Andrea Ricciardi- Ferruccio Parri. Dalla genesi dell’antifascismo alla guida del governo-
Biblion Edizioni-Milano
Descrizione del libro-Andrea Ricciardi- Ferruccio Parri. Dalla genesi dell’antifascismo alla guida del governo-Il volume tratteggia, basandosi anche su carte d’archivio inedite, il percorso politico-culturale e umano di Ferruccio Parri a partire dagli anni Venti. Attivo nel contesto degli ex combattenti della Grande guerra, in seguito al delitto Matteotti Parri prese una posizione radicalmente antifascista che lo condusse in carcere e al confino, anche perché contribuì all’espatrio di Filippo Turati nel 1926. Alla fine degli anni Venti, con la nascita di Giustizia e Libertà fondata dall’amico Carlo Rosselli, Emilio Lussu, Alberto Tarchiani e Gaetano Salvemini, Parri iniziò la sua militanza attiva nel movimento, lavorando contemporaneamente presso la Edison dal 1933. Sebbene fosse di origine piemontese, Parri, sposato e con un figlio, visse a lungo a Milano. Qui, nel 1942, all’atto della fondazione, aderì al Partito d’Azione divenendone uno dei più prestigiosi dirigenti al fianco di Leo Valiani e Vittorio Foa, oltre che capo del Comitato militare del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). Incarcerato dai nazisti all’inizio del 1944, fu liberato dopo una trattativa con gli Alleati e tornò ad essere protagonista della Resistenza a capo del Corpo Volontari della Libertà (CVL) fino alla sconfitta del nazifascismo e alla fine della Seconda guerra mondiale. Nel giugno 1945 presiedette il primo governo di coalizione dopo la Liberazione: l’esperienza durò meno di sei mesi e si configura come il punto d’arrivo del libro, al quale è direttamente connessa l’appendice documentaria, cui l’autore ha lavorato con Alice Leone. Completa il libro la prefazione di Luca Aniasi, presidente FIAP ‒ Federazione Italiana Associazioni Partigiane.
AUTORE
Andrea Ricciardi, storico contemporaneista, è socio della Fondazione Rossi-Salvemini e Direttore Scientifico della FIAP. Ha collaborato a lungo con l’Università degli Studi di Milano, dove ha conseguito il dottorato di ricerca, è stato assegnista e docente. Si occupa di storia politica e culturale del Novecento, con particolare attenzione per vicende e figure dell’antifascismo e del movimento operaio. Tra le sue pubblicazioni, Leo Valiani. Gli anni della formazione. Tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica (Milano, FrancoAngeli, 2007), Paolo Treves. Biografia di un socialista diffidente (Milano, FrancoAngeli, 2018), Sinistra per l’Alternativa. Storia di una corrente del PSI 1976-1984 (Milano, Biblion, 2021) e, con Claudia Fredella, I saperi essenziali di storia (Milano, Giunti, 2021).
Biblion Edizioni
via Giuseppe Govone, 70 – 20155 Milano
Sara Parcak ha inventato l’archeologia spaziale, utilizzando immagini satellitari per cercare indizi dei luoghi perduti delle civiltà passate, cambiando il modo di studiare le rovine del mondo antico. Dal suo laboratorio in Alabama, sfruttando le mappe dei satelliti, questa trentasettenne ha già scandagliato mille tombe, 17 piramidi, scovato insediamenti di cui si ignorava persino l’esistenza. Il suo lavoro aiuterà ora a ricostruire Palmira, distrutta dall’Isis nella Siria in guerra.
La rivoluzione tecnologica nell’archeologia dai tempi di Indiana Jones
Ammettiamolo, Indiana Jones era un archeologo piuttosto scarso. Distruggeva i suoi siti, usava una frusta al posto di una spatola ed era più probabile che uccidesse i suoi colleghi piuttosto che scrivere insieme a loro resoconti archeologici.
Indipendentemente da ciò, “I predatori dell’arca perduta”, che ha festeggiato il suo 30° anniversario lo scorso 12 giugno, ha reso affascinante lo studio del passato per una intera generazione di scienziati.
Gli archeologi moderni che si sono ispirati ai “predatori” hanno però fortunatamente imparato dagli errori del dottor Jones, e ora utilizzano tecnologie avanzate come le immagini satellitari, la mappatura laser aerea, robot e scanner medici. Niente più fruste scientificamente inutili.
Tali innovazioni hanno permesso agli archeologi di individuare dallo spazio piramidi sepolte, creare mappe 3-D di antiche rovine Maya dal cielo, esplorare i relitti di navi romane e trovare prove di malattie al cuore in mummie di 3.000 anni. La maggior parte di questi strumenti proviene da settori quali biologia, chimica, fisica o ingegneria, così come da gadget commerciali, tra cui GPS, portatili e smartphone.
“Se scaviamo parte di un sito, lo distruggiamo”, dice David Hurst Thomas, curatore di antropologia al Museo americano di storia naturale di New York. “La tecnologia ci permette di scoprire molto di più prima ancora di entrare, come i chirurghi che fanno uso di TAC e risonanza magnetica”.
Gli archeologi hanno sfruttato queste tecnologie per scoprire antichi siti di interesse più facilmente che mai. Si può scavare con maggiore fiducia e meno danni collaterali, applicare le più recenti tecniche di laboratorio su antichi manufatti o resti umani, e datare meglio persone o oggetti.
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I satelliti indicano il luogo
Una delle rivoluzioni in corso nell’archeologia si basa sui satelliti in orbita sopra la Terra. Sarah Parcak, egittologa presso l’University of Alabama a Birmingham, e un team internazionale hanno recentemente usato immagini satellitari a raggi infrarossi per scrutare fino a 10 metri al di sotto del deserto egiziano. Hanno trovato migliaia di nuovi siti tra cui, credono, 17 piramidi.
Le immagini rivelano inoltre strade sepolte e case dell’antica città egizia di Tanis, un noto sito archeologico presente anche ne “I predatori dell’arca perduta” tre decenni fa. “Ovviamente, non zoommiamo le immagini satellitari per trovare l’Arca dell’Alleanza e il Pozzo delle Anime”, rassicura la Parcak.
Anche le immagini satellitari ordinarie di Google Earth sono utili. Molti dei siti egizi contengono sepolti edifici in mattoni di fango che si sgretolano nel tempo e si mescolano con la sabbia o il limo. Quando piove, i suoli con i mattoni di fango trattengono l’umidità più a lungo e appaiono scoloriti nelle foto satellitari.
“In passato, sarei saltato su una Land Rover e sarei andato a vedere un possibile sito”, dice Tony Pollard, direttore del Centre for Battlefield Archaeology presso l’Università di Glasgow in Scozia. “Ora, prima di fare questo, vado su Google Earth”.
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Scavando facendo meno danni
Strumenti come il georadar possono anche aiutare gli archeologi a evitare di distruggere dati preziosi quando scavano antichi siti, spiega Thomas. “Molte tribù di nativi americani sono molto interessate nel telerilevamento che non è invasivo né distruttivo, perché a molti non piace l’idea di disturbare i morti o i resti sepolti”.
I magnetometri sono in grado di distinguere tra metalli sepolti, rocce e altri materiali in base alle differenze nel campo magnetico della Terra. I rilevamenti della resistività del terreno trovano invece gli oggetti in base alle variazioni della velocità della corrente elettrica.
