Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
Poggio Moiano (Rieti)-Il Festival della Filosofia Femminista.
Il Comune di Poggio Moiano presenta un ricco programma di iniziative, costruite intorno alla VI edizione del concorso artistico letterario legato alla questione femminile, finanziato dalla Regione Lazio e denominato Percorsi in genere. Contronarrazioni sul femminile tra arte, scrittura e buone pratiche.
L’avvio delle iniziative si condensa nel fine settimana del 6 e 7 maggio, con il Primo Festival di filosofia femminista, che vedrà come ospiti studiose e ricercatrici di filosofia di genere, tra cui Chiara Belingardi, dall’Università di Firenze, Caterina Botti, dall’Università La Sapienza di Roma, Serena Caroselli, dall’Università di Milano, Alessandra Chiricosta dalla Jhon Cabot University, Isabella D’Angelo, dall’Università di Bologna, Claudia Manzione dall’Università di Genova, Lorenza Moretti dall’Università La Sapienza e Anna Simone per l’Università Roma Tre, Norma Felli per l’Università La Sapienza.
A moderare questo appuntamento che si profila ricco di spunti e riflessioni sugli studi di genere ci saranno Flavia Braconi, antropologa e ideatrice del concorso artistico letterario e Alessandra De Gennaro, dottoranda in filosofia dell’Università La Sapienza.
Sarà esposta inoltre l’opera “Under Pressure” di Ilaria Paccini, artista toscana, che ha realizzato appositamente questo lavoro per celebrare il primo festival di filosofia femminista in Sabina.
Il pomeriggio del 7 maggio invece sarà dedicato alla presentazione del libro di Oria Gargano “Amore poderoso”, alla presenza dell’autrice che dialogherà con Carmen Silipo, progettista sociale.
L’iniziativa di un concorso dedicato alla questione femminile è nata nel 2014 come attività culturale della Biblioteca Comunale di Poggio Moiano. Ogni edizione del concorso ha avuto un suo taglio per le tematiche da sviscerare e da cui consegue il titolo della pubblicazione che si ricava dagli elaborati vincitori. Da “Donne al lavoro” per introdurre come base dell’emancipazione femminile la partecipazione attiva al mondo del lavoro, a “Questione di genere” per sostenere il concetto che il genere è frutto di costruzione culturale, si è arrivati alla terza edizione nel 2019 con “Il tempo delle donne” per giocare sull’idea del tempo delle donne contemporanee spesso imbottigliate dentro i diversi ruoli che la società impone loro e al 2020, l’anno segnato dall’isolamento dovuto alla pandemia con “Storie e spazi di donne”. Il penultimo è stato invece dominato da una tematica assai importante “Donne e politica”, scelto per sottolineare l’importanza che avrebbe una partecipazione ampia e ai vertici della scena politica italiana un protagonismo femminile vero e concreto. Il 2023 è la volta di “Percorsi in genere”. Contronarrazione sul femminile tra scrittura, arte e buone pratiche” che presenta la possibilità di approfondire percorsi di vita, in cui protagoniste sono donne con le loro idee e le loro battaglie per il cambiamento.
«Il concorso è diventato per il nostro piccolo comune una importante occasione di crescita e di presa di coscienza sulle tematiche di genere. Celebrarlo attraverso un festival filosofico è il coronamento di un desiderio di crescita e di potenziamento dell’autocoscienza femminile», dichiara la consigliera Felli, con soddisfazione per aver dato continuità ad un progetto culturale che ad ogni edizione cerca di crescere e sta riuscendo a raccogliere sempre più consensi da parte del pubblico.
«Il progetto di questa sesta edizione è basato su un percorso culturale che si snoda attraverso tutto il 2023, grazie all’apporto di associazioni ed enti attivi nella sensibilizzazione delle tematiche di genere», conclude Flavia Braconi che in sinergia con la consigliera Felli sa di poter contare per questa edizione dell’apporto di importanti partners: Archivia, che raccoglie il centro di documentazione delle donne, la redazione di Noi donne che sostiene il concorso e ne promuove la comunicazione, realtà locali, nella veste di Angelita, centro antiviolenza, la Riserva Naturale Navegna e Cervia, fuori dei confini nazionali Jump.eu che si occupa della parità di genere in ambito lavorativo a livello europeo. Tutte realtà con cui si organizzeranno incontri e manifestazioni culturali per fornire spunti e materiali utili a tenere sempre alta l’attenzione sulle questioni di genere.
