In cima al colle Gianicolo (praticamente sotto la statua di Garibaldi) è posto dal 24 gennaio 1904 un cannone che spara, a salve, a mezzogiorno in punto. Lo sparo, nei rari giorni in cui la città è meno rumorosa (particolarmente la domenica, o d’agosto), si può sentire fino all’Esquilino.
La cannonata a salve di mezzogiorno fu introdotta da Pio IX nel 1847, per dare uno standard alle campane delle chiese di Roma, in modo che non suonassero ognuna il mezzogiorno del proprio sagrestano. Il cannone era allora in Castel Sant’Angelo, da dove venne spostato nel 1903 a Monte Mario, per qualche mese, per essere poi posizionato al Gianicolo nella sua collocazione attuale.
L’uso non fu interrotto dall’Unità d’Italia, ma dalla guerra sì. Fu ripristinato il 21 aprile 1959, in occasione del 2712º anniversario della fondazione di Roma.
Attualmente il cannone è un obice 105/22 Mod. 14/61, servito da personale dell’Esercito Italiano.
Nota copiata da Internet. Le foto sono del febbraio 2017-
ROMA-Il cannone del Gianicolo
l Gianicolo è un colle romano, prospiciente la riva destra del Tevere e la cui altezza è 82 metri. Non fa parte del novero dei sette colli tradizionali. La pendice orientale degrada verso il fiume e alla base si trova il rione storico di Trastevere, mentre quella occidentale, meno ripida, costituisce la parte più vecchia del moderno quartiere di Monteverde.
Secondo una delle più antiche leggende della mitologia romana, il colle del Gianicolo avrebbe ospitato la città fondata dal dio Giano, da cui il suo nome. Giano ebbe diversi figli, da uno dei quali, Tiberino, deriverebbe il nome del Tevere (Tiber in latino).Alla estremità del belvedere sono posizionate due grandi riproduzioni di piante di Roma vista dal Gianicolo: quella di Antonio Tempesta e quella di Giuseppe Vasi.
Proseguendo la passeggiata panoraminca lungo via Garibaldi, nello slargo all’altezza della Fontana dell’Acqua Paola, chiamata tradizionalmente “Fontanone”, eretta da Giovanni Fontana e Carlo Maderno per Papa Paolo V (1608 – 1612), si delinea sullo sfondo, nella cornice di Villa Borghese, Villa Medici. Si prosegue verso piazza G. Garibaldi, da cui si gode uno dei più superbi panorami della città: all’orizzonte i colli, sullo sfondo dei quali risaltano le cupole e i campanili delle chiese e le maestose rovine imperiali.
In primo piano si erge il Campidoglio; in fondo, a destra, s’innalzano, bianche come apparizioni, le gigantesche statue della facciata di San Giovanni in Laterano. Tra le architetture dei palazzi si vede scorrere il Tevere.
Proseguendo la nostra passeggiata, nello scendere verso Sant’Onofrio, incrociamo la splendida Villa Lante, dell’architetto Giulio Romano (1518-27), la cui loggia-belvedere si apre verso la città; infine, arrivati nello slargo del Faro di Manfredo Manfredi (1911), è possibile gustare quella che viene ritenuta la più completa visione panoramica di Roma.
Per tutti gli inguaribili romantici che non riescono ad accontentarsi del panorama romano ammirabile dal Pincio o dal Gianicolo, l’alternativa, più intima e raccolta, è quella di accaparrarsi una terrazza affacciata sul centro storico della città eterna. L’impresa non è facile, a meno che non abbiate amici o conoscenti disposti ad ospitarvi per un giro lungo i piani alti del loro palazzo, o vogliate “corrompere” qualche portiere. Per concedersi qualche istante di fronte alle bellezze romane che si perdono all’orizzonte, ogni momento è quello giusto: quindi non preoccupatevi, perché dal tramonto all’alba Roma non perde fascino e rimane lì ad aspettarvi.
ROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del GianicoloROMA-Il cannone del Gianicolo
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.
Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Pericle
Qui ad Atene noi facciamo così.
Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (*)
Tratto da Tucidide, Storie, II, 34-36
(*) Errata corrige: inizialmente era stata indicata la data del 461 a.C., riportata da diverse fonti, ma in realtà il discorso, secondo Tucidide, è stato pronunciato all’inizio della Guerra del Peloponneso (431 a.C. – 404 a.C.)
