Mezzo secolo fa si suicidava Diane Arbus, la fotografa ribelle che “catturò” il lato oscuro dell’America- Articolo di Roberto Zadik
Personaggio estremamente tormentato e stimolante, la fotografa ebrea newyorchese di origini russe Diane Arbus oltrepassò i confini della fotografia. Le sue immagini ancora oggi colpiscono per la dolente espressività che le caratterizza, per lo sguardo lucido e poetico e il realismo del ritratto etico e sociale della “sua” America con cui questa artista vissuta solo 48 anni e suicidatasi il 26 luglio 1971, ha saputo rappresentare gli emarginati, i deboli, così come il mondo ebraico cui apparteneva e con il quale ebbe un rapporto profondo e conflittuale. Diane Nemerov, questo il suo vero nome prima di sposare il collega e correligionario Allan Arbus che le darà due figlie – prima di separarsi nel 1958 e divorziare nel 1969 -, nacque da una famiglia estremamente benestante, proprietaria di una catena di grandi magazzini. Ma come i cantautori Bob Dylan e Lou Reed, Arbus fu la figlia ribelle di un contesto estremamente “borghese”, attratta dal lato oscuro dell’America.
Icona della sua New York,di origine ebraico-askenazita, estremamente vitale e anticonformista, si consumò fra entusiasmi e depressioni per dedicarsi alla sua passione per la fotografia e l’indagine etica e psicologica compiuta attraverso il suo obbiettivo. Appartenente alla vasta schiera dei fotografi ebrei del Novecento, da Richard Avedon, all’ungherese Robert Capa, al tedesco Helmut Newton, questa artista si differenzia da tutti, con quella ricerca del diverso, dell’eccentrico e dell’anomalo che sembra essere una sua costante.
Nata il 14 marzo 1923, sposatasi a soli 18 anni, il sito theartstory.org descrive la sua infanzia estremamente solitaria, accudita da governanti e baby sitter mentre suo padre era impegnato negli affari e la madre soffriva di gravi depressioni. La sua carriera cominciò negli anni ’40 mentre l’ebraismo europeo veniva devastato dalla Shoah, lavorando assieme al marito, fotografando le modelle procurate dal padre David e dedicandosi con tale dedizione alle sue passioni artistiche da abbandonare anche l’università. Sempre più intenzionata a diventare una grande fotografa, cercò di affinare la sua tecnica al fianco di una professionista come Lisette Model, trascurando la famiglia e il maritò con il quale resterà in buoni rapporti anche dopo la separazione, per gettarsi nel lavoro e nella carriera.
Curiosa della vita e del mondo, dagli anni ’60 la sua personalità di artista indipendente e eccentrica emerse in tutto il suo talento stimolato dalla vivace atmosfera creativa e contestataria dell’era hippie e delle manifestazioni pacifiste contro la Guerra del Vietnam che la videro sempre in prima fila. Costantemente a caccia di stranezze e tortuosità, la Arbus frequentava gli ambienti più disparati. Dalle sfilate di moda, ai circhi, dalle gang giovanili delle strade, alle competizioni di body building e il suo occhio era costantemente puntato sull’essere umano in tutte le sue sfaccettature.
Come evidenzia il sito jewishvirtuallibrary.org, nella sua luminosa carriera la talentuosa fotografa collaborò e strinse amicizia con vari colleghi e collaboratori ebrei. Sempre in cerca di stimoli e di nuove avventure, collaborò con l’artista Marvin Israel direttore artistico della rivista Harper’s Bazaar; fu un rapporto molto stretto ed egli divenne il suo mentore, come era stata già Lisette Model; incontrò il regista e fotografo Stanley Kubrick, i grandi scrittori Norman Mailer e Tom Wolfe, scattando immagini a vari soggetti appartenenti al mondo ebraico delle sue origini. Istantanee estremamente espressive come Coppia di ebrei danzanti che ritrae due anziani felici mentre ballano assieme, la foto alle due gemelle ebree identiche fra loro e soprattutto Il gigante ebreo in cui fotografò l’intrattenitore israeliano naturalizzato americano Eddie Carmel. Un’immagine inquietante in cui Carmel, affetto da gigantismo e figlio di una famiglia ebraica ortodossa polacca, viene rappresentato in tutta la sua figura altissima e massiccia, nipote di uno dei rabbini più alti d’Europa, mentre sovrasta i due genitori, parlando con loro. Morto a soli 36 anni per infarto, Oded Ha Carmeli, questo il suo nome di nascita, divenne un vero fenomeno collaborando per vari film e spettacoli, attirando la curiosità della Arbus sempre pronta a ritrarre personaggi stravaganti e fuori dagli schemi. Carmel e la Arbus morirono a un anno di distanza uno dall’altra e, come sottolinea un articolo del 2014 sul sito del New York Times, questa foto, scattata nel 1970, fu una delle sue ultime immagini. Dilaniata dal suo “male di vivere”, dal super lavoro, in crisi esistenziale nonostante il successo e i prestigiosi riconoscimenti, ricevette due volte il Premio Guggenheim, la Arbus si tolse la vita, ingerendo sonniferi per poi tagliarsi le vene, finì i suoi giorni improvvisamente, in quel luglio 1971 in cui tre settimane prima morì la rockstar Jim Morrison. Stando allo stesso articolo pubblicato dal New York Times il 13 aprile 2014, Carmel “il gigante” invitato al talk show presentato da Richard Lamparski le dedicò una struggente poesia pochi mesi dopo la sua morte.
“Il poeta comincia dove finisce l’uomo”, così sentenziava il filosofo spagnolo José Ortega Y Gasset. Santa Teresa d’Avila, Dottore della Chiesa, nella sua profonda esperienza mistica, si è servita anche della poesia, oltreppassando così con i suoi componimenti quel guado che divide l’uomo dall’infinito.
Eppure troppe volte sono stati dimenticati i suoi versi in cui è possibile trovare un vero e proprio scrigno di bellezza e di spiritualità. Al loro interno, infatti, è possibile persino scovare quella che sarà poi conosciuta comunemente la “trasverberazione del cuore”, una delle grazie mistiche di cui santa Teresa spiegherà nella sua Vita, l’autobiografia della santa: il dardo, la “freccia” dell’Amore di Dio colpisce il suo cuore, lo tramuta e lo sublima facendolo avvicinare al Cuore di Dio in nozze mistiche. Nozze che, in molte occasioni, sembrano essere celebrate dalla santa nei suoi componimenti poetici: santa Teresa ascende a Dio così come discende nelle profondità della poesia.
Sfogliando queste pagine poetiche, è possibile dividere la produzione in versi in tre determinati gruppi: prima di tutto troviamo le poesie mistiche nelle quali si respira tutta la spiritualità della santa; il secondo gruppo comprende le poesie che hanno come oggetto le feste liturgiche come il Natale, l’Epifania o l’Esaltazione della Croce; e, infine, il terzo gruppo, scritte – come lei stessa le definisce – con “stile di fratellanza e di ricreazione”: sono versi che celebrano avvenimenti interni alla comunità religiosa per allietare le consorelle della comunità monastica.
Tre diverse situazioni poetiche, ma con un elemento in comune ben preciso: la Bellezza. Santa Teresa è stata sempre affascinata – fin dalla fanciullezza – dalla bellezza artistica, nelle sue diverse espressioni, ma specialmente era attratta dall’arte pittorica e scultorea. Più volte, nel libro della sua Vita, si sofferma sul piacere che prova per l’armonia scaturita dalla musica del fruscio della campagna che la circonda. Più volte si sofferma sulle note di una canzone che ha ascoltato. E’ proprio questo, infondo, l’humus dell’anima da cui nasceranno i suoi versi, frammenti poi di una Bellezza ancora più vasta, quella del Signore. Un riassunto della sua visione poetica è possibile trovarlo in questi suoi versi che delineano, tratteggiano con efficacia il suo animo poetico dedicato a Dio: “Bellezza che trascendi/ ogni bellezza!/ Senza ferire, fate soffrire;/ senza dolore, voi fate morire”. Passare in rassegna tutte le poesie che ha composto santa Teresa sarebbe impresa alquanto ardua visto la molteplicità di temi affrontati. Cercheremo, allora, di fare una breve selezione.
Vivo sin vivir en mi (Vivo ma non vivo in me) è questo il nome di una delle poesie-canzoni più importanti della sua produzione. I versi racchiudono ossimori e altre figure retoriche assai care ai poeti, di ogni epoca: “Vivo ma non vivo in me/e attendo una tal vita/ da morirne se non muoio”.
E ancora “Questa divina prigione/ dell’amore in cui vivo,/ ha reso Dio, mio prigioniero/ e libero il mio cuore;/ e causa in me tanta passione/ da morirne se non muoio”. Del tutto particolare, rimane la seconda tipologia di produzione, quella legata alle feste liturgiche. Il loro maggior merito è quello di aver introdotto nei monasteri carmelitani il ricorso alla poesia come componente festiva della vita religiosa. Un tema fondamentale – e non poteva essere altrimenti – per l’ordine carmelitano è quello della Croce che santa Teresa canta in diversi componimenti da condividere con le proprie consorelle. E’ il caso di En la Cruz está la vida (Nella Croce risiede la vita), composta per le religiose del monastero di Soria, in occasione della festa dell’Esaltazione della Santa Croce: “Le religiose la cantano durante la processione che fanno in detto giorno per i corridoi del monastero, recandosi al luogo della sepoltura comune, sotto il coro inferiore. E’ una funzione commovente: si procede a croce alzata, e le religiose tengono in mano rami di palma e di olivo”, così si legge in un antico manoscritto.
