Pier Luigi Guiducci, Quella Casa che vola. La storia delle sacre pietre di Loreto-
Gruppo Editoriale Albatros Il Filo, Roma
Descrizione del libro del Professor Pier Luigi Guiducci–Quella Casa che volaLa storia delle sacre pietre di Loreto.Per alcuni secoli si è dibattuto sulle pietre conservate nella “Camera di Maria” a Loreto. Diversi autori hanno espresso riserve sull’autenticità dei reperti. In pratica, quella stanza conservata all’interno del santuario della città mariana delle Marche rimane al massimo un sito devozionale, intorno al quale sono fiorite storie fantasiose. Ma questo orientamento ha trovato nel tempo una serie di controrepliche che sono state riassunte dallo storico Prof. Pier Luigi Guiducci nel libro: “Quella Casa che vola. La storia delle sacre pietre di Loreto“.
In particolare, lungo il migrare del tempo, chi ha difeso il valore della “Camera di Maria” a Loreto, ha ricordato la tradizione orale, quella scritta, le evidenze riscontrate (ad es. la Camera non ha fondamenta; testimonianze di autorità ecclesiali e scientifiche che hanno letto un fascicolo su Loreto contenuto nell’Archivio Segreto Vaticano), e le guarigioni non sempre spiegabili. Il colpo di scena, però, è avvenuto negli anni Sessanta (XX sec.) quando si è deciso di promuovere scavi archeologici e di esaminare i graffiti individuati nelle pietre. Un secondo fatto nuovo ha riguardato l’individuazione di un atto notarile inserito nel c.d. Chartularium Culisanense. In questo documento si trova un foglio che elenca i beni dotali consegnati da Thamar di Epiro al promesso sposo Filippo I d’Angiò. Al punto 3 c’è il riferimento alle sacre pietre che costituivano l’abitazione della Vergine Maria a Nazareth. Da questo momento in poi la ricerca degli studiosi ha affrontato le strade più diverse per comprendere come le sacre pietre siano alla fine arrivate nelle Marche (colle Prodo) e non a Taranto (sede di Filippo I d’Angiò) o a Napoli (centro di potere degli Angiò).
È certamente quest’ultimo punto il fatto che attrae il lettore. La vicenda coinvolge gli armatori che, dietro pagamento, garantivano trasporti via mare, la Famiglia Angelo (i cui membri erano chiamati gli Angeli), Niceforo I di Epiro, Carlo II d’Angiò, i Padri Domenicani (e soprattutto il vescovo fr. Salvo) e altre persone che si occuparono del trasporto navale lungo il Mar Adriatico cercando di evitare le insidie del tempo (liberi predatori, il controllo di Venezia, soggetti in cerca di reliquie).
Ma ad attirare i lettori è anche la lettura dei graffiti studiati osservando le pietre lauretane. Emerge così sia l’origine mediorientale, sia il collegamento con l’area della Sacra Grotta dell’Annunciazione che è a tutt’oggi venerata a Nazareth. In tale contesto, il prof. Guiducci ha saputo chiarire vari aspetti della “Questione lauretana” superando ogni polemica, e rimanendo rispettoso di un’ampia documentazione riportata nel suo libro. Si chiarisce così l’autenticità delle pietre, il collegamento Nazareth-Loreto, la figura del domenicano fra Salvo, l’interazione Domenicani-Angiò, la scelta finale ove ricomporre le “sacre pietre”.
Riteniamo questo libro un esempio di chiarezza scientifica. Senza giocare su stati emozionali, e senza indulgere su facili devozionalismi, l’A. si mostra rigoroso nella ricerca, attento agli studi realizzati (si pensi allo spazio riservato alle note a fine pagina e alle indicazioni bibliografiche), e scrupoloso osservatore delle evidenze.
Biografia del Professor Pier Luigi Guiducci-Storico della Chiesa e Giurista, l’autore vanta nel suo cursus docenze presso la Pontificia Università Salesiana, l’Università Cattolica del Sacro Cuore (Roma e Milano), e il Centro Diocesano di Teologia per Laici (Istituto Ecclesia Mater, Pontificia Università Lateranense).
Autore di più di duecento libri, tra questi una storia della Chiesa in quattro volumi. Ha saputo divulgare la propria scienza anche attraverso migliaia di saggi, articoli, interventi, apporti in testi con più autori. È Consulente storico di Postulazioni, Organismi cattolici e civili in Italia e all’Estero. Per la sua attività scientifica ha ricevuto premi e riconoscimenti in diversi Paesi. I suoi studi sulla Camera di Maria a Loreto iniziano nel 1987. Pellegrino con l’OAMI, tenne una lectio magistralis nell’auditorium del santuario (1988) e pubblicò il primo saggio sulla questione lauretana nel 1989. La madre, Valentina, prestò servizio nei treni UNITALSI diretti a Loreto (anche con i bambini malati).
In questi ultimi anni si è registrata una copiosa e sorprendente serie di studi sulla Santa Casa di Loreto, i quali esprimono tre orientamenti interpretativi in merito al suo trasporto da Nazareth a Loreto negli anni 1291-1294: alcuni – pochi – ripropongono la tradizione devota del suo trasporto per ministero angelico con argomentazioni già espresse per lo più nel passato; pochi altri negano l’origine nazaretana della Santa Casa, in considerazione soprattutto della tardività delle fonti scritte che la attestano; altri, in maggior numero, ammettono l’autenticità della reliquia nazaretana, ma propongono un trasporto delle “sacre pietre” via mare, per iniziativa umana, con specifico riferimento alla famiglia Angelo dell’Epiro-Tessaglia, come aveva ipotizzato il sottoscritto nelle sue pubblicazioni sull’argomento, a partire dal 1984 fino alle recenti riedizioni. Su quest’ultima interpretazione dell’evento si colloca il presente libro del professore Pier Luigi Guiducci, il quale rivela un’encomiabile conoscenza del complesso argomento e della rispettiva bibliografia.
