Fara in Sabina (Rieti)-Nuove scoperte Archeologiche –
a Fara in Sabina-Un Convegno svelerà i segreti di una Comunità vissuta in Sabina oltre 1800 anni fa-
La Pro Loco di Fara in Sabina – gestore ufficiale dell’ufficio turistico comunale e del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina – è lieta di annunciare il convegno “Le tombe di Passo Corese. Studio di una necropoli romana”, che si terrà venerdì 6 settembre alle ore 16:00 presso la Sala Civica Santa Chiara di Fara in Sabina. Questo evento imperdibile riunirà esperti, professionisti e appassionati del settore per fare luce su un vero e proprio viaggio attraverso il tempo, alla scoperta di una comunità vissuta in Sabina oltre 1800 anni fa. Si tratta di un incontro che offrirà un’opportunità unica per immergersi nel mondo affascinante dell’archeologia. E, nello specifico, permetterà ai partecipanti – studenti, professionisti del settore, insegnanti, appassionati e curiosi – di scoprire un altro straordinario tassello riguardante il passato di questo territorio. Parliamo infatti di un convegno dedicato agli scavi effettuati nel 2015 nell’area della stazione di Passo Corese (frazione di Fara in Sabina): durante un intervento di bonifica dagli ordigni bellici è stata incredibilmente rinvenuta una necropoli romana, ovvero ben 42 sepolture datate dal I al III secolo d.C. Viene considerato infatti uno dei ritrovamenti più prestigiosi degli ultimi anni. Durante l’incontro saranno presenti diversi archeologi, studiosi e ricercatori, tra cui anche coloro che sono intervenuti direttamente agli scavi e che in questi anni hanno studiato gli scheletri per capire il sesso, l’età, l’alimentazione, la statura e tutte le altre informazioni (ad esempio gli aspetti di tipo sociale, culturale e religioso) per determinare la loro vita in quell’epoca. Tra questi vi sono:
Dott.ssa Alessandra Petra. direttrice Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina;
Alessandro Betori, Soprintendente SABAP per le province di Frosinone e Latina;
Mauro Lo Castro, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l;
ssa Rosaria Olevano, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l;
Mauro Rubini, Direttore Servizio di Antropologia della SABAP per le province di Frosinone e Latina;
Angelo Gismondi, Laboratorio di Botanica, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”;
ssa Cristina Martínez Labarga, Centro di Antropologia molecolare per lo studio del DNA antico, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”;
ssa Flavia Maria Novi Bonaccorsi, Conservatore per i Beni Culturali;
ssa Tiziana Orsini, Istituto di Biochimica e Biologia cellule CNR di Monterotondo, Roma.
Oltre al convegno, che aprirà un dibattito su questo importante tema, è stato anche scritto un libro dal titolo “Le tombe di Passo Corese. Approccio multidisciplinare per lo studio di una necropoli romana”, frutto del lavoro e della collaborazione di un gruppo di esperti. Da un frammento della prefazione – scritto da Lisa Lambusier, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, per l’Area Metropolitana di Roma e per la Provincia di Rieti – si legge: “Il grande impegno nelle attività istituzionali di tutela, nonché di promozione e valorizzazione scientifica del patrimonio culturale rappresenta per noi un onere “quotidiano”. Nel panorama di queste attività, l’archeologia preventiva rappresenta uno strumento fondamentale e di grande importanza per il nostro territorio. Proprio dall’applicazione di questa nasce il volume “Le Tombe di Passo Corese – Approccio Multidisciplinare per lo studio di una necropoli romana”, che raccoglie i lavori di un team di studiosi condotto su una necropoli di età imperiale rinvenuta nel comune di Fara Sabina nella frazione di Passo Corese: si tratta dell’ennesima scoperta scaturita da indagini archeologiche preventive, strumento, come detto, consolidato che oramai dimostra la propria imprescindibilità per garantire la tutela del patrimonio culturale italiano. I risultati ottenuti – sottolinea Lambusier – contribuiscono a migliorare la conoscenza del contesto sociale e rurale nel quale questa popolazione viveva, proiettandolo in un virtuale confronto con le condizioni attuali di questa importante regione”. Durante l’incontro sarà quindi possibile sia conoscere le ultime scoperte relative agli scavi in questione sia comprendere meglio il ruolo dell’archeologia nella società moderna. Inoltre, per proteggere e rendere accessibile al pubblico questo prezioso patrimonio culturale, in una delle stanze del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – Fara in Sabina (ubicato presso Palazzo Brancaleoni in piazza Duomo) sono conservate le ricostruzioni di due scheletri che potranno essere visionate dopo il convegno. Per informazioni e prenotazioni contattare l’Ufficio Turistico Comunale in piazza Duomo, 2: 0765/277321 (gio. ven. sab. dome e festivi), 380/2838920 (WhatsApp), visitafarainsabina@gmail.com
Di fronte al Colle di Fara sorge l’altura di Monte San Martino, abitata in epoca protostorica da un esteso ed articolato insediamento risalente all’età del Bronzo finale (la maggior parte del materiale è venuto alla luce presso le pendici orientali del monte, in località Quattro Venti). Le ricerche hanno evidenziato la presenza di alcune opere di terrazzamento con recinti di mura realizzati in pietrame a secco, di cui si ipotizzò in alcuni casi una datazione ad epoca protostorica. È stato possibile ricostruire l’andamento di almeno tre cinte murarie, irregolarmente ellissoidali, che seguivano le curve di livello[4]. Oggi questo abitato protostorico è stato identificato con Mefula,[5] antica città degli Aborigeni (mitologia), che secondo Dionigi di Alicarnasso sorgeva ad appena 5 km di distanza da Suna (Toffia)[6]. Dionigi riferisce inoltre della presenza di mura, unico caso a riguardo del popolo aborigeno, un dato che trova conferma dall’effettiva presenza sul monte di murature a secco attribuibili ad epoca protostorica (peraltro rare in questo periodo).
L’insediamento aborigeno di Mefula scompare già durante la prima età del Ferro (forse in relazione alla contemporanea nascita dei centri sabini in pianura, come la vicina Cures).
Tra il IX secolo a.C. e il VI secolo a.C. nella località di Santa Maria in Arci si era stabilito un insediamento sabino, identificato con la città di Cures, che continuò a vivere in età romana (resti di terme e di un piccolo teatro e necropoli). Il territorio era sfruttato dal punto di vista agricolo con una fitta rete di ville, costruite su terrazzamenti in opera poligonale nel II secolo a.C. e in opera quasi reticolata nel I secolo a.C. (“villa di Grotte di Torri” e ancora di Fonteluna, di Mirteto, di Cagnani e di San Lorenzo a Canneto, di Sant’Andrea e di San Pietro presso Borgo Salario, di Grottaglie, di Piano San Giovanni, di Grotta Scura, di Monte San Martino, di Fonte Vecchia).
Le origini dell’attuale abitato sembrano risalire ad epoca longobarda, alla fine del VI secolo, come sembra indicare il toponimo, derivante dal termine longobardo fara, con il significato di “clan familiare”. Il castello è attestato dal 1006 e dal 1050 fu sotto il controllo dell’abbazia di Farfa. Fu quindi feudo degli Orsini. Dal 1400 è divenuto sede dell’abate commendatario di Farfa e si sono succedute le varie famiglie proprio a partire dagli Orsini fino alla famiglia Barberini, con il cardinale Francesco Barberini, nipote di papa Urbano VIII, che nel 1678 ha fondato, con sede nell’antico castello, il monastero delle Clarisse Eremite.
