Torna la rassegna cinematografica: “Le donne e il sacro”
Cantalupo- 18 luglio 2023-Anche quest’anno, a Cantalupo in Sabina, si svolge, nella suggestiva cornice dell’anfiteatro presso il convento di San Biagio, la Rassegna cinematografica PARLIAMO DI DONNE. Il direttore artistico, Luca Verdone, ha scelto come tema il SACRO: la Donna e la sua Spiritualità, il suo rapporto con il Divino. I film scelti descrivono la sua anima sempre in bilico tra sacro e profano, angelo e diavolo, salvatrice e tentatrice.
La rassegna, giunta ormai alla VII^ Edizione, si svolgerà il 28-29-30 luglio e 4-5-6 agosto 2023.
Le pellicole che si proietteranno coprono un arco temporale vasto e partono dal classico “La conversa di Belfort” di Bresson (1943), per arrivare a tre recentissimi film, Chiara (2022), Benedetta (2021) e Rapito (2023), quest’ultimo girato sul nostro territorio sabino e che sta riscuotendo un notevole successo.
Gli ospiti della Rassegna vanno dai critici cinematografici Steve della Casa, conduttore di Hollywood Party, e Caterina Taricano alle attrici Milena Vukotich e Francesca Reggiani, nonché all’attore Carlo Verdone e alla montatrice del film Rapito, Francesca Calvelli.
Nello spirito di creare una rete territoriale delle manifestazioni di questo genere per la valorizzazione del territorio sotto l’aspetto dello spettacolo, la Rassegna è gemellata con il FaraFilmFestival – Il cinema sotto le stelle, che dal 20 al 23 luglio proietterà a Fara Sabina film importanti e ospiterà grandi nomi, come Pupi Avati e Ornella Muti.
Come già per le due precedenti edizioni, PARLIAMO DI DONNE prevede due fuori programma.
Giovedì 27 luglio sarà dedicato un omaggio a Francesco Nuti, recentemente scomparso, proiettando in Piazza Garibaldi “Donne con le gonne”: un ricordo per questo artista, regista, attore, sceneggiatore e cantante, sfortunato nella vita.
Giovedì 3 agosto, appuntamento all’Anfiteatro presso il convento di San Biagio, per assistere al film “La terra delle donne”, una storia a cavallo della II^ Guerra Mondiale, ambientata in una Sardegna rurale, dove la le credenze ancestrali sono alla base di una spiritualità particolare, tutta femminile, incarnata dalle streghe. L’attrice protagonista, nonché sceneggiatrice, Paola Sini, ha vinto il premio Mariangela Melato.
Tutti i film saranno preceduti, a partire dalle 20.00, da un spazio gastronomico: un apericena per i film della Rassegna, lo Street Food per entrambi i “Fuori Programma” (Prenotazioni al tel. 345970 9968).
Inoltre, quest’anno, il Premio “Donne in prima fila”, che si colloca nell’ambito della Rassegna Cinematografica, assegnato per la prima volta nel 2022 a Dacia Maraini, verrà conferito a Francesca Comecini, regista, sceneggiatrice, scrittrice, attenta agli aspetti sociali, narrati spesso con uno sguardo documentaristico, ma anche coraggiosa e capace di mettersi in gioco e affrontare un genere praticato esclusivamente dagli uomini, il Western, con la serie Django.
La premiazione si svolgerà nel Parco Camuccini, dove nella aula didattica sono state allestite anche una mostra di acquarelli (“Donna e Spiritualità”) e una di artigianato solidale, curate da Simonetta Enei, che si protrarranno per tutta la durata della Rassegna nella Casa del Cittadino. Concluderà la serata una cena sotto gli alberi del Parco (Prenotazioni al tel. 345970 9968).
ASCREA-Domenica 6 agosto nel borgo di Ascrea torna uno degli eventi più attesi dell’estate, la Sagra delle Fettuccine ai Funghi Porcini, giunta alla sua 35° edizione e diventata uno degli avvenimenti più importanti della Valle del Turano.
Nato quasi per gioco come una spaghettata tra amici, nel corso degli anni l’evento ha chiamato a raccolta un numero sempre più crescente di turisti, amatori o semplici curiosi che hanno avuto modo di omaggiare la tradizione culinaria del territorio.
Da mezzogiorno a mezzanotte ad accompagnare le fettuccine ci saranno le classiche bruschette al fungo porcino, salsicce, fagioli e il buon vino locale mentre il compito di far divertire gli ospiti quest’anno sarà affidato alla Colorado Band. Per le vie del borgo, invece, si dislocheranno vari stand su cui trovare i prodotti tipici di Ascrea e altre curiosità tipiche del luogo.