I versi che santa Teresa compone per quest’occasione sono versi dal ritmo serrato, scandito da sillabe che vengono cadenzate in rima. Bisogna ricordare che questi componimenti vivevano poi dell’improvvisazione delle consorelle. Si può, dunque, solo immaginare l’effetto vero e proprio che potevano avere. Altra occasione, il Santo Natale: nei monasteri carmelitani si respirava un’aria di particolare gioia durante le feste natalizie; ogni comunità aveva le sue modalità di festeggiare e molte di queste sono state introdotte dalla stessa Santa Teresa e dall’altro poeta carmelitano, San Giovanni della Croce. E’ possibile trovare il tema della notte santa nelle seguenti poesie: Pastores que veláis (Pastori che vegliate), nel componimento Al nascimento de Jesús (Per la nascità di Gesù), e ancora nella graziosa canzone En la noche de Navidad (Nella notte di Natale).
L’entrata di una nuova sorella nel Carmelo era poi celebrata come una grande festa. Ed è così che nascono per queste occasioni speciali alcuni poemetti che riescono a offrirci una sorta di fotografia della vita nei monasteri del Carmelo: “Il leggiadro vostro velo/ dice a voi di stare in veglia/ di montar la sentinella, fino a che lo Sposo venga./ Nella vostra mano accesa/ sempre abbiate una candela;/ sotto il velo state in veglia”.
Articolo di Antonio Tarallo
Santa Teresa, una voce poetica votata al Signore; un forziere di ricordi e immagini che andrebbe riscoperto perché la mistica passa anche per la poesia.
Poesia spagnola : SANTA TERESA D’AVILA
. TERESA D’AVILA: POESIE
Vivo ma non vivo in me,
e attendo una tal alta vita,
che muoio perchè non muoio.
(Vivo sin vivir in mi,
y tan alta vida espero
que muero porque non muero.)
Vivo già fuori di me,
giacchè muoio d’amore,
perchè vivo nel Signore,
che mi volle tutta a sè.
Quando il cuore gli donai
vi scrissi questa frase:
che muoio perchè non muoio.
(Vivo ya fuera de mi,
despuès que muero de amor,
porquè vivo en el Senòr,
que me quiso para sì.
Cuando el corazon le dì
puso en el este letrero,
que muero porquè no muero.)
Questa prigione divina
dell’amore in cui io vivo,
ha reso Dio mia preda,
e libero il mio cuore,
mi fa nascere tal passione
veder Dio mio prigioniero,
che muoio perchè non muoio.
(Esta divina prisòn,
de amor en què yo vivo,
ha hecho a Diòs mi cautivo,
y libre mi corazòn;
y causa en mì tal pasiòn
ver a Diòs mi prisonero,
que muero poquè no muero
Guarda come l’amore è forte;
guarda che sol mi resta
di perderti per guadagnarti.
Venga subito la dolce morte,
venga leggero il morir,
che muoio perchè non muoio.
(Mira que el amor es fuerte;
vida,no me seas molesta,
mira que solo me resta,
para ganarte perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porquè no muero.)
Ebbene, questa è una traduzione attuale, ma molto affine allo scritto di Teresa, che ritengo più moderno di quanto non sia la versione “ufficiale” tratta dalle Opere della Santa Madre. Sono spiacente di dover dire; coloro che hanno tradotto questo incanto di poesia, in un linguaggio poetico, ma antico, hanno modificato, per seguire lo stile del tempo, anche ciò che Teresa voleva significare.
Riporto una porzione di testo che appare sulle Opere:
Più in me non vivo e giubilo (Teresa non l’ha detto, che giubila) vivo nel mio Signore
Per se mi volle, e struggomi or per intenso ardore
Gli detti il cuor, e in margine
Scrissi con segni d’oro (non dice neppure questo) Moro perché non moro ( che è una forma in disuso, meglio tradurre in muoio)
E non proseguo, poiché questa traduzione non corrisponde del tutto a quanto Teresa scrisse.
Molte poesie composte da Santi autori, ma anche in genere da tutti i poeti stranieri, in lingua madre, sono state tradotte, per rispettare le rime, la metrica, ecc. in modo tanto astruso, da modificare radicalmente il senso che l’autore voleva dare alla sua opera. Se quindi ho scritto, nel mio precedente articolo su Santa Teresina, che sarebbe bene possedere le opere dei nostri santi carmelitani, ora aggiungo che varrebbe la pena acquistarle in lingua originale, oppure tradotte in modo più aderente al pensiero dell’autore e in un linguaggio adeguato al nostro tempo.
I testi delle opere di Santa Teresa di Gesù sono ancora attualissimi, moderna donna del ‘500 e moderna Santa anche ora, nel terzo millennio! Vi invito a leggerli, o meglio ancora a leggerli con chi ne sa più di noi e possa così approfondirne il pensiero. Io ne sono rimasta affascinata, Teresa si è dimostrata una donna di grande carattere, e nella sua “determinada determinacion” ha raggiunto tutte le mete stabilite, sia quelle della terra (fondazioni) che quelle del Cielo!! (un’unione dell’anima, totale e perfetta, con il Signore).
Nel 2015 ci sarà grande festa in suo onore, per i 500 anni dalla nascita che è avvenuta il 28 marzo 1515.
Pubblicato da Danila Oppio
Felicità di chi ama
Libero e lieto è il cuore innamorato
Che tutto e solo si concentra in Dio.
Per Lui rinuncia ad ogni ben creato,
per Lui si lascia in disdegnoso oblio.
Il suo pensiero è tutto in Lui sacrato,
ed Ei l’appaga in ogni suo desio.
Così, fra mezzo a questo mar sconvolto,
passa sereno nella pace avvolto.
Innanzi alla bellezza di Dio
Bellezza incomparabile
Ch’ogni bellezza anneri,
innanzi a Te che l’anima
senza ferir feri,
ogni terreno amore
non con rimpianto muore.
Nodo che insiem sì varie
Cose congiungi e tieni,
deh! Non ti scior! Se l’anima
stretta al suo Dio trattieni,
in gioie senza uguali
mutansi tosto i mali.
Quei che non è, all’Essere
Che non ha fine unisci;
m’ami senza mio merito;
senza finir finisci.
Innanzi a Te, o Possente,
fai grande il mio niente.
Lamenti dell’esilio
Cammino interminabile,
lungo e crudele esilio,
terra in cui debbo vivere,
soggiorno di perielio!
Signore amabilissimo,
concedimi d’uscire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Da Te lontana, l’anima
struggesi in duolo e in pianto:
la vita è triste e lugubre,
priva d’alcun incanto.
Ohimè! Infelice e misera,
costretta qui a soffrire!…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Morte, benigna ascoltami,
soccorri a tante pene,
vibra i tuoi colpi amabili,
spezza le mie catene!
Che gioia, o Dilettissimo,
lassù con Te venire!…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
L’amor terreno avvinghia
a questa triste vita,
ma l’alto amor etereo
verso quell’altra incita.
No, non si può più reggere:
altrove è il mio desire.
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Questo terreno vivere
è un’iterata guerra:
la vera vita vivesi
oltre la grama terra.
Schiudi, Signor, l’empireo,
fammi con Te venire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Chi potrà mai dolersene
Se questo fral perisce,
quando in tal modo acquistasi
il Ben che mai svanisce?
Amarti, amarti, o Amabile,
amarti e mai finire.
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
L’anima afflitta spasima
senza trovar ristoro.
Ma chi potrìa non piangere
lungi dal suo Tesoro?
Vieni, Signore, ascoltami,
non farmi più soffrire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Se con sottile astuzia
togliesi al suo elemento
il pesce muore e termina
ogni altro suo tormento.
Io qui invece struggimi
lungi da te a patire…
Ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Invano, o Dio, ti supplico,
invan ti cerco e bramo:
ognora a me invisibile,
non senti che ti chiamo:
onde infiammata spasimo
mai stanca di ridire
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Quando nei candid’Azzimi
scendi nel petto mio,
tosto il pensiero angustiami
che poi n’andrai, mio Dio.
E allor diffusa in lacrime
Altro non so che dire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Cessi, Gesù dolcissimo,
quest’aspra pena mia!
Appaghisi quest’anima
che Te, Signor, desia!
Fugate alfin le tenebre,
possa pur io gioire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Ma no, Signor! Innumeri
sono i miei falli rii:
è giusto che qui spasimi
che qualche cosa espii.
Alfin, però, i miei gemiti
Degnati d’esaudire,
ché ansiosa in Te d’immergermi,
desidero morire.
Teresa d’Avila
(carmelitana scalza)
Canto a Gesù crocifisso
Se elevo a te, mio Dio, il mio grido d’amore,
non è affatto per il cielo che ci hai promesso;
e non è neppure l’inferno, con i suoi territori,
che mi fa allontanare dal tradirti.
Ma io ti amo, mio Dio, vedendoti così,
inchiodato su questa croce imporporata dal tuo sangue.
Sono le tue piaghe che amo, ed è la tua morte,
quel che amo è il tuo amore.
Al di là dei tuoi doni e delle tue speranze,
quand’anche non vi fossero né cielo, né inferno,
io lo so, mio Dio, che t’amerei ancora.
Amarti è mia felicità tanto quanto mio dovere.
Non mi accordare nulla, dunque, anche se t’imploro:
l’amore che ho per te non ha bisogno di speranza.
( Teresa d’Avila Carmelitana scalza)
anno 4 – N° 18
13 Dicembre 2019
Santa Teresa d’Avila (Teresa de Cepeda y Ahumada) nacque a Gotarrendura, Avila, il 28 marzo del 1515. Nel 1534 entrò nell’ordine del Carmelo. Fondò diversi conventi che chiamo “colombaie della Vergine”, con l’aiuto del monaco carmelitano Juan de Yepes Álvarez, più conosciuto come San Giovanni della Croce, uno dei più grandi poeti di lingua spagnola. Insieme fondarono l’Ordine dei Carmelitani scalzi. Santa Teresa morì ad Alba de Torres il 4 ottobre 1582. Fu canonizzata nel 1622 e proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI nel 1970.
