Venti di guerra corrono per l’Europa. Due conflitti violentissimi – quello russo-ucraino e quello israelo-palestinese – così vicini geograficamente e politicamente e una sconcertante assenza di iniziative per l’apertura di tavoli di pace.
La UE ha dimenticato le sue radici ideali, i suoi valori fondanti e accetta ormai il conflitto come soluzione dei problemi al posto della politica e della diplomazia. Speravamo fino a poco tempo fa in “un altro mondo possibile” e ci ritroviamo con l’affrancamento di ragionamenti su una guerra globale possibile, non escluso perfino l’uso del nucleare. Inquietanti dichiarazioni istituzionali sulla necessità di abituarsi all’eventualità di un coinvolgimento diretto in un conflitto allargato si accompagnano, sul piano geopolitico, a un sostanziale appoggio alla guerra a oltranza. Il concetto di “vittoria finale”, ormai dominante, ignora i costi umani, anche se di dimensioni spaventose come quelle che sono sotto i nostri occhi.
E oscura la definizione di pace come lungo e articolato processo in cui attraverso una mediazione si arriva a un compromesso soddisfacente per entrambe le parti, che evita centinaia di migliaia di vittime.
La corsa al riarmo è il primo effetto tangibile di questo orientamento politico e ideologico. Secondo il SISPRI (Stockholm International Peace Reseach Institute), il 2023 è stato l’anno del record storico della spesa militare globale: 2443 miliardi di dollari, con una crescita del 6,8% rispetto al 2022, pari a 200 miliardi di dollari, la spesa complessiva per l’aiuto allo sviluppo. In Europa la spesa militare nel 2023 è aumentata del 16%, il più alto incremento dalla Guerra Fredda.
Anche l’Italia è investita dalla deriva militarista: l’export di armi negli ultimi 10 anni è cresciuto dell’86% e nel 2023 risulta di circa 5,15 miliardi di Euro. Per il 2024 è previsto un aumento di oltre 1400 milionidi Euro, con 28,1 miliardi per i nuovi sistemi d’arma. Tra i destinatari dell’export la Francia, poi Ucraina, Stati Uniti e Arabia Saudita. Per l’Ucraina – ma anche per Israele, per il quale è continuato l’invio nei modi già esistenti – va sottolineato che l’esportazione in paesi in guerra è in contrasto con lo spirito della nostra Costituzione all’Art. 11, con la legge 185/90, con l’ATT (Arms Trade Treaty, Trattato sul commercio delle armi), in vigore dal 2014, e con la stessa posizione teorica della UE.
Il complesso militare-industriale-finanziario è il principale beneficiario, con una crescita esponenziale dei profitti: 3.976 miliardi di Euro le transazioni bancarie in Italia, secondo dati MEF. La Leonardo, la più grande impresa italiana produttrice di armi, nell’ultimo anno ha aumentato il valore delle sue azioni del 128%.
Allarmante è poi l’attacco alla Legge 185/90 che regola l’import/export di armi. Le modifiche già approvate in Senato riducono le informazioni quantitative e sulle tipologie di armi che l’Esecutivo è obbligato a trasmettere al Parlamento e addirittura eliminano l’obbligo della Relazione sui flussi finanziari verso le banche e quindi sull’interazione tra banche e aziende militari. Una gravissima perdita di trasparenza, tanto che per difendere la legge è stata attivata dalla Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD) la campagna “Basta favori ai mercanti di armi”.
Ma è sul piano culturale la deriva più grave. Negli ultimi anni l’educazione alla pace nella scuola non solo ha perso il suo ruolo centrale nelle linee formative, ma è contrastata. L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università ha documentato innumerevoli segnalazioni sulla diffusione della “visione militare” della scuola e della “cultura della sicurezza” e della “difesa della patria”: un’idea positiva diffusa delle armi, l’inserimento dei vari corpi militari e delle Forze dell’Ordine nei programmi di Orientamento e in percorsi didattici – fino ai marines di Sigonella come insegnanti di inglese! -, alternanza scuola/lavoro (PCTO) nelle caserme, con progetti formativi o servizio nella mensa ufficiali, partecipazione a eventi militari, momenti di familiarizzazione nelle caserme con armi anche pesanti e carri armati, perfino per bambini. Si è visto il ritorno all’alzabandiera.
L’auspicabile, e attualmente inesistente, reazione politica deve essere affiancata da una decisa azione dal basso. Arena di pace 24, sia pure con il grave limite dell’assenza di una dimensione ecumenica e interreligiosa, ha messo in evidenza, nella giornata dell’Incontro dei movimenti popolari, una forte vitalità dell’impegno, anche se frammentato.
E le fedi, spesso strumentalizzate per dare motivazioni ai conflitti, devono invece trovare un ruolo da protagoniste nella ripresa della costruzione di una cultura di pace, incoraggiando il dialogo e l’incontro sui valori comuni della solidarietà, della giustizia e di quella non violenza radicale che, come cristiani, ci ha insegnato in modo esemplare Martin Luther King.
Articolo di Cristina Mattiello –Fonte –Riforma.it Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Roma Capitale-I suggestivi spazi di Villa Carpegna a Roma accoglieranno dal 16 al 26 settembre la prima edizione di FIABE DAL MONDO, festival multidisciplinare di teatro, musica, nuove tecnologie e arti figurative a cura de “Le Chat Noir”, con la direzione artistica di Annabella Calabrese, anche regista con Daniele Esposito, dedicato al rapporto tra fiaba e arti performative nel mondo, e più in generale all’incontro di diverse culture e tradizioni, per spettatori di tutte le età.
Tra le vie di Villa Carpegna grandi e piccini potranno incontrare personaggi come Momotarō, il bimbo nato da una pesca protagonista dell’omonima fiaba giapponese, assistere al risveglio della bella addormentata di Perrault, conoscere la fanciulla maya Cuzan la ribelle ma anche incontrare animali parlanti provenienti da diversi continenti come il pigroKoala e la Giraffa vanitosa. Qui potranno ascoltare e riconoscere le più celebri composizioni e colonne sonore legate alle fiabe di tutto il mondo, viaggiare con la fantasia grazie alle fiabe britanniche esercitando il proprio inglese, ascoltare e guardare l’installazione audio-video “Un mondo di fiabe”, ma anche imparare a costruire burattini, strumenti musicali e a recitare in inglese e in italiano, grazie ai numerosi laboratori previsti.
Il ricco programma prevede, dunque, cinque spettacoli itineranti e interattivi(scritti e diretti da Annabella Calabrese e Daniele Esposito) ognuno dedicato ad un diverso continente, nei quali gli spettatori verranno accolti da sultani, animali parlanti, geni della lampada, e così via, che si alterneranno nel narrare le proprie fiabe, guidando il pubblico alla scoperta delle bellezze architettoniche e ambientali della Villa, un concerto di musica classica dedicato alle fiabe provenienti da tutto il mondo (a cura del quartetto Sharareh con le letture di Vincenzo Iantorno) , uno spettacolo di narrazione in doppia lingua (inglese e italiano) incentrato sulle fiabe tradizionali britanniche (a cura di Craig Peritz e Anita Tenerelli di The Turnabout),quattro laboratori di teatro, musica, letteratura e arti figurative(tenuti da Annabella Calabrese, Daniele Esposito, Craig Peritz, Anita Tenerelli, Ivana Labellarte e Giovanna Cappuccio), un’installazione audio – video(con animazioni e podcast dedicati alle versioni originali delle fiabe rappresentate negli spettacoli itineranti) e una residenza artistica per giovani attori under35 selezionati tramite curriculum e provino, nel corso della quale attraverso improvvisazioni ed esercizi di drammaturgia scenica si andranno a mettere in scena alcuni degli spettacoli previsti.
“Con “Fiabe dal mondo” il nostro obiettivo è quello di trasformare Villa Carpegna in una sorta di Mondo Interculturale e Incantato, popolato da personaggi provenienti dalla tradizione fiabesca mondiale, con attività che riguardino i più piccoli da vicino, mirate al loro intrattenimento e alla loro formazione culturale.”_annota la Direttrice Artistica Annabella Calabrese. “Il tutto è pensato per integrarsi al massimo con il contesto ambientale della Villa, puntando soprattutto ad un intrattenimento “teatrale” senza l’ausilio di amplificazioni o di altri mezzi “artificiali” che potrebbero interferire con l’immersività dell’operazione. Tutto sarà fruibile, infatti, grazie ad apposite cuffie “SILENT THEATRE” e gli spettatori passeranno da uno spettacolo all’altro sedendosi su teli portati da casa (il che permetterà di limitare al massimo l’inquinamento ambientale ma anche di far sì che soggetti a mobilità ridotta possano serenamente fruire degli spettacoli previsiti).”
Un festival così articolato ed immersivo, ma al tempo stesso dal forte valore culturale, basato su una progettazione SITE SPECIFIC integrata con l’ambiente circostante e a impatto ambientale nullo, rappresenta un format estremamente innovativo che in iniziative analoghe in passato ha riscosso grande successo.
“Fiabe dal mondo” è organizzato da Le Chat Noir APS, un’associazione attiva da anni sul territorio romano. Con numerosi spettacoli, cortometraggi e webserie prodotte, l’Associazione si è specializzata nel corso del tempo nell’elaborazione di proposte per bambini e ragazzi e in format innovativi (come il format “Shakespeare in wine”, ma anche i Festival per bambini di recente realizzazione “Il Giardino delle fiabe” e “Fiabe a Palazzo”).
