Riflettori
Titina Maselli nel centenario della nascita-Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Titina Maselli nel centenario della nascita-Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi-
Roma- Musei di Villa Torlonia -La mostra in occasione del centenario della nascita di Titina Maselli (1924- 2005) intende offrire un’ampia visione retrospettiva dell’opera di Titina Maselli, riportando l’attenzione sulla pittura e la figura di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Inizia nell’ambito della Scuola romana, guarda al Futurismo per poi cominciare a mettere a fuoco singoli soggetti in inquadrature che sembrano anticipare la Pop Art, ma solo e sempre cercando di cogliere il carattere della modernità: tratto che ha decisamente definito l’intera sua carriera artistica. Grazie anche alla formazione che ha sviluppato fra Roma, New York e Parigi, Maselli ha in qualche modo precorso i tempi, le teorie e la storia dell’arte contemporanea. Le sue opere della fine degli anni Quaranta e Cinquanta, con le prospettive urbane, la serie sui grattacieli, le nature morte con materiali di scarto, sono state un sicuro termine di paragone e formazione per la nuova generazione artistica degli anni Sessanta.
Nel corso della sua carriera Maselli ha esposto in diverse edizioni della Quadriennale romana e della Biennale di Venezia, ed è stata conosciuta e stimata anche all’estero, soprattutto in Francia, grazie anche alla sua intensa attività di scenografa e costumista per il teatro. Nel corso degli anni, inoltre, sono stati tanti gli intellettuali di primo piano che si sono misurati con il suo lavoro: scrittori come Corrado Alvaro, Alberto Moravia e Jacques Dupin, storici e critici dell’arte tra i quali Renato Barilli, Enrico Crispolti, Duilio Morosini, Francesco Arcangeli, Marco Valsecchi, Maurizio Calvesi, Achille Bonito Oliva, registi come Michelangelo Antonioni, senza contare i tanti amici artisti come Lorenzo Tornabuoni, Renzo Vespignani, Gilles Aillaud. Ciononostante, ancora molto resta da fare per una adeguata rilettura critica del suo lavoro.
Ed è quello che si prefigge questa antologica, pensata e realizzata nell’ambito del progetto portato avanti da diversi anni dalla Sovrintendenza Capitolina, legato allo studio e alla conoscenza di importanti figure di artiste donne del XX secolo presenti nelle collezioni d’arte capitoline.
Il percorso espositivo, che copre l’intero arco temporale della produzione pittorica di Maselli, si snoda seguendo i principali temi iconografici a lei cari (i ritratti e autoritratti, lo sport, i paesaggi urbani e le nature morte oggettuali, il teatro). All’interno delle sezioni, in cui si articola la mostra nelle due sedi museali, vengono presentati una serie di lavori poco conosciuti oppure da lungo tempo non esposti, oltre a opere di collezioni pubbliche provenienti dal Museo Galleria del Premio Suzzara (MN), dal Museo del Novecento di Firenze, dai Musei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, insieme a dipinti, documenti e materiale archivistico presenti nelle raccolte capitoline (depositi del MACRO, Casa Museo Alberto Moravia, CRDAV Centro Ricerche Documentazione Arti Visive, Archivio della Galleria d’Arte Moderna). Sono esposte, inoltre, opere provenienti dalla Fondazione Toti Scialoja e da varie gallerie e collezioni private.
Il Casino dei Principi ospita un percorso cronologico incentrato sulla produzione degli anni Quaranta e Cinquanta, fatti salvi alcuni approfondimenti tematici trasversali che si prolungano fino agli anni Duemila, mentre il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di “Sapienza” presenta una selezione delle opere di grande formato dagli anni Sessanta in poi, insieme a documenti anche inediti sull’attività teatrale, come alcune fotografie di scena di Monica Biancardi e alcuni bozzetti, restaurati per l’occasione dall’ultima collaboratrice dell’artista, Barbara Bessi.
A compendio della mostra, nelle due sedi, viene presentato un ampio apparato documentale e archivistico teso ad approfondire il percorso artistico di Titina Maselli, come fotografie, cataloghi, dépliant con proiezioni di alcuni video documentari quali: “Le metropoli di Titina Maselli”, 1969, regia di Massimo Mida, Nexus film; “Nel ring della città”, (1971), regia di Mario Carbone, Egle Cinematografica; “Titina Maselli – peintre et scénographe (1924-2005)”, 2005, di Mark Blezinger.
Il catalogo della mostra è edito da Electa. Oltre ai saggi dei curatori e a un ricco apparato di immagini, ripresenta in forma integrale e per la prima volta la quasi totalità delle interviste e delle presentazioni dedicate all’artista, insieme alla biografia, la bibliografia e il regesto aggiornato delle scenografie e dei costumi teatrali.
Si rinnova l’impegno della Sovrintendenza Capitolina nel rendere accessibili e fruibili dal più ampio pubblico le esposizioni temporanee.
È prevista la possibilità di ascolto di approfondimenti audio e di fruizione tattile di alcune opere in riproduzione e la possibilità di fruire di visite guidate tattili-sensoriali per non vedenti e un loro accompagnatore.
Vedi > Visite Tattili
Audio 1 > Presentazione mostra
Audio 2 > Stratigrafie di immagini
Audio 3 > Nature morte. Le cose che nessuno avrebbe dipinto
Audio 4 > Gli antieroi della modernità: Calciatori, boxeurs, ciclisti
Audio 5 > “Le cose vicine”, notturni e paesaggi urbani
Audio 6 > Lo sguardo degli altri, i ritratti
Audio 7 > 1 Titina Maselli, Ciclista 1995 – 2 Titina Maselli, Ciclista 1995
Audio 8 > Titina Maselli, Camion, ante 1965
Audio 9 > Titina Maselli, Composizione urbana 1977-1981
Audio 10 > Titina Maselli, Camion ,1952
Audio 11 > Titina Maselli, Il Mare, 1950
Audio 12 > Titina Maselli, Calciatori 1966
Audio 13 > Toti Scialoja, Ritratto di Titina Maselli
Audio 14 > Gilles Aillaud, Ritratto di Titina Maselli, 1957
Audio 15 > Calciatore ferito, 1953
Audio 16 > Autista di piazza, 1950
Audio 17 > L’icona di Greta Garbo
Audio 18 > Titina Maselli, Garbo 1969
Audio 19 > Titina Maselli, Greta Garbo, 1964
Audio 20 > Titina Maselli, Da un subway all’altro, 1955
Audio 21 > Titina Maselli, New York, 1985
Audio 22 > Titina Maselli, Bistecca, 1947
Nota biografica
Figlia del critico d’arte Ercole Maselli e di Elena Labroca, Modesta Maselli, per tutti Titina, è nata a Roma l’11 aprile 1924.
Suo fratello minore, Francesco, detto Citto, è stato un regista cinematografico. L’appartamento di famiglia in via Sardegna è frequentato abitualmente da scrittori, pittori e intellettuali. In questo fervido clima culturale, Titina inizia a dipingere giovanissima, guardando all’espressionismo romano. Dopo il matrimonio con il pittore Toti Scialoja (1945) e un viaggio a Parigi (1947), avvia lo studio, del tutto originale per quegli anni, dell’oggetto comune, soggetto pittorico che svilupperà nel corso di tutta la sua produzione. A soli 24 anni tiene la prima personale alla Galleria L’Obelisco di Roma (1948).
La piena maturazione avviene durante gli anni di permanenza a New York (1952-55), in cui le suggestioni del panorama urbano notturno, fatto di luci, bar, teatri e cinema, automobili, danno vita a una produzione segnata da riferimenti al dinamismo futurista e dalla pittura del contemporaneo vedutismo americano. Di rientro da New York trascorre alcuni anni in Austria (fino al 1958) per poi rientrare a Roma, agli inizi degli anni Sessanta, con una pittura volutamente più fredda e minimale, attraverso l’uso di piani bidimensionali e colori accesi, antinaturalistici, che, per certi versi, anticipano gli esiti della pop art italiana. Si concentra, inoltre, sempre più sullo studio di figure umane in movimento, prediligendo immagini sportive, come pugili e calciatori. Soprattutto a partire dagli anni Settanta, in parallelo con la pittura, porta avanti anche un’intensa attività come scenografa e costumista teatrale, lavorando per teatri francesi, tedeschi e italiani.
Nel frattempo partecipa a diverse edizioni delle Biennali di Venezia e delle Quadriennali di Roma, mentre varie gallerie le dedicano mostre personali. L’artista si è spenta a Roma il 22 febbraio 2005.
Il progetto espositivo, a cura di Claudio Crescentini, Federica Pirani, Ilaria Schiaffini, Claudia Terenzi e Giulia Tulino, è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con Sapienza Università di Roma, con l’Archivio Titina Maselli e con il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Titina Maselli.
Organizzazione e servizi museali: Zètema Progetto Cultura.
LE DUE SEDI dell’esposizione:
Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi
MLAC Museo Laboratorio di Arte Contemporanea della “Sapienza” Università di Roma
Informazioni
Luogo
Musei di Villa Torlonia
, Casino dei Principi
Orario
dal 12 dicembre 2024 al 21 aprile 2025
Casino dei Principi, Villa Torlonia
dal martedì alla domenica ore 9.00 – 19.00
ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
24 e 31 dicembre 9.00-14.00
Giorno di chiusura: Lunedì, 25 dicembre
Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma, Piazzale Aldo Moro 5
dal lunedì al sabato ore12.00 – 19.00 (con ingresso gratuito)
Chiuso: domenica e festivi; dal 23 dicembre 2024 al 4 gennaio 2025; dal 17 al 21 aprile 2025.
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Biglietto d’ingresso
Tipo
Mostra|Arte Contemporanea
Giorni di chiusura
Lun
William Shakespeare -The Tragedy of Macbeth-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
William Shakespeare — The Tragedy of Macbeth-
Per la trama, William Shakespeare s’ispirò liberamente al resoconto storico sul re Macbeth di Scozia di Raphael Holinshed[5] e a quello del filosofo scozzese Ettore Boezio. Molto popolare è anche la versione operistica di questa tragedia, musicata da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave (1847, prima versione; 1865, seconda versione).
MACBETH
La vie n’est qu’une ombre qui passe, un pauvre acteur
Qui s’agite et parade une heure, sur la scène,
Puis on ne l’entend plus. C’est un récit
Plein de bruit, de fureur, qu’un idiot raconte
Et qui n’a pas de sens.
MACBETH
La vita è solo un ombra che passa, un povero attore
Chi si alza e sfila per un’ora, sul palco,
Poi non si sente più. È una narrazione
Pieno di rumore e furia che racconta un idiota
E chi non ha senso.