di 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 – Regia 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗼 𝗖𝗮𝗿𝘃𝗮𝗿𝘂𝘀𝗼 e 𝗣𝗮𝗼𝗹𝗼 𝗠𝗲𝗹𝗹𝘂𝗰𝗰𝗶 – Con 𝗔𝗹𝗲𝘀𝘀𝗮𝗻𝗱𝗿𝗮 𝗗𝗲 𝗣𝗮𝘀𝗰𝗮𝗹𝗶𝘀 e con Francesco 𝗟𝗮𝗽𝗽𝗮𝗻𝗼, Elisa 𝗙𝗿𝗮𝗻𝗰𝗵𝗶, Nicole 𝗠𝗮𝘀𝘁𝗿𝗼𝗶𝗮𝗻𝗻𝗶, Federico 𝗣𝗮𝗽𝗽𝗮𝗹𝗮𝗿𝗱𝗼, Giulia 𝗧𝗮𝗺𝗯𝘂𝗿𝗿𝗶𝗻𝗶, Elena 𝗕𝗮𝗿𝗯𝗮𝘁𝗶, Andrea 𝗟𝗮𝗺𝗶, Greta 𝗣𝗼𝗹𝗶𝗻𝗼𝗿𝗶, Dannis 𝗖𝗮𝗿𝗹𝗲𝘁𝘁𝗮, Jacopo 𝗕𝗮𝗿𝗴𝗻𝗲𝘀𝗶 𝗛𝗮𝘀𝘀𝗮𝗻. Musiche a cura di 𝐅𝐞𝐝𝐞𝐫𝐢𝐜𝐨 𝐏𝐚𝐩𝐩𝐚𝐥𝐚𝐫𝐝𝐨 – Coreografie 𝐅𝐫𝐚𝐧𝐜𝐞𝐬𝐜𝐨 𝐋𝐚𝐩𝐩𝐚𝐧𝐨
Roma-Teatro Arcobaleno “𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆”-
Produzione: CTM CENTRO TEATRALE MERIDIONALE
Dopo il grande successo della precedente edizione, torna a grande richiesta 𝐂𝐈𝐍𝐃𝐄𝐑𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐖𝐈𝐍𝐆, la 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲 ampliata e arricchita di nuovi elementi. La favola di 𝐂𝐞𝐧𝐞𝐫𝐞𝐧𝐭𝐨𝐥𝐚 chi non la conosce? Cosa sarebbe successo se fosse nata nei primi anni del 𝟏𝟗𝟎𝟎? Quale principe avrebbe trovato? Come sarebbe stata la Fata madrina? Narrata in centinaia di versioni in gran parte del mondo, in questa pièce, la celebre favola è ambientata negli anni ‘𝟐𝟎 ’𝟑𝟎 del ‘𝟵𝟬𝟬, in uno 𝐬𝐰𝐢𝐧𝐠 𝐜𝐥𝐮𝐛, dove si cimenterà nel ballo e nel canto una 𝗖𝗲𝗻𝗲𝗿𝗲𝗻𝘁𝗼𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗮𝗿𝗹𝗲𝘀𝘁𝗼𝗻, simpatica e intraprendente, che enfatizza il riscatto femminile di una donna che non cede al conformismo e realizza il suo sogno. Le musiche, cantate e suonate dal vivo, animano travolgenti coreografie, che ci riportano nell’epoca d’oro in cui lo 𝘀𝘄𝗶𝗻𝗴 era la colonna sonora. Un’emozionante rivisitazione della favola originale in 𝗰𝗼𝗺𝗺𝗲𝗱𝗶𝗮 𝗺𝘂𝘀𝗶𝗰𝗮𝗹𝗲, dove coreografie, canzoni dal vivo e personaggi esilaranti daranno vita ad uno spettacolo appassionante, pieno di risate, romanticismo e magia!
Roma, 18 dicembre 2024 – Ospitata ai Musei Capitolini, Villa Caffarelli, dall’11 febbraio al 18 maggio 2025, la mostra “I Farnese nella Roma del Cinquecento. Origini e fortuna di una collezione”, a cura di Claudio Parisi Presicce e Chiara Rabbi Bernard, costituisce uno degli eventi di punta organizzati dalla Sovrintendenza Capitolina all’interno dell’intervento “#Amanotesa” (PNRR CAPUT MUNDI), finalizzato a favorire l’inclusione sociale attraverso l’incremento dell’offerta culturale.
Per l’alto valore del progetto espositivo e per la sua rilevanza nell’ambito dell’anno giubilare, l’inaugurazione della mostra (10 febbraio 2025) è anticipata da un evento di “introduzione”, in programma giovedì 19 dicembre, ore 17.30, ai Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, presso l’Esedra del Marco Aurelio, raccordo ideale tra la figura di Paolo III, la collezione Farnese e i Musei Capitolini.
Saranno presenti per i saluti istituzionali il Sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, l’Assessore alla Cultura, Massimiliano Smeriglio, S.E. l’Ambasciatore di Francia in Italia, Martin Briens, il Prof. Massimo Osanna, Direttore Generale dei Musei del Ministero della Cultura.
Il Sovrintendente Capitolino, Claudio Parisi Presicce, darà avvio ai lavori con un inquadramento di carattere generale su Paolo III Farnese e la Roma rinnovata alla vigilia del Giubileo del 1550 e una introduzione alla mostra, curata insieme a Chiara Rabbi Bernard. Seguirà l’intervento del Professore Carlo Gasparri (Prof. Emerito – Università degli Studi di Napoli Federico II), che ha dedicato molti dei suoi studi alla collezione Farnese di antichità, e la cui presentazione sarà incentrata sulle sculture un tempo di proprietà Farnese, conservate dalla fine del Settecento a Napoli. Alcune delle opere della collezione Farnese, punto di riferimento sin dal Cinquecento per artisti e studiosi, saranno protagoniste di un ulteriore approfondimento da parte del Dottor Adriano Aymonino (University of Buckingham) e della Dott.ssa Eloisa Dodero (Musei Capitolini). A chiudere l’evento sarà il Professore Salvatore Settis (Prof. Emerito – Scuola Normale Superiore di Pisa), che discuterà dei bronzi donati al Popolo Romano da papa Sisto IV – dal 2020 raccolti in un nuovo allestimento nell’Esedra del Marco Aurelio – e del futuro delle collezioni di archeologia nei musei contemporanei.
L’evento è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali con i servizi museali di Zètema Progetto Cultura. L’ingresso è libero fino a esaurimento dei posti disponibili.
La mostra (11 febbraio 2025 – 18 maggio 2025)
Il progetto espositivo è dedicato al momento di profonda trasformazione urbanistica della città di Roma, promossa da Paolo III Farnese (r. 1534-1549). All’indomani del tragico Sacco del 1527, la città si ritrova di fronte alla necessità di una rinascita rapida e vigorosa. All’impulso di Papa Farnese, si devono alcuni grandiosi interventi, tra cui la monumentalizzazione della Piazza del Campidoglio, affidata al genio di Michelangelo; la celebre statua equestre in bronzo di Marco Aurelio, trasferita nel 1538, per volontà del papa, dalla Piazza del Laterano, diventa il centro del colle capitolino; attorno, simbolo del passato grandioso di Roma, Michelangelo progetta una quinta scenografica e monumentale.
