Santa Teresa d’Avila e la Poesia mistica- Articolo di Antonio Tarallo-
“Il poeta comincia dove finisce l’uomo”, così sentenziava il filosofo spagnolo José Ortega Y Gasset. Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, nella sua profonda esperienza mistica, si è servita anche della poesia, oltrepassando così con i suoi componimenti quel guado che divide l’uomo dall’infinito.
Eppure troppe volte sono stati dimenticati i suoi versi in cui è possibile trovare un vero e proprio scrigno di bellezza e di spiritualità. Al loro interno, infatti, è possibile persino scovare quella che sarà poi conosciuta comunemente la “trasverberazione del cuore”, una delle grazie mistiche di cui santa Teresa spiegherà nella sua Vita, l’autobiografia della santa: il dardo, la “freccia” dell’Amore di Dio colpisce il suo cuore, lo tramuta e lo sublima facendolo avvicinare al Cuore di Dio in nozze mistiche. Nozze che, in molte occasioni, sembrano essere celebrate dalla santa nei suoi componimenti poetici: santa Teresa ascende a Dio così come discende nelle profondità della poesia.
L’Estasi di Santa Teresa d’Avila-Opera del Bernini
Sfogliando queste pagine poetiche, è possibile dividere la produzione in versi in tre determinati gruppi: prima di tutto troviamo le poesie mistiche nelle quali si respira tutta la spiritualità della santa; il secondo gruppo comprende le poesie che hanno come oggetto le feste liturgiche come il Natale, l’Epifania o l’Esaltazione della Croce; e, infine, il terzo gruppo, scritte – come lei stessa le definisce – con “stile di fratellanza e di ricreazione”: sono versi che celebrano avvenimenti interni alla comunità religiosa per allietare le consorelle della comunità monastica.
Tre diverse situazioni poetiche, ma con un elemento in comune ben preciso: la Bellezza. Santa Teresa è stata sempre affascinata – fin dalla fanciullezza – dalla bellezza artistica, nelle sue diverse espressioni, ma specialmente era attratta dall’arte pittorica e scultorea. Più volte, nel libro della sua Vita, si sofferma sul piacere che prova per l’armonia scaturita dalla musica del fruscio della campagna che la circonda. Più volte si sofferma sulle note di una canzone che ha ascoltato. E’ proprio questo, infondo, l’humus dell’anima da cui nasceranno i suoi versi, frammenti poi di una Bellezza ancora più vasta, quella del Signore. Un riassunto della sua visione poetica è possibile trovarlo in questi suoi versi che delineano, tratteggiano con efficacia il suo animo poetico dedicato a Dio: “Bellezza che trascendi/ ogni bellezza!/ Senza ferire, fate soffrire;/ senza dolore, voi fate morire”. Passare in rassegna tutte le poesie che ha composto santa Teresa sarebbe impresa alquanto ardua visto la molteplicità di temi affrontati. Cercheremo, allora, di fare una breve selezione.
Vivo sin vivir en mi (Vivo ma non vivo in me) è questo il nome di una delle poesie-canzoni più importanti della sua produzione. I versi racchiudono ossimori e altre figure retoriche assai care ai poeti, di ogni epoca: “Vivo ma non vivo in me/e attendo una tal vita/ da morirne se non muoio”.
E ancora “Questa divina prigione/ dell’amore in cui vivo,/ ha reso Dio, mio prigioniero/ e libero il mio cuore;/ e causa in me tanta passione/ da morirne se non muoio”. Del tutto particolare, rimane la seconda tipologia di produzione, quella legata alle feste liturgiche. Il loro maggior merito è quello di aver introdotto nei monasteri carmelitani il ricorso alla poesia come componente festiva della vita religiosa. Un tema fondamentale – e non poteva essere altrimenti – per l’ordine carmelitano è quello della Croce che santa Teresa canta in diversi componimenti da condividere con le proprie consorelle. E’ il caso di En la Cruz está la vida (Nella Croce risiede la vita), composta per le religiose del monastero di Soria, in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Le religiose la cantano durante la processione che fanno in detto giorno per i corridoi del monastero, recandosi al luogo della sepoltura comune, sotto il coro inferiore. E’ una funzione commovente: si procede a croce alzata, e le religiose tengono in mano rami di palma e di olivo”, così si legge in un antico manoscritto.
I versi che santa Teresa compone per quest’occasione sono versi dal ritmo serrato, scandito da sillabe che vengono cadenzate in rima. Bisogna ricordare che questi componimenti vivevano poi dell’improvvisazione delle consorelle. Si può, dunque, solo immaginare l’effetto vero e proprio che potevano avere. Altra occasione, il Santo Natale: nei monasteri carmelitani si respirava un’aria di particolare gioia durante le feste natalizie; ogni comunità aveva le sue modalità di festeggiare e molte di queste sono state introdotte dalla stessa Santa Teresa e dall’altro poeta carmelitano San Giovanni della Croce. E’ possibile trovare il tema della notte santa nelle seguenti poesie: Pastores que veláis (Pastori che vegliate), nel componimento Al nascimento de Jesús (Per la nascità di Gesù), e ancora nella graziosa canzone En la noche de Navidad (Nella notte di Natale).
L’entrata di una nuova sorella nel Carmelo era poi celebrata come una grande festa. Ed è così che nascono per queste occasioni speciali alcuni poemetti che riescono a offrirci una sorta di fotografia della vita nei monasteri del Carmelo: “Il leggiadro vostro velo/ dice a voi di stare in veglia/ di montar la sentinella, fino a che lo Sposo venga./ Nella vostra mano accesa/ sempre abbiate una candela;/ sotto il velo state in veglia”.
Santa Teresa, una voce poetica votata al Signore; un forziere di ricordi e immagini che andrebbe riscoperto perché la mistica passa anche per la poesia.
Addio alla pittrice Marta Czok, l’Arte come testimonianza della condizione umana-
Si è spenta lo scorso giovedì 6 Febbraio la pittrice Marta Czok. La sua vita si è conclusa all’improvviso, con un arresto cardiaco mentre lavorava sulla sua ultima tela. Marta Czok (1947-2025) nacque a Beirut da una famiglia polacca che, all’esito della Seconda Guerra Mondiale trovò asilo politico a Londra, passando attraverso l’Egitto. Marta Czok studiò alla St Martins School of Art, selezionata ripetutamente per la Royal Academy Summer Exhibition. Negli anni Settanta, si trasferì in Italia dove sposò Valter Scarso, con cui, in oltre cinque decadi di lavoro, stabilì la sua carriera artistica. Le opere di Marta Czok, collezionate ed esposte in tutto il mondo, si contraddistinguono per la loro vena ironica, attraverso la quale ha espresso le sue riflessioni pungenti sull’ingiustizia sociale, l’importanza della democrazia e del pensiero libero, la critica alle istituzioni e alla guerra, l’esperienza vissuta di migrazione e il diritto umano ad avere un posto da chiamare “casa”.
Marta Czok-VISITORS_
Molti dei suoi ammiratori e collezionisti ricordano le sue opere per il senso di speranza che comunicano: il suo commentario politico si alternava volutamente a scene di vita comune, la gioia nella convivialità, gli spaccati di vita domestica, il senso dell’umorismo come strumento di resilienza.
Negli anni, diversi sono stati i progetti e le collaborazioni che hanno segnato la sua carriera, tra cui Alitalia per l’Arte, l’Ambasciata Francese presso la Santa Sede, l’Ambasciata di Polonia a Roma, l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, il Ministero della Cultura, Museo Macro e Museo Carlo Bilotti a Roma, l’Albemarle Gallery di Londra e Centrum Spotkania Kultur a Lublino. Nel 2008, la televisione nazionale polacca TV Polonia le ha dedicato un documentario nel quale si evidenziava il rapporto tra il suo lavoro e la Seconda Guerra Mondiale.
Dal 2021, la Fondazione Marta Czok ha rafforzato la sua missione, creando diverse retrospettive, che includono, negli ultimi mesi, le mostre URBE a Palazzo Montecitorio, DE INNOCENTIA al Complesso di Vicolo Valdina, O NAS al Konstancinski Dom Kultury in Polonia, ARCHĪVUM a Palazzo Mathis di Bra e infine la mostra EX_PATRIA nella sede di Venezia della Fondazione. Quest’ultima mostra, curata dal figlio Jacek Ludwig Scarso, affrontava l’esperienza di migrazione e di eventi bellici e fu selezionata dalla rivista Contemporary Lynx come una delle migliori mostre durante la Sessantesima Biennale dell’Arte.
Marta Czok-La Fune
Ultimamente stava lavorando su nuove mostre in Italia, in Polonia e nel Regno Unito, tra cui una collaborazione con AVR London e Anise Gallery per rivisitare i suoi lavori storici attraverso la realtà virtuale. In questo momento, le sue opere si possono visitare a Venezia con la mostra THE WINDOW e a Castel Gandolfo, dove la Fondazione Marta Czok ha creato la sede della sua Collezione Permanente. Le sue ultime interviste furono per Exibart e per il programma Stato dell’Arte, condotto da Cesare Biasini Selvaggi.
La Fondazione continuerà a portare avanti la sua missione: creare un dialogo profondo tra arte e società, attraverso il suo archivio storico e le future retrospettive, in parallelo a progetti di collaborazione con artisti, curatori e istituzioni in tutto il mondo.
Ricordo di Agata Cesario, che dedicò alcune sue poesie alla Madonna.Nelle sue rime parlò spesso di fede e di speranza, nonostante le sofferenze di un brutto male,che ne causò la morte il 16 maggio 1989
Agata Cesario resta nel cuore e nella memoria di molti, ricordata ogni anno a Cellara (Cosenza) paese dov’è nata e dove una piazza è intitolata al suo nome: “insigne poetessa cellarese” recita la dedica scolpita nel marmo.
Madre della Croce
Al canto del gallo
si sono voltati a guardare
chi aveva tradito.
Le ombre degli ulivi raccolti
si strinsero in un tenero abbraccio.
Le madri raccoglievano i figli
cantavano ancora le nenie,
melodie sepolte nella casa di pietra
che lo vide fanciullo.
“Non lo abbiamo visto passare”
Risposero in coro.
I sassi arroventati
sopportavano i gemiti.
Pronta la madre raccoglieva
le lacrime ed il sangue.