[P. Giuseppe Santarelli OFM cap.].
Info:
Gruppo Editoriale Albatros Il Filo, Roma 2024
Via dei Campi Flegrei, 14 – Roma www.gruppoalbatros.com – bookstore@gruppoalbatros.com – lettura@gruppoalbatros.com
Contesto storico. Tradizione. Documenti. Ricerche. Indagine archeologica. Analisi. Evidenze.
Prefazione di P. Giuseppe Santarelli OFM Cap.
Àlbatros, Roma, ottobre 2024, pagine 165, euro 13,90.
Franco Leggeri Fotoreportage -Castelnuovo di Farfa (Rieti)-
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo -Castelnuovo di Farfa-La notte estiva castelnuovese con il suo splendido cielo e le sue stelle simili a margherite ed ecco il miracolo del giallo notturno. I bar sono illuminati da una luce gialla che attira le falene, così irrimediabilmente attratte da essa. Le falene sembrano ripetere il passeggio della gente , alcune si posano sulle sedie accatastate, come essere in attesa del caffè. In questa notte blu che si contrappone al colore giallo dei bar castelnuovesi, se passeggi per la strada, via Roma, sembra di entrare in un dipinto. Diventa lo sguardo un pennello che deposita colori che delimitano i contorni di questa notte castelnuovese . Gli occhi si soffermano, indugiano, su ogni elemento della composizione di questa splendida scenografia castelnuovese.
Sono un ammiratore inguaribile del grande scrittore Ernest Hemingway e vorrei immaginare se anche qui in qui in questa notte e nei bar castelnuovesi , avrebbe lasciata scritto : “My mojito in La Bodeguita, my daiquiri in El Floridita”, credo di si. Nella notte castelnuovese , se la sai vivere, ti riserva , se lo sai individuare, l’angolo “intellettuale”. Un angolo che sarebbe o farebbe la felicità per gli amanti della fotografia, della pittura e dell’architettura del paesaggio, così come l’interpreta e la descrive Goethe. Ai passeggiatori attenti e amanti della notte castlnuovese non può essere sfuggito che la Valle , dominata da Castelnuovo, è una visione, uno stato d’animo, sensibilità per l’astratto e immateriale che solo loro, gli Artisti e i bambini lo sanno individuare e vivere. Parlo di quel particolare momento, durante il crepuscolo, che preannuncia il passaggio dalla luce al buio: la cosiddetta “Ora Blu”. “L’heure bleue”, cara alla poetica , alla contemplazione e ai voli immensi che solo i notturni sottolineati dalle note di Chopin sanno trasformare la realtà in estasi che, poi, si sveglia alle note del Jazz. Ai Bar di castelnuovo potresti ordinare un mojito e se ti allontani per gustarlo , per esempio sulla piazza da qui puoi estasiarti nel vedere la “luce della notte” che illumina la Valle e, se osservi attentamente, scopri che la Valle non è solamente illuminata , ma è baciata, con dolcezza, dal cielo stellato di questo caldo agosto castelnuovese; visioni che solo qui puoi scoprire perché il cielo sopra Castelnuovo è affollato di stelle che disegnano e sottolineano un’architettura dell’immaginario, il suo silenzio, e accende la natura che diventa palcoscenico teatrale o set cinematografico, un ponte tra il reale e il fantastico che, tra un mojito e l’altro, ti consente di compiere incursioni nel fiabesco e nel magico. Sensazioni che solo in queste notti d’estate qui a Castelnuovo,ai tavoli dei Bar di Castelnuovo oppure passeggiando per le sue vie e immergendoti nel silenzio delle case addormentate riesci a scoprirle. Solo “l’ora bleu” di Castelnuovo genera sensazioni, visioni suggestive e sempre originali sino al limite della fantasia. Immaginate se Ernest Hemingway qui seduto nella piazza “all’Here Blue” a gustare il suo rum, chissà, forse, avrebbe scritto: “Il Vecchio e la Valle del Farfa”, o no?Metti una notte estiva a Castelnuovo, immaginate di passeggiare lungo via Roma , io l’ho fatto, sembra di essere in una notte stellata tra i boulevard e i caffè illuminati di Parigi.
Articolo e Fotoreportage di Franco Leggeri
Castelnuovo lo ami sempre di più fino a che non si arrende.
Articolo scritto per la Rivista PAN n°8 del 1935 diretta da Ugo Ojetti
Rivista Pan (sottotitolo: «Rassegna di lettere, arte e musica») fu una rivista di lettere, arte e musica, fondata da Ugo Ojetti nel 1933.
Descrizione
La rivista professava un sollecito ossequio a tutte le forme del regime, condivideva gli obiettivi di grandezza nazionale e di ordine nuovo da instaurare nella società italiana e dava il suo pieno consenso ai miti della civiltà latino-mediterranea e del fascismo universale.
Redatta da Giuseppe De Robertis e dal giovane scrittore Guido Piovene per la milanese Rizzoli, Pan, rispetto alla rivista Pegaso che l’aveva preceduta, allarga gli orizzonti a interessi più ampi, spaziando dalla letteratura greca e latina, alla storia, alle arti figurative, secondo un ideale di Humanitas completamente antinovecentesco e filofascista che venne espresso nel numero del gennaio 1934 nell’Avvertenza al lettore.
L’allineamento al regime di Pan passa dai contributi dell’architetto ufficiale del regime Marcello Piacentini e del compositore Ildebrando Pizzetti, alle adulazioni di Ojetti che nel suo articolo Scritti e discorsi di Benito Mussolini, febbraio 1935, ne esalta l’oratoria e altre virtù.
Per quanto riguarda la musica classicistica e antiavanguardista, Mario Labroca esalta la “ricchezza ritmica, chiarezza, logicità di linguaggio” dello stile musicale di Stravinskij.