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Dare una spolverata a vecchie ossa
Una volta che gli oggetti o le ossa sono riportati alla luce, gli archeologi possono consegnarli al laboratorio per un’analisi forense che impressionerebbe qualsiasi agente di CSI. Le scansioni con tomografia computerizzata comunemente utilizzate in medicina hanno rivelato arterie bloccate in una principessa egizia che finì mummificata 3.500 anni fa.
Questa tecnica è stata usata per identificare le origini di decine di soldati trovati in una fossa comune di 375 anni in Germania. “Alcuni venivano dalla Finlandia, alcuni dalla Scozia”, dice Pollard.
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“Quando ero un cattivo ragazzo e andai a fare archeologia invece di medicina, mia
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madre pensò che avrei speso tutto il mio tempo nel passato”, dice Thomas. “Ciò non potrebbe essere più lontano dalla verità; facciamo tutto il possibile per tenerci al passo con la tecnologia”.
Per il momento la tecnologia non eliminerà il bisogno di scavare, dicono gli archeologi. Ma se quel giorno arrivasse, “l’archeologia diventerebbe molto più noiosa”, afferma Pollard. E non è il solo a pensarlo.
“Va molto bene usare le immagini satellitari, ma fino a quando non vai sul campo sei bloccato in laboratorio”, conclude la Parcak. “È una costante nell’archeologia; devi scavare ed esplorare.”
Donatella Gay Rochat– La Resistenza nelle valli valdesi-
Casa Editrice Claudiana-Torino
Descrizione del libro di Donatella Gay Rochat- La Resistenza nelle valli valdesi.Una ricerca, basata sul confronto di testimonianze dirette, sul primo periodo della guerra partigiana nelle valli valdesi del Piemonte – teatro di lunghe lotte in difesa della religione protestante – a cui ambiente geografico, economico-sociale e religioso conferirono caratteri specifici.
Il libro in pillole
L’esordio, le illusioni, le sconfitte, le ritirate, la ripresa e le prime vittorie
La lotta politica che cattolici, agnostici e valdesi vissero fianco a fianco
Libertà di coscienza e lotta di liberazione
Introduzione
di Alberto Cavaglion Prefazione alla prima edizione
di Leo Valiani Premessa
1. L’ambiente
2. L’antifascismo e le Valli valdesi fino al 1943
3. L’estate 1943
4. I giorni dell’armistizio
5. La Resistenza in val Pellice dal settembre al dicembre 1943
6. Val Pellice e val Germanasca dal gennaio al marzo 1944
7. Il rastrellamento di marzo
8. La ripresa (primavera 1944)
9. Giugno-luglio: nuova espansione
10. Brevi cenni sugli avvenimenti dall’agosto 1944 alla liberazione
Appendice prima Lettera di Karl Barth ai protestanti di Francia (dicembre 1939) Appendice seconda «Il Pioniere» Anno I, n. 1 – Venerdì 30 giugno 1944
Biografia dell’autore
Donatella Gay Rochat-insegnante, vive e lavora a Torre Pellice.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma-
11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina -Premio Nobel per la Medicina nel 1945-
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1945 -Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni–
– Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, la scuola di Cinema, la scuola di Musica, le Palestre , il Bistrò ,i Bar ,i Ristoranti, le Pizzerie e ancora i Parrucchieri e gli specialisti per la cura della persona e come non ricordare l’Ottica Vigna Pia .Non mancano gli Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra ragazzi ,oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico. Infine, vedendo il tronco della palma tagliato, ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Roma,lungo via Folchi ,con inizio dalla via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri, ma dimenticati su questo muro di cinta . I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta dell’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, lato via Folchi, fa da “sostegno” e “tela” ai murales realizzati in questi 270 metri. L’Opera fu iniziata nel febbraio del 2018 e completata e inaugurata il 3 maggio dello stesso anno. Nei Murales sono immortalati i 13 volti di Scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Il progetto dei Murales, finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, è stato realizzato grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica grave pecca ,ahimè, non vi è immortalata nessuna donna.
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944
Roma l
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da vari Blog e siti web-
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
Biografia di Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina-Premio Nobel per la Medicina nel 1945-
Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina-Premio Nobel per la Medicina nel 1945-Batteriologo inglese (Lochfield, Scozia, 1881 – Londra 1955); prof. di batteriologia nell’univ. di Londra e direttore dell’Inoculation Department del St. Mary’s Hospital; accademico pontificio (1946) e socio straniero dei Lincei (1947)-Alexander nasce il 6 agosto 1881, in una zona rurale nei pressi di Darvelen Ayrshire (Scozia) in una famiglia composta dai genitori e da tre fratelli nati dal secondo matrimonio del padre. Passa l’infanzia e la preadolescenza studiando nelle scuole della zona, dopodiché intorno ai 14 anni si trasferisce a Londra, città in cui convive con uno dei fratelli che studia medicina.
Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina -Premio Nobel per la Medicina nel 1945
La vita dell’uomo che avrebbe scoperto il primo antibatterico della storia è molto più normale di quanto potremmo immaginare: nella capitale inglese, infatti, Alexander frequenta prima il Regent Street Polytechnic Institute e poi per quattro anni lavora in una compagnia che si occupa di spedizioni. Insomma, fa l’impiegato.
Nel 1901 la sua vita prende un’altra piega: eredita dallo zio John una piccola somma di denaro e successivamente il fratello lo convince a iscriversi alla Scuola di Medicina Saint Mary dell’Università di Londra.Durante questi anni entra a far parte del club dei fucilieri dell’università e il suo capitano gli consiglia di unirsi al gruppo di ricerca della facoltà di medicina. È così che Alexander diventa l’assistente batteriologo di Sir Almroth Wright, uno dei primi studiosi di immunologia.
Se inizialmente era intenzionato a diventare un chirurgo, grazie all’esperienza in laboratorio Alexander cambia idea e capisce che quella della batteriologia sarebbe stata la sua strada.
Nel 1906 si laurea in medicina e chirurgia e solamente due anni dopo vince la medaglia d’oro dell’Università e inizia la carriera come Professore sempre all’interno dell’Ateneo.
Nel 1915 si sposa con Sarah Marion McElroy ma durante la Prima Guerra Mondiale viene inviato al fronte occidentale francese per assistere e curare i feriti di guerra. Qui affronta moltissimi casi di setticemia, cancrena e tetano, ed è costretto a mettere alla prova tutte le sue capacità come medico e, in particolare, come batteriologo.
Terminata la guerra Alexander può tornare finalmente a casa: è l’inizio di un nuovo capitolo della sua vita che lo porterà a diventare uno dei precursori della medicina moderna.
La prima grande scoperta arriva nel 1922: il lisozima.
Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina -Premio Nobel per la Medicina nel 1945
Il lisozima (dal greco lysis = dissoluzione) è un enzima, una sostanza composta da proteine che il nostro corpo utilizza per prevenire le infezioni e che è presente nelle lacrime, nelle secrezioni nasali e nella saliva. Alexander scopre l’esistenza di una potente barriera che produciamo autonomamente e che mentre a noi non causa nessun danno, è nociva per i batteri (anche se in modo piuttosto blando).Ma come avviene la scoperta? Casualmente, come spesso accadde nella storia di quest’uomo.
Alexander aveva semplicemente lasciato in un recipiente un po’ del suo stesso muco nasale per qualche settimana e poi, una volta rientrato in laboratorio, aveva notato che si erano sviluppati dei microbi in tutto il recipiente, tranne in quelle zone dove c’era il suo muco.
