Roma- FONDAZIONE BETA-Art for Women Today –dall’08/03/2025 al 22/03/2025
Roma-Negli spazi della Fondazione Beta, sabato 8 marzo 2025 il gruppo internazionale di artiste Art for Women Today presenta una collezione di stampe d’arte limited edition, realizzata per sostenere i progetti dell’Associazione Pianoterra a favore di famiglie vulnerabili.
In mostra per tre settimane anche le opere originali delle artiste, che in grande maggioranza saranno presenti all’evento inaugurale, giungendo da diversi paesi.
Opera dell’Artista Elena Belobragina
Art for Women Today è un progetto collettivo tutto al femminile, nato dall’esigenza di lasciare una traccia, una testimonianza artistica volta a descrivere la donna nel momento storico contemporaneo.
Art for Women Today è un gruppo internazionale di artiste convocate da Caterina Arciprete e dalla Galleri Artsight di Stoccolma, per generare quello che di fatto è al tempo stesso un processo artistico divulgativo e un atto di affermazione individuale e di genere.
Art for Women Today dà forma alla narrazione visiva di una esperienza vissuta, della condizione intima che, consciamente o inconsciamente, prende il suo spazio in ogni donna, influenzata da eventi personali e sociali affrontati a contatto con il suo specifico circostante. Una fotografia sincera – e a volte impietosa – sul nostro tempo, che ogni artista svilupperà rispondendo alle sue istanze individuali e culturali.
Dare vita, attraverso la personale cifra stilistica, a una serie di interventi artistici per descrivere la condizione della donna, dare una voce all’emotività, l’empatia e l’introspezione femminile dei nostri tempi: questa è la missione di ogni componente del gruppo.
Le artiste che compongono il gruppo Art for Women Today sono Caterina Arciprete, Elena Belobragina, Isabelle De Boulloche, Linda Kunik, Gisela Quinteros, Virgina Maria Romero, Gaya Shantaram, Yemisi Wilson, Sylvie Wozniak.
Il progetto ha anche, sin dalla sua genesi, un fine sociale: sostenere le attività dell’Associazione Pianoterra ETS, nata a Napoli nel 2008 e attiva oggi anche a Roma e a Castel Volturno con l’obiettivo di stare accanto a famiglie che vivono in condizioni di estrema vulnerabilità, in cui sono presenti bambini e bambine molto piccoli. Pianoterra lavora in particolare con le madri per accompagnarle in un percorso di empowerment e garantire ai bambini pari opportunità di crescere sani e sereni, nonostante condizioni di partenza svantaggiate.
Il sostegno di Art for Women Today all’Associazione Pianoterra è concreto e diretto: le stampe d’artista, raccolte in eleganti cofanetti in edizione limitata, saranno in vendita e il ricavato andrà interamente a Pianoterra. Le artiste del collettivo saranno inoltre coinvolte in percorsi laboratoriali con le donne e i bambini che frequentano gli spazi dell’associazione, per rendere concreto e continuativo un obiettivo: essere al fianco di tutte le donne, attraverso l’arte.
La mostra Art for Women Today, che nella Galleri Artsight di Stoccolma ha trovato una sua prima casa, nella sua tappa romana ha il patrocinio dell’Ambasciata di Svezia in Italia.
Sabato 22 marzo, a chiusura dell’evento, sarà possibile partecipare al laboratorio creativo “Io sono onda”, a cura di Caterina Arciprete. Il laboratorio si svolgerà dalle 10.00 alle 12.30 nei locali dedicati alla mostra. È aperto a tutti e tutte con un contributo di 20 €. Il laboratorio si attiverà con un minimo di 6 iscritti.
La Fondazione BETA ETS (ex Fondazione Pianoterra) nasce a Roma nel dicembre 2013 per contrastare la povertà e la diseguaglianza sociale attraverso la promozione di progetti che utilizzino la cultura (l’istruzione, la formazione, l’arte, l’espressione di sé) come strumento di emancipazione e sviluppo delle potenzialità individuali di persone che vivono in contesti difficili e marginali.
La privazione non lascia spazio all’immaginazione, alla progettazione, solo all’imminente, alimentando un circolo vizioso che porta all’immobilità e alla rassegnazione. La Fondazione Beta vuole spezzare questo circolo vizioso a favore di una spirale virtuosa che alimenti la resilienza e la creatività. La cultura, la musica, la letteratura e tutte le forme d’arte agiscono infatti nell’individuo come moltiplicatori di energie e di forze costruttive che possono migliorare la realtà circostante.
L’idea di creare una Fondazione Pianoterra è il risultato dell’esperienza di lavoro dell’Associazione Pianoterra, da cui il nuovo ente ha preso il nome in segno di continuità, con l’obiettivo di ampliarne il campo di azione. Dopo dieci anni in cui i due enti hanno camminato insieme, nel comune intento di offrire sostegno e opportunità a persone e comunità vulnerabili, nel 2024 la Fondazione cambia nome e diventa Fondazione Beta. Si inaugura così una nuova fase della sua attività, che continuerà a essere ispirata da un approccio dal basso e dal desiderio di costruire, assieme alle persone e alle comunità, degli spazi di opportunità, crescita e cambiamento.
Roma 07 marzo 2025-Articolo di Mirella Manocchio-Storia e attualità della Giornata della donna: purtroppo molto rimane ancora da fare.Ma davvero vogliamo vedere ancora una volta fiorai colmi di mazzi di mimose pronti per essere comprati o regalati? Ma davvero vogliamo assistere a comitive di sole ragazze o donne che affollano ristoranti e locali da ballo? Ma davvero noi donne vogliamo i nostri cellulari e le chat di gruppo zeppe di messaggi e meme augurali? Personalmente dico: “no grazie!”
La pastora Mirella Manocchio è presidente della Federazione donne evangeliche in Italia
Non credo che abbia ancora senso festeggiare o celebrare la Giornata internazionale della Donna se si crede che regalare un mazzo di mimose o inviare un messaggio augurale possa racchiudere il senso del rispetto e dell’amore che tutte le donne meritano. E nemmeno se si pensa che questa sorta di libera uscita una tantum possa sostituire la dovuta libertà che la donna deve avere nell’intessere relazioni, nel dipanare i propri interessi personali, nel crescere e trovare soddisfazione a livello lavorativo e familiare, insomma nel vivere la propria vita. Troppo velocemente si sono dimenticate le motivazioni e gli accadimenti che hanno dato origine all’istituzione di questa “Festa”, sebbene sia stata ufficialmente istituita abbastanza di recente dalle Nazioni Unite quale Giornata internazionale: nel 1975.
La pastora Mirella Manocchio è presidente della Federazione donne evangeliche in Italia
La vulgata collega l’origine a un incendio accaduto nel 1908 nell’industria tessile Cotton di New York in cui varie operaie rimasero uccise. In realtà tale incendio non è chiaramente documentato; in ogni caso i fatti che hanno portato all’istituzione della Festa della donna sono legati alla rivendicazione dei diritti, tra i quali il diritto di voto. A esempio, durante il VII Congresso della II Internazionale socialista, svoltosi a Stoccarda nel 1907, furono in discussione la questione femminile e il diritto di voto alle donne. In seguito i partiti socialisti si impegnarono a lottare con le donne per riuscire ad introdurre il suffragio universale. In questa partita avevano giocato un ruolo importante già dal 1800, e continuarono ad averlo anche a inizio ‘900, tante donne evangeliche (a esempio Elisabeth Candy Stanton, Lucrezia Mott, Frances E. Willard) che si impegnarono anche per i pieni diritti delle donne in ambito ecclesiastico. La prima Giornata internazionale dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne ebbe vita nel 1910, ma solo successivamente durante la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, nel 1921, fu stabilito che l’8 marzo fosse la Giornata internazionale dell’operaia.
La pastora Mirella Manocchio è presidente della Federazione donne evangeliche in Italia
In Italia la celebrazione fu istituita dopo il settembre 1944 dalla neonata Unione Donne italiane (Udi) e si svolse il successivo 8 marzo nelle zone liberate dell’Italia. Anche nel nostro paese la celebrazione si legò alla questione del diritto di voto e ai diritti delle donne in generale: in particolare questo avvenne negli anni ’60-70 quando le manifestazioni avevano al centro l’abolizione del cosiddetto “delitto d’onore”, la parità nel diritto di famiglia, il divorzio e l’aborto. Le donne evangeliche erano impegnate in queste battaglie e le conducevano non solo in piazza l’8 marzo, ma pure nelle proprie case e nelle chiese, come ricorda Doriana Giudici – sindacalista e presidente della Fdei dal 1989 al 1998 – nel volume Le ragazze che volevano cambiare il mondo.
