Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello-
Roma-Al Teatro Ghione, dal 6 al 9 febbraio 2025 con Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon e Enrico Ottaviano uno spettacolo tratto da uno dei romanzi più famosi di Luigi Pirandello: “Uno, nessuno, centomila”, per la regia di Nicasio Anzelmo.
Ironico, grottesco, e capace di mettere in crisi la società borghese del primo Novecento, la storia segue il viaggio di Vitangelo Moscarda, un personaggio complesso alla ricerca della propria identità. Temi come l’autenticità, la percezione della realtà e il rapporto con le convenzioni sociali emergono in tutta la loro forza per una storia ancora oggi di grandissima attualità.
UNO NESSUNO CENTOMILA-di Luigi Pirandello
Con-Primo Reggiani, Francesca Valtorta, Jane Alexander, Fabrizio Bordignon, Enrico Ottaviano
Adattamento e Regia-NICASIO ANZELMO
Roma al Teatro Ghione va in scena “Uno, nessuno, centomila” di Luigi Pirandello
Ironico, grottesco, capace di mettere in crisi la società borghese del primo novecento questo è stato ed è tutt’ora la forza di Uno nessuno e centomila. L’ultimo dei romanzi di Pirandello, è denso di enigmi, e secondo lo stesso autore esso è «sintesi completa di tutto ciò che ho fatto e la sorgente di quello che farò». In una lettera autobiografica, Pirandello lo definisce come il romanzo “più amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita”. Il protagonista Vitangelo Moscarda è forse uno dei personaggi più complessi della produzione pirandelliana: “prima impacciato e prigioniero delle opinioni altrui, poi sempre più consapevole e determinato a cercare l’autenticità spirituale dell’esistenza , fino all’affrancamento finale da tutte “le rabbie del mondo”. Un giorno, accorgendosi casualmente che il suo naso pende verso destra, incomincia a percorrere un viaggio scoprendo ogni giorno che passa di non essere, per gli altri, quello che crede di essere. Il protagonista, incontrando e confrontandosi con una miriade di personaggi, cercherà di distruggere le molte immagini che gli altri vedono di lui, fino a diventare aria, vento, puro spirito.
Un lavoro rivoluzionario, soprattutto per i tempi in cui fu scritto, che tocca temi estremamente attuali come il rapporto con la natura, con una spiritualità negata dalla società e dalla convenienza, la ricerca spasmodica di se stessi. Un testo che nella sua modernità sorprende, soprattutto oggi, nell’analisi dell’istituto bancario e dell’impatto che lo stesso ha sul tessuto sociale.
Un impianto scenografico in movimento, un gruppo di cinque straordinari attori e l’umorismo tipico in Pirandello, ci racconteranno questa storia ancora oggi di grandissima attualità.
Musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71)- L’International Classic Ballet-
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Roma- Teatro Olimpico- LO SCHIACCIANOCI- con musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71), L’International Classic Ballet, fondato a Madrid nei primissimi anni del duemila, ha raccolto intorno a sè alcuni tra i più talentuosi professionisti del balletto clssico della scena internazionale.
. Roma- Teatro Olimpico- LO SCHIACCIANOCI- con musiche di Pëtr Il’ič Čajkovskij (op. 71)
Un ensemble di trenta ballerini provenienti da tutto il mondo, traducono, per il grande pubblico, il repertorio classico nella sua accezione più pura con la grazia espressiva che le coreografie del Novecento richiamano.
“𝗨𝗡𝗔 𝗦𝗖𝗘𝗟𝗧𝗔 𝗔𝗨𝗗𝗔𝗖𝗘
𝗖𝗛𝗘 𝗛𝗔 𝗖𝗢𝗡𝗤𝗨𝗜𝗦𝗧𝗔𝗧𝗢 𝗟𝗘 𝗣𝗟𝗔𝗧𝗘𝗘 𝗣𝗜𝗨’ 𝗣𝗥𝗘𝗦𝗧𝗜𝗚𝗜𝗢𝗦𝗘
𝗘 𝗟𝗘 𝗔𝗡𝗜𝗠𝗘
𝗣𝗜𝗨’ 𝗔𝗙𝗙𝗘𝗦𝗜𝗢𝗡𝗔𝗧𝗘 𝗔𝗟 𝗕𝗔𝗟𝗟𝗘𝗧𝗧𝗢 𝗖𝗟𝗔𝗦𝗦𝗜𝗖𝗢
𝗗𝗜 𝗧𝗨𝗧𝗧𝗔 𝗘𝗨𝗥𝗢𝗣𝗔”
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𝗦𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝗰𝗼𝗹𝗶
giovedì 5 dicembre ore 20.30
venerdì 6 dicembre ore 20.30
sabato 7 dicembre ore 16.30
sabato 7 dicembre ore 20.30
domenica 8 dicembre ore 17.30
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𝗗𝗔𝗧𝗘 𝗘 𝗢𝗥𝗔𝗥𝗜 𝗦𝗣𝗘𝗧𝗧𝗔𝗖𝗢𝗟𝗜
𝗦𝗽𝗲𝘁𝘁𝗮𝗰𝗼𝗹𝗶
giovedì 5 dicembre ore 20.30
venerdì 6 dicembre ore 20.30
sabato 7 dicembre ore 16.30
sabato 7 dicembre ore 20.30
domenica 8 dicembre ore 17.30
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𝗣𝗥𝗘𝗭𝗭𝗢 𝗕𝗜𝗚𝗟𝗜𝗘𝗧𝗧𝗢
Da € 18,00 a € 46,00 (escluso diritto di prevendita)
Čajkovskij compose le musiche del balletto tra il 1891 e il 1892. La prima rappresentazione, che ebbe luogo il 18 dicembre 1892 presso il Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, Russia, fu diretta interamente dal compositore italianoRiccardo Drigo e coreografata dal ballerino russo Lev Ivanov; questa esecuzione tuttavia non riscosse successo.[1] Tra gli interpreti di questa prima esecuzione spiccano l’italiana Antonietta Dell’Era, nel ruolo della Fata Confetto, il russo Pavel Gerdt come Principe Coqueluche, una giovanissima Ol’ga Preobraženskaja nella parte di Colombina e il giovane Nicolaj Legat. Il ruolo di Clara era interpretato da una bambina della scuola di ballo del Teatro Mariinskij.
La suite, estremamente popolare in sede concertistica, fu realizzata nell’agosto 1892 dal musicista stesso, che a differenza degli altri due propri balletti, per i quali non era convinto a creare una suite, lo fece su invito come “anteprima” della prossima realizzazione, addirittura quando non era stata ancora iniziata l’orchestrazione integrale del balletto (i primi numeri furono proprio quelli della Suite).[2] La diresse personalmente a San Pietroburgo il 7 marzo 1892, un esito trionfale. La Suite dura una ventina di minuti, utilizzando lo stesso organico dell’opera ballettistica.[3]
Una novità in quest’opera è la presenza di uno strumento che fu visto dal compositore a Parigi: la celesta. Čajkovskij lo volle assolutamente inserire nell’organico strumentale e lo aggiunse in alcuni passaggi del secondo atto: Scene iniziali, Passo a due (Danza della Fata Confetto) e Apoteosi con associazione al personaggio della Fata. Lo strumento venne usato da Čajkovskij anche nel proprio poema sinfonico Il Voevoda, op. 78, contemporaneo al balletto. Prima di lui, in assoluto, Charles-Marie Widor nel 1880. Il nostro musicista temeva che i suoi “rivali” russi potessero precederlo nell’utilizzo dello strumento.