Santa Teresa compose molte poesie ed ebbe la fama di essere una brava “tracciatrice di versi”. Li scriveva per rendere meno monotona, con una spruzzata di sorrisi, la vita dei suoi conventi e la stanchezza dei suoi continui viaggi di fondatrice. È comunque difficile individuare le vere poesie della Santa. C’erano tra le sue consorelle altrettante buone “tracciatrici di versi” come, per esempio, María de San José. Quelle sicuramente sue superano di poco la trentina. Ne abbiamo appena pubblicate 15 con la versione in italiano a opera dell’infaticabile Emilio Coco.
MUERO PORQUE NO MUERO
Vivo sin vivir en mí
y de tal manera espero,
que muero porque no muero.
Vivo ya fuera de mí,
después que muero de amor,
porque vivo en el Señor,
que me quiso para sí:
cuando el corazón le di
puso en mí este letrero:
Que muero porque no muero.
Esta divina prisión,
del amor con que yo vivo,
ha hecho a Dios mi cautivo
y libre mi corazón;
y causa en mí tal pasión
ver a mi Dios prisionero,
que muero porque no muero.
¡Ay, qué larga es esta vida!
¡Qué duros estos destierros!
Esta cárcel y estos hierros
en que el alma está metida!
Sólo esperar la salida
me causa un dolor tan fiero,
que muero porque no muero.
¡Ay, qué vida tan amarga
do no se goza el Señor!
Porque si es dulce el amor,
no lo es la esperanza larga:
quíteme Dios esta carga,
más pesada que el acero,
que muero porque no muero.
Sólo con la confianza
vivo de que he de morir,
porque muriendo el vivir
me asegura mi esperanza;
muerte do el vivir se alcanza,
no te tardes, que te espero,
que muero porque no muero.
Mira que el amor es fuerte;
vida, no me seas molesta,
mira que sólo me resta
para ganarte o perderte.
Venga ya la dulce muerte,
el morir venga ligero
que muero porque no muero.
Aquella vida de arriba,
que es la vida verdadera,
hasta que esta vida muera,
no se goza estando viva:
muerte, no me seas esquiva;
viva muriendo primero,
que muero porque no muero.
Vida, ¿qué puedo yo darte
a mi Dios, que vive en mí,
si no es el perderte a ti
para merecer ganarte?
Quiero muriendo alcanzarte,
pues tanto a mi Amado quiero,
que muero porque no muero.
MUOIO PERCHÉ NON MUOIO
Vivo ma in me non vivo
e fino a tal punto spero
che muoio perché non muoio.
Vivo ormai fuori di me
dopo esser morta d’amore,
perché vivo nel Signore,
che mi ha voluta per sé:
quando gli ho dato il mio cuore
vi ha scritto queste parole: Che muoio perché non muoio.
Questa divina prigione,
dell’amore con cui io vivo,
Dio ha reso mio prigioniero
e ha liberato il mio cuore;
e mi dà tanta passione
veder Dio mio prigioniero che muoio perché non muoio.
Com’è lunga questa vita!
Com’è duro quest’esilio!
Il carcere e questi ceppi
in cui l’anima si trova!
Solo aspettarne l’uscita
mi causa un tale dolore, che muoio perché non muoio.
Ah, che vita così amara
se non si gode il Signore!
Perché se è dolce l’amore,
non lo è la lunga speranza;
toglimi Dio questo peso,
più pesante dell’acciaio, che muoio perché non muoio.
Vivo con la sicurezza
che un giorno dovrò morire,
perché il vivere, morendo,
mi assicura la speranza;
morte in cui vita s’ottiene,
non tardare, che ti aspetto, che muoio perché non muoio.
Guarda che l’amore è forte;
vita, non mi molestare,
guarda che solo mi resta
perderti per guadagnarti.
Venga ormai la dolce morte,
venga il morir senza indugio che muoio perché non muoio.
Quella vita di lassù
che è la sola vera vita,
fino a che questa non muore,
non si gode essendo viva:
morte, non essermi schiva;
che io viva morendo prima, che muoio perché non muoio.
Vita, che altro posso dare
al mio Dio che vive in me,
se non il perdere te
per poterti guadagnare?
Voglio morendo raggiungerti,
ché bramo tanto il mio Amato, che muoio perché non muoio.
Corvaro di Borgorose (Rieti)-La realizzazione del Museo Archeologico Cicolano (MAC), attualmente gestito dalla Comunità Montana Salto Cicolano, è stata possibile grazie alle risorse stanziate dalla Regione Lazio – Direzione Regionale Culturale e Politiche Giovanili, a seguito dell’Accordo di Programma Quadro siglato nel 2005 tra Governo e Regione. Il museo nasce dal continuo e incessante impegno della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, oggi BAP per le province di Frosinone, Latina e Rieti, che da molti anni lavora sul territorio della valle del Salto.
La sede del MAC è stata individuata nel vecchio edificio scolastico dismesso di Corvaro, frazione del Comune di Borgorose. Recuperato e riqualificato a nuova struttura da un moderno progetto architettonico, concluso nella primavera del 2015, essa tiene conto degli aspetti museografici dell’allestimento attraverso soluzioni spaziali e ampliamenti che garantiscono gli standard museali, la conservazione e l’esposizione al pubblico della consistente collezione dei reperti provenienti in gran parte dalle necropoli arcaiche e dai depositi votivi rinvenuti in prossimità dei santuari di età romana. L’allestimento del percorso museale, curato e realizzato da Cooperativa Archeologia, è suddiviso in dieci sale che inquadrano in ordine cronologico le varie fasi di occupazione del Cicolano: un lungo arco temporale che scorrendo sin dall’età del Bronzo Medio raggiunge la tarda età imperiale.
Fonte: www.museoarcheologicocicolano.it
ORARI
Il Museo è aperto venerdì, sabato e domenica negli orari 10:00 – 13:30 / 15:00 – 19:00
Il Museo resta chiuso domenica 5 maggio 2019 e nei giorni di Ferragosto, Natale e Capodanno.
TARIFFE
Ingresso € 3,00
Tariffa ridotta € 2,00
minori tra i 10 e i 18 anni
adulti sopra i 65 anni
studenti universitari fino a 26 anni di età muniti di libretto
scolaresche di età superiore a 10 anni.
Ingresso gratuito
bambini fino a 10 anni
classi della scuola dell’infanzia e della scuola primaria che non usufruiscono dei servizi museali
insegnanti che accompagnano le classi
guide turistiche autorizzate nell’esercizio della professione
giornalisti e gli organi di informazione in genere, nell’esercizio delle loro attività
studiosi che ne abbiano fatto preventiva richiesta per motivi di ricerca e siano stati autorizzati dal Direttore del Museo.
Attività di educazione al patrimonio
Visite guidate: € 20,00 per ciascun gruppo (minimo 8, massimo 25 persone), oltre al biglietto d’ingresso, in base alle le tariffe vigenti;
Laboratori didattici per le scuole: 5,00 € per ciascun bambino/scolaro. Il costo comprende ingresso, visita guidata e attività didattica.
Eventi speciali a ingresso gratuito
Incontri di studio, convegni, conferenze e presentazioni di libri.
E’ richiesta la prenotazione per la visita guidata chiamando al 342 7543587 negli orari di apertura del MAC, oppure inviando mail a info@museoarcheologicocicolano.it
Museo Archeologico Cicolano. Via di San Francesco, Corvaro di Borgorose (Rieti)
Aperto il venerdì, sabato e domenica, ore 9-13 e 14-18
-Tumulo di Corvaro –
Museo Archeologico del Cicolano
Alla estremità occidentale della Piana di Corvaro in località “Montariolo” è situato il tumulo di Corvaro, che rappresenta l’emergenza archeologica più rilevante presente nel territorio dell’intero Cicolano.
La scoperta del grandioso monumento funerario, denominato localmente “Montariolo”, avvenuta nel 1984, ha determinato l’inizio delle ricerche archeologiche sistematiche nel territorio, condotte e sostenute economicamente dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio e da alcune Università straniere. I numerosi ed importanti rinvenimenti, che sono preziosa testimonianza della cultura materiale dell’ antico popolo degli Equicoli, hanno motivato la costituzione del nuovo Museo Archeologico Cicolano (MAC) il quale deve essere considerato il museo di tutto il territorio della valle del Salto.
Museo Archeologico Cicolano. Via di San Francesco, Corvaro di Borgorose (Rieti)
Aperto il venerdì, sabato e domenica, ore 9-13 e 14-18
Foto e Poesie del Festival Riviviamo il Centro Storico anno 2005-
Immagini e poesie a cura di Paolina Carli-
Arch. Antonio ZACCHIA , Sindaco di Toffia:”…Quando si spengono le luci negli improvvisati palcoscenici per le vie diel Borgo tutto sembra perfino superato! Solo il ricordo delle scene vissute, le immagini dei fotografi Eugenio Spallazzi e Massimo Maccaroni, i racconti e la raccolta di Poesie di Paolina Carli mi rendono profondamente felice!…”
Digitalizzazione a cura dell’Associazione Culturale DEA SABINA
ROMA -La “BIANCONA” della via Aurelia- Chiesa di Nostra Signora di Guadalupe-
La chiesa nazionale messicana costruita con le offerte dei Cattolici messicani e per volontà e zelo dei PP. Legionari di Cristo.
