– Prof. GIUSEPPE LUGLI-Il Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Copia anastatica dalla Rivista PAN -numero Luglio 1935-diretta da UGO OJETTI
Editore RIZZOLI e C. Milano-Firenze-Roma.
Prof.Lugli, Giuseppe. – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);
Prof.Lugli Giuseppe – Archeologo italiano (1890 – 1967) professore di topografia romana e di architettura all’università di Roma La Sapienza. La carriera del Lugli è stata prolifica anche se fra i suoi molti contributi significativi alcuni sono preminenti: – Fontes ad topographiam veteris urbis romae pertinentes (8 vols. 1952-69). corpus che raccoglie tutte le citazioni testuali nelle fonti antiche romane di carattere topografico e monumentale. – La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a roma e lazio, roma (bardi, 1957) rimane uno studio fondamentale sulle tecniche di costruzione durante il primo millennio a.C. – Forma italiae, una serie di programmi e di concordanza archeologica per l’Italia. Questo lavoro continua oggi come pubblicazione seriale ed ha un progetto di ricerca collegato, diretto dal prof. Paolo Sommella nel dipartimento di storia dell’archeologia e dell’antropologia di Roma antica presso l’Università degli Studi La Sapienza.
Restauro del Tempio di Venere e Roma-
Restauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaRestauro del Tempio di Venere e RomaProf.Giuseppe Lugli – Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967);PAN- 1935-Prof.Lugli Giuseppe Restauro del Tempio di Venere e Roma
Giuseppe Lugli Archeologo italiano (Roma 1890 – ivi 1967); prof. di topografia romana nell’univ. di Roma (1933-61); socio nazionale dei Lincei (1946). Pubblicò, tra l’altro, un ampio manuale (I monumenti antichi di Roma e suburbio, 3 voll. e un Supplemento, 1930-40), e ricerche sulla tecnica costruttiva e sull’architettura (La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio, 2 voll., 1957). Iniziò la pubblicazione sistematica dei Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes e la collana della Forma Italiae.
Lugli’s career was prolific, although among his many significant contributions, several are paramount. He is credited with more than 230 scholarly publications.[2] In his topographical career, Lugli compiled the landmark Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes (8 vols. 1952-69).[3] The aim of this corpus was to collect all of the textual mentions in the ancient sources that pertain to the topography and monuments of Rome. The work is organized according to the Augustan regions of the city.
Lugli was also a student of architecture, and in particular of building techniques. His study La tecnica edilizia romana: con particolare riguardo a Roma e Lazio, Roma (Bardi, 1957) remains a seminal study of the technology of construction in Italy during the 1st millennium B.C.[4]
Lugli also founded the Forma Italiae, a series of archaeological maps and concordance for Italy. This work continues today as a serial publication, and associated research project, directed by Prof. Paolo Sommella in the Department of Ancient History, Archaeology and Anthropology at the Università degli Studi di Roma “La Sapienza”. The aim of Forma Italiae is to map the full archaeological landscape of Italy at a sufficient scale to facilitate a variety of research and teaching needs.[5]
A. M. Colini “Ricordo di Giuseppe Lugli” RIASA, n.s., XV, 1968.[2]
Scholarship
1930-1940. I monumenti antichi di Roma e suburbio. [I. La zona archeologica.–II. Le grandi opere pubblicha.–III. A traverso le regioni.] 3 vol., plus Supplemento: un decennio di scoperte archeologiche. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1940. Pianta di Roma antica: forma Urbis imperatorum temporibus (1:10.000). Worldcat.
1946. Roma antica: il centro monumentale. Rome: G. Bardi. Worldcat.
1948. La Velia e Roma aeterna. Elementi topografici e luoghi di culto.Worldcat.
1952-1969. Fontes ad topographiam veteris urbis Romae pertinentes. Colligendos at que edendos curavit Iosephus Lugli. Rome. Worldcat.
1957. La tecnica edilizia romana con particolare riguardo a Roma e Lazio. 2 v. Rome: Bardi. Worldcat.
1969. La Domus Aurea e le Terme di Traiano. Rome: G. Bardi. Worldcat.
Ilan Pappè-La prigione più grande del mondo. Storia dei territori occupati .
Ilan Pappè-La prigione più grande del mondo
di Ilan Pappé (Autore)-Michele Zurlo (Traduttore)
Descrizione del libro di Ilan Pappè-La prigione più grande del mondo-Dopo la sua acclamata indagine sulla pulizia etnica della Palestina avvenuta negli anni Quaranta, il famoso storico israeliano Ilan Pappe´ rivolge l’attenzione all’annessione e all’occupazione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, esponendoci la prima critica globale relativa ai Territori Occupati palestinesi. Frutto di anni di ricerche, il nuovo lavoro di Pappe´ rappresenta probabilmente l’analisi piu` completa mai scritta sulla genesi dei Territori Occupati e sulla vita quotidiana all’interno di quella che l’autore definisce, appunto, «la prigione piu` grande del mondo». Pappe´ analizza la questione da molteplici punti di vista: attraverso l’analisi di materiali d’archivio recentemente declassificati, ricostruisce sotto una luce nuova le motivazioni e le strategie dei generali e dei politici israeliani – e lo stesso processo decisionale – che hanno gettato le basi dell’occupazione della Palestina; rivolgendo poi lo sguardo alle infrastrutture legali e burocratiche e ai meccanismi di sicurezza messi in atto dagli occupanti, rivela il modo in cui Israele e` riuscito a imporre il suo controllo a oltre un milione di palestinesi; infine, attraverso i documenti delle ONG che lavorano sul campo e i resoconti di testimoni oculari, Pappe´ denuncia gli effetti brutalizzanti dell’occupazione, dall’abuso sistematico dei diritti umani e civili ai blocchi stradali, dagli arresti di massa alle perquisizioni domiciliari, dal trasferimento forzato degli abitanti autoctoni per far spazio ai coloni al famigerato muro che sta rapidamente trasformando anche la stessa Cisgiordania in una prigione a cielo aperto. Il libro di Pappe´ e` al contempo un ritratto incisivo e commovente della quotidianita` nei Territori Occupati e un accorato appello al mondo perche´ non chiuda gli occhi di fronte ai crimini contro l’umanita` a cui e` soggetta da piu` di settant’anni la popolazione indigena della Palestina.