Fu un lungo patire
quando il tempio squarciato
gridava vendetta.
È lontano il tempo
che, tu, madre,
salisti il Calvario:
la strada è un lungo lamento,
c’è chi inciampa per l’ultima volta,
chi cerca orizzonti troppo lontani,
chi s’abbandona agli angoli, stanco.
Ma vedremo qualcuno seguirci per via?
Tenendoci per mano
vinceremo il furore
e ti faremo ghirlande
con i fiori sparsi
sul nostro cammino.
Canterò per te
Canterò, canterò per te
mio piccolo sole
tutta l’allegria del bosco
e i viaggi di bianchi aironi.
Ti farò la giostra
e ti condurrò
su cavalli alati.
Volerò, volerò per te
sui colli che non
hanno sera,
ti porterò canzoni
sulle ali del vento.
Ti darò la mia fantasia
e lunghe vette di luce
e la storia dei secoli
e la mia vita d’eterno.
“Amicizia”
Dimmele le tue paure,
posso prenderti per mano
e condurti dove le nebbie
non s‟alzano nemmeno
e su noi gli alberi
non hanno che cime;
ti conduco dove il passo mio
si fa più vicino al tuo;
non sentiamo altro
che questo nostro andare
senza orizzonti.
D’Estate
La notte è chiara
le nebbie che ci coprivano
il giorno appaiono disperse,
il cielo si svela
senza stanchezza,
l’uccello notturno
non sa più cantare.
“Non vorremmo”
Noi resteremo qui
ad ingaggiare primavere
piene di vento.
Non vorremmo altro spazio
che il nostro,
non vorremmo altro tempo
che quello per resistere
agli orrori.
“Come un’alba novella”
Se un fiore muore
non pensare alla vita
che si è spenta
ma a quella
che vive
nel bocciolo
del suo stelo.
Se una stella di notte
cade nel buio
non pensare alla luce
che si è spenta
ma a quella che brilla
di molte
fiammelle.
Se guardi un tramonto
non pensare ad un giorno
passato
ma a quello che sorgerà
domani
come un’alba novella.
Agata Cesario
Fonte- L’altroquotidiano.it
Dall’antico dolore all’estremo spiraglio
A cura di Francesco Sisinni
Ricordo di Agata Cesario, che dedicò alcune sue poesie alla Madonna.Nelle sue rime parlò spesso di fede e di speranza, nonostante le sofferenze di un brutto male,che ne causò la morte il 16 maggio 1989
Agata Cesario resta nel cuore e nella memoria di molti, ricordata ogni anno a Cellara (Cosenza) paese dov’è nata e dove una piazza è intitolata al suo nome: “insigne poetessa cellarese” recita la dedica scolpita nel marmo.
Su iniziativa del Sindaco, la piazza è stata inaugurata l’anno scorso quando ci fu una grande festa in onore di Agata, quella che Pino Nano, in un lungo messaggio inviato, ha definito “la festa di A-gata e della sua famiglia”. Una cerimonia intima, scandita dai ricordi personali e dalle testimo-nianze di chi ha frequentato Agata, non solo insegnante, vista anche come “animatrice” della comunità con la quale amava confrontarsi e che la chiamava per iniziative in campo religioso come in campo sociale. Potremmo forse sintetizzare così il senso del suo percorso, racconta il fratello Giacomo, giornalista, presente alla messa in ricordo officiata a Roma dal cardinale Raffaele Fari-na, e che ora affida la recensione della nuova edizione del libretto di poesie “Spazi infiori-ti” (1981) al prof. Francesco Sisinni, una delle figure di spicco della cultura italiana, docente alla Lumsa e già direttore generale per i beni librari al ministero dei Beni culturali. Fu nominato da Giovanni Paolo II membro della pontificia Commissione per i beni culturali ecclesiastici.
Il testo, che qui di seguito si riporta, penetra fin nel fondo dell’anima di una poetessa che, confessa Sisinni, mi è familiare e che avevo quasi perduto di vista. Poesie datate 1981, ma in realtà senza tempo, che hanno sempre qualcosa da dire, “da leggere”.
Comprendere un’opera d’arte, ovvero, saperla leggere ed interpretare è certamente un fatto di cultura, connesso com’è alla disponibilità di un’accorta, quanto avanzata metodologia ermeneutica. E, tuttavia, intelligerla, ovvero indagarla ontologicamente, oltre e più che semanticamente, è soprattutto un fatto di empatia, che misteriosamente consente l’immedesimazione del Lettore nell’Autore, proprio nel momento creativo dell’opera stessa: Poiesis.
L’ovvietà di siffatta riflessione, che, come noto, rinvia alla vasta produ-zione estetica e linguistica, da Baumgarten a Croce, da Panofsky ad Heidegger, non delegittima, comunque, assumerla come premessa essenziale, là ove, come qui, rileva il debito di lettura alla capaci-tà empatica, appunto.
Dunque, un’esperienza di vita breve, ma intensa – quella di Agata Cesario – che distillata in grumi di poesia, è stata appena sospinta dal timido soffio dell’affetto fraterno tra le mie carte e miei libri ed ora è qui perché anch’io, più che la conosca, l’ascolti, anzi la senta, tra gli echi ineludibili di una terra a-vara e bella, cui han prestato voce innumeri scrittori e poeti anche del nostro tempo, dal calabrese Corrado Alvaro a Giuseppe Berto, che calabro non era.
E così ho letto e riletto questa silloge “spazi infioriti” , che si accredita, anzitutto, con la semplicità accattivante di una edizione essenziale, ove le liriche, 35 (se si esclude quella fuori testo: “Come un’alba novella”), si presentano a mo’ di palinsesto, che ti invita ad attraversarlo, scandagliandovi non evi, ma eventi, anzi stati d’animo che, coinvolgendo, trascinano fino all’ultimo fondale di quel mare profondo, che è l’anima, là ove nascono le memorie, senza tempo!
“Senza tempo”, come recita l’incipit della raccolta e proprio come insegna Agostino nelle sue Confessioni, giacché il tempo, come realtà, non è e se ne parliamo e lo misuriamo è solo per-ché esso appartiene all’anima, ove il passato è memoria, il futuro è attesa e il presente è attenzione.
Or è che da questo fondale senza tempo, solo poche sillabe si fanno paro-la e solo alcune parole, emergendo in superficie, tra macchie ed abrasioni, rivendicano senso: Nebbia; Paesaggio intimo ed esterno (la madre, il padre, il paese); Dolore; Nostalgia; Fede.
La nebbia, che ricorre ripetuta-mente nei versi della Cesario, non è un ingrediente di pittura surrealista, ma è piuttosto una presenza che ingombra l’assenza: divora, copre, vagheggia, eppure vela e rivela.
E là ove appena si dissolve, ecco apparire quel nostro piccolo mondo antico, la cui storia, uguale per tutti, diversa per ciascuno, pensavi di aver consegnato per sempre a quel lontano commiato sofferto e che, invece, ti porti dentro, ineludibilmente ovunque, sempre!
Ed ecco le note di nenia struggente, che ridisegnano su orizzonti improbabili gli occhi ostinatamente comprensivi della madre, mentre girandole e fiammelle, inventate per un giorno di festa dal padre, inutilmente si rincorrono nel caleidoscopio delle immagini cangianti, ove tutto fugge … e ritorna: le case di pietra, il dedalo dei vicoli, i vecchi balocchi, riproposti, sublimati, dalla pungente nostalgia.
La nostalgia! Certo la Cesario ha pensato a Plotino, giacché conosce bene questo sentir sottile e inquietante, che i moderni chiamano malinconia. Ma la sua poesia non è epica e perciò non ha bisogno né del mito di Ulisse, né del profeta dell’eterno ritorno. La sua è il rimpianto di un Eden perduto, fatto di piccole cose, ma, anche di “grandezze non comprese”.
Di qui “l’antico dolore”. E già, perché questo libretto è umido di lacrime non piante. È un dolore che non grida, ma singulta quello che è “stanco di passare sulla consueta strada”. Non infinito, come nello Schopenhauer, né cosmico, come nel Leopardi ma, semplice-mente esistenziale, connesso alla problematicità della storia, contro cui s’erge la sfida, né può spegnersi “l’ansia di rag-giungere l’estremo spiraglio”.
Ed ecco, perciò, finalmente la Fe-de: la fede, unica alternativa, come avverte Kierkegaard, alla disperazione. E perciò, dalla strada insanguinata del Calvario, giunge alto il suo grido: “Non abbandonarmi Signore” giacché tu sai “la paura dei miei giorni”; “Donami pace e consolazione”, perché tu sai che “sono priva di tutto”.
Solo la fede, infatti, può far spera-re in un domani “Come un’alba novella”: poesia, fuori testo, questa, che si può leggere come “postscriptum” della presente silloge, ma anche e meglio, come introduzione di quella, qua e là annunciata, ma che Agata non ha avuto il tempo di lasciarci.
Roma- Torna al Teatro 7 Off, l’esilarante lavoro dei POST-IT 33, “IL POMO DELLA DISCORDIA”-
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Roma -Torna a grande richiesta a Roma, dal 20 al 23 febbraio al Teatro 7 Off, l’esilarante lavoro dei POST-IT 33, “IL POMO DELLA DISCORDIA”. La prima commedia con cui la compagnia si presentò qualche anno fa al pubblico italiano come sagace, raffinata e ironica narratrice della realtà.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Mario, Stefano e Sebastiano sono tre amici, laureati e in una condizione economica e lavorativa degna di una barzelletta. La svolta della vita arriva il giorno in cui Sebastiano riconosce in una piccola scultura di una mela la probabile opera perduta di un noto artista olandese vissuto cento anni prima e che potrebbe valere almeno un milione e mezzo di euro. Questa grossa cifra saprà mettere in pericolo l’amicizia dei tre ragazzi e non solo, giacché “Il Pomo della discordia” è anche il ghiotto obiettivo di una temibilissima criminale italo-francese pluriricercata.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Amicizia, tradimenti, risate e una buona dose di piombo. Elementi base di una tragicomica vicenda che riguarda molto da vicino chiunque la veda
La “POST-IT 33” è una giovane compagnia di attori laureati presso l’Accademia internazionale di Teatro di Roma che ha fatto di Drammaturgie originali e di nuove forme di comicità la propria firma. Una realtà attiva in Italia e all’Estero dal 2017, con attori che, nonostante la giovane età, vantano numerose collaborazioni, regie e spettacoli con volti noti del Teatro Italiano e della Televisione tra cui: Marco Simeoli, Roberto Ciufoli, Simone Colombari, Nino Formicola, Luca Negroni, Stefano Masciarelli, Patrizia Loreti, Cinzia Maccagnano, Pietro De Silva.