Il ricco programma che parte con il festival di filosofia sarà svelato man mano.
Ilse Aicbhinger Poesie “Consiglio gratuito” traduzione di Giusi Drago
I Dein erstes Schachbuch, Ibsens Briefe, nimms hin, wenn du kannst, da, nimm schon oder willst du lieber die Blattkehrer von deiner Wiese treiben und Ibsens Ziegen darauf, gleich weiß, gleich glänzend? Es gibt Ziegen und es gibt Ibsens Ziegen, es gibt den Himmel und es gibt eine spanische Eröffnung. Hör gut hin, Kleiner, es gibt Weißblech, sagen sie, es gibt die Welt, prüfe, ob sie nicht lügen.
I
Il tuo primo libro di scacchi,
le lettere di Ibsen,
accettalo
se puoi,
forza, prendilo
oppure preferisci
cacciar via dal tuo prato
gli spazzafogli
e insieme a loro
le capre di Ibsen,
altrettanto bianche, altrettanto splendide?
Ci sono le capre e ci sono le capre di Ibsen,
c’è il cielo e c’è un’apertura
spagnola.
Ascolta bene, piccolo,
ci sono gamelle bianche, dicono,
c’è il mondo,
verifica che non mentano.
II Und frag sie, was der fremde Thorax im Garten soll, schon versteinert, der erste in diesem Frühling zwischen den Brombeerhecken, Mäusen und der Mauer, an die das Wasser für uns schlägt, was er dem Garten nützt. Ob er ihn nötig hätte, unseren Garten, oder der Garten ihn.
II
E chiedilo a loro
che ci fa in giardino
quel torace estraneo
già pietrificato,
il primo in questa primavera,
fra le siepi di more
i topi
e il muro,
dove l’acqua
batte per noi,
chiedi se è utile al giardino.
Se è lui ad averne bisogno
del nostro giardino,
o il giardino di lui.
III Und daß uns etwas zugetragen wurde von Laufzeiten. Ob die mit Lauf, mit Läufen zu tun hätten, mit Läuften, mit den Zeiten oder mit nichts davon.
III
E
che ci venne riferito qualcosa
dei tempi di decorso.
Se abbiano a che fare con il correre, con le corse,
con i ricorsi, con i tempi
o con niente di tutto ciò.
Il libro Consiglio gratuito(qui si presenta la poesia che dà il titolo alla raccolta) è ritenuto fin dal suo apparire nel 1978 un punto culminante della poesia del dopoguerra in lingua tedesca. I consigli che l’autrice dispensa “gratuitamente” nei suoi versi sono moniti di natura etica e conoscitiva, atti di ribellione dettati da un’esigenza indomabile di superare la menzogna e insieme ad essa l’addormentamento delle coscienze. La sua lingua sembra a tratti quotidiana, concreta, composta di parole comuni (carbone legna neve monti erbe), a tratti estraniante, ispida, reticente, oscura, specie quando la Aichinger si confronta con l’esperienza della barbarie nazista o riflette – con sguardo quasi filosofico – sulla natura violenta e menzognera del linguaggio. Consiglio gratuito è l’unica raccolta poetica di Ilse Aichinger.
*
Consiglio gratuito, tradotto da Giusi Drago, è uscito nel mese di maggio con Ibis edizioni, FinisTerrae – nella collana Le Meteore diretta da Domenico Brancale e Anna Ruchat.
Breve Biografia
Ilse Aichinger, nata a Vienna nel 1921, è una delle grandi scrittrici austriache, i cui testi
sono ormai considerati classici della letteratura in lingua tedesca. La madre, ebrea, è
medico, il padre insegnante. Il romanzo d’esordio La speranza più grande (Die grössere Hoffnung 1948) – alla cui stesura si dedica interrompendo gli studi di medicina – inaugura
la letteratura austriaca del dopoguerra. Nel 1952 ottiene il premio del Gruppo 47 per il suo
racconto Storia allo specchio (Spiegelgeschichte) e conosce lo scrittore e poeta Günter
Eich (1907-1972), che sposa l’anno successivo. Da lui avrà due figli, uno dei quali scrittore
a propria volta. Aichinger si spegne a Vienna nel 2016.