Manuale di archeologia dei paesaggi A cura di Franco Conti
Manuale di archeologia dei paesaggi- Metodologie, fonti e contesti –
A cura di Franco Conti-Carocci Editore-Roma
Descrizione del libro Manuale di archeologia dei paesaggi-Il libro affronta il tema della metodologia archeologica utile alla ricostruzione dei paesaggi del passato, attraverso lo studio di contesti geografici di diversa estensione. Rivolto agli studenti di archeologia, il libro intende fornire una sorta di introduzione ragionata ai modi di approccio alle forme dei paesaggi antichi, alle procedure utilizzate, alle tecnologie di indagine e di elaborazione. Il testo passa in rassegna aspetti e temi diversi della pratica archeologica: le tipologie delle fonti da utilizzare, la scelta del contesto geografico-storico, la ricognizione del terreno come procedura di acquisizione di masse critiche di dati nuovi, la elaborazione e trasformazione dei dati in informazione archeologica, la loro visualizzazione cartografica. I capitoli conclusivi sono dedicati all’interpretazione degli insediamenti, al delicato rapporto fra archeologia e geografia umana, alla illustrazione sintetica di casi di studio e di ricostruzione di paesaggi del passato.
Contatti
Carocci editore
Viale di Villa Massimo, 47
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Tel. 06 42 81 84 17
L’archeologia dei paesaggi è la disciplina che studia, utilizzando fonti, metodologie e procedure diverse, i paesaggi del passato e il loro stratificarsi nei diversi ambiti o comprensori geografici e a seconda del periodo storico. Fra un concetto spaziale come quello di comprensorio e un concetto prevalentemente storico come quello di territorio sono sottesi nessi innumerevoli. Questi nessi sono sufficienti a sintetizzare i contenuti storico-culturali di una ricerca e le strutture geografiche che da questi sono originate.
Cause che portano alla mutazione del paesaggio
Le formazioni della storia e le strutture geografiche in senso letterale rappresentano un binomio fecondo nelle fasi di più intensa interazione. Questa interazione genera a sua volta, senza soste, paesaggio, anzi multiformi paesaggi. In senso archeologico il paesaggio va inteso come il prodotto della storia, che dissemina comprensori e territori, a seconda dei momenti e delle formazioni politiche, istituzionali, economiche, sociali e culturali, di strutture che antropizzano i comprensori e i territori medesimi. È la storia a costruire paesaggi diversi, paesaggi con limiti cronologici frastagliati, confini geografici approssimativi e una tendenza spiccata a presentarsi in forme variabili a seconda dello spazio locale. Percorrendo la strada che attraversa il Chianti, oggi si percepisce nettamente il paesaggio della monocolturavitivinicola e dell’agriturismo assai più che il fatto di essere in questo o quel territorio comunale, in questa o quella provincia. Si tratta, in questo caso, di uno spazio regionale che ha costruito in maniera prepotente il paesaggio contemporaneo e l’immagine che intende rappresentarne all’esterno.
Le ville romane come esempio concreto
Lo stesso ragionamento può esser fatto riguardo al fenomeno della villa romana di età tardo-repubblicana. In questo caso le nostre principali fonti per l’individuazione di ville romane sul terreno sono: la letteratura antica (Cicerone, Varrone ed altri), le iscrizioni, la toponomastica, lo studio delle immagini remote (aeree e satellitari) e così via, fino ad arrivare alla ricognizione archeologica. Da tutte queste fonti emerge con altrettanta prepotenza un paesaggio della villa romana che può esser cominciato prima (II secolo a.C.) in certe zone (Lazio, Campania settentrionale ed Etruria meridionale) rispetto ad altre ed essersi sviluppato più tardivamente ancora (I secolo a.C.) altrove (Puglia, Calabria) magari anche in maniera incompleta. Questo paesaggio segna con particolare vigore le regioni dell’Italia centrale tirrenica, lo scenario nel quale i relitti di quegli assetti sono ancora oggi percettibili malgrado tante e tanto profonde alterazioni e manomissioni. Le mutazioni del paesaggio della villa sono tali e tante che, anche all’interno della stessa regione storica, possono strutturarsi paesaggi assai differenti. La costa dell’Etruria meridionale compresa fra la foce del Tevere e il golfo di Talamone, per esempio, è molto ricca di ville romane e le piccole valli aperte verso il mare hanno ospitato decine di questi lussuosi edifici. A nord di Talamone, in corrispondenza con l’inizio del territorio di Roselle e di quella che comunemente viene chiamata Etruria settentrionale, le ville romane si rarefanno. A nord di Grosseto e del lago di Bolsena le ville romane sono poche in rapporto a quelle enormi estensioni di terreno e privilegiano soltanto alcuni specifici habitat, particolarmente attraenti.
L’importanza del paesaggio
Il concetto di “paesaggio” in archeologia può quindi essere strumento utile alla definizione e alla comprensione del dispiegarsi sul terreno di una particolare situazione storica (in questo caso la vocazione fondiaria delle aristocrazie senatorie) e delle tipologie processuali dai vari fenomeni seguite. Detto che esiste un certo tipo di paesaggio, occorrerà naturalmente tenere presente che possono esserci delle varianti fra il sistema della villa, configuratosi in maniera diversa nelle regioni centrali rispetto a quelle periferiche dell’Italia antica, più lontane da Roma. Non diversamente, prima dei paesaggi delle ville, altri se ne sono avuti, ora più ora meno complessi e articolati (si pensi alle frequentazioni di epoca etrusca) e lo stesso è accaduto dopo (i villaggi, i castelli, la mezzadria) fino ad arrivare all’industrializzazione e al paesaggio dell’agriturismo ancora sotto i nostri occhi. Non si intende qui per paesaggio una determinata situazione geografica, circoscritta, descritta da un pittore o da uno scrittore (saggi in De Seta 1982), sorgente dall’ispirazione e alla funzione che un determinato paesaggio deve svolgere nell’ambito della narrazione. Il paesaggio dell’artista serve dunque a sostenere l’ambientazione di vicende umane con le quali può avere un rapporto stretto e determinante oppure di pura coincidenza. Il paesaggio dell’arte cessa di essere contenitore di storia, prodotto di processi storici e rappresentazione scenica e diviene funzionale alle vicende che si vogliono rappresentare.