William Shakespeare-(1564 – 1616)— The Tragedy of Macbeth (1623); traduction de Yves Bonnefo, éditions Folio, coll. « Folio classique », 1995 Littérature et Poésie
Source Image : Open Library
Macbeth (titolo completo The Tragedy of Macbeth) è una fra le più note e citate tragedie shakespeariane.
Essa drammatizza i catastrofici effetti fisici e psicologici della ricerca del potere per il proprio interesse personale: l’esito di tale condotta è un gorgo inesorabile di errori e orrori.
Fu pubblicato nel Folio del 1623, probabilmente da un copione teatrale. Frequentemente rappresentata e riadattata nel corso dei secoli, Macbeth è divenuta l’archetipo per eccellenza della brama di potere sfrenata e dei suoi pericoli, definizione che è stata tuttavia spesso giudicata estremamente restrittiva, se non addirittura erronea[1], date le ampie ripercussioni di natura filosofica sui temi del destino, dell’azione e della volontà e le molte ombre e misteri che ancora aleggiano attorno alla vicenda della coppia Macbeth/Lady Macbeth, la cui vicenda personale è arricchita da un non-detto pregno di ambiguità.
Costituita da cinque atti, è la più breve tragedia di Shakespeare[2] ed è spesso stata indicata dalla critica come il suo lavoro più complesso e sfaccettato.[3][4]
Per la trama, William Shakespeare s’ispirò liberamente al resoconto storico sul re Macbeth di Scozia di Raphael Holinshed[5] e a quello del filosofo scozzese Ettore Boezio. Molto popolare è anche la versione operistica di questa tragedia, musicata da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave (1847, prima versione; 1865, seconda versione).
Trama
Atto primo
La tragedia si apre in una cupa Scozia medievale, in un’atmosfera di lampi e tuoni; tre Streghe (Le Sorelle Fatali, ispirate certamente alle Norne del mito norreno e alle Parche/Moire della tradizione greco-romana) decidono che il loro prossimo incontro dovrà avvenire in presenza di Macbeth.
Nella scena seguente, un sergente ferito riferisce al re Duncan di Scozia che i suoi generali, Macbeth e Banco, hanno appena sconfitto le forze congiunte di Norvegia e Irlanda, guidate dal ribelle Macdonwald. Macbeth, congiunto del re, è lodato per il suo coraggio e prodezza in battaglia.
La scena cambia: Macbeth e Banco appaiono sulla scena, di ritorno ai loro castelli, facendo considerazioni sulla vittoria appena conseguita e sul tempo “brutto e bello insieme”, che caratterizza la natura ambigua e carica di soprannaturale della brughiera desolata e pervasa di nebbia che stanno attraversando. Le tre streghe, che li stavano aspettando, compaiono e pronunciano profezie. Anche se Banco per primo le sfida, si rivolgono a Macbeth: la prima lo saluta come “Macbeth, sire di Glamis”, titolo che Macbeth già possiede, la seconda come “Macbeth, sire di Cawdor”, titolo che non possiede ancora, e la terza “Macbeth, il Re”. Macbeth è stupefatto e silenzioso, così Banco ancora una volta tenta di fronteggiarle, intimorito dall’aspetto delle Sorelle Fatali e dalle condizioni particolari e misteriose del momento: le streghe dunque informano anche Banco sull’essere capostipite di una dinastia di re e svaniscono, lasciando nel dubbio Macbeth e Banco sulla reale natura di quella strana apparizione.
Sopraggiunge dunque il re, che annuncia a Macbeth la concessione a suo favore del titolo di sire di Cawdor: la prima profezia è così realizzata e immediatamente Macbeth incomincia a nutrire l’ambizione di diventare re.
Macbeth scrive alla moglie (Lady Macbeth) riguardo alle profezie delle tre streghe. Quando Duncan decide di soggiornare al castello di Macbeth a Inverness, Lady Macbeth escogita un piano per ucciderlo e assicurare il trono di Scozia al marito, e anche se Macbeth mostra tentennamenti, volendo ritornare sui propri passi e smentendo le ambizioni manifestate nella lettera inviata alla moglie, quest’ultima infine lo convince.
Nella notte della visita, Lady Macbeth ubriaca le guardie del re, facendole cadere in un pesante sonno. Macbeth, con un noto soliloquio che lo porta a vedere di fronte a sé l’allucinazione di un pugnale insanguinato che lo guida verso l’omicidio del suo stesso re e cugino, s’introduce nelle stanze di Duncan e lo pugnala a morte. Sconvolto dall’atto, si rifugia da Lady Macbeth, che invece non si perde d’animo e recupera la situazione lasciando le due armi usate per l’assassinio presso i corpi addormentati delle guardie, imbrattando i loro volti, le mani e le vesti col sangue del re.
Al mattino, poco dopo l’arrivo di MacDuff, nobile scozzese venuto a recare omaggio al sovrano, viene scoperto l’omicidio. In un simulato attacco di rabbia, Macbeth uccide le guardie prima che queste possano rivendicare la loro innocenza.
Atto secondo
MacDuff è subito dubbioso riguardo alla condotta di Macbeth, ma non rivela i propri sospetti pubblicamente. Temendo per la propria vita, il figlio di Duncan, Malcolm, scappa in Inghilterra. Su questi presupposti, Macbeth, per la sua parentela con Duncan, sale al trono di Scozia.
A dispetto del suo successo, Macbeth non è a suo agio circa la profezia per cui Banco sarebbe diventato il capostipite di una dinastia di re, temendo di essere a sua volta scalzato. Così lo invita a un banchetto reale e viene a sapere che Banco e il giovane figlio, Fleance, usciranno per una cavalcata quella sera stessa. Macbeth ingaggia due sicari per uccidere Banco e Fleance (un terzo sicario compare misteriosamente nel parco prima dell’omicidio: secondo una parte della critica potrebbe essere immagine e personificazione stessa dello spirito dell’Assassinio). Banco viene dunque massacrato brutalmente, ma Fleance riesce a fuggire. Al banchetto, che dovrebbe celebrare il trionfo del re, Macbeth è convinto di vedere il fantasma di Banco che siede al suo posto, mentre gli astanti e la stessa Lady Macbeth non vedono nulla. Il resto dei convitati è spaventato dalla furia di Macbeth verso un seggio vuoto, finché una disperata Lady Macbeth ordina a tutti di andare via.
Atto terzo
Macbeth, che cammina ormai a cavallo fra mondo del reale e mondo soprannaturale, si reca dalle streghe in cerca di certezze. Interrogate, chiamano a rispondere degli spiriti: una testa armata dice a Macbeth “temi MacDuff”, un bambino insanguinato gli dice “nessun nato di donna può nuocerti”, un bambino incoronato gli dice “Macbeth non sarà sconfitto fino a che la foresta di Birnam non muova verso Dunsinane”; infine appare un corteo di otto spiriti a simboleggiare i discendenti di Banco, alla cui vista Macbeth si dispera.
Si avvia una stagione di sanguinaria persecuzione ai danni di tutti i lord di Scozia che il sovrano ritiene sospetti, e in particolare contro MacDuff. Un gruppo di sicari viene inviato al suo castello per ucciderlo, ma una volta lì i mercenari non lo trovano, essendo questi recatosi in Inghilterra per cercare aiuto militare contro Macbeth e avviare una rivolta. Gli assassini, a ogni modo, trucidano la moglie e i figli di MacDuff, in una scena piena di patetismo e crudeltà.
Atto quarto
In Inghilterra, MacDuff e Malcolm pianificano l’invasione della Scozia. Macbeth, adesso identificato come un tiranno, vede che molti baroni disertano dal suo fianco. Malcolm guida un esercito con MacDuff e Seyward, conte di Northumbria, contro il castello di Dunsinane, fortezza associata al trono di Scozia dove Macbeth risiede. Ai soldati, accampati nel bosco di Birnam, viene ordinato di tagliare i rami degli alberi per mascherare il loro numero. Con ciò si realizza la terza profezia delle streghe: tenendo alti i rami degli alberi, innumerevoli soldati rassomigliano al bosco di Birnam che avanza verso Dunsinane.
Atto quinto
Lady Macbeth, intimamente gravata di un crescente fardello morale, non regge più il peso dei suoi delitti e comincia a essere tormentata da visioni e incubi che sconvolgono il suo sonno: una sua dama racconta e mostra a un medico episodi di sonnambulismo, che sfociano in crisi disperate in cui la regina tenta di ripulire le mani da macchie di sangue incancellabili, confondendo passato e presente e rivelando tutti gli omicidi commessi per conquistare e mantenere il trono. Alla notizia della morte della moglie e di fronte all’avanzata dell’esercito ribelle, Macbeth pronuncia il famoso soliloquio (“Domani e domani e domani”), sul senso vacuo della vita e di tutte le azioni che la costellano, vani atti insignificanti che puntano al raggiungimento di obiettivi che non hanno alcun reale valore.
Richiede poi che gli siano portate armi e armatura, pronto a vendere cara la pelle in quello che già sente essere il suo atto finale.
La battaglia infuria sotto le mura di Dunsinane, e il giovane Seyward, alleato di MacDuff, muore per mano del tiranno, che poi affronta MacDuff. Macbeth ritiene di non avere alcun motivo di temere il lord ribelle, perché non può essere ferito o ucciso da “nessuno nato da donna”, secondo la profezia delle streghe. MacDuff però dichiara di “essere stato strappato prima del tempo dal ventre di sua madre”, e che quindi non era propriamente “nato” da donna. Macbeth tuttavia, nella furia della battaglia, accetta tale destino e non dimostra neanche un momento di cedimento nella sua lucida follia. I due combattono e MacDuff decapita Macbeth, realizzando così l’ultima delle profezie.
Anche se Malcolm, e non Fleance, salì al trono, la profezia delle streghe riguardante Banco fu ritenuta veritiera dal pubblico di Shakespeare, che riteneva che re Giacomo I fosse diretto discendente di Banco.
Si tratta di una tragedia fosca, cruenta, i cui personaggi sono ambigui e immersi in un’atmosfera a tratti apocalittica. Infatti, mentre in Re Lear il mondo naturale resta totalmente indifferente nei confronti delle vicende umane, Shakespeare sceglie di introdurre in Macbeth l’elemento sovrannaturale funesto che contribuisce a far crollare il regno del protagonista e a provocarne quindi la tragica morte. Il tema fondamentale della tragedia è la natura malvagia dell’uomo, o comunque la pulsione distruttrice che alberga all’interno del suo cuore. Lady Macbeth, personificazione del male, è animata da grande ambizione e sete di potere: è lei a convincere il marito, spesso indeciso, a commettere il regicidio (atto I), ma non riuscirà poi a sopportare la deriva di violenza dello stesso consorte, arrivando alla follia e, forse, al suicidio, mentre Macbeth andrà incontro a una lenta disumanizzazione di se stesso, accompagnata dalla perdita di contatto con la realtà, incluse le sue azioni più efferate.