Franco Leggeri Fotoreportage-ROMA La consuetudine della Chiese nazionali in Roma ha dato al Centro del cattolicesimo molti gioielli di architettura sacra. Tra questi si può annoverare la Chiesa di Nostra Signora di Guadalupe della via Aurelia ,sita nel XIII Municipio (ex-XVIII), costruita con le offerte dei Cattolici messicani e per volontà e zelo dei PP. Legionari di Cristo.
Il bellissimo tempio, moderno ed ispirato ad una propria classicità, opera dell’Architetto Giovanni Mazzocca. Nostra Signora di Guadalupe è sorta come omaggio della nobile Nazione cattolica del Messico alla Città Santa, e come un atto di fede e di devozione alla Sede Apostolica, per così offrire a tutti i Messicani in viaggio per L’Europa un’occasione di ritrovare a Roma la loro Patrona e Regina dovutamente onorata. La costruzione fu promossa da S.S. Pio XII all’inizio dell’anno 1955. L’undici aprile dello stesso anno, la prima pietra, prelevata dalla collina di Città del Messico dove sorge il celebre Santuario della “Reia de México y Emperatriz de las Américas”, prima di essere posta, fu personalmente benedetta dal Papa in una cerimonia privata in Vaticano. Numerose personalità erano presenti a questo avvenimento, e tra le più rappresentative gli Em.mi Cardinali Micara, Pizzardo, G. Cicognani, Canali, Piazza, Tedeschini e Cariaci. Dopo tre anni, il dodici ottobre del 1958 aveva luogo la solenne consacrazione, compiuta dal’Em.mo Card. Josè Garbi y Rivera, Arcivescovo di Guadalajara, e un giorno dopo l’inaugurazione, resa anch’essa particolarmente memorabile dalla partecipazione degli Em.mi Pizzardo, Tedeschini, Cicognani, Gonfalonieri e Carruba, con numerose altre personalità. La pianta della chiesa è quella tipica delle basiliche cristiane. La navata centrale, coperta con un tetto a capriate, nella parte superiore è fenestrata e la luce penetra all’interno, morbida e calda, attraverso lastre di onice messicano. Le due navate laterali sono più basse rispetto a quella centrale, e come tali si rivelano anche in facciata. La facciata è in travertino levigato e marmi policromi con sobri ma efficaci motivi geometrici. Nella parte superiore una finestra ottagona circoscrive un rosone, al centro del quale, come in un guscio di mandorla, è raffigurata in mosaico l’immagine di Nostra Signora di Guadalupe. La pilastratura è in travertino, e sui singoli pilastri poggiano travi di cemento armato, a vista, a sostegno delle pareti della navata centrale e copertura delle navate laterali. Le pareti interne ed esterne della chiesa sono rivestite in mattoni, mentre l’abside, nella parete di fondo, è rivestita di mosaici a motivi geometrici, che fanno da contorno al quadro della Vergine di Gadalupe, incastonata in una ricca ed originale cornice d’arte messicana. Il pavimento della chiesa è in marmi policromi, a disegni molto originali nel mezzo della navata centrale. L’abside è sopraelevato di alcuni gradini rispetto al piano della chiesa e ciò pone l’altare in ottima visibilità rispetto ai fedeli. Un fresco mosaico si sviluppa lungo le fasce laterali che sovrastano i pilastri della navata centrale. La sobria decorazione, conferisce all’interno della chiesa un aspetto di chiarezza e di semplicità quanto mai consono alla sensibilità del mondo contemporaneo. L’Osservatore Romano del 14 dicembre del 1958, così descriveva la chiesa:” La cosa che colpisce in questa chiesa e la distingue tra le tante opere contemporanee meno felici, è certo quella obiettività di valutazione che è rispetto, amore e anche misura delle cose, delle materie, delle forme e del retaggio di contenuto che è in ogni spetto della tecnica e della cultura umana. Quel senso d’amore, senza idolatria, per la pluralità e la ricchezza dei materiali e delle strutture antiche e nuove, che fa di essa una sintesi estetica che è strumento vivo e contemporaneo e convincente al messaggio religioso……” La chiesa fu visitata il 20 novembre del 1962 da Sua Santità Giovanni XXIII.
Articolo e Foto di Franco Leggeri per le Associazione -DEA SABINA e CORNELIA ANTIQUA
La Vergine di Guadalupe, Madre della civiltà dell’amore
La storia legata alla Madonna di Guadalupe è estremamente affascinante. Conosciamo tutti il mistero della sua figura impressa sul mantello dell’indio convertito al cristianesimo Jaun Diego Cuauhtlatoatzin. Un’immagine che ad ogni perizia e indagine scientifica è risultata inspiegabile. È detta immagine acherotipa: non fatta da mano dell’uomo.
A tutti è noto il mistero delle sue pupille, dove sono impressi come su una pellicola i volti di coloro che furono i testimoni del miracolo o il fatto inspiegabile che due angeli dipinti successivamente si deteriorarono poco tempo dopo, mentre la figura di Maria resiste nel tempo intatta, nonostante l’acido citrico cadutole addosso o la bomba fatta esplodere ai suoi piedi.
Le apparizioni come colori e profumi di primavera nel livido inverno
All’alba del 9 dicembre 1531 una figura solenne, più grande del vero, apparve al giovane indio Juan Diego, sulla collina di Tepeyac, alla periferia di Città del Messico. La donna, splendida nella sua veste di sole e nella sua carnagione ambrata, da meticcia, si presentò al giovane con queste parole: «Io sono la perfetta sempre Vergine, madre del Verissimo Dio per il quale si vive» e subito espresse la ragione della sua apparizione, che fosse costruita «la sua piccola casa sacra». Così chiede al giovane di recarsi dal vescovo e riferire il suo messaggio. Il vescovo, Juan de Zummarràga, non gli crede. Alla quarta apparizione, il 12 dicembre, la Vergine chiede a Jaun di salire sulla collina e raccogliere fiori. È inverno, la zona è brulla, eppure il giovane la ritrova ricoperta di fiori umidi di rugiada. I fiori di Castiglia. È una costante questo contrappunto tra il silenzio di dicembre e il canto di uccelli mai visti, tra la collina spoglia e triste e il tripudio di colori e profumi. Maria è bella come la primavera. La Vergine aiuta a riempire il suo mantello con quei fiori e lui li porta al vescovo.
Virgen morenita
Il mantello, l’umile tilma fatta con due teli di ayate (fibra d’agave) cuciti insieme, viene infine dispiegato di fronte al vescovo. I fiori cadono e svelano l’immagine della Vergine, raffigurata in piedi, con le mani giunte, il volto leggermente piegato e gli occhi socchiusi. Un manto trapunto di stelle le copre i capelli scuri e scende fino a terra. La veste rosa è decorata da arpeggi e fiori leggeri. Una cinta scura le cinge il seno e ne rivela l’imminente maternità, secondo l’uso delle donne azteche. È come portata in volo da un angelo a braccia aperte e ali colorate. Ai piedi una falce scura di luna e dietro la circondano raggi luminosi di uno splendido sole, simile alla mandorla mistica dell’arte occidentale romanica.
Madre della civiltà dell’amore
Il libro madonna di Guadalupe. Madre della civiltà dell’amore, di Carl Anderson e Eduardo Chávez (LEV 2012), il primo cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e il secondo uno dei più famosi esperti delle apparizioni di Guadalupe, oltre che postulatore per la Causa di canonizzazione di Juan Diego, è un vero e proprio viaggio dentro il mistero, dove viene spiegato il significato di ogni particolare dell’immagine e ogni significato dell’apparizione. La Madonna di Guadalupe è un catechismo di panno. Ogni dettaglio ha un significato preciso, intellegibile agli indi. È stata la portatrice di una nuova civiltà ˗ la civiltà dell’amore ˗ e si è mostrata nel modo più chiaro e trasparente. Dopo le apparizioni, tra gli indi le richieste di essere battezzati si moltiplicarono a dismisura, tanto da dover costringere i missionari francescani a grandi celebrazioni collettive.
Le apparizioni mariane sono la rappresentazione viva del mistero. Maria è il punto di contatto tra l’immenso divino e l’umano finito. Il gesto di Maria di riempire la tilma di fiori è mostrare la verità. Attraverso un segno incredibile far toccare la verità credibile.
Il santuario mariano più visitato al mondo
Il Santuario della Vergine di Guadalupe è il santuario mariano più visitato al mondo. Certamente come Anderson e Chávez affermano, la storia del Messico sarebbe incomprensibile se non si comprendesse la devozione del suo popolo alla Madonna di Guadalupe. Questa devozione è presto dilagata ovunque e oggi è patrona e regina di tutti i popoli di lingua spagnola e del continente americano in particolare, come scrive san Giovanni Paolo II, che la definisce «prima evangelizzatrice dell’America Latina» L’apparizione di Maria all’indio Juan Diego sulla collina di Tepeyac, nel 1531, ebbe una ripercussione decisiva per l’evangelizzazione. Questo influsso supera di molto i confini della nazione messicana, raggiungendo l’intero Continente. E l’America, che storicamente è stata ed è crogiolo di popoli, ha riconosciuto nel volto meticcio della Vergine di Tepeyac, «in Santa Maria di Guadalupe, un grande esempio di evangelizzazione perfettamente inculturata» (Ecclesia in America, 11).