Il concetto di paesaggio
Nella geografia il concetto di paesaggio evoca immediatamente il libro di Emilio Sereni, edito nel 1976. Nel titolo del libro la parola “paesaggio”, al singolare, è seguita dall’attributo “agrario”, dall’autore visto non soltanto come immagine ma come esito di una serie di situazioni storiche, ovvero come convergenza degli eventi che fanno la storia di un comprensorio plasmandone la superficie, sommando, sottraendo, costruendo, distruggendo. In questo sta la novità. Per l’archeologo i paesaggi sono, o dovrebbero essere, complesse stratificazioni da leggere studiando un comprensorio in estensione. L’archeologia dei paesaggi ambisce a studiare i paesaggi stratificati di un comprensorio. La storia produce paesaggi, operando sui quadri ambientali naturali attraverso le azioni dell’uomo. Queste, strutture e infrastrutture necessarie alla vita, all’agire economico, culturale e spirituale, in maniera diversa e con diversa complessità si sovrappongono al substrato naturale e si inseriscono in un’eredità storica che va progressivamente arricchendosi, secondo un processo paragonabile alle trasformazioni inarrestabili del patrimonio genetico di un individuo, che continuano, anche dopo la sua morte, nelle generazioni successive.
L’impatto dell’uomo sul paesaggio
L’uomo che, per definizione, ha maggiore impatto sul paesaggio è l’uomo economico, che abita, produce, consuma, costruisce, coltiva, fabbrica, traffica. Questa visione contiene molte verità ma è incompleta, in quanto condizionata dal punto di osservazione dei moderni, che dal XVI secolo vivono un mondo profondamente segnato dalla grande avventura del capitalismo e dai suoi esiti nel XX secolo, fino ad arrivare all’epoca post-industriale. In realtà, il complesso gioco dei fattori che generano i paesaggi storici non può essere circoscritto alla sola economia. La tentazione economicistica e materialistica, rischiosa per i paesaggi del nostro tempo, diviene distorcente per i paesaggi antichi. In questo senso il concetto di “paesaggio” espresso da Sereni appare parziale, almeno da un punto di vista archeologico. I paesaggi possono infatti stratificarsi anche per cause diverse e per fattori non propriamente o non direttamente economici, come avviene nei casi di alcune importanti aree sacre dell’Italia antica, situate nei boschi o nei pressi di un villaggio di scarsa entità, talvolta marginali, se osservate dal punto di vista delle grandi città o delle grandi vie di comunicazione. In questi casi la marginalità si fa centralità e queste aree erano spesso i centri, religiosi, culturali e sociali, di ampi spazi geografici. Talvolta esse finivano per essere anche i centri di un potere istituzionale ed economico, mutuato attraverso i villaggi e gli abitati. In questa prospettiva, che si discosta dalla mentalità moderna e che si avvicina a quella antica, anche una montagna isolata diventava luogo centrale e spesso punto di tangenza dei confini fra territori diversi. I fenomeni di antropizzazione, meno marcati in senso materiale, procedevano attraverso i quadri ambientali naturali con forme di preservazione. Ancora in età romana, certi paesaggi sacri, esclusi dalle centuriazioni, non coltivati né popolati, erano al tempo stesso antropizzati in senso immateriale e quindi preservati. In questo modo il tema della definizione del paesaggio archeologico può essere reimpostato su basi più concrete.
La rilevanza economica di un comprensorio indica che la struttura del comprensorio è in grado di sostenere elevati livelli produttivi in determinati settori e che le potenzialità economiche possono attrarre forza lavoro e sono sfruttate in modo soddisfacente da gruppi umani e compagini sociali attrezzate per farlo. All’opposto, le aree sacre montane rappresentano casi tipici di paesaggi sorti per impulsi almeno entro certi limiti svincolati dall’economia oppure non direttamente legati ai fattori economici. Questo invito al superamento delle visioni troppo restrittive degli spazi geografici ha lo scopo di far emergere anche gli intrecci più nascosti fra le pieghe dei paesaggi antichi. Forse non esistono leggi che regolino i processi di formazione di un paesaggio o, forse, è preferibile ammettere che non sempre eventuali leggi possono essere individuate e interpretate. Sarà, in ogni caso, apprezzabile che sin dall’inizio vengano stabilite le regole del gioco, ovvero i principi che guideranno la ricerca. La prima regola da fissare dovrà descrivere le idee e i motivi che hanno ispirato la scelta del contesto. L’ambiente entra solo marginalmente in questo ragionamento. Si tratta, infatti, di un concetto quasi paradossale nell’ambito della archeologia dei paesaggi. In quanto formazione storica operante in uno spazio dato, il paesaggio è fattore di trasformazione profonda dell’ambiente naturale.
L’antropizzazione del paesaggio
Il concetto di ambiente antropizzato appare superfluo perché l’uomo con l’ambiente si è sempre dovuto misurare e l’ambiente (antropizzato) è comunque la somma di condizioni naturali e di condizioni storiche. Oggi tutte le zone della terra, in misura diversa, possono essere considerate “paesaggi” o somme di paesaggi diversi, non esistendo più aree del pianeta che possano essere considerate “naturali”. L’azione umana, oggi come nel passato, non si è mai limitata a grattare la superficie terrestre usandone limitatamente le risorse ma, anche quando è stata circoscritta nell’intensità e nella portata, ha innescato processi di trasformazione con effetti millenari e profondi. L’archeologo dei paesaggi si trova di fronte, più che a un ambiente naturale, ad una catena di ecofatti, o di componenti dei diversi paesaggi stratificati, variamente distribuiti nel tempo e nello spazio. Gli ambienti, anche quando appaiono naturali, sono comunque prodotti di processi storici di varia durata. Negli ecofatti si riflettono tracce e potenzialità ambientali che caratterizzano un determinato spazio geografico e che sono attrattori nei confronti gruppi umani e formazioni sociali: cave di pietra da costruzione o di argilla, distretti minerari, lagune pescose, valli favorevoli alla viticoltura. Anche gli ecofatti si intrecciano inestricabilmente con il paesaggio e con le sue sorti. Il concetto di paesaggio appare dunque, una volta di più, indispensabile non tanto nell’ambito della programmazione della ricerca, trattandosi di una definizione già fortemente interpretativa e non potendo prescindere da un’avanzata fase di raccolta dei dati, quanto nella rappresentazione finale, nella sintesi ultima della storia di un particolare spazio locale. La complessità dell’intreccio ha acquisito rilevanza con il nostro tempo e con le tensioni che lo attraversano. Solo fino a mezzo secolo fa, nessuno, o pochissime persone, nella politica, nell’economia e nella cultura, riuscivano a comprendere che la natura, l’ambiente, le stesse ricchezze paesaggistiche potessero esaurirsi. Il dibattito nelle scienze geografiche nel dopoguerra appariva concentrato in gran parte sui temi delle risorse e delle fonti di energia. La consapevolezza che le risorse primarie del pianeta fossero meno rinnovabili di quanto si pensasse si è fatta strada con il tempo e si è consolidata negli anni settanta del secolo scorso. Al tempo, un’altra definizione si è affermata, quella dei beni culturali, e quindi dei paesaggi, urbani e rurali che fossero, da considerare non soltanto come prodotti di processi storici di variabile durata, ma anche come beni, appunto, ovvero risorse (apparentemente) rinnovabili, da sfruttare e da far fruttare. La risorsa “paesistica” è divenuta un’attrattiva, in senso storico-culturale e naturale, che i diversi comprensori possono offrire, fonte di ricchezza per le comunità post-industriali. A pochi decenni di distanza anche questo tipo di approccio appare logoro, come appare dai nostri centri storici soffocati dai flussi turistici e dalle nostre coste e campagne, svendute e svilite nel nome delle denominazioni di origine controllata e del profitto senza scrupoli.
