ANTONELLO CAPORALE-Libro “Acqua da tutte le parti”
Viaggio in 102 paesi e città dell’Italia che fiorisce o sparisce–L’Italia è lunga e stretta. Se sei sull’Aurelia e scendi verso sud, il mare ti accompagna a destra; se invece guidi lungo l’Adriatico, l’acqua occhieggia da sinistra. Ma per guardare l’Italia bisogna dare quasi sempre le spalle al mare e rivolgersi verso l’interno. Per tre anni, ogni giorno ho riversato nel taccuino le tracce di ogni viaggio, dettagli anche minuscoli. Il bottino che stipavo era tutto ciò che non aveva possibilità di comparire sul mio giornale, una montagna di informazioni minute, secondarie, accessorie, o di storie che lasciavo ai margini delle inchieste nell’attesa che, dopo tanta semina, un giorno potessero germogliare e insieme costituire l’anima di un altro racconto, di un nuovo viaggio. Così è nato questo resoconto sull’eternità di certi luoghi e certi paesaggi italiani dove il passato non finisce mai e il futuro stenta ad arrivare. Ci sono paesi che si raggiungono solo a piedi, come Topolò al confine con la Slovenia, e paesi senza tempo dove si fabbricano orologi, come Uscio in Liguria; paesi dove la terra finisce, come Depressa nel Salento, e paesi abitati da capre, come Craco in Lucania. Soprattutto, ci siamo noi italiani in questo libro: una sequenza di carità e di imbrogli, di anime morte e di anime belle, di volti sorridenti e di predoni da strada. Una volta messi in fila non si sa se abbracciarli tutti oppure darsi alla fuga il più rapidamente possibile.
Acqua da tutte le parti. Viaggio in 102 paesi e città dell’Italia che fiorisce o sparisce
Ponte alle Grazie – 2016
Collana: Saggi
Chi è ANTONELLO CAPORALE È un paese di quasi quattromila abitanti, in provincia di Salerno. Si chiama Palomonte. Sono nato lì nel 1961, quasi al confine tra la Campania e la Basilicata, nell’area più povera (Manlio Rossi Doria la definiva l’osso, contrapponendola a quella ricca, la polpa) del Sud. Avevo diciannove anni quando ho assistito e vissuto una delle più grandi tragedie nazionali: il terremoto del 23 novembre 1980 che sconvolse campagne e villaggi della Campania e della Basilicata. Quell’esperienza, la distruzione e la morte, poi la ricostruzione e lo spreco che ne seguì (agli italiani la vicenda è nota come Irpiniagate), hanno segnato i miei primi passi da adulto. A Repubblica ho messo infatti piedi la prima volta, era il 1985, come cittadino denunciante!
Mi sono laureato in Giurisprudenza a Salerno nel 1985 (tesi sui limiti e le incongruenze della legislazione d’emergenza per le aree terremotate), poi a Roma ho conseguito il master Luiss in giornalismo e comunicazioni di massa. Stage a Repubblica nel settembre del 1988 e assunzione a giugno del 1989.
Dal primo giorno mi hanno sistemato nella redazione politica. Col tempo mi è venuta voglia di raccontare la politica attraverso i dettagli, le minutaglie del Palazzo. Penso che a volte il dettaglio illumini meglio la scena principale. Mi piace osservare la scena di lato; mi intriga conoscere le seconde e le terze file; mi incuriosisce la vita di queste persone: vite disperate, a volte (troppe volte) di gran fetentoni. Da questo mio desiderio sono nate, sempre su Repubblica le interviste senza rete (raccolte in un volume dal titolo: La Ciurma, Incontri straordinari sul barcone della politica). Il breviario, pillole quotidiane di vita politica, è il titolo della rubrica che firmo sul giornale. Ma il Palazzo stanca. Raccontare il nostro Paese significa per me, innamorato dei dettagli, andare e scoprire un po’ la larga e lunga provincia italiana. Anche per saziare questa incalzante passione nel settembre del 2012 sono approdato al Fatto Quotidiano dove racconto, in un continuo saliscendi tra il bello (poco) e il brutto (troppo), come gli italiani amano, custodiscono o sfasciano l’Italia.
CASCIA-Santa Rita “laureata nell’amore”, modello di gioia per tutti
CASCIA 22 maggio 2023-L’omelia del cardinale Semeraro prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi nel solenne pontificale per la festa liturgica della santa di Cascia: “Diffuse la pace amata e perseguita come bene supremo, l’amore fraterno e sincero, la fiducia in Dio”
Una donna, una santa, segnata dalla sofferenza ma che ancora oggi, dopo secoli, è modello di gioia per tutti i credenti. Così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ricorda Rita da Cascia, santa “universalmente nota, amata e invocata”, di cui oggi 22 maggio la Chiesa celebra la memoria liturgica. Il porporato presiede il solenne pontificale al Santuario, seguito dalla Supplica e dalla Benedizione delle rose.
Parole dolci come miele
All’inizio della sua omelia, il cardinale rivela di essersi preparato alla celebrazione prendendo dall’Archivio del Dicastero il volume della Positio super virtutibus stampata nel 1897 per la canonizzazione di Santa Rita che ne percorre in sintesi la storia a cominciare dal richiamo alle api, fin dall’inizio presente nella tradizione ritiana. “Le api, ruotandole sulla bocca preannunciano che le sue parole sarebbero state dolci come il miele. Subito dopo l’Inno richiama come ella sia entrata, esemplarmente, nei diversi stati di vita cristiana: coniugale, vedovile e di vita consacrata”. C’è poi il ricordo del miracolo della stigmatizzazione: “Il Crocifisso risponde alla sua preghiera donandole una delle spine della sua corona”, ricorda Semeraro. Rita, disse un testimone, “concepì un vero desiderio di essere a parte di quelle pene che Gesù ha voluto soffrire per amore nostro…”.
Le parole di Giovanni Paolo II
Il cardinale rammenta poi quanto scrisse Giovanni Paolo II per il VI centenario della nascita della Santa: “Il segno della spina, al di là della sofferenza fisica che le procurava, fu in Santa Rita come il sigillo delle sue pene interiori; più ancora, però, fu la prova della sua diretta partecipazione alla Passione del Cristo”, affermava il Pontefice polacco. E ancora: “La stigmata che brilla sulla sua fronte è l’autenticazione della sua maturità cristiana. Sulla Croce con Gesù, ella si è in certo modo laureata in quell’amore, che aveva già conosciuto ed espresso in modo eroico tra le mura di casa e nella partecipazione alle vicende della sua città”, come disse ai devoti di Santa Rita ricevuti nel maggio 2000.
Sofferenza per amore
“Laureata nell’amore!”, un’immagine davvero efficace: “Il Signore ha conferito a Santa Rita la grazia di portare nel cuore e sulla fronte i segno dell’amore e della passione di Cristo”, afferma Semeraro. Cita poi un libro del padre Agostino Trapè, in cui l’agostiniano scriveva che la stigmatizzazione “fu il vertice della vita mistica di Santa Rita e la sua contemplazione ci introduce nell’aspetto più sublime e insieme più difficile del suo messaggio, quello della sofferenza: la sofferenza chiesta ed ottenuta per amore di ‘compassione’”. Parole confermate dalla testimonianza di un teste del processo per la canonizzazione, il quale disse che Santa Rita “attingeva la carità verso il prossimo dal cuore di Gesù, cui voleva assomigliarsi in tutto”. Mentre in un’altra testimonianza si leggeva: “L’amore di Dio della nostra Beata non era ozioso, ma operativo e modellato sulla carità di Gesù Cristo”.
Una testimonianza unanime, dunque, per la Santa che è simbolo di sofferenza, di carità ma anche di gioia. Quella gioia che, sottolinea Semeraro, è stata per molto tempo tagliata fuori della predicazione cristiana.