Nel 1867 fu toccata con la frazione di Coltodino dalla Campagna garibaldina dell’Agro Romano per la liberazione di Roma. Giuseppe Garibaldi dopo la sconfitta di Mentana raggiunse con i suoi Volontari la stazione ferroviaria di Passo Corese in comune di Fara dove partì in direzione del nord. Sempre da Fara sulla riva del Tevere partì con alcune barche la sfortunata spedizione dei Fratelli Cairoli conclusa tragicamente a Villa Glori. Testimonianze della Campagna dell’Agro Romano per la liberazione di Roma (1867) sono conservate nel Museo nazionale di Mentana.
Il 10 dicembre 1920 la frazione di Canneto Sabino fu teatro di un eccidio, il più cruento, quanto a numero di morti del cosiddetto Biennio rosso. Durante una manifestazione organizzata dai braccianti nel tentativo di ottenere migliori condizioni di lavoro un gruppo di Carabinieri ne uccise 11 in località Colle San Lorenzo.
Françoise Hardy è a Parigi una domenica di ottobre del 1962, la Francia vota per il referendum sull’elezione diretta del presidente della Repubblica. È il momento in cui prende forma compiuta quel sistema istituzionale, la Cinquième République, nato nel 1958 sulle macerie della crisi algerina e che adesso, nel 2024, sta vivendo le sue convulsioni. Quella sera del 1962, mentre si aspettano i risultati, sullo schermo in bianco e nero della televisione c’è una ragazza di diciotto anni. Ha l’aria timida e innocentemente spudorata. È esile, malinconica, bellissima. Si chiama Françoise Hardy. Canta una canzone in cui la sua casa discografica non credeva (troppo triste), che inizia così: tous les garçons et les filles de mon âge. È un brano memorabile, nel senso proprio del termine: non appena lo si è ascoltato, diventa parte indispensabile del mondo ed è impossibile dimenticarlo.In quel preciso istante, la giovinezza diventa una condizione dello spirito. Una categoria culturale. Con i suoi libri, le sue canzoni, i suoi profeti. La nascita della giovinezza era stata preparata, annunciata da molte cose. Il libro fulminante sull’adolescenza di JD Salinger, The Catcher in the Rye, del 1951, il cui titolo quasi intraducibile aveva fatto ammattire i traduttori (che avevano poi ripiegato in italiano su il giovane Holden e in francese su L’Attrape-coeurs).Bonjour tristesse (1954) di Françoise Sagan, che prendeva il titolo dalla poesia À peine défigurée di Paul Eluard. I jeans e il giubbotto di pelle nera portati da Marlon Brando in The wild one, che avrebbero dettato il modo di vestire delle generazioni successive. E presto, nel 1965, arriverà un ragazzo americano, Bob Dylan, a cantare Like a rolling stone, a parlare di come ci si sente with no direction home, se si smarrisce la via di casa.
La canzone di Françoise Hardy diceva : je me demande, quand viendra le jour ? Quel giorno, ora, nell’alba degli anni Sessanta, è arrivato. De Gaulle vince il referendum. Ma la giovinezza prende per sé tutta la scena del mondo. Vola sulle accuse della gente, sopra i tetti e le stazioni, non si cura della vita adulta, accarezza la tragicità, l’insensatezza e la bellezza del vivere. Il mondo è ancora in bianco e nero come lo schermo della televisione, ma presto, nel bene e nel male, sarà a colori.
La giovinezza è come Françoise: allegra e triste, adorabilmente imbronciata, o (come in una canzone italiana) dolcemente complicata. Prima di allora, l’età giovanile era considerata spensierata e fugace, illusoria, breve, una transizione magari dorata ma imperfetta, solo un luogo di passaggio. Stagion lieta è cotesta, (…) come un giorno d’allegrezza pieno, aveva scritto Leopardi. Età fiorita a cui sarebbe inevitabilmente seguita la disillusione. Il sabato del villaggio a cui seguirà una domenica piena di noia, e dopo domenica c’è lunedì. E poi in fondo i nostri nonni (basta guardare le rare fotografie) erano stati terribilmente adulti anche da giovani. Già all’approssimarsi dei venticinque anni, povere stelle, assumevano l’aria di donne e uomini fatti e finiti, vestiti di panni pesanti, incatenati spesso a una vita senza scelta. Madri e padri su cui da subito volteggiavano i segni di una vecchiaia che non sarebbe tardata.
Il viso e il corpo di Francoise Hardy invece raccontavano un’altra cosa: una giovinezza che non è più l’età fiorita leopardiana, che accoglie in sé la malinconia (tristesse, beau visage, diceva appunto quella poesia di Eluard), e che non vuol saperne di essere condannata a farsi sostituire dall’età adulta. Le gambe erano magre e lunghe, il seno accennato, i fianchi così poco accentuati rispetto ai canoni estetici delle forme femminili più rotonde. Il sogno di un ragazzo che al risveglio si tocca e si ritrova (come in un’apparizione, in una teofania) nel corpo androgino della donna bellissima che ha sognato. Con i capelli lisci e lunghi, lo sguardo tagliente dei suoi occhi chiari, Françoise Hardy era la ragazza da guardare (in quei sogni) mentre prende il sole, spogliata su una spiaggia francese silenziosa, allucinata e ventosa. Tra dune di sabbia e rare piante a celarne la vista.
Giovane per sempre, immune da ogni tentazione adulta, Françoise Hardy, nata nel 1944, era malata da vent’anni. Anche per lei il tempo era passato e la vita aveva mostrato il suo inganno più vile, quello del dolore, della malattia che non lascia illusioni, delle cure che devastano il corpo. Maman est partie, ha detto il figlio Thomas Dutronc per annunciarne la morte. Come se un giorno potesse tornare, magari assieme a tous les garçons et les filles de son âge. Di nuovo giovane e bellissima, come era stata e come, per me e molti di noi, sarà per sempre.
Articolo di Maurizio Puppo
Maurizio Puppo nato a Genova nel 1965, dal 2001 vive a Parigi, dove ha due figlie. Laureato in Lettere, lavora come dirigente d’azienda e dal 2016 è stato presidente del Circolo del Partito Democratico e dell’Associazione Democratici Parigi. Ha pubblicato libri di narrativa (“Un poeta in fabbrica”), storia dello sport (“Bandiere blucerchiate”, “Il grande Torino” con altri autori, etc.) e curato libri di poesia per Newton Compton, Fratelli Frilli Editori, Absolutely Free, Liberodiscrivere Edizioni. E’ editorialista di questo portale dal 2013 (Le pillole di Puppo).
Esordisce nel mondo della musica a 18 anni, ottenendo un successo immediato. Dopo essersi prodotta per sei anni su scena, abbandona le tournée e i concerti e continua una carriera essenzialmente discografica. Caratterizzato da melodie melanconiche, il repertorio di Françoise Hardy si declina in gran parte sull’elaborazione dei dubbi, delle domande e dell’ansietà che suscitano in lei i tormenti delle relazioni sentimentali e della nostalgia in generale.
Parallelamente alla scrittura di canzoni, si interessa di astrologia, da lei appresa in complemento alla psicologia. È autrice di diversi libri, in particolare sull’astrologia; è stata anche attrice, in ruoli minori o in cameo, talvolta in film di genere musicarello.