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-
Grandissimo successo per la Prima Nazionaledell’Orchestra Poeticaal MLA/Museo Lettera d’Amore – Grandissimo successo e partecipazione di pubblico sabato 30 novembre al MLA/Museo Lettera d’Amore (Torrevecchia Teatina – CH), per la PRIMA NAZIONALE del progetto “Orchestra Poetica – la nostra musica è cuore di parole” direzione a cura di Beniamino Cardines. Ospite d’onore della serata lo scrittore Remo Rapino che ha intrattenuto il pubblico magistralmente in conversazione con Massimo Pamio e Beniamino Cardines.
La serata, come ha illustrato la dott.ssa Antonella Crudo della Sovraintendenza alle Belle Arti, è stata inserita nell’ambito del Piano di Valorizzazione del Ministero della Cultura 2024.
In collaborazione con il “Premio Lettera d’Amore”, sono state orchestrate alcune “Lettere d’amore e altre parole dal cuore”, lettere scritte da: Remo Rapino (Premio Campiello 2020), Beniamino Cardines (Premio Autore dell’Anno 2023), Paolo Cirulli, Silvia Di Lorenzo, Omar D’Anastasio, Rodolfo Palermo, Giorgio Gazzolo, Nicola Dragani, Lorella Santeusanio. Accompagnamento al contrabbasso a cura di Luigi Blasioli.
Orchestra Poetica con: Beniamino Cardines, Rosamaria Binni, Franca Berardi, Maria Gabriella Ciaffarini, Manuela Di Dalmazi, Sandra De Felice, Antonella Caggiano, Giulia Madonna, Lucia Magistro, Mara Motta, Annarita Pasquinelli, Caterina Franchetta, Francesca Di Giuseppe, Antonella D’Arrezzo, Maria Grazia Genova, Alessandro Palomba, Alessio Scancella, Patrizia Splendiani. Coordinamento: Annarita Pasquinelli Michetti. Supervisor: Masimo Pamio e Giuseppina Verdoliva. Regia/direzione artistica: Beniamino Cardines.Un progetto che vuole portare la voce della poesia nella vita di tutti i giorni come forma d’arte e linguaggio dialogante. A formare l’Orchestra Poetica un nucleo di poeti e poetesse pluripremiati in concorsi nazionali e apprezzati in tutt’Italia, ovvero alcune delle voci più interessanti della poesia abruzzese contemporanea.
Torrevecchia Teatina – (CH)-Orchestra-Poetica-
Massimo Pamio, ideatore e direttore MLA: “Da oltre 20 anni riceviamo lettere d’amore da tutte le parti del mondo, questo vuol dire che c’è ancora chi vive l’amore e chi scrive l’amore. Il MLA/Museo Lettera d’Amore a Torrevecchia Teatina, è la piccola grande casa di questo progetto unico al mondo e molto apprezzato dai turisti internazionali che arrivano da noi alla ricerca della meraviglia che solo l’amore può suscitare. Il nostro archivio continua crescere di giorno in giorno come anche i molti riconoscimenti istituzionali che fanno di questo progetto un fiore all’occhiello della cultura.”
Beniamino Cardines, direttore artistico Orchestra Poetica: “La letteratura ci aiuta a costruire un mondo e la comprensione del mondo. Ciò che leggiamo diventa nostro patrimonio personale, una sorta di sistema immunitario parallelo. Senza la letteratura ci troveremmo di fronte a una regressione antropologica. L’Orchestra Poetica è un progetto innovativo, ideato per dare ulteriore slancio alla promozione della letteratura, oggi. Proponiamo delle parole da ascoltare, parole che si muovono nella coralità dei suoni e delle voci, dell’espressività. Un progetto performativo sulla letteratura che nasce oggi per restituire un cuore a molte parole sprecate.”
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Il Pittorialismo -scuola fotografica di Oscar Rejlander ed Henry Peach Robinson
Il Pittorialismo
Il Pittorialismo di Oscar Rejlander ed Henry Peach Robinson vengono considerati come dei precursori di una scuola fotografica che conobbe il suo momento di massimo splendore tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo e che ricopre un ruolo di capitale importanza per lo sviluppo delle tecniche analogiche di post-produzione: il “Pittorialismo”. L’obiettivo dei fotografi pittorialisti era di elevare il mezzo fotografico alla stessa dignità artistica della pittura e della scultura. In quegli anni, infatti, la maggior parte degli artisti “visivi” considerava la fotografia come un mero strumento di riproduzione meccanica della realtà, sprovvista quindi di ogni dignità creativa. I Pittorialisti intendevano dimostrare che la produzione di un’immagine fotografica richiedeva abilità tecniche e senso estetico del tutto paragonabili a quelle di qualsiasi altra forma d’arte. I fotografi che parteciparono attivamente allo sviluppo e alla vita di questa corrente gravitavano intorno a due “club” fotografici, in qualche modo retti e indirizzati da due figure di straordinaria importanza: il “Photo-Club de Paris”, sorto per volere del pittore e fotografo francese Robert Demachy (1859-1936), e l’associazione americana “Photo-Secession”, che aveva il suo promotore nel grande Alfred Stieglitz (1864- 1946).