Per il secondo anno consecutivo ci sarà la possibilità di acquistare i biglietti in prevendita al seguente link: http://Bit.ly/sagra_ascrea.
Info utili:
Dal panorama mozzafiato e una disarmante semplicità Ascrea è un piccolo paesino di duecento anime nella provincia di Rieti. È la meta ideale per chi vuole scappare dal caos quotidiano e ritrovare un po’ di serenità, trascorrendo una giornata in riva al lago o passeggiando nei freschi e rigogliosi boschi da cui poter ammirare uno tra più bei panorami della Regione Lazio e non solo.
Come arrivare:
da Rieti > SP Turanense > Lago del Turano > Ascrea
da Roma/Sabina > Via Salaria > Osteria Nuova > Lago del Turano
da Roma > A24/Via Tiburtina > Carsoli > Lago del Turano
da L’Aquila > A24 uscita Carsoli > Lago del Turano
Salendo dal bivio di Ascrea troverete le guardie ambientali che vi faranno parcheggiare lungo la via che porta al paese, da quel punto sarà disponibile il servizio navetta gratuito per arrivare dentro al paese.
Laure Margerand- I cinque profumi del nostro amore
Osannato dal pubblico come una star, Pierre- Emmanuel è uno degli scrittori francesi più noti, sempre in testa alle classifiche. Ma ormai scrive come una macchina, e da tempo ha perso l’ispirazione e la stima della moglie. Quando Agathe lo lascia per un altro, Pierre vede crollare ogni certezza. Come riconquistare la donna che ama ricordandole tutte le emozioni vissute insieme? Nel pieno della crisi, finalmente ha un’illuminazione: scriverà un grande romanzo sul loro amore. Ma non un romanzo qualsiasi: dato che l’olfatto è il senso che più di ogni altro riesce a risvegliare i ricordi in modo immediato, Pierre incarica Gabriella, famoso “naso”, di creare una fragranza per ogni momento cruciale della storia con Agathe, per poi racchiuderla in un segnalibro. Il profumo del loro primo incontro, della passione, della vacanza a Cuba, della pelle del loro bambino. Però, per ritrovare il suo talento letterario ormai smarrito, Pierre ha bisogno di altro aiuto. Per questo contatta Charlotte, la migliore editor sulla piazza, chiedendole di assisterlo nella scrittura. Non può sapere che la giovane nasconde un segreto che la rende la persona meno adatta per quel compito: ha perso l’olfatto in seguito a un terribile trauma che ha distrutto la sua famiglia, e da allora conduce un’esistenza solitaria e appartata. Eppure la singolare proposta dello scrittore risveglia qualcosa in lei. Ma qualcuno che non riesce più a sentire gli odori e le emozioni può lavorare su un romanzo olfattivo? E se fosse proprio quello di cui ha bisogno? Una storia affascinante che ha conquistato i lettori e la stampa francesi per la capacità di suscitare un’esperienza sensoriale unica attraverso le parole.
Laure Margerand–lavora nel mondo dei cosmetici e da sempre è affascinata dalla creazione dei profumi. Questo è il suo secondo romanzo, per il quale ha collaborato con una nota creatrice di essenze, che le ha svelato tutti i segreti del mestiere. I cinque profumi del nostro amore è uscito come strenna in Francia con grande successo ed è stato consigliato dalle riviste femminili come il regalo ideale insieme all’iconico Chanel n. 5.
Editore: Giunti Collana: A Traduttore: Lucia Visonà Copertina: Brossura con bandelle
FARA in SABINA- 13 luglio 2023-FLIPT, alla scoperta delle “Città invisibili”: grande spettacolo gratuito dedicato ai 100 anni dalla nascita di Italo Calvino, sabato e domenica a Fara in Sabina
Sabato 15 e domenica 16 luglio, alle 21.30, il borgo di Fara in Sabina (Rieti) diventa una grande palcoscenico per “Città invisibili”. Uno spettacolo completamente libero a gratuito, un percorso artistico lungo tutto il borgo di Fara Sabina, a cui si potrà assistere entrando nel percorso dall’arco principale del paese, accanto al Caffè Belvedere.
Oltre ottanta gli artisti che parteciperanno allo straordinario progetto interdisciplinare e multimediale giunto al suo trentaduesimo anno di vita. Ideato e diretto dal regista Pino Di Buduo, lo spettacolo è ispirato all’omonimo romanzo di Italo Calvino, e quest’anno è dedicato ai 100 anni dalla nascita del grande scrittore italiano.