La direzione artistica del Festival è ad opera di un giovane talento emergente: l’attrice, regista e autrice Annabella Calabrese. Protagonista al cinema di film presentati in importanti festival, come “Un nemico che ti vuole bene” di Denis Rabaglia (71° Festival di Locarno) nel quale condivide la scena con illustri colleghi come Diego Abatantuono e Sandra Milo, oltre ad aver un consolidato trascorso in veste di attrice, è un talento emergente anche nel campo della scrittura (è autrice e regista del cortometraggio “LOVE IS NOT ENOUGH” e della serie tv “Dreamland”, entrambi finanziati dal MIBACT) e della regia (il suo format “Shakespeare in wine” ha avuto negli ultimi dieci anni grande successo di critica e di pubblico). Sua, dunque, l’ideazione del Festival “Fiabe dal mondo” e la scrittura e la regia di ciascun spettacolo teatrale.
Ad affiancarla nella scrittura, nella regia e sul fronte organizzativo Daniele Esposito, anche lui insieme alla Calabrese ideatore del Festival, regista e autore e vincitore di numerosi premi tra cui il prestigioso Globo d’oro con il cortometraggio “Venti minuti” in concorso in più di 100 Festival in tutto il mondo e il Premio Amarcort 2016, la Menzione Speciale Pitch in The Day Roma Creative Contest 2017 e il Canary Islands International Film Market 2018 con il lungometraggio di animazione “A little bullet”. Sarà, inoltre, partner tecnico dell’evento il Th Roma – Carpegna Palace Hotel.
Per tutti gli eventi previsti nell’ambito del Festival è essenziale la prenotazione tramite Eventbrite o sul sito www.fiabedalmondo.it . L’intera programmazione si svolgerà a Villa Carpegna, Piazza di Villa Carpegna 1, Roma.
Segue il programma ufficiale:
PROGRAMMA
19 Settembre 2024 ore 17
Laboratorio di scrittura creativa “Inventa una storia”
Con Daniele Esposito e Annabella Calabrese
Per bambini e ragazzi dai 7 ai 12 anni
In questo laboratorio di scrittura creativa Daniele Esposito e Annabella Calabrese, autori di opere teatrali e cinematografiche per bambini e ragazzi e vincitori del Globo d’oro 2022, guideranno i giovani partecipanti nell’elaborazione di una fiaba ideata insieme, stimolando la loro fantasia e la loro capacità di esprimersi e arrivando a mettere in scena insieme quanto ideato.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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20 Settembre 2024 ore 17
Laboratorio di creazione di strumenti musicali
Con Ivana Labellarte
Per bambini e ragazzi dai 7 ai 12 anni
In questo divertente laboratorio un’esperta guiderà i partecipanti nella creazione di strumenti musicali partendo da elementi di riciclo come confezioni vuote di patatine o tappi di bottiglia. Nel corso del laboratorio ci si focalizzerà sia sul far “risuonare” gli strumenti creati, che sul rivestirli facendo prendere loro le sembianze di personaggi appartenenti al mondo delle fiabe.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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21 Settembre 2024 ore 10
Laboratorio di recitazione in lingua inglese
Con Craig Peritz e Anita Tenerelli
Per tutti (bambini e adulti)
Craig Peritz, attore, regista ed esponente dal 1997 del famoso Living Theatre di New York, coadiuvato dall’attrice Anita Tenerelli, fondatrice insieme a lui del gruppo THE TURNABOUT, guiderà grandi e piccini in giochi teatrali, improvvisazioni e interpretazione di scene in lingua inglese. I partecipanti potranno così esercitare al tempo stesso la loro creatività teatrale e le proprie conoscenze linguistiche.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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21 Settembre 2024 ore 11.30
FIABE DAL MONDO: English Fairy Tales
Spettacolo in inglese e in italiano
Con Craig Peritz e Anita Tenerelli di THE TURNABOUT APS
Per bambini dai 3 agli 11 anni
Da “Jack e il fagiolo magico” a “Peter il coniglio”: un meraviglioso viaggio nei classici della letteratura britannica interpretati in doppia lingua (inglese e italiano) da Craig Peritz e Anita Tenerelli. I due guideranno grandi e piccini in un viaggio con l’immaginazione tra streghe, folletti e giganti della tradizione inglese.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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22 Settembre 2024 ore 10
Laboratorio di creazione di burattini da elementi di riciclo e di educazione alla sostenibilità ambientale
Con Giovanna Cappuccio
Per bambini dai 5 ai 12 anni
In questo divertente laboratorio un’esperta guiderà̀ i bambini nella creazione di burattini utilizzando materiali di riciclo. Ed è così che un tappo di bottiglia, può diventare il naso di un orco o due vecchi bottoni gli occhi di cappuccetto rosso. Tramite questo laboratorio i bambini non impareranno solo a realizzare dei burattini in completa autonomia, ma impareranno anche alcune fondamentali regole dell’educazione ambientale, scoprendo quanto possa essere importante per il nostro pianeta imparare a riciclare e a rispettare l’ambiente.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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22 Settembre 2024 ore 11.30
MUSICHE DAL MONDO
Con il quartetto Sharareh e Vincenzo Iantorno
Per tutti
Un concerto per quartetto d’archi che ripercorre le più celebri musiche dedicate alle fiabe di tutto il mondo, dallo “Schiaccianoci” di Tchaikovsky alla colonna sonora de “La Bella e la Bestia”, passando per celebri capolavori contemporanei come “Up” della PIXAR. Il Quartetto Sharareh guiderà grandi e piccini in un meraviglioso viaggio musicale, accompagnato dalla lettura di alcune brevi fiabe a cura di Vincenzo Iantorno.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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27 Settembre 2024 ore 17
Fiabe d’oriente (Spettacolo itinerante)
Scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito – con Annabella Calabrese, Giovanna Cappuccio, Vincenzo Iantorno e i partecipanti alla Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Per bambini dai 3 ai 99 anni
All’ingresso di Villa Carpegna i bambini verranno accolti dai personaggi più noti delle Fiabe tradizionali d’oriente che li guideranno in un viaggio alla scoperta delle splendide locations della villa e del patrimonio fiabesco asiatico. Qui potranno conoscere il piccolo Momotaro, un bimbo nato da una pesca che deciderà di sfidare i giganti, seguire Aladino e la principessa Badr al Budr nelle loro avventure e addentrarsi nella giungla assieme al bramino, la tigre e la volpe. Un’esperienza da non perdere adatta a tutta la famiglia!
LE FIABE RAPPRESENTATE IN QUESTO SPETTACOLO PARTONO DA FIABE TRADIZIONALI POPOLARI ARABE, INDIANE E GIAPPONESI.
Evento gratuito su prenotazione obbligatoria. Spettacolo accessibile da spettatori con disabilità motorie, visive e uditive (prevista audiodescrizione e descrizione LIS su prenotazione).
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
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28 Settembre 2024 ore 11
Fiabe dal vecchio continente (Spettacolo itinerante)
Scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito – con Annabella Calabrese, Giovanna Cappuccio, Vincenzo Iantorno e i partecipanti alla Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Spettacolo scritto e messo in scena nell’ambito della Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Per bambini dai 3 ai 99 anni
All’ingresso di Villa Carpegna i bambini verranno accolti dai personaggi più noti delle fiabe tradizionali europee che li guideranno in un viaggio alla scoperta delle splendide locations della villa e del patrimonio fiabesco del vecchio continente (con fiabe rielaborate in chiave moderna tratte dai fratelli Grimm, Charles Perrault e Giambattista Basile). Qui potranno incontrare i piccoli Hansel e Gretel e seguirli nella casetta di marzapane, conoscere la principessa Bellinda e l’orribile Mostro che la tiene prigioniera, fino a raggiungere la bella addormentata e ad assistere al suo risveglio dopo cent’anni di maleficio! Un’esperienza da non perdere adatta a grandi e piccini!
LE FIABE RAPPRESENTATE IN QUESTO SPETTACOLO PARTONO DA FIABE TRADIZIONALI POPOLARI EUROPEE. Lo spettacolo sarà in questo evento al suo debutto.
Evento gratuito su prenotazione obbligatoria. Spettacolo accessibile da spettatori con disabilità motorie, visive e uditive (prevista audiodescrizione e descrizione LIS su prenotazione)
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
FRUIBILE ANCHE ONLINE SUI PROFILI SOCIAL DE: FIABE DAL MONDO
28 Settembre 2024 ore 17
Fiabe dal nuovo continente (Spettacolo itinerante)
Scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito – con Annabella Calabrese, Giovanna Cappuccio, Vincenzo Iantorno e i partecipanti alla Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Spettacolo scritto e messo in scena nell’ambito della Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Per bambini dai 3 ai 99 anni
All’ingresso di Villa Carpegna i bambini verranno accolti dai personaggi più noti delle Fiabe tradizionali dei nativi d’america che li guideranno in un viaggio alla scoperta delle splendide locations di Villa Carpegna e del patrimonio fiabesco del nuovo continente. Qui potranno incontrare la piccola Stella errante, prigioniera di Acane, il perfido genio del fiume, assistere alla storia d’amore tra la bella Tulipano e il dio del Sole e seguire, infine, le avventure di Cuzan la ribelle. Un’esperienza da non perdere adatta a grandi e piccini!
LE FIABE RAPPRESENTATE IN QUESTO SPETTACOLO PARTONO DA FIABE TRADIZIONALI POPOLARI AMERICANE. Lo spettacolo sarà in questo evento al suo debutto.
Evento gratuito su prenotazione obbligatoria. Spettacolo accessibile da spettatori con disabilità motorie, visive e uditive (prevista audiodescrizione e descrizione LIS su prenotazione)
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
FRUIBILE ANCHE ONLINE SUI PROFILI SOCIAL DE: FIABE DAL MONDO
29 Settembre 2024 ore 11
Fiabe africane (Spettacolo itinerante)
Scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito – con Annabella Calabrese, Giovanna Cappuccio, Vincenzo Iantorno e i partecipanti alla Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Spettacolo scritto e messo in scena nell’ambito della Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Per bambini dai 3 ai 99 anni
All’ingresso di Villa Carpegna i bambini verranno accolti dai personaggi più noti delle fiabe tradizionali africane che li guideranno in un viaggio alla scoperta delle splendide locations di Villa Carpegna e del patrimonio fiabesco del continente (con fiabe rielaborate in chiave moderna tratte da quelle raccolte da Nelson Mandela e Paul Radin). Qui potranno incontrare la giraffa vanitosa, assistere a come un piccolo bruco spaventerà tutta la savana e conoscere, infine, il bimbo d’oro e il bimbo d’argento. Un’esperienza da non perdere adatta a grandi e piccini!