Ilse Aichinger ha scritto racconti, aforismi in forma di diario, riflessioni sulla scrittura e
radiodrammi. In italiano sono stati pubblicati solo La speranza più grande (Garzanti 1963,
Tartaruga edizioni 1999) e Kleist, il muschio, i fagiani (Tartaruga edizioni 1996). La poesia
di Ilse Aichinger era finora inedita in italiano.
RIETI- Valle del Primo Presepe 2023, si parte con il Convegno di Greccio
La VII edizione de La Valle del Primo Presepe prenderà il via con il XX Convegno di Greccio, in occasione dell’VIII Centenario del Natale di Greccio e della Regola rrancescana, che si terrà nelle giornate di venerdì 5 e sabato 6 maggio, presso il Santuario e l’Oasi Gesù Bambino.
Un importante appuntamento scientifico dedicato alla professoressaChiara Frugoni a un anno dalla scomparsa, che al pari della relativa pubblicazione degli atti, è opera del Centro Culturale Aracoeli dei Frati Minori della Provincia di San Bonaventura, il quale annovera tra le sue specifiche attività, l’interesse e la cura per il patrimonio religioso e culturale della plurisecolare presenza dei francescani nel territorio.
A venti anni di distanza, quegli studi, operati con l’ausilio di alcuni dei più noti francescanisti, si rivelano insuperati e meritevoli di essere riproposti, in veste completamente rinnovata, alla vigilia dell’ottavo centenario del Natale di Francesco a Greccio.
Il convegno impreziosisce la già varata programmazione delle comunità ecclesiali del Reatino che con l’attenta regia dei Frati Minori e della Diocesi di Rieti, da vario tempo, in accordo con le istituzioni comunali di Rieti e Greccio, il sostegno della Regione Lazioe della Fondazione Varrone e la collaborazione di numerosi enti ed associazioni, hanno dato inizio al cammino de La Valle del Primo Presepe, un progetto che opera una sinergia a livello spirituale-culturale-strutturale, accompagnando l’approfondimento di senso di un intero territorio – la Valle santa di Rieti – interrogandosi e confrontandosi con la figura di Francesco d’Assisi che qui ha lasciato una sua traccia ben definita.
Il 1223 è un anno cruciale per Francesco e dopo la sofferta approvazione della Regola, maturata proprio nel vicino eremo di Fonte Colombo a Rieti, egli, intende dar vita ad un forte e accorato messaggio evangelico che accomuna tutti gli uomini in una riconciliazione amorevole che rappresenta uno dei vertici della sua riflessione cristiana.
Nel corso degli incontri, si darà luogo all’esame scientifico dell’episodio del Natale di Greccio del 1223 e, in sede critica, si farà il punto – mai operato in precedenza – di un evento che come pochi altri ha inciso sull’immaginario collettivo generando una ricca tradizione religiosa a livello culturale e a livello devozionale.
Il convegno diretto da padre Alvaro Cacciotti, vanta il patrocinio dell’Università per Stranieri di Siena, ed è realizzato in collaborazione con il Coordinamento Ecclesiale per l’VIII Centenario Francescano 2023-2026, la Diocesi di Rieti, il Comitato Nazionale per l’Ottavo Centenario della Prima Rappresentazione del Presepe di Greccio, il Comune di Greccio, l’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum, la Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum, il Convento San Francesco di Greccio.
Da non perdere dunque, il prestigioso appuntamento frutto di un impegnativo e costruttivo percorso lungo vent’anni, con l’obiettivo di mettere al centro e di far conoscere Francesco.
Per informazioni sul programma e le modalità di partecipazione è possibile consultare il sito www.centroculturalearacoeli.org
Il Grande Male: la Turchia e gli armeni – Il primo genocidio del XX secolo
Nel 1915 la Turchia pianificò il genocidio di oltre un milione e mezzo di armeni, “tutti traditori” quanto oggi i curdi sono “tutti terroristi”: quell’olocausto fu poi una fonte di ispirazione per i nazisti.
Aksor! Gridavano le donne. Questa parola – deportazione – suscitò in mia madre un urlo di disperazione. Lei sapeva. Era il luglio del 1915 e a ricordare è Varvar, che allora aveva 6 anni e che in seguito raccontò alla figlia, giornalista e scrittrice, la sua storia di sopravvissuta al genocidio degli armeni. Una tragedia e un crimine contro l’umanità che fino al 1973 il mondo ha finto di ignorare. Solamente allora, infatti, la Commissione dell’Onu per i diritti umani ha riconosciuto ufficialmente lo sterminio di circa 1 milione e mezzo di armeni – da parte dell’Impero ottomano – come il primo genocidio del XX secolo.