Far memoria di questo vissuto non è archeologia sociologica o teologica, ma è la necessità di ricentrarci nelle nostre radici per guardare con consapevolezza quanto ancora vi è da fare – tanto – in merito a una reale parità di diritti, quanto di tali diritti viene quotidianamente messo in discussione, anche in Europa e negli Stati Uniti, e quale radicale cambio di struttura mentale e sociale è da operare. La riflessione di studiose e teologhe che puntano ad avere una prospettiva e una modalità intersezionale alle questioni sul piatto ci può aiutare e interrogare, ma sarebbe tragico se ci lasciasse indifferenti. Come non ci possono lasciare indifferenti gli accadimenti di abusi e discriminazioni emersi di recente in ambiti accademici protestanti e ai vertici di alcune chiese evangeliche perché ci sbattono in faccia – se ce ne fosse stato bisogno – che nessuna realtà ecclesiastica è immune da una tragica e tossica commistione tra “ruolo di potere e violenza”, seppur variamente declinata.
Lasciamo sugli alberi le mimose, ma in questo 8 marzo di un mondo squassato da molteplici conflitti e da chi, come Trump e la sua amministrazione, mette a serio rischio il diritto internazionale e le strutture istituzionali che faticosamente se ne fanno garanti, facciamoci ancora interpellare dalla Parola che ci dice che per grazia di Dio portiamo nel nostro corpo i segni anticipatori della resurrezione di Gesù Cristo, impegniamoci ancora – donne e uomini insieme – a costruire relazioni umane giuste e rispettose, improntate all’amore nella libertà, senza sopraffazioni e ruoli di genere precostituiti e condizionanti.
La pastora Mirella Manocchio è presidente della Federazione donne evangeliche in Italia
La pastora Mirella Manocchio è la nuova presidente della Federazione donne evangeliche in Italia con la pastora battista Gabriela Lio, presidente uscente.
Roma (NEV), 27 marzo 2023 – La pastora metodista Mirella Manocchio è la nuova presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI). Manocchio prende il testimone dalla pastora battista Gabriela Lio, presidente uscente.
L’elezione è avvenuta in seno al XIII Congresso FDEI conclusosi ieri a Firenze. A breve, un approfondimento e l’intervista NEV a Mirella Manocchio.
Mirella Manocchio è pastora della chiesa metodista di via XX Settembre a Roma. Laureata in Scienze politiche e in teologia. Già presidente dell’Opera per le chiese evangeliche metodiste in Italia (OPCEMI), fra i suoi incarichi c’è anche quello di coordinatrice della Commissione battista, metodista, valdese (BMV) per il culto e la liturgia e membro della Commissione (metodista e valdese) “famiglie, matrimonio, coppie, genitorialità”.
Nata nel 1976 da un Congresso interdenominazionale dei movimenti femminili delle chiese battiste, metodiste e valdesi, la Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI) è un movimento di donne impegnate a “testimoniare la liberazione di Cristo per ogni creatura umana, con particolare riferimento alla condizione femminile nella chiesa e nella società” (Statuto, art. 2). La FDEI è basata sul volontariato e si propone di portare nelle chiese la riflessione sul ruolo della donna e di incoraggiare la partecipazione delle donne evangeliche alla vita della chiesa e della società.
Nel 1998 la FDEI ha deciso di allargarsi ad altre organizzazioni femminili di area evangelica (luterane, avventiste, dell’Esercito della Salvezza e della Chiesa riformata ticinese). L’organo di collegamento tra i gruppi della FDEI è il “Notiziario”, pubblicato ogni tre mesi come inserto del settimanale evangelico “Riforma”. La FDEI produce anche i “Quaderni”, dove sono pubblicati gli atti dei convegni nazionali e regionali e dei campi studi estivi. In occasione del passaggio dal secondo al terzo millennio, la FDEI ha redatto il “Manifesto delle donne protestanti”, un documento per il dialogo fra donne e uomini. Nel 2000 ha inaugurato l’Archivio delle donne presso l’archivio del Centro culturale di Torre Pellice (Torino).
Da alcuni anni la FDEI pubblica il quaderno dei “16 giorni per combattere la violenza”, letture, riflessioni, dati e proposte di azione per ogni giorno dal 25 novembre, Giornata mondiale contro la discriminazione delle donne al 10 dicembre, Giornata per i Diritti umani.
Ritanna Armeni-“A Roma non ci sono le montagne” -Edizioni Ponte alle Grazie-
Descrizione del libro di Ritanna Armeni-“A Roma non ci sono montagna”- Il romanzo di via Rasella: lotta, amore e libertà-Uno spazzino gioviale che spinge il suo carretto. Una ragazza semplice ma elegante, con la borsa della spesa e un impermeabile sul braccio. Un giovane uomo, l’aria assorta, la cartella di pelle, forse un professore. Una Mercedes, scura e silenziosa come l’ufficiale tedesco seduto sul sedile posteriore. Una compagnia di soldati che marcia cantando. Perché nel 1944 le compagnie naziste cantano sempre quando attraversano Roma. In quei pochi metri, in quei secondi di trepidazione e attesa passa la Storia. E le storie dei singoli individui che formano i Gruppi di azione patriottica, fondati qualche mese prima contro l’occupante tedesco. Per lo più ragazzi borghesi, spesso universitari, che si tramutano in Banditen, capaci di sparare e di sparire, di colpire il nemico ogni giorno, senza dargli tregua. In quel breve – e infinito – pomeriggio di primavera, dove passato e presente si intrecciano, c’è chi si prepara e chi viene sorpreso, chi muore e chi sopravvive, chi scappa e chi ritorna. E c’è anche chi, sui corpi dei 33 tedeschi uccisi, firma la condanna a morte di 335 italiani. Ritanna Armeni, con l’intelligenza di chi vuole comprendere, e ricordare, conduce i lettori in via Rasella e mette in scena uno degli episodi più emblematici della Resistenza romana.
Ritanna Armeni-“A Roma non ci sono le montagne”
Biografia di Ritanna Armeni . Ha pubblicato Di questo amore non si deve sapere (2015), vincitore del Premio Comisso; Una donna può tutto (2018); Mara. Una donna del Novecento (2020), vincitore del Premio Minerva; Per strada è la felicità (2021); Il secondo piano (2023), tutti usciti per Ponte alle Grazie.
Ponte alle Grazie è un marchio Adriano Salani Editore s.r.l. a socio unico.
Roma al Teatro Sala Umberto va in scena la commedia “L’uomo dei sogni”-
Roma al Teatro Sala Umberto va in scena una commedia divertente e surreale che sfida l’incubo della vita reale. Giovanni, conosciuto nel mondo dei fumetti come Joe Black, è un disegnatore di grande talento ed esperienza. La sua vita, però, è stata sconvolta da un evento che lo ha fatto precipitare in un abisso così profondo da spingerlo a ritirarsi dal mondo, cercando rifugio nella solitudine della sua casa-studio, lontano dalle persone e dagli impegni di lavoro. La commedia prende vita nell’oscurità della notte, trasformando la sua casa in un teatro di sogni inquietanti e visioni surreali.
Teatro Sala Umberto commedia “L’uomo dei sogni”
Ogni notte, la sua casa si anima di incubi che sembrano reali: gli eroi che aveva scartato dai suoi fumetti, gli amici e i familiari della vita quotidiana lo tormentano incessantemente, creando un vortice di illusioni e realtà.
Il ritorno di sua figlia dalla Nuova Zelanda segna un punto di svolta: Viola, una montatrice emergente nel mondo del cinema internazionale, cerca di sostenere il padre ma porta con sé una notizia che lo scuote ulteriormente.
Come evolverà il rapporto tra padre e figlia in questo momento di tormento e scoperta? Riuscirà Joe Black a emergere dal baratro della depressione e a fare pace con i suoi demoni interiori? Ma soprattutto, il pubblico saprà distinguere tra la realtà e il frutto delle visioni di Joe, scena dopo scena?
Questa commedia trascina lo spettatore nel mondo onirico del protagonista, a sentire la sua angoscia, ma anche a ridere dei suoi incontri bizzarri e a riflettere sulla sottile linea che separa i sogni dalla realtà.
NOTE DELL’AUTORE
Ci sono persone che non ricordano i sogni, altre che vivono notti piene di visioni intense, e poi ci sono coloro che sono intrappolati in un tormento chiamato parasonnia. Immaginate di chiudere gli occhi e, poco dopo, di vedere figure minacciose nella vostra stanza, di sentire voci che vi parlano, di assistere a scene di violenza così realistiche da farvi svegliare urlando o alzarvi di scatto.