Piena di gioia
Nonostante “l’aspra sofferenza” provocatale dalla stigmatizzazione, Rita da Cascia “fu sempre piena di gioia. Non parlo solo della sofferenza fisica, ma pure di altre umiliazioni legate al segno della ferita della passione”, dice il capo Dicastero, citando ancora la Positio che spiega come la ferita si convertì in piaga nauseante per cui “la Beata divenne il disprezzo delle altre Monache, che col linguaggio dei Contadini la chiamavano Rita lercia che vuol dire sudicia e sporca e la schifavano”. “Ma la Beata tutta accesa da amore di Dio, e desiderosa di essere simile a Gesù Crocifisso, non solo soffriva tutto con pazienza, ma amava ancora i patimenti e i disprezzi”, afferma il porporato.
“Spina spes gloriae”: secondo padre Trapè, questa è la frase che sintetizza la vita di Santa Rita. “Nonostante i drammi e i dolori che accompagnarono le vicende della sua vita, ella ebbe nel cuore la gioia e la diffuse intorno a sé… Diffuse, infatti, la gioia del perdono pronto e generoso, della pace amata e perseguita come bene supremo, dell’amore fraterno e sincero, della fiducia in Dio piena e filiale, della croce portata con Cristo e per Cristo”, conclude Semeraro.
L’avvio dei lavori del nuovo ospedale
Subito dopo il Solenne Pontificale sono stati avviati i lavori per il nuovo ospedale “Santa Rita da Cascia”. “Concludiamo oggi la Festa di Santa Rita, che è stato un rinnovato momento di fratellanza e preghiera per la famiglia della santa degli impossibili, facendo insieme il primo passo di uno dei più significativi traguardi per la ricostruzione dei territori colpiti dal sisma del 2016″, commenta suor Maria Rosa Bernardinis, madre priora del Monastero Santa Rita da Cascia. “La posa della prima pietra del nuovo ospedale, rappresentata dalla targa che si trovava nella vecchia struttura, per commemorarne l’edificazione da parte del monastero, racchiude una grande sfida, che non ci chiama solo alla ricostruzione dei muri ma anche a quella di una vera tutela della salute, in seguito alle gravi conseguenze della pandemia, che hanno messo in luce la crisi del sistema sanitario”.
Giuseppe Tominz (Gorizia, 6 luglio 1790 – Gradiscutta, 24 aprile 1866) è stato un pittore italiano, di fama internazionale, considerato il massimo ritrattista di area goriziano-triestina dell’Ottocento.
Autore-Vania Gransinigh–TOMINZ GIUSEPPE- Figlio di Giovanni, Giuseppe nacque a Gorizia il 6 luglio 1790. Avendo dimostrato una precoce predisposizione all’arte, nel 1809 si recò a Roma per completare quella che in patria era stata una prima formazione piuttosto disordinata e priva di punti di riferimento. A quel «pittore Giovanni», che i documenti indicano quale padrino di cresima di T., infatti, non è ancora stato possibile attribuire un’identità precisa, che permetta di individuare con certezza i modelli figurativi a cui il giovane artista ebbe modo di guardare agli esordi della sua carriera professionale. Risalgono a quel periodo il foglio raffigurante la Distruzione di Troia, ispirato alla stampa di analogo soggetto di Ulderico Moro (1807), e il Ritratto di Francesco Moncada, copia dal dipinto di Van Dyck mediata dall’incisione di Raffaello Morghen (1809), opere che, conservate entrambe nelle collezioni dei Musei Provinciali della città isontina, testimoniano la buona volontà, ma la scarsa preparazione artistica del loro artefice. Pare che, a segnare la fortuna del pittore, sia stato l’interessamento dell’arciduchessa Marianna d’Austria, sorella dell’imperatore Francesco I, la quale, giunta a Gorizia nel 1809 poco prima di morire, notò le capacità di T., auspicandone un soggiorno a Roma per completare là i suoi studi. Venuto subitaneamente a mancare al pittore l’appoggio di quest’ultima, egli si rivolse per un aiuto al nobile goriziano Giuseppe della Torre che, generale maggiore di Sua maestà imperiale, si era stabilito in quel torno di tempo nell’Urbe. Partito il 5 marzo di quello stesso anno alla volta della Città eterna, T. vi giunse alla fine del mese per rimanervi nei successivi nove anni, ospite e allievo del pittore mantovano Domenico Conti Bazzani. Seguendo gli insegnamenti di quest’ultimo e frequentando le lezioni della Scuola di nudo all’Accademia di S. Luca, T. perfezionò il proprio stile conseguendo, nel 1814, il secondo premio unico per il disegno con lo Studio di apostolo, oggi conservato presso gli archivi dell’istituzione scolastica. Diverse furono le suggestioni che l’ambiente figurativo della Città eterna dei primi decenni dell’Ottocento poté esercitare sul giovane artista goriziano: oltre alla rinnovata riflessione sulla pittura di matrice classica del Seicento romano, infatti, agirono su di lui anche gli esempi rappresentati dall’attività d’esordio, di impostazione purista, dei Nazareni tedeschi, che lì si erano trasferiti dando vita alla confraternita dei “Lukasbrüder”. A Roma T. conobbe e sposò nel 1816 Maria Ricci, da cui ebbe il figlio Augusto, nato nel 1818. Ad un periodo di poco precedente risalirebbe l’esecuzione dell’Autoritratto con il fratello (1812-1815 ca.; Gorizia, Musei Provinciali), realizzato verosimilmente prima del matrimonio, durante un soggiorno compiuto nella città isontina. Il dipinto, ricco di rimandi simbolici e allegorici, palesa nella composizione il richiamo ai modelli rappresentati da Batoni e Lampi, assai noti in ambito romano. Stando alle evidenze documentarie, T. fece rientro a Gorizia nei primi mesi del 1818, dove ebbe modo di incontrarlo Francesco Giuseppe Savio (V.) che, consigliere del tribunale cittadino, ne scrisse al figlio in alcune lettere rimaste un punto di riferimento fondamentale per ricostruire l’attività professionale del pittore in quei primi anni goriziani. Da queste fonti si evince l’impegno inizialmente profuso da T. sul versante della pittura di storia e solo in un secondo momento rivolto al genere ritrattistico per il tramite della commissione, risalente al 1818, di due copie del ritratto aulico dell’imperatore Francesco I da eseguirsi per il tribunale civico provinciale di Gorizia e per il tribunale commerciale di Trieste. A questi dipinti destinati all’arredo di uffici pubblici, ne fecero seguito molti altri per le città di Fiume e Lubiana, che vanno ad aggiungersi ai due sicuramente di mano del pittore goriziano, raffiguranti nuovamente Francesco I e, successivamente, Ferdinando I in vesti da parata (Gorizia, Musei Provinciali). Dopo aver compiuto un soggiorno a Vienna verosimilmente tra il 1819 e il 1820, T. si dedicò in via quasi esclusiva alla pittura di ritratti, genere nel quale appariva particolarmente versato. Se si eccettua la pala per l’altare maggiore del duomo cittadino, le opere certamente ascrivibili al periodo goriziano consistono in numerosi ritratti, tra i quali spicca il proprio, scanzonato Autoritratto (Trieste, Civico museo Revoltella), realizzato intorno al 1825 per la villa di famiglia di Gradiscutta, poco prima del trasferimento a Trieste, città nella quale fissò la propria residenza fino al 1855. Nel capoluogo giuliano T. trovò l’ambiente sociale più adatto ad accogliere la sua pittura levigata e cristallina, capace di rendere allo stesso tempo e con sorprendente abilità le effigi e l’anima dei suoi soggetti. Alla lunga serie di opere portate a compimento per gli esponenti della borghesia cittadina appartiene anche il Ritratto della famiglia Brucker (Trieste, Civico museo Revoltella), proposto all’attenzione del pubblico nel 1830 in occasione della mostra personale organizzata dal pittore a Trieste, con intenti modernamente promozionali. La tela rappresenta una delle migliori testimonianze della pittura tominziana nella seconda metà degli anni Venti, quando maggiormente si manifestò nell’artista l’adesione alla poetica Biedermeier, che lo indusse ad inserire i ritratti in ambientazioni domestiche e quotidiane. Le opere portate a termine negli anni seguenti evidenziano invece il concentrarsi del pittore sui personaggi effigiati, con una riduzione al minimo delle notazioni ambientali e una più grande attenzione riservata alla resa fisionomica, come testimonia ad esempio il Ritratto di Nicola Botta (Gorizia, Musei Provinciali), risalente verosimilmente alla fine del decennio successivo. Le medesime osservazioni potrebbero essere estese al Ritratto delpadre (Lubiana, Narodna Galerija), tradizionalmente datato al 1848, dove l’anziano Giovanni Tominz è raffigurato mentre con la mano sinistra regge una tabacchiera ornata dal ritratto miniato della moglie, scomparsa nel 1802. Caratterizzata da un rigoroso nitore formale e da una ricercata naturalezza espressiva, l’immagine rappresenta efficacemente l’ultima attività triestina di T., che, nel 1855, decise di ritirarsi a Gorizia, città nella quale fu accolto con ogni onore. Colpito qualche anno dopo da una forma di cecità progressiva, l’artista trasferì definitivamente la propria residenza nella villa di Gradiscutta, dove trascorse, accanto al fratello, gli ultimi anni della propria vita prima di morire il 22 aprile 1866.