Chiese, torri, cortili, piazze, cantine, strade, angoli, diventano i luoghi nei quali, attraverso un’armonia che li comprende tutti, (ri)scoprire uno dei tanti volti che rimangono nascosti nel grembo di una città.
Ogni anno c’è qualcosa di nuovo da risvegliare e chi in quel luogo è vissuto, ritorna nell’incanto di sapori di un tempo non più così lontano.
Percezioni sensoriali solleticate da un connubio di luci speciali, video-proiezioni, teli giganti, installazioni e scenografie aeree e digitali: così lo spettatore fa il suo viaggio alla scoperta dell’invisibile città.
E poi tutti gli artisti internazionali che hanno animato i dieci giorni del FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali, provenienti da Groenlandia, Sudafrica, Brasile, Iran, Francia, Ungheria, Svizzera, Norvegia, Polonia, Grecia, Sudafrica, Italia; tutto l’ensamble del Teatro Potlach; tutte le associazioni locali, gli abitanti di altri borghi e città, i farensi e con loro Francesco che a 98 anni sa parlare di tramonti e di atmosfere: saranno il motore di una grande macchina che si muove tra tempo, spazio, bellezza.
“La caratteristica del FLIPT è che gli artisti non vengono solamente per il loro spettacolo ma per incontrarsi e vivere insieme tutto il tempo del Festival – spiega Di Buduo – Ogni giorno lavoriamo insieme per lo spettacolo finale, “Città invisibili”, seguendo un lungo percorso che comprende sia l’interno sia l’esterno del borgo: ogni anno è diverso. Tutto viene trasformato in modo tale da tirare fuori l’invisibile di questa architettura medievale. Lo abbiamo fatto per la prima volta nel 1991: settanta le edizioni realizzate ed ognuna diversa dall’altra perché è l’identità del luogo che viene fuori. Per venticinque anni lo abbiamo messo nel cassetto. Poi un giorno di cinque anni fa il sindaco di Fara in Sabina ci chiese di farlo ogni anno. Una bella sfida scavare sempre di più dentro l’identità nascosta di questo luogo che ha uno spessore di centinaia e centinaia di anni! Quello che vediamo fuori non corrisponde a quello che c’è dietro: sotto queste case troviamo delle cattedrali, dietro un muro c’è un parco, dietro un portone che sembra l’entrata di una casa si nasconde un cortile. E’ tutto da scoprire. In questa ricerca molto dipende da dove cominci: perché l’angolazione dalla quale si entra modifica lo sguardo.
Dietro a questo c’è una sperimentazione continua su come si usa lo spazio e sul suo significato. Una fonte preziosa è stata lo studio dei giardini in architettura: i giardini all’italiana hanno un’architettura legata a un certo tipo di filosofia, quelli inglesi ne hanno un’altra, quelli giapponesi o cinesi ne hanno ancora un’altra: tutti esprimono un diverso punto di vista della stessa cosa. E poi fondamentale è lo studio del luogo, delle sue strade e della gente che incontri: le loro storie e memorie. Lo scorso anno l’uomo più anziano di Fara Sabina, Francesco, seduto lungo una stradina, parlava dei tramonti che da quassù non sono mai gli stessi. Li raccontava con lucidità, poesia, e i bambini incantati lo ascoltavano. Quest’anno ci sarà anche lui”.
Musica nel fine settimana di “Sentieri in Cammino”
MONTELEONE SABINO- 13 luglio 2023-La proposta musicale di luglio di “Sentieri in Cammino” si arricchisce di due nuovi appuntamenti previsti nel prossimo fine settimana: sabato 15 luglio alle 18,30 ai Giardini di Santa Vittoria a Monteleone Sabino il Quartetto Artemisia, composto da Vanessa Cremaschi, violino I; Plamena Krumova, violino II; Roberta Palmigiani, viola; Kyungmi Lee, violoncello, con Carla Tutino al contrabbasso, presenta il concerto “Mozart tra i Beatles e i Rolling Stones”. Nel programma si avvicendano infatti le musiche del grande compositore viennese con quelle dei due gruppi pop e rock più famosi al mondo.
Le cinque strumentiste eseguiranno il Quartetto in Sol magg. KV 80 e il Quartetto in Do magg. KV 525,”Eine kleine Nachtmusik” di Wolfgang Amadeus Mozart alternando con “As Light as a Stone” di Mick Jagger e Keith Richards (elaborazione e adattamento di Vanessa Cremaschi) e un’elaborazione e arrangiamento di Luca Salvadori per archi delle musiche di John Lennon e Paul McCartney dal titolo “Four for fab four – quartettino per John e Paul”.