Alcune versioni diverse
Dopo la prima esecuzione di Ivanov vanno ricordate quelle riviste da Aleksandr Gorskij nel 1919 e da Lopukhov nel 1929. Gorskij ha creato una sua versione del balletto per il Teatro Bol’šoj di Mosca, nella quale il ruolo di Clara è passato a una danzatrice adulta e quindi nel secondo atto al posto della Fata Confetto e il principe Coqueluche erano gli stessi Clara e Schiaccianoci a danzare il pas de deux. In seguito in Russia per molto tempo si è mantenuta la versione di Gorskij, come ad esempio nelle produzioni di Vasilij Vainonen del 1934 per il Teatro Kirov di Leningrado (già Mariinskij di San Pietroburgo) e quella di Jurij Grigorovič del 1966 per il Bol’šoj di Mosca. Nel giugno del 1934 ci fu il debutto europeo del balletto al Sadler’s Wells di Londra, riprendendo la coreografia di Ivanov. In Italia arrivò solamente quattro anni dopo, nel 1938, alla Scala di Milano, con la coreografia di Margherita Froman.
Gli anni successivi videro numerose versioni differenti del balletto, tra le quali quelle di Boris Romanov, Frederick Ashton e quelle di Nicholas Beriozoff. La rivisitazione più particolare fu quella di George Balanchine che nel 1954 decise di dividere il balletto in due parti, seguendo la trama originale: la realtà e il sogno. Questa versione è stata rappresentata dal New York City Ballet con il titolo George Balanchine The Nutcracker®.
Lo schiaccianoci è anche uno dei soggetti più rappresentati nelle scuole di ballo; una versione ad esempio è quella creata per la Scuola di Ballo dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano da Frederic Olivieri, rappresentata al Piccolo Teatro di Milano nel 2011 e nel 2012, un’altra invece per la Scuola di Danza del Teatro dell’Opera di Roma da Pablo Moret ed Ofelia Gonzalez rappresentata al Teatro Nazionale nel 2012 e nel 2013.
Lo schiaccianoci moderno
Lo schiaccianoci è stato ripreso più volte dal cinema, dal teatro e dallo sport.
Un esempio cinematografico è il film Fantasia di Walt Disney, in cui fate, funghi, pesci, fiori, cardi e orchidee danzano al ritmo dello Schiaccianoci: la partitura musicale di Čajkovskij è stata riproposta fedelmente. Il balletto originale dura solamente novanta minuti, quindi è più breve rispetto al Lago dei cigni o a La bella addormentata. In queste rappresentazioni i compositori omettono brani, li riordinano o addirittura aggiungono brani tratti da altre opere. Nel 1983 infatti, ne Lo schiaccianoci: fantasia su ghiaccio, un adattamento televisivo per uno spettacolo di pattinaggio su ghiaccio, le musiche originali sono state riordinate secondo un’altra scaletta e sono state aggiunte poi musiche di un altro compositore russo, Mikhail Ippolitov-Ivanov.
L’attuale popolarità de Lo schiaccianoci è in parte dovuta a Willam Christensen, fondatore della compagnia San Francisco Ballet, che importò il lavoro negli Stati Uniti nel 1944. Il successo del balletto e la coreografia di George Balanchine per la sua prima rappresentazione nel 1954 creò una vera e propria tradizione invernale nelle rappresentazioni dell’opera negli Stati Uniti.
Lo schiaccianoci ebbe anche una parodia sul settimanale Topolino, pubblicata nel 1988 con protagonista Minni, Minni e il re dei topi: la storia ha la particolarità che i ruoli dello Schiaccianoci e del Re dei Topi sono invertiti, con il primo nella parte del cattivo e il secondo in quella del buono.[4]
Nel 1990 viene realizzato un lungometraggio d’animazione intitolato: La favola del principe schiaccianoci ispirato alla favola di E. T. A. Hoffmann Schiaccianoci e il re dei topi, con le musiche originali del celebre balletto. Nel 1993 il regista Emile Ardolino produce una versione cinematografica del balletto sulla base della coreografia di George Balanchine, intitolata George Balanchine The Nutcracker® con Macaulay Culkin nel ruolo dello Schiaccianoci. Il film si distingue per essere una ripresa dell’esibizione in teatro del balletto ad opera del corpo di ballo del New York City Ballet, con le musiche originali di Čajkovskij e una voce narrante affidata in Italia ha Michele Kalamera come uniche parti audio. Al 2001 risale il film d’animazione Barbie e lo schiaccianoci (tit. orig. Barbie in the Nutcracker), che ripropone la storia e le musiche del balletto. Nel 2007 uscì il film d’animazione Tom & Jerry e la favola dello schiaccianoci (titolo originale Tom and Jerry: A Nutcracker Tale).
Un film ungherese-britannico in lingua inglese del 2010 è stato firmato dal regista russo Andrej Končalovskij, intitolato Lo schiaccianoci (tit. orig. The Nutcracker in 3D). Si tratta di un “fantasy” che utilizza sia la musica del balletto, sia altre composizioni di Čajkovskij (come la Quinta Sinfonia), per gli arrangiamenti di Eduard Artemiev e Tim Rice (canzoni). Il film ha ricevuto grandi critiche negative all’estero[5] ed addirittura un Premio per Peggior uso del 3D nella trentunesima edizione 2010 del Razzie Awards 2010, svoltasi il 26 febbraio 2011, che ad Hollywood premia i peggiori film dell’anno. In Italia è uscito il 2 dicembre 2011 con altrettanto insuccesso.
Il 2 novembre 2018 la Disney ha distribuito nelle sale una libera trasposizione cinematografica del romanzo, nel quale vennero riprese anche parti delle musiche del balletto originale. Il titolo del film, diretto da Lasse Hallström, Lo schiaccianoci e i quattro regni, ha tra gli interpreti Keira Knightley nel ruolo della Fata Confetto, Morgan Freeman in quello di Drosselmeyer, Helen Mirren nella parte di Madre Cicogna e la giovane Mackenzie Foy nel ruolo della protagonista Clara. Sono inoltre presenti i celebri ballerini Misty Copeland e Sergei Polunin per le scene di ballo.[6]
La trama del libretto dunque si basa sulla versione del medesimo racconto elaborata da Alexandre Dumas (Storia di uno schiaccianoci), dal tono più leggero. Qui verrà analizzata la versione originale del balletto, quella di Ivan Vsevoložskij e Marius Petipa.
Atto I
Durante la vigilia di Natale, agli inizi del XIX secolo, il signor Stahlbaum, in Germania, allestisce una festa per i suoi amici e per i loro piccoli figli.
Questi, in attesa dei regali e pieni di entusiasmo, stanno danzando quando arriva il signor Drosselmeyer, lo zio di Clara e Fritz, che porta regali a tutti i bambini, intrattenendoli con giochi di prestigio, nonostante all’inizio incuta paura ai bambini.
Alla sua nipote prediletta Clara regala uno schiaccianoci a forma di soldatino che Fritz, il fratello della bambina, rompe per dispetto. Ma Drosselmeyer lo ripara per la gioia della bambina.
Arrivano alla festa anche gli altri parenti e amici che si uniscono ballando con gioia. Clara, stanca per le danze della serata, dopo che gli invitati si ritirano, si addormenta sul letto e inizia a sognare. È mezzanotte e tutto intorno a lei inizia a crescere: la sala, l’albero di Natale, i giocattoli e soprattutto una miriade di topi che cercano di rubarle lo schiaccianoci.