A coadiuvare il padre Giuseppe nell’ultimo periodo della sua attività professionale fu il figlio Augusto, che era nato a Roma il 1° febbraio 1818 e che si dedicò alla pittura di genere storico e religioso e alla ritrattistica seguendo le orme del genitore. A lui spetta l’esecuzione delle diciassette tele che ornano il soffitto della sala da ballo di palazzo Revoltella a Trieste, ispirate al tema delle arti e dei mestieri e portate a compimento nel 1859. Nelle sale dello stesso edificio è ospitato anche il Ritratto dell’arciduca Massimiliano d’Austria, realizzato nel 1868 a un anno di distanza dalla scomparsa dello sfortunato fratello dell’imperatore Francesco Giuseppe I. Dal 1872 e sino alla morte, avvenuta a Trieste il 17 giugno 1883, T. ricoprì la carica di primo direttore del Civico museo Revoltella.
Autore-Vania Gransinigh
Bibliografa –
MARINI, Giuseppe Tominz, Venezia, Edizioni Arti, 1952; Mostra di Giuseppe Tominz. Catalogo della mostra, a cura di G. CORONINI, Gorizia, Comune di Gorizia, 1966; Josef Tominc. Catalogo della mostra, Ljubljana, Narodna Galerija, 1967; K. ROZMAN, Mladnostno delo in zivlenje slikarja Jozefa Tominca, «Srecanja», 4/19 (1969), 35-38; S. TAVANO, Nuovi elementi sulla giovinezza di Giuseppe Tominz, «AFT», 7 (1984), 93-110 (con bibliografia precedente); F. MAGANI, Giuseppe Tominz ritrattista goriziano, in Ottocento di frontiera. Gorizia 1780-1850. Arte e cultura. Catalogo della mostra (Gorizia), Milano, Electa, 1995, 133-137 (con bibliografia precedente); ID., Trieste, 2 novembre 1832: ritratti da un matrimonio di Giuseppe Tominz, «AFT», 15 (1999), 159-164; E. LUCCHESE, Giuseppe Tominz e il ritratto di Isacco Luzzatti (1859), «Archeografo triestino», s. IV, 61 (2001), 172-190; Jožef Tominc. Fiziognomija slike. Catalogo della mostra, a cura di B. JAKI, Ljubljana, Narodna Galerija, 2002; Pinacoteca Gorizia, 25-29, 102-125.
Le monache in preghiera per Ucraina ed Emilia Romagna
-Articolo di Tiziana Campisi-
Nella cittadina umbra un ampio programma di celebrazioni ed eventi. Il 22 maggio, giorno della memoria liturgica, presiede il solenne pontificale il cardinale Semeraro. “Siamo al fianco del Papa nella costruzione di una speranza di pace, in Ucraina e in ogni Paese martoriato dalla guerra” dice in un messaggio la badessa del monastero in cui ha vissuto la santa dei casi impossibili, assicurando anche vicinanza e preghiere per gli emiliani colpiti dall’alluvione
Città del Vaticano-21 maggio 2023-Sarà il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, a presiedere il 22 maggio, alle 10.30 a Cascia, il solenne pontificale per la memoria liturgica di santa Rita. La celebrazione si svolgerà nella Sala della Pace e al termine i celebranti e i fedeli si recheranno in processione sul sagrato della basilica che custodisce le spoglie della taumaturga agostiniana per la recita della supplica e la tradizionale benedizione delle rose. E sempre nel giorno della festa della santa dei casi impossibili, come segnale di speranza, si darà uffialmente il via alla ricostruzione dell’ospedale cittadino, reso inagibile dal sisma del 2016, che era stato edificato negli anni ’60 dal Monastero di Santa Rita e donato al comune.
Il messaggio della badessa del monastero di santa Rita
“Alla vigilia del 22 maggio, siamo al fianco del Papa nella costruzione di una speranza di pace, in Ucraina e in ogni Paese martoriato dalla guerra. Pregheremo chiedendo l’intercessione di santa Rita – afferma madre Maria Rosa Bernardinis, badessa del monastero di Cascia, nel messaggio in occasione della festa – perché, secondo il suo esempio, converta i cuori dei leader coinvolti affinché cerchino la strada del dialogo, per costruire una pace che sappia di giustizia, piuttosto che continuare con la via delle armi, che innesca la spirale dell’odio”. A santa Rita saranno anche rivolte preghiere perché le popolazioni dell’Emilia Romagna colpite dall’impressionante trovino conforto, aggiunge madre Maria Rosa, esprimendo a nome di tutte le monache agostiniane vicinanza alle terre emiliane. “Costruire una pace giusta – continua, poi, il messaggio della religiosa – significa aprire le porte all’ altro, cercando di mediare e ricostruire il dialogo. “E aprire, anzi spalancare le porte, per permettere a chi ha bisogno di sperimentare l’Amore del Signore” è quello che fanno le donne alle quali viene consegnato il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2023, spiega la badessa, “accomunate dal loro ‘essere servizio al prossimo’” e che “hanno saputo fiorire nonostante le spine delle loro vite, confidando in Dio, e facendo della carità, propria di Santa Rita, e della devozione come partecipazione, la loro missione di vita, a partire dal vicino della porta accanto, per arrivare a chi è più lontano o diverso”.
Il Riconoscimento Internazionale a tre donne
Il “Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2023” viene consegnato oggi, alle 17.30, nella basilica di Cascia. Il premio, istituito nel 1988, per volontà delle monache agostiniane, dei padri agostiniani e dell’amministrazione comunale, viene conferito a donne di ogni Paese e religione che incarnano i valori alla radice del messaggio della santa di Cascia. Quest’anno le donne che si sono distinte per la forza del perdono o per aver vissuto come una missione l’impegno in difesa della dignità delle persona, sono Luciana Daqua, calabrese, assistente sociale e docente universitaria, per essere stata al fianco di extracomunitari, prostitute, donne violentate, omosessuali non accettati dalla famiglia, persone con disagio psichico, accompagnandoli verso un futuro migliore; Antonella Dirella, molisana, insegnante, che ha perso il marito e si è consacrata come laica nell’associazione San Giuseppe, fondata da don Giussani, per essersi saputa affidare a Dio nelle prove della vita, facendosi dono per gli altri; Franca Pedrini, veneta, moglie, madre e nonna, presidente della cooperativa sociale “I Piosi”, da 33 anni centro diurno e casa di accoglienza per persone con disabilità, per aver accettato con fede i tanti lutti vissuti in famiglia ed averli trasformati in occasioni per amare il prossimo nelle sue fragilità, impegnandosi senza riserve.