Capri espiatori. Il Metz Yeghern (grande male), come lo chiamano gli armeni della diaspora, iniziò il 24 aprile 1915 con l’arresto di 2.345 persone nella sola Istanbul, poi giustiziate o deportate.
Impantanato nella Prima guerra mondiale, il plurisecolare Impero ottomano era al tramonto. Minacciata dalla Russia, Istanbul temeva l’alleanza dei circa 2 milioni di sudditi armeni (cristiani) con gli slavi ortodossi: al governo, i Giovani Turchi del Comitato di unione e progresso gettavano benzina sul fuoco del nazionalismo.
«La premessa del genocidio fu lo smembramento dell’Impero ottomano, che tra il 1878 e il 1918 perse l’85% del suo territorio e il 75% della popolazione», spiega lo storico e dissidente turco Taner Akçam – il primo studioso del suo Paese a parlare apertamente di genocidio. Per questo, nel 1976, è stato condannato a 10 anni di carcere: rifugiato prima in Germania, oggi insegna all’Università del Minnesota (Usa).
Akçam, attraverso lunghe ricerche d’archivio, ha ricostruito come la Repubblica Turca, fondata nel 1923 sulle ceneri dell’impero da Mustafa Kemal “Atatürk” (cioè “Padre dei Turchi”), sia figlia anche della pulizia etnica. «Per costruire la nuova nazione, Kemal Atatürk si servì proprio degli organizzatori dello sterminio e di chi si era arricchito depredando gli armeni», spiega Akçam.
Era la fine della tolleranza ottomana, che, pur tra molte discriminazioni, aveva permesso per secoli la convivenza dei popoli più diversi, armeni compresi. Questi ultimi, però, erano “colpevoli” di rappresentare un’élite culturale ed economica, pur essendo una minoranza linguistica e religiosa. Il ritratto perfetto del capro espiatorio.
Innocenti oggi? Colpevoli domani! Così, quel fatidico 24 aprile (commemorato ogni anno dagli armeni di tutto il mondo), dal ministero dell’Interno partì l’ordine: arrestare i notabili e gli intellettuali armeni. L’accusa era di alto tradimento: Ristabilimento dell’ordine nella zona di guerra con misure militari, rese necessarie dalla connivenza con il nemico, il tradimento e il concorso armato della popolazione, così la burocrazia militare turca giustificò i massacri.
Quando l’ambasciatore americano Henry Morgenthau inviò una supplica in difesa degli armeni, questa fu la risposta del ministro dell’Interno ottomano, Ahmed Pascià Tal’at (poi assassinato da un “vendicatore armeno” nel 1921): «Ci è stato rimproverato di non fare alcuna distinzione tra gli armeni innocenti e quelli colpevoli; ma ciò non è possibile, per il fatto che coloro che oggi sono innocenti, potranno essere colpevoli domani». Per i nazionalisti si trattava di una “difesa preventiva”: gli armeni erano solo “microbi tubercolotici” da debellare, arricchitisi – dicevano i Giovani Turchi – sulle spalle dei “turchi onesti”.
Tragica efficienza. Per ripulire più rapidamente il sacro suolo turco, per la prima volta nella Storia fu applicata la deportazione sistematica, fredda, scientifica, ordinata da un’apposita “legge di deportazione”. Un sistema affidato alla cosiddetta Organizzazione speciale, formata per lo più da criminali ed ex detenuti. La tragica efficienza dell’Organizzazione, secondo diversi studiosi, ispirò ai nazisti i metodi della “soluzione finale” contro gli ebrei. «Per la prima volta si fece ampio uso dei moderni sistemi di trasmissione delle informazioni (telegrafo) e di trasporto (ferrovia)», spiega lo storico francese Bernard Bruneteau nel suo libro Il secolo dei genocidi (il Mulino, 2006).