Clara tenta di cacciarli, quando lo Schiaccianoci si anima e partecipa alla battaglia con i soldatini di Fritz: alla fine rimangono lui e il Re Topo, che lo mette in difficoltà. Clara, per salvare il suo Schiaccianoci, prende la sua scarpetta e la lancia addosso al Re Topo, distraendolo; lo Schiaccianoci lo colpisce uccidendolo. Ed ecco che lo Schiaccianoci si trasforma in un Principe e Clara lo segue, entrando in una foresta innevata. L’Atto si chiude con uno splendido Valzer dei fiocchi di neve.
Atto II
I due giovani entrano nel Regno dei Dolciumi, dove al Palazzo Reale li riceve la Fata Confetto e il principe Coqueluche, che presentano loro la corte del castello. Schiaccianoci racconta come la sua battaglia con il re dei Topi si sia conclusa felicemente grazie all’intervento di Clara, allora la fata organizza una festa in onore della fanciulla. Quindi tutti gli abitanti del palazzo si esibiscono in una serie di danze che compongono il Divertissement più conosciuto tra le musiche di Čajkovskij e culminano nel celeberrimo Valzer dei fiori.
Tra queste danze spicca in modo particolare il pas de deux (passo a due) della Fata Confetto con il Principe Coqueluche, in cui nella seconda variazione (Danza della Fata Confetto) si può riconoscere in modo eclatante il suono della celesta. A coronamento di questo passo a due tutti gli abitanti di quel posto fantastico si esibiscono in un gran divertissement coinvolgendovi anche Clara e Schiaccianoci, che alla fine vengono incoronati come nuovi sovrani del Regno dei Dolciumi. Quindi la Fata Confetto si inchina davanti a loro e dopo li conduce su di una slitta trainata da renne, che prende il volo tra i saluti di tutti.
Segue una festante apoteosi, rappresentata da uno sciame di api volanti attorno a un grande alveare.
Nella versione di Aleksandr Gorskij e in quelle successive che ne riprendono lo schema, il balletto si conclude con il risveglio di Clara accanto al suo schiaccianoci-soldatino e con una sua danza in ricordo del sogno che l’ha portata in un mondo ricco di avventure fantastiche.
Traduzione di Salvatore Quasimodo-Illustrazioni di Renato Guttuso –
Einaudi editore-20 febbraio 1952 (prima edizione)
PABLO NERUDA – Poesie. Traduzione di Salvatore Quasimodo. Illustrazioni di Renato Guttuso. Torino, Einaudi editore, 1952 (20 Febbraio).-Cm. 22, pp. 169 (7). Con 5 suggestive tavole a piena pagina f.t. ed una piccola illustrazione n.t. di Renato Guttuso. Bella brossura editoriale illustrata dallo stesso Guttuso. Trascurabili segni del tempo. Esemplare nel complesso ben conservato. Importante traduzione italiana delle poesie di Pablo Neruda curata da Salvatore Quasimodo. Ricercata prima edizione seguita da molte ristampe identiche per forma e contenuto. Cfr. Iccu; Galati (1980): cita erroneamente il 1965 come data per la prima edizione italiana.
Pablo Neruda
Biografia di Pablo Neruda
Pablo Neruda, Pseudonimo del poeta cileno Ricardo Neftalí Reyes Basoalto (Parral 1904 – Santiago 1973). Premio Nobel per la letteratura nel 1971, N. è considerato una delle voci più autorevoli della letteratura contemporanea latino americana, per la sua sensibilità acuta ma non preziosa, ricchissima d’immagini ma non complicata. È stato testimone di molti degli eventi cruciali che hanno segnato il XX secolo: dalla guerra civile spagnola alla guerra fredda, dai movimenti di liberazione in America Latina alla morte di S. Allende. La sua opera poetica comprende un’impressionante antologia di testi fra i più alti della poesia moderna di lingua spagnola, sostenuti da un prodigioso dono di «canto» che si articola nelle strutture musicali più disparate, con una costante sperimentazione linguistica e metrica, sui temi congeniali dell’amore, del paesaggio natale e delle speranze collettive.
Vita
Di origini modeste, frequentò il liceo di Temuco e l’univ. di Santiago, dove nel 1921 si mise in mostra vincendo una gara poetica con La canción de la fiesta. Nominato console in India nel 1926, iniziò una brillante carriera diplomatica che gli dette modo di maturare le sue esperienze con continui viaggi e incontri. Stabilitosi in Spagna nel 1934, sempre al seguito dell’ambasciata cilena, si legò subito con il gruppo repubblicano di R. Alberti, F. García Lorca, M. Hernández e dette vita, sulle colonne della rivista da lui stesso fondata, El caballo verde para la poesía, a una vivace polemica con J. R. Jiménez. La guerra civile, il suo temperamento drammatico e, non ultima, la morte di Lorca e di Hernández, lo spinsero sempre più a precisi impegni politici che tanta parte hanno avuto poi nella sua vita e in tutta la produzione posteriore. Dopo ancora qualche anno di servizio diplomatico, nel 1944 N. tornò in Cile, e fu eletto senatore; ma un’accusa di tradimento lo costrinse ben presto a esulare in Messico, da dove compì lunghi viaggi in Europa (Parigi, Polonia, Ungheria). Nel 1949 presiedette a Città di Messico il congresso mondiale dei Partigiani della pace. Nel 1951 visitò l’Italia e la Cina. Nel 1952 fu ancora in Italia, da dove venne espulso come straniero indesiderabile. Tuttavia, a seguito di un movimento d’opinione pubblica, il decreto fu revocato, e N. poté trascorrere un lungo periodo a Capri. Nel 1953 tornò in patria, nel suo rifugio di Isla Negra presso Valparaíso. Con l’avvento alla presidenza della Repubblica di S. Allende (1970), fu nominato ambasciatore a Parigi. Nel 1972, gravemente malato, tornò in Cile, mentre il governo Allende era in crisi. Nel 1973, quando ormai la minaccia del colpo di stato militare era incombente, N. seguì Allende sul cammino della morte, mentre la dittatura di Pinochet s’instaurò in tutto il paese.
Opere
Trovatosi a scrivere negli anni in cui l’opera di R. Darío dettava legge in tutta l’Ispano-America, N. non aveva potuto fare a meno di allinearsi con le tendenze moderniste, benché la sua ispirazione fosse già orientata verso altre strade. Uscito finalmente dal pericoloso equivoco tra il 1924 e il 1935, e avendo raggiunto una notevole maturità espressiva, poté dare sfogo alla sua originalità, divenendo, in breve tempo, il maggior rappresentante degli anti-modernisti. Il sentimento riacquista allora l’importanza che l’esasperato formalismo gli aveva negato e la personalità intensa e drammatica del poeta si fa luce con versi che sembrano scritti, come disse Lorca, «più che con l’inchiostro, con il sangue». La società borghese, giudicata corrotta e ipocrita, è presa continuamente di mira con attacchi violenti alle convenzioni, ai sentimenti codificati, all’ordine costituito, mentre, con immagini grottesche, se ne sviliscono i suoi sacerdoti. Dal 1940 N., ormai marxista convinto, si dedica quasi esclusivamente alla poesia sociale e alla lotta politica: il dolore, l’umiliazione, la speranza sono i temi ricorrenti di questa nuova produzione, accompagnati da una vena di profondo calore umano che riesce a smorzare i toni marcatamente propagandistici e a dare spesso pagine d’intensa poesia. Tra le sue opere principali si ricordano: Crepusculario (1923), Veinte poemas de amor y una canción desesperada (1924), Tentativa del hombre infinito (1926), Residencia en la tierra (1933; 2a ed., con l’aggiunta di un 2º vol. contenente le liriche composte dopo il 1931, 1935), España en el corazón (1937), Tercera residencia (raccolta delle poesie composte dopo il 1935, 1945), Canto general (1950), la sua opera maggiore, amplissimo poema sulla storia del Cile e della stessa America latina come insieme di tradizioni e incrocio di civiltà; Odas elementales (1954), Nuevas odas elementales (1956), Tercer libro de las odas (1957), Estravagario (1958), Navigaciones y regresos (1959), Memorial de Isla Negra (1964), Arte de pájaros (1966), Fulgor y muerte de Joaquín Murieta (1967, dramma scritto in Italia), La barcarola (1968), Las manos del dia (1968), Aun (1969), l’apocalittico Fin del mundo (1969), Las piedras del cielo (1970), La spada encendida (1970), Geografía infructuosa (1972). Da segnalare infine le prose autobiografiche di Confieso que he vivido (1973; trad. it. 1975) e la traduzione italiana integrale della sua opera poetica (1960-73).