Questo è il tormento quotidiano di Giovanni, un disegnatore di fumetti che si trova in uno dei momenti più bui della sua vita.
Nonostante le visite mediche e le cure, il nostro protagonista non trova sollievo: ogni notte, il suo cervello lo catapulta in una battaglia contro personaggi che, con sarcasmo e cinismo, cercano di scuoterlo dalla sua apatia. Questi personaggi mutano sembianze, cambiano voce, si travestono, ma l’obiettivo rimane immutato: risvegliare Giovanni dall’incubo della sua vita reale, fatto di rassegnazione e di rinuncia a vivere, la peggiore delle condanne che un uomo possa autoimporsi.
“L’uomo dei sogni” è più di una commedia surreale: è una dedica appassionata al mondo del teatro e, soprattutto, al suo pubblico. Gli attori, con generosità, si muovono sul palco, parlano, si commuovono, cercando di smuovere qualcosa dentro di noi. Se la rappresentazione ci colpisce, applaudiamo con calore, e il nostro inconscio lavora per noi, in silenzio. Ogni sera, con l’apertura e la chiusura del sipario, gli attori rivivono la stessa storia, sperando di aver offerto un servizio importante alla comunità, sia che abbiano raccontato una tragedia, un dramma o una commedia.
Come autore e regista di questa commedia, il mio sogno è il medesimo: regalare, insieme a una compagnia di attori formidabili, sensibili e affiatati, un viaggio speciale. Un viaggio in cui ogni spettatore possa sorprendersi, divertirsi, riflettere e, soprattutto, sognare. Perché, in fondo, il teatro è questo: un luogo dove la realtà e l’immaginazione si fondono, dove gli incubi possono essere sconfitti e i sogni possono diventare possibili. Giampiero Rappa
Informazioni, orari e prezzi
SALA UMBERTO
Via della Mercede, 50, 00187 Roma – prenotazioni@salaumberto.com
mart. 4 marzo h 20.30
merc. 5 marzo h 20.30
giov. 6 marzo h 20.30
ven. 7 marzo h 21
sab. 8 marzo h 21
dom. 9 marzo h 17
mart. 11 marzo h 20.30
merc. 12 marzo h 20.30
giov. 13 marzo h 20.30
ven. 14 marzo h 21
sab. 15 marzo h 21
dom. 16 marzo h 17
Giorgio Girardet-Come canne al vento-Editore Claudiana
Descrizione del libro di Giorgio Girardet-Come canne al vento-Fatto prigioniero dopo l’8 settembre e deportato nei lager della Germania nazista per il rifiuto di continuare la guerra a fianco dei tedeschi e dei repubblichini di Salò, il giovane sottotenente valdese Giorgio Girardet tiene fortunosamente un diario, ritrovato quasi integro dalla figlia. Qui se ne propone la parte che va dal marzo 1944 al gennaio 1945 quando, nel campo di Sandbostel – lo stesso di Alessandro Natta, Giovannino Guareschi, Gianrico Tedeschi e tanti altri –, fu il pastore di una piccola rappresentanza evangelica e dove, sorretto da una grande fede e da una forte volontà di reazione, moltiplicherà le occasioni per incontri, gruppi di studio e stabilirà i primi rapporti “ecumenici” con alcuni dei cattolici più aperti presenti nel lager. In quei mesi getterà le basi per la sua lunga vita professionale di pastore, giornalista e studioso, sempre innovatore e sempre aperto al futuro. Al di là del valore di testimonianza storica, queste pagine, attraverso le lenti di una prospettiva certamente parziale, ci permettono di scoprire come alcuni protagonisti di una generazione ora rimpianta abbiano saputo in condizioni drammatiche confrontarsi e gettare le basi culturali e morali per la ricostruzione del Paese.
Giorgio Girardet-Come canne al vento
Indice testuale
Prefazione. Pensiero teologico e fede alla prova di Bruno Rostagno Introduzione di Hilda Girardet
1. Gli Internati Militari Italiani
2. L’antefatto: la resistenza a Lero
3. Silenzi e omissioni
4. Famiglia e formazione
5. Foto e parole: le tracce
6. Quali e quanti lager?
7. A Sandbostel: attività e personaggi
8. Tre sorprese Avvertenza
Parte prima. Lager di Sandbostel
Parte seconda
Parte terza. Studi, conferenze, interventi pubblici nel Lager
Postfazione. Che il mio spirito sia alto o basso, Signore, sii tu con me… di Mirella Abate
Giorgio Girardet-Pastore valdese e giornalista,ha diretto il Centro ecumenico di Agape (To), ha fondato e diretto il settimanale “Nuovi Tempi” e diretto l’Agenzia di Stampa NEV, ed è stato docente di Teologia pratica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma. Autore di numerose pubblicazioni, si ricorda la trilogia Cristiani perché, Bibbia perché, Protestanti perché, editi da Claudiana.
Hilda Girardet-Laureata in Pedagogia, è stata segretaria di redazione, docente elementare, ricercatrice ed esperta di Psicologia dell’Educazione presso l’Università La Sapienza di Roma. Specializzata nella didattica della storia, è autrice di alcune pubblicazioni sull’insegnamento della storia nella scuola di base.
Editore Claudiana S.r.l.
Via S. Pio V, 15 – 10125 Torino
Tel. 011.668.98.04
mail:info@claudiana.it
-Poesie di Fernanda Romagnoli –Interlinea Edizioni
Fernanda Romagnoli, dimenticata poetessa, è una delle più grandi voci del Novecento italiano, con il potere di folgorare il lettore con la sua poesia.
Falsa identità
Falsa identità Prima o poi qualcuno lo scopre: io sono già morta da viva. È di donna straniera la faccia tra i capelli in giù sporta che subito si ritira, l’ombra che dietro le tende s’aggira di sera, il passo che viene alla porta e non apre. Suo il canto che intriga i vicini coprendo i miei gridi sepolti. Qualcuno prima o dopo lo scopre. Ma intanto…
Lei a proclamarsi non esita, lei mostra il mio biglietto da visita. Io nel buio, in catene, a un palmo da voi di distanza, sul muro graffio questa riga contorta: testimonianza che mio era il nome alla porta, ma il corpo non ero io.
Il tredicesimo invitato
Grazie – ma qui che aspetto? Io qui non mi trovo. Io fra voi sto qui come il tredicesimo invitato, per cui viene aggiunto un panchetto e mangia nel piatto scompagnato. E fra tutti che parlano – lui ascolta. Fra tante risa – cerca di sorridere. Inetto, benché arda, a sostenere quel peso di splendori, si sente grato se alcuno casualmente lo guarda. Quando in cuore si smarrisce atterrito «Sto per piangere!» E all’improvviso capisce che siede un’ombra al suo posto: che – entrando – lui è rimasto fuori.
Ad occhi chiusi
E mentre dormi, e dura l’armistizio fra l’anima ed il corpo suo sudario, vorrei scenderti in petto, mescolarmi allo stormo dei palpiti al comizio dei sentimenti. In balìa, sorpreso senza sigilli: stai come un diario di bordo pieno d’isole e di venti, come un albero offerto al plenilunio. Terribile e indifeso (questo taglio fra i cigli, fino all’animia…) E non oso più decrifarti. Sacro – simile a morte – il tuo riposo. Meglio che incognite le sigle, che i cifrari siano confusi. Meglio ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.
Niente
Morte, se vieni per condurmi via, lascia che ombra su ombra io ripercorra la gente. In quest’incrocio di rotte casuali, ci siamo incontrati – fra vivi – così inutilmente. Per migliaia di giorni, ogni giorno: all’andata, al ritorno. Per migliaia di notti, ogni notte, coi ginocchi, coi fiati. Non ci siamo scambiati niente.
Lei
Lei non ha colpa se è bella, se la luce accorre al suo volto, se il suo passo è disciolto come una riva estiva, se ride come si sgrana una collana. Lo so. Lei non ha colpa del suo miele pungente di fanciulla, della sua grazia assorta che in sè non chiude nulla. Se tu l’ami, lei non ha colpa. Ma io – la vorrei morta.
Tu Tu, che chiamiamo anima.
Colore negro, odore ebreo. Tu profuga,
tu reietta, intoccabile. Tu transfuga
dal soffio dell’origine.
Non ti spetta razione, né coperta,
né foglio di reimbarco.
Per registri e frontiere
non esisti.
Ma in sere come queste, di cangianti
vaticini fra i monti,
ad ogni varco
può apparire improvvisa la tua faccia
d’eremita o brigante.