Decide così di ripetere l’esperimento con altre sostanze che normalmente produce il nostro corpo come le lacrime e la saliva e capisce che tutte contengono un antibatterico, per quanto leggero, del tutto naturale. Non era però in grado di isolarlo perché, purtroppo, nel laboratorio mancava un chimico.
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 11) Alexander Fleming- Batteriologo, scopritore della penicillina- Premio Nobel per la Medicina nel 1944
Grazie allo studio del lisozima e alcune ricerche sulle muffe svolte negli anni successivi, si realizza anche la più grande scoperta di Alexander: la penicillina. È il 1928 e nel suo laboratorio sta studiando e coltivando lo stafilococco, un comune batterio che vive sulla superficie e all’interno del nostro corpo, ma che può generare delle patologie in circostanze particolari.
Anche in questo caso Alexander dopo qualche giorno di assenza torna in laboratorio e scopre che una muffa ha contaminato uno dei recipienti che contenevano una cultura di stafilococchi. La cosa strabiliante è che la colonia di stafilococco a contatto con muffa era stata totalmente distrutta. Il motivo? La muffa, appartenente al genere Penicillium, produceva una sostanza in grado di annientare i batteri. Il 7 marzo del 1929 la sostanza prodotta dalla muffa prende il nome di penicillina.
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
Franco Leggeri Fotoreportage- Ospedale Spallanzani di Roma
Anche in questo caso sono necessari moltissimi altri test di laboratorio per verificare l’efficacia di questa nuova sostanza scoperta, ma – nonostante gli incoraggianti risultati ottenuti – la penicillina diventerà un medicinale diffuso e utilizzato solo 15 anni dopo. Ad aiutare il processo di ingresso della penicillina nel grande mondo dei medicinali furono due studiosi di Oxford, Howard Florey ed Ernst Boris Chain che isolarono la penicillina pura, di gran lunga più efficace di quella grezza prodotta naturalmente dalla muffa. Furono loro ad entrare in contatto con le case farmaceutiche statunitensi e a fare in modo che la penicillina fosse prodotta in enormi quantità.
Nel 1944 Alexander viene nominato Sir, titolo onorifico nei paesi anglofoni, e riceve il Premio Nobel per la Medicina insieme a Florey e Chain.Alexander è spesso collegato al tema della serendipità o – in inglese – “serendipity”. Si tratta della capacità o la fortuna di fare per caso delle scoperte importanti mentre si sta cercando (o in questo caso studiando) altro, come sono state quelle di Alexander in ambito medico-scientifico.
La grandezza di questo medico sta nell’aver predisposto tutte le condizioni affinché le scoperte potessero avvenire e, dall’altro lato, aver saputo osservare i fenomeni che si generavano ed essere riuscito ad interpretarli.Nel 1947 viene a mancare il maestro di Alexander, Sir Almroth Wright, e due anni dopo purtroppo viene a mancare la moglie, Sarah.
Nel 1953 Alexander sposerà la sua seconda moglie, la microbiologa Amalia Coutsoris-Voureka con cui aveva stretto un legame negli anni dopo essere stati colleghi al Saint Mary.Il Dottor Alexander Fleming muore d’infarto l’11 marzo del 1955 a soli 74 anni.
Biografia a cura diA cura di Camilla Ferrario-Fonte-Geopop è un progetto editoriale di Ciaopeople.- https://www.geopop.it/
l’Associazione Graffiti Zero, associazione che promuove l’integrazione fra la Street ha realizzato i Murales dell’Ospedale Spallanzani di Roma
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“Da Sharaja a Roma, lungo la via delle spezie”, la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Roma Capitale-La mostra “Da Sharjah a Roma lungo la via delle spezie”, ospitata all’interno della Curia Iulia, antica sede del Senato Romano, è il frutto della collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sharjah Archaeological Authority, promossa da Sua Altezza lo sceicco Dr. Sultan bin Al Qasimi, membro del Consiglio supremo e sovrano di Sharjah.
L’esposizione, a cura di Eisa Yousif e Francesca Boldrighini, illustra al pubblico, per la prima volta in Italia, gli straordinari ritrovamenti archeologici dell’Emirato di Sharjah: le città di Mleiha e Dibba, fiorite tra l’epoca ellenistica ed i primi secoli dell’Impero Romano, città sorte al centro delle antiche vie carovaniere che collegavano l’India e la Cina con il Mediterraneo e con Roma.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
Testimonianza di questi stretti contatti culturali e commerciali tra Oriente ed Occidente sono gli splendidi oggetti esposti, rinvenuti nelle necropoli e negli abitati: anfore da vino da Rodi e dall’Italia, contenitori dalla Mesopotamia e dalla Persia; unguentari in alabastro dall’Arabia e in vetro dal Mediterraneo orientale; pettini di avorio e gioielli indiani e orecchini di fattura ellenistica; statuine di Afrodite e dediche alla divinità al-Lat; monete indo-greche e romane, originali e di imitazione locale. Tutto concorre a delineare un affresco di grande varietà e ricchezza, una società aperta a numerose e diverse influenze, che potremmo definire ante litteram “multiculturale”.
La mostra, arricchita da un catalogo breve e da un’evocativa videoproiezione, permette inoltre di sottolineare l’importanza dei commerci con l’Oriente per il mondo romano. Le spezie, prima fra tutte l’incenso, prodotto in Arabia erano tra i prodotti più importati e richiesti, e proprio per questo il commercio era regolato dall’autorità imperiale. Il legame con Roma si evidenzia nella presenza nel Foro Romano, a pochi metri dalla sede della mostra, degli Horrea Piperataria, i magazzini voluti da Domiziano per la conservazione del pepe e di altre spezie, che il PArCo ha recentemente restaurato e reso accessibili al pubblico.
Con questa nuova esposizione il Parco archeologico del Colosseo intende proseguire il percorso di divulgazione e ricerca scientifica ampliandolo alla dimensione mediterranea ed internazionale – commenta Alfonsina Russo, Direttore del Parco archeologico del Colosseo. I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi, e i commerci contribuirono ad ampliare le connessioni tra le due regioni, plasmando la storia del Mediterraneo e del Vicino Oriente per secoli.
Ci auguriamo che questa mostra offra ai visitatori l’opportunità di esplorare una storia globale condivisa: questi oggetti non sono semplici reliquie silenziose; sono storie vibranti che ci raccontano come civiltà e città come Roma e Sharjah abbiano stabilito legami che si estendevano lungo migliaia di chilometri – afferma Eisa Yousif, curatore della mostra e direttore della Sharjah Archaeological Authority.
SHARJAH
Sharjah è uno dei sette emirati che compongono la federazione degli Emirati Arabi Uniti. Si trova nella parte centrale della penisola dell’Oman, con accesso sia dal Golfo Arabico a ovest, sia dal mare dell’Oman a est. Rinvenimenti risalenti al periodo Paleolitico in diverse zone dell’emirato di Sharjah testimoniano l’insediamento umano nell’area, fino al Neolitico (9000-4000 a.C.), e all’età del Bronzo
(4000-1250 a.C.) e del Ferro (1250-300 a.C.). In questo periodo nell’area si attesta la domesticazione del cammello, così come la creazione di un sistema di irrigazione che permise un rapido sviluppo dell’agricoltura.