Macbeth presenta una certa ambiguità: la sua sete di potere lo induce al delitto, ma ne prova anche rimorso, essendo incapace di pentimento.
Il soprannaturale è presente con apparizioni di spettri e fantasmi che rappresentano le colpe e le angosce dell’animo umano, nonché dalla presenza, forse reale o forse solo immaginata, delle tre streghe, quali emissarie di un Fato incombente e ineffabile, giustificazione e al tempo stesso ineluttabile sovrano delle sorti degli uomini.
Nella follia sanguinaria, Macbeth ha un solo conforto attraverso il contatto col soprannaturale e, all’inizio del IV atto, si reca nuovamente dalle streghe per conoscere il proprio destino. Il responso è solo in apparenza rassicurante, in realtà molto enigmatico, eppure Macbeth vi si appiglia con convinzione e affronta i nemici (V atto) fino al momento in cui scopre il vero significato di quelle oscure profezie.
Il tema del potere è sviluppato anche da altri personaggi, come il giovane figlio di Duncan, Malcolm, che si sente in qualche modo indegno del titolo regale: il nobile scozzese MacDuff, quindi, spiega quale sia la vera essenza del potere e quale differenza intercorra tra il regno, anche quello di una persona ambiziosa e corrotta, e la tirannide.
Interessante poi è la riflessione esistenziale (atto V, scena V) con una famosa definizione della vita umana, dominata da precarietà e incertezza, temi dominanti nel Barocco, età in cui Shakespeare visse: “La vita non è che un’ombra che cammina; un povero commediante che si pavoneggia e si agita sulla scena del mondo, per la sua ora, e poi non se ne parla più; una favola raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, che non significa nulla”.
The Scottish Play
Nell’ambiente teatrale anglo-sassone, il Macbeth è considerato di malaugurio: la curiosa superstizione, che porta a non citarlo esplicitamente, ma a usare perifrasi come « la tragedia scozzese», è ricordata fra gli altri da Ronald Harwood nel suo dramma Il servo di scena[6], quindi nell’omonimo film che ne fu tratto.
Traduzioni italiane
- Giustina Renier Michiel, Venezia, Costantini, 1798
- Giuseppe Nicolini, 1830
- Carlo Rusconi, 1831
- Francesco Maria Piave, tradotto per l’opera teatrale di Giuseppe Verdi, 1847
- Giulio Carcano, Firenze, Le Monnier, 1858
- Vincenzo Errante, Firenze, Sansoni, 1946
- Mario Praz, Firenze, Sansoni, 1947
- Gino Chiarini, Firenze, Sansoni, 1948
- Gabriele Baldini, Milano, BUR, 1951
- Salvatore Quasimodo, Torino, Einaudi, 1952
- Cesare Foligno, Milano, Mursia, 1963
- Cesare Vico Lodovici, Torino, Einaudi, 1964
- Elio Chinol, 1971
- Antonio Meo, Milano, Garzanti, 1974
- Agostino Lombardo, Milano, Mondadori, 1981
- Vittorio Gassman, Milano, Mondadori, 1983
- Nemi D’Agostino, Milano, Garzanti, 1989
- Alessandro Serpieri, Firenze, Giunti, 1997
- Goffredo Raponi, 1998
- Romana Rutelli, Venezia, Marsilio, 2001
- Guido Bulla, Roma, Newton Compton, 2008
- Paolo Bertinetti, Torino, Einaudi, 2016
Filmografia
Gli adattamenti cinematografici del Macbeth sono numerosi. In alcuni casi è stato mantenuto il testo originale, in altri casi sono stati aggiunti elementi nuovi per arricchire la trama. Il fascino del Macbeth ha portato molti registi a trapiantare i personaggi e le vicende narrate in luoghi e tempi assai diversi dall’originale (contesto mafioso, Giappone feudale, epoca moderna).[7]
- Macbeth, regia di Orson Welles (1948)
- Trono di sangue, regia di Akira Kurosawa (1957)
- Macbeth, regia di Paul Almond (1961)
- Macbeth, regia di Roman Polański (1971)
- Macbeth, regia di Franco Enriquez (1975)
- A Performance of Macbeth, regia di Philip Casson (1979)
- Macbeth, regia di Béla Tarr (1982)
- Uomini d’onore, regia di William Reilly (1990)
- Macbeth, regia di Bryan Enk (2003)
- Macbeth – La tragedia dell’ambizione, regia di Geoffrey Wright (2006)
- Macbeth, regia di Justin Kurzel (2015)
- Macbeth Neo Film Opera, regia di Daniele Campea (2017)
- Macbeth (The Tragedy of Macbeth), regia di Joel Coen (2021)
Successo a Roma della II Edizione di CORTI DA MARE-Biblioteca DEA SABINA
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Successo a Roma della II Edizione di CORTI DA MARE-
Successo a Roma della II Edizione di CORTI DA MARE – International Short Film Festival – Si è svolta a Roma, Ostia Lido, Acilia e Tolfa la II Edizione di CORTI DA MARE – International Short Film Festival, prodotto dalla CINEMART S.r.l. in collaborazione con Barrett International Group e Associazione ART GLOBAL, e con il sostegno di “LAZIO TERRA DI CINEMA – REGIONE LAZIO”. Direzione Artistica del dott. Franco Mariotti (Direttore di numerosi Festival di Cinema Nazionali ed Internazionali e già Ufficio Stampa di Cinecittà Holding). Ospite d’eccezione, Relatore e Giurato Sezione Videoclip il M° Vince Tempera (Compositore e Direttore d’Orchestra di fama Internazionale).In gara Short Film, Documentari, Interviste e Videoclip provenienti da tutto il mondo.
Il nutrito programma del Festival si è sviluppato nei seguenti appuntamenti:
TAVOLA ROTONDA SUL MARE E SU TEMATICHE AMBIENTALI – Roma (Casa del Cinema – Sala Gian Maria Volontè)
Relatori d’eccezione: Franco Mariotti in qualità di Direttore Artistico del Festival; Vince Tempera in qualità di Giuriato della Sezione Videoclip. Il Maestro ha commentato lo Short Film “Earth” e il Videoclip “I sensi del mare”, proiettati durante la serata, parlando dell’importanza della Colonna Sonora nelle Opere cinematografiche. Maurizio Chirri (Geologo e Docente Uniroma3 e Università “La Sapienza” di Roma) che ha incuriosito il pubblico presente con l’intervento “Il mare e i cicli della terra”, fornendo informazioni preziose sui cambiamenti climatici nei secoli. Numerose le domande fatte dal pubblico presente – Gianlorenzo Battaglia (Autore della Fotografia e operatore subacqueo con all’attivo circa 100 film realizzati, documentari e il programma per RAI 2 “Azzurro quotidiano” che documentavano la cultura, l’archeologia e le tecniche di pesca, viste anche sott’acqua, di vari Paesi del Mediterraneo) che ha raccontato numerosi aneddoti legati ai film per i quali ha realizzato riprese sott’acqua e dei quali ha commentato alcune foto proiettate in Sala – Eleonora Vallone (Attrice e Presidente Aqua Film Festival) che ha raccontato il suo rapporto speciale con l’Acqua e il Mare. Angelo Bassi (Produttore e Distributore MEDITERRANEA PRODUCTION) in qualità di Presidente Giuria Short Film e Documentari; alcuni Finalisti del Festival giunti da tutta Italia : Joseph Lu (Pianista e Compositore di Modica – RG, che ha ricevuto diverse Nomination in numerosi Premi Internazionali tra i quali l’Hollywood Independent Music Awards); Paolo Robino Cuddle (Pianista e Compositore Internazionale) che ha affascinato tutti i presenti con il suo videoclip “I Sensi del mare”; Caterina Novak (Mezzosoprano e Scrittrice) autrice di un VideoArt in cui immagini della terra e del mare si mescolano con i versi di una sua Poesia. Ha moderato Virginia Barrett.
INTERNATIONAL AWARDS CEREMONY- Roma (ANICA – Sala Proiezioni). Dopo il rituale Red Carpet con Foto all’arrivo degli ospiti, sono stati proiettati gli Short Film e i Videoclip Finalisti, e il Trailer del Documentario vincitore, già visionato dalla Giuria di Esperti composta da: Franco Mariotti, Angelo Bassi, Vince Tempera, Gianna Menetti (Direttrice CINEMART), Gianlorenzo Battaglia e Riccardo Antinori (Direttore di VIVIROMA.IT). La Giuria Popolare eracostituita dal dott. Alex Di Giorgio (Presidente Associazione “Arcobaleno dell’Arte”), dott.ssa Luisa Bischetti (già Ispettrice della Polizia di Stato), Claudio Caputo (Responsabile Sicurezza del Teatro dell’Opera di Roma), prof.ssa e dott.ssa Luisa Gorlani Gambino (Docente, Psicologa, Scrittrice), Alessia Sabelli (Giovane Attrice), Ludovica Blasi (Fotomodella). Sul Palco della Sala sono state esposte opere del M° Angiolina Marchese, Presidente dell’Associazione “ARTGLOBAL” e autrice delle preziose litografie delle sue Opere dedicate al mare donate ai Vincitori, agli Ospiti e ai Giurati. Ospiti della serata : Eleonora Vallone, alla quale è stato consegnato un riconoscimento per l’impegno profuso nella diffusione della Cultura dell’Acqua, del Mare e della sua tutela; la dott.ssa Raffaella Zannetti, membro della Comunicazione di UNICEF Fondazione ETS, che ha presentato uno Spot dedicato ai bambini vittime di tutte le guerre. Nello Spot, alcuni bambini di Gaza sognano di ritornare a scuola con gli amici, ma nel frattempo si accontentano di pescare pesci in mare, luogo di serenità e Pace, dunque “PACE IN MARE, PACE IN CIELO, PACE IN TERRA, OVUNQUE PER OGNI BAMBINO”. Ad UNICEF è stato consegnato un riconoscimento per l’impegno costante profuso nella cura di bambini in stato di disagio; Cristiana Bini Leoni, che ha presentato un Video ricordo del marito Roberto Leoni, noto Regista e Sceneggiatore scomparso di recente. Al termine delle proiezioni le Giurie hanno consegnato le votazioni alla dott.ssa Luisa Bischetti che ha stilato la classifica dei Vincitori insieme alla Produttrice del Festival Gianna Menetti e a Claudio Caputo.