Pablo Neruda
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Renée Vivien, pseudonimo di Pauline Tarn (Londra, 11 giugno 1877 – Parigi, 18 novembre 1909), è stata una poetessa britannica che scrisse in francese, soprannominata “Saffo 1900”. Si trasferì giovanissima in Francia. Lì venne a contatto con l’ambiente articonformista parigino. La Vivien era apertamente lesbica, viveva lussuosamente e amava viaggiare. Morì a trentadue anni a causa di una pleurite contratta a Londra, ma le sue condizioni erano già deboli e precarie a causa di continui digiuni..La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola.
Somiglianza inquietante
Ho visto sulla tua fronte bassa il fascino del serpente. Le tue labbra hanno inumidito il sangue di una ferita, e qualcosa dentro mi disgusta e si pente mentre il tuo freddo bacio mi punge con un morso.
Uno sguardo da vipera è nei tuoi occhi socchiusi, e la tua testa furtiva e piatta si raddrizza più minacciosa dopo il languore del riposo. Ho sentito il veleno in fondo alla tua carezza.
Duranti i giorni d’inverno nervosi e ghiacciati, tu sogni i tepori di profonde vallate, e ci si immagina, al vedere il tuo lungo corpo ondulato, delle scaglie d’oro lentamente spiegate.
Ti odio, ma la tua plastica e luminosa bellezza mi prende e m’affascina e m’attira senza fine, e il mio cuore, pieno di spavento davanti alla tua crudeltà, ti disprezza e t’adora, o Rettile e Dea
Renée Vivien poetessa britannica
Versi d’amore
Tu conservi negli occhi la voluttà delle notti, o gioia inaspettata al termine delle solitudini! Il tuo bacio è come il sapore dei frutti e la tua voce fa sognare meravigliosi preludi mormorati dal mare nella bellezza delle notti.
Tu porti sulla fronte il languore e l’ebbrezza, i giuramenti eterni e le confessioni d’amore, sembri evocare la timida carezza il cui ardore trafuga la luminosità del giorno e ti lascia sulla fronte l’ebbrezza e il languore
Renée Vivien poetessa britannica
I solitari
Coloro che hanno per mantello lenzuoli funerari provano la voluttà divina di essere solitari. La loro castità ha pena dell’ebbrezza delle coppie della stretta di mano, dei passi dal ritmo lieve. Coloro che nascondono la fronte nei lenzuoli funerari sanno la voluttà divina di essere solitari. Contemplano l’aurora e l’aspetto della vita senza orrore, e chi li compatisce prova invidia. Coloro che cercano la pace della sera e dei lenzuoli funerari conoscono la spaventosa ebbrezza di essere solitari. Sono i beneamati della sera e del mistero. Ascoltano nascere le rose sottoterra e percepiscono l’eco dei colori, il riflesso dei suoni… Si muovo in un’atmosfera grigio-viola. Gustano il sapore del vento e della notte, hanno occhi più belli delle torce funerarie.
Renée Vivien poetessa britannica
La poesia di Renée Vivien fu per molti motivi celata, ancora oggi è sconosciuta, e proprio per questo motivo è interessante scoprirla e apprezzarla. Vivien scrisse del suo amore omosessuale per Natalie Clifford Barney, condannò nei suoi versi certi schemi patriarcali e maschilisti, creò addirittura un salotto letterario di sole donne in risposta all’Accademia francese che ne escludeva la partecipazione. Della sua poesia tradotta in italiano non abbiamo moltissimo, ma ricordiamo Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi.Nella Parigi di inizio Novecento, venticinque secoli dopo Saffo, in una città mondana e libertina, tra i pizzi delle gonne al Moulin Rouge e i cocktail “al vetriolo” serviti nei salotti, una poetessa sfidò il suo tempo, scrivendo versi appassionati sull’amore e sulle donne.
Il suo nome era Pauline Mary Tarn (1877-1909), meglio conosciuta come Renée Vivien, una “figlia di Baudelaire”, come fu definita, che mise fine alla sua vita troppo presto, a soli trentadue anni.
Riportata in auge dal femminismo degli anni Settanta come una pioniera del canto lesbico, è ora considerata una delle voci più autorevoli del simbolismo francese. Al di là di ogni vivisezione psicoanalitica, che la tratteggia come anoressica, masochista, amante della Morte a discapito della Vita, la provocazione di Renée Vivien ha ancora molto da dire a favore del canto poetico inteso come “panico del suono”.
Teresa Campi, la prima studiosa italiana di Renée Vivien, restituisce finalmente un ritratto sincero di questa straordinaria donna presentandola non più come una figura misteriosa e “depravata” ma anzi come un personaggio appassionato, sullo sfondo dell’atmosfera dorata dei salotti e cenacoli delle jeunes filles de la Societé Future tra cui spiccava l’americana Natalie Clifford Barney, ricca e spavalda amante di Renée.
Il loro legame, tanto sulfureo quanto doloroso, divenne il perno centrale dei delicatissimi e mistici versi della poetessa. Eccentrica e scandalosa, ma anche colta e raffinata, la “Musa delle violette” ci ha lasciato parole appassionate e tempestose, che continuano a risuonare nel tempo.
“Mi hanno segnata a dito con un gesto stizzito perché il mio sguardo ti cercava teneramente, e vedendoci passare nessuno ha capito che io ti avevo scelta semplicemente. Osserva la vile legge che io trasgredisco e giudica il mio amore, che non conosce il male”.
– Renée Vivien
La Tarn aderì ai modi del Simbolismo, Parnassianesimo e fu anzi fra gli ultimi poeti ad aderire a tale scuola. Una donna dichiaratamente lesbica di alto profilo, nella Parigi della Belle Époque.
Scrisse sia versi che prose poetiche, utilizzando anche lo pseudonimo di Paule Riversdale[2] nelle opere composte in collaborazione con Hélène van Zuylen van Nyevelt.
Biografia
(FR)«Voici la nuit: je vais ensevelir mes morts,
Mes songes, mes désirs, mes douleurs, mes remords,
Tout le passé… Je vais ensevelir mes morts.»
(IT)«Ecco la notte: sto per seppellire i miei morti,
i miei sogni, i miei desideri, i miei dolori, i miei rimorsi,
tutto il passato… Sto per seppellire i miei morti»
Nell’ambiente “bohémien” parigino il suo stile di vita e il suo modo di vestire erano altrettanto noti dei suoi versi: viveva lussuosamente, era apertamente lesbica, e aveva una relazione con l’ereditiera e scrittrice statunitenseNatalie Clifford Barney. Ebbe inoltre per tutta la vita una passione per una sua amica intima d’infanzia, Violet Shillito, che però rimase sempre sul piano platonico.