Paolo III avvia anche la più importane collezione di arte e di antichità della Roma del Cinquecento. Risale al 1545-1546 il rinvenimento nelle Terme di Caracalla di alcuni colossi in marmo, tra cui l’Ercole, il Toro e la Flora Farnese. Le statue sono subito trasferite nel cortile del Palazzo Farnese in Campo de’ Fiori.
Erede della collezione alla morte del papa è il nipote Alessandro (1520-1589), che trasforma Palazzo Farnese in una residenza raffinatissima, espressione suprema del potere farnesiano a Roma, in cui convivono sculture, iscrizioni e gemme antiche, preziosi elementi di arredo, disegni, incisioni, dipinti e affreschi dei maggiori artisti del tempo, tra cui Tiziano e i fratelli Carracci.
Se il Campidoglio monumentalizzato da Michelangelo costituisce la massima manifestazione dell’incisività “pubblica” dei Farnese, il palazzo in Campo de’ Fiori ne rappresenta il potere privato.
Ospitare una mostra sulla collezione Farnese ai Musei Capitolini (Villa Caffarelli), dunque, diventa una occasione preziosa per presentare e spiegare questa dinamica pubblico/privato in un momento solo apparentemente remoto, gli anni centrali del Cinquecento, ma in realtà molto più vicino a noi di quanto possiamo immaginare. Come negli anni Quaranta del Cinquecento, alla vigilia del Giubileo indetto da Paolo III, anche oggi Roma si rinnova, spinta dalla necessità di cambiare e trasformarsi, tra molti conflitti e molte incertezze.
Articolata in sei sezioni, la mostra, ospitata negli spazi espositivi di Villa Caffarelli, è il risultato di una complessa campagna di prestiti che ha visto coinvolti numerosi musei italiani e stranieri.
Il percorso espositivo prende l’avvio con la presentazione, attraverso planimetrie e incisioni, degli interventi di trasformazione della città alla vigilia del Giubileo del 1550. Il confronto tra il Camillo in bronzo delle collezioni capitoline, parte del nucleo dei bronzi lateranensi donati al “Popolo Romano” da Sisto IV nel 1471, e la sua copia in bronzo realizzata da Guglielmo della Porta per il Cardinale Alessandro Farnese negli anni Sessanta del Cinquecento, offre lo spunto per una prima riflessione sul rapporto tra collezione pubblica e collezione privata.
Segue una preziosa galleria di ritratti dei protagonisti della collezione negli anni del suo maggiore splendore, da papa Paolo III ai nipoti Alessandro e Ottavio (1524-1586). I grandi marmi rinvenuti nelle Terme di Caracalla, tra le prime sculture antiche a trovare posto nel cortile di Palazzo Farnese a Campo de’ Fiori, sono evocati da preziosi bronzetti, disegni e incisioni, nella sezione, intitolata “I Farnese e la passione per l’antichità”.
Il visitatore è quindi invitato a “entrare” nell’allestimento originario dell’antica collezione di Palazzo Farnese, percorrendo la “Sala dei Filosofi”, caratterizzata nel Cinquecento dalla presenza di statue, come la celebre Venere Callipigia del Museo Archeologico di Napoli, e la splendida Galleria affrescata dai Carracci, qui evocata da importanti disegni
preparatori degli affreschi e da alcune delle sculture più importanti esposte nel grande ambiente di rappresentanza, oggi conservate al Museo Archeologico di Napoli, che tornano ad essere visibili a Roma dopo il loro trasferimento nel corso dell’ultimo decennio del XVIII secolo.
Il percorso virtuale all’interno del palazzo riprende attraverso la ricostruzione del “Camerino” e della Galleria dei Quadri di Palazzo Farnese. La mostra si chiude con una stanza dedicata a un confronto tra due collezioni, quella dei Farnese e quella Orsini, appartenuta al celebre antiquario vicino alla nobile famiglia, accomunate entrambe da un comune destino di dispersione.
La mostra, a cura di Claudio Parisi Presicce e Chiara Rabbi Bernard, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e organizzata da Zètema Progetto Cultura in collaborazione con Civita Mostre e Musei.
INFORMAZIONI PER IL PUBBLICO
Introduzione alla mostra
Musei Capitolini, Palazzo dei Conservatori, Esedra del Marco Aurelio Giovedì 19 dicembre, ore 17.30
Ingresso libero fino a esaurimento dei posti disponibili
La mostra
Dall’11 febbraio al 18 maggio 2025
Musei Capitolini, Villa Caffarelli
Via di Villa Caffarelli – 00186 Roma
Tutti i giorni ore 9.30 – 19.30. Ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
Info
Tel. 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 19.00) www.museicapitolini.org www.museeincomuneroma.it
la Santa Sede porta l’arte contemporanea nelle carceri-
Giubileo 2025-la Santa Sede porta l’arte contemporanea nelle carceri
Città del Vaticano-A pochi giorni dall’inizio del Giubileo 2025e dall’apertura solenne dell’Anno Santo, il Dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede inaugura un nuovo, ambizioso programma dedicato all’arte contemporanea. Un percorso che mette in dialogo la spiritualità del Giubileo 2025, incentrato sulla Speranza – «Spes non confundit», la speranza non delude, come evocato da Papa Francesco – con l’impegno culturale e sociale di portare l’arte nei luoghi più fragili dell’esistenza: le carceri.