Il periodo di Mleiha (III secolo a.C. – III secolo d.C.) è il tema principale dell’attuale esposizione che narra la storia del misterioso mondo dell’antico Regno dell’Oman durante il periodo ellenistico e romano. Sebbene l’impero di Alessandro e gli stati ellenistici non siano giunti a mettere sotto il loro controllo queste terre, il Golfo ed il lato sud-est della penisola arabica si trovavano al crocevia dei commerci del continente eurasiatico. Mleiha, infatti, costituiva un importante punto di snodo lungo la Via della Seta marittima che collegava l’Occidente, con l’Egitto,
Roma e la Grecia, all’Oriente, con la Mesopotamia, l’India e l’Asia centrale, fino alla Cina, favorendo lo scambio non solo di merci e beni preziosi, ma anche di uomini e di idee che arricchirono la cultura, la religione e la visione del mondo della popolazione locale.
Tra i beni di lusso che giungevano a Roma attraverso la penisola di Oman c’erano le spezie e soprattutto l’incenso. Utilizzate per scopi alimentari, religiosi e medici, le spezie erano talmente richieste e apprezzate che la loro importazione era rigidamente regolamentata dallo Stato, tanto che gli imperatori Flavi fecero costruire nel Foro Romano un apposito magazzino: gli Horrea Piperataria, di recente resi pienamente fruibili alla visita a conclusione delle campagne di scavo archeologico.
Nel sito di Mleiha sono stati rinvenuti vasti cimiteri con tombe monumentali, appartenenti ai membri più importanti della comunità, circondate da tombe più modeste. Le tombe, risalenti al III- inizio del I secolo a.C., erano individuali e variavano in dimensione in base ai corredi funerari ospitati. La più importante tra le tombe monumentali, scoperta nel 2015, costruita con mattoni di gesso intonacato, presentava una pianta a forma di “H” con un lungo corridoio d’ingresso. Saccheggiata in antichità, la tomba fu riutilizzata e un muro di mattoni chiuse il passaggio tra le due camere. Tra i mattoni, uno recava un’iscrizione bilingue (sudarabica e aramaica) datata al 222/221 o 215/214 a.C., che attribuisce la tomba a un ispettore reale del regno dell’Oman. Questo è il primo riferimento storico al regno omanita, citato poi successivamente nel Periplus Maris Erythraei e nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio. I reperti rinvenuti, tra cui un’anfora da vino di Rodi, una ciotola in bronzo decorata con iconografie ellenistiche, africane e arabe, e un set da vino in bronzo, testimoniano non solo l’alto rango del defunto ma anche il prestigio culturale e la consolidata tradizione dell’importazione di vino dal Mediterraneo.
Da Sharaja a Roma lungo la via delle spezie la mostra ospitata dalla Cura Iulia
SHARJAH, ROMA E IL MEDITERRANEO
I legami tra l’Arabia e l’area mediterranea sono antichi e non toccano solo il Mediterraneo orientale, ma anche Roma e la Spagna. Con le conquiste di Alessandro Magno l’Egitto e la Mesopotamia divennero parte del mondo ellenistico. Il Mediterraneo orientale entrò poi a far parte dell’Impero Romano, che si estese più tardi, con Traiano, alla Mesopotamia e all’Arabia.
Nel 24 a.C. Elio Gallo, prefetto d’Egitto, fu inviato dall’imperatore Augusto in Arabia per aprire una via commerciale verso l’India. L’obiettivo era il controllo delle importazioni di merci, e soprattutto delle spezie: secondo Plinio il Vecchio, ogni anno arrivavano a Roma 3000 tonnellate di solo incenso. Ma si importavano anche avorio, seta, pietre preziose, perle, pepe e mirra. L’importanza di queste merci è testimoniata dalla costruzione nel Foro Romano degli Horrea Piperataria – per
immagazzinare pepe (in latino piper) e altre spezie – e della Porticus Margaritaria, dove venivano vendute perle (margaritae).
Le navi romane trasportavano a loro volta verso Oriente tessuti, corallo, gioielli, vetro e oggetti in metallo. Il vino proveniva da Rodi e dal Mediterraneo orientale, ma anche dalla Spagna. Oggetti in vetro, come gli unguentari, venivano spesso importati da Siria ed Egitto. L’influenza romana è attestata anche dai ritrovamenti di monete, sia originali sia imitazioni.
Descrizione del libro Addio Kabul di Domenico Quirico e Farhad Bitani -Dopo una doverosa premessa storica, il giornalista Domenico Quirico affronta in queste pagine un discorso, sotto forma di dialogo-intervista con Farhad Bitani, sulle cause della veloce e ritirata americana dall’Afghanistan e sulle menzogne a cui quanti hanno creduto in 20 anni di missione salvifica, da parte degli americani nei confronti di una popolazione duramente provata dal regime Albano e dai conflitti precedenti, che si è rivelata in atto qualcosa nei diverso.
Una prima reazione condivisibile è quella della delusione e del sentirsi presi in giro, anche se che la guerra non sia un bene per nessuno, soprattutto per i popoli che la subiscono è una verità assoluta in ogni circostanza.
In particolare in questo caso, si parla delle responsabilità occidentali e delle false credenze attribuite all’una e all’altra parte (la stessa popolazione afghana) attraverso un fitto dialogo tra il giornalista de La Stampa, responsabile degli Esteri, corrispondente da Parigi e inviato, Domenico Quririco e l’ex capitano dell’esercito afghano Farhad Bitani, figlio di un generale, che ha vissuto nell’Afghanistan dei mujaheddin e poi dei Talebani e infine si è definitivamente trasferito in Italia, dopo aver frequentato l’Accademia militare di Modena e la scuola di Applicazione di Torino.
Le domande sono poste da Quirico come si trattasse di una lunga intervista, anche se in realtà è più un dialogo a due voci, la parte “occidentale” che tenta di riconoscere e puntare il dito sui limiti del sistema messo in atto dai paesi della coalizione e smaschera le bugie date in pasto all’opinione pubblica e la parte più coinvolta emotivamente, ormai svincolata dalla cruda realtà del paese, a cui guarda con disincanto e senza remore di dire come stanno le cose, che è quella di Bitani, cresciuto come molti in un clima di violenza, sopraffatto da quella stessa violenza, fino ad abituarsene
Perché questi quarant’anni circa di guerra hanno fatto crescere una generazione nel male. Cosa vuol dire? Quando tu cresci nel male, e non conosci il bene, nella vita il male diventa parte di te, ti plasma. Tutto il dolore che vedi pensi che sia ineluttabile, naturale, che faccia parte della vita. Sparare, morire, che una persona venga uccisa, pensi che faccia parte dell’esistenza, pensi che la vita sia questa, perché tu in questo ambiente cresci, fai esperienze, maturi, scegli… Se resti vivo! (p.48)
Particolarmente interessanti sono le parti del libro in cui si cerca di spiegare il perché del fallimento della “missione” che in questi vent’anni ha visto gli Stati Uniti e i paesi della coalizione Nato, compresa l’Italia, impegnati in un’opera di democratizzazione dall’esterno, senza capire che gli strumenti messi a disposizione facevano arricchire più la parte dialogante e politica, che era anche quella corrotta e non aiutavano la popolazione in nessun modo, se non in quello di fargli rimpiangere degli interlocutori che avessero davvero a cuore le sorti del paese, e che in un certo senso non hanno mai smesso di tenerlo in pugno, con la loro promessa di comprensione vera delle dinamiche e nello stesso tempo con la pratica della violenza.