A parte le specializzazioni differenti, le due riviste di Ojetti sono sostanzialmente simili. Pan terminerà le pubblicazioni nel 1935.
Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze
Interlinea edizioni
Descrizione-Ormai Bella ciao è tornata a essere una canzone dei giovani e circola anche all’estero, grazie alla serie Netflix La casa di carta e ai cori delle piazze invase dalle “sardine”. Ma le sue origini sono a lungo rimaste sconosciute, con vere e proprie fake news che negano il suo legame con la lotta partigiana. Il maggiore storico della cultura orale, Cesare Bermani, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà».
Oltre Bella ciao. Storie di resistenza
Cesare Bermani, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà».
Il 24 aprile su Radio 3-Farenheit è andata in onda l’intervista a cura di Loredana Lipparini allo storico Cesare Bermani, per raccontare il suo nuovo libro “Bella ciao”
Di seguito trascriviamo parte dell’intervista:
Cominciamo da una storia che abbiamo sentito cantare da ultimo in un video pochissimi giorni fa dai vigili del fuoco inglesi dedicandola all’Italia. L’abbiamo ascoltata anche a sorpresa in una serie tv molto popolare La casa di carta e la sentiremo cantare domani comunque, e in qualsiasi forma. Ma la storia di Bella ciao è più lunga e riserva anche delle sorprese, come racconta Cesare Bermani. Cesare Bermani è tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, è stato tra i primi ad utilizzare le fonti orali per la ricostruzione storica e per Interlinea ha pubblicato Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze
Prima domanda. Ma la canzone della resistenza era Fischia il vento, lei scrive, è cosi?
Al Nord sicuramente Fischia il vento era molto popolare e molto cantata. Però in centro Italia veniva cantata anche Bella ciao, forse soprattutto Bella ciao, dalla formazione della Brigata Maiella e dalle formazioni che diedero vita a Montefiorino. Questo però all’inizio non lo sapevamo. Infatti spesso, quando facemmo lo spettacolo Bella ciao a Spoleto..
Quello spettacolo del ‘64 che suscitò un putiferio?
Si quello. Io mi occupavo del fascicolo che veniva poi usato in teatro, e quello che scrissi allora era che non c’erano prove che Bella ciao fosse stata cantata durante al Resistenza. Ma scrivevo questo perché allora non avevamo ancora fatto la ricerca su Bella ciao, nessuno si era preso la briga di andare a vedere se era vero o no che la canzone fosse stata cantata durante la Resistenza. Immediatamente dopo abbiamo fatto ampie ricerche e abbiamo emendato questo nostro errore iniziale dovuto anche al fatto che abbiamo imparato a fare ricerca sul campo e quindi facendo errori. A questo punto si può dire che è una bufala, o meglio un’auto-bufala, che Bella ciao non fosse cantato durante la Resistenza.
Riassumendo per ora, Fischia il vento nasce al nord in formazione partigiana comunista. La seconda ?
Ci sono due versioni, perché sono nate indipendentemente l’una dall’altra. Quella della Brigata Maiella che poi è venuta su al nord con la quinta armata è una canzone che ha delle strofe che parlano della Brigata Maiella, e questa canzone veniva cantata soprattutto quando avvenivano degli spostamenti, perché quando si spara è un po’ difficile cantare, ma quando ci si muove il canto viene naturale nelle formazioni partigiane. Una è la canzone della Maiella che solo molto tardi grazie ad una lettera che un partigiano scrisse a Indro Montanelli sul Corriere della Sera indicando che loro cantavano questa canzone. Questo partigiano, che poi io intervistai, si chiamava Proserpio, mi fece capire con precisione che si trattava di una trasformazione della canzone epico lirica Fior di tomba.
Che però era della prima guerra mondiale?
Anche prima, era una canzone popolare che poi venne adattata nella prima guerra mondiale e che venne nuovamente riadattata nella guerra partigiana e ne abbiamo almeno due versioni. Una è quella della Maiella, l’altra è quella dei partigiani che si trovavano di partecipare alla Repubblica i Montefiorino. Questi due testi sono molto diversi, però per tutti e due si capisce con chiarezza che sono trasformazioni di Fior di tomba. Come lei sa le canzoni popolari si trasformano..
E il canto delle mondariso, delle mondine?
Anche questa è una storia abbastanza divertente. Perché noi sentimmo per la prima volta il canto delle mondine da Givanna Daffini, la quale infondo ci imbrogliò raccontando che l’aveva cantata durante il fascismo. Questo perché Giovanna Daffini aveva capito che noi ricercatori eravamo particolarmente interessati a canzoni di protesta durante il regime fascista: in realtà la canzone che lei ci cantò e che prendemmo per buona, poiché eravamo degli apprendisti alle prime armi, saltò poi fuori non fosse così. Perché ci fu un certo Vasco Scansani, che aveva fatto il partigiano in Emilia, il quale rivendicò di averla fatta durante una riunione di teatro nel ‘51-52. Ci sembrò bellissimo che Bella ciao provenisse da una canzone partigiana e una canzone di lavoro, ma in realtà le cose non stavano così.
Bella ciao: dalla Liberazione alle Sardine e Netflix
La fortuna di Bella ciao dalla Liberazione alle Sardine e Netflix: un libro sulla canzone diventata inno anche dell’emergenza Covid-19
Il maggiore storico italiano della tradizione orale, Cesare Bermani, rilegge l’evoluzione della canzone in un libro di Interlinea: Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenza. Cantata sui balconi dell’emergenza sanitaria e dai protagonisti della serie tv La casa di carta, nelle piazze delle “sardine” e sempre più all’estero, Bella ciao è diventata una delle canzoni più celebri nel mondo e in occasione del 25 aprile 2020.