Originale anche la proposta di domenica 16 luglio alle 18.30 al Castello Orsini di Ponticelli Sabino (Scandriglia): a eseguire le musiche sarà infatti un Quintetto di Flauti con tonalità e timbri diversi. L’ensemble di flauti “Il Cardellino” è composto da 1° flauto Francesco Polletta, 2° flauto Antonio Di Giamberardino, 3° flauto e ottavino Silvia La Rocca, Flauto contralto Lucrezia Cortilli, Flauto basso Birgit Nolte. In programma “Estate” dalle Quattro stagioni di Antonio Vivaldi, tre movimenti dalla “Carmen” di George Bizet (Prèlude – Habanera – Dance Bohème), l’”Infernal Galop” di Offenbach l’Ouverture e l’Aria della Regina della notte dal “Flauto Magico” di Mozart.
“Sentieri in Cammino”, rassegna di teatro e musica diretta da Massimo Wertmuller con la consulenza musicale del M° Carla Tutino e del M° Stefano Caponi, con il contributo della Regione Lazio e della Fondazione Varrone, proporrà spettacoli dal vivo fino al 30 settembre all’interno di teatri, castelli, aree archeologiche e centri storici di 12 comuni dell’Alta Sabina e della provincia di Rieti.
una poesia di Franco Leggeri da MURALES CASTELNUOVESI
Il Sabato Castelnuovese- (1976)
Sono debole ed è allarme fragilità.
Il dolore cronico di un’opera senza citazioni,
ma, per fortuna, sono gli zuccheri
a indicarmi la luna .
Ma è l’Ulysses di James Joyce che insiste e logora la mia fragilità.
Percorsi, postumi, per correre nella bellezza dell’acqua piovana
Non più incubi illustrati,
ma solo semplici foto di una luce debole,
Fragile.
Debole come il probabile ,ammirando, di viziati ritratti,
ora
è sempre più fragile dipingere il desiderio in modo godibile
nel “mentre”, gli affreschi dei miei sogni non hanno illustrazioni patinate.
Castelnuovo è la mia, orrenda, poesia per odiarmi,
è tutto inutile so già che il foglio bianco
è di un nero brillante .
Castelnuovo , a volte aristocratico e dominante
È una nave pregiata , visibile e bella, che naviga in formazione
Dentro la flotta dei Borghi sabini.
Castelnuovo non prenderà il largo
In quell’oceano del futuro,
Castelnuovo
Un colore diverso della schizofrenia tracciata da un sismografo impazzito.
Castelnuovo il borgo delle decapitazioni delle idee e tomba dei sogni.
Le illusioni di un sabato castelnuovese
È una comicità tragica di un copione senza parole.
Ombre,
si ,ombre cinesi
sono adagiate sul mio foglio bianco
e
dal nero volano gialle farfalle
esse
“PARLANO PAROLE DENTRO LE BOLLE DI SAPONE”
Raccontano , elevandosi in un vortice,
di un Castelnuovo disperso all’interno di mura ciclopiche.
E’ forse l’ora
Che torni alla montagna,
Alla roccia,
Alla neve,
Alla nebbia di questo sabato di novembre
Ho ora l’inchiostro nelle mie mani
Per dipingere cerchi senza misura,
e senza diametro.
Come sono lontani dal mare questi sabati castelnuovesi.
P.S. Ogni libro intorno a me ha un’anima, ma non riesco a trovarla essa corre e si nasconde per le vie di Dedalo.
Come disse James: “non so in che ordine vanno le parole”.
Allora che senso ha scolpire in forma dedalica una pagina bianca?
Certamente Castelnuovo non è una scultura greca, ma ha , possiede, un’anima : “ossessiva, assordante.”
Castelnuovo, il mio Castelnuovo, è un libro raro per pochi eletti.
la foto allegata è di Franco Leggeri, Castelnuovese-
Trace di scritti dispersi. Raccolta :”Novembre castelnuovese.”(1976)
Ispirato a una storia vera. Liceo Léon Blum di Créteil, città nella banlieue sud-est di Parigi: una scuola che è un incrocio esplosivo di etnie, confessioni religiose e conflitti sociali. Una professoressa, Anne Gueguen (Ariane Ascaride), propone alla sua classe più problematica un progetto comune: partecipare a un concorso nazionale di storia dedicato alla Resistenza e alla Deportazione. Un incontro, quello con la memoria della Shoah, che cambierà per sempre la vita degli studenti.
Bellissimo film da far vedere nelle scuole- Il film lo dovrebbero vedere anche tutti gli insegnanti.
