotte, il Quadrivio, formato da Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer, riscrive e mette in scena l’Iliade per specchiarsi nei miti più antichi della poesia occidentale e nella guerra di tutte le guerre.
Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Marcello Prayer
Spettacolo realizzato in occasione di Bergamo Brescia Capitale Italiana della Cultura 2023
Nuovo Teatro diretta da Marco Balsamo
in coproduzione con
Fondazione Teatro Donizetti di Bergamo – Fondazione Teatro della Toscana – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia
presentano
ALESSIO BONI IAIA FORTE
in
I L I A D E
“IL GIOCO DEGLI DEI”
UNO SPETTACOLO DEL QUADRIVIO
testo di FRANCESCO NICCOLINI
liberamente ispirato all’Iliade di Omero
drammaturgia di Roberto Aldorasi, Alessio Boni, Francesco Niccolini e Marcello Prayer
con (in o.a.)
HAROUN FALL – JUN ICHIKAWA – FRANCESCO MEONI
ELENA NICO – MARCELLO PRAYER – ELENA VANNI
scene Massimo Troncanetti
costumi Francesco Esposito
disegno luci Davide Scognamiglio
musiche Francesco Forni
creature e oggetti di scena
Alberto Favretto – Marta Montevecchi – Raquel Silva
regia
Roberto Aldorasi – Alessio Boni – Marcello Prayer
Informazioni, orari e prezzi
Orario:
dal martedì al sabato ore 21:00
venerdì 15, mercoledì 20 e giovedì 21 marzo ore 19:30
domenica ore 17:00
Contatti:
Botteghino 06 83082620 – 06 83082884
Giugno dal lunedì al sabato ore 10.00-19.00
Luglio: dal lunedì al venerdì ore 10.00 – 19.00
Dal 5 agosto al 3 settembre compresi chiuso.
Dal 4 settembre fino ad inizio spettacoli: dal lunedì al sabato ore 10.00-19.00
Orario invernale: dal martedì al sabato ore 10.00 – 19.00 e la domenica ore 14.00-16.00 – lunedì chiuso
Dove e quando
- Spettacoli
- Dal 13/03/2024 al 24/03/2024
- Teatro Ambra Jovinelli
- Via Guglielmo Pepe, 43 – Roma (RM)
FARA in SABINA-L’ECCIDIO di CANNETO SABINO
Biblioteca DEA SABINA
FARA in SABINA-L’ECCIDIO di CANNETO SABINO (RIETI) DEL 10 DICEMBRE 1920-
CAMERA dei DEPUTATI seduta del 17/dic/1920–ATTI PARLAMENTARI della XXV Legislatura
1° sessione –Discussione –Tornata del 17 dicembre 1920
-I Fatti di CANNETO SABINO-
Interrogazione degli Onorevoli –Sbaraglini,Volpi,Farini Pietro, Fora,Lopardi al Presidente del consiglio dei ministri, Ministro dell’interno, “Sull’Eccidio proletario di Canneto Sabino, per conoscere se e quali provvedimenti egli abbia preso contro i responsabili di esso, o se non piuttosto autorizzi, con la permanenza ancora sul luogo del tenente dei carabinieri Cavalieri e degli altri funzionari fucilatori di inermi, la legittimazione del loro delitto”.
Risposta del Sottosegretario di Stato per l’interno Corradini-
Atti parlamentari –Pubblichiamo dalla pagina 6701-6714- perché sono riportati anche atti di violenza nei confronti del movimento Operaio e Contadino.
Ricerca Archivio Documentazione Storica -A cura di Franco Leggeri-
ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA 30 NOVEMBRE 1786
30 NOVEMBRE 1786 – ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA
Il Settecento, secolo dei Lumi, si avvicina a molte delle nostre concezioni in merito al rapporto tra Stato e sudditi che diventeranno in seguito cittadini. L’esito della riflessione intellettuale di uno dei più importanti circoli di philosophes italiani, il Caffè di Milano, fu l’uguaglianza tra sudditi di fronte allo Stato ed alla giustizia, senza più distinzioni tra nobili e “normali” sudditi.