SEZIONE SHORT FILM : 1° PREMIO e PREMIO MIGLIOR FOTOGRAFIA “AL DI LA’ DEL MARE” di Massimo Ivan Falsetta. I Premi sono stati consegnati da Angelo Bassi e Gianlorenzo Battaglia. 2° PREMIO : “MARTINA SA NUOTARE” di Giorgio Molteni. 3° PREMIO : “LUISA E’ AL MARE” di Giuseppe Caponio. PREMIO SPECIALE : “EARTH” di Joseph Lu. Il Premio è stato consegnato da Gianna Menetti.
MENZIONE SPECIALE “LUCI SPARSE” Videoart di Poesia e Immagini di Caterina Novak. Il Premio è stato consegnato dal M° Angiolina Marchese.
SEZIONE DOCUMENTARI : 1° PREMIO ASSOLUTO “ERA SCRITTO SUL MARE” di Giuliana Gamba. Il Premio è stato consegnato dal dott. Franco Mariotti.
PREMIO DELLA CRITICA : “IL MAESTRO DEL MARE” Documentario scritto da Kyrahm e Julia Pietrangeli anche Regista dell’Opera. Il Premio è stato consegnato dal dott. Riccardo Antinori, Direttore di VIVIROMA e Presidente Giuria Stampa.
SEZIONE VIDEOCLIP : 1° PREMIO “I SENSI DEL MARE” di Paolo Robino Cuddle – Il Premio è stato consegnato dal M° Vince Tempera; 2° PREMIO “IL LAMENTO DEL MARE” di Tiziana Scimone; 3° PREMIO EX AEQUO a “FLIGHT OVER THE OCEAN” di Fausto Bizzarri (Videoclip Musica Strumentale) e “ZUCCHERO, ZUCCHERO” di Flora Vona (Videoclip).
PREMIO MIGLIOR COLONNA SONORA DA FILM al M° Gabriele Saro, autore del brano “VENICE” per l’omonimo Videoclip, al quale è stato conferito anche il Premio della Giuria Popolare che ha molto apprezzato l’idea dell’Opera con una panoramica su Venezia vista dagli occhi del noto Fotografo Diego Cinello. Ha condotto l’Evento Virginia Barrett (Attrice, Regista, Musicista). A seguire si è svolto un momento conviviale con Cocktail di fine Evento.
INTERVIEWS AWARDS CEREMONY – Ostia Lido (Teatro Arcadia)
La mattinata è stata aperta dall’Intervento di Fulvio Volpi, Comandante del natante della APS SOTTO AL MARE , definito “Astronauta dell’acqua”. Durante l’Evento sono state premiate le migliori Interviste ad over 60 su ricordi di vita legati al Mare, realizzate ad Acilia, Ostia Lido e Tolfa da una Troupe della CINEMART. Le Interviste, già visionate dalla Giuria di Esperti, sono state anche valutate dalla Giuria Popolare presente in Sala. Tutti concordi per i Premi da assegnare: 1° PREMIO a Fernanda Sergio di Donnamasa; 2° PREMIO a Franco Capitanelli; 3° PREMIO ad Ambra Sax. Inoltre sono stati assegnati Diplomi d’Onore ai tre CSA partecipanti : Centro Anziani di Piazza dei Sicani (Acilia) Presidente Vincenzo Basso – Centro di Promozione Sociale “La Rocca”(Tolfa) Presidente Daniela Cedrani – CSAQ Piazza Ronca 22 (Ostia Lido) Presidente Veronica Vincenza Volpi. E’ intervenuto Mimmo Barbuto, Coordinatore dei dieci CSAQ del X Municipio di Roma. L’Attrice e Regista Virginia Barrett, conduttrice del Matinée, ha letto in modo appassionato alcuni Racconti dal Libro “Balene salvateci! – I Cetacei visti da un’altra prospettiva” (Casa Editrice MURSIA)di Maddalena Jahoda (Biologa e Divulgatrice Scientifica), accompagnata dalle calde note della chitarra classica del M° Angelo Cacciato (Compositore e Polistrumentista) e dalla voce recitante, con ironica inflessione veneta, di Barbara Braghin (Attrice eGiornalista). LaPoetessa e Scrittrice Melina Mignemi ha emozionato il pubblico con la lettura delle sue Poesie “Siculo profumo di mare” e “Cascata d’acqua”, dedicate al mare della sua Sicilia e tratte dal Libro “La penna dell’anima” (Edizioni Nuova Impronta).
Ospiti : il prof. Gennaro Ruggiero Direttore del Festival “Corti al Tevere”e la dott.ssa Angelica Loredana Anton Presidente della Fondazione AREA CULTURA di Roma che ha consegnato il Premio “ATHENA d’ORO” a Virginia Barrett, eccellenza nel settore della Cultura. A chiusura dell’Evento sono state proiettate alcune delle Opere dei Vincitori delle Sezioni del Festival.
Tutti gli Eventi si sono svolti ad ingresso libero e gratuito.
Franco Leggeri Fotoreportage -Roma Gianicolo:” La quercia del Tasso” -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Franco Leggeri Fotoreportage-Roma Gianicolo-La quercia del Tasso –
Articolo di Marco Fulvio Barozzi –Fotoreportage di di Franco Leggeri per REDREPORT-Quell’antico tronco d’albero che si vede ancor oggi sul Gianicolo a Roma, secco, morto, corroso e ormai quasi informe, tenuto su da un muricciolo dentro il quale è stato murato acciocché non cada o non possa farsene legna da ardere, si chiama la quercia del Tasso perché, avverte una lapide, Torquato Tasso andava a sedervisi sotto, quand’essa era frondosa.
Anche a quei tempi la chiamavano così.
Fin qui niente di nuovo. Lo sanno tutti e lo dicono le guide.
Meno noto è che, poco lungi da essa, c’era, ai tempi del grande e infelice poeta, un’altra quercia fra le cui radici abitava uno di quegli animaletti del genere dei plantigradi, detti tassi.
Un caso.
Ma a cagione di esso si parlava della quercia del Tasso con la “t” maiuscola e della quercia del tasso con la “t” minuscola. In verità c’era anche un tasso nella quercia del Tasso e questo animaletto, per distinguerlo dall’altro, lo chiamavano il tasso della quercia del Tasso.
Alcuni credevano che appartenesse al poeta, perciò lo chiamavano “il tasso del Tasso”; e l’albero era detto “la quercia del tasso del Tasso” da alcuni, e “la quercia del Tasso del tasso” da altri.
Siccome c’era un altro Tasso (Bernardo, padre di Torquato, poeta anch’egli), il quale andava a mettersi sotto un olmo, il popolino diceva: “E’ il Tasso dell’olmo o il Tasso della quercia?”.
Così poi, quando si sentiva dire “il Tasso della quercia” qualcuno domandava: “Di quale quercia?”
“Della quercia del Tasso.”
E dell’animaletto di cui sopra, ch’era stato donato al poeta in omaggio al suo nome, si disse: “il tasso del Tasso della quercia del Tasso”.
Poi c’era la guercia del Tasso: una poverina con un occhio storto, che s’era dedicata al poeta e perciò era detta “la guercia del Tasso della quercia”, per distinguerla da un’altra guercia che s’era dedicata al Tasso dell’olmo (perché c’era un grande antagonismo fra i due).
Ella andava a sedersi sotto una quercia poco distante da quella del suo principale e perciò detta: “la quercia della guercia del Tasso”; mentre quella del Tasso era detta: “la quercia del Tasso della guercia”: qualche volta si vide anche la guercia del Tasso sotto la quercia del Tasso.
Qualcuno più brevemente diceva: “la quercia della guercia” o “la guercia della quercia”. Poi, sapete com’è la gente, si parlò anche del Tasso della guercia della quercia; e, quando lui si metteva sotto l’albero di lei, si alluse al Tasso della quercia della guercia.
Ora voi vorrete sapere se anche nella quercia della guercia vivesse uno di quegli animaletti detti tassi.
Viveva.
E lo chiamarono: “il tasso della quercia della guercia del Tasso”, mentre l’albero era detto: “la quercia del tasso della guercia del Tasso” e lei: “la guercia del Tasso della quercia del tasso”.
Successivamente Torquato cambiò albero: si trasferì (capriccio di poeta) sotto un tasso (albero delle Alpi), che per un certo tempo fu detto: “il tasso del Tasso”.
Anche il piccolo quadrupede del genere degli orsi lo seguì fedelmente, e durante il tempo in cui essi stettero sotto il nuovo albero, l’animaletto venne indicato come: “il tasso del tasso del Tasso”.
Quanto a Bernardo, non potendo trasferirsi all’ombra d’un tasso perché non ce n’erano a portata di mano, si spostò accanto a un tasso barbasso (nota pianta, detta pure verbasco), che fu chiamato da allora: “il tasso barbasso del Tasso”; e Bernardo fu chiamato: “il Tasso del tasso barbasso”, per distinguerlo dal Tasso del tasso.
Quanto al piccolo tasso di Bernardo, questi lo volle con sé, quindi da allora quell’animaletto fu indicato da alcuni come: il tasso del Tasso del tasso barbasso, per distinguerlo dal tasso del Tasso del tasso; da altri come il tasso del tasso barbasso del Tasso, per distinguerlo dal tasso del tasso del Tasso.
Il comune di Roma voleva che i due poeti pagassero qualcosa per la sosta delle bestiole sotto gli alberi, ma fu difficile stabilire il tasso da pagare; cioè il tasso del tasso del tasso del Tasso e il tasso del tasso del tasso barbasso del Tasso.
Articolo Pubblicato da Marco Fulvio Barozzi sul sito web Popinga –
venerdì 3 maggio 2013-Scienza e letteratura: terribilis est locus iste-
La Campagna Romana nelle tempere e nei pastelli di Giulio Aristide Sartorio-Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
La Campagna Romana nelle tempere e nei pastelli di Giulio Aristide Sartorio
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
La Campagna Romana nelle tempere e nei pastelli di Giulio Aristide Sartorio,Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 -Man mano che la via Appia scende nelle paludi un silenzio innaturale comincia a gravare sul paesaggio . I canti si affievoliscono , non si sentono grida di gioia, ma solo l’indefesso zirlio delle cicale e un gracidare assordante . Qualche bifolco , qualche contadino , qualche buttero giallo di febbre vi fanno un triste saluto . Pian piano si scoprono tra le canne dei lustri sospetti: è l’acqua stagnante … Nei rari casali , nelle povere osterie, vi salutano uomini dall’aspetto fraterno , ma come scaturiti dal passato. Paiono di una stirpe che non è morta mai ; le loro facce sembrano lavorate come i ruderi della Campagna e su di esse si leggono i sacrifici secolari. La via Appia procede così per miglia e miglia, attraverso un paese sospetto , ricco di pascoli , di macchie, ma silenzioso . Gli archi della strada superano i canali fangosi nei quali si vedono i bufali immobili, mentre rari guizzi accusano i pesci. Qualche famiglia di pescatori ha costruito le capanne sulle palizzate e vive come gli uomini primitivi fabbricando le stuoie e le nasse. Sembra di essere catapultati in un paesaggio arretrato nei secoli; sembra d’essere in una specie di Stige e la nostra vita civile
“sembra un inganno , un’illusione”.