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
“IL POMO DELLA DISCORDIA”
Una Commedia di SALVATORE RIGGI
Regia di GIORGIA LUNGHI
Con:
MARIANO VIGGIANO | SALVATORE RIGGI | JOHN ZOTTI | DALILA APRILE
DAL 20 AL 23 FEBBRAIO 2025
DAL GIOVEDI’ AL SABATO ORE 21.00 – DOMENICA ORE 18.00
INFO E PRENOTAZIONI
– 389 312 7865 (Salvo)
– 327 050 8733 (Giorgia)
– 328 958 6340 (Mariano)
TEATRO 7 OFF
Via Monte Senario, 81a – Roma
Roma-Teatro 7 Off-La “POST-IT 33” in scena con la commedia“IL POMO DELLA DISCORDIA”.
Storia-Cenni storici sulla comunità luterana di Roma
Chiesa evangelica luterana di via Sicilia a Roma
Storia-Cenni storici sulla comunità luterana–A Roma i luterani sono presenti sin dall’inizio del XIX secolo, all’epoca ancora Stato Pontificio. Fu il segretario della Legazione di Prussia presso la Santa Sede ad ottenere il via libera per celebrare i culti che tuttavia si dovevano svolgere in un quadro privato.
Il primo culto evangelico si tenne il 9 novembre 1817, in occasione del Tricentenario della Riforma di Lutero, nell’abitazione del Segretario di Legazione, Christian von Bunsen, in piazza dell’Aracoeli alle pendici del Campidoglio. Poco dopo l’imperatore Federico Guglielmo III, re di Prussia, su richiesta della stessa comunità, fece inviare un pastore all’ambasciata a Roma, Heinrich Schneider, il primo ministro di culto evangelico della città, che prese servizio dal giugno 1819. Fu questa la base per il graduale espandersi della piccola comunità internazionale di lingua tedesca a Roma.
Nel 1823, nella sede della Legazione prussiana, al pianterreno di palazzo Caffarelli sul Campidoglio, fu istituita una cappella, dove per circa 100 anni furono celebrati i culti della comunità luterana.
Chiesa evangelica luterana di via Sicilia a Roma
Con la fine del dominio pontificio e con la piena libertà di religione e di culto garantita con l’Unità d’Italia, la comunità evangelica romana si sviluppò ulteriormente potendo finalmente uscire dalla sua condizione di semiclandestinità. Tant’è che il pastore presso l’ambasciata promosse la prima “Conferenza annuale dei pastori di lingua tedesca in Italia” che si riunì a Roma nel 1880.
Raccolte di denaro per la costruzione di una chiesa evangelica tedesca a Roma furono organizzate in Germania già a partire dal 1890. A questo scopo nel 1894 fu fondato il “Comitato evangelico tedesco per Roma”, che nel 1899 permise di acquistare un lotto all’angolo di via Toscana con via Sicilia, dove sarebbe sorta la chiesa. Nell’agosto del 1909 un regio decreto di Vittorio Emanuele III concesse l’autorizzazione ad edificare e il 2 giugno 1911 fu posata la prima pietra. Tuttavia, lo scoppio della prima guerra mondiale rinviò l’ultimazione dei lavori, giunti già a buon punto, e non permise l’inaugurazione della chiesa programmata per il 1917, in occasione delle celebrazioni del Quattrocentenario della Riforma protestante. L’inaugurazione della “Christuskirche” ebbe luogo il 5 novembre 1922.
L’abside della “Christuskirche”, chiesa evangelica luterana di Roma
La chiesa in stile neobizantino – costruita secondo la concezione architettonica guglielmina propria dell’epoca – è opera dell’architetto Franz Schwechten (1841-1924), autore anche della Kaiser-Willhelm-Gedächtnis-Kirche di Berlino. Dalla Germania arrivarono gli arredi: il fonte battesimale e il pulpito sono di Magdeburgo, l’altare proviene da Erfurt. Fiore all’occhiello della chiesa sono però le campane di bronzo fatte sul modello di quelle della “Schlosskirche” di Wittenberg, dove nel 1517 il riformatore Martin Lutero affisse le sue 95 tesi. Durante la Grande Guerra, nel 1917 furono fuse a scopo di armamento, ma per l’inaugurazione del 1922 furono rifatte tali quali.
Oggi la chiesa di via Sicilia è guidata dal pastore Jens-Martin Kruse ed è composta da circa 350 membri (www.ev-luth-gemeinde-rom.org).
Sergio Daniele Donati raccolta di poesia “Il canto della Moabita”
Descrizione del libro di Sergio Daniele Donati -Poesie “Il canto della Moabita”-Una raccolta poetica sintetica ed emozionante, versi rapidi e diretti che fondono identità ebraica, suggestioni bibliche e interiori, riferimenti a personaggi famosi della tradizione biblica come la Moabita del titolo, la principessa Ruth. Sergio Daniele Donati al suo esordio nella difficile arte della poesia si rivela autore magnetico e versatile, capace di versi profondi che esplorano intensamente varie tematiche, sottolineando con una scrittura visiva e pittorica la vasta gamma delle emozioni umane. In queste pagine si passa dalle poesie legate all’ebraismo, come quella sulla teshuvà (ritorno a D-o) dedicata a suo figlio Gabriel o La notte ispirata ad Abramo e a suo padre Terach, a quelle riguardanti il mondo dell’infanzia piuttosto che i miti dell’Antica Grecia. Riflessioni condensate in versi brevi e affilati piuttosto che in elaborate invocazioni dai toni malinconici come la bellissima Ulisse. I testi di Donati, avvocato, studioso e insegnante di meditazione ebraica rivelano cultura, sensibilità e un raffinato gusto poetico e metaforico, in cui la sua espressività si fonde con un linguaggio sobrio e al tempo stesso elegante. Un linguaggio davvero particolare accompagnato da varie citazioni da testi in francese e in ebraico e note esplicative, riferimenti alla mitologia greca, così come alla Torà in cui il lettore può avventurarsi.
Sergio Daniele Donati, Il canto della Moabita, edizioni Ensemble, pp. 78, 12 euro.
La Buona Novella: relativizzare i nostri problemi . Patti Smith e la lezione sul suo malore-
Patti Smith
La nuova rubrica della redazione dedicata alle buone notizie. Patti Smith e la lezione sul suo malore-Capita alle persone famose. Un malore forse abbastanza banale si trasforma istantaneamente in un evento che raggiunge mezzo mondo. È capitato alla cantante e cantautrice rock Patti Smith, durante una performance che alternava brani musicali a letture di suoi testi, e che si stava svolgendo a San Paolo del Brasile, insieme a un gruppo musicale di Berlino. Sentendosi male (per una serie di emicranie che – dicono le agenzie – si sono tradotte in capogiro), ha lasciato il palco, salvo ricomparire, dopo i primi accertamenti.Beh, verrebbe da dire a chi legge, che c’è di bello? Può un malore, anche se “passeggero”, essere una buona notizia? La stessa protagonista, tuttavia, ha dato a questo imprevisto un senso che fa riflettere.Perché Patti Smith è ricomparsa da dietro le quinte, accompagnata da personale paramedico, su una sedia a rotelle: non si è quindi sottratta agli sguardi né del pubblico né di telefoni, telecamere e quant’altro. E naturalmente ha voluto cantare. A quel punto, senza accompagnamento musicale, “a cappella”, ha attaccato uno dei suoi storici successi, Because the night, che si deve a Bruce Springsteen: un testo d’amore, un testo forte, passionale, amato dal pubblico di entrambi da quasi 50 anni (1978).Ma non basta: a fronte della circolazione di notizie allarmistiche, Patti Smith ha ancora aggiunto: «Per favore, non fidatevi delle storie che leggete altrove, con tutti i problemi nel mondo non merito tanta attenzione».Quindi, dopo il malore, l’abbraccio con i propri fan, con un’uscita sul palco in cui non ha nascosto la sua debolezza. E poi, dopo aver cantato (perché un’artista della musica si esprime innanzitutto con le proprie note), un’indicazione che vale per tutti, tanto più se viene da una star: in un mondo sofferente, cerchiamo, cercate di relativizzare i nostri problemi. Un messaggio che – questo sì – è una buona notizia e una bella lezione.
Foto di Harald Krichel –Articolo di Alberto Corsani-Fonte Riforma.it-Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Patti Smith
Patti Smith –Cantante e poetessa statunitense (n. Chicago 1946). Fattasi conoscere con letture di poesia recitate insieme a L. Kaye, ha pubblicato il suo primo album Horses (1975) con J. Cale dei Velvet Underground. La visionaria qualità poetica e il nudo rock elettrico ne hanno decretato il successo di critica, facendone la portavoce della generazione beat. Con i successivi Radio Ethiopia (1976), Easter (1978) e il singolo Because the night (1979, scritto per lei da B. Springsteen) si è imposta al grande pubblico. Ha successivamente pubblicato Dream of life (1988) e Gone again (1996), quest’ultimo dedicato al marito Fred Smith, chitarrista degli MC5 e all’amico R. Mapplethorpe, scomparsi nel 1994. Gli album Peace and noise (1997), Gung Ho (2000) e Trampin’ (2004) ne hanno confermato la capacità evocativa e il talento. Nel 2010 ha pubblicato il suo primo romanzo Just kids, in cui racconta la storia della sua amicizia con Mapplethorpe; il libro le è valso il prestigioso U.S. National Book Award (2010). Ormai ampiamente riconosciuta anche come scrittrice, nel 2011 ha vinto il Polar Music Prize; l’anno successivo è tornata in sala d’incisione per Banga, e ha inoltre pubblicato i testi autobiografici Woolgathering (trad. it. I tessitori di sogni, 2013), M Train (2015; trad. it. 2016), Devotion (2017; trad. it. 2018) e Year of the Money (2020; trad. it. 2020). Nel 2017 il Palazzo del Governatore di Parma ha ospitato la mostra Higher learning, in cui sono state esposte 120 fotografie in bianco e nero scattate dalla cantante nel corso dei suoi viaggi.