Pittorialismo
Nella storia della fotografia, termine usato (talora con connotazione negativa) per indicare la tendenza di molti fotografi dell’Ottocento a imitare canoni estetici propri della pittura al fine di conferire dignità artistica alle proprie opere. Più in particolare, il complesso movimento (che si sviluppò nella seconda metà dell’Ottocento in Europa, per poi estendersi agli Stati Uniti) nel quale, in opposizione al diffondersi della fotografia amatoriale e puramente documentaria, veniva proposta una fotografia ‘pittorica’, teorizzando e affermando (con opere eseguite con grande perizia tecnica e sensibilità artistica, sia nella ripresa sia nella stampa) la piena validità e autonomia estetica dell’immagine fotografica, ritenuta degna di occupare un posto di primo piano nelle arti grafiche.
Bruna Bertolo e Ornella Testori- L’ufficiale in bicicletta-
Editore NEOS- Torino
Il caso di Lucia Boetto Testori rievocato in un libro , L’ufficiale in bicicletta ,dalla figlia Ornella-Particolarmente coinvolgente è quando una figlia racconta la vita dei suoi genitori: in questo libro* è quella di una mamma straordinaria, Lucia Boetto Testori, che fu giovanissima protagonista della Resistenza antifascista nel Cuneese, non solo trasportando sulla sua bicicletta esplosivi, ma come “ufficiale-ispettore”, tenendo i collegamenti tra i partigiani e i dirigenti del Cln di Torino, e compiendo anche imprese rischiosissime con gli Alleati inglesi, paracadutati in aiuto degli “Autonomi” di Enrico Martini “Mauri”, per cui fu insignita di una medaglia di bronzo al Valor militare.
Bruna Bertolo e Ornella Testori, L’ufficiale in bicicletta-
Ornella Testori – che nella sua professione si è occupata di biologia e medicina, in particolare quella nucleare, conducendo studi sulla tiroide – rievoca con precisione e anche humour le spericolate azioni di Lucia ragazza, non solo come le ha ascoltate dalla sua viva voce, ma approfondendole con una precisa documentazione, mentre un affresco che inquadra più propriamente gli avvenimenti è presentato nella prima parte del libro, in un’attenta e ampia ricerca della storica Bruna Bertolo e le prefazioni di Luciano Boccalatte e di Nino Boeti.
Fu Frida Malan che mi fece conoscere Lucia, che io vedevo sempre con lei, Bianca Guidetti Serra e Gisella Giambone nelle manifestazioni partigiane, in particolare quando erano invitate a qualche dibattito dai movimenti delle donne, e loro quattro rappresentavano concretamente l’ampio schieramento politico e ideologico della Resistenza: Frida, i “GL” nell’ala socialista, Bianca, quella azionista poi vicina al Pci, Gisella quella garibaldina derivante dal padre Eusebio, ucciso al Martinetto, e Lucia quella liberale degli “Autonomi”. A quel filone di pensiero si riferivano sia Lucia sia il marito Renato Testori – annota la figlia Ornella – e moltissimi antifascisti cuneesi che poi divennero partigiani nelle file degli Autonomi e di “Giustizia e Libertà”: «crociani ed einaudiani, un poco gobettiani», e giustamente polemizza con quella vulgata riduttiva della narrazione «Antifascismo-e Resistenza-solo comunista». Una vulgata, appunto, perché le ricostruzioni storiche fanno giustizia di questa «appropriazione indebita» – come la chiama Ornella – presentando invece un variegato quadro “plurale”.
Con questo intento io intervistai Lucia, nel mio libro dedicato alla vita vissuta di “testimoni della Resistenza”, in particolare delle valli valdesi, che mi onoro di aver conosciuto personalmente, costituendo un grande lascito per tutti (“… Eppur bisogna andar…”, Claudiana, 2006). Serbo il ricordo di una signora elegante, che conservava una serena bellezza, non scalfita dalle dure vicende patite, ma rievocate con misurata passione (l’eccidio di Boves, gli ebrei in fuga dalla Francia chiusi nei vagoni piombati come antefatti dolorosi e choccanti della sua “presa di coscienza”, la disfatta della IV Armata che si rovesciava nel Cuneese), e che raccontava straordinarie vicende, la più straordinaria di tutte quella della “bandiera del Corpo dei Volontari della Libertà” (che infatti dà il titolo all’intervista) che lei portò arrotolata intorno al corpo a Torino, perché doveva sfilare al corteo della Liberazione il 6 maggio 1945. Lucia non poté partecipare al corteo, pare perché il marito Renato Testori non la svegliò in tempo: la bandiera sfilò portata dal partigiano siciliano Vincenzo Modica, “Petralia”, che aveva l’altro braccio al collo, ferito.
Da questa significativa vicenda di “non esserci”, dopo tanto operare e rischiare, inizia simbolicamente quell’occultamento del ruolo delle donne nella Resistenza dal dopoguerra in poi, e l’allontanamento dalla vita politica per farne solo mogli e madri: ci è voluto il ruolo delle storiche femministe degli anni ’70-’80 per riscoprirle. E l’intervista si chiudeva con un amaro ricordo: tanti anni dopo, in una manifestazione del 25 Aprile, Lucia desiderava toccare la bandiera che aveva portato a rischio della vita, ma, decorata di medaglia al valore, la bandiera era scortata con tutti gli onori, e Lucia non poté avvicinarsi. Questo epilogo segna simbolicamente il percorso di tante donne oscure, dimenticate, che invece hanno combattuto “senza armi” come Lucia, per costruire il nostro presente: Senza il lavoro delle donne – ho sentito riconoscere da tanti partigiani – la Resistenza non avrebbe potuto sopravvivere.
* Bruna Bertolo e Ornella Testori, L’ufficiale in bicicletta. Torino, Neos, 2023, pp. 127, euro 17,00.
Articolo di Piera Egidi Bouchard-
Fonte Riforma.it- Il quotidiano on-line delle chiese evangeliche battiste, metodiste e valdesi in Italia.
Roma Capitale-L’Open Studio Gallery presenta la mostra fotografica di Chiara Ricciotti-
Roma Capitale-L’Open Studio Gallery presenta la mostra fotografica di Chiara Ricciotti-
Roma Capitale-L’Open Studio Gallery di Patrizia Genovesi è lieto di presentare la mostra fotografica di Chiara Ricciotti, talentuosa fotografa italiana che esplora con sensibilità i confini tra moda e ritratto in un percorso visivo suggestivo e profondo. La mostra raccoglie una serie di immagini che vanno oltre la semplice rappresentazione della moda, trattandola come un potente mezzo narrativo e di espressione.