Gli armeni arruolati nell’esercito furono sommariamente passati per le armi. «In alcuni vilayet – le province armene – non si procedette nemmeno alla deportazione, bensì all’uccisione sul posto. Le vittime venivano legate e gettate nei fiumi due a due. Così, per intere settimane, l’Eufrate ne trascinò i cadaveri, che si accumulavano sui banchi di sabbia per finire poi in pasto ai cani e agli avvoltoi», racconta ancora Bruneteau.
Chi non veniva ucciso sul luogo moriva nelle marce forzate, per le privazioni e le malattie. Un esempio fra tanti: dei 18.000 partiti dalla cittadina di Sivas, solo 500 superstiti giunsero, stremati, ad Aleppo (oggi in Siria), dove convergevano i convogli dall’Anatolia, dalla Tracia, dall’Asia Minore e dalla Cilicia (Turchia meridionale); e appena 213 dei 5.000 armeni di Harput arrivarono a destinazione. «Alla fine dell’estate del 1915 in Anatolia non c’erano più armeni», afferma Bruneteau. Circa 300.000 di loro si erano rifugiati in Russia, dove nel 1920 nacque l’Armenia sovietica e nel 1991 l’attuale Repubblica Armena. Almeno un milione morirono nelle “marce della morte” e in seguito alle privazioni.
Selezione naturale. Aleppo divenne il teatro della seconda fase del genocidio: i campi di concentramento. Ancora oggi, gli archivi turchi della Direzione generale dei deportati sono inaccessibili: per fare luce su ciò che accadde in quei campi bisogna affidarsi alle testimonianze dei sopravvissuti, dei diplomatici e dei tecnici stranieri (soprattutto tedeschi) che lavoravano alla costruzione delle ferrovie dell’Impero ottomano.
Emerge così il vero scopo dei campi: non quello di trasferire gli armeni fuori dal “sacro suolo” turco, bensì quello di affrettarne l’eliminazione.
«In tutto c’erano 870.000 persone distribuite in parecchie decine di campi improvvisati lungo il corso dell’Eufrate, per circa 200 chilometri», scrive Bruneteau. «La strategia adottata dai turchi consisteva innanzi tutto nel lasciare marcire per settimane i deportati nei campi di transito alla periferia di Aleppo, per poi spostarli da un campo di concentramento all’altro lungo l’Eufrate, fino alla fine di un processo di selezione naturale». Ammassati all’aperto, senza cibo né cure, morivano a migliaia. «Nel solo campo di Islayhié si calcola che fino alla primavera del 1916 siano morti di fame o di malattia in sessantamila.»
Le donne, come la madre della piccola Varvar, furono quelle che soffrirono di più: “Le più belle sono vittime della lubricità dei loro carcerieri, mentre quelle brutte soccombono alle sevizie, alla fame, alla sete, poiché, stese vicino alle fonti d’acqua, non hanno il permesso di dissetarsi. Agli europei è vietato distribuire pane agli affamati”, si legge in una lettera inviata da quattro professori della scuola tedesca di Aleppo.
La solita indifferenza. Come in Cambogia negli Anni ’70, in Ruanda negli Anni ’90, in Sudan fino a tutt’oggi, e ancora con i Turchi all’assalto dell’enclave curda in Siria, il mondo stava a guardare.
«Una particolarità del genocidio del 1915», afferma Bruneteau, «è di essere stato perpetrato sotto gli occhi dei rappresentanti della comunità internazionale: osservatori neutrali (svizzeri, americani, danesi e svedesi) e funzionari civili e militari tedeschi e austriaci».
Anche se i rapporti e le testimonianze di questi osservatori permettevano di ricostruire, sostiene Bruneteau «l’intenzione omicida del governo», nessuno fermò la macchina dello sterminio.
L’unica cosa che poterono fare, soprattutto volontari americani ed esercito francese, fu, alla fine della guerra, raccogliere i profughi e accompagnarli con le navi in Grecia, in Libano, in Francia e anche in Italia. Era l’inizio della diaspora armena.
Nel 1923, con la nascita della Repubblica Turca, furono bloccati i processi chiesti dalla comunità internazionale; dopo la Seconda guerra mondiale la Turchia divenne un alleato strategico per l’Occidente, e il primo genocidio dell’età moderna entrò nell’oblio. Per ironia della Storia, il governo turco firmò persino la Convenzione sul genocidio dell’Onu del 1948, in base alla quale la Turchia fu poi condannata, nel 1984, dal Tribunale permanente dei popoli – una istituzione che non ha però alcun potere reale.