LE FIABE RAPPRESENTATE IN QUESTO SPETTACOLO PARTONO DA FIABE TRADIZIONALI POPOLARI AFRICANE.
Evento gratuito su prenotazione obbligatoria. Spettacolo accessibile da spettatori con disabilità motorie, visive e uditive (prevista audiodescrizione e descrizione LIS su prenotazione)
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
FRUIBILE ANCHE ONLINE SUI PROFILI SOCIAL DE: FIABE DAL MONDO
29 Settembre 2024 ore 17
Fiabe dall’Oceania (Spettacolo itinerante)
Scritto e diretto da Annabella Calabrese e Daniele Esposito – con Annabella Calabrese, Giovanna Cappuccio, Vincenzo Iantorno e i partecipanti alla Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Spettacolo scritto e messo in scena nell’ambito della Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Per bambini dai 3 ai 99 anni
All’ingresso di Villa Carpegna i bambini verranno accolti dai personaggi più noti delle Fiabe tradizionali oceaniche che li guideranno in un viaggio alla scoperta delle splendide locations di Villa Carpegna e del patrimonio fiabesco del continente (con fiabe rielaborate in chiave moderna tratte da storie, miti e leggende del continente oceanico). Qui potranno incontrare la piccola Kumaku, che riuscirà a prendersi gioco di due enormi giganti, seguire le avventure di Vivèna nella casa delle nuvole e scoprire come mai il koala ha perso la sua coda! Un’esperienza da non perdere adatta a grandi e piccini!
LE FIABE RAPPRESENTATE IN QUESTO SPETTACOLO PARTONO DA FIABE TRADIZIONALI POPOLARI OCEANICHE.
Evento gratuito su prenotazione obbligatoria. Spettacolo accessibile da spettatori con disabilità motorie, visive e uditive (prevista audiodescrizione e descrizione LIS su prenotazione)
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO CON PRENOTAZIONE OBBLIGATORIA SU EVENTBRITE.
FRUIBILE ANCHE ONLINE SUI PROFILI SOCIAL DE: FIABE DAL MONDO
Dal 16 AL 29 Settembre 2024
“UN MONDO DI FIABE” Installazione audio e video
Durante l’intera durata del festival chiunque passeggerà per le viuzze di Villa Carpegna potrà accedere all’installazione audio video “Un mondo di fiabe” grazie alle sagome riportanti le illustrazioni dei personaggi protagonisti degli spettacoli rappresentati durante il Festival e ai QR CODE collegati. Inquadrando i qr code il pubblico potrà accedere a video animazioni dedicati a ciascun personaggio e a letture delle fiabe originali (Le mille e una notte, Perrault, Nelson Mandela, etc.) da cui sono tratti gli spettacoli.
DISEGNI E ANIMAZIONI DI DANIELE ESPOSITO. REGIA DI ANNABELLA CALABRESE E DANIELE ESPOSITO – CON ANNABELLA CALABRESE, GIOVANNA CAPPUCCIO, ROBERTO GIANNUZZI, VINCENZO IANTORNO, ROBERTO LUIGI MAURI
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO
Dal 16 al 26 Settembre 2024
Residenza artistica “Fiabe dal mondo”
Residenza artistica dedicata ad allievi attori e attrici italiani e stranieri under35 finalizzata alla scrittura e alla messa in scena di cinque spettacoli dedicate alle fiabe di tradizione popolare appartenenti ai cinque diversi continenti (Europa, Asia, Africa, America e Oceania) suddivise in base al paese di provenienza. Gli allievi attori verranno guidati in improvvisazioni finalizzate alla scrittura degli spettacoli da mettere in scena da Daniele Esposito e Annabella Calabrese, registi e autori specializzati nella drammatizzazione di fiabe popolari tradizionali, e affiancati da attori professionisti facenti parte della compagnia Le Chat Noir. Alla fine della residenza artistica gli stessi si misureranno nella messa in scena con il pubblico dal 27 al 29 Settembre 2024 in cinque diversi spettacoli teatrali al loro primo debutto.
PUBBLICO DI RIFERIMENTO Allievi attori under 35 italiani e stranieri.
MODALITÀ DI ACCESSO: GRATUITO con selezione su curriculum a numero chiuso.
PER INFO TEL. 3496159462
Come raggiungerci
VILLA CARPEGNA– Piazza di Villa Carpegna 1- Roma
linea metropolitana A (FERMATA CORNELIA) linee autobus 881, 46/, 98, 916, 791
Descrizione- La fotocamera Leica ,Bella lo è sempre stata, fin dall’inizio. Piccola, piatta, maneggevole, priva di fronzoli, ridotta all’essenziale: less is more. Nel 1914, quando costruì la prima macchina compatta con pellicola cinematografica 35 mm, Oskar Barnack aveva già individuato alcune soluzioni che si ritrovano come tratti distintivi anche nei modelli di Leica digitali più recenti. La Leica (ovvero la LEItz CAmera), che a causa della guerra non fu immessa sul mercato prima del 1925, segnò un radicale cambiamento nel mondo della fotografia: permise agli appassionati di accedere a uno strumento professionale, ma soprattutto questa nuova macchina, sempre a portata di mano e pronta all’uso, fece della fotografia una parte integrante della vita quotidiana. “I grandi maestri. 100 anni di fotografia Leica” illustra il mutamento radicale introdotto dalla diffusione della Leica, perfettamente inscritta nello spirito di una nuova epoca, sempre più rapida e convulsa. Non ci sono dubbi: la Leica era ed è un prodigio della tecnica ma anche un oggetto del desiderio, se non addirittura un feticcio. Soprattutto è uno “strumento” per realizzare immagini: grandi, sorprendenti, scioccanti, sbalorditive, o anche solo splendide o visivamente complesse. Immagini che documentano, informano, irritano, emozionano, e senza le quali la nostra cultura visiva sarebbe meno ricca.
Storia
Il nome del gruppo trae origine dalle iniziali del cognome dell’industriale tedesco Ernst Leitz, impegnato nel settore ottico e di precisione nella seconda metà del XIX secolo, e fondatore nel 1869 dell’Ernst Leitz Optisches Institut a Wetzlar, e dalle prime lettere di camera (che in tedesco significa macchina fotografica). Nel 1849 viene fondato l’Optische Institut da Carl Kellner a Wetzlar. Sotto Ernst Leitz viene creata nel 1869 la Ernst Leitz Werke. La società è dedicata alla costruzione di microscopi. All’inizio del XX secolo viene ampliata la gamma di prodotti con binocoli, episcopi e epidiascopi così come fotocamere.
In questo contesto viene sviluppata la Miniaturkamera, la prima macchina fotografica con pellicola 35 millimetri per cinefilm. Per il tempo di esposizione notevole il caricatore della grossa macchina non doveva essere più riaperto. Su questa base Oskar Barnack, all’epoca capo sviluppo della Leitz, costruì nel 1914 due prototipi di una macchina fotografica istantanea da 24 mm × 36 mm per suo utilizzo privato, il cui unico esemplare sopravvissuto è ora chiamato Ur-Leica.
Nel 2016 Leica stringe un accordo con l’azienda telefonicacineseHuawei per la progettazione delle fotocamere di alcuni suoi modelli (P9, P9 Plus, P10, P10 Plus, Mate 9, Mate 9 Pro, Mate 10, Mate 10 Pro, P20, P20 Pro, Mate 20, Mate 20 Pro, Mate 20 X, Mate X, P30, P30 Pro, Mate 30, Mate 30 Pro, P40, P40 Pro, Mate 40, Mate 40 Pro). 6 anni dopo, l’azienda tedesca si allea con Xiaomi e lancia un’app esclusiva per gli smartphone dell’azienda di Lei Jun che montano le fotocamere create appositamente.
Si può far risalire a Carl Kellner l’esordio di quelli che saranno i marchi Leitz e Leica, con la costituzione nel 1849 in Wetzlar dell’Optisches Institut, diventato poi Leitz nel 1869 con la conduzione unica di Ernst Leitz, seguita alla morte a soli 29 anni di Kellner. Kellner è stato un talento nella meccanica e nell’ottica, alla quale ha applicato i suoi studi matematici. In particolare, Kellner ha inventato un oculare corretto, noto oggi come oculare ortoscopico di Keller, con una nuova combinazione di lenti che ha migliorato, in maniera significativa per l’epoca, la qualità delle immagini, ottenendo dei sistemi altamente acromatici e corretti per le distorsioni geometriche. L’applicazione si rivolgeva particolarmente a telescopi e microscopi. L’attività dell’azienda veniva dal ’69 seguitata da Leitz, talento meccanico ed ugualmente autodidatta, artigiano e apprendista per una società tedesca che fabbricava attrezzature di laboratorio poi proseguita in Svizzera con un produttore di strumenti di precisione, orologi elettrici e telegrafi. Prima dipendente e un anno dopo socio di Kellner, cambiava in Optical Institute Belthle und Leitz, Wetzlar, vorm. C. Kellner, il nome dell’azienda.
Leica Geosystems[3] è una società Svizzera che sviluppa, produce e commercializza dispositivi di topografia e geodesia, come ad esempio GPS, tacheometri, livelli ottici e scanner 3D. Nata dalla fusione, avvenuta nell’inverno del 1987-1988, del produttore svizzero Wild Heerbrugg (1921), da Leitz Wetzlar e dai rami geodesia di Kern & Co. AG, la società si è frazionata a metà degli anni Novanta in diverse entità indipendenti, tutte acquisite da Hexagon AB nel 2005 per riformare il marchio “Leica Geosystems”. Hanno anche investito pesantemente in progetti di grandi dimensioni, come ad esempio quelli in altissima quota, tra cui il Monte Bianco.