Questo paesaggio e questa vita –triste, solenne, straordinariamente caratteristica- il Sartorio delinea con tocchi rapidi e suggestivi in un conferenza su Terracina e traduce da tempo in piccole tempere e pastelli.
Giulio Aristide Sartorio , uscito da una famiglia d’artisti imbevuti di classicismo e che consideravano , quindi, il paesaggio come manifestazione artistica di scarsa importanza, non si dedicò sin dai primi anni agli studi che poi ha privilegiato. Fino alla Gorgone e alla Diana Efesina il Sartorio fu sotto l’influenza deli insegnamenti paterni e deve al pittore Francesco Paolo Michetti il primo impulso verso questi nuovi orizzonti.
Nell’Esposizione parigina del 1889 un suo quadro – I figli di Caino- fu premiato con una medaglia d’oro; e in questa occasione egli si recò , insieme al Michetti, alla Mostra di Parigi.
L’amore e la conoscenza profonda che il Michetti aveva per i paesisti francesi del ‘30 gli rivelarono tutto un mondo quasi ignoto, lo appassionarono per una manifestazione artistica da lui prima poco stimata. Ed a Francavilla a Mare, subito dopo Parigi , segnò con i pastelli del suo grande amico le prime impressioni di paese. Venuto a Roma, trovò nell’amicizia di due nobili illustratori della Campagna Romana- il Carlandi e il Calemann- stimolo costante a che l’improvvisa rivelazione non impallidisse. E il Carlandi e il Colemann gli furono guida nelle prime escursioni attraverso l’Agro Romano: anzi fra loro tre si fermò il progetto di una illustrazione completa di esso; progetto che, purtroppo, pare abbandonato. Ed ora ben pochi conoscono come il Sartorio le segrete bellezze e le ardenti emozioni che può offrire a
chi la contempli con anima candida e fervente l’interminata desolazione della Campagna Romana. Finora il Sartorio, sotto l’aspetto assai cospicuo di paesista, era stato conosciuto frammentariamente- quasi si potrebbe dire saggiato- nelle mostre di Venezia, di Roma, di Milano. Nel febbraio, però, sono state esposte a Londra settantatrè opere – metà tempere, metà pastelli- fra nuove e vecchie sensazioni paesistiche di lui, sì che la mostra offre la visione completa di quel che il Sartorio rappresenta non solo come paesista, ma anche come interprete di una regione nello svolgimento dell’Arte moderna. A Roma, nel salone Corrodi, si è tenuta la prova generale del grande spettacolo londinese: e artisti, amatori, studiosi, giornalisti sono accorsi: e in tutti era profondo il convincimento che il Sartorio fosse il vero multiforme poeta della Campagna Romana e che la mostra odierna avesse una significazione e una organicità profonda che la rendeva un avvenimento artistico affatto insolito. Bisognava vedere, infatti, quale tenace legame spirituale collegava tutte queste Opere così varie di soggetto, di sentimento, di tecnica e come il loro
intimo valore d’arte si intensificasse e si accendesse nel dispiegamento magnifico! La semplicità aristocratica e originale del taglio – rarissima perché segno di una personalità squisita-;la varietà dei momenti colti e la tecnica varia e sensibilissima con cui son resi ; la finezza e la intensità del sentimento onde son tutti materiali; la suggestiva magia evocatrice che li anima pareva che si avvivasse e si ampliasse in una vita più ricca e più ardente. Il Sartorio mantiene nel suo spirito una spiccata propensione per il mondo classico di cui egli ha una conoscenza straordinaria per un artista e perciò predilige quei luoghi della Campagna Romana avvolti nei veli fantasiosi delle leggende oppure onusti di memorie. Così si spiega il gran numero di quadri nei quali egli canta Terracina e il Circeo. E’ il mare di Omero e di Virgilio e-scrive il Sartorio nella conferenza citata- :”i navigli a vela che oggi lo solcano potrebbero essere le navi di Giasone, di Ulisse, di Enea, di Augusto, di Genserico; potrebbero essere flotte che portarono la Poesia , l’Arte, la Guerra, la conquista, la distruzione: pare che noi stessi abbiamo vissute tutte le vicissitudini antiche.” Circe, l’incantatrice di Colchide, ebbe nella regione il suo regno fatale: e il suo spirito sembra che aleggi ancora sul mare azzurro , sulle azzurre lenee dei monti , sulle rovine dei Templi, sugli stagni putridi e mortali . Una solenne atmosfera di silenzio
circonfonde Terracina squallida , chiusa tragicamente nella luce del suo passato, quando i traffici ed il commercio urgevano, quando gli eroi turbinavano intorno, quando l’arte risplendeva nel tempio di Anxur che prometteva al suo popolo la giovinezza eterna e in molti altri Templi e Fori e Basiliche e case. L barcgìhe pescherecce sotto al Circeo con le vele tessute di luce . gonfie e veloci sulla solenne distesa del mare azzurrissimo nella violenza del sole sembrano quelle che passarono innanzi l’isola a vele spiegate una notte remota tra il ruggire dei leoni incatenati e l’ululare dei lupi, mentre Odisseo era tenuto prigioniero nel palazzo incantato di Circe. I bufali pigri, fangosi, dagli occhi iniettati di sangue che triano una pesante carrozza presso Terracina, guazzando in mezzo all’acqua, sembrano veramente quelli abbandonati dalle torme unne di Genserico nella loro partenza precipitosa. Altri bufali lenti e grevi tirano un carro dalle enormi ruote ai monti Ausoni di linea sobria e sdegnosa, interrotta dal Pesco montano, una rupe a foggia di torre sporgente dal Tirreno come faro ciclopico. Esso fu tagliato sotto il primo impero perché contenesse la via Appia, la quale solo colà toccava il mare ed era un punto strategico guardato dal presidio romano chiuso nel Castrum che circondava il tempio di Anxur. Sul davanti del quadro il terriccio melmoso si affloscia ed affonda . L’ampio paesaggio sembra fasciato in tedio profondo , in un silenzio pauroso ed il carro ed i bufali ed i conducenti sembrano silenziose apparizioni fantastiche. Ancora altri bufali affogati nel fango , con le teste torte in alto , ansanti, guardati da due butteri monumentali, selvaggi ruderi di una remota età eroica. Desolazione epica domina anche nelle rovine del porto di Trajano, ora pozzanghera in cui guazzano i bufali, ma un tempo rifugio ricco di vele e di grida che vide partire verso l’Africa gran parte del bottino di Genserico. E’ un arco di terra melmosa cui sono attaccati ancora gli anelli per le navi e al di là di essa si stende sconfinato il mare, rompendosi in spuma sulla terra
superstite ch’esso ogni dì più incalza e sopprime. L’organismo coloristico è squisito : i toni aurati iridescenti delle nuvole pendule sul mare si fondono mirabilmente con quelli oscuri e sordi dell’acqua opaca e della terra che scoscende , rilevati dalla massa azzurra del monte e dalla macchia rossa della casetta che si erge a destra . Molti di questi finissimi quadri si fan notare , oltre che per la loro significazione sempre profonda , per la raffinata seduzione del colore. Vi è una tempera – L’aratura a Foro Appio- che è tutta una delicata sinfonia di toni gialli nell’immensità triste del piano, nelle figure dell’uomo e dei buoi, atomi perduti nello spazio. Un’altra tempera –Nel lago di Nemi, sotto villa Cesarini- in cui attraverso un incrocio fantastico di olmi e platani s’intravvede il cielo roseo sorridente sulle masse azzurrine dei monti, è un accordo finissimo di giallo, verde , rosso , azzurro. Nell’Aratura con i bufali è il roseo chiarore dei monti che anima il paesaggio illuminandolo di un sorriso infinito di pace e di gioia, mentre un lungo convoglio di bufali immani passa con andatura lenta grave come nell’eternità del tempo. Fini illustrazioni ha anche Ostia. Una tempera
che ritrae un piccolo cimitero settecentesco , il cui modesto ingresso è fiancheggiato da due colonne joniche, ornamento forse di qualche villa romana, è una visione di una semplicità e di una signorilità più che squisita, resa con magnifica nitidezza e rilievo, animata da un occhieggiare vivace di papaveri che squillano nella chiara luminosità diffusa sulla campagna. E’, come tante cose del Sartorio, una cosa fatta di niente, ma piena di freschezza e di aristocratica distinzione. Guardate il Pagliaio così morbido, tagliato finemente sull’orizzonte luminosissimo, perlaceo per lo sfolgorare del sole. Guardate lo studio di Tor di Quinto: una semplicissima linea di colline su cui si arrampicano curve le pecore, tutta soffusa di una tristezza e di una poesia infinita. Il Sartotio ha la virtù dei grandi artisti, quella di innalzare ad espressione di arte le forme più umili della vita e della natura, di essere sempre semplice ed originale insieme, di animare come per incantesimo perfino manifestazioni d’arte strascinate per tutte le mostre e tutte le botteghe. Vuol rendere le rovine dei
monumenti romani e non fa né la veduta, né la cartolina illustrata. Le colonne superstiti del Teatro di Ostia sembrano membra sparse, ma ancora viventi, di un organismo già vibrante e pare che anelino all’alto agili e fulgide; le rovine delle Terme antoniniane , quadro di fattura finissima, sembrano penetrare in ogni pietra, in ogni linea di una vita profonda e anche gli acquedotti hanno una grandiosità altera, solenne di voci remote che li rende una vera e grande evocazione di vita fuggente nei secoli. Le paludi e il Litorale pontino sono evocati in alcuni quadretti che sono i migliori della serie, specie quello rappresentante un armento di bufali che attraversa un ponte di pietra, il cui riflesso rossastro anima l’acqua appena increspata e, più ancora, quel lembo di litorale , vero capolavoro, in cui è reso possentemente l’infinito del mare e quel senso di timoroso stupore, di tristezza, di annichilimento che esso produce e che la tenue vita delle pecore beventi intensifica. Delle illustrazioni di Tivoli è assai fine quella che ritrae una cascata, ora scomparsa, scendere rumorosa e fresca tra rigogliose siepi verdi, e le due rive dell’Aniene , eleganti nella loro pace un po’ triste, fresche di ombre animatrici. Di Castel Fusano si
vede lo Stagno del Levante , immobile, triste, armonia di toni verdi, e il viale del coniglio, grandioso, in cui le masse brune dei pini ondeggianti staccano sopra il cielo diafano che appare a tratti tra esilità dei rami. La pineta di Sant’Anastasia è resa in due aspetti diversissimi- una volta oasi perduta in una desolazione immensa, affondata in un orizzonte torbido, chiuso da una monotona linea di monti- un’altra come parco signorile racchiudente una casetta candidissima: una visione gaia, fresca, aristocratica. Molti altri quadri ritraggono svariati aspetti della Campagna Romana. La strada attraverso la selva laurentina, oltre a rivelare una straordinaria abilità tecnica , è altamente suggestiva per lo sfondo misterioso, per la immobilità quasi esanime degli alberi e delle erbe che sembrano forme di una vita lontana. Di morbidezza squisita e finissima di chiaroscuro è la Raccolta del fieno. Più fine e possente il Temporale sulla via Cassia bianca di polvere, su cui rotolano con grave incedere carri tirati da bufali. L’appesantimento dell’aria , l’attenuazione dei colori pel filtrare lieve del sole, l’aspettazione misteriosa e raccolta che si diffonde sugli
uomini e sulle cose insieme a una tristezza profonda fanno apparire imminente l’abbattersi della bufera. L’Aratura di settembre in una sterminata e desolata campagna chiusa da monti assume una grandiosità sovrannaturale come se fosse una funzione sacra. Assai delicata è la Pastorale, pervasa di una tristezza elegiaca che si effonde non solo dal volto accasciato del suonatore gonfio e lacero, ma anche da quel rudero-voce d’altri tempi- staccante sul piano erboso e dalla squallida distesa interminata avvolta in una luminosità diffusa. Epica è la Sera nella Campagna Romana per il rossore tragico che avvolge come di un velo di nebbia il desolato piano erboso, le pecore strette l’una all’altra, timidamente. Certi grandi quadri hanno raggiunto una vita straordinaria, riprodotti in piccole dimensioni. Così quello già a Venezia in cui si vedono le pecore disposte a semicerchio come per un misterioso rito sotto il tenue chiarore roseo dell’estremo crepuscolo, mentre la luna rosseggia pallida e incerta dietro i vapori : pare che un silenzio argentino circonfonda ogni cosa ; pare che un infinito senso di poesia da ogni cosa emani. Così da Tonnara , esposta a
Milano nel 1906, che appare più intensa nell’azione, più armonica nella costruzione , più accordata nel colore. La pittura , con questi lavori, il Sartorio ha superbamente rappresentato e descritto la Campagna Romana.