Dissidenza pericolosa. Ancora oggi, in Turchia, l’argomento è tabù. Ufficialmente, quella armena fu una “rivolta” e le vittime non superarono le 300.000. Pochi turchi osano parlare apertamente di genocidio, anche perché l’articolo 301 del codice penale turco (introdotto nel 2005) punisce il reato di “offesa allo Stato turco”.
Lo hanno fatto il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, incriminato e oggi costretto a vivere sotto protezione, la scrittrice Elif Shafak (poi prosciolta), Taner Akçam; ma anche il giornalista Hrant Dink, assassinato nel 2007. «La Turchia non ammette il genocidio perché quel crimine fu commesso dai “padri della patria”», spiega Akçam. «Molti membri del Comitato di unione e progresso ricoprirono posizioni importanti nella neonata Repubblica Turca. Riconoscere le loro responsabilità significa mettere in discussione l’ideologia nazionale turca e l’identità stessa della nazione», conclude lo storico dissidente. Ancora oggi, non sembra che la Turchia voglia fare i conti con il suo passato.
“ C’è un legame coi morti e coi vivi che è la comune origine armena, quel legame di nostalgia e di affetti che connette il sangue a quello degli avi perseguitati e uccisi dalla terribile estate del 1915 in poi e, chiede giustizia per loro, per quella distesa di ossa ignote finite a diventare polvere nei deserti dell’Anatolia : affinché il riconoscimento di ciò che è avvenuto, risani l’oscura, infetta ferita che per il silenzio colpevole in cui la tragedia armena è avvolta continua a sanguinare nei padri,nei figli, nei nipoti…” Così scrive Margaret Ajemian Ahnert, scrittrice americana di origine armena nel suo romanzo “Le rose di Ester”.
Chi visita Yerevan non può non recarsi al Memoriale dell’Olocausto Armeno: su una collina che domina la città un blocco di vetro e cemento ed una fiamma sempre accesa racconta la storia di un genocidio. Il 24 Aprile del 1915 ad Istanbul vennero arrestati duecento leader della comunità armena. Nei giorni successivi, centinaia di intellettuali e religiosi furono arrestati, torturati e poi giustiziati. Tra il 1915 ed il 1917 due milioni di Armeni che vivevano nell’attuale Turchia, furono deportati nei territori ad est ( oggi Siria ed Iraq) ed un milione e mezzo morì per fame, violenze e stupri. La popolazione civile veniva deportata in decine di campi di concentramento che poi diventavano fosse comuni; venivano giustiziati in camere a gas o iniettando loro dosi letali di morfina. I membri della milizia turca addetti a questo scempio furono definiti “macellai della specie umana”. Il mondo sapeva ciò che stava avvenendo in Turchia, infatti sia la Russia che la Francia e la Gran Bretagna intimarono ai “Giovani Turchi” di desistere da questi orrori perché rischiavano il processo per crimini contro l’umanità. L’appello non sortì alcun effetto e le violenze contro gli Armeni continuarono fino al 1923. Ancora oggi, questo eccidio non è da tutti conosciuto e la stessa Turchia lo nega, affermando che si trattò solo dell’uccisione di cinquantamila ribelli nazionalisti armeni che si opponevano al governo turco. Ma i documenti e le fotografie ci raccontano la vera tragica storia: un popolo che ha subito una terribile persecuzione e che ha visto tutto questo orrore avvolto dalla nebbia dell’oblio e della negazione. Antonia Arslan è un’altra scrittrice che ci tramanda questa tragedia. Con “La masseria delle allodole” e “la strada di Smirne” ribadisce la sua volontà di ricordare e di testimoniare. Ci ricorda come “ i Giovani Turchi” avevano progettato di eliminare tutte le minoranze, armeni, greci, assiri e curdi. Perseguivano una teoria nazionalista contraria allo spirito cosmopolita che da sempre aveva caratterizzato l’Impero Ottomano. In un’intervista la scrittrice ha dichiarato:” Gli uomini furono sterminati subito, le donne deportate. Gli uomini furono eliminati fisicamente nei modi peggiori, legati su barche e poi fatti affondare, radunati in chiese poi successivamente incendiate…le donne si trovarono sole con i vecchi e i bambini al seguito, a decidere in poche ore cosa portare con sè. Da Karput (città dell’Anatolia) partirono in 18000 ed arrivarono ad Aleppo in 150”. Furono proprio le donne armene che non si arresero al genocidio che, con caparbia volontà, senza alcun aiuto esterno, permisero che “la razza armena” non si estinguesse. Raccolsero i fili di questo popolo e li intrecciarono con i ricordi, le tradizioni scritte ed orali, gli usi, i costumi, la cultura.