Al momento della sua nascita, c’era un’allerta aerea in atto, con le finestre della clinica che “esplodevano”. Ha raccontato di essere nata in questo contesto violento con il “temperamento anormalmente ansioso” che ha sviluppato da adulta. Sua madre Madeleine Jeanne Hardy (1920-1991), che proveniva da un ambiente normale, ha cresciuto Françoise e sua sorella minore Michèle, nata diciotto mesi dopo di lei, come genitore single. Suo padre Pierre Marie Etienne Dillard (1899-1981), un uomo sposato che proveniva da una famiglia molto più ricca, ha fatto poco per aiutarle finanziariamente ed è stato in gran parte una figura assente nella loro educazione, visitando le bambine solo un paio di volte l’anno. Madeleine Hardy ha cresciuto le sue figlie in modo rigoroso, in un modesto appartamento in Rue d’Aumale.
Hardy ha avuto un’infanzia infelice e travagliata, e si è dedicata principalmente ad attività solitarie, come leggere, giocare con le bambole o ascoltare la radio. Su insistenza del padre, le ragazze frequentarono una scuola cattolica chiamata Institution La Bruyère, sotto la guida di monache trinitarie.
Tra il 1952 e il 1960, Hardy e sua sorella furono mandate ogni estate in Austria per imparare il tedesco, incoraggiate dal nuovo amante di sua madre, un barone austriaco. Dato che suo padre suonava il piano, Hardy fu incoraggiata a ricevere lezioni di pianoforte da bambina, che abbandonò rapidamente dopo aver provato paura del palcoscenico quando avrebbe dovuto mostrare i suoi talenti sul palco della Salle Gaveau.
Françoise è stata una studentessa disciplinata, ha saltato due anni di istruzione secondaria e ha conseguito il diploma di maturità nel 1960 all’età di sedici anni.
1961-1969
Françoise Hardy esordisce nel 1962 con il singolo Tous les garçons et les filles, che interpreta il 21 settembre nel programma Le Petit Conservatoire de la chanson di Mireille Hartuch e che viene ritrasmessa domenica 28 ottobre alla televisione francese in serata, in uno degli intermezzi musicali nel corso di una diretta elettorale di grandissimo ascolto. La canzone diventa la bandiera del disagio adolescenziale e finisce col vendere più di due milioni di copie in tutto il mondo (nella versione italiana ha il titolo Quelli della mia età e nel Paesi Bassi arriva al quarto posto). Françoise, suo malgrado, diventa uno dei simboli della generazione yéyé e comincia a mietere successi a 45 giri.
Nel 1963 partecipa all’Eurovision Song Contest con L’amour s’en va e si classifica al quinto posto. Nella sua carriera ha cantato spesso in inglese, italiano, spagnolo e tedesco. In Italia ebbe un grande successo nel 1963 con le canzoni È all’amore che penso e L’età dell’amore, che arriva prima in classifica, e con le cover delle sue canzoni francesi Quelli della mia età, che raggiunge la prima posizione per tre settimane, e L’amore va. Nel 1966 ha partecipato anche al Festival di Sanremo con Parlami di te cantata in coppia con Edoardo Vianello. Fra le sue canzoni c’è La Maison où j’ai grandi, cover di Il ragazzo della via Gluck di Adriano Celentano.
Nel 1967 esce la compilation Antoine & Françoise (Vogue/Jolly LPJ 5077) con 6 canzoni di Antoine (sul lato A) e 6 canzoni di Françoise (sul lato B) e nel 1969 esce Il pretesto (CGD FGS 5052), versione italiana dell’album Comment te dire adieu. Nel 1970 nel video musicale Il Pretesto compare anche un giovane Renato Balestra, noto stilista italiano, già famoso all’epoca. Nel 1967, la Hardy crea la propria casa di produzione, la “Asparagus” e rinnova il contratto con la Disques Vogue. Escono quindi 3 album: Ma jeunesse fout le camp… (1967), En anglais (1968, cantato in inglese) e Comment te dire adieu (1968).
Quest’ultimo album contiene la canzone Comment te dire adieu, traduzione di Serge Gainsbourg della canzone “It Hurts to Say Goodbye”, che sarà uno dei grandi successi del 1969; la Hardy interpreterà questa canzone anche in italiano, col titolo Il pretesto (nel 1968), e in tedesco, col titolo Was mach’ ich ohne dich (nel 1970).
Nel 1968, dopo un’ultima tournée in Sudafrica e a Kinshasa, la Hardy abbandona le tournée e i concerti; d’ora in poi le apparizioni in pubblico saranno sul palco di emissioni televisive e radiofoniche. Nel suo tempo libero, la Hardy comincia ad appassionarsi dapprima di psicologia e poi di astrologia, e su quest’argomento ha pubblicato alcuni libri (da sola e in collaborazione con altri autori) ed ha partecipato ad emissioni radiofoniche.
1970-1988
Françoise Hardy nel 1992
Nel 1970, dopo la rottura con Disques Vogue, pubblica tre compilation in Sudafrica con la sua nuova società di produzione “Hypopotam”, distribuite da World Record Co. : Françoise in German (ORC 6071), Françoise in Italian (ORC 6072) e Françoise in French (ORC 6073).
Nel 1970 con la nuova etichetta discograficaSonopresse e la “Hypopotam”, la Hardy pubblica una raccolta dal titolo Françoise e il decimo album dal titolo Soleil. L’anno seguente (1971) esce La Question e un altro album in inglese, dal titolo If you listen (quest’ultimo prodotto da Edition Kundalini, società creata dalla Hardy), che esce dapprima in Sudafrica e poi in Francia. Nel 1972 esce Et si je m’en vais avant toi, sempre con Hypopotam/Sonopresse.
Nel 1978, sull'”onda” della disco music, la Hardy pubblica l’album “Musique saoule”, scritto da Michel Jonasz su musiche di Alain Goldstein e Gabriel Yared, dalle tonalità jazz e funk; benché questi generi non siano quelli privilegiati della Hardy, il singolo J’écoute de la musique saoule è un successo di vendite e resta in classifica quasi un anno.
Nel 1981 e nel 1982 escono rispettivamente À suivre… e Quelqu’un qui s’en va, entrambi prodotti da Gabriel Yared e pubblicati da WEA/Flarenasch. Nel 1988, dopo 26 anni di carriera musicale, la Hardy pubblica il suo 21º album, Décalages, e dichiara che questo sarà l’ultimo della sua carriera; nel frattempo il contratto con la Flarenasch si era concluso con questo album.
L’anno seguente (il 4 ottobre 1997), è invitata a salire sul palco da Julien Clerc, con il quale canta in duetto Mon ange, una canzone scritta dalla Hardy per Clerc (uscita nell’album Les Aventures à l’eau del 1987). Nel 2000, esce Clair-obscur, che le vale il “Grand Prix” della SACEM e due nominations alle Victoires de la musique.
Nell’ottobre 2008 l’artista ha pubblicato la sua autobiografia, Le désespoir des singes… et autres bagatelles (Éditions Robert Laffont, Paris 2008).[2] Nel 2010 esce l’album La Pluie sans parapluie, l’anno seguente è nominata alle “Victoires de la musique” come “artiste interprète féminine”.