Nostra Signora e Bambina
Papa Francesco rivolge ogni anno, durante la messa dedicata alla Vergine di Guadalupe, pensieri colmi di amore a Maria. Le apparizioni sono visitazioni, sono come il reiterarsi del suo andare da Elisabetta. Il Papa afferma: Diede luogo ad una nuova “visitazione”. Corse premurosa ad abbracciare anche i nuovi popoli americani, in una drammatica gestazione. Fu come un “grande segno apparso nel cielo… una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi” (cfr Ap 12,1), che assume in sé la simbologia culturale e religiosa dei popoli originari, e annuncia e dona suo Figlio a tutti questi altri nuovi popoli di meticciato lacerato. Tanti saltarono di gioia e speranza davanti alla sua visita e davanti al dono di suo Figlio, e la perfetta discepola del Signore è diventata la “grande missionaria che portò il Vangelo alla nostra America” (Documento di Aparecida, 269). Il Figlio di Maria Santissima, Immacolata incinta, si rivela così dalle origini della storia dei nuovi popoli come “il verissimo Dio grazie al quale si vive”, buona novella della dignità filiale di tutti suoi abitanti. Ormai più nessuno è solamente servo, ma tutti siamo figli di uno stesso Padre, fratelli tra di noi e servi nel Servo (Omelia, 12 dicembre 2014).
Nostra Signora di Guadalupe (in spagnoloNuestra Señora de Guadalupe), nota anche come la Vergine di Guadalupe (Virgen de Guadalupe), è l’appellativo con cui la Chiesa Cattolica venera Maria in seguito a un’apparizione che sarebbe avvenuta in Messico nel 1531.
Secondo la tradizione tra il 9 e il 12 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac a nord di Città del Messico (La Villa de Guadalupe), Maria apparve più volte a Juan Diego Cuauhtlatoatzin, uno dei primi aztechi convertiti al cristianesimo. Il nome Guadalupe venne dettato da Maria stessa a Juan Bernardino, lo zio di Juan Diego, essendogli apparsa per guarirlo da una grave malattia: alcuni hanno ipotizzato che sia la trascrizione in spagnolo dell’espressione azteca Coatlaxopeuh, “colei che schiaccia il serpente” (cfr. Genesi 3,14-15[1]), oltre che il riferimento al Real Monasterio de Nuestra Señora de Guadalupe fondato da re Alfonso XI di Castiglia nel comune spagnolo di Guadalupe nel 1340.
In memoria dell’apparizione, sul luogo fu subito eretta una cappella, sostituita dapprima nel 1557 da un’altra cappella più grande, e poi da un vero e proprio santuario consacrato nel 1622. Infine nel 1976 è stata inaugurata l’attuale Basilica di Nostra Signora di Guadalupe.
Nel santuario è conservato il mantello (tilmàtli) di Juan Diego, sul quale è raffigurata l’immagine di Maria, ritratta come una giovane nativa americana: per la sua pelle scura ella è chiamata dai fedeli Virgen morenita[2]. Nel 1921 Luciano Pèrez, un attentatore inviato dal governo, nascose una bomba in un mazzo di fiori posti ai piedi dell’altare; l’esplosione danneggiò la basilica, ma il mantello e il vetro che lo proteggeva rimasero intatti[3][4].
Si ritiene che l’apparizione di Guadalupe, pur non essendo stata riconosciuta con un decreto ufficiale, abbia ottenuto dalla Chiesa cattolica un riconoscimento di fatto: il vescovo di allora fece costruire una cappella là dove aveva chiesto la Vergine e il veggente Juan Diego è stato proclamato santo da Papa Giovanni Paolo II il 31 luglio 2002[5]. Secondo la dottrina cattolica queste apparizioni appartengono alla categoria delle rivelazioni private.[6]
La Madonna di Guadalupe è venerata dai cattolici come patrona e regina di tutti i popoli di lingua spagnola e del continente americano in particolare, ridando vigore al culto di Nostra Signora del comune spagnolo di Guadalupe del XIV secolo. La sua festa si celebra il 12 dicembre, giorno dell’ultima apparizione. In Messico il 12 dicembre è festa di precetto.
La Basilica omonima è uno dei luoghi di culto più visitati dell’America[7].
Il racconto delle apparizioni
Secondo il racconto tradizionale, espresso in náhuatl nel testo conosciuto come Nican Mopohua, Juan Diego avrebbe visto per la prima volta la Madonna la mattina del 9 dicembre 1531, sulla collina del Tepeyac vicino a Città del Messico. Ella gli avrebbe chiesto di far erigere un tempio in suo onore ai piedi del colle: Juan Diego corse a riferire il fatto al vescovo Juan de Zumárraga, ma questi non gli credette. La sera, ripassando sul colle, Juan Diego avrebbe visto per la seconda volta Maria, che gli avrebbe ordinato di tornare dal vescovo l’indomani. Il vescovo lo ascoltò di nuovo e gli chiese un segno che provasse la veridicità del suo racconto.
Juan Diego tornò quindi sul Tepeyac dove avrebbe visto per la terza volta la Vergine, la quale gli avrebbe promesso un segno per l’indomani. Il giorno dopo, però, Juan Diego non poté recarsi sul luogo delle apparizioni in quanto dovette assistere un suo zio, gravemente malato. La mattina dopo, 12 dicembre, lo zio appariva moribondo e Juan Diego uscì in cerca di un sacerdote che lo confessasse. Maria gli sarebbe apparsa ugualmente, per la quarta e ultima volta, lungo la strada: gli avrebbe detto che suo zio era già guarito e lo avrebbe invitato a salire di nuovo sul colle a cogliere dei fiori. Qui Juan Diego trovò il segno promesso: dei bellissimi fiori di Castiglia (rose tipiche della regione spagnola[8]), sbocciati fuori stagione in una desolata pietraia. Egli ne raccolse un mazzo nel proprio mantello e andò a portarli al vescovo.
Di fronte al vescovo e ad altre sette persone presenti, Juan Diego aprì il mantello per mostrare i fiori: all’istante sulla tilma si sarebbe impressa e resa manifesta alla vista di tutti l’immagine della Vergine Maria. Di fronte a tale presunto prodigio, il vescovo cadde in ginocchio, e con lui tutti i presenti. La mattina dopo, Juan Diego accompagnò il presule al Tepeyac per indicargli il luogo in cui la Madonna avrebbe chiesto le fosse innalzato un tempio e l’immagine venne subito collocata nella cattedrale.
A causa della sua origine miracolosa, l’immagine della Madonna di Guadalupe è oggetto di devozione paragonabile a quella rivolta alla Sindone. La sua fama si sparse rapidamente anche al di fuori del Messico: nel 1571 l’ammiraglio genovese Gianandrea Doria ne possedeva una copia, dono del re Filippo II di Spagna, che portò con sé sulla propria nave nella battaglia di Lepanto. Negli anni venti del XX secolo, i Cristeros, cattolici messicani che si erano ribellati al governo anticlericale, portavano in battaglia l’immagine della Virgen morenita sulle proprie bandiere.
Il mantello è del tipo chiamato tilma: si tratta di due teli di ayate (fibra d’agave) cuciti insieme. L’immagine di Maria è di grandezza lievemente inferiore al naturale, alta 143 cm. Le sue fattezze sono quelle di una giovane meticcia: la carnagione è scura. Maria è circondata dai raggi del sole e ha la luna sotto i piedi; porta sull’addome un nastro di colore viola annodato sul davanti che, tra gli aztechi, indicava lo stato di gravidanza; sotto la luna vi è un angelo dalle ali colorate di bianco, rosso e verde (i colori dell’attuale bandiera messicana), che sorregge la Vergine[9].
La figura ha caratteristiche particolari che la ricollegano alle divinità della religione azteca. Il mantello verde e blu che indossa la Madonna era anche un simbolo della divinità chiamata Ometeotl. La Luna è un simbolo ricorrente nelle raffigurazioni mariane e pagane, quasi sempre associato alle divinità femminili.[10] Elemento non trascurabile è il luogo dell’apparizione, ovvero la collina di Tepeyac, sulla quale sorgeva un tempio dedicato alla dea locale Tonantzin, la cui pianta sacra era proprio l’agave associata all’apparizione mariana.[11]
Alcuni autori, che hanno eseguito degli studi scientifici sul mantello, sostengono che effettivamente l’immagine non sarebbe dipinta, ma acheropita (non realizzata da mano umana); essa presenterebbe inoltre caratteristiche particolari difficili da spiegare naturalmente. Altri autori sostengono il contrario.
Principali proprietà della tilma e dell’immagine presente su di essa
Il telo (in fibra di agave) è di immagine grossolana: gli spazi vuoti presenti tra l’ordito e la trama sono così numerosi che ci si può guardare attraverso.
Nonostante in Messico il clima (caratterizzato da un’atmosfera ricca di salnitro) causi il rapido deterioramento dei tessuti (specialmente di quelli in fibra vegetale), la tilma invece si è conservata pressoché intatta per circa cinquecento anni[12].
L’immagine non ha alcun tipo di fondo, tanto che si può guardare da parte a parte del telo (questo è un elemento a sostegno dell’ipotesi che si tratti di un’immagine acheropita). Già nel 1666 la tilma fu esaminata da un gruppo di pittori e di medici per osservarne la composizione: essi asserirono che era impossibile che l’immagine, così nitida, fosse stata dipinta sulla tela senza alcuna preparazione di fondo, e inoltre che nei 135 anni trascorsi dall’apparizione, nell’ambiente caldo e umido in cui era conservata, essa avrebbe dovuto distruggersi. Nel 1788, per provare sperimentalmente questo fatto, venne eseguita una copia sullo stesso tipo di tessuto: esposta sull’altare del santuario, già dopo soli otto anni era rovinata. Al contrario l’immagine originale, a distanza di quasi 500 anni, è ancora sostanzialmente intatta.
La tecnica usata per realizzare l’immagine è un mistero: alcune parti sono affrescate, altre sembrano a guazzo altre ancora (certe zone del cielo) sembrano fatte a olio (elemento a sostegno dell’ipotesi che si tratti di un’immagine acheropita). Disegno che mostra una delle prime analisi di guadalupanos in cui si studia come sia stato possibile modellare la vergine quando ayate viene tagliato a metà e unito con un filo.