Ondine Khayat, di padre armeno e madre francese, nel suo romanzo “Le stanze di lavanda”racconta il genocidio armeno attraverso i ricordi della nonna. E anche da questa storia emerge l’astuzia, l’intelligenza, la determinazione delle donne armene, ma anche il loro grande amore verso il proprio popolo. Quando, più di vent’anni dopo, Hitler decise di eliminare gli ebrei, reclutò nelle SS alcuni ufficiali che erano stati protagonisti del genocidio armeno, rispondendo così ad alcune obiezioni che gli erano state poste : “Chi si ricorda più dello sterminio degli Armeni ?” C’è una differenza fra il genocidio nazista e quello armeno, quest’ultimo rappresenta l’uccisione da parte di un popolo di una parte di se stesso, gli Armeni erano infatti cittadini dello stesso impero, quello Ottomano. E c’è un’altra differenza: sono troppo pochi quelli che al mondo conoscono questo orrore. Così una sopravvissuta ricorda l’angoscia di una marcia di deportazione: “Di notte, ci fermavamo sul ciglio della strada e dormivamo ammassati gli uni sugli altri…mentre il buio avvolgeva tutto, le lucciole tessevano una rete intorno a noi e la luna illuminava il nostro misero accampamento con i suoi raggi di tiepida luce… Sembravamo così piccoli e soli, gli ultimi rimasti al mondo…” Parlare oggi di genocidio armeno forse potrà essere un atto di giustizia postuma per colmare quella terribile solitudine.
Ester Rizzo-Giornalista
Nata a Licata il 08.06.1963 ed ivi residente. Laurea in Giurisprudenza. Diploma di specializzazione Istituto Superiore di Giornalismo . Responsabile Commissione Donne Pari Opportunità Distretto Sicilia Fidapa . Referente per la provincia di Agrigento del Gruppo Toponomastica Femminile Docente del corso di “Letteratura al Femminile” al CUSCA (Centro Universitario Socio-Culturale Adulti) di Licata Collaboratrice di testate giornalistiche regionali e nazionali on line Autrice di “Camicette Bianche”
RIETI-Martedì 18 aprile avrà inizio la retrospettiva su uno dei più grandi narratori del Novecento europeo, Marcel Proust, promossa ed organizzata dall’Associazione culturale Polymnia in collaborazione con la Libreria Mondadori Book Store di Rieti e sostenuta dal patrocinio di Regione Lazio, Provincia di Rieti e Comune di Rieti.
La Rassegna, dal titolo Proust tra vita e scrittura, è dedicata alla figura e all’opera dello scrittore francese, autore del celebre capolavoro letterario la Rechèrche, ed è finalizzata a ricostruire il percorso esistenziale dell’artista e le strette relazioni tra esperienze di vita e scrittura narrativa, documentate dall’imponente romanzo.
Prevede un Calendario di iniziative culturali, attraverso le quali si ricostruiranno molti aspetti del rapporto di Proust con Parigi e con gli ambienti degli intellettuali di fin de siècle; la attenzione e la riflessione sulla attualità politica e storica, la sua attrazione–repulsione per la frivola mondanità aristocratica, l’amore e l’eros, il sentimento del tempo perduto, le passioni e i temi più cari allo scrittore, che attraversano il suo capolavoro, un’opera-mondo con cui l’autore fissa per sempre il perenne divenire della realtà ed esorcizza la paura dello spettro della morte.
Una “cattedrale di straordinaria originalità”, che segna un passaggio fondamentale nella narrativa moderna ed è modello per quella europea di inizio Novecento.
Saranno ospiti della Rassegna appassionati cultori e autorevoli studiosi di Proust: la nota giornalista e scrittrice Lorenza Foschini, il Prof. Andrea Pagani (Università degli Studi di Bologna) e il Prof. Alberto Beretta Anguissola, uno dei più autorevoli francesisti e studiosi di Proust, Docente emerito dell’Università della Tuscia e curatore dell’edizione critica della Recherche per Meridiani Mondadori.