Patti Smith-
Patricia Lee Smith (born December 30, 1946) is an American singer, songwriter, poet, painter, author, and photographer. Her 1975 debut album Horses made her an influential member of the New-York-City-based punk rock movement.[1] Smith has fused rock and poetry in her work. In 1978, her most widely known song, “Because the Night“, co-written with Bruce Springsteen, reached number 13 on the Billboard Hot 100 chart[1] and number five on the UK Singles Chart.
Smith was born on December 30, 1946, at Grant Hospital in the Lincoln Park section of Chicago,[6][7] to Beverly Smith, a jazz singer turned waitress, and Grant Smith, a Honeywellmachinist.[8] Her family is of partially Irish ancestry,[9] and Patti is the eldest of four children, with siblings Linda, Kimberly, and Todd.[10]
In 1969, Smith went to Paris with her sister, and started busking and doing performance art.[13] When Smith returned to Manhattan, she lived at the Hotel Chelsea with Robert Mapplethorpe. They frequented Max’s Kansas City on Park Avenue, and Smith provided the spoken word soundtrack for Sandy Daley’s art film Robert Having His Nipple Pierced, starring Mapplethorpe. The same year, Smith appeared with Jayne County in Jackie Curtis‘s play Femme Fatale. She also starred in Anthony Ingrassia‘s play Island. As a member of the Poetry Project, she spent the early 1970s painting, writing, and performing.
In 1969, Smith also performed in the one-act playCowboy Mouth,[16] which she co-wrote with Sam Shepard. The published play’s notes call for “a man who looks like a coyote and a woman who looks like a crow”. She wrote several poems about Shepard and her relationship with him, including “for sam shepard”[17] and “Sam Shepard: 9 Random Years (7 + 2)”, that were published in Angel City, Curse of the Starving Class & Other Plays (1976).
On February 10, 1971, Smith, accompanied by Lenny Kaye on electric guitar, opened for Gerard Malanga, which was her first public poetry performance.[18][19]
Smith was briefly considered as lead singer for Blue Öyster Cult. She contributed lyrics to several Blue Öyster Cult songs, including “Debbie Denise”, which was inspired by her poems “In Remembrance of Debbie Denise”, “Baby Ice Dog”, “Career of Evil”, “Fire of Unknown Origin“, “The Revenge of Vera Gemini”, on which she performs duet vocals, and “Shooting Shark”. At the time, she was romantically involved with Allen Lanier, Blue Öyster Cult’s keyboardist. During these years, Smith was also a rock music journalist, writing periodically for Rolling Stone and Creem.[18]
On October 15, 2006, Smith performed a 3½-hour tour de force show to close out CBGB, the famed New York City live music venue. Smith performing at Primavera Sound Festival in Haldern Pop in North Rhine-Westphalia, Germany, in August 2014 Smith performing in Berlin, in June 2022
In 1973, Smith teamed up again with musician and rock archivist Lenny Kaye, and later added Richard Sohl on piano. The trio developed into a full band with the addition of Ivan Král on guitar and bass and Jay Dee Daugherty on drums.[18] Kral was a refugee from Czechoslovakia who had moved to the US in 1966 with his parents, who were both diplomats. After the Soviet invasion of Czechoslovakia in August 1968, Kral decided not to return.[20]
Financed by Sam Wagstaff, the band recorded their first single, “Hey Joe/Piss Factory” in 1974. The A-side was a version of the rock standard with the addition of a spoken word piece about Patty Hearst, a fugitive heiress. The B-side describes the helpless alienation Smith felt while working on a factory assembly line and the salvation she dreams of achieving by escaping to New York City.[1] In a 1996 interview on artistic influences during her younger years, Smith said, “I had devoted so much of my girlish daydreams to Rimbaud. Rimbaud was like my boyfriend.”[21]
In March 1975, Smith’s group, the Patti Smith Group, began a two-month weekend set of shows at CBGB in New York City with the band Television. The Patti Smith Group was spotted by Clive Davis, who signed them to Arista Records.
Later that year, the Patti Smith Group recorded their debut album, Horses, produced by John Cale amid some tension.[18] The album fused punk rock and spoken poetry and begins with a cover of Van Morrison‘s “Gloria“, and Smith’s opening words: “Jesus died for somebody’s sins but not mine”, an excerpt from “Oath”, one of Smith’s early poems. The austere cover photograph by Mapplethorpe has become one of rock’s classic images.[22]
As punk rock grew in popularity, the Patti Smith Group toured the U.S. and Europe. The rawer sound of the group’s second album, Radio Ethiopia, reflected this. Considerably less accessible than Horses, Radio Ethiopia initially received poor reviews. However, several of its songs have stood the test of time, and Smith still performs them live.[23] She has said that Radio Ethiopia was influenced by the band MC5.[21]
On January 23, 1977, while touring in support of Radio Ethiopia, Smith accidentally danced off a high stage in Tampa, Florida, and fell 15-feet onto a concrete orchestra pit, breaking several cervical vertebrae.[24] The injury required a period of rest and physical therapy, during which she says she was able to reassess, reenergize, and reorganize her life.
The Patti Smith Group produced two further albums. Easter, released in 1978, was their most commercially successful record. It included the band’s top single “Because the Night“, co-written with Bruce Springsteen. Wave (1979) was less successful, although the songs “Frederick” and “Dancing Barefoot” received commercial airplay.[25]
Through most of the 1980s, Patti lived with her family in St. Clair Shores, Michigan, and was semi-retired from music. She ultimately moved back to New York City.
Michael Stipe of R.E.M. and Allen Ginsberg, whom she had known since her early years in New York City, urged her return to live music and touring. She toured briefly with Bob Dylan in December 1995, which is chronicled in a book of photographs by Stipe.[16]
In 1996, Smith worked with her long-time colleagues to record Gone Again, featuring “About a Boy”, a tribute to Kurt Cobain, the former lead singer of Nirvana who died by suicide in 1994.
On April 27, 2004, Smith released Trampin’, which included several songs about motherhood, partly in tribute to Smith’s mother, who died two years earlier. It was her first album on Columbia Records, which later became a sister label to her Arista Records, her previous label. Smith curated the Meltdown festival in London on June 25, 2005, in which she performed Horses live in its entirety for the first time.[29] This live performance was released later in 2004 as Horses/Horses.
On October 15, 2006, Smith performed a 3½-hour tour de force show to close out at CBGB, which was an immensely influential New York City live music venue for much of the late 20th and early 21st centuries. At the CBGB show, Smith took the stage at 9:30 p.m. (EDT) and closed her show a few minutes after 1:00 am. Her final song was “Elegie”, after which she read a list of punk rock musicians and advocates who had died in the previous years, representing the last public song and words performed at the iconic venue.[30]
On September 10, 2009, after a week of smaller events and exhibitions in Florence, Smith played an open-air concert at Piazza Santa Croce, commemorating her performance in the same city 30 years earlier.[31]
Smith’s 11th studio album, Banga, was released in June 2012. American Songwriter wrote that, “These songs aren’t as loud or frantic as those of her late 70s heyday, but they resonate just as boldly as she moans, chants, speaks and spits out lyrics with the grace and determination of Mohammad Ali in his prime. It’s not an easy listen—the vast majority of her music never has been—but if you’re a fan and/or prepared for the challenge, this is as potent, heady and uncompromising as she has ever gotten, and with Smith’s storied history as a musical maverick, that’s saying plenty.”[34]Metacritic awarded the album a score of 81, indicating “universal acclaim”.[35]
Also in 2012, Smith recorded a cover of Io come persona by Italian singer-songwriter Giorgio Gaber.[36][37]
In 2015, Smith wrote “Aqua Teen Dream” to commemorate the series finale of Aqua Teen Hunger Force. The vocal track was recorded in a hotel overlooking Lerici‘s Bay of Poets.[38] On September 26, 2015, Smith performed at the American Museum of Tort Law convocation ceremony.[39]
In 2016, Smith performed “People Have the Power” at Riverside Church in Manhattan to celebrate the 20th anniversary of Democracy Now, where she was joined by Michael Stipe. On December 10, 2016, Smith attended the Nobel Prize Award Ceremony in Stockholm on behalf of Bob Dylan, winner of the Nobel Prize in Literature, who could not be present due to prior commitments.
After the official presentation speech for the literary prize by Horace Engdahl, the perpetual secretary of the Swedish Academy, Smith sang the Dylan song “A Hard Rain’s a-Gonna Fall“.[41] She missung one verse, singing, “I saw the babe that was just bleedin’,” and was momentarily unable to continue.[42] After a brief apology, saying that she was nervous, she resumed the song and earned jubilant applause at its end.[43][44]
Patti Smith sulle biblioteche
Art and writings
In 1994, Smith began devoting time to what she terms “pure photography”, a method of capturing still objects without using a flash.[45]
From November 2006 to January 2007, an exhibition called ‘Sur les Traces’[46] at Trolley Gallery, London, featured polaroid prints taken by Smith and donated to Trolley to raise awareness and funds for the publication of Double Blind: Lebanon Conflict 2006, a book with photographs by Paolo Pellegrin, a member of Magnum Photos. She also participated in the DVD commentary for Aqua Teen Hunger Force Colon Movie Film for Theaters.
From March 28 to June 22, 2008, the Fondation Cartier pour l’Art Contemporain in Paris hosted a major exhibition of the visual artwork of Land 250, drawn from pieces created by Smith between 1967 and 2007.[47]
In 2010, Smith’s book Just Kids, a memoir of her time in Manhattan in the 1970s and her relationship with Robert Mapplethorpe, was published. The book won the National Book Award for Nonfiction later that year.[4][49] In 2018, a new edition of Just Kids, including additional photographs and illustrations, was published. Smith also headlined a benefit concert headed by bandmate Tony Shanahan, for Court Tavern in New Brunswick, New Jersey.[50] Smith’s set included “Gloria”, “Because the Night”, and “People Have the Power”.