Il programma si svolge dunque in continuità con quanto già visto al Padiglione della Santa Sede della 60ma Biennale d’arte di Venezia, presentato nella casa di detenzione femminile della Giudecca. L’arte entra così nei luoghi dove la fragilità si fa più evidente, trasformando carceri e strade in spazi di incontro, riflessione e speranza. Un messaggio potente, che riafferma il ruolo dell’arte come strumento di rinascita.
Un Giubileo oltre le mura: Rebibbia e Marinella Senatore
Il Giubileo, che prenderà il via il 24 dicembre 2024 con l’apertura della Porta Santa in San Pietro, si carica di un valore simbolico straordinario già due giorni dopo, il 26 dicembre, quando Papa Francesco aprirà la seconda Porta Santa nel carcere romano di Rebibbia. Ad accompagnare questo gesto carico di significato sarò Io Contengo Moltitudini, l’installazione site specific di Marinella Senatore curata da Cristiana Perrella. Una torre luminosa alta sei metri, intreccio di architettura popolare e parole scritte dai detenuti delle sezioni maschili e femminili, frutto di un workshop partecipativo che ha dato voce alla comunità carceraria.
Le frasi selezionate attraversano lingue e dialetti diversi, componendo una narrazione collettiva di speranza e trasformazione. «Le opere sono esperienze condivise e trasformative», ha affermato Senatore. «La luce, ispirata alle tradizioni del Sud Italia, ha la capacità di trasformare un luogo in uno spazio speciale». Visibile dal 21 dicembre fino a febbraio 2025 nel piazzale della chiesa del carcere, l’opera è un ponte luminoso tra l’interno e l’esterno, un dialogo aperto con il mondo.
La speranza concreta nelle carceri
Il programma del Dicastero per la Cultura non si ferma a Rebibbia. Le Porte della Speranza, progetto curato da Davide Rampello, prevede interventi artistici in diverse carceri italiane e internazionali. Queste porte, concepite come installazioni site-specific in collaborazione con artisti di fama mondiale e detenuti, offriranno alla città uno sguardo nuovo sul carcere, trasformandolo da luogo di punizione a spazio di riabilitazione. «Il carcere è spesso visto come luogo disperato», ha spiegato Rampello. «Aprire ai valori della speranza è indicare una meta, un progetto di vita. La concretezza della speranza si realizza nell’arte, che diventa movimento, manifesto e bellezza condivisa».
Conciliazione 5: lo spazio della contemporaneità
Il 2025 segnerà anche l’apertura di Conciliazione 5, un nuovo spazio espositivo voluto dal Dicastero e curato da Cristiana Perrella. Una finestra aperta sull’arte contemporanea, visibile 24 ore su 24 su via della Conciliazione. Il primo artista a inaugurare il progetto sarà Yan Pei-Ming, celebre per i suoi intensi ritratti. L’opera, dedicata al carcere di Regina Coeli e realizzata in occasione del Giubileo degli Artisti (15-18 febbraio 2025), si propone come un dialogo profondo tra arte, istituzioni e umanità.
«L’arte è chiamata a dare voce agli invisibili e a stimolare un nuovo sguardo», ha dichiarato Perrella. «Questi progetti nascono da una fiducia totale nel potere trasformativo dell’arte e nella sua capacità di affrontare i temi più urgenti del presente».
Giubileo 2025-la Santa Sede porta l’arte contemporanea nelle carceri
Il programma artistico del Giubileo 2025 assume così un valore universale, unendo bellezza e responsabilità sociale. Come ricordato dal Cardinale José Tolentino de Mendonça: «L’arte non è un lusso per pochi, ma un desiderio più grande: pensare e specchiare la condizione umana di tutti. È voce e volto dei drammi invisibili, spinta alla responsabilità collettiva»
Roma-Al Teatro Ghione-We call it Ballet: La Bella Addormentata in uno spettacolo di danza e luci-
Roma-Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma! Vivi ‘La Bella Addormentata’ come mai prima d’ora, mentre ballerini in costumi fluorescenti danno vita a questo classico sul palco.
Punti Salienti
🩰 5 straordinari ballerini illuminano il palcoscenico
🌟 I costumi fluorescenti creano uno spettacolare gioco di luci, dando vita alla storia
📖 Un amatissimo classico, La Bella Addormentata, reimmaginato in uno spettacolare splendore
🤩 Una fusione unica tra arte tradizionale e tecnologia moderna
Informazioni generali
📍 Luogo: Teatro Ghione, Via delle Fornaci, 37, 00165 – Roma
⏳ Durata: circa 60 minuti. Le porte aprono 30 minuti prima dell’inizio dell’evento. Non sono ammessi ritardi
👤 Requisito di età: dagli 8 anni in su. I bambini sotto i 16 anni devono essere accompagnati da un adulto
♿ Accessibilità: il luogo è accessibile alle sedie a rotelle
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Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma
Descrizione
Vivi La Bella Addormentata come mai prima d’ora in questo spettacolo di danza e luci. Goditi una fusione unica tra balletto classico e tecnologia moderna, dove ballerini locali illuminano letteralmente il palco con coreografie scintillanti e costumi fluorescenti. La storia senza tempo della principessa maledetta risvegliata dal bacio del vero amore prende vita sul palco, mentre piroette e salti mozzafiato creano un caleidoscopio di colori nello spazio. È una produzione bellissima che non vorrai perdere! Acquista ora i tuoi biglietti per We call it Ballet a Roma: La Bella Addormentata in uno spettacolo di danza e luci!