Cesare Bermani, nato a Novara nel 1937 e tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, ricostruisce l’avventura di questo canto popolare «così amato da chi vuole la libertà» e per Interlinea ha curato il romanzo della Marchesa Colombi In risaia con Silvia Benatti e il romanzo inedito di Ernesto Ragazzoni L’ultima dea.
In occasione dell’uscita del suo libro, l’abbiamo intervistato per sfogliare in anteprima le pagine di Bella ciao.
Nonostante la canzone per antonomasia associata alla Resistenza italiana e nel mondo sia Bella ciao, nel suo libro lei ci parla di un’altra canzone più nota in quegli anni.
Nel periodo della Resistenza circolavano tantissime canzoni. Le diverse brigate avevano a volte anche inni che le connotavano, ma non ebbero mai un inno ufficiale. Tuttavia la canzone di gran lunga più popolare, e non solo fra le brigate garibaldine, soprattutto al Nord, fu Fischia il vento. Se si vuole accostare Fischia il vento a Bella ciao occorre però dire che sono state all’origine canzoni profondamente diverse. La prima è un canto nato al Nord in una formazione partigiana comunista ed è un canto prevalentemente antifascista, che spesso non nasconde come la finalità della lotta sia la realizzazione di un’Italia socialista, e comunque sempre profondamente diversa da quella lasciata in eredità dal fascismo.
La seconda è con ogni probabilità nata in Abruzzo, dove la Resistenza ha avuto una connotazione ben diversa che al Nord, in una formazione partigiana non garibaldina ed è un canto contro l’invasore tedesco.
Se Fischia il vento fu la canzone più cantata della Resistenza, tuttavia anche Bella ciao fu cantata dalle formazioni partigiane che dal Centro Italia salirono al Nord affiancate agli Alleati. Ed è a essa, oggi identificata come la canzone della Resistenza italiana, che è toccato poi di diventare l’inno di tutti i ribelli del mondo.
A cosa si deve quindi il successo poi crescente di Bella ciao?
Fischia il vento venne ampiamente e rapidamente sostituita da Bella ciao, in un processo spontaneo di massa che fu certo influenzato dal nuovo quadro politico ma non solo: giocarono infatti anche trasformazioni complessive del gusto musicale e l’accompagnamento con il battito delle mani, non ultima ragione della fortuna di Bella ciao. Così una canzone non connotata dal punto di vista politico e accennante solo all’«invasor», quindi in grado di essere fatta propria da tutti i partigiani, divenne nel giro di pochi anni la canzone per antonomasia della Resistenza. Cantata in ogni manifestazione, Bella ciao partigiana divenne quindi dalla metà degli anni sessanta anche la matrice testuale e musicale di varie canzoni di fabbrica, di partiti e di gruppi politici. Con l’avvento del centrosinistra la Resistenza diventò infatti il fondamento della ideologia della «Repubblica nata dalla Resistenza» e della «guerra di liberazione nazionale», un vero e proprio canone ufficiale di auto interpretazione, e la canzone un’auto legittimazione della Repubblica.
Come mai sono circolate così tante fake news intorno a questa canzone?
Le origini di Bella ciao sono a lungo rimaste sconosciute. Questo è dipeso dal fatto che per un non breve periodo la canzone è stata ignorata dai libri di storia e dai canzonieri della Resistenza, ciò che ha permesso alla bufala che non sia stata cantata nei mesi della lotta partigiana di giungere sino a oggi, accreditata purtroppo anche da giornalisti studiosi quali Bepi De Marzi, Arrigo Petacco, Giorgio Bocca, Giampaolo Pansa, tanto da poter essere ribadita nel 2018 anche dal giornalista Luigi Morrone.
Come viene usata oggi nel mondo questa canzone?
Dopo una momentanea decrescita negli anni Settanta, Bella ciao riprese tutto il suo vigore contestativo nel 2001, nelle manifestazioni contro il G8 di Genova, venendo da allora cantata dovunque ci siano conflitti. Divenuto uno dei canti di resistenza dei giovani del Leftist Jordanian Movement, cantatissimo durante le rivolte arabe del 2011 dai giovani mediorientali di sinistra, cantata dai giovani del Parco di Gezi a Istanbul contro l’abbattimento di centinaia di alberi per costruire un centro commerciale, ha dato inizio a una mobilitazione in difesa dei diritti civili repressa ferocemente da Erdogan. Nel 2012 un’iniziativa del regista e ambientalista belga Nic Balthasar aveva invitato a registrare musica e parole della canzone su un video per inviarlo agli organizzatori delle lotte ambientaliste, coinvolgendo circa 380 000 persone di ogni parte del mondo. Già in precedenza, sull’aria di Bella ciao, va almeno segnalata Sing for the climate (Canta per il clima), che è diventata la colonna sonora della protesta globale contro gli sconvolgimenti climatici. In Francia il 15 maggio 2016 Bella ciao è stata suonata a Parigi durante la rivolta contro la legge sul lavoro di François Hollande. In Spagna la canzone è diventata la colonna sonora della serie tv La casa di carta (2017), lanciata dalla multinazionale Netflix e divenuta forse la trasmissione a puntate più vista al mondo. Infine in Italia tra novembre 2019 e febbraio 2020 le manifestazioni delle “sardine” sono state accompagnate dall’inno di Bella ciao.
Come detto in precedenza Bella ciao è considerata l’inno per eccellenza alla libertà. Ma come mai?
Risponderei con una citazione di Moni Ovadia che ho inserito nel finale del libro, tratta dalla prefazione a “Bella ciao”. La canzone della libertà di Carlo Pestelli:
«Ho sempre pensato che la capacità di un canto di suscitare adesione, emozione e coinvolgimento sia la prova provata dell’universalità della condizione umana al di là di confini, nazioni, sistemi di governo e persino delle differenze culturali e delle lingue che pure rappresentano l’espressione della bellezza e del genio molteplice di una comune appartenenza antropologica e di un solo destino: il destino condiviso per la passione della libertà.»