“Bisogna ripartire dalla scuola”: Ariane Ascaride ci racconta Una volta nella vita.
Il suo volto particolare, al di fuori delle convenzioni cinematografiche, ha reso Ariane Ascaride una musa insolita per il suo compagno, il regista Robert Guédiguian. La metà della sua filmografia è segnata da questo rapporto sinergico, artistico oltre che sentimentale. Ma nel giorno della memoria esce in Italia un film in cui il marito non è coinvolto. Una volta nella vita è la storia vera – cosceneggiata da Ahmed Dramé, uno dei ragazzi che l’ha vissuta solo alcuni anni fa – di una classe apparentemente irrecuperabile di un liceo disagiato della banlieue parigina. Una professoressa, la stessa Aristide, non si arrende a darli per spacciati. Li convince pian piano a partecipare a un concorso sulla resistenza e la deportazione, indetto ogni anno dal governo francese. Occasione per guardare alla scuola in maniera positiva. Concorda l’attrice, che abbiamo incontrato qualche giorno fa a Parigi, in occasione dei Rendez-Vous di Unifrance.
“Soprattutto è una storia vera, non si può obiettare in alcun modo, è qualcosa che è accaduto. Una cosa così eccezionale che Ahmed ha voluto raccontarla. Non è stato solo un film, per me, ma un momento della mia vita.”
Le riprese immagino siano state effettuate in un clima particolare, con tutti quei ragazzi.
C’erano pochi attori, molti erano ragazzi che frequentano ancora la scuola. Si sono davvero sentiti coinvolti in questa storia. Dovevo trovare il modo giusto per relazionarmi con loro, in modo che avessero fiducia in me. Mi ha dato modo di capire quanto sia difficile fare l’insegnante, per cui ho grande ammirazione. Naturalmente giravamo solo un film, ma dovevo avvicinarli a me, stabilire un contatto in modo da rendere tutto credibile.
Una classe piena di colori, religioni, esperienze diverse, come spesso accade nelle periferie.
Sono stati straordinari. Oltretutto abbiamo girato durante il ramadan, per cui in molti passavano la giornata senza mangiare né bere. La prima settimana mi guardavano come fossi veramente una professoressa, non sapevano bene quando si girava o no. Dopo una decina di giorni, fra un ciak e l’altro, non ero un’amica, ma neanche più la professoressa; piuttosto qualcuno con cui parlare e scoprire cose che non conoscevano.
Cosa comporta per un’attrice con tanti anni di esperienza lavorare con ragazzi non professionisti?
È formidabile, ti obbliga a un grande coinvolgimento, ponendoti molti interrogativi sul tuo lavoro. Sono così veri, sono alta tensione, e non puoi che essere reale anche tu. La mattina arrivavo e li guardavo, li seguivo, poi mi comportavo come una ballerina di tango: ad azione segue reazione. Due passi avanti, uno indietro. È andata così. Abbiamo girato durante l’estate nella vera scuola, il Liceo Léon Blum a Créteil, nella banlieue parigina. I ragazzi hanno presto preso le abitudini che avevano durante l’anno scolastico, mettendosi a fare confusione e a chiacchierare durante le pause. La sola cosa che dicevo era: “se sento ancora qualcuno urlare gli metto le mani alla gola”. Ecco, questo le professoresse non possono dirlo, ma io sì.
Ha incontrato la professoressa che interpreta?
Non prima delle riprese, soltanto dopo, e siamo diventate molto amiche.
Come mai non l’ha incontrata prima?
Perché non volevo riprodurla, volevo costruire il personaggio intorno a quello che avevo letto e alla sceneggiatura. Se avessi cercato solamente di riprodurla non sarei mai riuscita a farlo, non è questo il mio lavoro; devo creare il personaggio, non riprodurlo.
Spesso sulle prime pagine si parla della scuola solo come fonte di problemi. Lei è ottimista?
Non era un vostro grande intellettuale, Gramsci, che parlava di pessimismo dell’intelligenza e ottimismo della volontà? La penso così. Se guardiamo bene il mondo viene da chiedersi come se la caveranno questi ragazzi, ma allo stesso tempo non voglio cedere a pensieri del genere. Sono pieni d’energia e di risorse, il mondo di domani è loro. Faranno delle proposte che noi neanche immaginiamo; ho una fiducia assoluta in loro, bisogna solo ascoltarli.
Lei è madre, questo l’ha portata a una maggiore identificazione con questi mesi bui, specie per i giovani?