“Fronda smossa,
pietra caduta…” trasale in sé il passante
che la tua ombra assilla
di crinale in crinale,
mentre corri ridendo nell’occhiata
del cielo, che ti nomina e sigilla.
Capro espiatorio Uggiola alla fessura, cagna-luce.
Qualcuno il mio sonno ha legato
quattro zampe in un mazzo. All’aurora
chi aprirà? Voglio alzarmi. Ho paura.
Nel pozzo del cranio
– senza uscita –. Nel buio sacrario
sconsacrato. (La luce come un’unghia
sotto le porte). Capro espiatorio
già caduto sul fianco, otre di sangue
già mezzo vuoto – come scalci ancora
forte, mia vita.
Oggetti I piccoli oggetti, i piccoli
amici schiavi, che tirano
troppo in lungo la vita! Miei cari,
vi licenzio in tronco. È più dura
forse per me: ma chi monco,
chi gobbo, chi spelato da lebbra;
e il mazzo di chiavi risputato
da ogni serratura.
Gli ipocriti inermi! Bisbigliano
aiuto, pietà.
E s’uncinano a tutti gli appigli,
a tutti i ricordi come labbra
s’attaccano, come vermi.
Giù nel sacco – un tonfo – coraggio!
Non sarà un lungo viaggio.
In cantina, il bel dormitorio.
Col teatrino dei topi, il tanfo
del vino, la grata
(tarlata) del parlatorio
per la piuma, per la foglia di passo.
Tra vecchi fratelli… Diciamo
che a noi padroni va peggio,
quand’è l’ora nostra… Ma adesso
muoviamoci, andiamo.
Fernanda Romagnol
Fernanda Romagnoli, dimenticata poetessa, è una delle più grandi voci del Novecento italiano, con il potere di folgorare il lettore con la sua poesia.
Nata a Roma il 5 novembre 1916, si diploma in pianoforte al Conservatorio di Santa Cecilia della capitale.
Nel 1943 pubblica la sua prima raccolta, Capriccio, con l’editore Signorelli.
Nel frattempo fa parte della redazione di alcune riviste del tempo, come La Fiera Letteraria. Nel 1973 pubblica per Guanda Confiteor, raccolta premiata da Vittorio Sereni.
Sette anni dopo, Attilio Bertolucci, da lei considerato il proprio maestro, la consacra facendo pubblicare con Garzanti Il tredicesimo invitato, la sua opera più importante.
Sempre Bertolucci, in un’intervista del 1991, afferma: «Preferisco non fare nomi. O forse potrei limitarmi a due donne di sicuro valore: Alda Merini e Amelia Rosselli, cui vorrei aggiungere Fernanda Romagnoli che è una poetessa che è morta e non ha ancora avuto quello che merita».
Purtroppo, infatti, la poetessa viene via via dimenticata, si ammala di epatite e si spegne a Roma nel 1986.
C’è nella poesia di Fernanda Romagnoli una forte tensione emotiva, una potenza inaspettata. La forza nel verificare arriva all’estremo travolgendo chiunque legga.
Donatella Bisutti curatrice della nuova versione de Il tredicesimo invitato e altre poesie (2003) descrive la poesia della Romagnoli in questo modo: «È una poesia dell’anima, dello spirito, dell’energia incontenibile dello spirito.»
Da ciò non comprendiamo come sia possibile che tale autrice possa essere accantonata. Allo stesso tempo è vero che la poetessa, già in vita, rifiutava qualsiasi salotto letterario, rimanendo nella sua Roma. Gli unici contatti con alcuni letterati degli anni (Bertolucci in primis, o Nicola Lisi) lì ebbe attraverso delle lettere.
Sembra quasi un’autopunizione inflittasi, dettata forse dal matrimonio con un militare o da un carattere taciturno e introverso che trova il suo linguaggio, la sua esplosione nella scrittura. Questo lo deduciamo anche solo dai titoli scelti per le raccolte pubblicate. Il Confiteor, ad esempio, è la preghiera penitenziale della celebrazione eucaristica, Il tredicesimo invitato indica qualcuno che non dovrebbe esserci, perché semplicemente porta sfortuna.
Allo stesso tempo non si può dire che la poesia della Romagnoli sia pacata, stretta nello schema di una vita vissuta in solitaria. È chiaro, quindi, che la poetessa trova nel verseggiare la propria vocazione, il modo per rendere visibile quel genio, quel valore insito in lei.
È in poesie come Falsa identità che dà prova di questo. Fernanda si distacca da un mondo che non le appartiene (io sono già morta / da viva) e ricalca il tema della morte, molto spesso trattato. In una poesia dedicata al padre la poetessa, invece, scrive:
Così mio padre mi s’accende accanto nel buio che mi fascia. “Vieni per dare o per chiedere?” m’affanno “È la medesima cosa!
Quindi la poesia di Fernanda marca quell’oltre che le fu precluso nella vita. Il grido della poetessa giunge ancora chiaro e comprensibile.
Senza pietà, senza pietà, Signore, il Tuo immenso lasciarmi. Senza fine, senza fine il mio grido Ti voglio!
scrive in Senza requie, oppure:
ed io, abbagliata, più non mi difendo – confitta nel limo terrestre come uno spino -.
in Quando.
Un grido lacerante, soffocato, che solo nel pensiero della morte trova come uscire fuori, prepotente, invadendo il resto.
– io – che piangete morta. Invaderò la casa: un solo giro come fa il lampo.
in Avvento
E tu già stavi disciolta da noi vivi. Verso incerte balugini dischiusa. Maturavi sola – nella placenta della morte
in Sola.
È una terribile pena quella a cui Fernanda è stata condannata. Una donna che viva si ritrova morente, sepolta ancora fremente.
otre di sangue già mezzo vuoto – come scalci ancora forte, mia vita.
Da Capro espiatorio
Quella donna dal viso indifeso Un poco sfiorita- che passa nello specchio in una scolorita veste rossa, senza fruscio, di fretta, rialzando sul capo i capelli con mano distratta: quella donna dall’anima dimessa dicono che son io.
Ed anche l’amore è un sentimento sofferto, fatto di gelosie quasi adolescenziali, che definiscono meglio il quadro caratteriale della poetessa
Se tu l’ami, lei non ha colpa. Ma io – la vorrei morta.
in Lei.
o da perentorie esclamazioni di colpevolezza:
Meglio ch’io seguiti ad amarti ad occhi chiusi.
Donatella Bisutti, grande estimatrice della Romagnoli, ci mette di fronte ad una certezza dicendo: «Forse lo spirito di Fernanda ha ancora bisogno di placarsi e non riesce a farlo. Forse è ancora alla ricerca di un perdono.»
Anche noi lo crediamo, come crediamo che questo spirito abbia bisogno di essere riscoperto e mai più nascosto.
Fortunatamente per la rivista Nuova Corrente di Interlinea è uscito recentemente “Ogni gloria e misura sconvolgendo.” Studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, un volume che propone una rilettura della sua poesia con alcuni inediti e approfondimenti.
Nuova corrente 161. «Ogni gloria e misura sconvolgendo». Studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli Copertina flessibile – 1 luglio 2018
Un destino di silenzio, lo definì qualcuno. E così sembra essere stato il destino di Fernanda Romagnoli. Assente in molte antologie, dimenticata, ignorata. Eppure Paolo Lagazzi la definisce “una poetessa grandissima”. E una poeta così grande non può e non deve rassegnarsi a un destino di silenzio. Non può e non deve essere un’ombra nella Storia.
Prima o poi qualcuno lo scopre:/io sono già morta/da viva.
Nasce a Roma il 5 novembre 1916. A diciotto anni si diploma in pianoforte al conservatorio di S. Cecilia, e a vent’anni conclude gli studi magistrali, da privatista. Tra il 1941 e il 1944 lavora come impiegata nel Consiglio Nazionale delle Ricerche.
La sua prima raccolta di poesie, Capriccio, viene pubblicata nel 1943, edizione Signorelli, con la prefazione di Giuseppe Lipparini. L’anno successivo si trasferisce a Erba con la famiglia, e poi torna a Roma nel 1946. Si sposa con Vittorio Raganella, un ufficiale di cavalleria con il quale dal 1948 al 1965 vive a Firenze, Pinerolo e Caserta. Infine Roma.
Tra il 1961 e il 1965 è maestra in alcune sedi di montagna. Ma perlopiù sarà moglie, madre, e poeta. Ruoli che non s’intersecano, abiti che Romagnoli indossa scompagnati. Come se la vita e la scrittura fossero due strade parallele, e questo la porta a vivere costanti sensi di colpa.