Vivien era colta ed aveva viaggiato molto. Aveva passato un inverno in Egitto, visitato la Cina ed esplorato l’Europa e gli USA. I suoi contemporanei la considerarono bella ed elegante, grazie anche ai capelli biondi e agli occhi scuri con riflessi dorati. I digiuni protratti (un’abitudine che avrebbe poi contribuito alla sua morte) l’avevano resa anche relativamente magra.
Viveva lussuosamente a Parigi, in un elegante appartamento a piano terra che si apriva su un giardino alla giapponese. La sua casa era piena di mobili ed opere d’arte provenienti dal lontano Oriente. Inoltre, amava i fiori freschi.
Renée Vivien romanzò la morte e, in una sua visita a Londra nel 1908, profondamente abbattuta e oberata dai debiti, tentò il suicidio ingerendo una quantità eccessiva di laudano. Si distese sul divano, tenendo un mazzo di violette sul cuore. Il tentativo di suicidio fallì, ma in Inghilterra contrasse la pleurite e tornò a Parigi considerevolmente indebolita, tanto da essere costretta a camminare con un bastone.
Morì il 18 novembre 1909, all’età di 32 anni, a causa della pleurite e dell’indebolimento fisico dovuto ai frequenti digiuni. La sua morte fu riportata a quel tempo come suicidio, ma fu probabilmente il risultato di un’anoressia nervosa aggravata dalla pleurite e dall’alcolismo. Fu seppellita al cimitero di Passy, nell’esclusivo sobborgo parigino.
Durante la sua breve vita, Renée Vivien fu conosciuta anche come la “Musa delle violette”, soprannome dovuto al suo amore per questo fiore, richiamo al suo amore d’infanzia, Violet Shillito.
Molti dei suoi versi sono velatamente autobiografici e scritti in francese, e la maggior parte di essi non è mai stata tradotta in inglese, sua lingua madre.
La sua poesia fu largamente apprezzata, così come le opere di Natalie Clifford Barney, grazie alla contemporanea riscoperta delle opere di Saffo, l’antica poetessa greca, anch’essa notoriamente lesbica.
Opere
Études et préludes (1901), raccolta di poesie.
Cenere e polvere, a cura di Teresa Campi, Roma 1981 (traduzione italiana di: Cendres et poussières (1902), raccolta di poesie).
Brumes de Fjords, (1902), prosa poetica; i critici la salutarono come “il più grande poeta dell’anno;
Évocations (1903), raccolta di traduzioni moderne e adattamenti di testi di Saffo,
Du vert au violet (1903), prosa poetica, la prima a firma Renée Vivien
Une femme m’apparut (1904), romanzo autobiografico.
La dame à la louve (1904), racconti.
Les Kitarèdes (1904), traduzioni moderne di otto poetesse greche.
La Vénus des aveugles (1904), raccolta di poesie.
Donna m’apparve, a cura di Teresa Campi, Roma 1989 (traduzione italiana di: Une femme m’apparut (1905), nuova versione del suo romanzo autobiografico).
À l’heure des mains jointes (1906), raccolta di poesie.
Flambeaux éteints (1907), raccolta di poesie.
Chansons pour mon ombre (1907), antologia poetica.
Varie prose ironiche e satiriche (1907).
L’Album de Sylvestre (1908), volume d’aforismi.
Sillages (1908), raccolta di poesie di prosa poetica.
Anne Boleyn (1909), biografia.
Antologie di poesie e di prose, rimaneggiate (1909).
Dans un coin de violettes, raccolta postuma di poesie.
Le Vent des vaisseaux, raccolta postuma di poesie.
Haillons, raccolta postuma di poesie.
Une Femme m’apparut…, a cura di Patrizia Lo Verde, « I Miti Rivisitati », Collana di Testi in Edizione Critica diretta da Maria Teresa Puleio, Cuecm, 2004 (edizione integrale della prima versione originale pubblicata a Parigi da A. Lemerre il 27 febbraio 1904).
Note
^ Cettina Calò, L’urlo delle viole, in Il Foglio quotidiano, Anno XXVIII numero 89, 15/16 aprile 2023, p. 12.
Chiara Gagliano, Cinque poesie di Renée Vivien, su Almanacco de Lo Spazio Letterario, 27 aprile 2022. URL consultato l’8 settembre 2023 (archiviato l’8 settembre 2023).
Teresa Campi, Sul ritmo saffico. La vita e le opere di Renée Vivien, Bulzoni, Roma 1983.
André Germain, Renée Vivien, Crés, Paris 1917.
Jean-Paul Goujon, Renée Vivien à Mytilene, Edition à l’écart, Reims 1978.
Jean-Paul Goujon, Tes blessures sont plus douces que leurs caresses, Deforges, Paris 1986, ISBN 2-905538-15-5
Karla Jay, The amazon and the page. Natalie Clifford Barney and Renée Vivien, Indiana University Pres, Bloomington, Ind. 1988, ISBN 0-253-30408-3
Paul Lorenz, Sapho 1900. Renée Vivien, Julliard, Paris 1977.
Maria Gabriella Adamo, « “…une prosodie mystérieuse et méconnue”. Note su una traduzione italiana di Renée Vivien », in Giovanna BELLATI – Graziano BENELLI – Paola PAISSA – Chiara PREITE (éd.), « Un paysage choisi » – Mélanges de linguistique française offerts à Leo Schena, Turin, L’Harmattan Italia, 2007, pp. 21-35.
Patrizia Lo Verde, « Une Femme m’apparut… ou de l’hybridation générique », dans Renée Vivien à rebours, études pour un centenaire, sous la direction de Nicole G. Albert, Paris, Orizons, 2009, pp. 119-127.
“Poesie in prosa”, introduzione e traduzione di Mariella Soldo, Bari, LiberAria Edizioni, 2011.
Patrizia Lo Verde, « Nota aggiornata su Une Femme m’apparut… di Renée Vivien », Studia Universitatis Babeș-Bolyai Philologia, 4/2022, pp. 379-393.
Roma -Debutta al Teatro Lo Spazio lo spettacolo “MACBETH CIRCUS SHOW”
Roma-Debutta al Teatro Lo Spazio, dal 12 al 15 dicembre, MACBETH CIRCUS SHOW- La rappresentazione del potere, spettacolo scritto da Paolo Vanacore con la regia di Gianni De Feo.
Roma -Teatro Lo Spazio lo spettacolo “MACBETH CIRCUS SHOW”
Sullo sfondo della celebre opera di Shakespeare lo spettacolo si articola su due piani, quello della realtà e quello della rappresentazione. I due piani spesso andranno a sovrapporsi, a dialogare, a coincidere in modo grottesco e surreale. Il testo è l’archetipo per eccellenza dell’ambizione sfrenata, della falsità e dell’ipocrisia che spesso anima il mondo dello spettacolo, un mondo in cui l’arte e il talento perdono sempre di più il loro valore a discapito della fama, della smania di apparire, più che di essere.
Le atmosfere della messa in scena richiamano, a tratti, il sapore e il gusto retrò di un circo senza tempo dove i personaggi al limite del grottesco si scontrano, si accaniscono, si accapigliano a difesa di un ruolo di cui ognuno di loro si sente investito, in un eccentrico delirio di autocelebrazione. Le ambientazioni e i trucchi si ispirano al decadentismo dell’espressionismo berlinese.