LEItz CAmera
Nel 1869Ernst Leitz I fondò la Leitz. Alla morte del padre l’omonimo figlio Ernst II decise di entrare nel mondo della fotografia. Nel 1911Oskar Barnack, ingegnere proveniente dalla Zeiss, cercò di utilizzare la pellicola 35 mm per riprese cinematografiche inserendola in un caricatore, per creare una nuova tipologia di macchine fotografiche. Nacque così la fotocamera a pellicola 24X36 noto anche come “formato Leica” che troviamo sulle fotocamere ancora oggi.
Il frutto degli studi di Oskar Barnack fu la creazione del prototipo UR (1914), una fotocamera 35 mm con otturatore sul piano focale, con obiettivo 50 mm, slitta porta accessori e peso di 350 : g, questa fu la capostipite di tutte le fotocamere Leica e questa architettura fu la base di tutte le fotocamere 35 mm fino ai nostri giorni.
Con la crisi economica tedesca, Leitz si convinse a giocare la carta della produzione fotografica, fu coniato il nome Leica (LEItz CAmera) e nel 1925, alla fiera di Lipsia, fu presentata la Leica A, prima Leica di serie, ma ancora dotata di obiettivo fisso.
Seguì la Leica C, con analoghe caratteristiche migliorate dall’obiettivo intercambiabile con innesto a vite. Tale innesto (M39 o LTM) divenne uno standard de facto, ancora usato dopo il 2000.
Le forze armate tedesche nella seconda guerra mondiale vennero dotate di fotocamere Leica. La qualità, la rapidità di scatto, le dimensioni ridotte e la praticità delle Leica furono tali da renderle oggetto di copia in tutto il mondo: Leotax, Nicca e Canon in Giappone, Kardon negli USA, Reid in Inghilterra, FED e Zorki in URSS copiarono svariati modelli Leica.[4].
Nel dopoguerra la Leica si rinnova e si migliora; abbandonato il sistema di ottica a vite, la Leitz lancia sul mercato i modelli della serie M; fotocamere a telemetro con pratico innesto delle ottiche a baionetta. Tuttora è in corso la produzione delle Leica M con la MP e la M-A (Typ 127) a pellicola, la M11 digitale e altri modelli M speciali. La serie Leica M divenne ben presto la preferita da tantissimi fotoreporter dell’epoca, vista l’assoluta maneggevolezza, rapidità, affidabilità ed efficienza di queste fotocamere.
Nel 1964, spinta dal successo della reflex Nikon F (1959), Leitz introdusse la sua prima SLR: Leicaflex seguita, nel 1976, dalla SRL elettronica R3.
Il 5 marzo 2009 è cessata la produzione di Leica Reflex della serie R, la ditta ha dichiarato di voler puntare su un nuovo formato ibrido, quello della Leica S2
Attualmente la Leica si occupa anche di fotografia digitale e fornisce disegni e progetti di suoi obiettivi a dei marchi già affermati di fotografia digitale (come la serie Lumix di Panasonic) che poi provvedono in proprio alla produzione delle stesse.
Fu creata un’alleanza strategica con Fujifilm. Da questa alleanza venne alla luce nel 1998 la prima Digilux. Il prodotto era totalmente OEM con corpo esteticamente originale e prezzo non soddisfacente. La serie Laica comprendeva modelli Fuji, designati Leica Digilux, Leica Digilux Zoom e Leica Digilux 4.3. L’alleanza fu l’inizio di Leica nel mondo delle digitali compatte.
Cooperazione con Panasonic (dal 2002)
Leica con Matsushita/Panasonic trova un nuovo partner. Le videocamere digitali e le macchine fotografiche digitali Panasonic vengono fornite con lenti Leica. Leica nella cooperazione ha nel catalogo le serie Digilux, C-Lux, D-Lux e V-Lux.
Digilux (dal 2002)
All’inizio del 2002 nasce la Leica Digilux 1. Da questo modello (Design: Achim Heine) lo stile Leica è ancora più visibile.
Nel maggio 2004 viene presentata la Digilux 2. Questo modello segna miglioramenti nella logica di funzionamento. Il design è simile alla storica Leica M. L’obiettivo della Digilux 2 si posiziona ai vertici della categoria delle digitali compatte dell’epoca. La fotocamera viene prodotta fino al 2006.
Nel settembre 2006 al Photokina di Colonia viene presentata la Lumix DMC L 1 che a marchio Leica Digilux 3. È una fotocamera digitale SLR di Leica, con attacco per cambio ottica. Lo standard è Quattro Terzi, ma anche Sigma-, Panasonic- e Olympus con quattro terzi a baionetta. Con un adattatore è possibile montare i „vecchi“ R-Objektive – solamente con diaframma di lavoro. Al Photokina 2008 la Digilux 3 non fu più presente.
C-Lux (dal 2006)
Nel 2006 Leica presenta la serie ultracompatta C-Lux, sorella del modello Panasonic. Nel 2007 nasce la C-Lux 2 e presto nel 2008 la C-Lux 3, basate sul modello Panasonic Lumix DMC-FX37.
D-Lux (dal 2003)
Nel 2003 viene messa in commercio la compatta Leica D-Lux, un modello ristilizzato Leica della Panasonic DMC-F1. Nel 2008 viene alla luce la D-Lux 4, su base Panasonic Lumix DMC-LX3. Nel 2010 viene sostituita dalla D-Lux 5, su base Panasonic Lumix DMC-LX5.[5] Nel 2012 viene presentata al Photokina la D-Lux 6 e al Photokina 2014 la D-Lux (Typ 109).
Nel 2018 viene presentata la D-Lux 7.
V-Lux (dal 2007)
Nel 2007 esce la Leica V-Lux 1, basata sulla Panasonic Lumix DMC-FZ50. Fotocamera bridge con ottica 12-fach-Zoom Leica DC Vario-Elmarit con lunghezza focale f=7,4–88,8 mm (35–420 mm ASPH), presente anche sulla Lumix FZ30. Nel 2010 nasce la V-Lux 20, basata sulla macchina Panasonic Lumix DMC-TZ7. Come obiettivo un Leica DC-Vario-Elmarit 1:3,3–4,9/ 4,1–49,2 mm ASPH. (25–300 mm). Nel settembre 2010 il modello V-Lux 2 sostituisce la V-Lux 1, su base Panasonic Lumix DMC-FZ100. Il sensore montato è un 14.1 MP CMOS e l’obiettivo Leica DC Vario-Elmarit 2,8–5,2 / 4,5–108 mm ASPH. (25–600 mm).[6] Come risoluzione la V-Lux 2 può arrivare a 11 fotogrammi al secondo (fps) e con risoluzione ridotta (2,8 MP) a 60 fps.
Nel 2012 viene presentata la Leica V-Lux 3 sorella della Panasonic Lumix DMC-FZ150. L’ottica è Leica DC-Vario-Elmarit 1:2,8-5,2/ 4,5-108 (24-fach-Zoom). La risoluzione migliorata rispetto alla V-Lux-2, grazie al sensore da 12 Megapixel. La banda di passaggio per i dati sale (28 Mbps a 1080 p) le nuove schede di memoria classe 10 sono utilizzabili. Colori e nitidezza sono molto buone in luce ambiente durante le registrazioni video con la Leica V-Lux 3. Nell’autunno 2012 al Photokina viene presentata la V-Lux 4, con luminosità 2,8 su tutta la lunghezza focale disponibile.[7]
Piero Rattalino-CHOPIN: I VALORI TRADITI E RICONQUISTATI-
Prefazione di Domenico De Masi- ZECCHINI Editore Varese
Descrizione del libro di Piero Rattalino con protagonista Chopin -Gli otto saggi qui riuniti risalgono tutti, tranne uno, al 2021 e ai primi mesi del 2022. I tre testi per booklet, la recensione di un disco e una ipotesi didattica che appaiono nella Appendice sono da intendere come esempi, non modelli, di diversi tipi di divulgazione.
Tutti questi scritti affrontano direttamente o indirettamente un tema molto scottante: quale funzione sarà o potrà essere svolta dalla musica dal vivo quando, archiviata la pandemia, si dovranno affrontare i problemi che emergeranno in anni nei quali gli stati, che per proteggere le loro popolazioni hanno contratto enormi debiti, dovranno destinare alla estinzione degli stessi una parte cospicua delle loro risorse. Come se questo non bastasse, alla pandemia si è aggiunto, a complicare ulteriormente i problemi che dovranno essere affrontati, un nuovo conflitto.
La tesi sostenuta dall’Autore è che si dovrà rinunciare alla tradizionale, blanda promozione, e che si dovrà passare a una intensa divulgazione, non soltanto recuperando i vuoti provocati nel pubblico dalla pandemia ma prodigandosi per andare oltre, e cioè per aumentare sensibilmente la platea dei fruitori della musica dal vivo, che in Italia arriva a una bassissima percentuale della popolazione e che in altri paesi presenta un quadro migliore ma non sufficiente per giustificare socialmente il sostegno economico riservato a un settore della cultura che assorbe risorse come elargizioni a fondo perduto invece che aiuti per investimenti.
Questi sono i temi che vengono direttamente o indirettamente dibattuti con analisi di tipo sia teorico che storico che sociologico e scientifico, e con proposte che postulano, senza entrare nel merito, una profonda riorganizzazione di tutto il settore.-
Piero Rattalino-CHOPIN: I VALORI TRADITI E RICONQUISTATI-Prefazione di Domenico De Masi- ZECCHINI Editore Varese-pp. XXVIII+200 – formato cm. 15×21 – Euro 25,00
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Roma – Il “Premio Fabrizio De André – Parlare musica”, alla sua 23ª edizione, torna il 20 e 21 settembre nella piazza di Roma che porta il nome del grande cantautore, nel quartiere della Magliana.