Nel novembre 2012, la Hardy compie 50 anni di carriera musicale, dalla pubblicazione del primo album, nel novembre 1962. Per celebrare questo anniversario escono in contemporanea il nuovo album studio L’Amour fou e il romanzo L’Amour fou (Éditions Albin Michel)[3]. Con questo album la Hardy ottiene due nominations alle Victoires de la musique del 2013.
Il 5 marzo 2015 esce il saggioAvis non autorisés…[4], nel quale si esprime sulla società contemporanea, sulle sue passioni e le sue opinioni, e il 3 novembre 2016 esce Un cadeau du ciel…[5], nel quale racconta della sua ospedalizzazione dell’anno precedente.
Il 9 febbraio 2018 è annunciato il suo nuovo (e 28º) album: Personne d’Autre, che esce il 6 aprile. Il primo singolo Le Large – parole e musica di La Grande Sophie – è disponibile dal 16 febbraio e il video del singolo – realizzato da François Ozon – è pubblicato il 20 marzo su YouTube. L’album – prodotto da Erick Benzi – contiene 11 canzoni, di cui 8 scritte dalla Hardy, più un riadattamento in francese (Dors mon ange) della canzone Sleep del gruppo finlandese Poets of the Fall; le altre tre canzoni sono state scritte da Yael Naim (Your’re My Home), Michel Berger (si tratta della reinterpretazione della canzone Seras-tu là ? del 1975) e da La Grande Sophie (Le Large).
Malattia e morte
Nel gennaio 2004 le era stato diagnosticato un linfoma; da allora si è battuta contro la malattia; in particolare è stata ricoverata per diverse settimane della primavera del 2015, in gravi condizioni (tre settimane in stato di incoscienza con otto giorni di coma).[6]
Muore a Parigi l’11 giugno 2024 all’età di 80 anni a causa della malattia.[7]. La notizia è stata annunciata da il figlio Thomas Dutronc nel social media, con queste semplici parole : “Mamam est partie…” (“Mia mamma se ne è andata…)”[8]
Françoise Hardy è stata la compagna del cantante e attoreJacques Dutronc dal 1967 al 1988. La coppia ha avuto un figlio, Thomas Dutronc, nato il 16 giugno 1973, e si è sposata il 30 marzo 1981 a Monticello in Corsica. Dopo la loro separazione, sono rimasti in buoni rapporti e non hanno divorziato; lei viveva a Parigi e lui a Monticello, dal 1997 con una nuova compagna.
Thomas Dutronc è un noto chitarrista jazz e cantante francese che ha tra l’altro collaborato con lei in alcuni album: Clair-obscur, Tant de belles choses e Parenthèses, e col padre Jacques Dutronc nell’album Brèves Rencontres.
Influenze e omaggi
1964: La Hardy è citata in una poesia di Bob Dylan, For Françoise Hardy at the Seine’s Edge, riportata sulla cover dell’LP Another Side of Bob Dylan.
1965: Il poeta Jacques Prévert ha scritto un testo intitolato Une plante verte per il programma del secondo passaggio della Hardy all’Olympia nell’ottobre 1965.
1968: Lo scrittore Paul Guth le rende omaggio nel suo libro Lettre ouverte aux idoles, nel capitolo Lettre ouverte à Françoise Hardy (pagine da 51 a 63).
1974: La cantante giapponese Yumi Arai ha scritto e registrato la canzone La mia Françoise (私のフランソワーズ?, Watashi No Françoise), una canzone in omaggio a Françoise Hardy, contenuta nell’album Misslim (ミスリム?, Misslim).
1995: Carla Bruni e Laurent Voulzy reintrerpretano Tous les garçons et les filles de mon âge nello spettacolo (e poi nel CD) Les Enfoirés à l’Opéra-Comique (Les Enfoirés).
2007: Il gruppo statunitense Shawn Lee’s Ping Pong Orchestra la cita nella canzone Françoise Hardy, pubblicata nell’album Voices and Choices.
2008: La cantante britannica Sharleen Spiteri ha scritto e registrato in omaggio la canzone Françoise, pubblicata nell’ambum Melody.
2009: Il cantante britannico Robbie Williams ha interpretato la canzone You Know Me, traduzione (reprise) in inglese della canzone della Hardy Voilà.
1963 – L’età dell’amore/È all’amore che penso – Disques Vogue (J 35035) – versioni italiane di Le Temps de l’amour e C’est à l’amour auquel je pense
1963 – L’amore va/Il tuo migliore amico – Disques Vogue (J 35041) – versioni italiane di L’amour s’en va e Ton meilleur ami
1963 – Vorrei capirti/Il saluto del mattino – Disques Vogue (J 35043) – versioni italiane di Saurai-je ? e Le premier bonheur du jour
1964 – La tua mano/Vorrei essere lei – Disques Vogue (J 35055) – la seconda è la versione italiana di J’aurais voulu
1965 – Devi ritornare/La notte sulla città – Disques Vogue (J 35067) – versioni italiane di Only You Can Do It e La Nuit est sur la ville
1966 – Parlami di te/Nel mondo intero – Disques Vogue (J 35087) – la seconda è la versione italiana di Dans le monde entier
1966 – Non svegliarmi mai/Ci sono cose più grandi – Disques Vogue (J 35099) – la prima è la versione italiana di Non, ce n’est pas un rêve
1966 – La maison où j’ai grandi/Il est des choses – Disques Vogue (J 35104) – versioni francesi di Il ragazzo della via Gluck e Ci sono cose più grandi
1967 – Gli altri/I sentimenti – Disques Vogue (J 35137) – versioni italiane di Voilà e Et même
1968 – La bilancia dell’amore/Io conosco la vita – CGD (N 9697) – versioni italiane di Tiny Goddess e La fin de l’été
– Anna Maria ORTESE– Poesie da “Terra oltre il mare”
Copia anastatica da NUOVI ARGOMENTI-numero dicembre 1974
Rivista diretta da
ALBERTO MORAVIA-PIER PAOLO PASOLINI-ENZO SICILIANO
Anna Maria ORTESE nasce a Roma il 13 giugno da una famiglia numerosa e molto povera, che si trasferisce in diverse città prima di stabilirsi nel 1928 a Napoli.Quasi autodidatta – la formazione scolastica costituita solo dalle scuole elementari e da un anno di una scuola commerciale – Anna Maria Ortese si cimenta nel disegno e nello studio del pianoforte, ma infine si appassiona alla letteratura e scopre la propria vocazione di scrittrice. La mancata formazione scolastica fa risaltare ancor più la perfezione stilistica della sua opera, e lo stupore e la meraviglia che essa suscita, in chi vi si accosta, sono se possibile amplificati da questo dato. Nel 1933 il fratello marinaio Manuele muore al largo dell’isola di Martinica; l’eco della tragedia, velata di rimpianto e ricordo, ricorrerà in tutta l’opera della scrittrice. Il 1933 è anche l’anno del debutto con la pubblicazione di tre poesie su «La Fiera Letteraria», tra cui una intitolata Manuele: «(…)Tutto/ che ci rimane ormai di te, Manuele, è un nome solo; e dentro al petto un male/ che a questo nome si confonde» (La Luna che trascorre, ed. Empiria). Anche un altro fratello marinaio, Antonio, da lì a poco morirà al largo delle coste dell’Albania e dal 1952, a seguito della morte di entrambi i genitori, il nucleo familiare della scrittrice si ridurrà alla sorella Maria, con la quale Anna Maria vivrà tutta la vita.