Fernanda Romagnol
Io nel buio, in catene, a un palmo/da voi.
È del 1965 la seconda raccolta di versi, Berretto rosso, pubblicato da Sestante. Sono i primi anni Settanta che la vedono amica di Carlo Betocchi e Nicola Lisi, e nel 1973 esce la terza raccolta di poesie, Confiteor, edita da Guanda. Questo fu possibile grazie ad Attilio Bertolucci che dirà della sua poetica “uno scontro tra il quotidiano e il visionario”.
Io distendo le mani, che vi piova la chiarità…/tu aprimi i capelli/o brezza di levante.
Romagnoli passa dallo stampo ottocentesco della prima raccolta, a liriche visionarie e metafisiche. Una poetica che all’inizio parla di comunione di elementi, la natura percepita a livello sensoriale, un’atmosfera panica che ricorda D’Annunzio e Pascoli, con reminiscenze quasi leopardiane.
[…] i grandi fiori/dissetati splendevano, che un tempo/come piccoli pugni si serravano/per resistere a un marzo di gran vento.
Negli anni Settanta, Fernanda Romagnoli collabora con alcune riviste letterarie, «La Fiera Letteraria» e «Forum Italicum», per la radio Approdo. Scrive quelle che saranno le poesie de Il tredicesimo invitato che uscirà nel 1980 per Garzanti. La poesia che dà il titolo alla raccolta riporta a quel destino, al vivere in disparte.
Grazie – ma qui che aspetto? /Io qui non mi trovo. Io fra voi/sto come il tredicesimo invitato, /… E all’improvviso capisce/che siede un’ombra al suo posto:/che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Il senso di inadeguatezza e l’estraneità alla vita sociale che Romagnoli vive, e soffre, sono espliciti, tangibili, e ne scaturisce un’insoddisfazione che la fa sentire scomoda dentro qualunque ruolo. Moglie, madre e poeta. Ruoli che non riuscirà mai a gestire come vorrebbe.
Fernanda Romagnol
Avrà un difficile rapporto con la figlia, con la quale non farà in tempo a spiegarsi veramente. Scrive una poesia per lei, che fa così:
Si stringe chiusa, dura, /come nelle sue ciglia/la margherita sotto il temporale… Ma il mattino /dritta come una pianta, /spensierata, m’è presso il capezzale/che con l’aroma del caffè mi canta/ “sveglia”, col carillon del cucchiaino.
Vive ogni ruolo con sensi di colpa, che serpeggiano nelle sue poesie. Poesie che, tralasciate le atmosfere naturalistiche, si concentrano sugli oggetti di uso quotidiano. Oggetti da cui ci separiamo a fatica, così vicini ma al tempo stesso così estranei. La poesia Oggetti è dedicata proprio a loro.
I piccoli oggetti, i piccoli/amici schiavi, che tirano/troppo in lungo la vita! … Gli ipocriti inermi! Bisbigliano/ aiuto, pietà.
Talvolta gli oggetti sono intrisi di significati metaforici, come nella poesia Bruco, dove Romagnoli osserva con lucidità e freddezza una vita che finisce. Solo un feroce distacco dalle cose le permette di sopportare il pensiero della morte.
Tagliato in due col suo frutto/il bruco si torce, precipita/nel piatto, ove un attimo orrendo /sopravvive al suo lutto.
Questo scrivere delle piccole cose di tutti i giorni ricorda la poetica di Kavafis. Ma il quotidiano è una tenaglia che stringe forte e Romagnoli si trova a vivere un continuo conflitto interiore, un conflitto dell’anima, e un senso di precarietà che la farà sentire estranea alla vita stessa.
Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga, /reietta, indesiderabile. Tu transfuga/dal soffio dell’origine. /… Per registri e frontiere:/non esisti.
Fernanda Romagnoli si muove tra un forte desiderio di ribellione e un’amara rassegnazione al quotidiano.
Morte, se vieni per condurmi via, /lascia che ombra su ombra/io ripercorra la gente. /In quest’incrocio di rotte/casuali, ci siamo incontrati/ – fra vivi – così inutilmente.
Paragonata a Salinas, Caproni e Carducci, Romagnoli viene accostata anche a un’altra poeta, Emily Dickinson. Entrambe propense all’isolamento, a quel vivere in disparte, un certo distacco dal resto del mondo. Un distacco totale per Dickinson che vivrà tra le mura domestiche, reclusa nella propria stanza, mentre Romagnoli, pur non arrivando a questo estremo, vivrà in disparte, silenziosa, come un ospite che non vuole disturbare. E, come per Dickinson, nella poetica di Romagnoli emerge la tensione al divino.
Con Lui non abbiamo contatti. /Firma e sigillo: l’impronta del suo pollice…/ Le finestre non guardano che pietre, / da che segarono l’albero e l’uccello/portò altrove il suo canto.
Fernanda Romagnol
Quella di Romagnoli è stata definita una poesia dell’anima. Anima che ha bisogno di evadere, spaziare, essere libera.
Così a portata d’anima! / «Tu aspettami!» /Non udì. Sfavillò vuota la cruna. /Anima – o forma umana:/ah, già svanita.
Ma c’è un altro aspetto che ci fa ricordare Dickinson: il dolore, la malattia. Proprio il dolore, a partire dagli anni Settanta, sarà un compagno sgradito ma fedele di Fernanda Romagnoli. Un’epatite contratta nel periodo bellico la costringerà, nel 1977, a subire un intervento chirurgico al fegato. Nonostante i ripetuti ricoveri, Romagnoli non trascura la poesia.
Poi ti raggiungerò/là dove – abbandonata/la via terrestre, simile/a rotaia in disuso – s’incammina lo spirito, esitante.
In questo verso la vita viene paragonata a una rotaia in disuso, una similitudine come se ne trovano tante nelle sue liriche. E si trovano anche metafore, anafore, rime e assonanze.
Questo cuore mio, gonfio di pietre, / suona ancora conchiglie/ e il sudore dell’anima concima praterie di camelie.
E ancora:
…se tu l’ami, lei non ha colpa. /Ma io la vorrei morta.
Se in vita Romagnoli ebbe un breve periodo di notorietà, veloce come una meteora, dopo la morte sprofondò nell’oblio.
Voglio alzarmi. Ho paura. /Nel pozzo del cranio/ – senza uscita -. Nel buio sacrario/sconsacrato.
Alcune poesie inedite saranno pubblicate poco prima della sua morte dal quotidiano «Reporter», grazie a Ginevra Bompiani e Gianfranco Palmery, e dalla rivista «Arsenale».
Fernanda Romagnol
Ma sarà solo nel 2003 che Donatella Bisutti, dedicandoci anima e corpo, riuscirà a far ripubblicare, dall’editore Sheiwiller, Il tredicesimo invitato. Ma fu un’altra meteora, poi ancora quel destino che ritorna, di nuovo il silenzio. Di nuovo l’oblio. È per questo che abbiamo voluto scrivere di lei, e per lei. Perché ancora una volta potesse uscire da quel silenzio.
E affacciati guardando fluttuare/questa frangia di sera sui palazzi, /che di sprazzi vermigli ci colora.
Riportiamo il pensiero di Barbara Lanati circa la sua biografia su Emily Dickinson, facendolo nostro e dedicandolo a Fernanda Romagnoli.
Avrei voluto che fosse stata lei a parlare di sé. Lei tuttavia non c’è. Nonostante la sua assenza, non voglio attribuirle ciò che lei non avrebbe voluto le fosse attribuito. Né voglio offrirne un’immagine in cui non avrebbe voluto riconoscersi.
Fernanda Romagnoli muore all’età di settant’anni, a Roma, presso l’Ospedale Sant’Eugenio. È il 9 giugno 1986.
Fu feroce/il dettato di resa. In un minuto/la tua carne divenne un ectoplasma/dai gesti incomprensibili…/Maturavi/sola – nella placenta della morte.
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Ogni gloria e misura sconvolgendo, studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, «Nuova Corrente»
«Poesia», rivista trimestrale di poesia
Donatella Bisutti, Il fantasma di Fernanda, in «Le Voci della Luna», quadrimestrale di Informazione e Cultura Letteraria e Artistica
Emilia Sirangelo, Fernanda Romagnoli: l’esilio di un poeta
Pozzo-Martini
PAOLA POZZO Ottenuto il diploma presso lo Ied, illustra libri per ragazzi in Italia e all’estero, ed. San Paolo e Grimm Press di Tawian; lavora nella moda per Giorgio Kauten; disegna biglietti augurali e carte regalo per La Carterie di Panini e Auguri Mondadori. Illustra poesie per B. Mondadori Scolastica.