Non credo si possa esprimere meglio perché questo canto sia oggi così amato da chi vuole la libertà e contemporaneamente avversato da ogni genere di reazionario.
Cesare Bermani (Novara 1937), tra i fondatori dell’Istituto Ernesto de Martino, è stato fra i primi a utilizzare criticamente le fonti orali ai fini della ricostruzione storica.È autore di molti libri tra cui Al lavoro nella Germania di Hitler. Racconti e memorie dell’emigrazione economica italiana. 1937-1945 (Bollati Boringhieri, Torino 1988); Trentacinque anni di vita del Nuovo Canzoniere Italiano/Istituto Ernesto de Martino (Jaca Book, Milano 1997); Pane, rose e libertà. Le canzoni che hanno fatto l’Italia (Rizzoli, Milano 2011). Per Interlinea Cesare Bermani ha curato il romanzo della Marchesa Colombi In risaia (1994, con Silvia Benatti); le poesie in dialetto novarese di Sandro Bermani Un poeta, una città (2001); il romanzo di Ernesto Ragazzoni L’ultima dea (2004); i saggi «Vieni o maggio». Canto sociale, racconti di magia e ricordi di lotta della prima metà del XX secolo (2009) e Bella ciao. Storia e fortuna di una canzone: dalla resistenza italiana all’universalità delle resistenze (2020). Vive a Orta san Giulio dove ha sede il suo archivio di registrazioni sulla tradizione orale.
DEASCRIZIONE-In Metafisica concreta Giovanni Maria Sacco compie un affascinante viaggio fotografico attraverso l’Italia. Il libro è ricco di fotografie in bianco e nero, molte su pellicola di grande formato, che ricostruiscono i tratti dell’architettura razionalista italiana e di luoghi misteriosi e stranianti.
Sono immagini caratterizzate da un forte impatto emotivo, nonostante edifici, monumenti e chiese siano privi di decorazioni, completamente nude, a significare la loro vera essenza, che va oltre il tempo perché la verità delle cose è eterna. L’autore si avvicina alle cose attraverso la fotografia per rivelare ciò che esiste oltre l’apparenza. La metafisica si occupa di ciò che va oltre l’universo fisico che noi percepiamo: in questo lavoro la macchina fotografica diventa uno strumento per creare metafore e per descrivere quella che per l’autore è la metafisica o, come suggerisce il titolo attraverso un ossimoro, una metafisica concreta. I vari archetipi architettonici, dall’arco ai pilastri e le colonne, sono immuni allo scorrere del tempo.
Infine, la condizione umana. Nelle fotografie di Metafisica concreta spiccano le architetture – gli edifici razionalisti di Tresigallo, il cretto di Burri o la terrazza Mascagni di Livorno – ma è assente l’uomo.
Giovanni Maria Sacco (nato a Roma nel 1954) è stato professore universitario di informatica per trent’anni, fino a quando si è dimesso per seguire la sua passione per la fotografia. Le sue fotografie abbracciano molti temi diversi: rovine moderne (grandi fabbriche, soprattutto), architettura, nature morte, ritratti, nudi, ecc. In tutti questi temi, ciò che Sacco cerca è la bellezza che trova sia nell’impermanenza e nel declino delle umane cose, sia nell’impassibilità delle costruzioni architettoniche. Applica alle sue immagini il rasoio di Ockham: tutto e solo ciò che serve, niente di più, niente di meno. La composizione delle sue fotografi e è anche profondamente influenzata dal suo interesse per la pittura, da Duccio ai pittori contemporanei. Nel 2023 ha pubblicato il libro Silent Theaters con Kehrer Verlag. Dal 2015 ha ricevuto più di cento premi nei più importanti concorsi internazionali: Architecture Master Prize, International Photo Awards (IPA), Fine Art Photography Awards (FAPA), Prix de la Photographie Paris (PX3), tra gli altri. Le sue opere sono state esposte a Torino, Milano, Roma, Trieste, Venezia, Arles, Glasgow, New York, Miami, Dali (Cina), Dubai, Tokyo e Zurigo. Utilizza macchine fotografiche digitali e a pellicola da 6×6 a 20x25cm.
Roma va in scena all’ Altrove Teatro Studio “LE SORELLASTRE”
spettacolo scritto da Ottavia Bianchi- regia di Giorgio Latin
Roma-Torna in scena a grande richiesta per la sesta stagione, dall’8 al 10 novembre all’Altrove Teatro Studio, LE SORELLASTRE spettacolo scritto da Ottavia Bianchi e diretto da Giorgio Latini, vincitore del Primo premio nella sezione “Opera teatrale inedita” di “Castrovillari città cultura”; Primo premio alla Drammaturgia Brillante Silvano Ambrogi, Pubblicato dalla Casa Editrice MDS Editore con il patrocinio dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”.
Le Sorellastre è una commedia dai risvolti drammatici che racconta la storia di quattro sorelle Emma, Emilia, Elvira e Ughetta che, lontane e in cattivi rapporti da molti anni, sono improvvisamente obbligate a passare insieme ventiquattro ore in occasione della veglia alla morte della vecchia madre. Infatti è in ballo un’inaspettata eredità che permetterà alle Sorellastre di rimettere a posto alcuni aspetti della loro esistenza. Tuttavia, c’è una condizione per riceverla: dovranno giocare a un gioco inventato dalla madre stessa, una sorta di gioco dell’oca con l’indicazione di cose da fare e cose da dire. L’obbligo è di dire la verità. L’eredità in palio diventa l’innesco di un vero e proprio gioco al massacro fatto di rappresaglie, antichi rancori e desideri di vendetta mai sopiti. Il ritmo è brillantissimo; i colpi di scena si susseguono in modo sorprendente fino a rendere esilaranti e paradossali tutte le enormi e comiche bugie su cui le Sorellastre hanno basato le loro esistenze.