All’insegna della valorizzazione dei nuovi artisti che si distinguono per l’originalità delle loro composizioni, sia musicali sia poetiche, il Premio è un appuntamento molto atteso e ha come scopo quello di stimolare una creatività libera e scevra da tendenze legate alle mode, ai generi e ai concetti di commerciabilità, al fine di favorire l’originalità e la vitalità delle nuove produzioni artistiche.
Il Premio, istituito nel 2002, si articola in tre categorie: Musica, Poesia, e Pittura, le cui giurie sono composte da musicisti, scrittori, giornalisti, critici e operatori del settore.
Sul palco di Piazza Fabrizio De Andrè si esibiranno i finalisti del concorso e verranno premiati i vincitori. Nel corso della serata finale saranno anche consegnate la Targa Faber (il premio alla carriera), la Targa Quelli che cantano Fabrizio (il premio per le reinterpretazioni delle opere di De André), e la Targa dei lettori di Repubblica (il premio al finalista della sezione Musica più votato sul sito della testata giornalistica).
Patrocinato dalla Fondazione Fabrizio De André Onlus, promosso e sostenuto dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale con il coordinamento del Dipartimento Attività Culturali, con la produzione esecutiva di iCompany, la direzione artistica di Luisa Melis, il supporto organizzativo di Zètema Progetto Cultura s.r.l. e la collaborazione con LEA e SIAE. La 23ª edizione del Premio è dedicata al giornalista e scrittore Massimo Cotto, recentemente scomparso.
Considerato uno dei maggiori cantautori italiani,[6][7][8][9] è conosciuto anche con l’appellativo di Faber che gli dette l’amico Paolo Villaggio, con riferimento alla sua predilezione per i pastelli e le matite della Faber-Castell, oltre che per l’assonanza con il suo nome,[10] e talvolta come “il cantautore degli emarginati” o il “poeta degli sconfitti”.[11][12]
In quasi quarant’anni di attività artistica, De André ha inciso quattordici album in studio, più alcune canzoni pubblicate solo come singoli e poi riedite in antologie. Molte sue canzoni raccontano storie di emarginati, ribelli e prostitute, e alcune per il loro valore poetico sono state accolte da antologie scolastiche già dai primi anni settanta.[13][14] I testi hanno meritato a De André l’elogio del poeta Mario Luzi.[15]
Insieme a Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Luigi Tenco, è uno degli esponenti della cosiddetta scuola genovese, un nucleo di artisti che rinnovò profondamente la musica leggera italiana.[16] È l’artista con il maggior numero di riconoscimenti da parte del Club Tenco, con sei Targhe e un Premio Tenco. Nel 1997 gli venne conferito il Premio Lunezia per il valore musical-letterario del brano Smisurata preghiera.[17] La popolarità e l’alto livello artistico del suo canzoniere hanno spinto alcune istituzioni, dopo la sua morte, a dedicargli vie, piazze, parchi, teatri, biblioteche e scuole.[18]
Venezia 81. “Quiet Life” di Alexandros Avranas vince il Premio Dialogo interreligioso
Alla 81^ Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia la giuria protestante ha assegnato il Premio INTERFILM per la promozione del dialogo interreligioso al film “Quiet Life” di Alexandros Avranas.
Il riconoscimento è stato consegnato al protagonista del film, il russo Grigory Dobrygin che, peraltro, è di fede avventista. La cerimonia si è svolta presso la terrazza del Palazzo del Casinò, al Lido di Venezia, alla presenza fra gli altri del delegato INTERFILM a Venezia, il pastore Peter Ciaccio (anche presidente dell’Associazione protestante cinema “Roberto Sbaffi” nonché Consigliere della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – FCEI -).
Il pastore Ciaccio ha presenziato alla consegna della targa indossando la maglietta di Mediterranean Hope, il programma rifugiati e migranti della FCEI che promuove diverse iniziative come ad esempio i corridoi umanitari, l’osservatorio di Lampedusa e il centro diurno di accoglienza sulla rotta balcanica a Bihać, in Bosnia, con tanto di palestra di arrampicata aperta a tutti e tutte, la “Flamingo Loophole”.
Dobrygin ha letto il messaggio del regista Avranas (traduzione in italiano più in basso).
«Thank you to the INTERFILM jury for this incredible honor. I’m deeply grateful that “Quiet Life” has been recognized for promoting interreligious dialogue. The story of Sergei and Natalia reflects the struggles of countless refugees, and their fight to preserve hope in the face of despair. By sharing their journey, we aimed to inspire empathy and spark dialogue about the human condition, no matter our background or beliefs. Thank you to everyone who made this film possible. We hope it continues to resonate and encourage conversations that bridge divides».
(traduzione: Grazie alla giuria di INTERFILM per questo incredibile onore. Sono profondamente grato che “Quiet Life” sia stato riconosciuto per aver promosso il dialogo interreligioso. La storia di Sergei e Natalia riflette le battaglie di innumerevoli rifugiati e la loro lotta per preservare la speranza di fronte alla disperazione. Condividendo il loro viaggio abbiamo mirato a ispirare empatia e accendere il dialogo sulla condizione umana, indipendentemente dal nostro background o dalle nostre convinzioni. Grazie a tutti coloro che hanno reso possibile questo film. Ci auguriamo che continui a risuonare e incoraggiare conversazioni che colmino le divisioni).
Questa, invece, la motivazione della giuria:
Assegniamo il Premio INTERFILM per la promozione del dialogo interreligioso a un film di alta qualità artistica ed estetica.
“Quiet Life”(Vita tranquilla), non sempre la vita è tranquilla, anzi non lo è per niente. Una famiglia chiede asilo, che purtroppo viene negato. Il rifiuto provoca una misteriosa condizione psicologica per le due bambine, la cosiddetta “sindrome della rassegnazione infantile”. Questo film incredibilmente denso è strutturato in modo chiaro e le interpretazioni degli attori sono profondamente toccanti e stressanti allo stesso tempo. Tutto ciò ci mette di fronte all’ipocrisia di una burocrazia cosiddetta umana, ma in realtà fredda come il ghiaccio. Attraverso la scelta di questo film incoraggiamo le persone a riflettere sulla dignità umana, a rafforzare la solidarietà con i richiedenti asilo e a promuovere la nostra consapevolezza su ogni tipo di rifiuto.
La giuria era composta dal danese Jes Nysten (Danimarca, presidente), Naomi Evelyn Hondrea (Italia), Barbara Schantz-Derboven (Germania), Ingrid Glatz e Stefan Haupt (Svizzera).
«È stata un’esperienza spettacolare, con delle persone davvero speciali – ha dichiarato all’Agenzia NEV la giurata italiana, la giovanissima Naomi Evelyn Hondrea -. Al di là dei film visti, che sono stati di buon livello, l’esperienza di lavorare in un gruppo di fratelli e sorelle cinefili mi ha emozionata molto perché mi ha aperto al dialogo e all’assunzione dei reciproci punti di vista. Il film premiato, sin dall’inizio mi ha toccata in un modo molto particolare perché la mia famiglia in passato ha attraversato un doloroso periodo di irregolarità. Questo premio per me ha anche un enorme valore simbolico, poichè credo che la chiesa in questi casi possa ricoprire un ruolo centrale nel prendere una posizione in nome dell’amore e rispetto verso il prossimo, dell’uguaglianza, della libertà e della giustizia».Questo speciale premio INTERFILM è giunto alla sua 13^ edizione.
Fonte- di Nev – Notizie evangeliche -Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Poesia di Giuseppe Ungaretti- in Memoria di Moammed Sceab
Giuseppe Ungaretti (Alessandria d’Egitto, 8 febbraio 1888 – Milano, 1º giugno 1970) è uno dei tre grandi poeti dell’Ermetismo italiano. Trasferitosi a Parigi nel 1912, prese parte alla Prima guerra mondiale nelle trincee del Carso e poi in Champagne. Dal 1935 al 1942 insegnò in Brasile e dal 1947 al 1965 fu professore di letteratura moderna alla Sapienza.
Si ritrovarono a Parigi, complice il comune amore per la poesia, e qui soggiornarono condividendo lo stesso domicilio all’hotel Rue de Carmes.[2] Uniti emotivamente e artisticamente dalla stessa sofferenza per la comune condizione di “apolidi sradicati”, continuarono qui la loro produzione letteraria[3]. Mohammed scrisse con lo pseudonimo di “Marcèl”. Incapace di superare la sua crisi di identità[4], divenuto dipendente dall’uso dell’assenzio, Shehab morì suicida[5] nel suo appartamento il 9 settembre 1913, dopo avere distrutto tutta la sua opera letteraria, di cui non ci resta più traccia se non nelle note di Ungaretti che la descrive come scritta in “purissimo francese” e fortemente legata alla ragione e alla logica, quasi in antitesi con la sua “poesia dell’inesprimibile”.
A lui Ungaretti, nel 1916, dedicò la poesia “In memoria“[6], che apre la sua raccolta d’esordio Il porto sepolto, scritta durante la prima guerra mondiale mentre serviva come militare a Locvizza sul fronte del Carso. Shehab viene ricordato nella poesia come “alter ego” del poeta italiano e vittima di una sorte e di una fine che avrebbe potuto essere la stessa per entrambi. Della figura di Shehab, nel 1963 in un’intervista al Corriere della Sera, Ungaretti disse: “simbolo di una crisi delle società e degli individui che ancora perdura, derivata dall’incontro e scontro di civiltà diverse e dall’urto e conseguenti sconvolgimenti tra tradizioni politiche e il fatale evolversi storico dell’umanità”.