Per le ed. San Paolo pubblica un libro per ragazzi sulla pace.
Giornalista pubblicista, scrive recensioni presso una rivista. Vince vari concorsi letterari di narrativa breve, tra cui GialloMilanese e Keltia edizioni.
Pubblica racconti su tre antologie di genere Steampunk.
Vive a Milano.
Un destino di silenzio, lo definì qualcuno. E così sembra essere stato il destino di Fernanda Romagnoli. Assente in molte antologie, dimenticata, ignorata. Eppure Paolo Lagazzi la definisce “una poetessa grandissima”. E una poeta così grande non può e non deve rassegnarsi a un destino di silenzio. Non può e non deve essere un’ombra nella Storia.
Prima o poi qualcuno lo scopre:/io sono già morta/da viva.
Nasce a Roma il 5 novembre 1916. A diciotto anni si diploma in pianoforte al conservatorio di S. Cecilia, e a vent’anni conclude gli studi magistrali, da privatista. Tra il 1941 e il 1944 lavora come impiegata nel Consiglio Nazionale delle Ricerche.
La sua prima raccolta di poesie, Capriccio, viene pubblicata nel 1943, edizione Signorelli, con la prefazione di Giuseppe Lipparini. L’anno successivo si trasferisce a Erba con la famiglia, e poi torna a Roma nel 1946. Si sposa con Vittorio Raganella, un ufficiale di cavalleria con il quale dal 1948 al 1965 vive a Firenze, Pinerolo e Caserta. Infine Roma.
Tra il 1961 e il 1965 è maestra in alcune sedi di montagna. Ma perlopiù sarà moglie, madre, e poeta. Ruoli che non s’intersecano, abiti che Romagnoli indossa scompagnati. Come se la vita e la scrittura fossero due strade parallele, e questo la porta a vivere costanti sensi di colpa.
Io nel buio, in catene, a un palmo/da voi.
È del 1965 la seconda raccolta di versi, Berretto rosso, pubblicato da Sestante. Sono i primi anni Settanta che la vedono amica di Carlo Betocchi e Nicola Lisi, e nel 1973 esce la terza raccolta di poesie, Confiteor, edita da Guanda. Questo fu possibile grazie ad Attilio Bertolucci che dirà della sua poetica “uno scontro tra il quotidiano e il visionario”.
Io distendo le mani, che vi piova la chiarità…/tu aprimi i capelli/o brezza di levante.
Romagnoli passa dallo stampo ottocentesco della prima raccolta, a liriche visionarie e metafisiche. Una poetica che all’inizio parla di comunione di elementi, la natura percepita a livello sensoriale, un’atmosfera panica che ricorda D’Annunzio e Pascoli, con reminiscenze quasi leopardiane.
[…] i grandi fiori/dissetati splendevano, che un tempo/come piccoli pugni si serravano/per resistere a un marzo di gran vento.
Negli anni Settanta, Fernanda Romagnoli collabora con alcune riviste letterarie, «La Fiera Letteraria» e «Forum Italicum», per la radio Approdo. Scrive quelle che saranno le poesie de Il tredicesimo invitato che uscirà nel 1980 per Garzanti. La poesia che dà il titolo alla raccolta riporta a quel destino, al vivere in disparte.
Grazie – ma qui che aspetto? /Io qui non mi trovo. Io fra voi/sto come il tredicesimo invitato, /… E all’improvviso capisce/che siede un’ombra al suo posto:/che – entrando – lui è rimasto chiuso fuori.
Il senso di inadeguatezza e l’estraneità alla vita sociale che Romagnoli vive, e soffre, sono espliciti, tangibili, e ne scaturisce un’insoddisfazione che la fa sentire scomoda dentro qualunque ruolo. Moglie, madre e poeta. Ruoli che non riuscirà mai a gestire come vorrebbe.
Avrà un difficile rapporto con la figlia, con la quale non farà in tempo a spiegarsi veramente. Scrive una poesia per lei, che fa così:
Si stringe chiusa, dura, /come nelle sue ciglia/la margherita sotto il temporale… Ma il mattino /dritta come una pianta, /spensierata, m’è presso il capezzale/che con l’aroma del caffè mi canta/ “sveglia”, col carillon del cucchiaino.
Vive ogni ruolo con sensi di colpa, che serpeggiano nelle sue poesie. Poesie che, tralasciate le atmosfere naturalistiche, si concentrano sugli oggetti di uso quotidiano. Oggetti da cui ci separiamo a fatica, così vicini ma al tempo stesso così estranei. La poesia Oggetti è dedicata proprio a loro.
I piccoli oggetti, i piccoli/amici schiavi, che tirano/troppo in lungo la vita! … Gli ipocriti inermi! Bisbigliano/ aiuto, pietà.
Talvolta gli oggetti sono intrisi di significati metaforici, come nella poesia Bruco, dove Romagnoli osserva con lucidità e freddezza una vita che finisce. Solo un feroce distacco dalle cose le permette di sopportare il pensiero della morte.
Tagliato in due col suo frutto/il bruco si torce, precipita/nel piatto, ove un attimo orrendo /sopravvive al suo lutto.
Questo scrivere delle piccole cose di tutti i giorni ricorda la poetica di Kavafis. Ma il quotidiano è una tenaglia che stringe forte e Romagnoli si trova a vivere un continuo conflitto interiore, un conflitto dell’anima, e un senso di precarietà che la farà sentire estranea alla vita stessa.
Tu, che chiamiamo anima. Tu profuga, /reietta, indesiderabile. Tu transfuga/dal soffio dell’origine. /… Per registri e frontiere:/non esisti.
Fernanda Romagnoli si muove tra un forte desiderio di ribellione e un’amara rassegnazione al quotidiano.
Morte, se vieni per condurmi via, /lascia che ombra su ombra/io ripercorra la gente. /In quest’incrocio di rotte/casuali, ci siamo incontrati/ – fra vivi – così inutilmente.
Paragonata a Salinas, Caproni e Carducci, Romagnoli viene accostata anche a un’altra poeta, Emily Dickinson. Entrambe propense all’isolamento, a quel vivere in disparte, un certo distacco dal resto del mondo. Un distacco totale per Dickinson che vivrà tra le mura domestiche, reclusa nella propria stanza, mentre Romagnoli, pur non arrivando a questo estremo, vivrà in disparte, silenziosa, come un ospite che non vuole disturbare. E, come per Dickinson, nella poetica di Romagnoli emerge la tensione al divino.
Con Lui non abbiamo contatti. /Firma e sigillo: l’impronta del suo pollice…/ Le finestre non guardano che pietre, / da che segarono l’albero e l’uccello/portò altrove il suo canto.
Quella di Romagnoli è stata definita una poesia dell’anima. Anima che ha bisogno di evadere, spaziare, essere libera.
Così a portata d’anima! / «Tu aspettami!» /Non udì. Sfavillò vuota la cruna. /Anima – o forma umana:/ah, già svanita.
Ma c’è un altro aspetto che ci fa ricordare Dickinson: il dolore, la malattia. Proprio il dolore, a partire dagli anni Settanta, sarà un compagno sgradito ma fedele di Fernanda Romagnoli. Un’epatite contratta nel periodo bellico la costringerà, nel 1977, a subire un intervento chirurgico al fegato. Nonostante i ripetuti ricoveri, Romagnoli non trascura la poesia.
Poi ti raggiungerò/là dove – abbandonata/la via terrestre, simile/a rotaia in disuso – s’incammina lo spirito, esitante.
In questo verso la vita viene paragonata a una rotaia in disuso, una similitudine come se ne trovano tante nelle sue liriche. E si trovano anche metafore, anafore, rime e assonanze.
Questo cuore mio, gonfio di pietre, / suona ancora conchiglie/ e il sudore dell’anima concima praterie di camelie.
E ancora:
…se tu l’ami, lei non ha colpa. /Ma io la vorrei morta.
Se in vita Romagnoli ebbe un breve periodo di notorietà, veloce come una meteora, dopo la morte sprofondò nell’oblio.
Voglio alzarmi. Ho paura. /Nel pozzo del cranio/ – senza uscita -. Nel buio sacrario/sconsacrato.
Alcune poesie inedite saranno pubblicate poco prima della sua morte dal quotidiano «Reporter», grazie a Ginevra Bompiani e Gianfranco Palmery, e dalla rivista «Arsenale».
Ma sarà solo nel 2003 che Donatella Bisutti, dedicandoci anima e corpo, riuscirà a far ripubblicare, dall’editore Sheiwiller, Il tredicesimo invitato. Ma fu un’altra meteora, poi ancora quel destino che ritorna, di nuovo il silenzio. Di nuovo l’oblio. È per questo che abbiamo voluto scrivere di lei, e per lei. Perché ancora una volta potesse uscire da quel silenzio.