Ogni scatto esposto esprime una visione della moda che trascende i canoni tradizionali, enfatizzando l’umanità del soggetto, il movimento e le emozioni. Con uno sguardo cinematografico e una spiccata estetica, Ricciotti combina rigore strutturale e spontaneità, catturando momenti intensi e autentici. Le ambientazioni si intrecciano armoniosamente con il mood delle fotografie, arricchendo la narrazione visiva e coinvolgendo profondamente lo spettatore.
Chiara Ricciotti, nata in Italia nel 1997, ha nutrito fin da giovane la sua passione per la fotografia. Dopo aver completato un Master sotto la guida di Patrizia Genovesi nel 2019 e aver maturato esperienza nel campo della moda e del ritratto, oggi è responsabile del laboratorio fotografico presso l’ACM – Accademia di Costume e Moda di Roma. Attualmente frequenta un Master in Fashion Photography presso l’ISFCI di Roma, continuando a perfezionare uno stile personale e intensamente emozionale, ispirato al cinema e alle persone che incontra.
Questa esposizione rappresenta un’opportunità unica per il pubblico di esplorare la moda come un viaggio emozionale e artistico, dove ogni immagine è concepita per suscitare emozioni e creare un dialogo visivo profondo. La Direzione Artistica è curata da Patrizia Genovesi.
Informazioni, orari e prezzi
Dettagli e Informazioni per il Pubblico
La mostra sarà aperta dal 1 al 20 dicembre 2024.
Open Studio Gallery di Patrizia Genovesi in Via di Villa Belardi 18, Roma.
Inaugurazione 30 novembre 2024, ore 18:00 – su prenotazione
Orari di apertura: dal lunedì al venerdì, dalle ore 10:00 alle 19:00 su prenotazione
Per ulteriori informazioni e prenotazioni:
Email: openstudiogallery.pg@gmail.com www.patriziagenovesi.com
Instagram: @c_ricciotti
LinkedIn: Chiara Ricciotti
Il trattato dal titolo “David Maria Turoldo, il Resistente”, a cura di Guerino Dalola, in collaborazione con Donatella Rocco, Antonio Santini, Mino Facchetti, Pierino Massetti, Gian Franco Campodonico e di ANPI Franciacorta, consiste in un importante saggio autoprodotto con il patrocinio di vari enti e associazioni, tra cui la Città di Chiari, il Comune di Coccaglio, il Comune di Cologne, i Servi di Maria – provincia di Lombardia e Veneto e l’associazione Gervasio Pagani.
Padre David Maria Turoldo è un frate morto nel 1992. Su padre David Maria Turoldo, che fu poeta, filosofo, sacerdote, autore, traduttore, fondatore di riviste e giornali, sono stati pubblicati centinaia di libri e documenti, ma senza dare ampia notizia sulla sua partecipazione alla Resistenza del 1943-45 contro il nazifascismo. Padre David Maria Turoldo è stato un grande Resistente a Milano, ma era in contatto anche con la Resistenza bresciana, soprattutto nella zona della Franciacorta.
Secondo Turoldo la figura del Partigiano riveste certamente una eccezionale e fondamentale importanza, ma in uno specifico momento e in una determinata situazione. Invece, sempre secondo Turoldo, essere Resistente è una scelta di vita che non può verificarsi solo in un determinato tempo e in uno spazio contingente. La Resistenza, i Resistenti attuano un impegno quotidiano, da realizzarsi nel percorso di ogni giorno, senza distrazioni, nel corso di una intera esistenza. La liberazione autentica dell’umanità, oltre che dal nazifascismo e dalle dittature, richiede una militanza, una acribia nel tempo, un impegno molto più profondo sul piano culturale, relazionale, politico, sociale, familiare. L’impegno del Resistente non ha fine e scadenze, perché la libertà non si rinnova da sola, ma deve essere sempre riconquistata con l’impegno di ognuno di noi. Infatti la Resistenza non è mai finita.
Turoldo non ha mai voluto schierarsi con nessun partito politico, perché, lui stesso spiegherà, la libertà, la costruzione di un mondo migliore, i diritti delle persone, la solidarietà, il progresso alternativo che non è tale se non è per tutti, il soccorso a chi vive nell’indigenza, a chi vive nelle difficoltà, a chi vive nel bisogno, il rispetto di tutte le fedi politiche e religiose, non sono istanze appartenenti all’uno o all’altro schieramento partitico, ma sono valori appartenenti alla nostra comune umanità.
Per il Resistente il vero campo di lotta è la normalità, la testimonianza, non solo con le parole, ma con esempi di vita. Il Resistente non è solo antifascista. La vera scelta del Resistente è un’alternativa totale, a favore di una società, di un contesto sociale, completamente diversi, per una nuova presente e futura umanità, perché la pace non è solo mancanza di guerra, ma è nonviolenza, è costruzione di convivenza solidale e fraterna.
Le esperienze di Turoldo furono molteplici come Partigiano in una delle vicende più importanti della sua vita: la Resistenza. Ma le fonti storiche non danno ricostruzione storiografica editata di ampio respiro di padre Turoldo per la sua attività nella lotta di Liberazione nazionale e per il contributo notevole che ha offerto nella ricostruzione morale e materiale del nostro Paese. “Una lacuna nella storia del pensiero democratico e antifascista di impronta cattolica alla quale bisognerebbe pensare di porre rimedio”, così scrive Aldo Aniasi, comandante partigiano, assessore e sindaco di Milano, deputato e ministro socialista e presidente della FIAP federazione italiana associazioni partigiane. Scrive sempre Aldo Aniasi, che come uomo della Resistenza padre Turoldo privilegiò sempre una scelta unitaria, lo spirito unitario della Resistenza, lo spirito dell’unità antifascista. Intrattenne rapporti con comunisti, socialisti, azionisti e incontrava personaggi come Eugenio Curiel, Rossana Rossanda e altri importanti dirigenti della sinistra.