Penso di sì. Mia figlia è stata particolarmente sconvolta dopo il 13 novembre: ha perso dei cari amici. Non voleva più uscire di casa, per lei il mondo in cui è cresciuta è finito quella notte, non vuole più avere figli. Penso che mai come oggi il ruolo di madre sia di importanza cruciale.
Non pensa che nelle grandi manifestazioni, dopo Charlie Hebdo e gli attentati di novembre, siano mancate le banlieue?
È proprio questo il problema. Nelle periferie ci sono moltissimi giovani che lavorano, superano gli esami, che vogliono integrarsi, e si integrano, all’interno della società francese. Allo stesso tempo c’è una frangia di persone in sofferenza, senza armi se non la violenza, verbale o del tipo peggiore. Sono fascisti, assassini, folli. Uccidono dei giovani con cui magari sono andati a farsi un bicchiere sei mesi prima. Giovani esattamente come loro. L’errore dello stato francese è non aver compreso come mai siano diventati così, dell’abbandono di queste persone. Non sono che il risultato delle azioni dei nostri governi, i quali, quando non c’è stato più lavoro, li ha assistiti, con il sussidio di disoccupazione, cancellando la loro identità, rendendoli una massa informe.
In fondo nel film quello che fa il suo personaggio è proprio far emergere la specificità di ogni ragazzo, riconoscerlo, senza considerare tutti come un’unica classe problematica.
È esattamente riconoscere il termine giusto, quello che non facciamo. Lo sa che i ragazzi delle banlieue hanno paura di andare sugli Champs-Élysées, non per paura degli attentati, ma anche da prima?
Pensano non sia il loro mondo. Parlo di giovani nati qui, in Francia. È falso, ma gli abbiamo così tanto fatto sentire che non è il loro mondo, che i più fragili o perduti hanno ascoltato sirene mostruose finendo per uccidere altri giovani. Per questo la scuola è fondamentale: se la scuola va male, anche la società andrà male. Se sapesse da quanto tempo dico questa cosa; fino a che non si farà uno sforzo particolare nelle scuole, aiutando i professori, non cambierà niente. Fino a che ci saranno i licei ghetto e le scuole private, senza che i ragazzi si mescolino realmente, non accadrà niente di diverso. È complicato, soprattutto considerato che noi siamo andati a cercare il loro petrolio, tracciando dei confini senza sentire il loro parere. Abbiamo fatto di tutto e preso di tutto, e ora puntiamo il dito dicendo che sono cattivi.
La storia e l’integrazione sono aspetti importanti della sua carriera.
Da figlia di immigrati italiani posso solo dire che è molto difficile essere un’immigrata. Una frase di mio padre la conservo sempre nella mia testa: è incredibilmente duro, perché sei insultato anche vivendo in una città mista come Marsiglia. Sei meno che niente, un ladro, di qualsiasi immigrazione tu faccia parte. È terribile. Tutto questo avendo la stessa religione, immaginate i musulmani. Provo una grande ammirazione per i giovani che riescono ad uscire da tutto questo, ci vuole un coraggio inimmaginabile. Io ho imparato l’italiano, ma non da mio padre, che non ha mai voluto parlarci in quella lingua. Voleva che fossimo francese. Gli scappavano delle parole in italiano solo quando si arrabbiava.
Un’artista e una donna appassionata, Ariane Ascaride. Colpita come tutti i francesi dagli attentati di novembre, ha scritto per “Le Monde” delle parole che suonano ancora più attuali oggi, giorno della memoria, mentre le prime targhe di marmo sui fatti di Charlie Hebdo sono entrate a far parte del tessuto urbano di Parigi, e il ricordo si confonde con l’attualità. Di seguito alcune delle sue parole.
“Obblighiamo i politici a riconsiderare il loro lavoro, le loro responsabilità storiche. I nostri figli non ci hanno chiesto di venire al mondo, tutti dobbiamo loro un rispetto totale e un mondo luminoso. Facciamo ascoltare la nostra voce in modo che conoscano ancora la spensieratezza della giovinezza. Obblighiamo quelli che nelle sfere privilegiate del potere tavolta se ne dimenticano, a considerare le vere ragioni che portano un giovane a uccidere una ragazza o un ragazzo, che magari ascoltano la sua stessa musica.
Parliamo alto e forte, parliamo a quelli che pensano al mondo nella stessa maniera. Cambiamo, impariamo uno dall’altro, salviamo i nostri figli”.
ROMA-Nuovo importante ritrovamento a Piazza Augusto Imperatore
Dichiarazione del Sovrintendente Capitolino Claudio Parisi Presicce
Roma, 06 luglio 2023 – “Grazie al lavoro attento degli archeologi e delle archeologhe della Sovrintendenza, siamo in grado di approfondire la conoscenza di un quadrante della città che stupisce per la ricchezza della sua storia millenaria.