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
Biografia di Giulio Aristide Sartorio.
Allievo prima del padre e poi dell’Accademia di San Luca fece i suoi primi passi all’insegna del fortunismo alla moda con quadi in costume settecentesco o comunque contrassegnati dalla pennellata virtuoso e dalla tematica facilmente leggibile. Nel 1883 inviò all’Esposizione di Belle Arti di Roma Dum Romae consulitur morbus imperat ovvero Malaria (opera dispersa), potente dipinto neo caravaggesco di denuncia sociale. Nel 1889 vinse la medaglia d’oro a Parigi con I figli di Caino e si avvicinò a Francesco paolo Michetti, da cui derivò l’amore per il pastello e per il paesaggio. Contemporaneamente alla frequentazione di In Arte Libertas realizza il trittico Le Vergini Savie e Le Vergini Folli per il conte Gegè Primoli, opera intrisa di umori neo bizantini. Un passo successivo fu il dittico Diana d’Efeso e gli Schiavi e La Gorgone e gli Eroi – vera e propria summa della sua stagione simbolista e delle sue riflessioni sull’arte – opera che alla Biennale di Venezia del 1899 ottenne l’acquisto statale per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Tra il 1908 e il 1912
realizzò l’intero fregio per la nuova aula del Parlamento mettendo a punto un nuovo linguaggio per la decorazione ambientale dove si coniugava il classicismo michelangiolesco con la propria sigla inconfondibile. Allo stesso periodo risale la partecipazione al gruppo dei XXV della Campagna Romana, con il quale perlustrò tutti gli amati dintorni di Roma riportandone i segni distintivi in procinto di essere cambiati per sempre dal progresso. Nel 1915 partì volontario per la guerra che documentò con una serie di lavori di straordinaria modernità caratterizzati da tagli fotografici arditi e da contrasti cromatici d’effetto. Negli anni ’20 compì una serie di viaggi in Oriente e Sud America grazie ai quali realizzò una serie straordinaria di opere contraddistinte dall’immediatezza del reportage dal vivo. L’ultimo periodo si dedicò a ritrarre la famiglia Fregene mettendo a punto un’innovativa pittura di luce post impressionista di straordinaria modernità. Morì nel 1932 a Roma durante la progettazione della decorazione del Duomo di Messina. Biografia: Nasce a Roma l’11 febbraio 1860, il nonno Girolamo e il padre Raffaele, entrambi scultori, lo avviano
all’arte. Frequenta i corsi di Francesco Podesti all’Istituto di Belle Arti. 1877-79 Si mantiene realizzando soggetti alla moda neo settecenteschi e neo pompeiani sulla scia del successo di Mariano Fortuny. Si reca a Napoli dove conosce Domenico Morelli. 1883 Partecipa all’Esposizione internazionale di Roma con Malaria (Dum Romae consulitur morbus imperat). 1884 Visita a Parigi il Salon e attraverso Vittorio Corcos viene in contatto con l’ambiente degli artisti italiani ivi operanti. 1885 Lavora come illustratore per la “Cronaca Bizantina” di Angelo Sommaruga, che lo presenta a Gabriele D’Annunzio. 1886 Stringe amicizia con Francesco Paolo Michetti ed Edoardo Scarfoglio e viene in contatto con il gruppo di artisti di “In Arte Libertas” legati a Nino Costa. Prende parte all’editio picta dell’Isaotta Guttadauro di D’Annunzio. 1889 Ottiene la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi con I figli di Caino (1887-89). Durante l’estate soggiorna con D’Annunzio a Francavilla ospite di Michetti, che lo introduce alla tecnica del pastello e alla pittura di paesaggio. 1890 Frequenta il salotto del conte Giuseppe Primoli, che gli commissiona
il trittico Vergini savie e vergini folli (Roma, Galleria comunale d’arte moderna). Espone per la prima volta con il gruppo “In Arte Libertas”. 1893 Si reca in Inghilterra per studiare le opere dei preraffaelliti e conosce a Londra William Morris. In una tappa a Parigi visita nuovamente il Salon. Invia da Parigi e Londra articoli sull’arte europea alla “Nuova Rassegna”. 1895 Espone alla I Biennale di Venezia, cui sarà presente con assiduità. 1896-99 Insegna pittura alla Scuola d’arte di Weimar su invito del granduca Carlo Alessandro di Sassonia. Si accosta al simbolismo tedesco e compie studi di animali nel giardino zoologico di Weimar. 1899 La III Biennale di Venezia gli dedica una sala personale, in cui espone il dittico Diana d’Efeso e Gorgone e gli eroi (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). 1901 È nominato membro dell’Accademia di San Luca. Sposa Giulia Bonn. 1903 Nasce la figlia Angiola. 1904 È tra i fondatori del gruppo dei XXV della Campagna romana. 1905 Giulia Bonn rientra a Francoforte portando con sé la figlia. Pubblica il romanzo Roma Carrus Navalis – favola contemporanea. 1906 Partecipa all’Esposizione di
Milano per l’apertura del traforo del Sempione con il Fregio del Lazio, poi suddiviso in diversi pannelli. 1907 Decora il salone centrale della Biennale di Venezia con il ciclo allegorico La Luce, Le Tenebre, L’Amore e la Morte (Venezia, Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro). 1908-12 Realizza il fregio decorativo della nuova aula del Parlamento italiano progettata da Ernesto Basile. 1914 Espone all’XI Biennale di Venezia. 1914-15 Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola come volontario con il grado di sottotenente di cavalleria. Ferito e catturato a Lucino sull’Isonzo è trattenuto nel campo di prigionia di Mauthausen, da cui viene liberato diversi mesi dopo grazie all’intercessione di papa Benedetto XV. Torna al fronte dove dipinge scene di guerra. 1917 Pubblica Tre novelle a perdita. 1919 Sposa l’attrice Marga Sevilla, con cui vive nella villa Horti Galateae. Dirige la moglie nel film Il mistero di Galatea. Si reca in Egitto per realizzare il ritratto di re Fuad I e visita Palestina, Libano e Siria. Il 14 settembre nasce la figlia Lidia. 1919-21 Collabora la casa di produzione cinematografica Triumphalis, firmando il soggetto di Clemente
VII e il sacco di Roma e dirigendo il San Giorgio. 1921 Espone alla Galleria Pesaro. 1922 Pubblica il poema illustrato Sibilla e lo scritto teorico Flores et Humus. 1923 Il 23 novembre nasce il figlio Lucio. 1924 Effettua il periplo dell’America Latina a bordo della Regia Nave Italia. 1929 Si imbarca sulla nave militare italiana Caio Duilio per una crociera nel Mediterraneo. 1930-32 Lavora alla decorazione musiva del nuovo Duomo di Messina. 1932 Muore il 2 ottobre e viene sepolto nella chiesa di San Sebastiano fuori le mura.
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
Poesie di Amy Lowell-Poetessa statunitense-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Amy Lowell-Poetessa statunitense-
Amy Lowell-Poetessa statunitense (Brooklin, Massachusetts, 1874 – ivi 1925), lontana parente di James Russell, la Lowell esordì con una raccolta di versi tradizionali, A dome of many-coloured glass (1912); non avendo ottenuto il successo che si attendeva, lasciò l’America per Londra, dove entrò a far parte attiva del movimento imagista creato da E. Pound, riuscendo in breve a esautorarlo per divenirne la più accanita propagandista. Tornata negli Stati Uniti, pubblicò tre antologie: Some imagist poets (1915, 1916, 1917). Accanto a quello dell’imagismo, fu per lei importante l’influsso della poesia francese, sensibile nelle raccolte Sword blades and poppy seed (1914); Men, women and ghosts (1916); East wind (1926); Selected poems (1928). Fu appassionata traduttrice di poesia cinese. Tra i saggi critici: Six French poets (1915), Tendencies in modern American poetry (1917), Life of John Keats (1925), Poetry and poets (post., 1930).
“La lettera”, poesia d’amore di Amy Lowell
Piccole contorte parole, scarabocchiate su tutto il foglio
Come zampe di mosche infangate,
Che cosa potete dire della fiammante luna
Trapuntata dalle foglie della quercia?
O della mia finestra senza tende,
E del nudo pavimento al chiaro di luna?
Le vostre sciocche astuzie e i vostri intrighi
Non hanno nulla della florescenza del biancospino.
E questa carta è fragile, muta, liscia, vergine di dolcezza
Sotto la mia mano.