I mujaheddin prima e i Talebani poi, hanno avuto la loro santificazione e la loro contemporanea condanna grazie ad una narrazione volta a creare eroi (Massoud, che per Bitani è un eroe costruito a tavolino dai francesi) o mostri (i Talebani), agli occhi di una sbrigativa opinione pubblica internazionale, che non si è mai veramente addentrata nelle dinamiche di un paese profondamente diviso, disunito, corrotto, tribale e privo di strumenti, che non fossero l’odio contro il nemico e la volontà di approfittarne prima e cacciarlo poi.
Attestandosi battaglie modaiole per i diritti delle donne e per le minoranze apparentemente più fragili le potenze straniere si sono mantenute in superficie, senza scavare nei drammi familiari di un paese che ha i suoi limiti e le sue estensioni ben oltre Kabul, che vive di una religione che è legge coranica e giustizia civile, che si alimenta dei suoi stessi mostri e non conosce i concetti per cui “gli invasori” sono venuti a predicare, senza distinguere nemmeno le minoranze o le differenze linguistiche, abbacinati da spot di democratizzazione che ha dato in pasto lo specchio di ciò che volevamo vedere, per rassicurarci che tutto stesse andando per il verso giusto:
Ma la democrazia non è sollevare il velo, la democrazia è credere, convincersi che è il sistema più giusto, il migliore. Prima bisogna convincere i popoli del significato della democrazia, poi portarla affinché diventi realtà. Invece gli americani hanno portato la democrazia in un Paese dove nessuno sapeva che cosa fosse. (p. 99)
La condizione femminile, la politica, la religione islamica, il rapporto con un Dio totalitario, le bugie la sottile arte della dissimulazione sono alcuni dei temi attorno a cui ruotano i punti di vista, certo personali, ma supportati da un buon numero di evidenze, dei due uomini, narratori e protagonisti, che intrecciano le loro idee e le loro opinioni in un dialogo notturno, che è un viaggio dentro il cuore di tenebra dell’Afghanistan, che rischia di far prevalere questo suo lato oscuro su tutte le cose e di restare invischiato, ancora una volta in una lunga notte di oblio e di terrore, che investe tutte le cose e tutte le apparenti conquiste, bruciate sul rogo delle finte intenzioni e dei goffi tentativi di pulirsi la coscienza, dimenticando chi è rimasto indietro.
Massimo D’Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Vita e opereQuartogenito del marchese Cesare Taparelli d’A.; dopo una brillante giovinezza, dedita soprattutto allo studio della pittura (1820-30 a Roma), frequentò nel 1831 a Milano il cenacolo del Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Di questi anni sono i suoi romanzi (Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, 1833, Niccolò de’ Lapi ovvero I Palleschi e i Piagnoni, 1841; La Lega Lombarda, incompiuto, scritto nel 1845 e pubblicato postumo nel 1871). Sviluppatasi negli anni 1843-44, attraverso colloqui col cugino Cesare Balbo, la passione politica, accettò nel 1845 di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana e al ritorno scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846), pagine ostili alle sètte ma ancor più al malgoverno papale, e auspicanti apertamente una cospirazione pubblica. Espulso dal governo toscano per tale opuscolo, d’A. all’avvento di Pio IX vide possibile la realizzazione del proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 espose il suo pensiero nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana), puntando decisamente prima su Pio IX e poi su Carlo Alberto. Scoppiata la guerra, fu aiutante di campo del gen. Durando e fu ferito al monte Berico (10 giugno 1848). In acre polemica con democratici e repubblicani da lui incolpati del fallimento della guerra del 1848-49, declinò l’invito di formare il ministero piemontese: solo il 7 maggio 1849 s’inchinò davanti all’ordine preciso del re. Chiusa la vertenza austriaca (a tal fine fu costretto a sciogliere la Camera), d’A. seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale e riformò radicalmente (1850) i rapporti fra Stato e Chiesa con le leggi Siccardi. Dimessosi il 22 ottobre 1852 per le difficoltà suscitategli dal “connubio” Cavour-Rattazzi, ebbe in seguito incarichi politici di minore importanza (nel novembre 1855 accompagnò il re a Londra e a Parigi, dove ritornò da solo prima della guerra; nel 1859 fu nominato commissario straordinario nelle Romagne, nel genn. 1860 governatore di Milano), mentre i suoi scritti agivano vitalmente sull’opinione pubblica (articoli antiaustriaci sul Morning Chronicle, 1859, De la politique et du droit chrétien au point de vue de la question italienne, 1860); in questi anni, dimenticando ogni precedente dissidio, aiutò il Cavour in momenti delicati (intervento in Crimea, guerra del 1859), ma successivamente il suo moralismo conservatore e paternalistico gli impedì di cogliere il significato degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti, così si oppose all’unificazione del nord al sud della penisola, giudicandola immatura, e si scagliò, nell’opuscolo Questioni urgenti (1861), contro la prospettiva di portare la capitale a Roma, vedendo in essa un motivo esclusivamente retorico. Solitario e incompreso, d’A. allora scrisse per gl’Italiani, “ancora da fare”, I miei ricordi (incompiuti, si fermano al 1846, pubblicati postumi nel 1867).
Fonte Enciclopedia TRECCANI-
Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOIl Pittore MASSIMO D’AZEGLIOBiblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Rivista PAN n° Settembre 1935l Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-l Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Biblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-Rivista PAN n° Settembre 1935
Biblioteca DEA SABINA-Il Pittore MASSIMO D’AZEGLIO-
Biografia-Fonte Enciclopedia TRECCANI-
Massimo Taparelli marchese d’Azeglio (Torino, 24 ottobre 1798 – Torino, 15 gennaio 1866) è stato un politico, patriota, pittore e scrittore italiano. Vita e opereQuartogenito del marchese Cesare Taparelli d’A.; dopo una brillante giovinezza, dedita soprattutto allo studio della pittura (1820-30 a Roma), frequentò nel 1831 a Milano il cenacolo del Manzoni, del quale sposò la figlia Giulia. Di questi anni sono i suoi romanzi (Ettore Fieramosca o La disfida di Barletta, 1833, Niccolò de’ Lapi ovvero I Palleschi e i Piagnoni, 1841; La Lega Lombarda, incompiuto, scritto nel 1845 e pubblicato postumo nel 1871). Sviluppatasi negli anni 1843-44, attraverso colloqui col cugino Cesare Balbo, la passione politica, accettò nel 1845 di fare per il movimento liberale un viaggio per le Romagne, le Marche e la Toscana e al ritorno scrisse Gli ultimi casi di Romagna (1846), pagine ostili alle sètte ma ancor più al malgoverno papale, e auspicanti apertamente una cospirazione pubblica. Espulso dal governo toscano per tale opuscolo, d’A. all’avvento di Pio IX vide possibile la realizzazione del proprio programma liberale moderato e legalitario (nel 1847 espose il suo pensiero nella Proposta di un programma per l’opinione nazionale italiana), puntando decisamente prima su Pio IX e poi su Carlo Alberto. Scoppiata la guerra, fu aiutante di campo del gen. Durando e fu ferito al monte Berico (10 giugno 1848). In acre polemica con democratici e repubblicani da lui incolpati del fallimento della guerra del 1848-49, declinò l’invito di formare il ministero piemontese: solo il 7 maggio 1849 s’inchinò davanti all’ordine preciso del re. Chiusa la vertenza austriaca (a tal fine fu costretto a sciogliere la Camera), d’A. seppe mantenere, nonostante le pressioni austriache, il sistema costituzionale e riformò radicalmente (1850) i rapporti fra Stato e Chiesa con le leggi Siccardi. Dimessosi il 22 ottobre 1852 per le difficoltà suscitategli dal “connubio” Cavour-Rattazzi, ebbe in seguito incarichi politici di minore importanza (nel novembre 1855 accompagnò il re a Londra e a Parigi, dove ritornò da solo prima della guerra; nel 1859 fu nominato commissario straordinario nelle Romagne, nel genn. 1860 governatore di Milano), mentre i suoi scritti agivano vitalmente sull’opinione pubblica (articoli antiaustriaci sul Morning Chronicle, 1859, De la politique et du droit chrétien au point de vue de la question italienne, 1860); in questi anni, dimenticando ogni precedente dissidio, aiutò il Cavour in momenti delicati (intervento in Crimea, guerra del 1859), ma successivamente il suo moralismo conservatore e paternalistico gli impedì di cogliere il significato degli avvenimenti che si compirono nel 1860 e negli anni seguenti, così si oppose all’unificazione del nord al sud della penisola, giudicandola immatura, e si scagliò, nell’opuscolo Questioni urgenti (1861), contro la prospettiva di portare la capitale a Roma, vedendo in essa un motivo esclusivamente retorico. Solitario e incompreso, d’A. allora scrisse per gl’Italiani, “ancora da fare”, I miei ricordi (incompiuti, si fermano al 1846, pubblicati postumi nel 1867).
-Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”-
Rivista PAN-n°12 del 1935
Giosuè CARDUCCI:”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”Giuseppe De Robertis :”Nascita della Poesia Carducciana”
Gianni RODARI muore il 14aprile 1980-Il Partigiano e lo Scrittore e Poeta dei bambini-
Roma, 14 aprile 2022– Ricorre oggi il 42esimo anniversario dalla scomparsa di Gianni Rodari, morto il 14 aprile del 1980 a Roma. Il 10 aprile 1980 venne ricoverato in una clinica a Roma per potersi sottoporre ad un intervento chirurgico alla gamba sinistra, data l’occlusione di una vena; morì quattro giorni dopo, il 14 aprile, per shock cardiogeno, all’età di 59 anni. Le sue spoglie furono sepolte nel cimitero del Verano, dove tuttora riposano.
Gianni RODARI
Nato il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul lago d’Orta, lo scrittore piemontese è stato anche pedagogista, giornalista, poeta e partigiano italiano, specializzato in letteratura per l’infanzia e tradotto in molte lingue. Con le sue storie, ha fatto viaggiare con l’immaginazione diverse generazioni di bambini. Dopo aver conseguito il diploma magistrale, per alcuni anni ha fatto l’insegnante. Al termine della Seconda guerra mondiale ha intrapreso la carriera giornalistica, che lo ha portato a collaborare con numerosi periodici, tra cui «L’Unità», il «Pioniere», «Paese Sera». A partire dagli anni Cinquanta ha iniziato a pubblicare anche le sue opere per l’infanzia, che hanno ottenuto fin da subito un enorme successo di pubblico e di critica. I suoi libri hanno avuto innumerevoli traduzioni e hanno meritato diversi riconoscimenti, fra cui, nel 1970, il prestigioso premio «Hans Christian Andersen», considerato il «Nobel» della letteratura per l’infanzia.
Negli anni Sessanta e Settanta ha partecipato a conferenze e incontri nelle scuole con insegnanti, bibliotecari, genitori, alunni. E proprio dagli appunti raccolti in una serie di questi incontri ha visto la luce, nel 1973, Grammatica della fantasia, che è diventata fin da subito un punto di riferimento per quanti si occupano di educazione alla lettura e di letteratura per l’infanzia. Gianni Rodari è morto a Roma nel 1980. Tra le sue opere più significative: Le avventure di Cipollino, Gelsomino nel paese dei bugiardi, Filastrocche in cielo e in terra, Favole al telefono, Il libro degli errori, C’era due volte il barone Lamberto.
Tra le sue innumerevoli opere ha scritto diversi testi con un messaggio pacifista. Qui sotto sono riportate due sue poesie contro la guerra.
Promemoria
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare,
preparare la tavola
a mezzogiorno.
Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per non sentire.
Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno, né di notte,
né per mare, né per terra:
per esempio, la guerra.
Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno,
brilla in cielo l’arcobaleno:
è come un ponte imbandierato
e il sole vi passa, festeggiato.
È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede – questo è il male –
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra
Armi dell’allegria
Eccole qua
le armi che piacciono a me:
la pistola che fa solo pum
(o bang, se ha letto qualche fumetto)
ma buchi non ne fa…
il cannoncino che spara
senza far tremare
nemmeno il tavolino…
il fuciletto ad aria
che talvolta per sbaglio
colpisce il bersaglio
ma non farebbe male
né a una mosca né a un caporale…
Armi dell’allegria!
le altre, per piacere,
ma buttatele tutte via!
Per Gianni Rodari i bimbi erano portavoce di grandi verità e meritavano di essere ascoltati; ecco quali motivi ritmati ha ideato appositamente per loro:
Gianni RODARI
1) La cicala e la formica
Chiedo scusa alla favola antica
se non mi piace l’avara formica
io sto dalla parte della cicala
che il più bel canto non vende…
regala!
2) Bambini, imparate a fare cose difficili
È difficile fare le cose difficili:
parlare al sordo,
mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare cose difficili:
dare la mano al cieco,
cantare per il sordo,
liberare gli schiavi che si credono liberi.
3) Como nel comò
Una volta un accento
per distrazione cascò
sulla città di Como
mutandola in comò.
Figuratevi i cittadini
comaschi, poveretti:
detto e fatto si trovarono
rinchiusi nei cassetti.
Per fortuna uno scolaro
rilesse il componimento
e liberò i prigionieri
cancellando l’accento.
Ora ai giardini pubblici
han dedicato un busto
“A colui che sa mettere
gli accenti al posto giusto”.
4) Tutti gli animali
Mi piacerebbe un giorno
poter parlare
con tutti gli animali.
Che ve ne pare?
Chissà che discorsi geniali
sanno fare i cavalli,
che storie divertenti
conoscono i pappagalli,
i coccodrilli, i serpenti.
Una semplice gallina
che fa l’uovo ogni mattina
chissà cosa ci vuol dire
con il suo coccodè.
E l’elefante, così grande e grosso,
la deve saper lunga
più della sua proboscide:
ma chi lo capisce
quando barrisce?
Nemmeno il gatto
può dirci niente.
Domandagli come sta
non ti risponde affatto.
O – al massimo – fa “miao”,
che forse vuol dire “ciao”.
5) Il primo giorno di scuola
Suona la campanella;
scopa, scopa la bidella;
viene il bidello ad aprire il portone;
viene il maestro dalla stazione;
viene la mamma, o scolaretto,
a tirarti giù dal letto…
Viene il sole nella stanza:
su, è finita la vacanza.
Metti la penna nell’astuccio,
l’assorbente nel quadernuccio,
fa la punta alla matita
e corri a scrivere la tua vita.
Scrivi bene, senza fretta
ogni giorno una paginetta.
Scrivi parole diritte e chiare:
Amore, lottare, lavorare.