La testa appena ritrovata, di elegante fattura, scolpita in marmo greco, appartiene probabilmente a una statua di divinità femminile, forse Afrodite, di dimensioni naturali. Mostra una raffinata acconciatura di capelli raccolti sul retro grazie ad una “tenia”, un nastro annodato sulla sommità del capo.
Il reperto è stato rinvenuto nella fondazione di un muro tardoantico ma si conserva integro; riutilizzato come materiale da costruzione giaceva con il viso rivolto verso il basso, protetto da un banco d’argilla sul quale poggia la fondazione del muro. Il riuso di opere scultoree, anche di importante valore, era una pratica molto comune in epoca tardo medioevale, che ha consentito, come in questo caso, la fortunata preservazione di importanti opere d’arte.
La testa è al momento affidata ai restauratori per la pulizia, e agli archeologi per una corretta identificazione e una prima proposta di datazione, che appare ancorata all’epoca augustea.”
La scoperta è avvenuta nel corso dei lavori per la “Riqualificazione del Mausoleo di Augusto e piazza Augusto Imperatore”, sul lato orientale dell’area in corso di intervento.
Anselmo Pagani- Margherita Hack-La “Signora delle stelle”
La “Signora delle stelle” non poteva che vedere la luce in via delle Cento Stelle, a Firenze, città del Sommo Poeta che, per sottolineare come le tenebre infernali fossero ormai soltanto un brutto ricordo, tirò un sospiro di sollievo tanto profondo, che pare persino di udirlo, quando finalmente uscì “a riveder le stelle”.
Tuttavia, il filo che legò Margherita Hack, nata il 12 giugno del 1922, agli astri celesti non si ridusse ad un semplice gioco di parole, ma si concretizzò in un connubio destinato a durare per tutta la vita di questa donna che della libertà e della laicità fece i pilastri sui quali poggiare il suo incessante impegno per la promozione dei diritti civili, la tutela dell’ambiente e la cura degli animali.
Figlia di padre protestante e madre cattolica, fu instradata dai genitori, entrambi insoddisfatti delle religioni tradizionali, verso lo studio della teosofia, dottrina filosofico-religiosa che combina la conoscenza mistica con l’indagine scientifica, predicando il rispetto di tutti gli esseri viventi.
Diplomatasi al liceo classico nel 1940, nella sua città natale frequentò i corsi di fisica laureandosi nel 1945 con una tesi sulle Cefeidi, un particolare tipo di stelle da lei lungamente studiate presso l’Osservatorio di Arcetri, dove Margherita ebbe modo di respirare la stessa aria che fu di Galileo, la cui eredità avrebbe enormemente influenzato il suo lavoro.
Sposatasi con Aldo De Rosa, al quale sarebbe rimasta legata per oltre settant’anni, nel 1951 si trasferì a Milano, presso la cui Università vinse un concorso come assistente, iniziando a lavorare all’Osservatorio di Merate, dove a quei tempi si trovava il secondo più grande telescopio d’Italia.
Grazie ai suoi oltre 250 scritti d’astrofisica e radioastronomia, oltre che alle sempre più frequenti collaborazioni con le principali Università del mondo, la Hack a poco a poco si guadagnò una fama planetaria e nel 1964 divenne la prima donna in Italia a dirigere un Osservatorio: quello di Trieste.
I suoi studi sono a tutt’oggi considerati una pietra miliare non solo per la misurazione della distanza degli infiniti spazi interstellari, ma anche per lo sviluppo dell’astronomia a raggi ultravioletti, grazie ai quali è possibile osservare fenomeni altrimenti invisibili quali la nascita e la morte delle stelle.
Oltreché validissima scienziata, Margherita fu anche una grande sportiva che in gioventù giocò a pallacanestro ed eccelse in atletica leggera (specialmente nel salto in alto e in lungo), mentre per tutta la vita sarebbe rimasta un’accesissima tifosa della Fiorentina.
Strenua paladina dei diritti civili, quando ancora di queste tematiche si discuteva sottovoce, si espose in diverse occasioni a chiare lettere in favore dell’eutanasia e dei diritti delle persone omosessuali, affermando fra l’altro che: “E’ un grande segno d’ignoranza discriminare i diversi e non capire che siamo tutti uguali. Il Parlamento dovrebbe avere la capacità di far rispettare la Costituzione, che di per sé garantisce la piena uguaglianza”.