Sono stanca, amore mio, di riscaldare il mio cuore
Contro il tuo volere;
Di spremerlo in macchioline d’inchiostro,
E di spedirlo per posta.
Ed io qui sola, brucio, sotto il fuoco
Della grande luna.
. da Dreams in War Time:
I
I wandered through a house of many rooms.
It grew darker and darker,
until, at last, I could only find my way
by passing my fingers along the wall.
Suddenly my hand shot through an open window,
and the thorn of a rose I could not see
pricked it so sharply
that I cried aloud.
Vagavo in una casa di molte stanze.
Il buio s’infittiva, ed alla fine
riuscivo ad orientarmi a malapena
tastando la parete con le dita.
Ma d’un tratto incontrava la mia mano
una finestra aperta,
ed ecco che la spina di una rosa
invisibile acuta mi feriva
ed io piangevo forte.
II
I dug a grave under an oak-tree.
With infinite care, I stamped my spade
into the heavy grass.
The sod sucked it,
and I drew it out with effort,
watching the steel run liquid in the moonlight
as it came clear.
I stooped, and dug, and never turned,
for behind me,
on the dried leaves,
my own face lay like a white pebble,
waiting.
Sotto una quercia scavavo una fossa.
Nell’erba pregna di fango affondavo
con cura infinita la vanga,
la risucchiava la zolla,
a fatica di nuovo la estraevo,
osservando il metallo liquefarsi,
riemergere alla luce al chiar di luna.
Scavavo china senza mai voltarmi.
Alle mie spalle, sulle foglie secche,
il mio viso giaceva – un sasso bianco
in attesa.
*
da Picture of the Floating World:
OMBRE CHINOISE
Red foxgloves against a yellow wall stricked with plum-coloured shadows;
a lady with a blue and red sunshade;
the slow dash of wawes upon a parapet.
That is all.
Non-existent – immortal –
as solid as the centre of a ring of fine gold.
Digitali purpuree contro una gialla parete striata d’ombre color prugna;
una dama con un parasole rosso e blu.
Lento frangersi d’onde a un parapetto.
E questo è tutto.
Inesistente – immortale –
solido come il cuore di un anello d’oro fino.
*
The Taxi
When I go away from you
The world beats dead
Like a slackened drum.
I call out for you against the jutted stars
And shout into the ridges of the wind.
Streets coming fast,
One after the other,
Wedge you away from me,
And the lamps of the city prick my eyes
So that I can no longer see your face.
Why should I leave you,
To wound myself upon the sharp edges of the night?
E quando me ne vado via da te
il mondo batte sordo
come tamburo il cui suono si ottunde.
Lancio il tuo nome contro stelle aguzze
fende il mio grido i marosi del vento.
Rapide si rincorrono le strade
e l’una l’altra incalza, ti respinge
via lontano da me. Tutte le luci
della città trafiggono i miei occhi
e il tuo volto scompare alla mia vista.
Perché lasciarti, solo per ferirmi
sulle lame affilate della notte?
Amy Lowell
*la traduzione delle poesie è di Silvio Raffo
Poeti cinesi nella versione di Amy Lowell
L’Imperatore ritorna dopo un viaggio a Sud
Avanza pari a un santo
il Supremo.
Nel suo carro laccato
intimorisce i cento esseri.
Nascosto dal purpureo fumo dell’incenso
un ombrello rotondo
protegge il Figlio del Cielo.
Squisita la bellezza
delle spade a doppio taglio
dei carri, delle scarpe
dei servi, ricamate con le costellazioni.
Davanti a lui portano i ventagli del Sole e della Luna:
lo precedono stuoli di lance affilate
i barbagli di molte bandiere.
Il vento di Primavera proclama il ritorno dell’Imperatore
che unisce le diecimila province
in un’armonia accordata da Pace e Certezza:
i vecchi sono satolli di felicità e lo è il popolo,
la mia ode si aggiunge al canto
della perfetta quiete.
Wen Cheng-Ming, XVI secolo
*
Canto del salice spezzato
Quando montò a cavallo, non prese un frustino di cuoio:
spezzò un ramo di salice.
Una volta smontato, iniziò a suonare il flauto:
con il dolore feroce della partenza voleva distruggere il viaggiatore.
Dinastia Lliang (VI secolo)
*
Lungo il lago, in primavera
La meditazione solitaria continua senza interruzione.
Scorre – va alla deriva, invero – e ritorna in sé:
la barca si muove verso il vento del crepuscolo.
Entriamo all’imboccatura del lago da un affluente fiorito
mentre la notte avvolge la Valle Occidentale.
Dai denti della collina, la Costellazione del Sud:
la nebbia cala sulle anse del fiume, si divarica dolcemente.
Alle mie spalle, la luna cala, tra gli alberi.
Il mondo non è che un quadrato d’acqua in perenne
movimento: acqua che si coagula e dilaga.
Sono felice di essere un vecchio con la canna da pesca.
Chi-wu Ch’ien
*
Scritto in esilio
Il sole sorge mentre dormo. Non è ancora alto
e sento il rigoglioso rigogolo sopra il tetto.
D’improvviso, penso al Parco Imperiale, all’alba:
i richiami degli uccelli assisi sui millenari alberi.
Penso a quando ero funzionario del tribunale
al meticoloso lavoro nella Sala delle Udienze.
In piena primavera, nei rari momenti di svago,
guardavo l’erba e le cose che crescono:
sentivo questo stesso rumore dall’alba al tramonto.
Dove mi trovo ora?
Nella solitaria città di Hsün Yang.
Il canto degli uccelli è lo stesso
ma sono mutate le mie emozioni.
Se solo potessi dimenticare di essere
agli estremi confini della terra:
ma è poi così diversa la vita a palazzo?
Bai Juyi
*
Un ufficiale presso il villaggio dal fossato di pietra
Ho cercato alloggio per la notte: tramontava
presso il villaggio dal fossato di pietra.
Gli agenti di reclutamento catturano le persone di notte.
Un venerabile vecchio scavalcò il muro e fuggì.
Una vecchia uscì dalla porta.
Quanta rabbia nelle grida degli ufficiali!
Quanta amarezza nel pianto della vecchia!
Ho sentito le parole della donna
che perorava la sua causa davanti a loro:
“I miei tre figli sono alla frontiera di Yeh Ch’eng.
Da uno di loro ho ricevuto una lettera:
gli altri due sono morti in battaglia.
Chi sopravvive ha un orizzonte breve:
chi muore non tornerà mai più.
In casa non c’è più alcun adulto:
mio nipote è ancora al seno.
La madre di mio nipote è fuggita.
Sono vecchia, molto vecchia, le forze
svaniscono, eppure ti prego, segui gli ufficiali
quando torneranno questa notte.
Accetterò con entusiasmo l’incarico di servire Ho Yang
sono ancora in grado di preparare un pasto”.
La tenebra soffocava tra le lacrime.
All’alba, ripresi il mio cammino:
restò sola la venerabile vecchia.
Tu Fu
*
Guardando la luna dopo la pioggia
Le nuvole sono gravi e gridano:
ancora una volta vedo l’orizzonte
oltre i quattro lati della città.
Apri la porta. La luna si alza, cammina
come un rospo. Il suo chiarore è una brina
che si estende per diecimila li.
Il fiume sembra una catena piatta e lucente.
La luna, in cima, è un occhio bianco:
mostra il cuore abbagliante del mare.
Lo adoro, così, rotondo come un ventaglio
e ne canto fino all’alba.
Li Po
*
Proclamate la gioia di quest’ora dice l’Imperatore Ling
Il vento freddo si impenna. Il sole brilla lungo il vasto canale.
Il loto è rosa: si china alla luce, si spalanca la sera.
La meraviglia è in eccesso, un solo giorno non può contenerla.
Limpidi suoni d’arco, note fluide sulle fluttuanti rive: cantiamo la canzone
dell’amore perenne. Mille anni? Diecimila? Nulla può pareggiare questa gioia.
*
Calma serale
Il sole è tramontato.
La sabbia brilla.
Il cielo ci colpisce con i suoi bagliori.
Le onde tremano
e l’acqua fa chiacchierare le pietre.
Sul bianco sentiero della luna
una barca va alla deriva:
cerca l’ingresso del porto
dopo molte svolte e sventure.
Probabilmente, la neve
è caduta sopra i pendii
dei tenebrosi colli.
Kao Shih-Chi, XIX secolo
ROMA- Mausoleo di Augusto-Nuovo importante ritrovamento a Piazza Augusto Imperatore-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
ROMA-Mausoleo di Augusto-Nuovo importante ritrovamento a Piazza Augusto Imperatore
Roma, 06 luglio 2023 – “Riqualificazione del Mausoleo di Augusto e piazza Augusto Imperatore”-Dichiarazione del Sovrintendente Capitolino Claudio Parisi Presicce“Grazie al lavoro attento degli archeologi e delle archeologhe della Sovrintendenza, siamo in grado di approfondire la conoscenza di un quadrante della città che stupisce per la ricchezza della sua storia millenaria.
La testa appena ritrovata, di elegante fattura, scolpita in marmo greco, appartiene probabilmente a una statua di divinità femminile, forse Afrodite, di dimensioni naturali. Mostra una raffinata acconciatura di capelli raccolti sul retro grazie ad una “tenia”, un nastro annodato sulla sommità del capo.
Il reperto è stato rinvenuto nella fondazione di un muro tardoantico ma si conserva integro; riutilizzato come materiale da costruzione giaceva con il viso rivolto verso il basso, protetto da un banco d’argilla sul quale poggia la fondazione del muro. Il riuso di opere scultoree, anche di importante valore, era una pratica molto comune in epoca tardo medioevale, che ha consentito, come in questo caso, la fortunata preservazione di importanti opere d’arte.
La testa è al momento affidata ai restauratori per la pulizia, e agli archeologi per una corretta identificazione e una prima proposta di datazione, che appare ancorata all’epoca augustea.”
La scoperta è avvenuta nel corso dei lavori per la “Riqualificazione del Mausoleo di Augusto e piazza Augusto Imperatore”, sul lato orientale dell’area in corso di intervento.
Mausoleo di Augusto
Di ritorno dalla campagna militare in Egitto, conclusasi con la vittoria di Azio del 31 a.C. e la sottomissione di Cleopatra e Marco Antonio, nel 28 a.C. Ottaviano Augusto diede inizio alla costruzione del Mausoleo nell’area settentrionale del Campo Marzio all’epoca non ancora urbanizzato.
Già in precedenza occupato dai sepolcri di alcuni uomini illustri, lo storico greco Strabone descrisse il monumento come “un grande tumulo presso il fiume su alta base di pietra bianca, coperto sino alla sommità di alberi sempreverdi; sul vertice è il simulacro bronzeo di Augusto e sotto il tumulo sono le sepolture di lui, dei parenti, dietro vi è un grande bosco con mirabili passeggi”.