E affacciati guardando fluttuare/questa frangia di sera sui palazzi, /che di sprazzi vermigli ci colora.
Riportiamo il pensiero di Barbara Lanati circa la sua biografia su Emily Dickinson, facendolo nostro e dedicandolo a Fernanda Romagnoli.
Avrei voluto che fosse stata lei a parlare di sé. Lei tuttavia non c’è. Nonostante la sua assenza, non voglio attribuirle ciò che lei non avrebbe voluto le fosse attribuito. Né voglio offrirne un’immagine in cui non avrebbe voluto riconoscersi.
Fernanda Romagnoli muore all’età di settant’anni, a Roma, presso l’Ospedale Sant’Eugenio. È il 9 giugno 1986.
Fu feroce/il dettato di resa. In un minuto/la tua carne divenne un ectoplasma/dai gesti incomprensibili…/Maturavi/sola – nella placenta della morte.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Fernanda Romagnoli
Ogni gloria e misura sconvolgendo, studi sulla poesia di Fernanda Romagnoli, «Nuova Corrente»
«Poesia», rivista trimestrale di poesia
Donatella Bisutti, Il fantasma di Fernanda, in «Le Voci della Luna», quadrimestrale di Informazione e Cultura Letteraria e Artistica
Emilia Sirangelo, Fernanda Romagnoli: l’esilio di un poeta
Il Museo del Colle del Duomo di Viterbo ospiterà la nuova installazione di Stefano Cianti-
Il Museo del Colle del Duomo di Viterbo si prepara ad accogliere “Anima Stremata”, la nuova installazione di Stefano Cianti. L’opera, un omaggio alla scultrice Camille Claudel, che da giovanissima intrecciò una relazione tormentata con Auguste Rodin, sarà visitabile fino al 30 marzo 2025.
L’inaugurazione è prevista per il giorno 8 marzo alle ore 17:00. Si tratta di una data simbolica, tutt’altro che casuale: l’iniziativa, che coincide con la Giornata internazionale dei diritti delle donne, si allinea perfettamente con l’attenzione che il museo riserva a questo tema.
L’evento sarà arricchito da una performance artistica di Stefano Cianti e dalla lettura di un testo poetico, scritto dallo stesso Cianti e recitato dall’attore Manuele Pica, con un intervento musicale del maestro Giammarco Casani.
“Anima Stremata”, la nuova installazione di Stefano Cianti
Chi è Stefano Cianti?
Stefano Cianti è un artista poliedrico che esplora numerose tecniche e linguaggi dell’arte visiva. Si diploma maestro nel settore “ceramica” presso l’Istituto d’Arte di Civita Castellana, e si iscrive all’Accademia di Belle Arti “Lorenzo da Viterbo” dove, nel 1997, consegue il diploma di laurea in Pittura.
Tra le sue ultime esposizioni personali spiccano Umanità Interiore, presso Palazzo degli Alessandri a Viterbo, Ecce Homo, nella Cripta della Cattedrale “Santa Maria Assunta” di Sutri, e Pietre Vive, presso il Museo Colle del Duomo di Viterbo.
La ricerca pittorica dell’artista
La ricerca artistica di Stefano Cianti si evolve nel tempo, e spazia tra la ritrattistica e il figurativo moderno. Nel 2015 si concretizza una nuova fase della sua poetica, onirica e sperimentale. Dando voce alla dimensione più intima e sacra della vita, si serve di materiali extra pittorici, come il legno, il bambù e la foglia d’oro; e ancora, il vetro, le pietre e gli specchi.
L’inaugurazione di “Anima Stremata” sarà l’occasione per immergersi nell’intimità dell’artista e vivere un’esperienza unica.
Un’opera sensazionale che, celebrando il talento di Camille Claudel, offre un momento per riflettere su relazioni desiderate, intense e sofferte. Stefano Cianti omaggia il ruolo della donna, la sua centralità in ambito artistico, religioso e iconografico.
L’installazione, così come il Museo Colle del Duomo, è visitabile dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 18.00; sabato e domenica dalle 10.00 alle 18.00 (ultimo ingresso 30 minuti prima della chiusura).
Museo del Colle del Duomo
Fondato in occasione del Giubileo del 2000, fa parte del Polo monumentale del Colle del Duomo di Viterbo che comprende il palazzo dei Papi e ambienti della cattedrale di San Lorenzo. Il museo è suddiviso in tre sezioni:
Sezione archeologica, con manufatti databili tra il periodo villanoviano e medievale molti dei quali ritrovate durante i lavori nei locali, oggi sede del museo.
Sezione storico-artistica, con opere provenienti dalle diverse parrocchie della diocesi di Viterbo e collocabili in un ampio arco cronologico che va dalla fine del XII secolo al XX secolo. Quasi tutte sono realizzate da autori originari di Viterbo anche se operanti in diverse regioni d’Italia ed Europa.
Sezione arte sacra, suddivisa in tre reparti: paramenti sacri, dei quali si conservano principalmente quelli di vescovi, cardinale e pontefici; reliquiari, realizzati in forme e materiali diversi; calici, e altri oggetti utilizzati per le funzioni religiose, realizzati in metalli preziosi tra il XV ed il XX secolo.
Roma- LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
debutta al Teatro le Sedie e in replica al Teatro Planet
Roma-Debutta a Roma al Teatro le Sedie il 14 e 15 marzo e in replica il 21 marzo al Teatro Planet, LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA, spettacolo scritto e diretto da Andrea Benfante.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Lo spettacolo rappresenta il percorso di una delle più controverse icone femminili del cinema americano e racconta la storia della sua tentata emancipazione come donna indipendente: da attrice ad emarginata fino alla consacrazione di icona pop del fumetto. Una donna colta e coraggiosa che tuttavia è stata schiacciata dal suo stesso voler essere libera e ribelle, da pregiudizi e stereotipi. Sono gli anni quaranta: Louise Brooks vive in una stanza ammobiliata facendo la squillo per sopravvivere. Dal proprio passato verrà a trovarla Schigolch, personaggio equivoco ed enigmatico che, per aiutarla a rinfrancarsi le porterà un vaso di Pandora contenente la Speranza salvifica che Louise otterrà solo ripercorrendo tutti i suoi eccessi. Comincia così il viaggio a ritroso della donna: dagli abusi sessuali subiti da bambina, al suo sogno di diventare ballerina, dai film hollywoodiani a quelli europei con Pabst, dall’alcolismo e l’emarginazione alla riscoperta negli anni settanta.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Dimenticare è diventato qualcosa di pericolosamente attuale. In una società dove si è ibernati in un eterno presente e privi – persino – di un passato prossimo, la Storia tende ad essere congedata velocemente dalle menti senza dare modo alla Cultura di formarsi nella coscienza delle nuove generazioni. Louise Brooks è la Diva dimenticata per eccellenza. Il problema sorge quando si comincia a dimenticare anche Valentina, l’icona pop creata su sua immagine dal genio di Guido Crepax. Oltre all’esigenza di tener vivo il ricordo di una donna particolare e di tutte le contraddizioni e debolezze umane che ce la rendono così familiare eppure così distante, l’affermazione del genere femminile su quello maschile è un altro focus fondamentale. Un disperato senso d’emancipazione di Louise impartito subdolamente dallo show businness inventato dagli uomini di Hollywood, non dalle donne. Il desiderio d’affrancarsi senza riuscire, fallendo miseramente ad ogni tentativo. O meglio: facendo in modo che tutto vada a rotoli tramite un perverso auto sabotaggio masochistico. Le violenze subite da bambina che non la lasceranno mai in pace. Una grandissima umanità costellata di
una solitudine soffocante. La consapevolezza che un giorno di lei e di tutto il suo mondo non rimarrà più nulla.
LOUISE BROOKS E IL VASO DI PANDORA di Andrea Benfante
Note di regia.
La piéce si pone a metà tra immaginazione fantastica e rievocazione onirica della protagonista femminile che, dimenticata per anni, torna a vivere grazie all’interesse di un nuovo pubblico che la consacra ad icona di uno stile. Ma a fare i conti con lei c’é l’età, implacabile, che l’attende spietata dentro al vaso di Pandora. Troverà Louise la sua vera essenza e quindi la pace? Lo spettacolo è costruito come un sogno, dove Louise ripercorre in un libero flusso di coscienza i suoi tormenti e mette a nudo il suo animo tra i ricordi del successo e della caduta, interloquendo con gli uomini, rievocati da lei, che l’hanno innalzata e sfruttata e mostrandoci il volto oscuro della scintillante Hollywood.