Uno dei risultati più significativi dell’intero lavoro di confronto e dialogo realizzato nel convento di San Carlo a Milano per iniziativa di padre Turoldo e padre De Piaz è la nascita e la diffusione – soprattutto da parte di Teresio Olivelli, Claudio Sartori ed altri collaboratori bresciani – del giornale clandestino antifascista “Il ribelle”. Anche la predicazione in Duomo su incarico del Cardinale Schuster diventa espressione della Resistenza di padre Turoldo. Appena dopo la Liberazione del 25 Aprile 1945, saranno ventinove i Lager visitati da padre Turoldo alla ricerca di sopravvissuti e riuscirà a riportare in salvo a casa circa duecento prigionieri. Scrive Turoldo “Una sola possibilità affinché non si ripeta quanto è avvenuto: ricordare e capire, far ricordare e far capire… Così ho visto la sola Europa possibile, quella della solidarietà dei sopravvissuti”. Scrive Ernesto Balducci “Il grande dono di David è di essere nato povero, in mezzo ai poveri, agli ultimi… David è rimasto un povero. I poveri sono fuori del perimetro della storia”. In occasione degli appositi referendum, padre Turoldo vota contro l’abrogazione del divorzio e dell’aborto, perché i principi religiosi non possono essere imposti a chi non crede: la religione va spiegata e proposta, mai imposta con una legge. Nella primavera del 1978, padre Turoldo, insieme al confratello De Piaz, avvia una trattativa con le Brigate Rosse, per la liberazione di Aldo Moro, presidente della Democrazia Cristiana. L’iniziativa a cui partecipa anche il vescovo di Ivrea monsignor Luigi Bettazzi, presidente di Pax Christi, viene bloccata dall’opposizione delle autorità ecclesiastiche.
La Corsia dei Servi e Nomadelfia furono le iniziative più care sia a Turoldo sia a padre De Piaz, basate su concetti di primaria importanza: tanto la fede che le scelte politiche diventano operative e efficaci solo nell’ambito di una cultura che permetta di uscire dall’inerzia di una fede accolta solo per tradizione e pregiudizio, per tentare invece una rigenerazione dalla vera cultura con maggior impulso possibile.
Invitato a un congresso sul disarmo nel febbraio 1978, Turoldo ebbe l’occasione di incontrare Carlo Cassola, che lo invitò al convegno nazionale della LDU- Lega per il Disarmo Unilaterale. Gli aderenti attuali della Lega per il Disarmo Unilaterale sotto la sigla “Disarmisti Esigenti” stanno lavorando all’interno della campagna ICAN – International Campaign to Abolish Nuclear Weapons e con molte altre associazioni del panorama italiano affiliate a ICAN, tra cui anche PeaceLink- Telematica per la Pace, alla ratifica del trattato ONU, il TPAN, per la proibizione delle armi nucleari, varato a New York a palazzo di vetro nel luglio 2017 da 122 nazioni e dalla società civile organizzata in ICAN. ICAN grazie alla costituzione del trattato Onu per l’abolizione delle armi nucleari è stata insignita Premio Nobel per la Pace 2017. E poi ricordiamo la Salmodia della Speranza che attraversa la drammatica esperienza dell’Europa prima e durante la Seconda Guerra Mondiale: il trionfo dei dittatori, il nazismo, il fascismo, il razzismo, i grandi massacri, i Lager, Hiroshima e Nagasaki, la Resistenza. Per una Chiesa che accoglie i diversi, gli emarginati, gli oppressi, gli ultimi, le vittime di cui tutti siamo parte nel contesto sociale, comunitario, culturale e nel mondo, nel terribile deserto della sopraffazione e della violenza dove tante voci chiedono libertà, giustizia e verità per tutti quegli innocenti che ancora nascono solo per morire.
Laura Tussi – PeaceLink, Campagna “Siamo tutti Premi Nobel per la Pace con ICAN” Fabrizio Cracolici – ANPI sezione Emilio Bacio Capuzzo Nova Milanese (Monza e Brianza)
David Maria Turoldo
Biografia di David Maria Turoldo nasce il 22 novembre del 1916 a Coderno, in Friuli, nono di dieci fratelli. Nato come Giuseppe Turoldo, a tredici anni entra nel convento di Santa Maria al Cengio per far parte dei Servi di Maria, a Isola Vicentina, là dove si trova la sede del Triveneto della Casa di Formazione dell’Ordine Servita. È qui che trascorre l’anno di noviziato; dopo avere assunto il nome di fra’ David Maria, emette la professione religiosa il 2 agosto del 1935. Nell’ottobre del 1938 pronuncia i voti solenni a Vicenza.
Gli studi accademici
Intrapresi gli studi di teologia e di filosofia a Venezia, nell’estate del 1940 Turoldo viene ordinato presbitero nel santuario della Madonna di Monte Berico dall’arcivescovo di Vicenza ,monsignor Ferdinando Rodolfi. Nello stesso anno viene inviato a Milano, al convento di Santa Maria dei Servi in San Carlo al Corso.
Per circa un decennio si occupa di tenere la predicazione della domenica in Duomo, su invito dell’arcivescovo Ildefonso Schuster, mentre insieme con il suo confratello Camillo de Piaz, compagno di studi nell’Ordine dei Servi, si iscrive all’Università Cattolica di Milano. Qui David Maria Turoldo si laurea l’11 novembre del 1946 in filosofia con una tesi intitolata “La fatica della ragione – Contributo per un’ontologia dell’uomo”, con il professor Gustavo Bontadini. Quest’ultimo successivamente gli propone di diventare suo assistente presso la cattedra di Filosofia Teoretica. Anche Carlo Bo gli offre un ruolo come assistente, ma per l’Università di Urbino, cattedra di Letteratura.
Dopo aver collaborato in modo attivo con la resistenza antifascista in occasione dell’occupazione nazista di Milano, David Maria Turoldo dà vita al centro culturale Corsia dei Servi e sostiene il progetto del villaggio Nomadelfia fondato nell’ex campo di concentramento di Fossoli da don Zeno Saltini.
David Maria Turoldo negli anni ’50
Tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta pubblica la raccolta di liriche “Io non ho mani”, con cui si aggiudica il Premio letterario Saint Vincent, e l’opera “Gli occhi miei lo vedranno”, proposta nella collana Lo Specchio di Mondadori.
Nel 1953 Turoldo è costretto a lasciare Milano, e si trasferisce prima in Austria e poi in Baviera, dove soggiorna presso i conventi dei Servi locali. Nel 1955 viene trasferito a Firenze, al convento della Santissima Annunziata, dove ha modo di conoscere il sindaco Giorgio La Pira e padre Ernesto Balducci.