Il Mausoleo con il suo diametro di 300 piedi romani (circa m 87) è il più grande sepolcro circolare che si conosca. Il monumento si componeva di un corpo cilindrico rivestito in blocchi di travertino, al centro del quale si apriva a sud una porta preceduta da una breve scalinata; in prossimità dell’ingresso, forse su pilastri, erano collocate le tavole bronzee con incise le Res Gestae, ovvero l’autobiografia dell’imperatore, il cui testo è trascritto sul muro del vicino Museo dell’Ara Pacis.
Nell’area antistante erano collocati due obelischi di granito, poi riutilizzati uno in piazza dell’Esquilino, alle spalle di S. Maria Maggiore (1587), l’altro nella fontana dei Dioscuri in piazza del Quirinale (1783).
Varie ipotesi di ricostruzione del monumento sono state proposte sulla base dei resti conservati e dei disegni realizzati nel XVI secolo da Baldassarre Peruzzi. Su di un basamento alto circa m 12 si elevava, impostato su una delle murature anulari più interne, un secondo ordine architettonico coronato da una trabeazione dorica, di cui vari elementi sono stati rinvenuti nell’area del monumento. Su questa altissima struttura svettava, a 100 piedi romani di altezza (circa 30 metri), la statua di Augusto in bronzo dorato, probabilmente l’originale bronzeo della statua in marmo rinvenuta nella villa di Livia a Prima Porta.
Attraverso un lungo corridoio d’accesso, il dromos, si giungeva alla cella sepolcrale, di forma circolare, con tre nicchie rettangolari ove erano collocate le urne. La nicchia di sinistra, ospitava le ceneri di Ottavia, sorella dell’imperatore e di suo figlio Marcello, successore designato di Augusto prematuramente morto nel 23 a.C. Augusto fu forse sepolto nell’ambiente ricavato all’interno del nucleo cilindrico centrale. All’interno del sepolcro vennero deposte le ceneri dei membri della famiglia imperiale: il generale Marco Agrippa, secondo marito di Giulia figlia di Augusto, Druso Maggiore, i due bimbi Lucio e Gaio Cesare figli di Giulia, Druso Minore, Germanico, Livia, seconda moglie di Augusto, Tiberio, Agrippina, Caligola, Britannico, Claudio, e Poppea, moglie di Nerone; quest’ultimo fu invece escluso dal Mausoleo per indegnità, come già Giulia, la figlia di Augusto. Per breve tempo il Mausoleo ospitò le ceneri di Vespasiano e infine di Nerva e dopo oltre un secolo dall’ultima deposizione si riaprì per ospitare le ceneri di Giulia Domna, moglie dell’imperatore Settimio Severo.
Roma- Galleria Borghese apertura straordinaria per la Mostra: “La Favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti” Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Roma- Galleria Borghese apertura straordinaria per la Mostra: “La Favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti”
Roma-Lunedi 13 gennaio la Galleria Borghese propone un’apertura straordinaria dalle 16 alle 19.00 (ultimo ingresso alle ore 17.00) per visitare la mostra attualmente in corso: Poesia e pittura nel Seicento. Giovan Battista Marino e la meravigliosa passione. In questa occasione sarà possibile per il pubblico partecipare all’incontro dal titolo “La Favola di Atalanta. Guido Reni e i poeti”, in cui verrà presentata la mostra in corso presso la Pinacoteca di Bologna fino al 16 febbraio 2025, dall’omonimo titolo.
La mostra, a cura di Giulia Iseppi, Raffaella Morselli e Maria Luisa Pacelli, indaga i rapporti tra artisti e letterati nel ricco contesto culturale della Bologna di primo Seicento, dove pittori come Guido Reni, Artemisia Gentileschi, Ludovico e Agostino Carracci intessono relazioni con molti poeti fra cui Giovan Battista Marino, a cui la Galleria Borghese sta dedicando la mostra in corso. Le poesie, alcune delle quali oggetto di ritrovamenti documentari inediti, diventano la chiave di lettura delle opere d’arte esposte, a partire da una delle coppie memorabili di Reni, le due Atalanta e Ippomene, celebri eppure poco documentate, per le quali si avanza una nuova proposta di genesi in seno alle accademie romane e bolognesi frequentate dal pittore.
Intervengono Costantino D’Orazio, Dirigente delegato ai Musei Nazionali di Bologna e le curatrici della mostra.
L’incontro si svolge presso la terrazza della sala Egizia, a cui si accede dalla sala VII del museo.
La partecipazione all’incontro è gratuita e la disponibilità dei posti limitata, fino ad esaurimento.
La prenotazione del biglietto è obbligatoria su questa pagina oppure chiamando lo 06 32810.
Informazioni
Galleria Borghese
Piazzale Scipione Borghese 5,
00197 Roma, Italia
Tel. +39 068413979
mail. ga-bor@cultura.gov.it
pec. ga-bor@pec.cultura.gov.it
Per acquisto biglietti: +39 06 32810
Valerio Bispuri- Dentro una storia-Appunti sulla fotografia-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Valerio Bispuri- Dentro una storia. Appunti sulla fotografia
Prefazione di Marco Damilano-Editore Mimesis
Descrizione del libro di Valerio Bispuri-Prefazione di Marco Damilano:“In fondo credo che la fotografia unisca la possibilità di rimanere bambini e di essere uomini forti, coraggiosi e incoscienti, dove le emozioni si rispecchiano allo stesso tempo nella velocità dello scatto e nella lentezza di saper guardare oltre, dove l’attimo può rimanere in superficie e allo stesso tempo toccare grandi profondità e dove l’istinto funziona solo quando si muove nel recinto della ragione”. “Dentro una storia” è il viaggio di un fotoreporter all’interno delle sue immagini. Valerio Bispuri ci porta nel mondo degli ultimi, dei dimenticati e ci racconta il suo percorso fotografico e umano attraverso gli sguardi, i gesti di chi ha fotografato. Un mondo osservato o meglio scrutato con pazienza e coraggio, due parole ricorrenti nel suo lavoro. Un fotoreporter controcorrente che usa il tempo per conoscere e raccontare, che ama le storie lunghe e che riesce a unire le proprie emozioni con la realtà. Tra gli occhi di chi vive dietro le sbarre di una prigione, nel mondo della droga in Sudamerica, nell’universo di chi è sordo e nella realtà della malattia mentale, le storie di Bispuri nascono sempre osservando gli altri e la propria interiorità: “Ho sempre visto la fotografia come un guardare attraverso il mondo con la lente d’ingrandimento delle nostre emozioni. Un gesto che diventa forma, uno spazio che si interpone agli angoli remoti delle nostre linee interiori”.
Valerio Bispuri (Roma, 2 luglio 1971) è un fotografo italiano.
Biografia
È figlio dello scrittore Ennio Bìspuri e fratello della regista Laura Bispuri.[1]
Si è formato presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ha conseguito la laurea in lettere. Dal 2001 ha iniziato ad occuparsi di fotografia a livello professionale, collaborando con le riviste L’Espresso, Il Venerdì di Repubblica, Internazionale, Le Monde e Stern. Ha curato reportage dall’Africa, Asia e Sudamerica.
Dal 2004 ha seguito un progetto decennale dedicato al mondo carcerario dell’America meridionale, con lo scopo di raccontare il continente attraverso i detenuti e la loro condizione ed i drammi da loro vissuti.[2] Durante il suo percorso, Bispuri ha visitato 74 carceri di tutti i paesi del Sudamerica. In Argentina ha ottenuto l’autorizzazione a visitare il Padiglione 5 del carcere di Mendoza, dove erano reclusi i detenuti argentini più pericolosi.[3] Il direttore della struttura gli fece firmare una liberatoria in cui si assumeva tutte le responsabilità per la sua incolumità.[3] Attraverso le foto scattate in questo padiglione ha documentato le condizioni di estremo degrado in cui i detenuti erano costretti a scontare la pena.[3]
Le fotografie, realizzate in bianco e nero, sono state oggetto di esposizione in varie mostre internazionali e sono state raccolte nel libro Encerrados, edito da Contrasto nel 2015 e sostenuto anche da Amnesty International.[4] L’impatto sociale di Encerrados è stato tale che ha contribuito alla chiusura del Padiglione 5 del carcere di Mendoza.[3][2] Nel 2013 ha vinto il Sony World Photography Award nella categoria Contemporary Issues.[5]
Con il suo foto reportage Paco ha tentato di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle conseguenze dell’assunzione da parte di adolescenti e ragazzini a Buenos Aires del Paco, una droga estremamente nociva, ottenuta con gli scarti della lavorazione della cocaina, miscelati a cherosene, colla, veleno per topi o polvere di vetro.[6][7]
Per sei anni ha seguito la vita di Betania una donna trentacinquenne lesbica di Buenos Aires, ritraendola nella sfera privata, indagando lo sviluppo della vita intima e sentimentale e le aspirazioni di autonomia e riconoscimento nella società argentina, che ha approvato il matrimonio egualitario.[8][9][10]
Dopo aver ottenuto l’autorizzazione a visitare le carceri italiane da parte del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria del ministero della Giustizia, ha costruito un progetto di documentazione delle strutture detentive e della popolazione carceraria, realizzando un’indagine sulla condizione psichica e fisica dell’uomo privato della libertà. Il progetto ha riguardato 10 carceri: l’Ucciardone di Palermo, Poggioreale a Napoli, Regina Coeli e Rebibbia Femminile a Roma, Capanne a Perugia, Bollate e San Vittore a Milano, la Giudecca a Venezia, la Colonia penale di Isili a Cagliari e Sant’Angelo dei Lombardi, in provincia di Avellino. Alcune delle fotografie realizzate sono state raccolte nel volume Prigionieri pubblicato nel 2019. Prigionieri, Encerrados e Paco, formano una trilogia sulla libertà perduta.[2][11]
I suoi reportage sono stati oggetto di diverse esposizioni internazionali.
Pubblicazioni
- Valerio Bispuri, Encerrados: 10 years, 74 prisons, Contrasto, 2015, ISBN 8869655814, ISBN-13 978-8869655814.
- (EN) Valerio Bispuri, Paco: A Drug Story, Contrasto, 2017, ISBN 886965723X, ISBN-13: 978-8869657238.
- Valerio Bispuri, Prigionieri, Contrasto, 2019, ISBN 8869657914, ISBN-13 978-8869657917.
Premi
- 2011: Poy America Latina;
- 2013: Sony World Photography Award (1º posto, Contemporary Issues);
- 2013: Days Japan International Photojournalism Awards;