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Questa poesia di Giuseppe Ungaretti Cent’anni sono passati da quando il poeta combatteva e conosceva gli orrori della guerra sul Carso, “scontando la morte vivendo”; in mezzo ai brevi componimenti nel quale descriveva la terribile vita di trincea, ebbe a ricordare un amico. “Locvizza, il 30 settembre 1916”, reca il quaderno di Ungaretti; e Locvizza, o Lokvica, è nei pressi del Monte San Michele “bagnato di sangue italiano”, come dice Fuoco e mitragliatrici. Nei pressi, anche, di San Martino del Carso. Luoghi di guerra dove Ungaretti si trovava non di rado a ricordare episodi della vita civile, che sembrava oramai lontana diecimila anni. Una meditazione continua sulla vita e sulla morte, sull’amore e sulla trascendenza.
Tra questi episodi, la vicenda di un amico che si era tolto la vita a Parigi soltanto tre anni prima, nel 1913. Si chiamava Moammed Sceab, così Ungaretti scrive il suo nome nascondendo il vero nome di Muḥammad Shihāb; aveva ventisei anni ed era un egiziano di nobile origine libanese. Era stato coinquilino di Ungaretti in un albergo fatiscente di Rue des Carmes, nel quinto Arrondissement, albergo nel quale si era suicidato. Un episodio, come tutti gli altri, che la guerra aveva certamente contribuito a ricordare, a suscitare; come se ricordare una vita facesse da contraltare alla morte che, in trincea, sempre stava dappresso.
E’ la storia di un senza radici, o di uno sradicato; una storia comune allora come adesso. Di una persona che, esule in un paese straniero, sente di non farne e di non poterne far parte allo stesso modo in cui, oramai, il suo stesso paese gli è diventato estraneo. Se, indubbiamente, è opportuno maneggiare la parola “identità” con molta attenzione, è altrettanto indubbio che la crisi di identità è una tragedia personale che, in parecchi casi, va ad aggiungersi alle altre tragedie che un esule, un profugo, un rifugiato deve subire sulle proprie spalle. Tra queste, la solitudine totale.
Una grande importanza nella storia della mia vita e nella storia della mia poesia deriva dall’incontro, ad un certo momento della mia giovinezza, con Enrico Pea ad Alessandria d’Egitto. Enrico Pea faceva ad Alessandria il commerciante di marmi e nello stesso tempo aveva messo su, sviluppando il laboratorio di falegnameria del suocero, una segheria meccanica. Sopra la segheria meccanica – era ingegnoso Pea -aveva pensato di starci di casa e di destinare uno stanzone, uno stanzone enorme, e altri stanzini accanto allo stanzone enorme, ai gruppi sovversivi che, in quel periodo erano numerosi ad Alessandria.
Tra i giovani sovversivi di Alessandria che si raccoglievano nella baracca del mio amico Pea, c’era un arabo – era forse l’unico arabo in quella baracca – e questo arabo era Moammed Sceab. Moammed Sceab era anche stato mio compagno di scuola. Quindi eravamo doppiamente uniti; eravamo uniti nelle speranze di un mondo organizzato con maggior giustizia, ed eravamo uniti dai ricordi di infanzia e dalle aspirazioni letterarie che avevamo l’uno e l’altro. Aspirazioni diverse: io credevo in una poesia dove il segreto dell’uomo (fin da allora) trovasse in qualche modo un’eco, credevo nella poesia dell’inesprimibile, e invece Sceab credeva – mente logica, arabo discendente da quelli che avevano inventato l’algebra – credeva invece in una poesia strettamente legata alla ragione.
Ecco. Ed avevamo, in fondo, in comune anche un altro dramma: l’uno e l’altro avevamo un’educazione europea, occidentale, francese. Anch’io. Io ero nato in un paese che non era il mio, ero nato ad Alessandria, lontano dalle mie tradizioni; ero lontano dai paesaggi, dalle immagini che avevano accompagnato la vita di tutti i miei. Eravamo l’uno e l’altro, per ragioni diverse, degli uomini che non erano avviati in un modo naturale a compiere il loro destino. E naturalmente queste cose non avvengono nell’uomo senza turbamenti e senza strazi a volte terribili. E la mia, la nostra gioventù, la nostra prima gioventù, quella mia e quella di Sceab, è cosparsa di giovani, di giovani compagni che nelle stesse circostanze delle nostre si troncarono la vita. E anche Sceab a un certo momento si troncò la vita. Sceab a Parigi, lontano dalla sua terra africana – o dalla sua terra araba perché in fondo viveva in Egitto ma non era africano, veniva dal Libano – essendo stato rilavorato da una cultura e da una tradizione diversa, non resisté al dissidio e anche lui si uccise. (Giuseppe Ungaretti)
sospesi tra una tradizione e una vita lasciate dietro di sé come in un gorgo che si richiude, ed una nuova condizione materiale e culturale che è pressoché impossibile interiorizzare. E’ la condizione usuale del déraciné che Ungaretti ben conosceva. Nato a Alessandria d’Egitto da genitori toscani (lucchesi), dall’Egitto Ungaretti si era trasferito in Francia dove si sentì sempre un senza patria.
Nelle prime edizioni del Porto sepolto, “In memoria” si trova quasi isolata, all’inizio, come se si trattasse di una dedica. Nella raccolta complessiva L’allegria, pubblicata molti anni dopo (nel 1931), il tema complessivo è quello della guerra; e la poesia dedicata all’emico egiziano suicida è ancora una volta lasciata a sé stante, legata indissolubilmente quanto indefinitamente alla guerra.
Tentare con tutte le proprie forze di adattarsi, o di “integrarsi” come si direbbe adesso. Arrivare a cambiare nome; quante volte, conoscendo per intenzione o per caso un attuale immigrato, al sentirsi domandare il proprio nome questi risponde declinando un nome locale, Pietro, Giuseppe, Maria, al posto del proprio nome vero? Qualche anno fa, all’Elba, arrivava sempre a casa un ragazzo del Ghana a vendere la sua mercanzia di quart’ordine; per tutti si chiamava “Alessandro”. Il proprio nome è la propria identità; è ciò per cui tutti ti riconoscono come appartenente ad una tradizione o ad un’altra. In questo il poeta Ungaretti, che pure nome non lo aveva cambiato, si riconosce appieno; l’amico Moammed Sceab è il suo alter ego. Una condizione che il poeta si trova a ricordare e a fissare in versi in una situazione terribile, lontanissima eppure vicina. Lo fa sconvolgendo totalmente una tradizione poetica intera: un linguaggio fatto di parole comunissime, secco, dalla sintassi elementare. Quasi dei piccoli gridi interiori che riescono, però, a coprire il frastuono dei combattimenti.
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse.
Sarebbe forse inutile, al giorno d’oggi, chiedere o addirittura esigere che di tutte queste cose si tenesse conto di fronte a un immigrato; eppure sono cose che molti, anche in questo paese, hanno vissuto. Sicuramente, essere in una trincea a costante e diretto contatto con la morte poteva aiutare a penetrare nel dramma vissuto da chi aveva lasciato il proprio paese per sempre; morendo, resterà una qualche traccia della nostra vita? La risposta del poeta è la poesia stessa, che è anche una risposta di umanità e di amicizia; una risposta attraverso la quale la vita torna a scorrere. Il nome di Moammed Sceab, quello autentico, è rimasto.
Non così quello, ad esempio, delle centinaia di migranti periti in fondo al mare Mediterraneo. Annegati due volte, nel mare e nella massa dei diseredati. Privati di tutto, anche della propria individualità di esseri umani. Ridotti a numeri di statistiche, e senza nessun poeta che si ricordi di loro nel momento estremo. A tutte queste persone vorrei dedicare questa poesia, scritta nell’infuriare di una guerra. [RV]
Nella pagina, la poesia di Giuseppe Ungaretti (che ha trovato una sua musica per opera di Aldo Bova nel 2014, viene presentata anche inparecchie traduzioni, tra le quali si segnala quella della poetessa austriaca Ingeborg Bachmann.
In memoria, la poesia che apre la raccolta Il porto sepolto, è dedicata a Moammed Sceab, amico di Ungaretti durante l’infanzia trascorsa ad Alessandria d’Egitto ed emigrato come lui a Parigi. Moammed, però, non riesce a sopportare la sua condizione di nomade senza patria e si suicida nel 1913 in una stanza dell’albergo di rue des Carmes dove alloggiava anche il poeta. In Vita di un uomo, Ungaretti definisce Moammed Sceab un ragazzo dalle idee chiare che – a differenza di lui, rimasto fedele a Mallarmé e Leopardi – prediligeva Baudelaire ed era addirittura soggiogato da Nietzsche, autori che spesso diventavano per i due amici occasione di discussioni interminabili.
IN MEMORIA.
Locvizza il 30 settembre 1916.
Si chiamava
Moammed Sceab
Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome
Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè
E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono
L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.
Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera
E forse io solo
so ancora
che visse
La poesia consiste in una serie di informazioni scarne (Si chiamava, Fu Marcel), con riferimenti a luoghi ben precisi (Parigi/dal numero 5 della rue des Carmes; camposanto d’Ivry), espresse in strofe e versi spezzati che conferiscono alla narrazione un tono distaccato e doloroso ed un ritmo lento, simile a quello di una nenia funebre.
Le parole più significative (suicida, Patria, vivere, sciogliere, Riposa, sempre) stanno da sole, isolate nello spazio bianco del verso; fra queste, Patria, vivere e sciogliere sono precedute – potremmo dire sovrastate – dalla negazione non (non aveva più/Patria; non sapeva più/vivere; non sapeva sciogliere) che esprime l’impossibilità di ricostruire legami, di superare l’isolamento e la solitudine. La congiunzione e posta all’inizio del verso mette in evidenza lo spazio vuoto che la precede nella pagina (e mutò nome; e non sapeva più); quella in maiuscolo all’inizio delle strofe (E non sapeva; E forse io solo) sembra voler creare un faticoso e sofferto raccordo fra i versi separati dagli spazi bianchi, che creano pause cariche di silenzio.