Al Teatro Ghione- Preparati per We call it Ballet a Roma
Roma-Al Teatro Palladium si apre la rassegna Shakespeare Encore-
Roma-Il Teatro Palladium continua a sperimentare e proporre format performativi innovativi, mettendo in dialogo arti, discipline, mondo accademico e pubblico. Dal 18 dicembre 2024, è la volta di “Shakespeare Encore” a cura di Maddalena Pennacchia, docente di letteratura inglese e specialista in studi shakespeariani, presso l’Università Roma Tre: una serie di appuntamenti che, nella storica cornice del teatro della Garbatella, si ispirano al teatro shakespeariano in un viaggio di andata e ritorno tra Italia e Inghilterra. Un viaggio nel tempo e nello spazio per conoscere da vicino, e sotto nuove prospettive, la straordinaria produzione di un autore che ha ‘inventato’ l’umano.
A inaugurare la rassegna sarà “Playing Shakespeare”, spettacolo scritto e diretto da Loredana Scaramella, che trasporta il pubblico nel cuore del teatro elisabettiano attraverso un intreccio di racconto storico e gioco scenico: lo spettacolo, già fortemente voluto da Gigi Proietti per il Globe Theatre di Roma, è un’esperienza che unisce il fascino della narrazione a una dimensione teatrale ludica e interattiva, in cui palco e platea si fondono in uno scambio vivo e vibrante.
Con sei attori, un musicista e una varietà di stili scenici, “Playing Shakespeare” racconta in modo leggero e accessibile il contesto culturale e sociale in cui è nata la produzione shakespeariana. “Il teatro elisabettiano era un laboratorio di creatività collettiva e popolare,” spiega Loredana Scaramella, “un luogo dove si moltiplicavano energie, idee e innovazioni. Questo spettacolo vuole restituire quella vitalità, celebrando il senso del lavoro condiviso e l’eredità che ci è stata tramandata.”
Roma-Teatro Palladium rassegna Shakespeare Encore
Playing Shakespeare mette in scena il mondo elisabettiano unendo l’aspetto divulgativo a quello puramente spettacolare, raccontando come lo spirito di collaborazione e un desiderio di comunicazione trasversale sia alla radice del teatro professionale che prende forma in quegli anni. Con l’aiuto delle musiche, le voci degli attori conducono gli spettatori in viaggio dalle taverne di Eastcheap fino alla vita della magica O di legno e dei suoi frequentatori. Con qualche sorpresa, qualche gioco e molta leggerezza.
Lo spettacolo si propone come un’esperienza, un viaggio. Con una forma leggera, conduce gli spettatori in un’escursione attraverso un’epoca magica e lontana, i cui frutti migliori continuano a essere goduti attraverso le opere che sono giunte fino a noi. L’obiettivo è far scoprire una società che trovava nel teatro il suo momento di incontro comunitario, svelandone gusti, fatiche e piaceri. Attraverso questa rappresentazione, vengono messe in luce le caratteristiche sociali del teatro elisabettiano: la sua straordinaria capacità di stimolare l’immaginazione degli spettatori e di creare un’intensa comunicazione tra attori e pubblico. Con strumenti elementari e propri di uno spazio “povero” – piccole attrezzerie e, soprattutto, le parole di Shakespeare – lo spettacolo lavora per generare interesse e coinvolgimento, trasformando la trasmissione di informazioni e la presentazione del teatro elisabettiano in un autentico viaggio nel tempo e nello spazio, e non in una semplice lezione.
Curata da Maddalena Pennacchia, docente di letteratura inglese presso l’Università Roma Tre, “Shakespeare Encore” nasce dal desiderio di riportare il teatro shakespeariano al centro del dialogo culturale cittadino. “Roma ha bisogno di Shakespeare e di un luogo dove ‘fare Shakespeare’,” afferma Pennacchia. “Questo progetto è un’occasione unica per avvicinare studenti, accademici e pubblico al suo straordinario corpus, esplorando la sua modernità e il suo valore universale“. La scelta di inserire “Playing Shakespeare” nella rassegna è in linea con l’attività dell’Università degli Studi Roma Tre Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere, che nel 2020 ha deciso, in collaborazione con la Politeama Srl, di creare e mettere a disposizione di studiosi e ricercatori un Archivio di dimensioni uniche in Italia, dedicato a questo esperimento di divulgazione del teatro shakespeariano, voluto e realizzato da Gigi Proietti.
Queste “ombre bianche”, cioè “storie brevi, divertimenti e dialoghi; infine occasioni, satire scritte negli ultimi quindici anni” che Flaiano radunò nel 1972 nella certezza che la realtà avesse ormai superato la satira, raccontano di «un “io” che detesta l’inesattezza ed è stato sopraffatto dalla menzogna». Vi ritroviamo dunque il Flaiano più risentito, impassibile e feroce, capace come pochi di mostrarci le allucinazioni di cui siamo vittime: e mentre legge e sorride è come se uno spiffero gelido investisse d’improvviso il lettore, perché nei mostri messi in scena riconosce, non solo la realtà che lo circonda, ma a tratti, e con raccapriccio, un po’ di se stesso.
Ennio Flaiano
Flaiano scrisse all’editor che l’apparente disordine delle parti del libro era voluto, calcolato. Ma così non sembra al lettore.
C’è un fil rouge che è il disincanto, la delusione, l’oppressione della condanna a un’esistenza che, per Flaiano, era diventata una gabbia; quel dolore interno che gli spezzò il cuore insomma.
Ma gli elementi che compongono questo pout-pourri, anche se scritti in un arco di tempo lungo – vent’anni più o meno – hanno in comune il lato lunare del pescarese, la sua famosa malinconia “canina”.