In 2011, Smith announced the first museum exhibition of her photography in the U.S., Camera Solo. She named the project after a sign she saw in the abode of Pope Celestine V, which translates as “a room of one’s own”, and which Smith felt best described her solitary method of photography.[45] The exhibition featured artifacts that were everyday items or places of significance to artists Smith admires, including Rimbaud, Charles Baudelaire, John Keats, and William Blake. In February 2012, she was a guest at the Sanremo Music Festival.[51]
Also in 2011, Smith was working on a crime novel set in London. “I’ve been working on a detective story that starts at the St Giles in the Fields church in London for the last two years”, she told NME, adding that she “loved detective stories” and was a fan of British fictional detective Sherlock Holmes and U.S. crime author Mickey Spillane in her youth.[52][53]
In 2017, Smith appeared as herself in Song to Song opposite Rooney Mara and Ryan Gosling, directed by Terrence Malick.[55][56] She later made an appearance at the Detroit show of U2’s The Joshua Tree 2017 tour and performed “Mothers of the Disappeared” with the band.[57]
In 2019, Smith performed “People Have the Power” with Stewart Copeland and Choir! Choir! Choir! at Onassis Festival 2019: Democracy Is Coming. Later that year, she released her latest book, Year of the Monkey.[61] “A captivating, redemptive chronicle of a year in which Smith looked intently into the abyss”, stated Kirkus Reviews.[62]
One of the first musicians to reference Smith was Todd Rundgren. In the liner notes of his 1972 album Something/Anything?, Rundgren wrote that “Song of the Viking” was “written in the feverish grip of the dreaded ‘d’oyle carte,’ a chronic disease dating back to my youth. Dedicated to Miss Patti Lee Smith.” Seven years later, Rundgren produced the final Patti Smith Group album, Wave.[65]
Hole‘s “Violet“, released in 1994, features the lyrics, “And the sky was all violet / I want it again, but violent, more violent,” alluding to lyrics from Smith’s song “Kimberly”.[68] In 2010, Hole singer Courtney Love said that she considered Smith’s “Rock N Roll Nigger” the greatest rock song of all time,[69] and credited Smith as a major influence. Love received Smith’s album Horses in juvenile hall as a teenager, and “realized that you could do something that was completely subversive that didn’t involve violence [or] felonies. I stopped making trouble.”[70]
In 1998, Michael Stipe of R.E.M. published a collection of photos, titled Two Times Intro: On the Road with Patti Smith. Stipe sings backing vocals on Smith’s “Last Call” and “Glitter in Their Eyes”. Smith sang background vocals on R.E.M.‘s “E-Bow the Letter” and “Blue“.[71] A decade later, in 2008, Stipe say that Smith’s album Horses was one of his inspirations. “I decided then that I was going to start a band,” Stipe said about the impact of listening to Horses.[72]
In 2004, Shirley Manson of Garbage spoke of Smith’s influence on her in Rolling Stone‘s issue “The Immortals: 100 Greatest Artists of All Time”, in which Smith was ranked 47th.[74]The Smiths members Morrissey and Johnny Marr share an appreciation for Smith’s Horses, and revealed that their song “The Hand That Rocks the Cradle” is a reworking of one of the album’s tracks, “Kimberly”.[75] In 2004, Sonic Youth released an album called Hidros 3 (to Patti Smith).[76]
In 2005, U2 cited Smith as an influence.[77] The same year, Scottish singer-songwriter KT Tunstall released “Suddenly I See“, a single, as a tribute of sorts to Smith.[78] Canadian actor Elliot Page frequently mentions Smith as one of his idols and has done various photo shoots replicating famous Smith photos, and Irish actress Maria Doyle Kennedy often refers to Smith as a major influence.[79]
“She was the epitome of a literate, intelligent woman taking charge and being respected by her peers,” observed Maria McKee in 2005.[80]
In 2012, Madonna named Smith as one of her biggest influences.[81]
In 2012, Smith was awarded an honorary doctorate in fine arts from Pratt Institute in Brooklyn.[82] Following conferral of her degree, Smith delivered the commencement address[83] and played two songs along with long-time band member Lenny Kaye. In her Pratt Institute commencement address, Smith said that when she moved to New York City in 1967, she would never have been accepted into Pratt but most of her friends, including Mapplethorpe, were students at Pratt, and she spent countless hours on the Pratt campus. She added that it was through her friends and Pratt professors that she learned many of her own artistic skills.[84]
In 2018, the English band Florence and the Machine dedicated the High as Hope album song “Patricia” to Smith. The lyrics reference Smith as Florence Welch‘s “North Star”.[85] Canadian country musician Orville Peck cited Smith as having had a big impact on him, stating that Smith’s album Horses introduced him to a new and different way to make music.[86] Poetic singer songwriter Joustene Lorenz also cites Patti Smith as a ‘powerful influence’ on her life and music.[87]
In November 2020, Smith was set to receive the International Humanities Prize from Washington University in St. Louis in November 2020; however, the ceremony was canceled due to the COVID-19 pandemic.[88] In 2022, she was awarded an Honorary Doctor of Humane Letters from Columbia University.[89] Also in 2022, Smith was named an Officer of the French Legion of Honor (Officier de l’Ordre national de la Légion d’honneur). The award was presented to her at the “Night of Ideas” cultural celebration in Brooklyn, by the French ambassador to the United States, Philippe Étienne.[90]
I wrote both these songs directly in response to events that I felt outraged about. These are injustices against children and the young men and women who are being incarcerated. I’m an American, I pay taxes in my name and they are giving millions and millions of dollars to a country such as Israel and cluster bombs and defense technology and those bombs were dropped on common citizens in Qana. It’s terrible. It’s a human rights violation.
In a 2009 interview, Smith stated that Kurnaz’s family had contacted her and that she wrote a short preface for the book that he was writing,[100] which was released in March 2008.[101]
In March 2003, ten days after the murder of Rachel Corrie, Smith appeared in Austin, Texas and performed an anti-war concert, and subsequently wrote “Peaceable Kingdom”, a song inspired by and dedicated to Corrie.[102] In 2009, in her Meltdown concert in Festival Hall, she paid homage to the Iranians taking part in post-election protests by saying “Where is My Vote?” in a version of the song “People Have the Power”.[103]
In 2015, Smith appeared with Nader, spoke and performed the songs “Wing” and “People Have the Power” during the American Museum of Tort Law convocation ceremony in Winsted, Connecticut.[104] In 2016, Smith spoke, read poetry, and performed several songs along with her daughter Jesse at Nader’s Breaking Through Power conference at DAR Constitution Hall in Washington, D.C.[105]
In 2020, Smith contributed signed first-edition copies of her books to the Passages bookshop in Portland, Oregon after the store’s valuable first-edition and other books by various authors were stolen in a burglary.[111] Smith regards climate change as the predominant issue of our time, and performed at the opening of COP26 in 2021.[112]
On February 24, 2022, Smith performed at The Capitol Theatre (Port Chester, New York) for the first time,[114] saying, “I would be lying if I said I wasn’t affected by what is happening in the world” referencing the Russian invasion of Ukraine earlier that day. “Peace as we know it is over in Europe”, she said.[115] “This is what I heard in my sleep and goes through my head all day all night long like a tragic hit song. A raw translation of the Ukrainian anthem that the people are singing through defiant tears”, she wrote on Instagram on March 6, 2022.[116]
Beliefs
Religion
Smith was raised a Jehovah’s Witness and had a strong religious upbringing and a Biblical education. She says she left organized religion as a teenager because she found it too confining. This experience inspired her lyrics, “Jesus died for somebody’s sins, but not mine”, which appear on her cover version of “Gloria” by Them.[117] She has described having an avid interest in Tibetan Buddhism around the age of 11 or 12, saying “I fell in love with Tibet because their essential mission was to keep a continual stream of prayer,” but that as an adult she sees clear parallels between different forms of religion and has concluded that religious dogmas are “…man-made laws that you can either decide to abide by or not.”[21]
In 2014, she was invited by Pope Francis to play at Vatican Christmas concert.[118] “It’s a Christmas concert for the people, and it’s being televised. I like Pope Francis and I’m happy to sing for him. Anyone who would confine me to a line from 20 years ago is a fool! I had a strong religious upbringing, and the first word on my first LP is Jesus. I did a lot of thinking. I’m not against Jesus, but I was 20 and I wanted to make my own mistakes and I didn’t want anyone dying for me. I stand behind that 20-year-old girl, but I have evolved. I’ll sing to my enemy! I don’t like being pinned down and I’ll do what the fuck I want, especially at my age…oh, I hope there’s no small children here!” she said.[119]
In 2021, she performed at the Vatican again, telling Democracy Now! that she studied Francis of Assisi when Pope Benedict XVI was still the pope. Smith called Francis of Assisi “truly the environmentalist saint” and said that despite not being a Catholic, she had hoped for a pope named Francis.[120]
Feminism
According to biographer Nick Johnstone, Smith has often been “revered” as a “feminist icon”,[121] including by The Guardian journalist Simon Hattenstone in a 2013 profile on the musician.[122]
In 2014, Smith offered her opinion on the sexualization of women in music. “Pop music has always been about the mainstream and what appeals to the public. I don’t feel it’s my place to judge.” Smith historically and presently declines to embrace feminism, saying, “I have a son and a daughter, people always talk to me about feminism and women’s rights, but I have a son too—I believe in human rights.”[123]
In 2015, writer Anwen Crawford observed that Smith’s “attitude to genius seems pre-feminist, if not anti-feminist; there is no democratizing, deconstructing impulse in her work. True artists, for Smith, are remote, solitary figures of excellence, wholly dedicated to their art.”[124]
In 2024, Smith, along with Yoko Ono and Sandra Bloodworth, was awarded the Municipal Art Society of New York’s highest honor, the Jaqueline Kennedy Onassis Medal. The Medal is awarded annually to individuals who, through vision, leadership, and philanthropy, have made a lasting contribution to New York City.[129]
In 1967, 20-year-old Smith left Glassboro State College (now Rowan University) and moved to Manhattan, where she began working at Scribner’s bookstore with friend and poet Janet Hamill. On April 26, 1967, at age 20, Smith gave birth to her first child, a daughter, and placed her for adoption.[15]
While working at the bookstore she met photographer Robert Mapplethorpe, with whom she began an intense romantic relationship, which was tumultuous as the pair struggled with poverty and Mapplethorpe’s sexuality. Smith used Mapplethorpe’s photographs of her as covers for her albums, and she wrote essays for several of his books, including his posthumous Flowers, at his request.[130] The two remained friends until Mapplethorpe’s death in 1989.[131]
Smith considers Mapplethorpe to be among the most influential and important people in her life. She calls him “the artist of my life” in her book Just Kids, which tells the story of their relationship. Her book and album The Coral Sea is an homage to Mapplethorpe.