Gli Aztechi dipingevano i volti in modo elementare usando la prospettiva frontale o quella di profilo. La figura presente sulla tilma è, invece, rappresentata con la prospettiva di un volto leggermente piegato in avanti e visto di tre quarti. La realizzazione dell’immagine (se fosse stata realizzata da mano umana) richiede capacità superiori a quelle esistenti all’epoca in Messico; parimenti, nessun artista occidentale era attivo nella regione in quegli anni (elemento a sostegno dell’ipotesi dell’origine acheropita dell’immagine).
I caratteri somatici della donna raffigurata sono quelli tipici di una persona di sangue misto, meticcia. L’immagine risale a pochi anni dopo la conquista del Messico, quando il tipo meticcio era assolutamente minoritario. La Madonna di Guadalupe prefigura un tipo di popolazione che diverrà maggioritario solo dopo alcune generazioni. Rimane un mistero come il presunto autore abbia raffigurato in forma così perfetta un soggetto allora così poco diffuso (elemento a sostegno dell’ipotesi dell’origine acheropita dell’immagine).
La disposizione delle stelle sul manto azzurro che copre la Vergine non sembra casuale ma rispecchierebbe l’area del cielo che era possibile vedere da Città del Messico durante il solstizio d’inverno[13]. Se ne accorsero per primi gli astronomi messicani dell’epoca.
Particolarità singolari presenti e riscontrate sugli occhi dell’immagine sono assolutamente inspiegabili se si ritiene che l’immagine sia stata realizzata da mano umana (vedi infra)[14].
Alcuni dati portati a sostegno dell’ipotesi miracolosa
Nel 1791 si rovesciò accidentalmente acido muriatico sul lato superiore destro della tela. In un lasso di 30 giorni, senza nessun trattamento, si sarebbe ricostituito miracolosamente il tessuto danneggiato.
Nel 1936 il chimico Richard Kuhn esaminò due fibre di colore diverso prelevate dal mantello: analizzate, non mostrarono la presenza di alcun pigmento.
Nel 1979 Philip Serna Callahan scattò una serie di fotografie all’infrarosso. L’esame di queste foto rivelò che, mentre alcune parti dell’immagine erano dipinte (potrebbero essere state aggiunte in un secondo momento), la figura di Maria era impressa direttamente sulle fibre del tessuto; solo le dita delle mani apparivano ritoccate per ridurne la lunghezza.
Nel 1951 il fotografo José Carlos Salinas Chávez dichiarò che in entrambe le pupille di Maria, fortemente ingrandite, si vedeva riflessa la testa di Juan Diego. Nel 1977 l’ingegnere peruviano José Aste Tonsmann analizzò al computer le fotografie ingrandite 2500 volte e affermò che si vedono ben cinque figure: Juan Diego nell’atto di aprire il proprio mantello, il vescovo Juan de Zumárraga, due altri uomini (uno dei quali sarebbe quello originariamente identificato come Juan Diego) e una donna. Al centro delle pupille si vedrebbe inoltre un’altra scena, più piccola, anche questa con diversi personaggi. Nella puntata di Voyager del 12 ottobre 2009, viene detto che i personaggi fino a quel momento trovati sono 13.
La tilma mantiene sempre una temperatura costante di 36,6 °C, corrispondente alla temperatura media del corpo umano.[15]
Dati portati a sostegno dell’ipotesi contraria[16]
Elaborazioni fotografiche ottenute con tecnica di ripresa ai raggi infrarossi evidenziano alcuni ritocchi successivi e rendono lecita l’ipotesi che l’autore abbia realizzato il contorno della figura a mo’ di schizzo, per poi colorarla.
Nel 1556, nel corso di un esame del mantello, fu affermato[16] che l’effigie fosse stata dipinta dal “pittore indiano Marcos” (che alcuni studi riconducono a Marcos Cipac d’Aquino, un artista azteco dell’epoca) l’anno prima.
Nel 1982 José Sol Rosales esaminò il tessuto al microscopio e affermò che la colorazione dell’immagine è dovuta ad alcuni pigmenti già disponibili e utilizzati nel XVI secolo.
Le caratteristiche dell’immagine rispecchiano gli schemi dell’arte figurativa spagnola del XVI secolo, avente come oggetto le rappresentazioni mariane; la tradizione su Juan Diego invece, secondo alcuni studi, risalirebbe al secolo successivo.
L’esistenza stessa di Juan Diego è stata decisamente messa in dubbio, anche da importanti esponenti cattolici, nel periodo del processo di canonizzazione di Juan Diego, come ad esempio da Guillermo Schulemburg Prado, membro della Pontificia Accademia Mariana e primo amministratore (per trent’anni) della basilica di Guadalupe; dall’ex nunzio apostolico messicano, Girolamo Prigione; dall’arcivescovo polacco Edward Nowak, segretario della Congregazione per le Cause dei Santi (“sull’esistenza di questo Santo si sono sempre avuti forti dubbi. Non abbiamo documenti probatori ma solo indizi. […] Nessuna prova presa singolarmente dimostra che Juan Diego sia esistito”, in un’intervista al quotidiano Il Tempo).
L’immagine che si vede nelle pupille ha una risoluzione troppo bassa per poter affermare con certezza che vi si vedano i personaggi che alcuni affermano di riconoscere. Gli scettici liquidano questa affermazione come un caso di pareidolia, la tipica tendenza umana a ricondurre a forme note degli oggetti o dei profili dalla forma casuale.
Approvazioni pontificie
Papa Benedetto XIV – nella bolla papaleNon est Equidem del 25 maggio 1754 dichiarò Nostra Signora di Guadalupe patrona di quella che allora si chiamava “Nuova Spagna”, un’area corrispondente all’America centrale e settentrionale spagnola. Inoltre, promulgò in suo onore testi liturgici da integrarsi nella Messa cattolica e nel Breviario romano.
Papa Leone XIII – l’8 febbraio 1887 concesse un decreto per l’incoronazione della reliquia originale messicana. I riti di incoronazione furono eseguiti il 12 ottobre 1895. Per tramite della Sacra Congregazione dei Riti, il 6 marzo 1894 firmò una lettera di approvazione.
Papa Pio X – con il decreto Gratia Quae del 16 giugno 1910, firmato e autenticato dal cardinale Rafael Merry del Val, la dichiarò patrona della Repubblica del Messico.[17]
il 10 agosto 1924 concesse un decreto di incoronazione canonica per un’immagine omonima custodita a Santa Fe, in Argentina. Il decreto fu eseguito dall’arcivescovo Filippo Cortesi il 22 aprile 1928.
in occasione del “Secondo Congresso Nazionale Mariano” del 12 dicembre 1928, sottoscrisse un decreto di conferma del patrocinio di Nostra Signora di Guadalupe per la diocesi di Coro.
il 12 settembre 1942 annullò i precedenti decreti del luglio 1935 in sostituzione degli Impositi Nobis[19] e il 16 luglio 1958, nel Quidquid ad Dilatandum, ribadì[20] che Nostra Signora di Guadalupe era un titolo patronale da preferirsi a quello dell'”Immacolata Concezione” per le isole Filippine.
menzionò la venerata immagine in un discorso radiofonico pubblico, tenuto il 12 ottobre 1945 in occasione del cinquantesimo anniversario della sua incoronazione.[21]
il 4 marzo 1949 concedette un decreto pontificio per l’incoronazione per un’immagine omonima prodotta dallo Studio Mosaico Vaticano, immagine che fu incoronata il 26 aprile 1949 dall’Arcivescovo di Parigi, il cardinale Emmanuel Célestin Suhard.
il 20 marzo 1966 donò all’immagine una Rosa d’oro, opera dello scultore romano Giuseppe Pirrone. Come da tradizione, benedisse la rosa, la Domenica Laetare del 20 marzo 1966 e la consegnò al cardinale Carlo Confalonieri come suo legato, il quale la presentò in Basilica il 31 maggio 1966.[22]
l’8 ottobre 1992 controfirmò un decreto di incoronazione di un’immagine omonima della statua a Coro, in Venezuela. L’incoronazione ebbe luogo il 12 dicembre 1992.
il 15 settembre 1994 concesse il decreto di incoronazione dell’immagine venerata a Manzanillo, in Messico.
il 9 maggio 2006 sottoscrisse un decreto di incoronazione canonica per l’immagine omonima di Cebu, nelle Filippine, che fu successivamente eseguito il 16 luglio dello stesso anno. Ciò fu il suo secondo decreto di incoronazione.
il 6 dicembre 2008 promulgò un decreto che elevava il santuario di Guadalupe a Coro, in Venezuela, al rango di basilica minore.
nel corso della visita apostolica alla Basilica il 13 febbraio 2016, donò una nuova corona d’argento placcata in oro con una preghiera di accompagnamento. Questa seconda corona è conservata all’interno della cancelleria e non è riposta sull’immagine custodita sull’altare e pubblicamente visibile.
Altri prelati
Il cardinale Raymond Leo Burke ha composto una preghiera per una novena straordinaria di 9 mesi, dal 12 marzo al 12 dicembre 2024, festa di Nostra Signora di Guadalupe, cui è devoto.[25]
Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara nel 1863 ed è stato uno scrittore, un poeta, Gabriele D’Annunzio un drammaturgo ma anche un militare e politico italiano.
Fu l’inventore della frase “vivere inimitabile” ed è proprio questo il modo in cui ha cercato di vivere la propria vita fin dalla più giovane età. Fin da subito mostrò un grande interesse per la letteratura, tanto da pubblicare la sua prima raccolta di poesie negli anni in cui frequentava il collegio. Questa raccolta prende il nome di Primo Vere e ne affronteremo una poesia nei paragrafi successivi.