Non mancano guizzo e invenzione linguistica, battute e freddure. Ma prevale lo straniamento: il futuro è impossibile perchè lo sarebbe anche il presente, se non fosse umanizzato dalla parodia. Ed ecco cadere nella pretestuosità la fantasia: si tratti della vita su Marte, della corrispondenza impossibile, della cancellazione degli affetti verso quello che un giorno si immaginava sarebbe stato il mondo futuribile. “Nel duemila (cantava Bruno Martino) noi non mangeremo più le bistecche”, e Flaiano lo scrive e forse lo pensa.
I continui riferimenti erotici appartengono invece al Flaiano cinematografico, mente lucida del Fellini visionario, e gratta gratta anche qui sotto trovi la delusione personale di una vita familiare distrutta.
In sintesi, sembra di leggere il lungo percorso del brillante scrittore che si estingue giorno dopo giorno, non senza lo sberleffo che lo ha reso grande.
Ennio Flaiano
Flaiano scriveva col privilegiato disincanto di chi ormai si sente alieno a ogni passione, affrancato da ogni compromesso in una realtà che è riuscita a superare la satira, vittima di una quotidianità dove consumismo, conformismo e utilitarismo ormai non risparmiano nessuno.
Le sue ombre bianche disegnano sul muro i mostri di una commedia tutta italiana, da cui anche il mondo intellettuale ormai non è più esente, prigioniero di ghetti dorati da Basso Impero, lascivo di interminabili feste da Dolce Vita, dove il profumo delle “rose di Eliogabalo” segna il declino di quella grande bellezza, preda di marziani extraterrestri.
Perché è proprio in quel boom, le cui contraddizioni già denunciava Bianciardi nella sua “Vita agra”, che si intravedono i sinistri squarci di un Mondo Nuovo di barbari costruttori, di iene senza scrupoli a caccia di carogne, dove tutto fa notizia, tendenza, basta premere sull’acceleratore per non essere superati.
Non c’è curaro negli elzeviri di Flaiano, giacché anche il veleno è finito, non c’è speranza, si passa in rassegna ogni vizio endemico per enumerazioni, per mistificazioni, per aforismi. Per sconfinata desolazione, in odor di involontaria chiaroveggenza.
Roma-“Luciano Ventrone e la sua scuola” è il titolo della mostra, curata da Giordano Bruno Guerri, che sarà inaugurata giovedì 19 dicembre alle ore 19.00 nei Musei di San Salvatore in Lauro a Roma. Organizzata da “Il Cigno Arte” in collaborazione con la “Fondazione Luciano Ventrone e Miranda Gibilisco” e la “Galleria Stefano Forni”, racchiude i dipinti di Luciano Ventrone, oltre ad alcune opere di suo figlio Massimiliano Ventrone e di due allieve del grande maestro, Ilaria Morganti e Tatsiana Naumcic.
Cesti di frutta, uva e foglie di vite, mele, cachi, limoni, arance, mandarini, e poi ancora zucche, aglio, frutta secca, ma anche singoli melograni o angurie a pezzi, realizzati sulla tela per lo più in olio su tecnica mista: un tripudio di colori nelle venticinque “nature morte” di Ventrone, definito dallo storico dell’arte Federico Zeri il “Caravaggio del XX secolo”, che saranno esposte nei Musei di San Salvatore in Lauro.
“Ventrone viene sempre più riconosciuto come un grandissimo maestro del Novecento, però a mio parere è molto di più – sottolinea Giordano Bruno Guerri – , perché quello che ha fatto lui, non esiste in tutta la storia della pittura mondiale: la veridicità di quello che raffigura, i cesti di frutta, qualunque cosa dipinga, è qualcosa che va ben oltre il realismo e fa percepire l’anima delle cose; lui ci entra dentro e te la mette sotto gli occhi. È un incanto assoluto!“. Luciano Ventrone (Roma, 1942-Collelongo, 2021) affronta tutti i temi dell’arte contemporanea sino ad approdare al “realismo”. Nel 1983 un articolo scritto da Antonello Trombadori su L’Europeo induce Federico Zeri ad interessarsi dell’artista suggerendogli di affrontare il tema delle nature morte; è qui che inizia la lunga ricerca sui vari aspetti della natura, catturando particolari sempre più dettagliati e quasi invisibili ad “occhi bombardati da milioni di immagini” quali sono quelli degli uomini della nostra epoca.
Roma-MOSTRA-“Luciano Ventrone e la sua scuola”
“L’idea della mostra “Luciano Ventrone e la sua scuola” – racconta Lorenzo Zichichi, de “Il Cigno Arte” – parte da lontano. Prende vita da un percorso espositivo iniziato nel 2020 al Mart, Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, dove si è svolto un confronto tra le opere dei Caravaggeschi e Ventrone; poi prosegue in altre sedi espositive come ad Erice nel 2021, all’Istituto Wigner – San Francesco e al Polo museale “Antonio Cordici”, mettendo a confronto le opere di de Chirico e quelle di Ventrone; fino poi ad arrivare a Roma nel 2022, nei Musei di San Salvatore in Lauro, col dialogo di Ventrone con le opere di Guttuso, Guccione, de Conciliis. E infine è nata l’idea di realizzare una grande esposizione dedicata a Ventrone al Vittoriale degli Italiani, che è tutt’ora in corso, in parallelo con l’allestimento a Roma, entrambe curate da Giordano Bruno Guerri. Questa mostra vuole evidenziare come l’arte di Ventrone abbia ispirato una generazione di artisti, tra cui molti che hanno seguito la sua strada, sia nel figurativo, come Tatsiana Naumcic e Ilaria Morganti, sia nell’astratto, come Massimiliano Ventrone, suo figlio. La sua straordinaria capacità creativa ha suscitato una forte emulazione, dando vita a percorsi artistici diversificati, tutti però segnati dalla sua influenza. In questo modo, la mostra non solo racconta il percorso di Luciano Ventrone, ma anche di chi lo ha seguito“.