È stato su una spiaggia di Malibu, nel 1988, che Peter Lindbergh ha scattato la serie White Shirts, ora nota in tutto il mondo. Semplici eppure fondamentali, quelle fotografie ci hanno fatto scoprire Linda Evangelista, Christy Turlington, Rachel Williams, Karen Alexander, Tatjana Patitz ed Estelle Lefébure segnando l’inizio di un’epoca che ha ridefinito il concetto di bellezza, mentre Lindbergh sarebbe passato a modificare la scena della fotografia di moda nei decenni successivi.
Questa edizione, che riunisce più di 300 immagini scattate da Lindbergh in 40 anni di carriera, illustra le inflessioni cinematografiche e l’approccio umanista del fotografo tedesco, che ha realizzato immagini al contempo seducenti e introspettive.
Nel 1980, Rei Kawakubo chiese a Lindbergh di realizzare gli scatti per una campagna di Commes des Garçons, una delle sue prime sortite nella fotografia pubblicitaria. Kawakubo gli diede carta bianca. Negli anni a venire seguirono collaborazioni con i nomi più venerati della moda, che sfociarono in rapporti di grande stima reciproca: nei suoi ritratti, il rispetto di Lindbergh per alcuni dei più grandi stilisti del nostro tempo è evidente. Tra gli altri, Lindbergh ha fotografato Azzedine Alaïa, Giorgio Armani, Alber Elbaz, John Galliano, Jean Paul Gaultier, Karl Lagerfeld, Thierry Mugler, Yves Saint Laurent, Jil Sander e Yohji Yamamoto.
Da molti considerato un pioniere nel suo campo, Lindbergh si è sottratto agli standard di bellezza dell’industria, celebrando invece l’essenza e la personalità dei suoi soggetti. Il suo contributo è stato inoltre fondamentale per l’ascesa di modelle come Kate Moss, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, Mariacarla Boscono, Lara Stone, Claudia Schiffer, Amber Valletta, Nadja Auermann e Kristen McMenamy.
Ma il campo d’azione di Lindbergh si è esteso anche fino a Hollywood e oltre: ad apparire nei suoi scatti sono, tra gli altri, Cate Blanchett, Charlotte Rampling, Richard Gere, Isabelle Huppert, Nicole Kidman, Madonna, Brad Pitt, Catherine Deneuve e Jeanne Moreau. Dalla foto scelta da Anna Wintour per la copertina del suo primo numero di Vogue allo scatto leggendario di Tina Turner sulla Torre Eiffel, nelle fotografie di Lindbergh il centro della scena non sono mai gli abiti, la celebrità o il glamour. Ogni immagine comunica l’umanità del suo soggetto con una malinconia serena che è il tratto unico e inconfondibile di Lindbergh.
Fin dall’inizio della sua carriera, Lindbergh ha avuto successo nel mondo dell’arte contemporanea, e le sue fotografie sono state esposte nelle gallerie molto prima di apparire sulle riviste. Questa edizione contiene un’introduzione aggiornata, ricavata da un’intervista del 2016, che permette di sbirciare dietro l’obiettivo di Lindbergh e nella quale il fotografo racconta delle sue prime collaborazioni, del sottile rapporto tra arte e pubblicità e del potere della narrazione.
TASCHEN ha 40 anni! Da quando nel 1980 ha iniziato la sua attività come archeologo culturale, TASCHEN è sinonimo di pubblicazioni accessibili a tutti, grazie alle quali bibliofili appassionati di tutto il mondo possono crearsi la propria biblioteca di testi d’arte, antropologia ed erotismo a prezzi imbattibili. Oggi celebriamo 40 anni di libri incredibili mantenendoci fedeli al credo aziendale. La serie 40 presenta nuove edizioni di alcuni dei best-seller del nostro catalogo: in un formato più compatto, a prezzi ridotti ma realizzate come sempre con la garanzia di una qualità impeccabile.
Descrizione-E’ scritta dalla sorella Bonnie, presidente degli Studios, legata al fratello Steve McCurry da uno stretto rapporto affettivo e professionale, non ché custode dell’archivio delle immagini di Steve. Il racconto parte dall’infanzia, continua con il viaggio in Europa e la decisione irrevocabile di intraprendere la carriera di fotografo, e poi ripercorre i 40 anni di attività di McCurry, trascorsi tra luoghi di guerra (la Cambogia, il Medio Oriente, l’Afghanistan), disastri naturali (i monsoni in India) e luoghi dello spirito (le grandi vette himalayane e i templi). Il volume raccoglie 600 scatti del fotografo, di cui oltre 200 inediti, e una serie di documenti e memorabilia dei suoi avventurosi viaggi.
Roma-Artisti a Villa Borghese-Ciclo di incontri su Arte e Natura-
Roma Villa Borghese -La Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali propone un ciclo di incontri ARTISTI A VILLA BORGHESE, ospitati in due luoghi evocativi all’interno del parco pubblico più noto della città: il Casino dell’Orologio – Salone del Pergolato e il Museo Carlo Bilotti – Aranciera a Villa Borghese. Il programma di incontri si focalizzerà sulla cultura artistica contemporanea, con particolare riferimento al patrimonio artistico e naturalistico delle Ville storiche urbane, punto cardine dell’opera di tutela e valorizzazione della Sovrintendenza Capitolina.
Fra i temi dominanti delle società e delle culture occidentali del XXI secolo vi è senza ombra di dubbio quello dell’Ambiente, sempre più associato ai rischi del pianeta in era di climate change. Un tema civile, sociale e politico che nel microcosmo dell’arte ha una lunga tradizione riassumibile nel binomio di Arte e Natura.
Gli artisti invitati, partendo dal tema Arte e Natura, tramite i loro linguaggi, estetiche, stili e personalità, proporranno una nuova chiave di lettura, promozione e diffusione del patrimonio artistico, storico e naturalistico delle Ville storiche, attraverso uno sguardo “altro”. Quello appunto dell’arte.
Un’ottica culturale “insolita”, diversa, “altra” appunto, con l’artista che è invitato a interagire, a dialogare e a confrontarsi con studiosi, scienziati e critici d’arte, su diversi piani comunicativi come interviste, video-installazioni, slide-show, art action e readings.
Il programma di sette incontri, a cura di Claudio Crescentini, è il seguente:
CAROLINA LOMBARDI, giovedì 27 giugno, Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese. Artista e poetessa, ha al suo attivo una lunga esperienza in fatto di sperimentazioni artistiche e mixed media, data anche dalla sua formazione legata alla conservazione e allo studio delle materie. Fra arte, natura e scienza, si dedica da diversi anni anche a iniziative di sensibilizzazione ambientale.
LINA PASSALACQUA, venerdì 5 luglio, Casino dell’Orologio di Villa Borghese, Salone del Pergolato. Pittrice conosciuta come “L’ultima futurista”, rappresenta una delle figure femminili legate al futurismo degli epigoni, per i suoi continuativi rapporti con il “Futurismo Oggi”, fondato da Enzo Benedetto nel 1967, e con il pittore Antonio Marasco e il critico Mario Verdone.
VINCENZO SCOLAMIERO, giovedì 11 luglio, Casino dell’Orologio di Villa Borghese, Salone del Pergolato. Pittore e docente presso il Dipartimento di Arti Visive dell’Accademia di Belle Arti di Roma, si occupa dagli anni Ottanta di elaborazioni visive in simbiosi con gli elementi naturali, sperimentando anche le interconnessioni con il suono e la musica.
LUCA PADRONI, venerdì 20 settembre, Museo Carlo Bilotti all’Aranciera di Villa Borghese. Artista che vive e lavora a Roma ma di formazione internazionale, fin dall’inizio della sua attività pittorica sceglie di lavorare su larga scala, sviluppando un fascino speciale per la natura e il mondo animale inserito in un contesto incantato seppur determinato dal disagio sociale della natura violata.
LUCILLA CATANIA, venerdì 27 settembre, Casino dell’Orologio di Villa Borghese, Salone del Pergolato. Lucilla Catania si forma a Roma, dove si diploma in scultura all’Accademia di Belle Arti con Emilio Greco. La sua opera è animata dal desiderio di restituire una centralità alla scultura con in più una connotazione sociale, recuperando il rapporto tra arte, natura e territorio.
GIUSEPPE SALVATORI, venerdì 11 ottobre, Casino dell’Orologio di Villa Borghese, Salone del Pergolato. Uno degli esponenti di spicco del ritorno alla pittura figurativa alla fine degli anni Settanta, la sua ricerca espressiva nasce da una rivisitazione dell’arte italiana del primo quarantennio del Novecento, riagganciandosi in special modo alla Metafisica, rielaborata per mezzo di un linguaggio fortemente contemporaneo.
ALBERTO DI FABIO, venerdì 25 ottobre, Casino dell’Orologio di Villa Borghese, Salone del Pergolato. La sua pittura tra ispirazione dal cosmo e dagli elementi che compongono il mondo della natura. Su tale scia nel 2014, tiene una conferenza e una mostra personale di respiro internazionale presso il CERN di Ginevra.
Gli incontri si terranno in orario pomeridiano (tra le 17:30 e le 19:00), con ingresso libero fino a esaurimento posti.
Il nome della villa deriva dalla prima residenza del Cardinal Scipione Borghese, il “Casino Nobile”, fatto edificare all’inizio del Seicento su progetto di Flaminio Ponzio e di Giovanni Vasanzio e trasformato nel Novecento in museo, una delle più prestigiose raccolte di opere d’arte dal XVI al XVIII secolo, con capolavori di artisti quali Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Bernini e Canova.