In 1979, at approximately age 32, Smith separated from her long-time partner Allen Lanier and met Fred “Sonic” Smith, the former guitar player for Michigan-based rock band MC5 and Sonic’s Rendezvous Band. Like Patti, Fred adored poetry. “Dancing Barefoot”, which was inspired by Jeanne Hébuterne and her tragic love for Amedeo Modigliani, and “Frederick” were both dedicated to him.[132] A running joke at the time was that she married Fred only because she would not have to change her name.[133] They had a son, Jackson (b. 1982), who went on to marry Meg White, drummer for The White Stripes, from 2009 to 2013,[134] and a daughter, Jesse Paris (b. 1987), who is a musician and composer.[135]
Fred Smith died of a heart attack on November 4, 1994. Shortly afterward, Patti faced the unexpected death of her brother Todd.[13]
Loreto MATTEI Poeta e Scrittore di Rieti-Il sonetto pubblicato a Venezia nel 1697-
Loreto MATTEI- Poeta e Scrittore di Rieti-Il sonetto pubblicato a Venezia nel 1697-
Loreto MATTEI– Nacque il 4 apr. 1622 a Rieti da Pietro Paolo e da Orinzia Pennicchi, entrambi di nobili origini. Dopo avere ricevuto la prima istruzione da un precettore, intraprese gli studi di umanità e di retorica nel pubblico collegio di Rieti. Al 1641 risale il matrimonio con la nobile reatina Porzia Cerroni
Loreto MATTEI (Ghezzi)Loreto MATTEI -Sonetti-
Un sonetto di Loreto MATTEI- “Sulla Città di Rieti”:
Riète méa, nobile e jentile più de quante città che bée lu sòle, de stà lontanu a tì me ncresce e dole, e ne rappenno un parmu de moccile.
Ma que?! No bòglio ’e passe istu abbrile, e fatte non sarau le ceresciole, che strareenerajo, se Dio ole, a rempimme de rapa lu roscile
N’ajo ’naoglia ch’è tantucruele, a résecu ne ’a no me n’ammale e me ne scolecòe le cannele.
Bignarìacòe li célli aessel’ale, Rièteméa bella ónta ’e mèle, de reedette pare me ne cale.
Loreto MATTEI -Sonetti-
Un sonetto di Loreto MATTEI-Descrizione della Città di Rieti
Freddo ciel, suol fangoso, acque nocenti,
cotti vini, frutti acerbi, inutil legni,
aspri monti, vie rotte, alberghi indegni,
nero pan, erbe sciocche, magri armenti,
poco sol, nebbie eterne, aridi venti,
chiare invidie, odj interni, ascosi sdegni,
lingue audaci, cuor vili, stolti ingegni,
donne brutte, e ritrose, ed empie genti,
di furti e di rapine aperte scuole,
fraudolenti pensieri, e spirti inquieti,
genti infami, opre rie, finte parole,
frati ignoranti, ambizïosi preti,
maldicenze, e menzogne, e vizi, e fole
forman la bella mia città di Rieti.
Loreto MATTEI
Biografia di LORETO MATTEI Poeta e Scrittore di Rieti
Loreto MATTEI (Ghezzi)
LORETO MATTEI– Nacque il 4 apr. 1622 a Rieti da Pietro Paolo e da Orinzia Pennicchi, entrambi di nobili origini.Dopo avere ricevuto la prima istruzione da un precettore, intraprese gli studi di umanità e di retorica nel pubblico collegio di Rieti. Al 1641 risale il matrimonio con la nobile reatina Porzia Cerroni. La morte del padre, nel 1645, ispirò una serie di componimenti intitolati Morte paterna, dei quali, come di altre opere giovanili (l’opera scenica in versi sciolti Il gigante Golia; il dramma per musica Il figliuol prodigo), si è perduta ogni traccia. In quegli anni il M. si rivolse soprattutto a tematiche religiose e i suoi componimenti riscossero un certo successo anche fuori dalla cerchia cittadina. La prima opera del M. pervenuta è La patria difesa dalle ingiurie del Tempo…, celebrazione della storia e del territorio di Rieti nel discorso pronunciato all’inaugurazione dell’anno scolastico della scuola cittadina di eloquenza e filosofia in cui insegnò (l’opera è stata pubblicata solo nel 1890, a Rieti, a cura di F. Ferrari). Nel decennio 1640-50 il M. fu segretario dell’Accademia del Tizzone e partecipò attivamente alla vita pubblica di Rieti. Nel 1650, insieme con Angelo Alamanni, fu uno dei membri della commissione costituitasi per l’erezione di una cappella in onore di S. Barbara, patrona della città, e fu incaricato di scegliere il luogo adatto nella cattedrale e di assegnare la commessa. I due delegati riuscirono a mettere a segno un colpo prestigioso ingaggiando, per il progetto della cappella e della statua nella cattedrale, Gian Lorenzo Bernini, che frequentava la città perché nel convento di S. Lucia si trovavano tre sue nipoti. La statua di S.Barbara, che ancora oggi fa mostra di sé, fu poi realizzata da Giovanni Antonio Mari.
Il M. fu gonfaloniere per i mesi di novembre e dicembre del 1651 e del 1656. Il 16 marzo 1659 fu eletto podestà e pretore. Dopo l’improvvisa morte della moglie, il 10 luglio 1661, dalla quale aveva avuto nove figli, il M. scelse la via del sacerdozio. I voti furono pronunciati nello stesso 1661. Iniziò così lo studio della teologia, e più frequenti si fecero le letture dei Padri della Chiesa e della storia ecclesiastica. Nacque così il progetto di ridurre in metri lirici i centocinquanta Salmi di Davide. L’impresa lo tenne occupato nove anni e nel 1671 il Salmista toscano vide la luce a Macerata.
L’opera, dedicata a monsignor Alessandro Crescenzi, patriarca d’Alessandria, maestro di camera di Clemente X, si inserisce nel filone della poesia davidica ispirato dalla cultura neotridentina, al quale è da ricondurre la maggior parte delle opere del Mattei. Il Salmista toscano ebbe grande successo e in pochi anni se ne pubblicarono numerose edizioni. Principi d’Italia e di Germania accolsero con entusiasmo l’opera loro inviata dal conte Agostino Fontana, e in special modo fu apprezzata dall’imperatrice Eleonora Gonzaga. Le lettere di ringraziamento ed elogio spedite dagli augusti lettori, tra le quali particolarmente encomiastica quella dell’imperatrice, furono raccolte e pubblicate nell’edizione bolognese del 1679.
Il vescovo di Rieti Ippolito Vincentini (presule dal dicembre 1670) nominò il M. esaminatore sinodale, dandogli un ruolo di primo piano nella gerarchia del seminario di Rieti. L’impegno svolto con solerzia lo spinse a lavorare anche alla parafrasi dei cantici biblici che, di nuovo per mezzo del conte Fontana, faceva pervenire manoscritti all’imperatrice. Nel 1686 Le parafrasi toscane cioè sette cantici biblici, e li tre evangelici, et il cantico de’ ss. Ambrogio, et Agostino con le parti principali della christiana dottrina e finalmente il Cantico de’ cantici di Salomone esposto in senso morale uscirono a Vienna «consecrate all’augustissimo nome di Eleonora Gonzaga». Il 16 ott. 1687 Eleonora richiese al Fontana altre parafrasi di scritture sacre: «attendiamo da voi con sollecitudine tutti li Gloria Patri, che subito comanderemo la stampa del Salmista intiero, con questi ancora à maggior gloria del medemo Mattei, la di cui Parafrasi (che ha quasi del divino) ha reso immortale al mondo il di Lui nome» (Vincentini, p. 176). Poche settimane più tardi l’imperatrice morì e la ristampa del Salmista prevista a Vienna fu eseguita a Bologna nel 1688 con dedica al principe Odoardo Farnese (figlio di Ranuccio II) a firma di Carlo Emanuele, figlio del conte Fontana, che si trovava come paggio nella corte del principe. In questa ristampa furono aggiunte «altre parafrasi delle parti principali della dottrina cristiana in sonetti, ed altri metri».
Parallelamente alle parafrasi bibliche il M. lavorò per molto tempo anche a un’altra opera, che vide la luce a Rieti nel 1679 con il titolo Metamorfosi lirica d’Horatio parafrasato, e moralizato e la dedica all’imperatrice. Seguì la ristampa Bologna 1682, e nel 1686 ancora a Bologna insieme con l’Arte poetica tradotta. Del 1682 (Roma) è anche la traduzione, stampata a fronte nello stesso volume, del Divae Clarae triumphus, oratorio scritto in latino dall’abate Francesco Noceti e musicato da Bernardo Pasquino.
A Bologna nel 1689 il Mattei pubblicò la Hinnodia sacra, che egli stesso definiva il suo «Beniamino». Ancora una volta l’impegno religioso-sociale si manifestava a chiare lettere. Ai «cantillamenti» volgari e osceni che si udivano in particolare dai giovani, il M. infatti contrapponeva gli inni del Breviario romano. Nonostante le cagionevoli condizioni di salute lamentate nella dedicatoria ai vescovi Marco Antonio (di Foligno) e Ippolito Vincentini, il M. lavorò con zelo: nella traduzione usò lo stesso metro dell’originale, a ogni inno premise il nome dell’autore, lo scopo e il momento della giornata nel quale doveva essere cantato.