Roma -Teatro Lo Spazio lo spettacolo “MACBETH CIRCUS SHOW”
Un gioco metateatrale che vede coinvolti due buffi e patetici uomini in costume e maschere clownesche, mentre recitano alcuni momenti salienti della tragedia shakespeariana secondo quell’antico stile in cui i ruoli femminili erano ancora affidati ad attori maschi. Alle loro “giocolerie” verbali si contrappongono i toni più secchi della perfida direttrice del fantasmagorico teatro dove sarà rappresentato appunto il Macbeth. Tuttavia, anch’essa è vittima di un’ossessiva sete di Potere.
In un ritmo serrato, il dialogo alterna momenti di puro lirismo a una comicità surreale. I tre personaggi saranno stilisticamente caricati fino all’espressione più estrema e assurda della loro follia, per poi essere depauperati e destrutturati come marionette dai fili spezzati. Le musiche originali faranno da contrappunto alla trama drammaturgica fino a spingersi in esibizioni canore, nello stile di un autentico Show.
Roma -Teatro Lo Spazio lo spettacolo “MACBETH CIRCUS SHOW”
La Farsa del Potere o la sua Rappresentazione trova infine pace nella consapevolezza della caducità delle cose, in un finale senza via d’uscita, dove ciò che rimane è silenzio. “…e tutti i nostri ieri saran serviti a rischiarar la via verso la morte che incenerisce:”
MACBETH CIRCUS SHOW
La rappresentazione del Potere
di Paolo Vanacore (da un’idea di Gianni De Feo)
Con : Eleonora Zacchi, Riccardo De Francesca, Gianni De Feo
Musiche Alessandro Panatteri
Scene Roberto Rinaldi e Aurora Bresci – Costumi Roberto Rinaldi
Regia Gianni De Feo
Produzioni: Camera Musicale Romana – Florian Metateatro – Centro artistico il Grattacielo
In Scozia, nell’XI secolo, Macbeth e Banco sono di ritorno da una vittoriosa battaglia contro i rivoltosi. Incontrano alcune streghe che fanno loro una profezia: Macbeth sarà signore di Cawdor e in seguito re di Scozia, mentre la progenie di Banco salirà al trono. Parte della profezia si avvera subito. Giunge infatti un messaggero che comunica a Macbeth che re Duncano gli ha concesso la signoria di Cawdor. Venuta a conoscenza della profezia delle streghe, l’ambiziosa Lady Macbeth incita il marito a uccidere il re.
Atto II
Del delitto viene incolpato il figlio di Duncano, Malcolm, che si trova costretto a fuggire in Inghilterra. Ora che Macbeth è re di Scozia, la moglie lo convince a liquidare Banco e soprattutto il figlio di costui, Fleanzio, nel timore che si avveri la seconda parte della profezia. I sicari di Macbeth assassinano Banco in un agguato, ma Fleanzio riesce a fuggire. Durante un banchetto a corte, Macbeth è terrorizzato dall’apparizione del fantasma di Banco.
Atto III
Inquieto, Macbeth torna dalle streghe per interrogarle. Il verdetto è oscuro: egli resterà signore di Scozia fino a quando la foresta di Birnam non gli muoverà contro, e nessun “nato di donna” potrà nuocergli. Lady Macbeth, intanto, lo incita a uccidere la moglie e i figli del nobile profugo Macduff che, insieme a Malcolm, sta radunando in Inghilterra un esercito per muovere contro Macbeth.
Atto IV
L’esercito invasore giunge segretamente al comando di Malcolm e Macduff. Giunti nei pressi della foresta di Birnam, i soldati raccolgono i rami degli alberi e con questi avanzano mimetizzati dando l’impressione che l’intera foresta si avanzi (come nella profezia). Lady Macbeth, nel sonno, è sopraffatta dal rimorso e muore nel delirio. Macbeth, rimasto solo, fronteggia l’invasore, ma è ucciso in duello da Macduff, l’uomo che, venuto al mondo con una sorta di parto cesareo, avvera la seconda parte del vaticinio (“nessun nato di donna ti nuoce”).
Inside Van Gogh: la grande Mostra multimediale a Teramo-
TERAMO-Dopo aver conquistato il pubblico di Roma, Milano, Firenze e altre importanti città italiane, “Inside Van Gogh” arriva a Teramo “Inside Van Gogh” è una mostra immersiva dedicata al genio di Vincent Van Gogh, che si terrà presso L’Arca – Laboratorio per le Arti Contemporanee dal 30 novembre 2024 al 30 marzo 2025.
Grazie alla straordinaria combinazione di proiezioni multimediali ad alta definizione, musica e narrazione, la mostra regala un’esperienza unica, trasportando i visitatori nel cuore pulsante delle opere e delle emozioni che hanno reso Van Gogh uno degli artisti più amati di tutti i tempi.
Un evento culturale unico a Teramo. La mostra rappresenta un’occasione imperdibile per il territorio, frutto dell’impegno del Comune di Teramo, in collaborazione con la Fondazione Bruno Ballone e la produzione di Crossmedia Group Firenze, leader nel settore delle esposizioni multimediali immersive.
Inside Van Gogh offre un viaggio straordinario attraverso i capolavori dell’artista olandese, presentati in una nuova luce, grazie alla tecnologia. La mostra offre un’esperienza unica non solo attraverso la sua esposizione multimediale, ma anche grazie alle attività didattiche interattive pensate per coinvolgere visitatori di tutte le età. I laboratori didattici permetteranno di esplorare il mondo artistico di Van Gogh attraverso la compenetrazione delle arti: dalla fotografia, alla musica, alla pittura, stimolando la creatività e l’immaginazione. I visitatori potranno sperimentare vari livelli di interazione, immergendosi nei colori vibranti, ma anche nelle suggestioni musicali che richiamano le emozioni delle opere del maestro. Queste attività arricchiranno la visita incoraggiando una partecipazione attiva.
Un evento che promette di affascinare cittadini, turisti e appassionati d’arte di ogni età e che rappresenta un punto di incontro tra arte e innovazione.
Informazioni utili:
• Date: Dal 30 novembre 2024 al 30 marzo 2025
• Luogo: L’Arca, Teramo
• Organizzazione: Comune di Teramo
• Partner: Fondazione Bruno Ballone
• Produzione: Crossmedia Group Firenze
Prezzi dei biglietti
• 10 euro – intero
• 6 euro – ridotto (ragazzi fino 25 anni e gruppi superiori alle 15 persone))
• 3,50 euro – studenti e gruppi scolastici
• Ingresso gratuito: insegnanti, diversamente abili e loro accompagnatori
I biglietti saranno disponibili presso L’Arca.
Dichiarazione del Sindaco Gianguido D’Alberto: “La mostra si allestisce in piena coerenza con il percorso che mira a favorire lo sviluppo museale cittadino, in particolare de L’Arca per la quale studiamo una nuova rinascita. Intendiamo costruire, anche con altre istituzioni, in primis l’università, un circuito per iniziative che valorizzino talenti locali ma che ci aiutino ad avvicinare anche artisti internazionali. Tutto questo ci consente di uscire progressivamente dalla logica di provincia per proiettarci in visioni più gradi. La collaborazione con i proponenti e gli operatori dell’evento, sottolinea il valore dell’appuntamento. Oggi la struttura del Polo museale e la creazione di una rapporto nuovo con la cooperativa che gestisce i servizi museali, ci consentono di potenziare l’offerta”.