6) Il paese delle vacanze
Il Paese delle Vacanze
non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai.
7) Per la mamma
Filastrocca delle parole
si faccia avanti chi ne vuole.
Di parole ho la testa piena
con dentro “la luna” e “la balena”.
Ma le più belle che ho nel cuore
le sento battere: “mamma”, “amore”.
8)Filastrocca corta e matta
Filastrocca corta e matta:
il porto vuole sposare la porta;
la viola studia il violino;
il mulo dice: “Mio figlio è il mulino”;
la mela dice: “Mio nonno è il melone”;
il matto vuole essere un mattone.
E il più matto della terra
sapete che vuole?
Fare la guerra!
9) Filastrocca di primavera
Filastrocca di primavera
più lungo è il giorno,
più dolce la sera.
domani forse tra l’erbetta
spunterà la prima violetta.
Oh prima viola fresca e nuova
beato il primo che ti trova,
il tuo profumo gli dirà,
la primavera è giunta, è qua.
Gli altri signori non lo sanno
e ancora in inverno si crederanno:
magari persone di riguardo,
ma il loro calendario va in ritardo.
10) Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
E’ come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.
E’ bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.
Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa si che sarebbe una festa.
Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.
11) Le favole al rovescio
C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa
la guardia alla pentola.
Poesie dell’autore de Grammatica della fantasia
12) A un bambino pittore
Appeso a una parete
ho visto il tuo disegnino:
su un foglio grande grande
c’era un uomo in un angolino.
Un uomo piccolo, piccolo,
forse anche
un po’ spaventato
da quel deserto bianco
in cui era capitato,
e se ne stava in disparte
non osando farsi avanti
come un povero nano
nel paese dei giganti.
Tu l’avevi colorato
con vera passione:
ricordo il suo magnifico
cappello arancione.
Ma la prossima volta,
ti prego di cuore,
disegna un uomo più grande,
amico pittore.
Perché quell’uomo sei tu,
tu in persona, ed io voglio
che tu conquisti il mondo:
prendi, intanto
tutto il foglio!
Disegna figure
grandi grandi,
forti, senza paura,
sempre pronte a partire
per una bella avventura.
13) Il punto interrogativo
C’era una volta un punto
interrogativo, un grande curiosone
con un solo ricciolone,
che faceva domande
a tutte le persone,
e se la risposta
non era quella giusta
sventolava il suo ricciolo
come una frusta.
Agli esami fu messo
in fondo a un problema
così complicato
che nessuno trovò il risultato.
Il poveretto, che
di cuore non era cattivo,
diventò per il rimorso
un punto esclamativo.
14) Tragedia di una virgola
C’era una volta
una povera virgola
che per colpa di uno scolaro
disattento
capitò al posto di un punto
dopo l’ultima parola
del componimento.
La poverina, da sola,
doveva reggere il peso
di cento paroloni,
alcuni perfino con l’accento.
Per la fatica atroce morì.
Fu seppellita
sotto una croce
dalla matita
blu del maestro,
e al posto di crisantemi e sempreverdi
s’ebbe un mazzetto
di punti esclamativi.
15)La famiglia Punto e virgola
C’era una volta un punto
e c’era anche una virgola:
erano tanto amici,
si sposarono e furono felici.
Di notte e di giorno
andavano intorno
sempre a braccetto:
“Che coppia modello”
la gente diceva
“che vera meraviglia
la famiglia Punto-e-virgola”.
Al loro passaggio
in segno di omaggio
perfino le maiuscole
diventavano minuscole:
e se qualcuna, poi,
a inchinarsi non è lesta
la matita del maestro
le taglia la testa.
16) Autunno
Il gatto rincorre le foglie
secche sul marciapiede.
Le contende (vive le crede)
alla scopa che le raccoglie.
Quelle che da rami alti
scendono rosse e gialle
sono certo farfalle
che sfidano i suoi salti.
La lenta morte dell’anno
non è per lui che un bel gioco,
e per gli uomini che ne fanno
al tramonto un lieto fuoco.
17) Chi è uomo
Con un gran frullo d’ali
dal campo, spaventati,
i passerotti in frotta
al nido son rivolati.
Raccontano ora al nonno
la terribile avventura:
“C’era un uomo! Ci ha fatto
una bella paura.
Peccato per quei chicchi
sepolti appena ieri.
Ma con quell’uomo… Ah, nonno,
scappavi anche tu, se c’eri.
Grande grande, grosso grosso,
un cappellaccio in testa,
stava li certamente
per farci la festa…”.
“E che faceva?”. “Niente.
Che mai doveva fare?
Con quelle braccia larghe
era brutto da guardare!”.
“Non lavorava?”. “O via,
te l’abbiamo già detto.
Stava ritto tra i solchi
con aria di dispetto…”.
“Uno spaventapasseri,
ecco cos’era, allora!
Non sapevate che
non è un uomo chi non lavora?”.
Poesie di Gianni Rodari, brevi o che arrivano fino nello spazio
18) La bugia
Nel paese della bugia,
la verità è una malattia.
19) Quanto pesa una lacrima?
La lacrima di un bambino capriccioso
pesa meno del vento,
quella di un bambino affamato
pesa più di tutta la terra.
20) Il sole
Dica ognuno
quel che vuole:
la meglio stufa
è sempre sole.
21)Distrazione interplanetaria
Chissà se a quest’ora su Marte,
su Mercurio o Nettuno,
qualcuno
in un banco di scuola
sta cercando la parola
che gli manca
per cominciare il tema
sulla pagina bianca.
E certo nel cielo di Orione,
dei Gemelli, del Leone,
un altro dimentica
nel calamaio
i segni d’interpunzione …
come faccio io.
Quasi Io sento
lo scricchiolio
di un pennino
in fondo al firmamento:
in un minuscolo puntino
nella Via Lattea
un minuscolo scolaretto
sul suo libro di storia
disegna un pupazzetto.
Lo sa che non sta bene,
e anch’io lo so:
ma rideremo insieme
quando lo incontrerò.
22)La luna bambina
E adesso a chi la diamo
questa luna bambina
che vola in un “amen”
dal Polo Nord alla Cina?
Se la diamo a un generale,
povera luna trottola,
la vorrà sparare
come una pallottola.
Se la diamo a un avaro
corre a metterla in banca:
non la vediamo più
nè rossa nè bianca.
Se la diamo a un calciatore,
la luna pallone,
vorrà una paga lunare:
ogni calcio un trilione.
Il meglio da fare
è di darla ai bambini,
che non si fanno pagare
a giocare coi palloncini:
se ci salgono a cavalcioni
chissà che festa;
se la luna va in fretta,
non gli gira la testa,
anzi la sproneranno
la bella luna a dondolo,
lanciando grida di gioia
dall’uno all’altro mondo.
Della luna ippogrifo
reggendo le briglie,
faranno il giro del cielo
a caccia di meraviglie.
I versi che abbiamo apprezzato a scuola
23)Girotondo in tutto il mondo
Filastrocca per tutti i bambini,
per gli italiani e per gli abissini,
per i russi e per gli inglesi,
gli americani ed i francesi;
per quelli neri come il carbone,
per quelli rossi come il mattone;
per quelli gialli che stanno in Cina
dove è sera se qui è mattina.
Per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci
e dormono dentro un sacco di stracci;
per quelli che stanno nella foresta
dove le scimmie fan sempre festa.