Villa Borghese ospita numerosi edifici storici coevi, quali il Casino del Graziano, il Casino Giustiniani, l’Uccelliera e la Meridiana con i meravigliosi giardini segreti, ripristinati secondo l’originario assetto seicentesco; accoglie numerosi edifici neoclassici e ottocenteschi quali il Casino dell’Orologio, la Fortezzuola, l’ampio Giardino del Lago, ridisegnato e realizzato nel 1786 da Antonio Asprucci, caratterizzato da un romantico isolotto artificiale su cui domina il Tempietto di Esculapio, raggiungibile anche con brevi escursioni in barca. La Villa è dotata di strutture per il tempo libero, il gioco, e la diffusione culturale: il Museo Canonica, casa-studio dall’artista Pietro Canonica, il Casino di Raffaello con una ludoteca per bimbi, la Casina delle Rose con la Casa del Cinema, l’eclettico giardino zoologico recentemente convertito in Bioparco, l’Aranciera trasformata nel nuovo Museo Carlo Bilotti con opere di arte contemporanea. In prossimità di Piazza di Siena, è stato allestito un ampio padiglione teatrale a pianta circolare, il Globe Theater, su modello dei teatri elisabettiani, associato alla programmazione shakespeariana.
Il Parco di Villa Borghese occupa una vasta area nel cuore della città, compresa tra il tratto delle Mura Aureliane che unisce Porta Pinciana a Piazzale Flaminio, ed i nuovi quartieri Salario e Pinciano sorti nei primi anni del Novecento.
È tra le ville romane una delle più ricche di testimonianze artistiche e paesaggistiche. Al suo interno racchiude edifici, sculture, monumenti e fontane, opera di illustri artisti dell’arte barocca, neoclassica ed eclettica, contornati da alberi secolari, laghetti, giardini all’italiana e grandi spazi liberi. Comprende una gran quantità di specie sempreverdi, tra cui lecci e platani (alcuni risalenti al primitivo impianto), pini domestici con esemplari bicentenari, abeti, cedri. Tra gli arbusti sono comuni l’alloro e il bosso.
Per la sua incredibile concentrazione di musei e istituti culturali, la villa è definita “Parco dei Musei”.
Descritta nelle guide della città di tutte le epoche, ritratta da artisti famosi, ispiratrice di celebri musiche e di intense pagine di letteratura, Villa Borghese lascia trasparire ancora oggi, negli scorci inattesi del suo parco, lo splendore di un tempo.
La villa nel Seicento
La realizzazione della Villa Pinciana fu avviata nel 1606 dal cardinale Scipione Caffarelli Borghese (1576-1633), nipote prediletto di Paolo V (1605-21), con l’acquisto di numerose vigne limitrofe a quella che era, già dal 1580, una proprietà della famiglia, nell’attuale area di piazza di Siena. Gli acquisti si susseguirono a ritmo incalzante fino al 1609, occupando una vasta area lungo la via Pinciana e, parallelamente, iniziarono i lavori di costruzione del Casino Nobile e di armonizzazione e unificazione dei vari appezzamenti mediante la creazione di viali, la recinzione della proprietà e lo spianamento delle irregolarità del terreno. La direzione di questa impresa fu affidata all’architetto Flaminio Ponzio (1560-1613) e, alla sua morte, quando gli successe Giovanni Vasanzio, l’opera era a buon punto. L’incarico a Vasanzio coincise con un’ulteriore estensione della villa che incluse le aree oggi corrispondenti alla Valle dei Platani e al Bioparco, permettendo la creazione di un vasto “barco” per la caccia. Con la morte dello zio pontefice avvenuta nel 1621 il ruolo del cardinal Scipione si ridimensionò, continuando tuttavia a occuparsi della sua villa, accrescendo le sue collezioni, anche se in modo più discreto, e assicurando una continua e accurata manutenzione del parco, dei preziosi giardini e degli arredi. Alla morte di Scipione nel 1633 la villa era ormai completata da diversi anni e aveva assunto l’aspetto che avrebbe conservato in gran parte fino alla fine del secolo successivo. Il Casino Nobile, sede delle opere di maggior pregio della collezione, era caratterizzato da prospetti talmente ricchi di decorazioni scultoree da subire critiche per l’eccessiva ridondanza. Accanto ad esso vi erano gli edifici minori, le numerose fontane, e un parco raffinatissimo diviso in “pars urbana” e “pars rustica”, caratterizzato dall’accostamento di giardini raffinati e organizzati secondo schemi formali e geometrici alle vaste estensioni della campagna destinate alla caccia dall’assetto rustico e naturale. La vasta area, che raggiunse gli ottanta ettari, era infatti divisa in tre parti distinte, delimitate da recinzioni in muratura e accessibili mediante portali o cancelli, denominate, nelle descrizioni dell’epoca, “recinti”. Il primo recinto corrispondeva alla porzione di parco di fronte al Casino Nobile, il secondo corrispondeva all’attuale Parco dei Daini; il terzo, chiamato Barco, comprendeva tutta la rimanente area da Piazza di Siena fino alla vasta estensione oggi occupata dal Bioparco.
La villa tra Settecento e Ottocento
La villa fu mantenuta e curata senza subire sostanziali modifiche fino al 1766, quando il principe Marcantonio IV (1730-1800) intraprese consistenti lavori di trasformazione che interessarono i principali edifici, in particolare il Casino nobile ed il Casino dei Giuochi d’acqua (attuale Aranciera), ed in modo sostanziale il parco. L’intervento di maggiore rilievo fu la realizzazione del Giardino del Lago, nella zona denominata “piano dei licini”(lecci) e di piazza di Siena nell’area occupata dalla grande ragnaia seicentesca. Marcantonio si avvalse dell’opera degli architetti Antonio e Mario Asprucci e di numerosi artisti, giardinieri, paessagisti.
Preziosi arredi ornarono i giardini: fontane e piccole fabbriche, quali la Mostra dell’Aqua Felix, la fontana dei Cavalli Marini, il Tempio di Diana, il Tempio di Antonino e Faustina e il Tempio di Esculapio dotarono il parco di nuovi e suggestivi scorci prospettici.
La villa nell’Ottocento
Alla morte di Marcantonio IV gli successe il figlio Camillo (1775-1832), controverso personaggio noto per il suo sfortunato matrimonio con Paolina Bonaparte, sorella di Napoleone. Camillo seppe dare alla magnificenza della Villa un notevole contributo. Avviò infatti l’ampliamento della proprietà, impegno continuato alla sua morte dal fratello Francesco (1776-1839), che si concretizzò con nuove importanti acquisizioni, Villa Giustiniani verso Porta del Popolo e le Ville già Pamphili e Manfroni verso Porta Pinciana. A partire dagli anni venti Camillo affidò i lavori di armonizzazione delle nuove proprietà all’architetto Luigi Canina che diede alla Villa un nuovo assetto formale, con numerose piccole fabbriche di ispirazione eclettica e neoclassica. Nel corso dell’Ottocento la Villa fu teatro di spettacolari manifestazioni, quali l’ascensione aerostatica a piazza di Siena, e di feste popolari, con canti e balli, immortalate da numerosi quadri ed incisioni. L’accoglienza dei principi Borghese era ben nota al popolo romano, la villa veniva infatti aperta al passeggio festivo, nel rispetto di una tradizione che si è mantenuta fino ai nostri giorni. Dalla seconda metà del secolo, dopo gli ingenti lavori di ricostruzione promossi dal principe Marcantonio V, furono previsti ingressi a pagamento per gli svaghi offerti al pubblico: un piccolo serraglio al Giardino del Lago, il velodromo a Piazza di Siena, gite in barca sul lago, tiro al piccione al Parco dei Daini, un ristorante al Casino dell’Orologio e latte e panna con cialde alla Vaccheria Bernardini, l’odierna Casina delle Rose.
La villa nel Novecento
Dopo l’Unità d’Italia si aprì il contenzioso tra la famiglia Borghese e lo Stato italiano sul possesso della Villa e al termine di una lunga controversia legale, lo Stato italiano acquistò nel 1901 l’intero complesso monumentale. Nel 1903 il Parco fu ceduto al Comune di Roma e aperto al pubblico. Nell’atto di cessione lo Stato mantenne la proprietà del Casino nobile e della ricca collezione artistica in esso contenuta, per trasformarlo in pubblico museo.
Nel 1908 venne realizzato il cavalcavia di collegamento con il Pincio e nel 1911 nella zona del terzo recinto venne inaugurato il nuovo Giardino. Nel 1911 fu aperto il nuovo ingresso verso Valle Giulia, che collegava la villa alla nuova viabilità realizzata per i nascenti quartieri Parioli e Flaminio, e fu realizzata la grande scalinata di accesso a piazzale Firdousi. Altri ingressi furono aperti al fronte dell’attuale via Rossini, e sull’attuale via Raimondi. Fin dal 1904, nei viali della villa vennero collocati monumenti celebrativi dedicati ad illustri letterati o eroi stranieri, dono delle proprie nazioni alla città di Roma, come ad esempio quelli dedicati a Goethe, Victor Hugo, Byron, Umberto I e Firdousi che inaugurarono una tradizione ancor oggi viva. All’interno del Parco dei Daini nel 1925 fu costruito il Serbatoio dell’Acqua Marcia, a servizio dei nuovi quartieri residenziali sorti a ridosso della Villa.
Nel periodo settembre 2013-aprile 2014 sono stati realizzati lavori di manutenzione straordinaria per il risanamento del bacino del laghetto del Giardino del Lago e interventi di manutenzione del tempio di Esculapio.
Nel luglio del 2015 è stato inaugurato, nei locali della parte inferiore del Museo Pietro Canonica, il “Deposito delle sculture di Villa Borghese”, un nuovo spazio espositivo che ospita circa ottanta opere provenienti in gran parte dalla collezione Borghese e poste in origine nei piazzali e nei viali della villa a decoro delle architetture, delle fontane e degli arredi.
Villa Borghese tra storia, tradizioni e aneddoti
Sull’app di Spreaker sono disponibili una serie di brevi podcast associati ai pannelli informativi presenti in ogni angolo della villa e accessibili attraverso un QR code. Brevi racconti sull’angolo di Villa Borghese nel quale ci si trova in quel momento, ma fruibili anche da un altro luogo, per ricordare e conoscere meglio angoli della villa già visitati o preparare un futuro viaggio tra i viali e la storia di Villa Borghese.
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