Approfondendo questi dibattiti, Cesare Beccaria, intellettuale milanese che faceva capo al Caffè, espose i suoi pensieri in un pamphlet destinato ad avere un successo enorme, “Dei delitti e delle pene”, pubblicato nel 1764. Sostenuto da una visione contrattualistica del rapporto tra Stato e cittadini, egli arrivò a dimostrare l’infondatezza della legittimità della tortura e della pena di morte. Poiché tutti i sudditi erano uguali di fronte alla legge e compito del sovrano non era quello di punire e reprimere, ma di prevenire i crimini e recuperare i colpevoli, l’uso della violenza fisica per estorcere confessioni e le esecuzioni capitali, da secoli eseguite pubblicamente e strumentalizzate come monito per l’intera cittadinanza, non erano più legittime e contrarie ai principi della giustizia.
Questo piccolo libretto ebbe un diffusione capillare in ogni ceto intellettuale ed in ogni nazione d’Europa ed influenzò le riforme della giustizia di alcuni sovrani “illuminati”: Caterina di Russia e soprattutto Pietro Leopoldo granduca di Toscana che nel 1786, con la riforma giudiziaria detta Leopoldina, abolì la pena di morte, sostituita con il carcere a vita, e la tortura nei territori sotto il suo governo, prima nazione del mondo a vantare questo primato di civiltà. Furono inoltre abolite la confisca dei beni da parte del condannato ed il crimine di lesa maestà e fu sancito l’obbligo della motivazione delle sentenze.
Rimasero tuttavia alcuni elementi di arretratezza: non scomparirono i reati di eresia, bestemmia, sacrilegio e sortilegio, puniti con pene gravissime. Rimasero punizioni pesanti per i reati di sodomia, adulterio, stupro ed in genere tutti i reati sessuali. Rimasero infine pene corporali come la gogna, la frusta pubblica e le staffilate. Inoltre la condanna a morte fu reintrodotta quattro anni dopo, nel 1790, per colpire i sobillatori ed i ribelli.
I princìpi modernissimi di questo nuovo codice penale ebbero però una risonanza straordinaria non solo nei secoli successivi, ma anche negli anni immediatamente successivi: Giuseppe II, imperatore d’Austria, avviò l’abolizione della pena di morte nel suo regno nel 1787.
Nell’immagine sotto: frontespizio di un’edizione “Dei delitti e delle pene” con al lato sinistro una rappresentazione allegorica (le allegorie erano sovente rappresentate per esprimere visivamente i pensieri nel Settecento) della Giustizia che rifiuta le teste decapitate da un boia.
Denise Levertov-Poesie da Collected Poems-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Denise Levertov-Poesie da Collected Poems
traduzione di Paola Splendore
Creare la pace
Una voce dal buio gridò,
“I poeti devono donarci
immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta
immaginazione del disastro. Pace, non solo
l’assenza di guerra”.
Ma la pace, come una poesia,
non esiste prima di esserci,
non si può immaginare prima che sia creata,
non si può conoscere se non
nelle parole di cui è fatta,
grammatica di giustizia,
sintassi di mutuo soccorso.
Un’ impressione,
la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo
finché non cominciamo a pronunciarne le metafore,
a scoprirle mentre parliamo.
Un verso di pace potrebbe forse
nascere
se riformuliamo la frase della nostra esistenza,
cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere,
mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo
lunghe pause . . .
Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi
su quel fulcro diverso; la pace, una presenza,
un campo di forza più intenso della guerra,
potrebbe allora palpitare,
strofa dopo strofa nel mondo,
ogni gesto di vita
una sua parola, ogni parola
un fremito di luce – facce
del cristallo che si va formando.
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa
dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it
with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore ha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
Paolo Genovesi Fotoreportage -Concerviano-(RI)- San Salvatore Maggiore-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Paolo Genovesi Fotoreportage –
Concerviano-(RIETI)- Abbazia benedettina di San Salvatore Maggiore-
DESCRIZIONE
San Salvatore Maggiore è una abbazia Benedettina, sita sul monte Letenano nell’attuale frazione di Pratoianni del comune di Concerviano (RI). Fu fondata nel 735 d.C., in epoca longobarda, da monaci dell’abbazia di Farfa. Sorta sulle rovine di una preesistente villa romana, nell’891 d.C. fu incendiata dai Saraceni; successivamente ricostruita nella seconda metà del X secolo entrò in competizione con l’abbazia di Farfa nel controllo del territorio. Schieratasi con gli imperatori nella lotta per le investiture, è denominata per questo abbazia imperiale. Nel Trecento iniziò la decadenza, fino a che nel Seicento papa Urbano VIII, in forza della bolla Singulari diligentia del 12 settembre 1629, la soppresse unendola all’abbazia di Farfa.
Negli ultimi anni è stata parzialmente ristrutturata grazie a fondi europei; attualmente è di proprietà del Comune di Concerviano.