L’Assessore alla Cultura, Antonio Filipponi: “Luci, animazioni, immagini musica, una mostra straordinaria, per la quale abbiamo stabilito l’ingesso a prezzi ridotti, per far si che tutti possano immergersi nell’universo di Van Gogh. Dopo Banksy, proseguono i grandi appuntamenti a Teramo. Si tratta di una mostra internazionale che in Italia ha già riscosso un enorme successo. Viene a Teramo grazie al lavoro di tutti: la Fondazione Ballone, lì’Ufficio Cultura, la società nel settore delle esposizioni multimediali immersive. Il percorso della mostra dura 40 minuti: nella prima sala l’immersione totale, nella seconda un viaggio con caschi 3D. L’appuntamento si iscrive nel cartellone del Natale Teramano”.
Sergio Di Sabatino, della Fondazione Ballone: “Dopo quella di Banksy, e dopo aver sondato il panorama, abbiamo pensato di organizzare una mostra di caratura internazionale, proponendola al sindaco e all’assessore, che l’hanno immediatamente recepita. Un bel regalo di Natale alla città. Un approccio all’arte che probabilmente farà innamorare di essa qualche giovane”
-Valdrada ed Affabulazione presentano: eXtra FESTIVAL-
Roma – Municipio X-Torna la seconda edizione di eXtra FESTIVAL, la rassegna che unisce danza, teatro, musica e formazione ideata dalle Associazioni Affabulazione e Valdrada, che si sviluppa in diverse aree territoriali del Municipio X tra il 30 novembre e il 30 dicembre. La manifestazione vede coinvolte istituzioni locali, associazioni, enti del Terzo Settore, e spazi teatrali e formativi del territorio di Ostia, Acilia e Dragoncello per 27 laboratori formativi, 3 spettacoli teatrali e 2 giornate evento per un totale di 135 appuntamenti tutti gratuiti. A legare gli eventi proposti un unico fil rouge: una programmazione interamente dedicata all’infanzia e all’adolescenza con laboratori e progettualità artistiche, di teatro, musica, danza, arti visive per tutte le fasce d’età dai 0 ai 18 anni.
I laboratori si terranno presso il Centro Culturale Affabulazione, Teatroinstalla, il Teatro Dafne, il Teatro Fara Nume, il Teatro Pegaso, l’Accademia Santa Rita, il Teatro Domma , Emozioninteatro, Essenza Teatro, The Act, Opera aps, Ile Flottante, Readarto e il Teatro del Lido.
Proprio il Teatro del Lido sarà protagonista di tre spettacoli per ragazzi, sempre gratuiti, a partire dall’11-12 dicembre, ore 11:30, con MARCO NON C’È (perché Laura se n’è andata) con Francesca Anna Bellucci, Giorgia Conteduca, Monika Fabrizi, Giorgia Remediani e Giulia Vanni per la regia di Giorgia Conteduca. La commedia, già sold out, propone un racconto tutto al femminile che esplora in modo leggero e divertente cosa accade nel nostro corpo, in particolare nel cervello, nei momenti cruciali della vita. La rappresentazione teatrale è arricchita da laboratori interattivi e creativi, in cui i ragazzi tra 12 e 16 anni scoprono il processo di creazione dello spettacolo.
Segue il 20 dicembre, ore 10.30, STOP BULLYING, uno spettacolo adatto a ragazzi tra gli 11 e i 18 anni e le loro famiglie, con Francesca Gaspo, Daniele Mariotti, Tommaso Paolucci, Elena Pelliccioni, Gaia Sampietro, Stefano Tomassini e allievi/e della scuola di EmozioniTeatro, per la regia di Gaia Sampietro e Stefano Tomassini. L’opera, anche questa già sold out, sottolinea l’importanza di rompere il silenzio contro le manifestazioni di bullismo e trovare una voce per il cambiamento.
Il 27 e il 29 dicembre, dalle 16, va in scena LA STORIA DI ALIGASPÙ, di e con Viviana Mancini per la regia di Cristiano Petretto. Il gabbiano Aligaspù, primo della sua specie a volare, affronta paure, scopre l’amore e impara a superare e rispettare i propri limiti. Lo spettacolo, un viaggio tra semplicità e meraviglia, è il primo di teatro di figura interamente realizzato attraverso la tecnica degli origami giapponesi e si ispira alla filosofia del Karumi (leggerezza, sobrietà, empatia) per creare un’esperienza poetica e universale.
eXtra Festival propone poi due appuntamenti speciali all’aperto per il 21 e 28 dicembre che si terranno lungo l’arco di tutta la giornata. Il primo, presso Piazza Anco Marzio di Ostia, prevede alle ore 10.00 la lettura animata con Monika Fabrizi di NATALE NEL MONDO, adatto a bambini dai 4 agli 8 anni e alle loro famiglie; a seguire lo spettacolo clown SMISURATE DIVAGAZIONI con Chien Barbù Mal Rasè. Alle ore 16 è la volta di X NEW BEAT, a cura di Federica Delair con il concerto del giovane cantautore Caffa e gli interventi di Federica Perelli, Giulio Berardi, Alessandro Marasca, Nucleo Creativo Armato.
Segue alle ore 19.00 LUCI DEL VARIETA’ con Karma B, Daniele Fabbri, Chiara Becchimanzi, Martina Catuzzi, Le Radiose, Y Generation di Germana Cifani: artisti di fama nazionale, reduci da successi live e televisivi, capitanati da Chiara Becchimanzi, MC d’eccezione e artista del territorio, in uno sfavillante varietà con musica dal vivo, danza, teatro, stand up comedy e arte drag.
Il 28 dicembre tornano le letture animate di Giorgia Conteduca con NATALE DAL MONDO a partire dalle 10.00 presso Piazza Capelvenere di Acilia, cui seguirà LA STRANA STORIA DEL PESCE PALLA, uno spettacolo di teatro di figura, di e con Gianni Silano, Marionettista Viviana Mancini, musiche e canzoni originali di Gianni Silano, con la regia Gianni Silano e Alessandro Accettella. Dopo il consueto appuntamento con la X NEW BEAT con Caffa, che tornerà in concerto, Valentina Coletta, Marco Bertes, Federica Perelli, Alessandro Marasca, Annalisa Costantino, The Act. Seguirà alle ore 19.00 B.L.U.E.tte – il musical “da camera” completamente improvvisato, con protagonisti I Bugiardini, una delle più note compagnie di improvvisazione teatrale in Italia.
Affabulazione è composta da un folto gruppo di artisti e manager culturali che si occupano professionalmente della realizzazione e della programmazione di eventi culturali, spettacoli e workshops attraversando molteplici discipline (teatro, musica, danza, cinema). Affabulazione ha dato ospitalità ad artisti di varie discipline, tra gli altri: Ascanio Celestini, Odin Theatre, Mario Pirovano, Andrea Cosentino, Francesco Randazzo, Sarina Aletta, Teatro dei Venti, Teatro Ridotto, Taiko Do, Giulia Varley, Accademia degli Artefatti, Antonio Rezza, teatro del Piccione, Tiriteri teatro, Arierritos, Michele Abbondanza, Paco Gonzales, Compagnia Rosso Levante. Affabulazione è socio fondatore dell’associazione di associazioni Teatro Del Lido, che gestisce la programmazione artistica del teatro (TIC – Teatri in comune).