L’arrivo della Fiaccola della pace e del perdono
Il ricco programma del 21 maggio prevede, tra i diversi appuntamenti, sempre nella basilica dedicata a santa Rita, alle 10, la rievocazione del transito della santa dei casi impossibili, quindi alle 21.30 l’arrivo della Fiaccola della pace e del perdono accesa il 23 marzo scorso a Verona, che quest’anno è gemellata con Cascia per divulgare insieme alla cittadina umbra i valori ritiani, e lo scambio dei doni tra i comuni gemellati. Alle 22.00, poi, con l’accensione del tripode, verrà dato ufficialmente il via ai festeggiamenti ritiani 2023. Nella basilica verrà consegnato alla badessa del monastero dell’olio votivo per l’urna che contiene le reliquie di santa Rita e sarà recitata una preghiera di affidamento alla taumaturga.
In preghiera con le monache dal coro della clausura
In preparazione alla festa di Santa Rita, ogni giorno, dalle ore 11.50 alle 12.35, le monache agostiniane del monastero di Cascia, hanno recitato il Rosario in diretta social. Per la prima volta le religiose hanno aperto la clausura dal coro, il luogo di preghiera della comunità monastica, e a loro era possibile collegarsi sui canali Facebook, Instagram e Youtube del monastero. “Aprire la clausura, proprio dal coro che rappresenta l’anima della nostra comunità, il luogo in cui ci ritroviamo per pregare insieme, favorendo la comunione – aveva dichiarato madre Maria Rosa Bernardinis, badessa del monastero in un comunicato stampa -, è il modo in cui vogliamo testimoniare la nostra apertura e servizio al prossimo, secondo quello che è lo spirito della festa di santa Rita”.
Le iniziative solidali ritiane
L’iniziativa di preghiera ha inteso anche promuovere gesti di solidarietà e così le monache hanno proposto, a chi lo desiderava, di pregare insieme a loro utilizzando un rosario-bracciale in madreperla e legno d’ulivo, acquistabile on line, realizzato a Betlemme dal centro Piccirillo – gestito dai francescani della Custodia di Terra Santa che offrono lavoro a famiglie povere altrimenti inoccupate -, e benedetto nella Grotta della Natività. Le offerte raccolte serviranno a sostenere la Fondazione Santa Rita da Cascia nella ricostruzione dell’ospedale St. Virgilius Memorial di Namu, in Nigeria, fondato e gestito dalla Congregazione delle Sorelle di Nostra Signora di Fatima. Si potrà contribuire anche acquistando, sul portale del monastero, “Le rose di Santa Rita”, una piccola pianta di rosa, il fiore simbolo della santa dei casi impossibili che, come la rosa, ha saputo fiorire nonostante le spine che la vita le ha riservato, donando il buon profumo di Cristo.
aggiungerebbe subito l’appassionato mozartiano, provocato dall’imbeccata di quel celebre e cerimonioso settenario Sfuggito al libretto del Dissoluto punito o sia il Don Giovanni.
Da duecento anni a questa parte la vita e i prodigi musicali di Mozart sono stati raccontati con una tale sovrabbondanza di scritti da far sembrare ormai del tutto inutile la stesura di un’ennesima biografia; a meno che essa muova da presupposti inediti e proceda su binari di assoluta originalità. Il presente volume nutre esattamente questa ambizione: ripercorrere la vicenda umana ed artistica di Mozart assumendo come fisso punto di osservazione del suo lavoro di compositore il fattore ricorrente della forma di origine coreutica del minuetto. Il maestro salisburghese vi si applicò innumerevoli volte e continuativamente nei trentacinque anni racchiusi fra i primi esperimenti infantili al clavicembalo e i grandi capolavori che accompagnarono il concludersi della sua breve vita. Lo adattò ai contesti musicali più disparati — sonate, concerti, sinfonie, composizioni da camera, divertimenti, serenate, opere buffe, opere serie, persino pagine sacre — trasformando la sua convenzionalità strutturale e i suoi manierismi di stile nella rappresentazione del senso mutevole di un’epoca che l’Illuminismo aveva reso capace di farsi dominare dalla frivolezza come di ridere profondamente di se stessa.
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Allegate n.5 foto relative alla Processione del 1992.
Filetta , località sita a 5km. dal capoluogo Amatrice, dove il 22 maggio 1472 ,dalla pastorella Chiara Valente, fu trovata una piccola immagine incisa su di un cammeo , che fu venerata dal popolo.
Nello stesso anno(1472), nel luogo in cui avvenne il rinvenimento dell’Immagine , fu eretta la chiesa di Santa Maria dell’Ascensione.
Il Santuario, nella facciata principale , presenta un portale ad arco acuto, un campanile a doppia vela e, lateralmente, un secondo ingresso.
L’interno della chiesa è ad una sola navata, il soffitto è a carena. I dipinti, di notevole interesse, sono opera degli Artisti Dioniso Cappelli, Pier Paolo da Fermo e di altri pittori minori locali.
Ogni anno, la domenica dopo l’Ascensione, il reliquiario, contenente la Sacra immagine, è portato in processione , dalla chiesa di San Francesco di Amatrice sino al Santuario di Filetta.
La Processione, prima di avviarsi verso Filetta, sosta nella chiesa del Crocifisso in Amatrice, dove il reliquiario viene preso in consegna, dopo una piccola cerimonia, dal Parroco di S.S. Lorenzo a Flaviano, il quale ha la giurisdizione ecclesiastica su Filetta.
La processione dei fedeli riprende il cammino e giunta al torrente Mareta si congiunge con i cortei delle Confraternite di S.S. Lorenzo a Flaviano, che hanno il privilegio di accompagnare la Madonna del Santuario di Filetta, restando, come indica il cerimoniere, in prima fila. Questa processione , come è sopra descritta, si rinnova da secoli rispettando ogni parte del vecchio cerimoniale.
Le foto allegate al post:
A) Madonna di Filetta;
B) Santuario di Filetta del sec. XV:
C) Filetta di Amatrice – la casa della pastorella Chiara Valente, la quale, il 22 maggio del 1472, trovò la Sacra Immagine della Madonna;
D) Amatrice-Chiesa di San Francesco (sec.XIII)-Altare ligneo con fregi, capitelli e pregiati lavori d’intaglio. Al centro, la Sacra Immagine della Madonna di Filetta, custodita nell’artistico e prezioso reliquiario- Particolare :le famose 7 chiavi con cui viene chiusa.
E) Seguono n.5 foto relative alla Processione del 1992.
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede
ancora la marca di fabbrica
“Schulze Monaco”.
C’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio
di scarpette infantili
a Buchenwald.
Più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald.
Servivano a far coperte per i soldati.
Non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas.
C’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald.
Erano di un bimbo di tre anni,
forse di tre anni e mezzo.
Chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni,
ma il suo pianto
lo possiamo immaginare,
si sa come piangono i bambini.
Anche i suoi piedini
li possiamo immaginare.
Scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti
non crescono.