Nel 1695, a Modena, uscì L’asta d’Achille, che ferisce, per sanare il Salmista toscano. Quest’opera traeva le conclusioni di una benevola polemica iniziata il 27 luglio 1681 con una lettera che Domenico Bartoli, anagrammando il proprio nome in Nicodemo Librato, aveva inviato al M. per contestargli «qualche licenza di lingua, che per lo più sono minuzie grammaticali» (Vincentini, p. 177). Ne nacque una controversia erudita. Anche il M. anagrammò il suo nome in Orelto Tameti e rispose a Bartoli; l’«amichevole zuffa» durò fino al 1682. Dopo avere svelato la vera identità, i due letterati si inviarono i rispettivi ritratti (in questa occasione il M. ne fece uno di sua mano) e l’opera che il M. aveva preparato per difendersi dalle «accuse» di Bartoli e che aveva intitolato Scudo di Pallante fu messa da parte. La «contesa» si tramutò in amicizia e si concluse benevolmente con L’asta d’Achille del 1695. Nello stesso anno a Venezia il M. pubblicò un’opera «dotta e ingegnosa»: Teorica del verso volgare, e prattica di retta pronuntia, con un problema della lingua latina, e toscana in bilancia, ultimo suo lavoro a vedere la luce in vita; in quest’opera, oltre che trattare di metrica volgare e di ortoepia, teorizza la superiorità del toscano sul latino in virtù della ricchezza delle voci, della versatilità nei diversi stili, della facilità dell’ornato retorico, della dolcezza del suono e della chiarezza del senso.
L’attenzione per la storia di Rieti, che aveva sollecitato i primi interessi del M., si ripropose negli ultimi anni, durante i quali lavorò per dare agli studiosi una storia analitica della città: L’Erario reatino, historia dell’antichità, stato presente, e cose notabili della città di Rieti, rimasto incompiuto per la morte ed edito solo nel 1995 (a cura di G. Formichetti, in Il Territorio. Rivista quadrimestrale di cultura e studi sabini, X [1994], numero unico; ed. anast. in L. Mattei, Sonetti. Erario Reatino, a cura di L. Mattei, Rieti 2005).
Il 2 febbr. 1692 il M. fu accolto in Arcadia con il nome di Laurindo Acidonio. Nel 1702 perdette due dei tre figli rimastigli: Pietro, canonico della cattedrale di Rieti, ad agosto e Giovan Battista in ottobre. L’unico figlio in vita, Paolo, si trovava a Jesi in qualità di luogotenente del conte Odoardo Vincentini. Per averlo presso di sé il M. ottenne che gli fosse concessa la carica di canonico della cattedrale.
Per un’accidentale caduta sui gradini di casa il M. rimase gravemente ferito alla testa e dopo due giorni di agonia, il 24 giugno 1705, morì a Rieti.
Il M. esprime un modello tipico di intellettuale controriformista; le sue opere e la sua vita riflettono i ritmi della tipica provincia pontificia. Era capace di giudicare la fondatezza dei fatti storici facendo unicamente riferimento alla Bibbia e reputando al contempo «false e bugiarde» le fonti classiche che pure conosceva. Proprio per questo, assolutamente sorprendente e quanto mai originale è il fatto che, accanto all’intellettuale ligio e morigerato, un’altra parte della sua produzione (rimasta inedita fino al XIX secolo: si veda il regesto analitico dei codici in Formichetti, 1979, pp. 190-210) presenta un poeta stravagante e trasgressivo, nelle forme come nei contenuti. I suoi Sonetti in vernacolo reatino costituiscono un unicum e non solo fra i contemporanei; non è un caso se, per un’apparizione a stampa della musa «sconcia e scuntrafatta» matteiana dovrà trascorrere oltre un secolo dalla sua morte, nelle Poesie, a cura di E. Valentini, Rieti 1829. I testimoni pervenuti, per di più scarsi prima dell’Ottocento, fanno intravedere una circolazione non ufficiale, probabilmente anche orale, come accadrà più tardi per il Belli, che lesse e tenne ben presenti i sonetti dialettali del Mattei. Curiosamente, a prefare la editio princeps del 1829 fu l’«austriacante e papalino» Angelo Maria Ricci, che pose sotto il suo patrocinio la poesia matteiana, peraltro dopo averne rimosso i sonetti più sconvenienti e aver ritoccato la riscrittura di non pochi versi. I più recenti studi restituiscono al M. un ruolo di primo piano nella letteratura dialettale nazionale.
L’elenco dei manoscritti e delle edizioni delle opere del M. è in Formichetti, 1979, pp. 189-210, 222-223.
Fonti e Bibl.: G. Vincentini, Vita di L. M. reatino, in Le vite degli Arcadi illustri, a cura di G.M. Crescimbeni, Roma 1710, pp. 167-191; A. De Nino, Briciole letterarie, II, Lanciano 1885, pp. 51-65; B. Campanelli, Fonetica del dialetto reatino, Torino 1896, passim; F. Egidi, Curiosità dialettali del secolo XVII, in Miscellanea per nozze Crocioni – Ruscelloni, Roma 1908, pp. 213-219; B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze 1971, p. 464; M. Colantoni, L. M. poeta in dialetto, in Rieti, I (1973), pp. 209-247; Belli italiano, a cura di R. Vighi, III, Roma 1973, p. 166; G. Formichetti, Inediti di L. M., in La Rass. della letteratura italiana, LXXXIII (1979), pp. 181-224; Id., Un intellettuale reatino del XVII secolo: L. M., in Lunario romano, X, Seicento e Settecento nel Lazio, a cura di R. Lefevre, Roma 1980, pp. 307-318; La Bibbia del Belli…, a cura di P. Gibellini, Milano 1987, pp. 203-208; P. Gibellini, I panni in Tevere: Belli romano e altri romaneschi, Roma 1989, pp. 74-79; G. Formichetti, Momenti delle poetica moderato-barocca: L. M. poeta e antiquario, in Id., I testi e la scrittura. Studi di letteratura italiana, Roma 1990, pp. 143-257; Id., M. quasi sconosciuto. I sonetti in dialetto reatino secondo la redazione dei codici Marchetti e Perotti, Rieti 1992; P. Trifone, Roma e il Lazio, in L’italiano nelle regioni. Lingue nazionali e identità regionali, a cura di F. Bruni, Torino 1992, pp. 569-572; U. Vignuzzi – P. Bertini Malgarini, Il canzoniere reatino di L. M., in Storia della letteratura italiana, V, La fine del Cinquecento e il Seicento, 2, a cura di E. Malato, Salerno 1997, pp. 801-803.
Scheda di Gianfranco Formichetti – Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 72 (2008)-
Le nozze di Figaro è una delle più famose opere di Mozart e dell’intero teatro musicale, ed è la prima di una serie di felici collaborazioni tra Mozart e Da Ponte, che ha portato anche alla creazione del Don Giovanni e di Così fan tutte.
Fu Mozart stesso a portare una copia della commedia di Beaumarchais a Da Ponte, che la tradusse in lingua italiana (tuttora la lingua ufficiale dell’opera lirica) e che (d’accordo con Mozart) rimosse tutti gli elementi di satira politica dalla storia.
L’opera fu scritta da Mozart in gran segreto in quanto la commedia era stata vietata dall’imperatore Giuseppe II, poiché attizzava l’odio tra le varie classi. Egli impiegò sei settimane per completarla, in particolare scrisse il finale del secondo atto in una notte, un giorno e una successiva notte di lavoro continuato. Fu solo dopo aver convinto l’Imperatore della rimozione delle scene politicamente più discusse che questi diede il permesso di rappresentare l’opera.
Inoltre, la scena finale del terzo atto, che comprendeva un balletto e una pantomima, si dovette scontrare con un divieto imperiale di rappresentare balli in scena. Racconta Da Ponte, nelle sue Memorie, che lui e Mozart, non intendendo rinunciare al finale come l’avevano concepito, invitarono l’imperatore ad assistere a una prova, dove eseguirono quel pezzo muto. L’Imperatore subito ordinò che la musica fosse reinserita.
Così Le nozze di Figaro, finita di comporre il 29 aprile, fu messa in scena al Burgtheater di Vienna, il 1º maggio 1786 con Nancy Storace (Susanna), Francesco Benucci (Figaro), Dorotea Bussani (Cherubino) e Michael Kelly (Basilio e Don Curzio), diretta dal compositore nelle prime due rappresentazioni e da Joseph Weigl nelle repliche. Ottenne un successo strepitoso, al punto che l’Imperatore, dopo la terza recita, dovette emanare un decreto per limitare le richieste di bis, in modo che le repliche non durassero troppo. Ancor più grande fu il successo al Teatro Nazionale di Praga (dal 17 gennaio 1787), dove (a detta di Mozart): «Qui non si parla che del Figaro, non si suona, non si strombetta, non si canta, non si fischia che il Figaro, non si va a sentire altra opera che il Figaro. Eternamente Figaro!».