TEATRO LE SEDIE_ Via Veientana Vetere, 51- Roma
Ingresso: € 12; tessera associativa: € 3 info e prenotazioni: info@teatrolesedie.it – 3201949821 link della loro pagina: https://www.teatrolesedie.it/eventi/louise-brooks-e-il-vaso-di-pandora/
TEATRO PLANET_ Via Crema,14- Roma
Ingresso: € 12; tessera associativa: € 3; info e prenotazioni WA +39 339 522 3492
Storia della XII Brigata Internazionale nella guerra di Spagna-
Editore Kappa Vu
Descrizione del libro di Maro Puppini-Garibaldini in Spagna-Storia della XII Brigata Internazionale nella guerra di Spagna-La guerra in Spana scoppiò nel luglio 1936 dopo un fallito tentativo di colpo di stato militare contro il governo democratico della Repubblica spagnola. In seguito all’intervento dell’Italia fascista e della Germania nazista in appoggio ai militari, si trasformò in una guerra internazionale, militare e politica, che vedeva coinvolte tutte le maggiori potenze dell’epoca. Gli antifascisti italiani combatterono nel corso di quella guerra in prima linea, inquadrati nel battaglione e poi brigata Garibaldi, in seno alle Brigate Internazionali, che rappresentavano gli antifascisti di tutto il mondo, di diverse idee politiche, uniti nella lotta al fascismo. Questo libro racconta quell’epopea, l’eroismo di quei combattenti, ma anche i problemi e le crisi che si trovarono ad affrontare, in una lotta che aveva una valenza assieme nazionale ed internazionale. Quelle vicende fornirono un insegnamento importante qualche anno dopo per la Resistenza italiana.
Marco Puppini è stato docente a contratto per il corso di Storia della Spagna Contemporanea presso l’Università agli Studi di Trieste. E’ vicepresidente dell’AICVAS – Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna con responsabilità nella produzione scientifica dell’associazione. Ha collaborato con la rete degli Istituti di Storia del Movimento di Liberazione in Italia, in particolare con l’Istituto Regionale del Friuli – Venezia Giulia a Trieste e di quello Friulano a Udine, e con il Centro di Documentazione Storica Leopoldo Gasparini. Ha scritto diversi contributi, tradotti in spagnolo, francese e sloveno sulla partecipazione italiana antifascista alla guerra civile e più in generale sul tema della guerra di Spagna del 1936 – 1939 e sulla storia del movimento operaio e sindacale e sull’emigrazione politica nella prima metà del Novecento. (https://www.spagnacontemporanea.it/index.php/spacon/puppini) Marco Puppini, nell’anno accademico 2008 – 2009 ha tenuto con un contratto annuale il corso di Storia della Spagna Contemporanea presso l’Università agli Studi di Trieste ed ha fatto parte per anni della Commissione d’Esame e di Laurea di Storia della Spagna Contemporanea presso la stessa Università. Attualmente è membro del Comitato di redazione della rivista Spagna Contemporanea. E’ vicepresidente dell’AICVAS con responsabilità nel settore scientifico. Collabora con la rete degli Istituti di Storia del movimento di Liberazione in Italia, in particolare con l’Istituto Friulano e Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, e con il Centro di Documentazione Gasparini. Ha scritto diversi contributi, tradotti anche in francese e sloveno sulla partecipazione italiana antifascista alla guerra civile di Spagna e sulla storia del movimento operaio e antifascista e sull’emigrazione politica. Tra i suoi interventi più recenti: L’immagine delle Brigate Internazionali dalla fine della guerra civile agli anni Novanta, in: Pacificazione riconciliazione in Spagna, Storia e Problemi Contemporanei n. 47 – gennaio – aprile 2008. Volontari antifascisti dal Friuli e dall’Isontino in Spagna, Una biografia collettiva, in: Marco Puppini e Claudio Venza (a cura di), Tres Frentes de Lucha. Società e cultura nella guerra civile spagnola (1936 – 1939), Udine, KappaVu, 2009, volume che raccoglie gli atti del convegno curato da Marco Puppini e Claudio Venza svoltosi a Monfalcone (Gorizia) il 6 e 7 dicembre 2006. Volontari sloveni e italiani dalla Venezia Giulia nelle brigate internazionali in Spagna, in Slovenci v Španski Državljanski Vojni. Zbornik referatov s simpozija, Koper, Zadruženje protofašistov in borcev za vrednote NOB Koper, 2010. Atti del convegno internazionale tenuto a Capodistria (Repubblica di Slovenia) il 12 febbraio 2010. La “lezione spagnola”. L’esperienza delle Brigate Internazionali e le vicende dell’antifascismo italiano”, in Catalunya i Itàlia. Memòries creuades, experiènces comunes. Catalogna e Italia. Memorie incrociate, esperienze comuni, Barcelona, “Documents del Memorial Democratic”, n. 2, 2012. Ha scritto assieme ad Augusto Cantaluppi, “Non avendo mai preso un fucile tra le mani”. Antifasciste italiane nella guerra civile spagnola. 1936-1939, Milano, Edizioni Aicvas, 2014, tradotto anche in spagnolo: “Sin haber empuñado un fusil jamás”. Antifascistas italianas en la Guerra Civil española 1936- 1939, Cuenca, Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 2016. Las difíciles cuentas con el pasado. Bibliografía italiana sobre la Guerra Civil española, in “Studia Historica. Historia Contemporánea”, numero monografico dedicato a La Guerra Civil, a cura di Ángel Viñas. Apparati comunisti di vigilanza e repressione nelle Brigate Internazionali. Il caso della “Garibaldi”,in “Spagna contemporanea”, n. 49, 2016. Il 30 novembre 2018 ha organizzato il convegno: Vie di libertà e di lotta. Le vie di espatrio clandestino dall’Italia durante gli anni della dittatura fascista, tenuto al Kulturni dom di Gorizia. Il suo ultimo libro è: Garibaldini in Spagna. Storia della XII^ Brigata Internazionale, Udine, KappaVu, 2019. (https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwjvjuDN4sn7AhWGQ_EDHdfUAUIQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.difesa.it%2FAmministrazionetrasparente%2Fcommiservizi%2FDocuments%2Fsovvenzioni_contributi%2Fass_comb%2F2019%2Fcurricula%2Fcomb_vol_antifascisti_spagna_CV_2.pdf&usg=AOvVaw150j14dsc72KqsWBZclkji)
guerra di Spagna 1936-Brigate InternazionaliErnest Hemingway 1936-inviato speciale in SpagnaGuerra di Spagna 1936-Brigate InternazionaliGuerra di Spagna 1936-Brigate Internazionali
guerra di Spagna 1936-brigata Garibaldi, in seno alle Brigate Internazionali
La British School at Rome è lieta di presentare Spring Open Studios 2025
La British School at Rome è lieta di presentare Spring Open Studios 2025, un evento dedicato alle visite agli studi dellə artistə in residenza presso la BSR.
Lɜ artistɜ saranno presenti con alcune delle loro opere e risponderanno alle domande del pubblico, condividendo la loro ricerca: Catherine Ferguson – Abbey Fellow, Can Gun – Abbey Scholar, Abigail Hampsey – Rebecca Scott Rome Resident, Sophio Medoidze – Sainsbury Scholar, Laura Ní Fhlaibhín – Derek Hill Foundation Fellow, Cathie Pilkington – Bridget Riley Fellow, Ash Tower – Samstag Scholar in the Visual Arts.
Spring Open Studios 2025 sarà un’occasione per mettere in luce alcuni aspetti della ricerca che sta alla base del lavoro dellɜ artistɜ, tra cui Morandi e il Barocco; l’esplorazione degli approcci visivi utilizzati nella rappresentazione del paesaggio, sia fittizio che geografico; l’indagine sulla malattia che mette a rischio la vita dei pini domestici di Roma; l’esplorazione grafica della tensione tra oggetto e immagine nella scultura a rilievo; la sceneggiatura di un film dedicato a Medea; lo studio delle carestie in Italia in epoca moderna e il loro rapporto con il folklore e la fantasia; l’interdipendenza degli atteggiamenti britannici e italiani nei confronti dell’immigrazione.
L’evento rappresenta un modo diverso di vivere la ricerca in corso, che mira a dare al pubblico una visione più ampia del lavoro dellə artistə, a scoprire i loro progetti di residenza, le loro pratiche creative e, soprattutto, a capire come un nuovo ambiente, gli incontri e la rete con la comunità artistica locale, possano dare origine a nuove sperimentazioni.
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