C’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald,
quasi nuove,
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole…
-Ad un anno dalla scomparsa rendiamo omaggio al Poeta e critico letterario
Ubaldo Giacomucci
Regole dell’impazienza- Edizioni Tracce 1992-
-Ad un anno dalla scomparsa rendiamo omaggio al poeta e critico letterario-
Ubaldo Giacomucci
Pescara: muore a 60 anni il poeta e critico letterario Ubaldo Giacomucci.
PESCARA- 15 marzo 2021-Riservato e di poche parole, lo si incontrava spesso, con la sua valigetta, per le vie del centro cittadino, a Pescara, la città dove ha vissuto buona parte della sua vita. Ubaldo Giacomucci era così, apparentemente timido, ma gentile e pronto a dare consigli a chi voleva avventurarsi nell’affascinante mondo della letteratura. Se n’è andato a quasi 60 anni e ora l’Abruzzo piange un personaggio simbolo della cultura. Intellettuale, poeta e critico letterario, era ricoverato all’Ospedale di Pescara, nel reparto di Medicina, dal 2 marzo scorso. Nei giorni precedenti al suo ingresso al Santo Spirito alcuni amici, preoccupati per l’assenza e il silenzio di Ubaldo, hanno cercato di rintracciarlo per capire se gli fosse successo qualcosa. Ubaldo era rinchiuso in casa da diversi giorni, perché non si sentiva bene. Ed è stato proprio grazie all’intervento degli amici più stretti, tra i quali Nicoletta Di Gregorio, Ennio Di Francesco e Andrea Costantin, che è stato trasportato in ospedale.
Purtroppo, però, non ce l’ha fatta. Ubaldo Giacomucci, Presidente della casa editrice Tracce, era nato a Venezia il 9 settembre 1961. Verrà per sempre ricordato come uno dei maggiori poeti italiani, ma anche come un talent scout della letteratura.
Un ricordo per Ubaldo Giacomucci – Edizioni Tracce-
Articolo di Fabio Barone
Il 16 marzo 2021, all’età di 59 anni, è morto Ubaldo Giacomucci. In vita direttore editoriale della casa Edizioni Tracce di Pescara, nonché autore di alcuni libri di poesie e antologie poetiche. Come spesso accade quando la notizia non interessa amici, parenti o anche solo conoscenti, questa attraversa l’animo senza sedimentarsi nella coscienza, diventare pensiero, immagine entro cui tradurre emotivamente la realtà e le sue verità. Quando accade è perché, spesso, l’emozione del nuovo si affaccia sugli schermi, sui giornali, sui canali dove avidamente si fiuta il fascino ambiguo della novità. Edmund Burke lo aveva detto molto bene: «[…] quelle cose che ci attirano soltanto per la novità non possono dominarci per molto tempo, la curiosità è la più superficiale di tutte le affezioni, e muta continuamente oggetto; la sua avidità è molto viva, ma assai facilmente soddisfatta, e presenta sempre un aspetto di vertigine, di irrequietezza, di ansietà».
Non siamo neanche qui a erigere un monumento in onore di Ubaldo, piuttosto a concedergli uno spazio, una stanza bianca e ariosa dove il suo nome può meglio affiancarsi al suo percorso di vita, quantomeno a un breve riassunto — un’immagine, di nuovo — contenuto nelle parole e nel ricordo di una storica amica, Nicoletta Di Gregorio, ex presidentessa di Edizioni Tracce.
Mi sento al telefono con lei, ascolto in silenzio, interrompendola solo per alcune precisazioni e brevi commenti: «Ho conosciuto Ubaldo intorno agli anni ‘80 — dice Nicoletta —, scrivevo poesie ma non avevo ancora avuto modo di confrontarmi con altri scrittori. Mio marito a quel tempo mi disse “è necessario che tu conosca altri poeti”, così in una libreria di Pescara, la quale vendeva volumi per l’università, andai un giorno e conobbi Ubaldo Giacomucci. Lì Ubaldo aveva fondato un gruppo di giovani poeti abruzzesi, una piccola associazione culturale dal nome Alfred Jarry orientata alla cultura poetica di ricerca: organizzavano eventi culturali invitando alcuni fra i maggiori poeti italiani. La particolarità di questo gruppo era il voler focalizzare l’attenzione e gli inviti non solo a chi scrivesse poesia in modo tradizionale, ma anche poesia sonora o verbo-visiva. Avevano una visione orizzontale del concetto di poesia. Gli eventi erano organizzati insieme all’università Gabriele d’Annunzio di Pescara.
Intorno al 1981 viene fondata la rivista Tracce, a capo vi era Domenico Cara e Ubaldo la dirigeva, questa aveva l’orientamento dello stesso gruppo dei poeti. Quasi fosse una metamorfosi naturale, dalla rivista nacque la casa editrice, un po’ per caso ma soprattutto per volontà, passione e forte interesse. All’inizio la casa si era posta l’obiettivo di pubblicare solo poesia, ma col tempo abbiamo cominciato a editare romanzi, racconti, saggi, e mano a mano che procedeva sono nate diverse collane, alcune universitarie per non parlare di vere e proprie riviste universitarie (Merope, RSV – Rivista di Studi Vittoriani).
Abbiamo cominciato a pubblicare alcuni fra i maggiori poeti italiani, da questi incontri è sorta l’amicizia, culturale e non, con lo scrittore Davide Rondoni; abbiamo organizzato premi che sono poi rimasti per vent’anni quale il “Premio Nuove Scrittrici” nato intorno agli anni ’90, che dieci anni dopo si è trasformato in “Scrivere Donna”. In giuria abbiamo avuto Maria Luisa Spaziani (autrice per ET) e Márcia Theóphilo per la poesia, Milena Milani per la narrativa. Abbiamo dato anche dei premi particolari: ogni anno omaggiavamo una figura femminile nel campo del cinema o della letteratura italiana: Amelia Rosselli, Edith Bruck, o l’attrice Lina Sastri. Vi era poi una sezione dedicata alle giovani scrittrici, alle scuole. La particolarità di questo premio stava nel sottolineare che la cultura non ha confini o limiti prestabiliti, per questo le premiazioni le svolgevamo in ogni provincia abruzzese: a Pescara la narrativa, a Teramo il personaggio speciale, a L’Aquila la poesia, a Chieti le giovani scrittrici che ottenevano così una pubblicazione con noi.
Un altro grande premio che abbiamo fondato è il “Premio Sant’Egidio” per la poesia spirituale, uno dei primi a quel tempo che nelle sue prime manifestazioni fu vinto da Davide Rondoni. La premiazione si svolgeva d’estate, solitamente il primo settembre, giorno di festa in onore di Sant’Egidio, dentro la chiesa di Madonna Delle Grazie (Civitaquana, nda) o davanti al sagrato della stessa, in base alle condizioni metereologiche.
Intorno alla seconda metà degli anni ’80 organizzammo una grande mostra dedicata a Gabriele d’Annunzio, allestita negli spazi nella neonata struttura universitaria di Pescara. Per quell’evento esposero grandi nomi dell’arte contemporanea internazionale, da Ettore Paladini a Ettore Spalletti e molti altri. Da quell’evento nacque un’antologia edita da Fabbri e Tracce. Per non dimenticare l’antologia “Pagine d’arte e poesia” (Tracce), per la quale Mario Schifano realizzò una copertina appositamente per noi, lì vi erano antologizzati diversi artisti figurativi a fianco dei maggiori poeti italiani.