Quando pubblicò quest’opera aveva soltanto sedici anni e questa potremmo dire che segnò il suo avvenire nel mondo letterario di quegli anni. Si iscrisse poi alla facoltà di Lettere a Roma, anche se non porterà mai a termine i suoi studi.
Quel periodo trascorso nella grande città, però, gli fu comunque utile per approfondire i suoi interessi nel giornalismo e per la frequentazione di vari salotti letterari che lo avviarono alla vita mondana. Cominciarono in quegli anni le sue storie d’amore e le sue storie di vita sregolata, tutte con l’obiettivo di vivere una vita degna di essere vissuta al massimo.
Proprio per questo è considerato il padre dell’Estetismo: la sua dottrina del vivere inimitabile si diffonde non soltanto al suo modo di vivere la sua vita, ma anche nelle opere che scrive in quel periodo. Pubblicò Il Piacere, che divenne il simbolo dell’estetismo stesso che, appunto, si impone non soltanto come un vero e proprio movimento letterario ma anche come un modo di vivere la vita.
La sua vita sregolata e dedita al piacere a Roma comporta lo sviluppo di diversi debiti, per fuggire dai quali si trasferì a Venezia dove conobbe il suo grande amore, Eleonora Duse, che diventerà la sua musa ispiratrice.
In questo periodo entrò in contatto con la dottrina di Nietzsche del superuomo, che appare del tutto in linea con la sua dottrina dell’estetismo: si tratta di un uomo che rifiuta le convenzioni sociali, che è uno spirito libero e che non accetta alcun tipo di costrizione data dalla società.
Fu un aperto sostenitore della Prima Guerra Mondiale e si batté affinché il paese vi prendesse parte. Infatti, lui stesso partecipò alle battaglie, anche se perse la vista da un occhio a causa delle ferite riportate. In questo periodo scrisse un’opera intitolata Il Notturno, che racconta proprio della perdita della vista e del periodo di guarigione successivo.
Dopo la guerra, con l’arrivo in Italia della politica mussoliniana, si ritirò dalla vita politica e passò gli ultimi anni in ritiro, all’interno di quello che successivamente diventerà Il Vittoriale degli Italiani, costruito a partire dal 1921 da lui stesso con l’aiuto dell’architetto Gian Carlo Maroni.
RIETI-Camera di commercio di Rieti-CANTIERI SCUOLA dell’anno 1948 nel territorio della Provincia .
Nel 1948 venne attribuita alla Camera di commercio di Rieti il compito di gestire ed organizzare i Cantieri scuola, in collaborazione con la Prefettura di Rieti, con l’Ufficio provinciale del lavoro e l’ispettorato ripartimentale del corpo delle foreste. Quest’attività di organizzazione e controllo, deliberata il 25 novembre 1948, comportava la realizzazione di una serie di interventi sul territorio al fine di combattere la disoccupazione e, al tempo stesso, di offrire alla provincia una adeguata ricostruzione dopo il conflitto bellico. In genere, salvo rare eccezioni, si trattava di cantieri mirati o al rimboschimento, oppure ad una più ampia sistemazione delle zone montane, o alla costruzione di un più adeguato apparato viario. I lavori erano eseguiti sotto la direzione tecnica dell’Ispettorato forestale del ripartimento di Rieti, mentre l’avviamento al lavoro era curato dall’Ufficio provinciale del lavoro tramite la sua rete di Uffici di collocamento. Durante i lavori del cantiere era prevista anche un’assistenza medica demandata alle singole condotte tramite una apposita convenzione stipulata con l’INAIL.
Ordine delle foto dei Cantieri scuola:A)-Pescorocchiano;B)-Poggio Bustone;C)-Turania;D)-Contigliano;E)-Labro;F)-Poggio Catino;
G)- Corografia della provincia di Rieti con l’ubicazione dei Cantieri scuola.
A)- Pescorocchiano;
B)-Poggio Bustone;
C)-Turania;
D)-Contigliano;
E)-Labro;
F)-Poggio Catino;
G)- Corografia della provincia di Rieti con l’ubicazione dei Cantieri scuola.
MARTHA ARGERICH- L’enfant et les sortilèges-Zecchini Editore
Presentazione di Carlo Piccardi
MARTHA ARGERICH ,Genio del pianoforte”-Nel 2018 è stata insignita dal Presidente Mattarella del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Olivier Bellamy:”Martha Argerich puoi conoscerla attraverso la sua biografia scritta da Olivier Bellamy: un libro interessante, intrigante e ricco di aneddoti, corredato di cronologia, premi, galleria fotografica, repertorio, discografia e videografia, documentari, indici dei nomi, delle etichette, delle opere citate, dei musicisti, dei cantanti, dei cori, dei luoghi, delle orchestre e degli ensemble che hanno collaborato con la grande pianista argentina”.
MARTHA ARGERICH ,Genio del pianoforte”, “miracolo della natura”, “ciclone argentino”, o ancora “leonessa della tastiera”: non mancano certo le definizioni per evocare la dirompente personalità di Martha Argerich.Nata nel 1941, la leggendaria pianista argentina, applaudita sulle scene internazionali da decenni, affascina per la potenza delle sue esecuzioni e per il mistero della sua personalità. Il suo temperamento indomabile, il carattere libero e indipendente ne fanno un personaggio davvero atipico nel mondo della musica classica. In una narrazione costellata di aneddoti inediti e di sorprendenti rivelazioni, Olivier Bellamy dipana le fila di una vita ricca di eventi e di sviluppi imprevedibili: dall’infanzia in Argentina, quand’era bambina prodigio a Buenos Aires, passando per gli studi di perfezionamento dapprima a Vienna con Friedrich Gulda e quindi ad Arezzo e Moncalieri con Arturo Benedetti Michelangeli, per arrivare alle decisive affermazioni del Premio Busoni di Bolzano e del Concorso di Ginevra e all’apoteosi dello “Chopin” di Varsavia, fino agli anni più recenti, caratterizzati anche da momenti di profonda crisi, da rinunce ai concerti e ancora da trionfali ritorni… Di città in città (Buenos Aires, Vienna, Bolzano, Amburgo, New York, Ginevra, Bruxelles, Londra, Rio de Janeiro, Mosca…), attraverso i suoi colleghi musicisti, gli amori, le amicizie, il libro delinea il ritratto intimo di un’artista dalla profonda umanità.
Breve biografia- Nata a Buenos Aires, Martha Argerich studia pianoforte dall’età di cinque anni con Vincenzo Scaramuzza.Enfant prodige, inizia molto presto a esibirsi in pubblico. Arriva in Europa nel 1955: studia a Londra, a Vienna e in Svizzera con Seidlhofer, Gulda e Magaloff, con la signora Lipatti e con Askenase. Due anni dopo già si aggiudica il primo premio nei concorsi di Bolzano e Ginevra, nel 1965 vince il Concorso Chopin a Varsavia. Da quel momento, la sua carriera è una successione di trionfi. Seppure per temperamento e tecnica sia particolarmente adatta a pagine virtuosistiche dei secoli XIX e XX, si rifiuta di considerarsi come specialista di una particolare epoca. Il suo repertorio è quindi molto vasto e comprende Bach, come pure Bartók, Beethoven, Schumann, Chopin, Liszt, Debussy, Ravel, Franck, Prokof’ev, Stravinskij, Šostakovič, Čajkovskij, Messiaen. Regolarmente invitata dai più prestigiosi festival e dalle migliori orchestre d’Europa, America e Giappone, privilegia anche la musica da camera: suona e incide regolarmente con Freire, Rabinovitch, Maisky, Kremer, Barenboim. Martha Argerich ha inciso per EMI, Sony, Philips, Teldec, DGG e molti dei suoi concerti sono stati trasmessi dalle televisioni del mondo intero.Direttore artistico del Beppu Festival in Giappone dal 1998, nel 1999 ha creato sia il Concorso Internazionale di Pianoforte che il Festival Martha Argerich a Buenos Aires per poi dar vita all’Argerich Festival, dal 2002 al 2016 a Lugano e dal 2018 ad Amburgo.
MARTHA ARGERICH. L’enfant et les sortilèges
Presentazione di Carlo Piccardi
pagine XII+356 – formato cm. 17×24 – illustrato
Collana “Personaggi della Musica”, 19 – euro 25,00
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Bertrand Russell :Storia della filosofia occidentale e dei suoi rapporti con le vicende politiche e sociali dall’antichità a oggi
Descrizione-
Vero e proprio capolavoro di sintesi e di chiarezza espositiva, la “Storia della filosofia occidentale”di Bertrand Russell si offre come un quadro completo dello sviluppo del pensiero filosofico, all’interno del quale i singoli pensatori sono collocati nel loro contesto storico e sociale a dimostrare che l’opera di un filosofo non sorge mai isolata, bensì riflette ed elabora le idee e i sentimenti che sono comuni alla società di cui fa parte. L’opera di Russell, priva di difficoltà terminologiche e di disquisizioni tecniche, rappresenta uno dei migliori e più conosciuti esempi di divulgazione filosofica.
Breve biografia di Bertrand Arthur William Russellnacque il 18 maggio 1872 a Ravenscroft (Galles). A causa della morte precoce dei suoi genitori venne allevato dalla nonna, scozzese e presbiteriana, sostenitrice dei diritti degli Irlandesi e contraria alla politica imperialista inglese in Africa. Ricevette la prima educazione da precettori privati agnostici, imparando perfettamente il francese e il tedesco, appassionandosi fin da subito, grazie alla ricca biblioteca del nonno, alla storia e soprattutto alla geometria di Euclide. Attraverso il pensiero del grande matematico dell’antichità, il piccolo Russell scoprì la bellezza e il rigore di quella disciplina, troppo spesso vista a torto come un’arida astrazione. La sua fanciullezza, tuttavia, non fu del tutto felice, almeno fino ai diciotto anni, quando entrò al Trinity College di Cambridge, posto magico che gli svelò “un mondo nuovo” e dove godette di “un periodo di infinita letizia”.