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
L’opera è in quattro atti e ruota attorno alle trame del Conte d’Almaviva, invaghito della cameriera della Contessa, Susanna, alla quale cerca di imporre lo ius primae noctis. La vicenda si svolge in un intreccio serrato e folle, in cui donne e uomini si contrappongono nel corso di una giornata di passione travolgente, piena sia di eventi drammatici che comici, e nella quale alla fine i “servi” si dimostrano più signori e intelligenti dei loro padroni. L’opera è per Mozart (e prima di lui per Beaumarchais) un pretesto per prendersi gioco delle classi sociali dell’epoca che da lì a poco saranno travolte dai fatti con la Rivoluzione francese. L’intera vicenda può anche essere letta come una metafora delle diverse fasi dell’amore: Cherubino e Barbarina rappresentano l’amore acerbo, Susanna e Figaro l’amore che sboccia, il Conte e la Contessa l’amore logorato e senza più alcuna passione, Marcellina e don Bartolo l’amore maturo.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
La trama
Primo atto
Il mattino del giorno delle nozze, Figaro e Susanna sono nella stanza che il Conte ha assegnato loro. Figaro misura la stanza, mentre Susanna si prova il cappello che ha preparato per le nozze. Nella parte centrale dell’atto Figaro si rallegra della generosità del Conte, ma Susanna sostiene che quella generosità non è disinteressata: il Conte vuol rivendicare lo ius primae noctis che egli stesso aveva abolito. Le brame del Conte sono, peraltro, favorite da Don Basilio, maestro di musica. Figaro si arrabbia e medita vendetta. Anche la non più giovane Marcellina è intenzionata a mandare all’aria i progetti di matrimonio di Figaro e sostiene, con l’aiuto di Don Bartolo, il proprio diritto a sposare Figaro in virtù di un prestito concessogli in passato e mai restituito. Don Bartolo, del resto, gode all’idea di potersi vendicare dell’ex barbiere di Siviglia, che aveva favorito il Conte a sottrargli Rosina, l’attuale Contessa. Entra Cherubino per chiedere a Susanna di intercedere in suo favore presso la Contessa: il giorno prima il Conte, trovandolo solo con Barbarina, si era insospettito e lo aveva cacciato dal palazzo. L’arrivo improvviso del Conte lo obbliga a nascondersi e ad assistere alle proposte galanti che il Conte indirizza alla cameriera Susanna. Ma anche il Conte deve nascondersi al veder avvicinarsi Don Basilio, che svela a Susanna le attenzioni rivolte dal paggio Cherubino alla Contessa. Sopraffatto dalla gelosia, il Conte esce dal nascondiglio e, una volta scoperto che anche il paggio era lì nascosto, va su tutte le furie. Entrano i contadini con Figaro, ringraziando il Conte per aver eliminato il famigerato ius primae noctis. Il Conte, con un pretesto, rinvia il giorno delle nozze e ordina l’invio immediato di Cherubino a Siviglia, dove dovrà arruolarsi come ufficiale. Figaro si prende gioco del paggio con una delle arie più famose dell’opera, Non più andrai, farfallone amoroso.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
Secondo atto
Nelle ampie camere della Contessa, Susanna decide di rivelarle le attenzioni che essa ha ricevuto dal Conte. Entra Figaro ed espone il suo piano di battaglia: ha fatto pervenire al Conte un biglietto anonimo dove si afferma che la Contessa ha dato un appuntamento ad un ammiratore per quella sera. Quindi suggerisce a Susanna di fingere di accettare un incontro col Conte: Cherubino (che non è ancora partito) andrà al posto di lei vestito da donna, così la Contessa smaschererà il marito, cogliendolo in fallo. Tuttavia, mentre il travestimento del paggio è ancora in corso, il Conte sopraggiunge e, insospettito dai rumori provenienti dalla stanza attigua (dove la Contessa ha rinchiuso Cherubino), decide di forzare la porta. Ma Cherubino riesce a fuggire saltando dalla finestra e Susanna ne prende il posto. Quando dal guardaroba esce Susanna invece di Cherubino, il Conte è costretto a chiedere perdono alla moglie. Entra Figaro, che spera di poter finalmente affrettare la cerimonia nuziale. Irrompe, però, il giardiniere Antonio che afferma di aver visto qualcuno saltare dalla finestra della camera della Contessa. Figaro cerca di parare il colpo sostenendo di essere stato lui a saltare. Ma ecco arrivare con Don Bartolo anche Marcellina che reclama i suoi diritti: possiede ormai tutti i documenti necessari per costringere Figaro a sposarla.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart-foto Benedetta Folena
Terzo atto
Mentre il Conte si trova nella sua stanza pensieroso, la Contessa spinge Susanna a concedere un appuntamento galante al Conte, il quale però si accorge dell’inganno e promette di vendicarsi (“Hai già vinta la causa”). Il giudice Don Curzio entra con le parti contendenti e dispone che Figaro debba restituire il suo debito o sposare Marcellina, ma da un segno che Figaro porta sul braccio si scopre ch’egli è il frutto di una vecchia relazione tra Marcellina e Don Bartolo, i quali sono quindi i suoi genitori. Marcellina è lietissima di aver ritrovato il figliolo, ma in quel mentre sopraggiunge Susanna con la somma necessaria a riscattare Figaro liberandolo dall’obbligo di sposare Marcellina: vedendoli abbracciati Susanna dapprima s’infuria, poi, compresa la felice situazione, si unisce alla gioia di Figaro e dei due più anziani amanti. Marcellina acconsente alla tardiva proposta di matrimonio dallo stesso Don Bartolo e condona il debito come regalo a Figaro per le nozze con Susanna, Don Bartolo porge un’ulteriore somma di denaro come regalo per il matrimonio; il Conte, invece, monta su tutte le furie.
La Contessa, intanto, determinata a riconquistare il marito, detta a Susanna un bigliettino, sigillato da una spilla, per l’appuntamento notturno, da far avere al Conte. Modificando il piano di Figaro, ed agendo a sua insaputa, le due donne decidono che sarà la stessa Contessa e non Cherubino ad incontrare il Conte al posto di Susanna. Mentre alcune giovani contadine recano ghirlande per la Contessa, Susanna consegna il biglietto galante al Conte, che si punge il dito con la spilla. Figaro è divertito: non ha visto, infatti, chi ha dato il bigliettino al Conte. L’atto si conclude col festeggiamento di ben due coppie di sposi: oltre a Susanna e Figaro, anche Marcellina e Don Bartolo.
Le nozze di Figaro – di Wolfgang Amadeus Mozart
Quarto atto
È ormai notte e nell’oscurità del parco del castello Barbarina sta cercando la spilla che il Conte le ha detto di restituire a Susanna e che la fanciulla ha perduto. Figaro capisce che il biglietto ricevuto dal Conte gli era stato consegnato dalla sua promessa sposa e, credendo ad una nuova trama, si nasconde con un piccolo gruppo di persone da usare come testimoni del tradimento di Susanna che, nel mentre, all’ascoltare i dubbi di Figaro sulla sua fedeltà, si sente offesa dalla sua mancanza di fiducia e decide di farlo stare sulle spine. Entra allora Cherubino e, vista Susanna (che è in realtà la Contessa travestita), decide di importunarla; nello stesso momento giunge il Conte il quale, dopo aver scacciato il paggio, inizia a corteggiare quella che crede essere la sua amante.
Fingendo di veder arrivare qualcuno, la Contessa travestita da Susanna fugge nel bosco, mentre il Conte va a vedere cosa succede; nel contempo Figaro, che stava spiando gli amanti, rimane solo e viene raggiunto da Susanna travestita da Contessa. I due si mettono a parlare, ma Susanna, durante la conversazione, dimentica di falsare la propria voce e Figaro la riconosce. Per punire la sua promessa sposa, questi non le comunica la cosa ma rende le proprie avances alla Contessa molto esplicite. In un turbinio di colpi di scena, alla fine Figaro chiede scusa a Susanna per aver dubitato della sua fedeltà, mentre il Conte, arrivato per la seconda volta, scorge Figaro corteggiare quella che crede essere sua moglie; interviene a questo punto la vera Contessa che, con Susanna, chiarisce l’inganno davanti ad un Conte profondamente allibito. Allora questi implora con sincerità il perdono della Contessa e le nozze tra Figaro e Susanna si possono finalmente celebrare; la “folle giornata” si chiude così in modo festoso con l’aria conclusiva Ah, tutti contenti.
Luciano Feliciani-Aaron Copland- Pioniere della musica americana-
Zecchini Editore-Varese
DESCRIZIONE- Libro di Luciano Feliciani-Aaron Copland,Compositore poliedrico, intellettuale raffinato, pioniere della nuova musica classica americana, Aaron Copland ha percorso quasi interamente un secolo travagliato e ricco di cambiamenti come il Novecento. Il libro ripercorre la lunga e straordinaria vita del compositore statunitense, consacrata alla creazione di un nuovo linguaggio musicale che incarnasse lo spirito americano, mettendone in evidenza opere e pensiero estetico. L’influenza della musica di Copland sui compositori americani a lui successivi è indiscutibile, quanto palesi sono la sua originalità e il suo stile musicale unico e immediatamente riconoscibile. Divenuto ben presto leader e guida per la nuova generazione di musicisti americani, i suoi scritti e la sua attività di direttore d’orchestra e interprete hanno contribuito alla promozione ed alla diffusione della musica americana in tutto il mondo. Conclude il libro una trattazione ricca di esempi sulla sua musica, che offre al lettore un’utile traccia per comprendere il suo linguaggio compositivo e i periodi stilistici che caratterizzano la sua opera.
Copland nacque a New York nel 1900, quinto figlio di immigrati ebrei di origine lituana. Si avvicinò alla musica quando era già un adolescente, ascoltando la musica di Chopin, Debussy, Verdi e frequentando corsi di armonia e contrappunto, guidati tra gli altri da Robin Goldmark. Nel 1921 coronò il suo desiderio di studiare in Francia, diventando il primo allievo americano della famosa insegnante e organista Nadia Boulanger, grazie alla quale imparò ad apprezzare compositori antichi, come Monteverdi e Bach, e moderni, come Ravel. In occasione dei concerti della Boulanger negli Stati Uniti Copland scrisse uno dei suoi primi lavori, una sinfonia per organo e orchestra.
Nel 1924, tornò in America e cominciò una fase compositiva influenzata dal jazz. In questo periodo compose Music for the Theater e Concerto per Pianoforte. Nel 1925, insieme ad altri 14 artisti emergenti e meritevoli, ricevette il “Guggenheim Fellowship”. In questi anni compose musica in uno stile più astratto, per poi avere un drastico cambiamento alla metà degli anni Trenta, quando compose musica più accessibile a un grande pubblico.
Dal 1936 al 1946 compose una serie di brani che sono da annoverare tra le sue composizioni più famose: El Salon Mexico, An Outdoor Overture, Billy the Kid, Quiet City, Sonata per Pianoforte, Danzon Cubano, Rodeo, A Lincoln Portrait, Sonata per Violino, Appalachian Spring e la Terza Sinfonia. Questo periodo particolarmente prolifico verrà premiato nel 1945 con il “Premio Pulitzer” per la Musica.
Amico e spesso mentore di grandi figure della musica, come Leonard Bernstein, Lukas Foss e Seiji Ozawa, fu un grande sostenitore dei giovani compositori e dei loro lavori, anche come insegnante al Berkshire Music Festival di Tanglewood.
Nella sua lunga carriera fu insignito di oltre 30 lauree onorarie e di innumerovoli premi.
Copland morì nel 1990, a 90 anni, per le complicazioni della malattia di Alzheimer.
Vita privata
A differenza di molti uomini della sua generazione, Copland non fu mai tormentato dalla propria omosessualità.[1] Si accettò come omosessuale già da giovane e per tutta la vita ebbe rapporti abbastanza duraturi con altri uomini. Fu amante e allo stesso tempo mentore di Leonard Bernstein, ed ebbe relazioni anche con il ballerino Erik Johns, il fotografo Victor Kraft, il compositore John Brodbin Kennedy e il pittore Prentiss Taylor.[2][3]
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