“Il testo è stato in parte ispirato da una serie di interviste molto personali fatte alle attrici stesse della compagnia ma anche a persone di età ed estrazione culturale delle più disparate_ annota Ottavia Bianchi. “ Il risultato di queste intime conversazioni è stata una divertente conferma: la casa natale non è sempre un bel posto dove crescere e imparare le cose del mondo e di questo, per sopravvivere, si può ridere attraverso il meraviglioso genere della commedia. Per famiglia intendo non solo i vincoli di sangue che spesso non rendono giustizia al diritto di ognuno di noi all’amore e all’accoglienza. Famiglia è un qualsiasi gruppo di persone accomunate da un bisogno, un desiderio, un problema importante che le tenga legate. L’essere umano in sé è un animale che repelle e attrae allo stesso tempo proprio perché, nonostante secoli di evoluzione, non ha imparato ancora le regole del vivere. La società cambia, l’uomo no. Le pareti di una stanza chiusa, come chiuso e segreto può essere lo spazio intimo della famiglia, sono il ring ideale per smascherare, attraverso il riso, il mito dell’evoluzione umana.”
LE SORELLASTRE
Venerdì e sabato ore 20
Domenica ore 17
Biglietti: Intero 15€_ Ridotto 10€
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia 53, Roma
Ortona (Chieti)- Bando VII Concorso Internazionale di Canto “F.P.TOSTI”2024-
Ortona( CH), 1-novembre 2024-La grandezza della semplicità, del sentimento d’amore che abbraccia e unisce: c’è nelle Romanze di Francesco Paolo Tosti un’attualità vibrante, sganciata dalle convenzioni e profondamente umana. Così il concorso a lui intitolato dalla sua città natale, Ortona, rappresenta un’opportunità che prova a superare il perimetro della sola qualità tecnica e offrire ai concorrenti il palcoscenico privilegiato della presenza di una giuria con personalità di spicco in diversi ambiti della vita musicale. “Di un concorso è certamente importante il giudizio in gara che determina i vincitori, ma per tutti i concorrenti assume particolare significato anche il rilievo da parte dei giurati del loro talento e delle loro potenzialità, indipendentemente dal risultato e dal fatto che nella competizione, come può succedere, non abbiano dato il meglio di sé”, sottolinea il presidente della giuria Nazzareno Carusi, pianista e consigliere di amministrazione del Teatro alla Scala.
Il concorso di canto intitolato a Francesco Paolo Tosti si svolge ogni quattro anni, e non è un caso. La scelta è ponderata dalla consapevolezza del tempo necessario alla maturazione artistica dei giovani talenti. Il patrimonio universale delle Romanze tostiane, infatti, ha radici profonde nella più alta cultura, non solo musicale. “Tosti sviluppa con assoluta maestria gli insegnamenti della Scuola napoletana – dice ancora Carusi – e dipinge l’animo umano e i suoi sentimenti nelle loro mille sfaccettature, nei toni più luminosi o più oscuri, con melodie e armonie che vestono a meraviglia i testi utilizzati, a cominciare da quelli dell’amico Gabriele d’Annunzio”. Cosa si aspetta dai giovani del concorso? “La preparazione che sola è capace di far brillare il talento”, risponde Carusi. “E poi la semplicità, che è specchio di equilibrio laddove la complicazione non sempre è prova del valore. Tosti ne è perfetto esempio. Poche note e brevi testi rivelano universi dispiegati in ogni canto. Perché se complessa è la natura umana, non deve forzatamente esserlo il suo racconto”. Cosa consiglia a chi vuole iniziare un percorso artistico? “Lo studio senza fine, ma prima sincerandosi d’averne il talento necessario. Il solo impegno, per quanto appassionato, non basta. La qualità musicale, e non solo quella, non è una somma di addendi bensì un prodotto di fattori, dei quali il talento è il primo. Poi, vengono gli altri. Ma se il talento manca, se il talento è zero, per quanto grande voglia essere il numero degli altri fattori, il prodotto sarà sempre e comunque uguale a zero”.
La giuria del settimo Concorso Internazionale “Francesco Paolo Tosti”, presieduta da Nazzareno Carusi è composta da Giorgio Battistelli (compositore, direttore artistico del Festival MiTo e dell’Orchestra Haydn di Bolzano); Eleonora Buratto (soprano); Carlo Fontana (presidente di Impresa Cultura Italia, già sovrintendente del Teatro alla Scala); Michele Gamba (direttore d’orchestra e pianista); Paola Leolini (docente di canto); Alberto Mattioli (critico musicale); Fortunato Ortombina (sovrintendente della Fenice di Venezia e sovrintendente designato del Teatro alla Scala di Milano) e Antonio Poli (tenore).
Le iscrizioni al concorso si possono effettuare solo online al link www.istitutonazionaletostiano.org.
Note biografiche –Francesco Paolo Tosti (Ortona, 9 aprile 1846 – Roma, 2 dicembre 1916) è stato un compositore italiano, conosciuto per essere stato l’autore di celebri romanze da salotto o da camera.
Quinto dei cinque figli sopravvissuti di Giuseppe, commerciante ortonese, studiò col maestro Saverio Mercadante presso il Conservatorio di San Pietro a Majella di Napoli, dove si diplomò in violino e composizione nel 1866.
Iniziò a lavorare organizzando spettacoli e dirigendo opere per gli impiegati della ferrovia adriatica, seguendo i lavori tra Ortona e Ancona; si trasferì poi a Roma dove, sfruttando la sua voce tenorile, iniziò ad esibirsi come cantante: grazie a questa attività divenne una celebrità e iniziò a frequentare gli ambienti mondani della capitale, venendo assunto come maestro di canto di Margherita di Savoia, la futura regina d’Italia. Qui strinse amicizia con altri due grandi abruzzesi Gabriele D’Annunzio, uno dei massimi poeti italiani del tempo, e Francesco Paolo Michetti, noto pittore.