Fu, per un breve periodo, hegeliano e seguì la filosofia di Bradley, ma intorno al 1898 sotto l’influenza di G. E. Moore si liberò dell’idealismo e rientrò nell’empirismo, dottrina tradizionale della filosofia inglese. Molti e importanti sono i suoi contributi a questa concezione empirica e realista del pensiero, tra cui rimangono a imperitura memoria: “I problemi della filosofia” (1912), “La conoscenza del mondo esterno” (1914), “Misticismo e logica” (1918), “L’analisi della mente” (1921) e “L’analisi della materia” (1927).
Nel 1918, per aver scritto un articolo a favore del pacifismo, dovette scontare sei mesi di carcere dove scrisse la sua “Introduzione alla filosofia matematica”. Dopo la guerra fu in Russia e in Cina; dal 1938 visse e insegnò negli Stati Uniti. Nel 1940, a causa dello scandalo che le sue teorie etiche e sociali avevano suscitato, fu privato dell’incarico al City College di New York. Nel 1944 tornò a vivere in Inghilterra e ad insegnare al Trinity College dove completò una delle sue opere fondamentali: “La conoscenza umana, suo ambito e suoi limiti”. Nel 1950 Bertrand Russell ricevette il premio Nobel per la letteratura.
Spese gli ultimi anni della sua vita nella difesa dei suoi ideali etico-politici. Con grande coerenza e pagando di persona, fu sempre in prima linea contro ogni forma di sopruso. Si schierò contro le ingiustizie del capitalismo ma anche contro l’oppressione del bolscevismo, così come combattè sia l’antisemitismo che l’orrida applicazione dei crimini nazisti.
Pacifista convinto dal tempo del primo conflitto mondiale fino alla guerra del Vietnam, si batté negli anni ’50 insieme ad Albert Einstein contro gli armamenti atomici.
Strenuo difensore dei diritti umani e tenace sostenitore delle libertà dell’individuo fu ispiratore del cosiddetto Tribunale Russell istituito per denunciare le persecuzioni ideologiche e distintosi nella lotta per smascherare i crimini di guerra contro il Vietnam.
Bertrand Russell morì in Galles, nella notte di lunedì 2 febbraio 1970 presso la sua villa.
Poesie da “Poesie Verdi”- da “Mobili”- da “Oggetti” (canto per Ustica)- da “Langue”- da “Altri ambienti”
VOCE
Senza preavviso la tua voce mi risuona di colpo lenta lenta – guardavo ferma la fuga delle mattonelle? attendevo un bus? un pane dal fornaio?-. proprio allora, proprio lei piano rinasce la tua voce, sottovoce, nota a nota non intera, sillabe affettuose come cura interminabile per un attimo mi sana, terapia buona mollica per il cervello. da “Oggetti” (canto per Ustica)
POMODORI RADICI FOGLIE
Pomodori radici foglie compone il pensiero e tenue lo tiene al concreto lavorare la terra. Pulisco una foglia da un piccolo insetto dimentico presto la fretta coltivo non vista il mio tempo Allora sento scorrere la lentezza Respiro. – Poesie verdi –
SANDALI
Nello spazio stretto fra un sandalo divelto e la parola estate si consuma piano la mancanza e lenta si avverte l’assenza e si precipita nel mondo sospeso delle vite perse con i loro pettinini, pastiglie, spazzolini così poco adatti all’occasione eppure così appropriati nei loro necessaire per la vacanza. Questi siamo noi, colti nel nudo della nostra vita questi erano loro impreparati. da “Oggetti” (canto per Ustica)
SOLO AMICI
Ah ecco allora. È così che funziona. Perché i fidanzati almeno si lasciano. Allora piangono sui lavandini dei bagni camminano fino a perdersi si lamentano ai telefoni non mangiano più nulla mangiano cioccolata vengono coccolati. Non noi, noi no, che eravamo solo amici solo non ci siamo più sentiti non hai telefonato non hai più risposto quando ho chiesto “come stai?” e tutte quelle cose non le posso fare non mi posso lamentare non mi puoi mancare neanche posso farmi consolare. Neanche a Natale. Scalza. Lavoro al computer. Scrivo parole. Ho scarpe senza suole.
GIORNI
Ci sono giorni che non riesco a starmene seduta la sedia è troppo alta, il divano non accoglie. Ci sono i giorni del letto duro e inospitale che pare il disordine insopprimibile del cosmo riversarsi in un instabile equilibrio del mio corpo. Se ne stanno dure le cose e ossute preoccupate di seguire il palinsesto quotidiano. da “Mobili”
MI HANNO INSEGNATO A SCUOLA
Mi hanno insegnato a scuola l’albero. Si estende. Con le braccia accoglie . Ho imparato quasi solo la città come albero si dipana contraddice se stessa trattiene, raccoglie estranea non accoglie. – Poesie verdi –
A SCAVARE A SCAVARE
A scavare a scavare a scovare patate da terra un tesoro insospettato nascosto la sotto solo segnalato da una piantina di foglie sopra il terreno. Strano che le patate non crescano nelle reti del supermercato. – Poesie verdi –
LA MIA CASA E’ IN CITTA’
La mia casa è in città. La città avvolta da rumori meccanici e aria senza movimento. Ma le mie finestre toccano i rami degli alberi il vento li fa dondolare penso sempre di abitare la vacanza lenta. – Poesie verdi –
LANGUE
L’oca langue langue d’oc lingua d’oca batte qua e qua sguazza e gioca evoca cantori e rifà il verso poi si basta e s’acquieta Lingua scritta in punta di penne ad ingannevoli equazioni sussurra dis-soluzioni senso e dissenso leggera si eleva e leva il torpore intenso causato da abusi mediatici di senso da lingua diva televisiva finta oca che gioiva giuliva ma illanguidiva e ti seduceva Lingua di piuma che eroica si batte ma è sola e poca e si fa fioca senza stupire starnazza povera lingua. D’altra parte è d’oca perciò stupidamente ora langue Così la penna. da “Langue”
FINESTRE
Certe sere preferisco finestre chiuse. E’ quando l’arietta, le tende che svolazzano mi soffiano via la testa immagino me stessa prendere la rincorsa e dal centro della stanza saltare fuori dalle cose. Il mio corpo si librerebbe per un attimo volerebbe fermo lì a mezza via libertà di cartoooon. On. Off. da “Altri ambienti”
OGGETTI
Noi non eroi non ministri né santi ci accontentiamo di cose che si possono acquistare per sopire un sospetto di vuoto e solitudine nelle nostre vite abituali. Prodotti di mercato. Oggetti. Merci normali. Questi sono i nostri resti. Eppure è negli oggetti che ti cerco e ancora e in ciò che è stato tuo riaffiori in tepore. Restano loro a me come se potessero reggere il mondo. da “Oggetti” (canto per Ustica)
HO CAMMINATO NEL BOSCO
Ho camminato nel bosco ho colto asparagi e bocci alla fine ero stanca, affamata. Che frittata quella sera. – Poesie verdi –
EQUILIBRI
Ecco siamo a fianco a fianco è stato un lungo andare architettando strategie delicate guglie di ceramica che sostenessero per difetto solidi costrutti quotidiani. da “Altri ambienti”
DI RIFLESSO
Come si affianca all’uno l’altro treno di notte alla stazione quando i vetri dall’altro lato specchiano l’errore raddoppiando l’illusione di partenza, non capisco mai all’inizio se sono io che parto o se sei tu a staccarti lasciandomi con tutto ancora dentro le valigie.
ABAT-JOUR
Quando a colloquio col sonno mi spoglio scappano dai ripari diurni del corpo penzolano su l’abat-jour in attesa sul colle dei libri non letti sui colloqui virtuali di cellulari in riposo ali di parole dette lette ascoltate rubate a bocche distratte e insegne loquaci. Attendono come passeri sul filo che la luce si spenga. E vanno a infilarsi rimescolate nei sogni a spiegare i significati della mia irrequietezza il senso dei gesti non fatti. Mi sospingono fino a depositarmi verso minuscole verità della vita. da “Mobili”
MERENDINE
Ecco il bifidus che ci salva il mondo mentre il sogno screpola, affanna incastrato tra i denti del quotidiano nelle misere vite che rincorriamo nell’immagine video desolata nella spelonca delle veline delle escortine, delle brave mammine delle ministre maestrine delle mafie di stato. Abbiamo disoccupato le strade dai sogni. Ora sono vuote. Nel vuoto carico, tirato a lucido ci basteranno merendine dietetiche gusto cioccolato, per la felicità?
CERTE SERE
Certe sere che mi ami si vede che mi ami e allora non ho tanto bisogno di tutte quelle paillettes sulle ciglia per sopravvivere. da “Altri ambienti”
MOBILIA
Scaffale a giorno su misura componibile adattabile ai momenti di solitudine. Brulica di pensieri smodati in edizione economica e brossura. Disponibile anche in metallo per risuonare il mezzogiorno e non dimenticare di mangiare. Tappeto in lana per scivolare dal divano. Antimacchia durevole, resistente con motivi suonati a mano. Disponibile anche in altri pensieri per baci nuovi lusinghieri. Cassettiera stile libero con alone senza bicchiere completa, corredata di affetti personali e scrittoio a scomparsa per guerre senza parole colme di effetti collaterali. Causa trasloco cedesi prezzi trattabili. da “Mobili”
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