Per quelli che stanno di qua o di là,
in campagna od in città,
per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,
con le mani nelle mani,
sui paralleli e sui meridiani…
24)Il Paese Senza Errori
C’era una volta un uomo che andava per terra e per mare
in cerca del Paese Senza Errori.
Cammina e cammina, non faceva che camminare,
paesi ne vedeva di tutti i colori,
di lunghi, di larghi, di freddi, di caldi,
di così così:
e se trovava un errore là, ne trovava due qui.
Scoperto l’errore, ripigliava il fagotto
e ripartiva in quattro e quattr’otto.
C’erano paesi senza acqua,
paesi senza vino,
paesi senza paesi, perfino,
ma il Paese Senza Errori dove stava, dove stava?
Voi direte: Era un brav’uomo. Uno che cercava
una bella cosa. Scusate, però,
non era meglio se si fermava
in un posto qualunque,
e di tutti quegli errori
ne correggeva un po’?
25)L’odore dei mestieri
Io so gli odori dei mestieri:
di noce moscata sanno i droghieri,
sa d’olio la tuta dell’operaio,
di farina sa il fornaio,
sanno di terra i contadini,
di vernice gli imbianchini,
sul camice bianco del dottore
di medicina c’è un buon odore.
I fannulloni, strano però,
non sanno di nulla e puzzano un po’.
Grottaferrata-Roma -Eccellenze ad Arte nel Villino Rosso di Villa Cavalletti-
Grottaferrata-Roma -Fino al prossimo 28 febbraio 2025 il Villino Rosso ex frantoio di Villa Cavalletti, oggi Museo dell’Olio a Grottaferrata ospita la mostra “I Pini” dell’artista romano Claudio Spada, mentre, all’esterno, nel parco della Villa, è esposta l’opera di Andrea Roggi “Il Futuro è nelle radici”, esposizioni curate da Tiziana Todi, della storica Galleria Vittoria di Via Margutta a Roma.
Un progetto partito alla fine di novembre del 2024, quello del Museo dell’Olio, che ha visto protagonista il Gruppo Tierre che ha deciso di sviluppare e valorizzare il villino rurale rendendolo un luogo di cultura del territorio e di esperienze legate alla produzione agricola di qualità.
L’obiettivo è di mantenere l’identità storica del luogo aprendolo ai visitatori.
Una vera e propria experience in un connubio perfetto tra eccellenze del territorio ed arte contemporanea.
Raccontare un tempo recente, quindi, restaurando un manufatto del XVII secolo, tutelato come bene di notevole interesse storico dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Attraverso un allestimento scenotecnico e illuminotecnico il Villino Rosso si è trasformato anche in uno spazio polivalente dove sono esposte le opere di Claudio Spada, della serie “I Pini”.
Come la curatrice Tiziana Todi dichiara: “Il lavoro di Claudio Spada è un’indagine profonda sul rapporto tra natura e città, tra memoria storica e sperimentazione artistica. I pini romani, protagonisti indiscussi del paesaggio urbano, trovano in Spada un interprete capace di restituirne la maestosità, non si limita a ritrarre questi alberi iconici, ma li trasforma in un ponte tra l’antico e il contemporaneo. Se la tradizione pittorica romana ha celebrato il paesaggio con una tavolozza naturale, Spada sovverte questa eredità. La sua pittura sperimenta accostamenti cromatici audaci: il blu elettrico, il rosso intenso e altre tonalità che amplificano l’impatto emotivo. In questo contesto, il Museo dell’Olio, ospitato nell’ex frantoio di Villa Cavalletti, diventa la cornice ideale per le opere di Spada. Anche il museo, seppur restaurato, conserva i colori originali e audaci che raccontano la sua lunga storia. I muri, con le loro tinte calde e vissute, dialogano perfettamente con le tele dell’artista, creando un connubio visivo e sensoriale unico.
Le pennellate di Spada, così come le pareti del museo, celebrano il tempo, la trasformazione e la continuità tra passato e presente. Le opere, immerse in un contesto che ha saputo preservare la sua autenticità, sembrano risuonare con la memoria storica del luogo, amplificandone la bellezza intrinseca. L’accostamento tra le tele di Spada e gli ambienti del museo non è solo un incontro estetico, ma un dialogo profondo tra due linguaggi: quello della pittura, che racconta il paesaggio e la sua anima, e quello architettonico, che conserva e tramanda le tracce di un tempo passato. In questo modo, la mostra diventa un’esperienza completa, in cui arte e spazio si intrecciano per offrire una riflessione sulla capacità della bellezza di sopravvivere, evolversi e continuare a ispirare.”
All’esterno del Villino, nel Parco di Villa Cavalletti troviamo la scultura di Andrea Roggi “Il Futuro è nelle Radici”, un’opera imponente in bronzo, con un basamento in travertino, ottenuta con la tecnica della fusione a cera persa e patina a fuoco.
Come dichiara Tiziana Todi: “Si tratta di un Albero della Vita, tema da sempre caro al Maestro Roggi. Questa scultura è il frutto di una riflessione intorno al tempo, legato alla compagine sociale di singoli individui. All’interno della produzione del Maestro Andrea Roggi, l’Albero della Vita agisce quale collegamento fra le meditazioni più teoretiche ed universali e quelle più pratiche e singolari. Come il tempo può essere suddiviso in passato, presente e futuro, infatti, l’Albero della Vita può essere suddiviso in radici, tronco e rami. Le radici corrispondono al passato giacché esse traggono nutrimento dalla terra, ossia da ciò che esiste prima di noi, come la cultura e la tradizione. Il tronco corrisponde al presente ed assume tratti antropomorfi dal momento che è l’unico segmento esistenziale entro il quale possiamo agire. Non basta semplicemente agire, tuttavia, sembra comunicarci il Maestro Roggi: dobbiamo agire con amore. Per questo il tronco è costituito da due individui immortalati in un abbraccio appassionato. Infine, i rami, i quali spuntano dal tronco come relativa e naturale prosecuzione, rappresentano il futuro, ossia l’effetto dell’incontro fra passato e presente. Essi sono carichi di frutti, giacché i valori e l’educazione ricevuti in passato, coniugati con le azioni dettate dall’amore operate nel presente, determinano un futuro virtuoso, positivo.”
Villa Cavalletti
Villa Cavalletti, compresa nell’area di Tusculum risalente al X secolo a.C, è una storica Villa Rustica romana e importante sito archeologico, protetta dal Ministero dei Beni Culturali e all’interno del Parco Regionale dei Castelli Romani. Questo luogo di pace e spiritualità, amato anche dai papi, comprende una tenuta agricola biologica con vigneti, oliveti monumentali e grani antichi, un parco secolare e varie strutture, tra cui il Villino Rosso, dedicato alla cultura agricola dei Castelli Romani. Il complesso è stato recentemente riqualificato dall’Azienda Agricola Biologica Tierre dell’omonimo gruppo italiano. Villa Cavalletti offre una collezione di prodotti e di esperienze con le quali vivere la tradizione dei Castelli Romani, antico locus amoenus per la salubrità dell’aria, l’esposizione felice e per la qualità del terreno vulcanico minerale: una memoria oggi riscoperta e attualizzata dalla proprietà, in una costante ricerca di alta qualità e sostenibilità produttiva.
Villa Cavalletti
Via XXIV Maggio 73/75 00046 Grottaferrata-Roma
CONTATTI:www.villacavalletti.it
info@villacavalletti.it
+39 06 945416001+39 3393877250
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