Saranno allestite nei Musei di San Salvatore in Lauro alcune opere realizzate con tecnica mista da Massimiliano Ventrone. “Arcobaleno senza colori”, “Asdrubale”, “Il circo”, “Blade Runner” sono alcuni dei dipinti più interessanti. Nato a Catania nel 1972, Massimiliano Ventrone vive e lavora a Roma; eclettico artista, musicista, compositore, produttore di colonne sonore e musica elettronica d’atmosfera, nel campo visuale ha lavorato con opere di visual art al computer legate al ritmo musicale. E’ in primo luogo un pittore che proviene da una consolidata esperienza di cromatologia e pittura della realtà, che sfocia in opere di espressionismo astratto, simbolista, che narra storie surreali, con intricati ed intensi tratti di colore.
Tra le più belle opere allestite, in olio su tela, di Ilaria Morganti, artista romana, classe 1975, saltano subito all’occhio per la loro plasticità “Con cosa vuoi che ti paghi”, “Break on through…” e “…to the other side”, ma anche “crash”. Il campo di indagine delle opere è incentrato sul linguaggio della pittura, chiamato in causa sul concetto di illusionismo. La riflessione è sulla natura della pittura e di ciò che essa mostra. Lo scopo di questa meticolosa pittura non è quello di spingere ai suoi limiti estremi la rappresentazione, ma di interrogarla nei suoi stessi presupposti. Tutto è incentrato sulla tela, vera protagonista della ricerca visiva e pittorica che ne mostra le peculiarità e le caratteristiche. Non c’è solo il piano bidimensionale del supporto: la pittura tende a sostituire la realtà e cerca di simularne la visione a livello ottico così come percepito dai sensi fisici, non limitandosi semplicemente alla dimensione della tela, ma andando oltre. Singolari sono le opere “To come into the word” e “Sagomato n.1” in olio su tela sagomata e “Sospensione” in olio su tela sagomata, e pellicola specchiante. I “Sagomati” suggeriscono una realtà che supera i confini imposti dal supporto tradizionale per invadere un nuovo campo. L’introduzione di un ulteriore elemento (un materiale specchiante) fa oltrepassare l’occhio dello spettatore e rimanda lo sguardo al di là della superficie bidimensionale del quadro, mentre l’introduzione di elementi reali contribuiscono a mescolare la realtà con la finzione della pittura.
I Musei di San Salvatore in Lauro ospiteranno anche alcune opere di Tatsiana Naumcic (Minsk, 1980), pittrice iper-realista contemporanea, originaria della Bielorussia e romana di adozione, tutte in olio su tecnica mista su tela di lino. “Di sasso in sasso”, “Plexus”, “Evanescenza” e “Sinuosità” tra le opere del 2019 e del 2020 allestite, affianco alle più recenti “Talisman”, “The fourth kind” e “Wisdom” del 2022. “Libertà” e “femminismo” sono al centro delle sue opere, espresse soprattutto con frutti e fiori esotici in composizioni minimaliste. La sua capacità artistica e il suo talento si manifestano sin dalla prima infanzia. Dopo un passato da arredatrice di interni a Mosca, ambisce di dipingere e vivere a Roma. Nel 2015 riesce a realizzare il suo sogno grazie all’incontro con Luciano Ventrone diventandone l’ultima allieva. Nel 2018 espone le sue opere insieme a quelle del Maestro all’interno della mostra “Luciano Ventrone. Meraviglia ed estasi”, nella chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino (Perugia). Da Luciano Ventrone la Naumcic ha appreso soprattutto “la tecnica”, quella qualità dell’immagine che riesce “a competere” con la fotografia, superandola e abbandonandola nella modalità con cui si esprime tecnicamente.
La mostra sarà aperta al pubblico nei Musei di San Salvatore in Lauro dal 20 dicembre 2024 fino al 19 gennaio 2025 (dal martedì al sabato, dalle 10 alle 13.00, e dalle 16.00 alle 19.00). L’ingresso è gratuito.
Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO
Bertolt Brecht:”La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria”.