Lo scorso anno, in occasione del centenario della nascita, il Comune di Milano le ha dedicato una statua bronzea che la raffigura in un atto a lei caro, quello di mimare l’osservazione delle stelle con un cannocchiale.
Margherita Hack, scienziata, donna libera e pioniera di tante battaglie non violente ci ha lasciati dieci anni or sono, il 29 giugno del 2013, ma la sua eredità ancora ci accompagna, indicandoci il cammino verso la piena promozione dei diritti civili che, dopo tutto, rimane quello illuminato dalle stelle.
Fara in Sabina- Teatro Potlach, diretto da Pino Di Buduo
Eugenio Barba e Julia Varley aprono il Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali
Fara in Sabina (Rieti) -dal 7 al 9 luglio 2023-Masterclass e spettacolo con Eugenio Barba e Julia Varley: così inizia il FLIPT – Festival Laboratorio Interculturale di Pratiche Teatrali del Teatro Potlach, diretto da Pino Di Buduo, che ha il sostegno della Regione Lazio e della Fondazione Varrone, e il patrocinio della Provincia di Rieti e del Comune di Fara Sabina, e che si concluderà sabato 15 e domenica 16 luglio con il grande spettacolo “Città invisibili”.
Arrivano dalla Danimarca con un bagaglio leggero: quello che si raggiunge dopo aver scritto un pezzo importante della storia del teatro (tra Oriente e Occidente) del XX secolo. Allievo di uno dei più grandi teorici del teatro contemporaneo – il polacco Jerzy Grotowski – e fondatore dell’Odin Teatret di Holstebro (1964), Eugenio Barba ha saputo sviluppare temi e forme del teatro grotowskiano – come il rivoluzionario rapporto tra attore-spettatore, nel quale il secondo partecipa al processo creativo del primo – e al contempo sganciarsi da una dimensione misticheggiante per riportarla in una sfera legata alla terra, alla società, alla socialità, a una “cultura senza confini”.
Fautore di un teatro che riconosce la sua identità nel training, ossia nella costante ricerca delle proprie peculiarità fisiche ed espressive (dell’individuo e del gruppo), considera lo spettacolo come un momento di scambio. La sua vita teatrale è stata ricerca e il suo teatro è divenuto terreno da indagare per altri grandi studiosi: tra questi il professore emerito dell’Università dell’Aquila Ferdinando Taviani, critico dell’Odin Teatret.
Teatro che si è sviluppato come una micro-società, l’Odin ha visto arrivare e crescere straordinari attori. Tra questi Julia Varley: interprete capace di generare negli occhi di chi osserva trance emotive che portano fuori dagli schemi ordinari. Oggi un punto di riferimento per le nuove generazioni che hanno bisogno di avvicinarsi a radici così salde che sanno infondere il sapore dell’arte.
A questo servono masterclass e laboratori: a sperimentare pratica e teoria in un rapporto diretto che sa trasmettere quel bagaglio divenuto leggero dopo aver scritto con fatica e sudore un pezzo di storia del teatro e della cultura internazionale. Sono i luoghi dell’incontro e del dialogo.
Nel dicembre 2022, l’Odin ha presentato il suo ultimo spettacolo “Tebe ai tempi della febbre gialla”. L’attività teatrale si è fermata ma non il loro insegnamento. E sarà straordinario ripercorrere con loro, il regista Barba e l’attrice Varley, quest’ultima tappa con lo spettacolo “Ricordando Tebe” che – venerdì 7 luglio alle ore 19 presso il Teatro Potlach – apre in assoluto il Festival. Uno spettacolo che parla di Eros in termini di amicizia e tenerezza, affetto e solidarietà, simpatia e stima: tre storie grottesche, dolorose ed emblematiche che provengono dalla quotidianità del presente e dalle tenebre del mito.
Il programma:
MASTERCLASS con Eugenio Barba e Julia Varley
Venerdì 7 luglio |Ore 19.00
“Ricordando Tebe” work in progress con Julia Varley. Regia Eugenio Barba.
Sabato 8 luglio | Dalle ore 10.00 alle 13.00
Esempi di montaggio teatrale con Eugenio Barba e Julia Varley
| Dalle ore 15.00 alle 19.00
Montaggio teatrale e montaggio cinematografico con Eugenio Barba, Julia Varley, Pino Di
Buduo e Stefano Di Buduo
|Ore 21.00
Proiezione di un film di Stefano Di Buduo sull’Odin Teatret
Domenica 9 luglio | dalle 10.00 alle 12.00
Dialogo con esempi pratici tra Eugenio Barba, Julia Varley e partecipanti
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