Subito dopo il terremoto dell’Aquila del 2009, noi di Edizioni Tracce abbiamo invitato i poeti di ogni età a scrivere versi per la città, organizzato letture dentro i tendoni che accoglievano i cittadini. Con noi c’era anche il poeta Plinio Perilli. Dopo queste prime manifestazioni di solidarietà, abbiamo pensato di selezionare le migliori poesie caricate sul nostro blog che sono poi state antologizzate dentro il libro “La parola che ricostruisce” (ET), questo avvenne poco dopo l’accaduto. Il libro è poi stato edito anche da Bertoni Editore, a cura di Anna Maria Giancarli. Quel che vorrei sottolineare di questa breve storia — conclude la Di Gregorio —, è che Ubaldo è sempre stato in prima linea. Per quanto mi riguarda lo considero uno dei maggiori conoscitori della poesia italiana del ‘900, dalle avanguardie ad oggi, un intellettuale, amante della filosofia, ed uno tra i maggiori poeti abruzzesi. Ubaldo con Edizioni Tracce ha dato spazio ad importanti poeti da tutta Italia, era una persona buona, schiva, generosa».
Omaggio a Ubaldo Giacomucci
… sulla musica incauta dell’infinito …
alla sua Simona
[ Tra il muro e le alghe, in un sogno di
marmo slittano le voci resistenti
e inconsuete, avvolte da fibbie e fondali
come una statua improvvisata, un altare
cosparso di gesso e di spore.
– Ubaldo Giacomucci –
Ci sono poeti e amici della poesia, di cui nemmeno più ricordiamo come e quando li abbiamo conosciuti – tanto essi ci sono sempre rimasti
amici profondi, sodali usuali nella vita, nei gesti, nelle vicende, e vorrei dire anche nelle opere… Ubaldo Giacomucci era tra questi. Scrivo era, perché da pochi giorni è venuto a mancare, se n’è andato in modo insieme dignitoso e appartato – così come sempre in fondo era vissuto. Era… era… Ma non mi sento di archiviare quest’amicizia, questo nostro legame umano e letterario, tra le declinazioni dell’imperfetto, le coniugazioni d’un passato affettuoso ma ormai spento. Ubaldo aveva con la poesia un rapporto fertile, quotidiano, di seminatore diligente e paziente. “Seminatore”, ma non nelle pose romantiche d’un realismo di maniera, d’un luminoso e operoso credo laico: lui era tutto questo e molto di più; aveva comiciato da avanguardista, aveva fondato “Tracce”, a Pescara (rivista e insieme fortunata Casa Editrice), assieme all’infaticabile e sororale Nicoletta Di Gregorio, come una cooperativa, uno stuolo scelto di amici, tutti assolutamente “moderni”, comunque lontani da stili e stilemi passatisti… (Nicoletta ad esempio, veniva da beneamati studi d’Arte, era stata compagna di classe di Andrea Pazienza – Paz! –: avevano avuto come professore un maestro limpido e riservato, libero e fantasioso come Sandro Visca – a sua volta allievo/amico di Burri)… Quanti libri, negli anni, abbiamo condiviso (a partire dalla fine anni ’80!). Quante presentazioni, convegni, meetings, prefazioni, collane, proposte che rendevano giustizia a una città, Pescara – una cittadina sempre più allargatasi, per intenderci, dal borgo marinaresco de Le novelle della Pescara – che aveva dato i natali a D’Annunzio e poi a Flajano, certo, ma cercava una sua nuova identità di fine secolo, perché il ‘900 davvero rinascesse come secolo primo d’un millennio nuovo in tutto, anche nei linguaggi. Ora è ozioso e triste, ricordare gli appuntamenti più riusciti di questo sogno e bisogno, ma Ubaldo, con “Tracce” e Nicoletta, c’era sempre… Sembrava pigro ma era infaticabile, prospettico e propiziatorio, propugnatore e designatore d’un manifesto continuo del fare/poièin: umile e modernista, placido e febbrile all’unìsono. Si è trascurato?, come giurano gli amici. Era depresso? Sedotto dal mostro forse anch’esso virale del Cupio dissolvi?… Giunto quasi all’appuntamento coi 60 si è insomma lasciato andare, ha presso sottogamba problemi circolatori, difficoltà e impacci vascolari che abbastanza in fretta, invece, lo hanno condannato – fra la dolorosa stupefazione di chi lo conosceva… Un lock-down anche mentale, una sfinita e malinconica reclusione emotiva, all’interno del lock-down pubblico e obbligato… Ma non è stato il covid… C’è chi se lo chiedeva… Forse, oso dire oggi, a pochi giorni dall’infausto evento, è stata una sorta di dannato, appiccicoso e insidioso ripiegamento – che ha aggiunto ombre cupe di romanzo a una vita che finora scorreva quieta. Sì, i consueti dolori nel travaglio dell’Epoca e d’ogni esistenza… Il dolore per la perdita della Madre… O di amici davvero cari, pulsanti appuntamenti quotidiani (penso a Marco Tornar, un poeta appartato e travagliato già di suo, anche lui, più di lui, infibrato, salvato e contagiato da un’elegante melanchòlia leopardiana). Più di recente, il lutto per un grande e difficile amore – Simona (scomparsa proprio a un soffio dalle loro sognate e progettate nozze) – cui Ubaldo tanto s’era votato, ricambiato; ma come in un triste idillio leopardiano, sfumato, reciso da un vento alzatosi più forte, nella sua, loro città di mare – che siamo abituati a immaginare vacanza estiva, luogo felice: e cova invece stagioni immensamente tristi, inverni e rigori che non misura la metereologia, ma una balbettante, asfissiata alchimia dell’anima.
…
All’apparir del vero
Tu, misera, cadesti …
*******
Era poeta, e anche bravo, Ubaldo: che per tutta la vita s’è occupato quasi solo della poesia e della scrittura degli altri. Un po’ per lavoro, certo, predisposizione d’editore vero (l’editore in senso filologico, classico – che si prende cura dei libri, li aiuta a nascere, come un ostetrico minuzioso e illuminato). Ed era anche, e sempre meglio, un valente cervello critico, capace in poche righe di condensare stille o stelle di semplici arcani, o quotidiani universi…
Ricordo alcuni suoi interventi nemorabili, anche discorsi in pubblico, incredibilmente timidi e fieri insieme, brevi ma indimenticabili. Lui e Nicoletta, in questo, lasciavano il segno. Un segno plurimo, artistico, letterario, avanguardista, epocale, etico, psico-sociologico.
Bello un suo saggio sinestetico del 2000, Le ragioni dell’invisibile, degno di miglior fortuna. Non so se la fortuna aiuti davvero gli audaci, ma lui comunque audace non lo era – era creatura mite, appartata, trasognata. Ripeto, un buon poeta: ma le sue poesie, molto presto, non ha più voluto nemmeno stamparsele (dopo il bell’esito delle Regole dell’impazienza, 1992, da anni avevo lo scartafaccio in bozze d’un suo libro che poi finì col lasciare lì, socio emerito del sindacato delle opere incompiute, magari proprio quelle più giuste, più oneste, più ispirate).