L’ANALFABETA POLITICO (BRECHT) “Il peggiore analfabeta è l’analfabeta politico. Egli non sente, non parla, nè s’importa degli avvenimenti politici. Egli non sa che il costo della vita, il prezzo dei fagioli, del pesce, della farina, dell’affitto, delle scarpe e delle medicine dipendono dalle decisioni politiche. L’analfabeta politico è così somaro che si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica. Non sa l’imbecille che dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta, il bambino abbandonato, l’assaltante, il peggiore di tutti i banditi, che è il politico imbroglione, il mafioso corrotto, il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.” (Bertolt Brecht)
Bertolt Brecht
-Bertolt Brecht IL PEGGIOR ANALFABETA È L’ANALFABETA POLITICO – La nostra civiltà è intrisa di un profondo analfabetismo, eppure tutti sanno leggere e scrivere. Bertolt Brecht, grande poeta e drammaturgo della prima metà del ’900, traccia il profilo del nuovo analfabeta, per l’appunto l’analfabeta politico, il peggiore della categoria. Oltre la porta di casa tutto ciò che c’è è affare che non riguarda se stessi. Eppure questa ignoranza produce effetti drammaticamente deleteri perché fa regredire l’uomo da cittadino a suddito il quale non fa altro che apprendere apaticamente e subire le decisioni dall’alto. Brecht ci riporta anche degli atteggiamenti esteriori del nostro analfabeta. “Si vanta e si gonfia il petto dicendo che odia la politica”. La frase è tipica e, ahimè, troppo diffusa nella nostra società. La politica è affare di tutti e non si manifesta solo in senso stretto prendendo parte a questo o quel partito politico. Essere politicizzati significa comprendere di far parte di una società complessa, di una realtà che non può e non deve rimanerci indifferente. “Zoon politikon” diceva Aristotele, l’uomo è un “animale politico” e questa caratteristica è insita nella natura dell’essere umano. Rimanere indifferenti dinanzi alla società in cui si vive, riempendosi la bocca di espressioni come: “la politica è sporca”, “lo stato è corrotto”, “è già tutto deciso”, ci preclude di essere parte attiva, di avere un ruolo. Chi non pone rimedio alla propria ignoranza politica non sa scindere il bene dal male di una comunità. Brecht in maniera probabilmente anche molto forte fa una carrellata di esempi lampanti delle conseguenze del considerare la politica altro da sè, fuori dalla propria sfera di interessi. “Il bambino abbandonato, la prostituta, l’assaltante, il mafioso corrotto” sono solo alcuni esiti. Certamente la politica oggi non ci invita ad un suntuoso banchetto, ma nello stesso tempo non possiamo non partecipare alla mensa perchè i piatti non sono di nostro gradimento.
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht -Scrittore e uomo di teatro tedesco (Augusta 1898 – Berlino 1956). Nato da genitori di agiata borghesia, frequentò gli ambienti dell’avanguardia artistica monacense e berlinese abbandonando, senza concluderli, gli studi di medicina e volgendosi all’attività letteraria. Sullo scorcio degli anni Venti venne maturando il decisivo incontro, sia teorico sia politico, con il marxismo. Andato in esilio nel 1933, fu successivamente in Svizzera, Danimarca, Svezia, Finlandia e Stati Uniti, da dove nel 1948 rientrò in Europa, stabilendosi a Berlino Est. Qui, insieme alla moglie Helene Weigel, fondò nel 1949 il Berliner Ensemble, cui dedicò quasi per intero gli ultimi anni. Formatosi nel clima dell’espressionismo patetico e umanitario nonché dei giochi paradossali e provocanti del dadaismo, seppe trovarvi uno spazio poetico autonomo sin dai primi esperimenti originali (i drammi Baal, 1918; Trommeln in der Nacht, 1918-20; Leben Eduards des Zweiten von England, 1924; alcune liriche riunite più tardi nella Hauspostille, 1927), in cui circola una considerazione del mondo e delle cose che è disincantata e nello stesso tempo piena di umana curiosità, una ironia corrosiva che si diverte a demolire i valori più tradizionali della borghesia guglielmina, una ricerca delle ragioni materiali che sollecitano azioni e comportamenti degli individui. Sbocco naturale di tale posizione critica è una prospettiva sociologica, che se da un lato mette a fuoco il tema della massificazione nella società moderna (Im Dickicht der Städte, 1921-24; Mann ist Mann, 1924-26), dall’altro illustra la tesi proudhoniana della proprietà come furto e il processo capitalistico di feticizzazione del denaro (Die Dreigroschenoper, 1928, e Aufstieg und Fall der Stadt Mahagonny, 1927-29, nate dal felice incontro con l’estro musicale di Kurt Weill). Della prima egli darà una replica in prosa con il Dreigroschenroman, 1934). Prende anche corpo, in questo periodo, la teoria del teatro epico che Brecht contrappone allo psicologismo tradizionale: con spezzature di vario genere del crescendo drammatico, ne imbriglia gli effetti emotivi e crea un solido margine alla presenza attiva e cosciente delle facoltà razionali dello spettatore. Lo studio del marxismo, e la congiunta espansione dei suoi interessi ideologici, sono documentati dai cosiddetti “drammi didattici” (Das Badener Lehrstück vom Einverständnis, 1929; Der Jasager e Der Neinsager, 1929-30; Die Massnahme, 1930; Die Ausnahme und die Regel, 1930; Die Horatier und die Kuriatier, 1933-34, con la significativa appendice del Verhör des Lukullus, 1939). Ma attraverso l’asciuttezza della Heilige Johanna der Schlachthöfe (1929-31) e della Mutter (1930-32), e mentre le vicende politiche europee dall’avvento del nazismo allo scoppio della guerra gli ispirano opere di appassionata denuncia (Die Rundköpfe und die Spitzköpfe, 1932-34; Die Gewehre der Frau Carrar, 1937; Furcht und Elend des Dritten Reiches, 1935-38; Der aufhaltsame Aufstieg des Arturo Ui, 1941; Die Gesichte der Simone Machard 1941-43; Schweyk im zweiten Weltkrieg, 1942-43), egli matura quella sintesi di ragioni ideologiche e pienezza espressiva che si riflette non solo nelle conclusive formulazioni teoriche del Kleines Organon fu̇r das Theater (1948), ma anche nella drammatica limpidezza della tarda lirica, nella precisa dialettica dei Flüchtlingsgespräche (1940), e soprattutto nella produzione teatrale degli anni 1937-44 (Leben des Galilei, 1a stesura 1937-39; Mutter Courage und ihre Kinder, 1939; Der gute Mensch von Sezuan, 1938-41; Herr Puntila und sein Knecht Matti, 1940; Der kaukasische Kreidekreis, 1943-44): testi non slegati mai dalle vive occasioni storiche e dalle suggestioni del presente, ma pur capaci di proiettarle (meglio di quanto accada nell’incolore Die Tage der Commune, 1948-49) in una più lunga durata poetica e umana.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
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