Tra il 1945 e il 1950 comincia a collaborare con la rivista «Sud», il che non le impedirà di trasferirsi da una città all’altra inseguendo un lavoro che le permetta di sopravvivere, quasi sempre accompagnata dalla sorella. Il rapporto sororale, essenziale nella vita della Ortese, sarà per lei anche fonte di perenne rimorso per la vita sacrificata della sorella. Infatti Maria non si sposerà per rimanerle accanto e il suo lavoro, e successivamente la pensione (da impiegata alle poste), saranno quasi le sole fonti di sostentamento per entrambe, essendo i ricavi delle pubblicazioni sempre molto modesti. La sorella Maria, così come gli altri componenti della famiglia, prenderà corpo trasfigurandosi in alcuni personaggi dolorosi, eterei e senza tempo, fondamentali nell’opera della scrittrice (uno su tutti, Juana de Il Porto di Toledo). La stessa Ortese, forse, si trasporrà nell’iguana dell’opera omonima: in un’isola perduta nell’Oceano, una piccola iguana, fatta serva da una famiglia di miseri antichi nobili spagnoli, parla e si veste come una donna e si innamora di un uomo, un nobile milanese venuto a comprare l’isola per farne un paradiso per ricchi; presto saprà quanto è crudele il mondo degli uomini, di chi si ritiene arbitro di tutto e tutti. L’iguana e le altre creature della Natura hanno sempre tratti “umani” (Il Cardillo Addolorato, il puma di Alonso e i visionari) mentre i rari umani nell’opera della Ortese sono angelici e bestiali (il monaciello, le persone incontrate in Silenzio a Milano o nei reportage giornalistici di «La Lente Oscura»).
Tra una città e l’altra, Ortese comincia a pubblicare alcune opere che non avranno mai un vero successo di vendite, solo qualche «eco di polemica», come avrà modo di ricordare in Corpo Celeste, ultima opera, anzi opera-testamento che condensa lucidamente il pensiero e la vita della scrittrice: «[…]E penso di non essere un vero scrittore se, finora, non mi è riuscito di dire neppure lontanamente in quale terrore economico – e quindi impossibilità di scrivere – viva, in Italia, uno scrittore che non prenda gli Ordini. E che non abbia avuto, nascendo, nulla di suo, neppure un tetto». Poco successo di pubblico e scarsa attenzione da parte della critica non le impediranno di avere però dei sostenitori nel mondo letterario, uno fra tutti Pietro Citati che la definirà “la zingara sognante”, cogliendo l’essenza stessa della Ortese: «Malgrado la mia vita non sia ciò che si dice una vita realizzata, devo considerarmi fortunata perché, su un totale di almeno cinquant’anni di vita adulta, riuscii qualche volta ad accostare questa riva luminosa – io che mi considero un eterno naufrago – dell’espressione o espressività che avevano per scopo questo eterno interesse: cogliere e fissare… il meraviglioso fenomeno del vivere e del sentire[…].Tale sentimento può essere meglio definito dalle parole: estasi, estatico, fuggente, insondabile.» (Corpo Celeste). Quella descritta da Ortese è l’esperienza della realtà in cui non è possibile separare la veglia dal sogno. «[…]questo, donna, è il mondo: una cosa fatta di vento e voci – fatta di attese e rimpianto di apparizioni, fatta di cose che non sono il mondo» ( In Sonno e In Veglia) È la “stranezza” continua che suscita l’esperienza della vita stessa, che in Ortese non è mai egocentrata, ma sempre “cosmica”, una viva relazione fra tutte le creature viventi, da cui non è esclusa la pietra (e dunque la terra e i suoi abitanti come “corpo celeste”, mai separato dall’universo): la scrittura può raccogliere e restituire questa relazione solo assecondandone il movimento, quindi operando nello stesso senso della vita e della natura, per somiglianze, per spostamenti, per metafore.
«Potrei ricominciare da capo, se volessi, aggiungendo tante altre cose che mi sono sfuggite. Ma tutto quello ch’è passato davanti ai miei occhi, in tutti questi anni, si stende già in un solo tono uniforme, in un solo colore azzurro, dove questo o quel particolare non hanno più importanza di un vago arricciarsi di spume o brillare di pagliuzze d’argento. Il mare! Ecco cos’è una vita quando gli anni si mettono a correre tra noi e la riva diafana sulla quale siamo apparsi la prima volta: assopito, remoto, mormorante mare» (Il Porto di Toledo). Sarà il mare e il movimento marino, che tanto ricorda il flusso di coscienza di Virginia Woolf e le intermittenze del cuore di Proust, ad avere un ruolo centrale nell’opera della Ortese, indubbiamente per il segno portato nella biografia dalla morte dei fratelli e il pensarsi “naufraga” o per le città marine che sceglierà; in secondo luogo come analogo del Tempo, “insondabile” e insieme superficie e sostanza sempre identica e sempre diversa; e inoltre come figura analoga al lavoro della sua scrittura, sulla quale pensieri, ricordi, percezioni, agiscono con un moto continuo, modellando, aggiungendo, levigando la frase, nella struttura e nella sostanza, fino a farne una concrezione mirabile in cui sembra impossibile distinguere i singoli elementi.
Con Il Mare Non Bagna Napoli, nel 1953, arriverà una labile notorietà, non scevra da forti polemiche per via delle critiche mosse nel libro al gruppo di intellettuali napoletani che si raccoglie intorno alla rivista «Sud»; la scrittrice mai rinuncerà a posizioni critiche nei confronti del mondo letterario dal quale si sente ingiustamente respinta e a cui sente di appartenere a tutti gli effetti. Dalle lettere agli amici, dalle rare interviste concesse, il desiderio di essere riconosciuta come “scrittrice”, come “narratrice”, sarà sempre un punto dolente nella vita di Ortese. Dagli intensi scambi epistolari fra la scrittrice e amici, quali Citati e Dario Bellezza, si possono cogliere momenti intimi e aneddoti, di alcuni dei quali è possibile trovare un’eco nell’opera della Ortese. Sarà Bellezza a raccontare, con discrezione, l’amore per Marcello Venturi, «una delusione d’amore» come avrà modo di dirgli la stessa Ortese (che la farà apparire agli occhi del poeta, nell’occasione del loro primo incontro, con un aspetto “monacale”, “senile”, sebbene non lo fosse). Sarà ancora Bellezza nel 1986 a promuovere la raccolta di firme fra amici e intellettuali affinché le venga assegnata la pensione prevista dalla legge Bacchelli. La scrittrice confessò, in una lettera al poeta-amico, di essere stata sfrattata dalla casa di Rapallo, città scelta come ultimo porto. Bellezza rese pubblico quanto successo e avviò la petizione. Solo in tarda età, esattamente nel 1993 a 79 anni, la Ortese riuscirà ad avere un maggior successo di pubblico con Il Cardillo Addolorato, edito da Adelphi, casa editrice che già dal 1986 cominciò a ristampare tutte le sue opere (in collaborazione con l’autrice stessa) in modo da formare un corpus rivisitato e organico. La Ortese muore il 9 marzo nel 1998, tre anni dopo la sorella Maria.