Alla fine degli anni 1870 si trasferì a Londra dove, grazie al Lord Mayor e all’appoggio del celebre violoncellista Gaetano Braga, suo corregionale, nel 1880 entrò alla corte della regina Vittoria come maestro di canto: mantenne la sua posizione anche sotto il suo successore, Edoardo VII, che nel 1908 gli conferì il titolo di baronetto: intanto, pur riluttante, aveva accettato anche la cittadinanza britannica (1906). Per tutto il suo periodo inglese continuò ad aver rapporti con l’Italia, dove trascorreva regolarmente alcuni periodi.
Alla morte di Edoardo VII (1910) decise di rientrare definitivamente in Italia e di stabilirsi a Roma, dove morì presso l’Hotel Excelsior nel 1916.
Tra le sue oltre cinquecento romanze per canto e pianoforte, i cui testi vennero scritti anche da poeti come Antonio Fogazzaro, Rocco Pagliara, Naborre Campanini e Gabriele d’Annunzio, e sono stati interpretati dalle voci di Enrico Caruso, Tito Schipa, Giuseppe Di Stefano, Alfredo Kraus, Jussi Bjorling, Luciano Pavarotti, Mina e José Carreras, si ricordano brani tuttora molto eseguiti, quali: L’alba separa dalla luce l’ombra, Malìa, Vorrei morir, Non t’amo più, L’ultima canzone, Ideale e A Marechiare, su testo di Salvatore di Giacomo, divenuto un classico della canzone napoletana.
Città di Latina-Premio COMEL: grande successo per l’inaugurazione di Alluminio, sotto la superficie-
Città di Latina-Inaugurata lo scorso sabato, 26 ottobre 2024, la mostra “Alluminio, sotto la superficie”, fase conclusiva della XI edizione del Premio COMEL, è stata letteralmente un bagno di folla, che si è riversato nella galleria di via Neghelli a Latina. Tantissimi appassionati, artisti del capoluogo e venuti da fuori, esperti del settore, cittadini curiosi di scoprire l’arte in alluminio.
Questa XI mostra del Premio COMEL ne è un bellissimo esempio: 13 opere che utilizzano l’alluminio in 13 modi diversi e scavano nell’intimità del sentire, forti del tema proposto quest’anno che ha invitato i partecipanti ad andare al di là delle apparenze, al cuore delle cose superando ogni esteriorità, ogni finzione. Partendo dalla capacità dell’alluminio di proteggere sé stesso dagli agenti esterni attraverso una patina protettiva, che gli permette di mantenere intatte le sue caratteristiche, gli artisti sono andati oltre questa barriera protettiva, che ricorda le maschere che le persone più sensibili mettono su per proteggere i propri sentimenti, le proprie vulnerabilità.
In queste 13 opere si nota infatti il mettersi a nudo degli artisti partecipanti, il desiderio di vedere la realtà per come si presenta: priva di orpelli e sovrastrutture.
L’acqua, la natura, il magma primordiale da cui nasce la vita, sono i luoghi ideali di queste opere; la mente, i ricordi, i tasselli che compongono l’Io, le esperienze ne sono il contenuto, e la mostra offre un viaggio in 13 mondi differenti, che lavorano il materiale con tecniche e stili diversi, ma tutti di altissimo livello tecnico.
E se l’arte contemporanea è esattamente la sperimentazione, l’ecletticismo, la continua fluidità, si può dire che “Alluminio, sotto la superficie” ne è un felice esempio. Come hanno potuto testimoniare gli artisti e i membri della giuria presenti alla serata: oltre a Giorgio Agnisola che ha introdotto l’esposizione, Bruna Esposito artista di fama internazionale e il critico d’arte Stefano Taccone, che insieme ad Alessandro Beltrami hanno selezionato i 13, tra quasi 400 iscritti, e decreteranno il vincitore della XI edizione.
I visitatori della mostra saranno altrettanto protagonisti perché votando le tre opere preferite potranno scegliere il vincitore del Premio COMEL del Pubblico. L’invito ai cittadini è quello di esserci, passeggiare tra le opere e provare a capire quale mondo interiore in esposizione si avvicina di più al proprio, al personale modo di sentire, alla propria sensibilità e scegliere le tre opere che parlano dirette al loro cuore. Si potrà votare fino al 10 novembre.
In attesa della cerimonia di premiazione che si terrà sabato 16 novembre, la mostra sarà visitabile tutti i giorni (tranne il 1° novembre) dalle 17 alle 20.
I 13 finalisti:
Sasho Blazes (Ocrida, Macedonia); Maria ElenaBonet (Minsk, Bielorussia/Sant’Elia Fiumerapido, FR, Italia); Massimo Campagna (Napoli, Italia); Stefania De Angelis (Roma, Italia); Rebecca Diegoli e Francesca Vimercati (Pavia e Besana in Brianza, Italia); Gianluigi Ferrari (Altilia, CS, Italia), James Fausset Harris (Gedda, Arabia Saudita/Carrara, MS, Italia); Robert Hromec (Bratislava, Slovacchia); Rosy Losito (Bari/Latina, Italia); Dimitar Minkov (Pleven, Bulgaria); Gloria Rustighi (Massa, MS, Italia); Karolina Stefańska (Cracovia, Polonia); Achilles Vasileiou (Atene, Grecia).
INFO
Alluminio, sotto la superficie – Premio COMEL Vanna Migliorin Arte Contemporanea XI edizione
Promossa e organizzata da Maria Gabriella Mazzola e Adriano Mazzola
Dal 26 ottobre al 16 novembre 2024
Inaugurazione: 26 ottobre 2024 ore 18.00
Fine votazioni del pubblico: 10 novembre 2024
Premiazioni: 16 novembre 2024 ore 18.00
Apertura: tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.00 eccetto il 1° novembre
Spazio COMEL Arte Contemporanea, Via Neghelli 68 – Latina
Gibellina è la “Capitale italiana dell’Arte contemporanea” per l’anno 2026
Roma – Gibellina è la “Capitale italiana dell’Arte contemporanea”-A proclamarla, oggi 31 ottobre, è stato il Ministro della Cultura, Alessandro Giuli, nel corso della cerimonia che si è svolta oggi a Roma, nella Sala Spadolini del Ministero, alla quale sono intervenuti il Direttore Generale Creatività Contemporanea, Angelo Piero Cappello, e la Presidente della Giuria, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo.