Bisognava carpirgliele, le poesie – estirparle, estrarle come denti scheggiati e cariati di dolcezza. Lo fece nel 2010 Anna Maria Giancarli, quando andò a raccogliere i contributi dei poeti italiani per L’Aquila, aggregando un’antologia finalmente solidale, quanto inopinata. Ubaldo, anche lì, estrasse dal suo cilindro dei versi non di maniera, per nulla retorici, pur nella laica liturgia della pietas:
non ci sono più pietre nel cuore
né catene, ma specchi, redenzioni
e scoperte; una concezione indiscreta
ci scardina ogni giorno e in televisione
c’è un solo volto che non sappiamo
scrutare (troppi dolori in tasca
con un sapore immeritato di sconfitta,
e una ferita che brucia l’anima
perché non sappiamo chiedere, eppure
hanno sfilato in un centro invivibile
quelli che non ne conoscono la violenza
… Ma noi lo stimavamo davvero, così come tutti quelli che nei decenni ebbero il modo di collaborarci, di dialogarci. Ricordo non pochi compagni di strada (assieme alla giudiziosa e generosa Nicoletta Di Gregorio): figure disparate e anche divergenti – ma tutti lo rispettavano ed ascoltavano, in nome della stima. A caso e per mero riaffiorare lampeggiante, starei per dire rifioritura ancestrale, ricordo la verve di Umberto Piersanti, la sicura e fedele fideiussione culturale, anche emotiva, di Renato Minore; il coraggio umano e civile di Stevka Smitran; l’estro e insieme il magistero artistico di Sandro Visca, o Francesco Summa, o Elio Di Blasio; il lungo percorso esegetico e creativo di un Mario Lunetta; l’impegno appunto strenuo e cristallino della Giancarli, pasionaria del verso tra l’Io e la Storia, i sacri diritti delle Donne… (E quante donne frequentarono, operose e a loro modo illuminate, le stanze di “Tracce”, in quegli anni comunque di crescita, del paese e delle coscienze – e non è una semplice tirata giornalistica: da Diana Conti, psicoterapeuta e poetessa/filosofa, a Maria Di Lorenzo, poetessa ispirata e saggista d’indubbia finezza (scriverà un bel ricordo di Elio Fiore – che è già un titolo di merito); da Lisa Di Marzio, narratrice emotiva ed emozionata, a Vera Slaven, jugoslava “autoesiliata”, scrisse di sé, “profuga e inconsolabile dall’estate 1991”; da una giornalista impegnata come Daniela Quieti (autrice d’un bel saggio su Bacone), a Rita El Khayat, prima donna psichiatra in Maghreb, scrittrice e antropologa, figura mitica cui Pescara conferì la cittadinanza onoraria, e candidata da anni – fra l’altro – al Premio Nobel per la Pace)… Ma sono troppi i nomi ancora da fare, e non basterebbe inanellarne tanti altri, anche preziosi: Elena Clementelli e Giancarla Frare, Anna Ventura e Anila Hanxhari, Ninnj Di Stefano Busà e Stefania Lubrani, Anna Rita Persechino e Nostòs (Margherita Cordova)…
Rammento invece le vicende creative della collana “D’emblée”, che lui e Nico mi favorirono e che diede alle stampe – in illo tempore – testi di Vito Riviello e Ivan Graziani; una fortunata sceneggiatura di Francesca Archibugi, Mignon è partita, e le serrate, rivelatrici cronache di superfunzionario RAI come Giovanni Leto, spirito libero e finissimo (ed era la RAI che produceva il Leonardo di Castellani, Padre Padrone, Matti da slegare, una RAI insomma spesso accesa da antichi, ostili spiriti di censura)… Felice anche un’altra collezione, “Terzo Novecento”, aperta da Patto giurato (1996) il memorabile saggio di Eraldo Affinati su Milo De Angelis: “… la poesia moderna, quando è bloccata nella tensione verso l’assoluto, è come se scavasse un buco nero premiando chi vi si perde.”…
Last but not least, la trilogia “I Posteri del Moderno” di Nina Maroccolo, tre titoli d’una sola parola: Illacrimata, Animamadre, Malestremo (2011-2013)… Che Ubaldo postillò da par suo in aura junghiana: “Il riferimento a James Hillman non è certo casuale: Hillman crede che la psicologia debba evolversi oltre il suo ‘riduzionismo’ presente ed abbracciare teorie sullo sviluppo umano.”…
Per non parlare dei contributi arditamente sperimentali di figure importanti come Tomaso Binga, Mario Lunetta, Francesco Muzzioli, Marco Palladini… O della stessa, caparbia e ispirata poetessa brasiliana Márcia Theóphilo, con la sua recitata, salmodiante Amazzonia oceano d’alberi.
Molto, assieme a Nico, Ubaldo e “Tracce” fecero per i giovani, i poeti nuovi o comunque nuovi autori. Difficile dimenticare collane “storiche” come Scrivere Donna (dove esordirono, vincendo, poco più che ragazze, Maria Grazia Calandrone, Anna Maria Farabbi…). O l’altra collezione di autori neofiti, Giovani scrittori (sotto gli auspici della Fondazione PescarAbruzzo) tra cui vanno almeno ricordati Marco Tabellione e Igor Di Varano, Gianluca Chierici e Riccardo Bertolotti, Angelo Del Vecchio e Andrea Costantin…
Per non parlare di molti testi importanti, in genere trascurati dagli editori altolocati, e di cui Ubaldo e Nico ebbero cura. Su tutte, due collane, una di grandi autori stranieri riproposti in opere cult (Epitalamio di Pessoa, La sgualdrina della costa normanna della Duras – a cura di Sandro Naglia); l’altra di rari testi filosofici, i “Maestri Occulti”, diretta dall’indimenticabile e carissimo Mario Perniola, che stampò il Klossowski di Aldo Marroni, il Rigaut di Dietro lo specchio, Debord di Anselm Jappe… Ma anche i testi pedagogici, la didattica istintiva e progressista di Franca Battista; e “Armorica”, una elegante collana anglosassone guidata da Francesco Marroni; o gli agili, gustosissimi volumetti “Ad Alta Voce”, coi readings di poesia contemporanea curati da Luigi Amendola e Checco Tanzj: la voglia piena, scanzonata e insieme impegnata, di uno “Spazio Totale” che andasse “Oltre la Parola”.
*******
Dopo malinconiche vicissitudini editoriali, sofferte appunto assieme a Nicoletta, stoica storica amica e socia inderogabile, nella buona e nella cattiva sorte (i bilanci, i debiti, gli affitti, i conti delle tipografie, il purgatorio non sempre provvido degli autori!), Ubaldo riuscì di recente a rimettere insieme il marchio di Tracce, per una renovatio affettuosa quanto miracolosa. Riuscì ancora a editare qualche titolo (ricordo un bel saggio di Angelo Piemontese su Pavese, nella collana diretta da Francesco Paolo Tanzj; la fresca raccolta lirica di Fabio Tirone; un volume a più mani sul senso e il ruolo, oggi, della Scrittura, indagata anche sul filo della psicologia familiare e relazionale, grazie ai contributi di Silvana Madia e Federica Fava Del Piano); una mia ultima collana di poesia dove feci giungere all’appuntamento col possibile, e con la Voce Giusta, autori (e amici) quali Lorenzo Poggi e Tiziana Marini, Fausta Genziana Le Piane e Paolo Carlucci…
E tanti altri giovani di cui celebrare fervorosi il battesimo, o suffragare via via gli esordi: i decenni cambiavano, ma non le emozioni e le attese: 1989, Un dio per Saul di Daniele Cavicchia; 1990, Il ponte di Heidelberg di Sergio D’Amaro; 1994, Gli amplessi di Saint-Just di Fernando Acitelli; 2009, Cuore Cavato di Bibiana La Rovere; 2012, Alia di Claudia Iandolo)… Le prime poesie di Monica Martinelli (Poesie ed ombre, 2009), le presentammo da Feltrinelli assieme a Walter Mauro… Erano in fondo già tre generazioni – ma ogni cosa, ogni idealità si saldava e quadrava il cerchio.
Poi tutto fu nuovamente annichilito: scivolò, inciampò angustiato e arrestato, ora e per sempre.