Biografia scritta da Emanuele Pozzi-Da tempo immemorabile studente fuori corso di Storia all’università Stataledi Milano, è appassionato di letteratura femminile e di storia del pensierofemminile. Melomane, jazzofilo e amante dei viaggi in Oriente.Nessun merito accademico, forse un giorno nell’età senile si metterà astudiare seriamente tutto quello che in corso di laurea si deve studiare enon solo quello che gli piace. Ha una nipote bellissima, Sofia.
FONTE -Enciclopedia delle donne-
Fonti, risorse bibliografiche, siti
Referenze iconografiche: Ritratto di Anna Maria Ortese, Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication.
Biografia di Anna Maria Ortese
scritta da Emanuele Pozzi- FONTE -Enciclopedia delle donne
Per una storia dell’amicizia tra Baldassarre Castiglione e Raffaello-
Viella Libreria Editrice-ROMA
In copertina: Herman Posthumus, Tempus edax rerum, 1536. Vienna, Museo Liechtenstein.
Sinossi-Nell’anno delle celebrazioni del quinto centenario della morte di Raffaello (1483-1520) le mostre e gli studi hanno ampiamente illustrato anche la rete delle sue relazioni culturali, in particolare negli anni romani. In questo contesto ha assunto grande importanza l’amicizia con Baldassarre Castiglione, sia per il ritratto ora al Louvre che ne è supremo documento, sia per la Lettera a Leone X, che sempre più gli studi storico-artistici tendono ad attribuire a Raffaello.
Questo libro, dopo avere ricostruito tempi e modi del lungo e intenso rapporto di amicizia, nel nome di Urbino, tra il letterato e il pittore, propone una serrata indagine filologica e documentaria, fondata sul primo manoscritto della Lettera, tutto di mano del solo Castiglione. Dimostra che l’autore fu unicamente il letterato, che la elaborò e scrisse, come allora era in uso, “in persona” di Raffaello (cioè, a suo nome e per suo conto), e ovviamente con la sua diretta collaborazione soprattutto per le notizie sugli aspetti propriamente tecnici del grande progetto che il pittore aveva sperimentalmente avviato, interrotto però dalla sua prematura morte: eseguire con nuove procedure e nuovi strumenti il rilievo architettonico delle ruine dei monumenti antichi di Roma.
INDICE-
Premessa
1. Tra amici, un letterato e un pittore
1. Per la storia di un’amicizia
2. Chi è nelle vesti di Zoroastro nella Scuola di Atene?
3. Ancora per la storia di un’amicizia
4. Castiglione, le arti e Raffaello pittore
5. Qualcosa su Giovanni Santi
6. Per conformità culturale: nel nome della grazia
7. Il ritratto di Castiglione dipinto da Raffaello
8. La morte di Raffaello
9. Raffaello nelle lettere di Castiglione
10. Castiglione e
11. Castiglione di nuovo negli affreschi vaticani?
12. Raffaello nel ricordo di Castiglione
2. La Lettera di Castiglione a Leone X
1. I dati di fatto: la Lettera scomparsa (per più di due secoli)
2. La Congettura di Daniele Francesconi
3. I dati di fatto: l’autografo ritrovato
4. I dati di fatto: i testimoni
5. Il testimone interpolante
6. I quattro testimoni in prima collazione
7. Come lavorava Castiglione?
8. Quando è stata scritta la Lettera?
9. Pubblicare la Lettera a Leone X
10. Da chi e come è stata scritta la Lettera?
11. I due amici e le due parti della Lettera
12. In persona di, a nome e per conto di: tipologie epistolari classicistiche
13. Raffaello semicolto, illetterato, o cosa?
14. Roma ai tempi della Lettera a Leone X
3. Un manifesto del Classicismo: la Lettera a Leone X
1. La prima parte: in forma di oratio ed exhortatio a Leone X
2. La prima parte: un compendio di storia delle forme architettoniche
3. La seconda parte: la descriptio di come Raffaello esegue il suo progetto
4. La lettera sulla villa del cardinale Giulio de’ Medici
Romania-Lo scultore rumeno Darius Hulea mescola le opere in metallo della vecchia scuola con metodi contemporanei per creare i suoi incredibili “schizzi” di metallo con fili di ferro, acciaio inossidabile, ottone e rame.
Biografia di Darius Hulea is a Romanian Postwar & Contemporary artist who was born in 1987. Darius Hulea’s work has been offered at auction multiple times, with realized prices ranging from 5,469 USD to 19,324 USD, depending on the size and medium of the artwork. Since 2020 the record price for this artist at auction is 19,324 USD for Venus In The Mirror, sold at Artmark in 2021. Darius Hulea has been featured in articles for Daily Art Magazine, Hi-Fructose and My Modern Met. The most recent article is A Contemporary Sculpture Exhibition in the Mountains: Cantacuzino Palace in Romania written for Daily Art Magazine in September 2021.
Roma-Il restauro delle sculture del Vittoriano il Monumento a Vittorio Emanuele II
Roma-agosto 2024 – Nell’ambito del grande progetto di restauro delle sculture del Vittoriano promosso dal VIVE, diretto da Edith Gabrielli, vengono restituiti a cittadini e turisti il pennone di sinistra ideato da Gaetano Vannicola e la Vittoria alata di Edoardo Rubino. Torna così nuovamente a splendere, in tutta la sua magnificenza, la finitura dorata degli elementi in bronzo, prevista nel progetto di Giuseppe Sacconi, l’architetto del monumento.
Diretto da Edith Gabrielli ed eseguito da Susanna Sarmati, il progetto di restauro –realizzato grazie al contributo di Bvlgari – è volto a garantire la conservazione e a restituire la piena leggibilità delle sculture sul prospetto principale del celebre monumento dedicato a Vittorio Emanuele II, primo re d’Italia, realizzate agli inizi del Novecento da alcuni dei più importanti artisti del panorama nazionale.
Il disallestimento del ponteggio del pennone di sinistra impegnerà l’intera settimana e si concluderà con lo svelamento della Vittoria alata dello scultore torinese Edoardo Rubino: la bandiera italiana potrà così tornare a sventolare sul monumento.
Il pennone presenta una base a campana ornata da festoni e alla sommità un’aquila romana, l’una e l’altra in bronzo dorato; anche la Vittoria alata che si libra sulla prua di una nave romana, poco al di sotto, è ugualmente in bronzo dorato, in calibrato accordo con il bianco del Botticino, caratteristico del Vittoriano.
“Nel progetto dell’architetto Giuseppe Sacconi il Vittoriano s’imponeva allo sguardo per l’equilibrio cromatico fra il candore del Botticino e la finitura dorata delle sculture e degli ornamenti in bronzo. Parlano chiaro in tal senso la documentazione esistente, compreso un disegno del febbraio 1888, e le analisi condotte direttamente sulle opere. Tuttavia, il degrado causato dagli anni, dall’inquinamento e dagli agenti atmosferici aveva ormai occultato alla vista questa finitura. Nel pieno rispetto dei principi metodologici del restauro italiano, abbiamo deciso di reintegrare l’immagine a suo tempo concepita da Sacconi, restituendo piena leggibilità alla doratura originale. Oggi tutti possono vedere i primi risultati di questo lavoro nel pennone di sinistra. Fra qualche settimana, entro ottobre, concluderemo il restauro del secondo pennone e dei due gruppi monumentali de Il Pensiero e de L’Azione, rispettivamente di Giulio Monteverde e di Francesco Jerace. Invito tutti ad approfittare in questo periodo delle visite guidate gratuite che, nello spirito del “cantiere aperto”, consentono di salire sui ponteggi e di osservare i restauratori al lavoro. In questi mesi lo hanno fatto in parecchi, inclusa Carla, una gentile e dinamica signora di 78 anni”, afferma Edith Gabrielli, Direttrice del VIVE-Vittoriano e Palazzo Venezia.