La cerimonia si è svolta alla presenza dei rappresentanti delle cinque città finaliste: Carrara, Gallarate, Gibellina, Pescara e Todi.
La città vincitrice, grazie anche al contributo statale di un milione di euro, potrà mettere in mostra, per il periodo di un anno, progetti culturali che prevedono attività come mostre, festival e rassegne, oltre alla realizzazione e la riqualificazione di spazi e aree dedicate alla fruizione dell’arte contemporanea.
Queste le motivazioni della scelta della giuria, maturata al termine della procedura di selezione condotta in piena autonomia dai componenti: “La prima ‘Capitale italiana dell’Arte contemporanea’ con la sua candidatura offre al nostro Paese un progetto organico e solido, consegnando all’Italia di oggi un esemplare modello di intervento culturale, fondato su valori e azioni che riconoscono all’arte una funzione sociale e alla cultura lo statuto di bene comune. Per la sua capacità progettuale nel riattivare il suo straordinario patrimonio di opere, coniugando nel presente memoria e futuro, conservazione e valorizzazione, attenzione al locale e ambizione internazionale; per la sua capacità di coinvolgimento delle nuove generazioni e della cittadinanza tutta, interpellando il territorio più ampio sulla base di una comune consapevolezza civica, stringendo alleanze con istituzioni pubbliche e private, nazionali e transnazionali; per il fatto di essere Città pioniera di ciò che oggi definiamo rigenerazione urbana, e per la capacità di essere insieme una città-opera e una città da abitare: per il suo progetto, con il quale la città diventerà un grande laboratorio dove le pratiche e le energie dell’arte contemporanea saranno chiamate a condividere pensieri e soluzioni sui temi dello spazio pubblico, della comunità, del paesaggio, della sostenibilità e del capiente concetto di eredità. Per tutti questi motivi sopra esposti, riteniamo di poter individuare, quale città ‘Capitale italiana dell’arte contemporanea’ 2026 la città di Gibellina”.
“L’istituzione del titolo di ‘Capitale italiana dell’Arte contemporanea’ – ha dichiarato il Ministro Giuli – vuole rendere un nuovo, doveroso tributo alla creatività e al genio italiani, ed è la conferma dell’impegno fattivo del Governo per restituire all’Italia, alle sue città, ai suoi territori e ai suoi abitanti, la consapevolezza di essere l’Italia”.
SINTESI DEL PROGETTO VINCITORE
“Portami il Futuro”: Un progetto ambizioso che si sviluppa attraverso iniziative legate all’arte e alla creatività contemporanea, dalla progettazione culturale alla rigenerazione urbana, al restauro e soprattutto alla costruzione di una visione sul futuro che sappia tener conto della bellezza come valore condiviso e rigenerante.
LA PROCEDURA DI SELEZIONE DEL 2024
23 le città italiane che hanno presentato il dossier di candidatura alla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura. Ad ottobre sono stati resi noti i nomi delle cinque città finaliste, che la Giuria, presieduta da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e composta da Sofia Gnoli, Walter Guadagnini, Renata Cristina Mazzantini e Vincenzo Santoro, ha scelto dopo aver esaminato le candidature pervenute. Le singole delegazioni hanno successivamente presentato alla Giuria i progetti elaborati per ciascuna nel corso di audizioni pubbliche, che si sono svolte il 25 ottobre a Roma, nella Sala Spadolini del Ministero della Cultura.
IL TITOLO DI CAPITALE ITALIANA DELL’ARTE CONTEMPORANEA
La Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura ha lanciato il 15 aprile 2024 il bando per la designazione della prima “Capitale italiana dell’Arte contemporanea” per l’anno 2026. Il nuovo riconoscimento è istituito per incoraggiare e sostenere la capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della promozione e valorizzazione dell’arte contemporanea.
Nobuyoshi Araki compiles decades’ worth of images in this ultimate retrospective of his career. First published as a Limited Edition and now in a new, compact format, this collection delves deep into Araki’s best-known imagery: Tokyo street scenes; faces and foods; sensual flowers; female genitalia; and the Japanese art of bondage.
Dopo aver studiato fotografia, cominciò a lavorare per l’agenzia pubblicitariaDentsu, dove conobbe la sua futura moglie, Yoko. Dopo il matrimonio Araki pubblicò una raccolta di fotografie (Sentimental journey, 1971) scattate alla moglie durante il loro viaggio di nozze. Yoko morì nel 1990 di cancro alle ovaie, e le foto dei suoi ultimi giorni vennero pubblicate da Araki in un libro dal titolo Winter journey.
Ha pubblicato più di 350[1]libri ed è considerato uno degli artisti più prolifici di sempre. Ha lavorato anche per riviste come Playboy, Déjà-Vu ed Erotic Housewives. È stato più volte arrestato in Giappone, anche se non è mai finito in carcere, con l’accusa di oscenità; anche il direttore di un museo venne arrestato per aver esposto alcune sue foto.
^ Il numero dipende da come vengono contate le riedizioni di opere già pubblicate. Ma Kōtarō Iizawa ne ha contate 357 in Araki-bon! 1970–2005 / A Book of Araki Books! 1970–2005 (Tokyo: Bijutsu Shuppansha, 2006; ISBN 4-568-12071-3). (Nonostante il titolo alternativo in inglese, il libro è solo in giapponese)
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