Obbligato ad andare via anche dal capoluogo toscano, dopo un periodo di peregrinazioni lontano dall’Italia torna in patria e viene assegnato a Udine, al convento di Santa Maria delle Grazie. Nel frattempo si dedica alla realizzazione di un film, con la regia di Vito Pandolfi, intitolato “Gli ultimi” e tratto dal suo racconto Io non ero fanciullo. La pellicola, che rappresenta la povertà della vita rurale in Friuli, viene presentata nel 1963 ma non apprezzata dal pubblico locale, che la considera poco rispettosa.
Gli ultimi anni
In seguito Turoldo individua nell’antico Priorato cluniacense di Sant’Egidio in Fontanella un luogo in cui dare vita a un’esperienza religiosa comunitaria nuova, che coinvolga anche i laici: vi si insedia il 1° novembre del 1964, dopo aver ricevuto il consenso di Clemente Gaddi, il vescovo bergamasco.
Qui fa costruire una casa per l’ospitalità, che prende il nome di Casa di Emmaus in riferimento all’episodio biblico della cena di Emmaus, con Gesù che si manifesta ai discepoli dopo essere risorto.
Alla fine degli anni Ottanta David Maria Turoldo si ammala per un tumore al pancreas: muore all’età di 75 anni il 6 febbraio del 1992 a Milano, nella clinica San Pio X. I funerali vengono celebrati dal cardinale Carlo Maria Martini, che pochi mesi prima aveva assegnato a Turoldo il Premio Giuseppe Lazzati.
Roma Capitale- Medina Art Gallery presenta la mostra personale di Pino Tersigni-
Roma Capitale-Dal 29 novembre al 5 dicembre 2024 Medina Art Gallery presenta la mostra personale di Pino Tersigni, testo curatoriale e presentazione a cura di Flavia Pittalis, presso la galleria di via Merulana, 220.
L’evento di opening si terrà il giorno venerdì 29 novembre 2024 alle ore 18:00 presso la galleria di via Merulana, 220 con la presentazione di Flavia Pittalis
Nato a Roma nel 1961, l’artista ha sentito fin dall’infanzia una connessione profonda e naturale con l’arte, descritta dalla madre come “un linguaggio che ha appreso ancor prima di parlare.” Fin da bambino, ha sentito l’impulso irresistibile di disegnare e dipingere su ogni superficie disponibile, incluso il banco di scuola, dove si divertiva ritrarre i suoi professori. L’arte è diventata per lui un modo spontaneo e istintivo di comunicare, trasformandosi in uno strumento vitale per interpretare il mondo che lo circonda.
Roma-mostra personale di Pino Tersigni
In ogni figura, sia essa un corpo, un volto umano o un animale, l’artista cerca di catturare una verità universale che trascende il soggetto specifico e diventa uno specchio di emozioni condivise. È questo che lo guida nella scelta delle pose, nella precisione dei dettagli e nella densità del colore: ogni pennellata contribuisce a costruire un mondo interiore che invita l’osservatore a entrare in una dimensione emotiva e contemplativa. Il suo lavoro diventa così un percorso di esplorazione dell’animo umano, una ricerca che lo spinge a scavare nel profondo, portando alla luce immagini che vibrano di vita e complessità.
Per l’artista, dipingere è più di un mestiere: è una necessità che lo accompagna da sempre, un flusso di energia creativa senza il quale si sentirebbe incompleto. La sua arte è il mezzo per esprimere ciò che le parole non possono dire, un linguaggio universale capace di toccare chiunque osservi le sue opere. Con ogni nuova tela, porta alla luce una parte di sé, trasformando il suo sentire in immagini che vibrano di vita.
Informazioni
In breve:
Titolo Mostra: Mostra Personale di Pino Tersigni
Opening Mostra: venerdì 29 novembre h 18
Durata Mostra: dal 29 novembre al 5 dicembre, 2024
Luogo: Medina Art Gallery/ Via Merulana, 220 / Roma
Contatti Medina Art Gallery:
Email: info@medinaroma.com -Tel. +39 06 960 30 764
Social: facebook.com / medinaroma.arte / Instagram.com / medinaroma.arte
Website: https://www.medinaroma.com
Orario di apertura: Tutti i giorni 10.00-13.00/15.00-19.00
Descrizione del libro di David ROSS-Fari-Questo volume raccoglie fotografie e descrizioni di oltre duecento fari da tutto il mondo, che siano ancora in funzione o in disuso; da quelli europei del diciottesimo secolo ai più recenti, da quelli arroccati su isolette deserte ad altri che indicano porti affollati, da quelli posti in luoghi celebri come la prigione di Alcatraz a quelli che si trovano in regioni sconosciute.
David Ross -Fotografo
David Ross es un renombrado fotógrafo retratista cuya formación académica y profesional abarca campos tan diversos como la ingeniería civil y la psicología, lo que aporta a su trabajo una rica perspectiva interdisciplinaria. Formado inicialmente en Físico Matemáticas e Ingeniería Civil en la Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM), Ross también posee una Maestría en Planeación y otra en Administración con especialización en Mercadotecnia de la Universidad de las Américas, así como estudios avanzados en Psicología Práctica en la Universidad Estatal de San José, California. Cuenta con una formación en Bellas Artes en la Academia de Brera en Milán y ha participado en seminarios especializados en mercadotecnia política en la George Washington University, lo que subraya su compromiso con la continua expansión de sus habilidades y conocimientos. Desde que tomó su primera cámara a los ocho años, inició su viaje autodidacta, que lo llevaría a diplomarse en la American Institute of Photography de Nueva York y a obtener el prestigioso título de Master Photographer de la Professional Photographers of America (PPA). A lo largo de su carrera, también se ha hecho acreedor de maestrías de instituciones como Kodak Internacional y la Asociación de Fotógrafos Profesionales de la República Mexicana, donde ha recibido las más altas condecoraciones.
Su pasión por perfeccionar su arte lo impulsó a participar en treinta congresos internacionales de la PPA y a estudiar en Suiza con expertos de la cámara SINAR, especializada en fotografía publicitaria. Este compromiso con la excelencia ha definido su trayectoria, marcada por un constante aprendizaje y una evolución artística que lo destacan como un maestro de la fotografía
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