Il restauro ha evidenziato che le finiture in oro risultavano coperte a causa del processo di ossidazione del bronzo, in particolare su angoli e sottosquadri, e di ridipinture in tinta giallo limone che erano state applicate nel corso del tempo. È stato così possibile far riaffiorare la finitura dorata occultata dai depositi di ossidazione e dai precedenti interventi.
Ad effettuare il lavoro una équipe di esperti restauratori, fra le eccellenze italiane del settore che, grazie alla modalità del cantiere “aperto” – realizzato con un sistema di ponteggi trasparenti – può essere ammirata da cittadini e turisti durante tutte le fasi di lavoro.
Proseguono i lavori di restauro sulla fontana Mare Adriatico di Emilio Quadrelli, sulle sculture in bronzo dorato raffiguranti Il Pensiero di Giulio Monteverde e L’Azione di Francesco Jerace. Dalla prossima settimana sarà allestito il ponteggio sul pennone di destra con la Vittoria alata di Edoardo De Albertis. Il termine dell’intero intervento è previsto per la fine di ottobre.
Per scoprirne da vicino le tecniche e conoscere i problemi di conservazione delle sculture e le soluzioni adottate, il VIVE – Vittoriano e Palazzo Venezia ha promosso fin dall’avvio dei lavori una serie di visite guidate in cui è possibile salire sui ponteggi e verificare il procedere dell’intervento. Un’iniziativa che ha riscosso un grande successo da parte del pubblico e che prevede un prossimo appuntamento il 12 settembre 2024 alle ore 10.00, in linea con il continuo e proficuo dialogo che l’Istituto persegue da sempre con la propria comunità.
Le visite al cantiere di restauro sono gratuite e riservate ad un massimo di 15 persone a turno previa prenotazione inviando richiesta a: vi-ve.edu@cultura.gov.it
Roma-Ostia-THEORIS – Mostra d’arte alla Galleria Ess&rrE
Ormai gli appuntamenti alla Galleria Ess&rrE si susseguono con una frequenza incondizionata e la mostra Theoris non fa eccezioni. Il nuovo appuntamento per fine estate propone 3 artisti provenienti dalla Sicilia che hanno avuto modo di proporre le loro iniziative artistiche in diverse parti d’Europa e le qualità indiscusse delle loro opere hanno suscitato l’interesse della Galleria di Ostia in un luogo, quello del Porto turistico di Roma, dove ha appunto la sede la Galleria Ess&rrE che ormai è un punto fermo del litorale laziale per esporre opere anche di grandi dimensioni di questi autori con una spiccata attitudine pittorica e scultorea. Infatti, di questi artisti, saranno proposte anche numerose sculture di Carmen Restifo e di Antonello Arena, che tra le altre, esporrà anche diverse “opere popular” e Alessandra Lanese che fa delle grandi dimensioni il punto forte della sua arte. Nell’evento sarà ospite anche un artista del litorale romano, Fabrizio Montreaux, per la prima volta selezionato nello spazio espositivo della Blu Star International. Ormai gli appuntamenti alla Galleria Ess&rrE si susseguono con una frequenza incondizionata e la mostra Theoris non fa eccezioni. Il nuovo appuntamento per fine estate propone 3 artisti provenienti dalla Sicilia che hanno avuto modo di proporre le loro iniziative artistiche in diverse parti d’Europa e le qualità indiscusse delle loro opere hanno suscitato l’interesse della Galleria di Ostia in un luogo, quello del Porto turistico di Roma, dove ha appunto la sede la Galleria Ess&rrE che ormai è un punto fermo del litorale laziale per esporre opere anche di grandi dimensioni di questi autori con una spiccata attitudine pittorica e scultorea. Infatti, di questi artisti, saranno proposte anche numerose sculture di Carmen Restifo e di Antonello Arena, che tra le altre, esporrà anche diverse “opere popular” e Alessandra Lanese che fa delle grandi dimensioni il punto forte della sua arte. Nell’evento sarà ospite anche un artista del litorale romano, Fabrizio Montreaux, per la prima volta selezionato nello spazio espositivo della Blu Star International.
La mostra si inaugura il 7 settembre alle ore 18:00 con la solita allegria e il dovuto entusiasmo con intrattenimento musicale di DJ Set Pretty Cixo e le riprese di ZTL TV di Antonello Nazarini che dedicherà interviste e riprese agli artisti e allo staff della Galleria Ess&rrE. Il percorso della mostra, curata da Alessandra Antonelli direttrice artistica, avrà, tra l’altro, la presenza del Prof. Francesco Buttarelli, membro della Regione Lazio della sezione Cultura che ci accompagnerà con il suo pensiero sull’arte e sulla mostra per la collaborazione ormai consolidata tra la Galleria e le istituzioni.
Il Porto turistico di Roma, tra l’altro ricco di storia, data la vicinanza agli scavi di Ostia Antica, il meraviglioso sito archeologico secondo per estensione solo a Pompei e al sito monumentale di Tor San Michele, tipica costruzione fortificata edificata nel 1500 sul progetto di Michelangelo Buonarroti, che nel più bello e suggestivo dei tramonti romani in riva al mare a ridosso delle più affascinanti imbarcazioni del Porto turistico di Roma, fanno da contorno a questa bellissima ulteriore iniziativa della galleria d’arte.
Insomma l’arte a Ostia grazie alle iniziative della Galleria Ess&rrE è ormai un punto fermo per chi, con la dovuta attenzione al settore, si affaccia agli eventi sempre più qualificati per selezionare ciò che potrebbe far parte della collezione privata degli interessati, dei curiosi o anche solo per respirare arte in una location dal forte impatto emozionale.
La mostra è curata da Alessandra Antonelli e Roberto Sparaci.
Inaugurazione sabato 7 settembre 2024 ore 18.00
Ingresso libero: Orari di apertura: 10.00-13.00 – 15.00-19.00
Sabato dalle 16.00 alle 20.00 – Domenica su appuntamento
Françoise Hardy è morta l’11 giugno, a 80 anni. Soffriva dal 2004 di una lunga e dolorosa malattia. Thomas Dutronc, suo figlio, ha confermato il decesso con un post instagram verso le ore 23 di ieri sera: “Mamma è partita”.
Françoise Hardy era ammalata da tanto tempo, e la sua situazione si era recentemente aggravata. La cantante resta nella memoria collettiva come una delle icone degli anni ’60. I suoi successi e il suo gusto per la moda ne avevano fatto un idolo dei giovani. L’interprete della canzone “Comment te dire adieu”, viveva da tanti anni lontano dalle telecamere e dalla vita pubblica. Numerose volte, si era espressa per il diritto a morire con dignità, e desiderava che le sue sofferenze finissero.