Valdrada è attiva dal 2010, ed è interamente gestita da giovani artiste in maggioranza under 40. L’Associazione si occupa di: – Produzione di spettacolo dal vivo per adulti e ragazzi (“Le Intellettuali di Piazza Vittorio” – “Epic Fail – trilogia della contemp-umanità”, “Dionisiaca – opera buffonesca”; “Principesse e sfumature” “Quanto sei bella Roma”; “Sogno di un mattino d’inverno”, “Marco non c’è perché Laura se n’è andata”, “Da fuori tutto bene – il can can del cancro” format “Rigenerazioni”); – Formazione teatrale per bambini/e e ragazzi/e e per adulti; – Progettazione e realizzazione eventi culturali. Valdrada lavora anche, da sempre, alla costruzione di nuovi immaginari e modelli alternativi, per una cultura libera, accessibile, partecipata e viva, sempre con particolare attenzione alle giovani generazioni. All’interno dell’Associazione di Associazioni che si occupa della programmazione del Teatro del Lido pubblico e partecipato.
Il progetto è sostenuto dal Municipio X di Roma Capitale – Assessorato alla scuola e alle politiche giovanili e Assessorato alle Politiche sociali e pari opportunità
Dal 30 novembre al 30 dicembre 2024 presso:
Teatro del Lido di Ostia, Via delle Sirene, 22, 00121 Lido di Ostia RM
Piazza Anco Marzio, Piazza Anco Marzio, 26, 00122 Lido di Ostia RM
Piazza Capelvenere, Largo del Capelvenere, 00126 Acilia RM
e altri 15 spazi in tutto il Municipio X
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Creare la pace Una voce dal buio gridò, “I poeti devono donarci immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta immaginazione del disastro. Pace, non solo l’assenza di guerra”. Ma la pace, come una poesia, non esiste prima di esserci, non si può immaginare prima che sia creata, non si può conoscere se non nelle parole di cui è fatta, grammatica di giustizia, sintassi di mutuo soccorso. Un’ impressione, la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo finché non cominciamo a pronunciarne le metafore, a scoprirle mentre parliamo. Un verso di pace potrebbe forse nascere se riformuliamo la frase della nostra esistenza, cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere, mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo lunghe pause . . . Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi su quel fulcro diverso; la pace, una presenza, un campo di forza più intenso della guerra, potrebbe allora palpitare, strofa dopo strofa nel mondo, ogni gesto di vita una sua parola, ogni parola un fremito di luce – facce del cristallo che si va formando.
Denise Levertov
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Denise Levertov
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Denise Levertov
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore
Paola Splendoreha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
La Chiesa valdese di Roma presenta la Mostra di arti grafiche e visive
“ARTE PER I DIRITTI UMANI”
Roma (NEV), 3 dicembre 2024 – La Chiesa valdese di Roma piazza Cavour presenta la Mostra di arti grafiche e visive “ARTE PER I DIRITTI UMANI”. In memoria di coloro i cui diritti umani siano stati lesi”. L’iniziativa gode del patrocinio di Amnesty International e IDHAE (Istituto per i Diritti dell’Uomo. Avvocati Europei). Il vernissage si terrà domenica 8 dicembre a partire dalle 16. Per l’occasione è stata anche organizzata una conferenza di Emanuela Claudia del Re, rappresentante speciale europea per il Sahel (ISPI).
Chiesa valdese di Roma- Mostra “ARTE PER I DIRITTI UMANI”
Si legge nel comunicato stampa di lancio dell’iniziativa:“Sono migliaia le donne e gli uomini rinchiusi in carceri malsane, che regolarmente vengono torturati, stuprati, privati di cure mediche, privati della visita dei congiunti e della possibilità di avere un avvocato difensore. Sono tantissime le persone di ogni ceto sociale prese e detenute senza motivo, o comunque
illegalmente, per governare con il terrore in nome del danaro e del potere. E se è giusto, come è giusto, che le grandi stragi e le sofferenze del passato siano ricordate, e qui vogliamo in particolare riferirci alla persecuzione degli Ebrei nell’ultima guerra, allora sarà altrettanto giusto far uscire dall’ombra i nomi, i volti e le storie delle persone perseguitate oggi, a volte solo per avere espresso una opinione. Nemmeno i bambini e i giovani si salvano da questo Museo dell’Orrore.
La Chiesa Valdese di Piazza Cavour in Roma, da sempre attiva nel campo della difesa dei diritti umani, non potendo più rimanere indifferente alle atrocità che Governi non illuminati stanno perpetrando in moltissimi paesi del mondo, ha deciso di reagire, in modo pacifico, organizzando una Mostra dedicata ai diritti umani. Questa mostra vuole dare un sia pur minuscolo contributo per far uscire dall’ombra della morte e dal gelo del carcere le persone ingiustamente detenute, altri esseri umani in questo momento avvolti dal terrore di essere dimenticati da quel mondo per il quale si sono sacrificati. C’è un pensiero di Benenson, fondatore di Amnesty International, che ben si attaglia a questa mostra: Meglio accendere una candela che rimanere al buio”.
Appuntamento in via Marianna Dionigi, 59 (Piazza Cavour – Roma)
La ventitreenne americana Florence Fein, figlia di genitori ebrei e nipote di una donna russa, è da sempre affascinata dal mondo sovietico. La Grande Depressione ha colpito gli Stati Uniti e lei, idealista e nauseata dalle contraddizioni del proprio paese, decide di lasciare New York per trasferirsi nella terra d’origine della nonna, inseguendo il sogno socialista e la promessa di un amore oltreoceano. Una volta giunta a destinazione, però, le speranze svaniscono una dopo l’altra, la ragazza si trova faccia a faccia con la brutalità di un regime sempre più opprimente e rimane presto bloccata in un paese da cui non può fuggire. Molti anni dopo, il figlio di Florence, Julian, emigra di nuovo verso gli Stati Uniti, anche se il suo lavoro nell’industria petrolifera lo porta frequentemente a Mosca. Gran parte della vita della madre gli è stata tenuta nascosta e, quando viene a sapere che il fascicolo del KGB su di lei è stato aperto, organizza un viaggio d’affari per scoprire tutta la verità. Ma il cerchio non si è ancora chiuso: per chiuderlo definitivamente Julian dovrà anche convincere suo figlio, l’ostinato Lenny, che nel frattempo sta cercando di fare fortuna nella spietata Russia di Putin, a tornare a casa. Lo stupefacente romanzo d’esordio di Sana Krasikov racconta le vicende di tre generazioni in bilico fra due continenti, intrappolate tra le forze della Storia e le conseguenze delle proprie scelte. Grandioso nell’incedere e intimo nei dettagli, appassionante saga familiare e minuzioso romanzo storico, I patrioti è una potente epopea trainata da una protagonista indimenticabile e orchestrata da una penna eccellente.
«I patrioti è un capolavoro. Il dottor Živago del nostro tempo».
Yann Martel, autore di Vita di Pi
«Ho trovato in ogni pagina un’osservazione tanto acuta, una frase di tale verità e dai dettagli tanto splendenti che ho dovuto rileggerlo per puro piacere. I patrioti mi ha convinto che Krasikov appartenga ai giovani scrittori totemici della sua epoca». Khaled Hosseini, autore di Il cacciatore di aquiloni
«Come racconto intelligente e letterario delle relazioni tra la Russia e l’America del secolo scorso non ha eguali». «The Spectator»
«I patrioti è una storia d’amore alla vecchia maniera: multigenerazionale, intercontinentale, carica di retroscena e ricerche storiche, si muove tra dettagli scrupolosi e panorami ampi, melodramma e satira, la Cleveland del 1933 e la Mosca del 2008». «The New York Times Book Review»
«In un racconto inebriante fatto di protagonisti imperfetti e coraggiosi, passione erotica e politica e lotte strazianti per la sopravvivenza, Krasikov ritrae magistralmente l’oscuro meccanismo a orologeria del totalitarismo e si chiede cosa significhi essere un eroe, un patriota, un essere umano». «Booklist»
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