Per informazioni e prenotazioni (appuntamento del 22 aprile) contattare l’Associazione culturale Polymnia APS: polymnia.associazione@gmail.com
Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente. Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita, e qualcosa dentro mi disgusta e si pente mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi, e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza più minacciosa dopo il languore del riposo. Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati, tu sogni i tepori di profonde vallate, e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato, delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza mi prende e m’affascina e m’attira senza fine, e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà, ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti, o gioia inaspettata al termine delle solitudini! Il tuo bacio è come il sapore dei frutti e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza, i giuramenti eterni e le confessioni d’amore, sembri evocare la timida carezza il cui ardore trafuga la luminosità del giorno e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari provano la voluttà divina di essere solitari. La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve. Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari sanno la voluttà divina di essere solitari. Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita senza orrore, e chi li compatisce prova invidia. Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari. Sono i beneamati della sera e del mistero. Ascoltano nascere le rose sottoterra e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola. Gustano il sapore del vento e della notte, hanno occhi più belli delle torce funerarie.
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.
Come la nuova organizzazione logistica e il potere degli algoritmi hanno cambiato il mondo.
L’ossessiva necessità di vendere sempre più merci sempre più in fretta è uno dei vettori maggiormente importanti del capitalismo contemporaneo, che lo rende in continua crisi e in continua ristrutturazione, e sempre più accelerato nei suoi processi espansivi. L’organizzazione di una produzione just in time, la fulminea movimentazione delle merci lungo il pianeta, la possibilità istantanea del consumo: queste le tre direttrici che la logistica contemporanea pianifica e coordina. Dalle grandi navi oceaniche ai magazzini di periferia, dagli algoritmi delle piattaforme digitali ai geli delle notti solcate dai rider, questo libro ripercorre la riflessione quinquennale del percorso di ricerca Into the Black Box, proponendo una serie di analisi, sguardi e inchieste su un mondo in rapida trasformazione. Nel volume trovano spazio interventi di taglio politico e analisi di lotte e conflitti, ricostruzioni storiche e spunti su alcune tendenze dello sviluppo digitale, fornendo una panoramica e una serie di chiavi di lettura per una critica del presente.
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Comune di MOMPEO (Rieti)-Evento Culturale “DANTEDI’”
MOMPEO-Dal 2020 il 25 marzo, giorno in cui gli studiosi fanno risalire l’inizio del viaggio di Dante nei tre Regni dell’aldilà descritto nella Divina Commedia, è la Giornata nazionale dedicata al Sommo Poeta, il “Dantedì”.
A Mompeo sabato 25 marzo alle ore 19.00 si potrà vivere un Dantedì speciale. Attraverso le suggestioni, le immagini, le letture e le scenografie digitali grandiose dello spettacolo “Dante – A riveder le stelle”, che andranno ad animare le mura del Cortile del Castello Orsini Naro, il pubblico potrà accompagnare Dante e Virgilio nel loro Viaggio tra i gironi dell’Inferno fino a uscire “a riveder le stelle.
Lo spettacolo “Dante – A riveder le stelle” del Teatro Potlach con la regia di Pino Di Buduo, creato nel 2021 in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri, grazie alle videoproiezioni di ultima generazione trasformerà le antiche mura del Cortile interno del Castello Orsini Naro di Mompeo in gigantesche scenografie digitali che trasporteranno gli spettatori, guidati da voci narranti, nei gironi infernali a contatto con i grandi Personaggi della Commedia fino alla discesa agli Inferi e poi… “a riveder le stelle”.
“Dante – A riveder le stelle” è uno spettacolo inserito nell’ambito della Rassegna di spettacoli dal vivo “A Porte Aperte”, vincitrice dell’”Avviso pubblico per il sostegno a progetti di valorizzazione del patrimonio culturale attraverso lo spettacolo dal vivo nella Regione Lazio” della Regione Lazio
L’ingresso è totalmente libero. Lo spettacolo grazie al suo forte e suggestivo impatto visivo si appresta ad essere apprezza da un pubblico di tutte le età.
E non è tutto dalla mattina
FESTA di primavera a cura della Pro Loco di Mompeo
dalle 10.00 scambio di talee, caccia alle uova di Pasqua, piantumazione di alberi, piccolo mercato…. pranzo e altro.
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