L’infanzia di Françoise Hardy resterà sempre un periodo doloroso per la cantante, cresciuta in un ambiente modesto, in un piccolo appartamento nella nona circoscrizione di Parigi con sua madre e sua sorella. Figlia illegittima di un uomo già sposato, soffre di un’assenza paterna, e dello sguardo dei suoi compagni di classe della scuola cattolica. Ma i momenti che teme di più sono i weekend, a casa di una nonna descritta come terribile, particolarmente con la ragazza, travolta di critiche, che per tanti anni saranno i suoi complessi, soprattutto sul suo fisico.
Solitaria, Françoise si rifugia nella musica grazie alla radio e la collezione di dischi di sua madre, prima di farsi regalare una chitarra per aver passato l’esame di maturità. Essendo alla ricerca di giovani talentuosi da lanciare nell’avventura dello yeye, la casa discografica Vogue l’assume nel 1961. Lontana dalla furia di un Johnny Hallyday, Françoise Hardy canta, dolce e melanconica, le paure dell’adolescenza.
Françoise Hardy esordisce in televisione nel 1962 con la celebre Tous les garçons et les filles, che interpreta il 21 settembre nel programma Le Petit Conservatoire de la chanson e che viene ritrasmessa domenica 28 ottobre alla radio in uno degli intermezzi musicali nel corso di una diretta elettorale di grandissimo ascolto.
La sua carriera è lanciata in pochi minuti. Già dall’indomani mattina, la sua canzone “Tous les garçons et les filles” avrà un successo enorme. Paris Match la mette in copertina e la pone come “idolo di una generazione”. Fa concerti attraverso la Francia, passa dall’Olympia, viaggia in tutta Europa, e comincia pure a fare cinema. Diventa un’icona di moda, popolare nel mezzo dei grandi “couturiers” come Courrèges o Saint Laurent, e la sua bellezza rappresenterà l’innocenza degli anni 1960. Le sue canzoni diventano sempre più famose, come “L’amour s’en va”, poi “Mon amie la rose”, in 1964, oppure “Comment te dire adieu”, prodotta da Serge Gainsbourg nel 1968.
Negli anni 2000 le viene diagnosticato un linfoma, i cui sintomi si aggraveranno lungo gli anni. Ritornando all’astrologia, (una grande passione a partire dagli anni ’60), ma anche alla scrittura, combatte ferocemente contro la malattia per circa 20 anni, ma lotta anche per il diritto all’eutanasia. “Non ho paura di morire, dice a Match nel 2021, ma ho molta paura di soffrire, anche se sta già succedendo, ma anche paura della sofferenza di dovermi separare degli esseri che amo più al mondo: mio figlio Thomas e suo padre”.
Traduzione di Héloïse Badiane Dorléans, giovane studentessa del Liceo Francese di Torino, in redazione per due settimane di stage di osservazione in ambito professionale
Fonte-Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
La Mädchenorchester von Auschwitz fu formata per la prima volta nell’aprile del 1943, come progetto della SS Maria Mandel, per i tedeschi che desideravano uno strumento di propaganda per i cinegiornali e come strumento per il morale del campo.
Fu diretta da un’insegnante di musica polacca, Zofia Czajkowska, e non ebbe molti elementi fino al maggio del 1943, quando furono ammesse le donne ebree.
Le musiciste avevano provenienze diverse, come del resto gli internati nel campo.
A partire dal giugno del 1943 il ruolo principale dell’orchestra fu quello di suonare al cancello quando le squadre di lavoro uscivano o rientravano.
L’orchestra teneva concerti nel fine settimana sia per i prigionieri sia per le SS; era anche incaricata di suonare in infermeria, per i prigionieri ricoverati, oppure in occasione dei nuovi arrivi o delle selezioni.
All’inizio era formata principalmente di musiciste dilettanti, con una sezione di archi, di fisarmoniche e un mandolino. Gli strumenti e gli spartiti erano stati recuperati dall’orchestra maschile del campo principale di Auschwitz.
Il repertorio dell’orchestra era abbastanza limitato, e questo a causa dei pochi spartiti disponibili, della limitata preparazione della direttrice d’orchestra e delle richieste delle SS. Eseguiva per lo più marce tedesche e musica di canzoni popolari militari polacche che la Czajkowska conosceva a memoria. Anche due musicisti professionisti ne fecero parte: la violoncellista Anita Lasker-Wallfisch e la cantante/pianista Fania Fénelon, ed entrambe scrissero di quella loro esperienza nell’orchestra.
La Czajkowska fu sostituita nella veste di direttore d’orchestra nell’agosto del 1943 da Alma Rosé, nipote di Gustav Mahler, che era stata la direttrice di un’orchestra di donne nella sua città natale, Vienna. La Rosé era molto più esperta della maggior parte delle adolescenti dell’orchestra, ma continuò a fare affidamento sulla Czajkowska per la traduzione dal polacco. La Rosé diresse, orchestrò e talvolta suonò assoli di violino durante i suoi concerti. Oltre all’attività ufficiale, faceva provare l’orchestra e suonava musica proibita di compositori polacchi ed ebrei per aumentare lo spirito dei membri dell’orchestra e dei compagni che si fidavano di lei.
La Rosé morì improvvisamente all’età di 37 anni, nell’aprile del 1944. Secondo alcune fonti la donna morì per avvelenamento da cibo.
Da allora in poi l’orchestra fu condotta da Sonia Vinogradova, una prigioniera russa.
Il 1º novembre 1944 i membri ebrei dell’orchestra femminile furono evacuati da un camion per il bestiame a Bergen-Belsen, dove non c’era né orchestra né privilegi speciali. Il 18 gennaio 1945 le ragazze non ebree nell’orchestra, tra cui diverse polacche, furono evacuate nel campo di concentramento di Ravensbrück. Quello stesso mese Auschwitz fu dismesso e l’orchestra fu mandata a Bergen-Belsen, luogo nel quale alcune di loro persero la vita.
Fabio Casalini
La fotografia è tratta dal film “Ballata per un condannato” del 1980, diretto da Daniel Mann, con Vanessa Redgrave e Jane Alexander.
Antiqua Vox
Fondazione Antiqua Vox promuove la musica barocca e l’organo a canne tra gli appassionati e le nuove
ROMA-Street art e murales alla Magliana . Fotoreportage di Franco Leggeri
Fotoreportage di Franco Leggeri-Anche a Roma, come nelle più grandi capitali europee, abbiamo visto la nascita e l’espansione di questa forma d’arte, che fonda le sue radice tra le zone più popolari come Magliana, Trullo e Corviale. Il Trullo è un luogo della “mente”, scrive Inumi, “e tutta la periferia esistente può essere seme e frutto di poesia”.
Esempio importantissimo della Street Art è l’opera dell’artista romano Riccardo Martinelli, in arte Groove,situata in Via di Santa Passera vicino alla Chiesa di Santa Passeradove è possibile ammirare un lupo, un orso polare e alcuni gorilla, uno dei quali si sta scattando un selfie. Tutto ciò fa parte di un movimento volto a rigenerare dal punto di vista urbanistico, sociale e culturale i quartieri più periferici delle metropoli più importanti al mondo. Vogliamo chiudere con un bellissimo pezzo tratto dalla
poesia di Er Bestia:
ecco la Street Art, ar popolo appartiene /
Potenza nelle vene che spezza le catene /
Ner monno che se spegne è foco nella strada /
Che ‘n giorno apre l’occhi e se trova tatuata /
Non conosce serrature e orari de chiusura /
MURALES SANTA PASSERA Fotoreportage di Franco Leggeri
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