Solo la pazienza di Nicoletta, collaboratrice da ultimo delle belle e citate edizioni della Fondazione PescarAbruzzo, àuspice Nicola Mattoscio, riuscì a rubargli, accudirgli in gioia qualche poesia nelle messi antologiche che intanto ri-nascevano. Nel 2015, il memorabile testo su Nutrimenti, per l’Expo 2015 a Milano. Nel 2020, ultimissima, la silloge a più voci Terra Mater, sulla salute e sui doni della terra (una Terra però straziata, malata, in fondo, proprio dell’umana presenza – ahinoi, negligenza – sino allo shakespeariano spettro di Banquo… cioè della accanita, impennata pandemia, sanitaria e certo anche epocale, conscia/inconscia a partita doppia)…
Ecco, vorrei ricordarlo, il nostro Ubaldo, con questi suoi versi belli, pieni, totali, avvincenti in spire morbide e accanite d’enjambements, senza mai dimenticare che i nutrimenti terrestri (non più quelli rapinosi, soavi, gidiani) sono e dovrebbero restare dono di tutti, per tutti:
In questa terra perdono terreno
le richieste degli ultimi, ancora smarrite
fioche nei deserti o clamorose nelle scene
televisive dei soliti noti. Chiedimi
se qualcuno debba morire, se ancora
può perdersi un uomo per del cibo
o un alloggio, se valgono i sentimenti
per i più poveri, se posso credere che
finirà la fame nel mondo. ………………..
Così che anche la Terra Madre, di continuo c’insegna e ci ammonisce in quest’auspicio mai domo, quest’ansia mai rassegnata – che chiede e assegna alla poesia, un fermo, nudo dovere civile :
Accosta alla fine un altro inizio,
suggerisci il copione sbagliato:
avremo un iceberg in salotto, un naufragio
senza più scuse, mentre balliamo
sulla musica incauta dell’infinito.
Ciao, carissimo Ubaldo! – arrivederci ad altre plaghe, altri cieli, altri mari e orizzonti (Altre voci, altre stanze). Tu che tanto amavi l’arte, le arti, la stessa musica, ultimamente la rete, sei salpato, lo so, per una rotta che nessuna mappa riesce a segnare, a capire, accettare. Lì ritroverai anime e cuori a te sommamente cari. Belle figure, aneddoti o episodi da ricordare – da riseminare per un altro inizio…
Nella vita, dalla vita e oltre la vita che sempre, prima o dopo, finisce: e diventa la rotta, l’emblema, l’Imago di tutti. E lì tutti ci ritroveremo, quando sarà, il più tardi possibile, certo. Nel Senza Tempo e Senza Spazio che ora t’ingloria, ti ospita e t’accoglie: già con in mano qualche strana, divinante ultima bozza, di libri e testi ancora da stampare, anzi leggere, correggere; fermare e poi bruciare per sempre, al vaglio della Luce. Sulla musica incauta dell’infinito…
Ogni Bene, di vero cuore,
tuo Plinio
(S. Pasqua 2021)
Abruzzo Notizie
Quando un poeta muore…
“Muore il piccolo mondo del foglio bianco, quel rettangolino segreto che aspetta, come un principe solitario, di incontrare la sua amante di sempre: la scrittura. Come un virtuoso matrimonio tra ritmo e malinconie viventi, l’incontro si veste di magia, e subito è il piccolo grande modo della poesia. Una parola, un mondo. E sono i poeti che celebrano la sacralità del matrimonio. I poeti, si, questi strani esseri a forma di uomo che fanno della scrittura l’unico tempo della loro vita, che hanno la normale vita terrena, ma che vivendo hanno infinite dimensioni, e quando muoiono par che si siano spostati nella stanza accanto”.
Ne parlavamo anni fa, forse 1984-85, una sera in una cena, insieme a Rita Ciprelli, Marco Tornar, io, e Ubaldo Giacomucci, che proprio l’altro giorno ci ha lasciati. Si , Ubaldo, il mite Ubaldo; se l’è portato con sé l’invisibile mostro. Vorrà egli raggiungere, l’amica Rita e l’amico Marco, per continuare un dialogo mai interrotto. Ubaldo era stato tra i fondatori della casa editrice Tracce che, fino a qualche anno fa, insieme a Nicoletta Di Gregorio ha portato alto il vessillo della cultura scritturale a Pescara, ormai mercantile e decadente. Egli era, è, non un pianeta, ma stella di prima grandezza. Chiunque facendo poesia, doveva far riferimento a lui, alla sua sapienza, alla sua saggezza poetica. Un punto di riferimento, per gli amanti della poesia e della scrittura.
Ubaldo, è stato, e resterà, indelebile faro la cui luce andava oltre gli orizzonti lirici. Era un ragazzo più giovane del sottoscritto (che non vuole diventare vecchio, quindi…) sempre disposto con tutti, magari poteva incutere un po’ di timore, è sempre stato fisicamente imponente, poteva apparire un po’ orso. Forse per certi versi lo era, ma era l’orsetto simpatico amico di tutti, cordiale, gentile, mai una parola fuori posto. Una ironia velata ed elegante unita ad una abilità dialettica fuori dal comune, erano i suoi tratti distintivi. E la sua immensa cultura poetica e soprattutto filosofica lo facevano elevare in voli leggiadri verso inarrivabili latitudini di puro lirismo. Adesso Ubaldo Giacomucci non è più con noi. Ci mancherà la sua imponenza, la sua voce cristallina, il suo senso dell’umorismo surreale. Ciao Ubi, come ti chiamò qualcuno. Sei contento, maledetto Covid, sei contento di questi capolavori?
URANUS
Omaggio a Ubaldo Giacomucci
Sabato 19 giugno 2021 alle ore 18,00 presso il Parco di Villa Sabucchi a Pescara, nella suggestiva cornice naturalistica dell’area spettacolo “Ruderi”, si è tenuto un evento in memoria del compianto poeta, editore e critico letterario Ubaldo Giacomucci, scomparso il 14 marzo 2021 a soli 59 anni lasciando un vuoto incolmabile in tutti coloro che lo hanno conosciuto e apprezzato.
L’iniziativa è stata curata della scrittrice Margherita Cordova in sinergia con Associazione L.A.A.D, Teatro Gianni Cordova e Parco di Villa Sabucchi.
Hanno partecipato, con letture di brani, poesie e toccanti testimonianze in ricordo di Giacomucci, gli autori: Antonio Alleva, Natalia Anzalone, Fabio Barone, Gabriella Bottino, Vittorina Castellano, Maria Gabriella Ciaffarini, Margherita Cordova, Andrea Costantin, Rolando D’Alonzo, Sandra De Felice, Franca Di Bello, Luigi DiFonzo, Ennio Di Francesco, Nicoletta Di Gregorio, Milvia Di Michele, Anna Maria Giancarli, Daniela Quieti, Antonio Russo, Riccardo Santini, Tania Santurbano, Mara Seccia, Stevka Smitran,Tina Troiani, Rosetta Viglietti, Willian Zola.
È intervenuta, tra gli altri, la presidente dell’Associazione Editori Abruzzesi Elena Costa.
Voci recitanti: Attori della Compagnia “Torre del Bardo”.
Intervento musicale: Libero Maria Marotta.
Ubaldo Giacomucci aveva esordito giovanissimo frequentando alcuni tra i maggiori esponenti della cultura internazionale. Nato a Venezia, viveva a Pescara. Aveva pubblicato in volume le raccolte di poesia L’Ostaggio (Nuovo Ruolo, 1983),Garanzia corpuscolare (Tracce, 1985), Regole dell’impazienza (Tracce, 1989) e il saggio Le ragioni dell’invisibile (Tracce, 2000). Era stato presidente delle Edizioni Tracce e aveva curato molteplici collane editoriali, antologie, saggi, riviste letterarie, mostre di poesia visuale, rassegne di poesia sonora, letture pubbliche di poesia, presentazioni di libri, attività culturali di vario genere. Nel 1980 aveva fondato la rivista trimestrale Tracce. In campo giornalistico aveva collaborato con numerosi periodici di cultura. Aveva fatto parte delle giurie di numerosi concorsi di poesia e letteratura e aveva insegnato materie attinenti al giornalismo e alla redazione editoriale.
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