-A cura di Roberto Calasso- ADELPHI EDIZIONI- Milano
Risvolto-Bruce Chatwin fotografo-«Lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde voleva dire sentiero tortuoso». A questi «sentieri tortuosi», che paiono inscritti nel nome e nel destino di Bruce Chatwin e che lo hanno condotto in una perenne irrequietezza nei luoghi più disparati, dalla Mauritania ai deserti australiani, è dedicata la prima mostra al mondo che fornisca un quadro vasto e articolato della sua opera di fotografo. Mostra molto attesa, da quando la pubblicazione dell’Occhio assoluto ha rivelato l’esistenza di un’attività sino allora ipotizzabile solo sulla base delle foto che accompagnano In Patagonia (foto, peraltro, di cui Rebecca West ebbe a dire che erano talmente belle da rendere superfluo il testo). Di fatto Chatwin nei suoi viaggi ha sempre usato la macchina fotografica come una sorta di taccuino visivo, in parallelo ai celebri quaderni di tela cerata che sempre lo accompagnavano e che sono il vero laboratorio della sua opera letteraria. Si sono così accumulate centinaia di fotografie – in gran parte ignote e ora messe a disposizione da Elizabeth Chatwin –, che Roberto Calasso, cui si deve anche il saggio introduttivo al catalogo, ha scelto e organizzato in sezioni, creando un contrappunto fra di esse e l’opera letteraria, l’ultima a tutt’oggi in cui si sia incarnato il «mito del viaggio».
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Erich Fried nato a Vienna nel 1921, nel 1938 lasciò l’Austria e si trasferì a London. Tra i suoi volumi di poesia: Germania (Deutschland, 1944), Contestazioni (Anfechtungen, 1967), Cento poesie senza patria (100 Gedichte ohne Vaterland, 1978). Tra i romanzi e racconti: Figli e pazzi (Kinder und Narren, 1957), Un soldato e una ragazza (Ein Soldat und ein Mädchen, 1960), Quasi tutto il possibile (Fast alles Mögliche, 1975). Nei suoi testi la sperimentazione formale si unisce all’impegno politico.
50
Scarna povertà, fradicia povertà,
coi calzoni laceri al cavallo e al ginocchio.
Si scalda le mani su cocenti infamie,
chiama il destino Lui e Loro
e si delizia con cose dai nomi duri:
stracci e piedi, cibo e mani –
non t’ingozzare, che non ce n’è più!
Fradicia povertà, oscena povertà,
ronza con spietata fedeltà
come legno marcio con accenno di orifizio,
umido giornale ficcato nei vuoti dell’artifizio,
e ci disgusta fino alla feroce lealtà.
Non è mai colpa di quelli che ami:
la povertà discende dai cieli.
Lascia che balli su sedie, che sfondi la porta,
sorge da tutto quello che è venuto prima,
e ogni outsider è il nemico –
il bastone di Cristo rovesciò tutto questo
cavalieri e filosofi rimisero tutto a posto.
Oscena povertà, scarna povertà,
croste tra le gambe e piaghe tra i capelli
una finestra fatta d’aria è pulita,
non l’argento sporco di una manica.
Bada se ciò faccia bene alla scuola
e debba andare e desideri andare:
qualcuno, un giorno, dovrà pagare.
Raditi con il sapone, corri alla carne,
stupisci la nazione, governa l’esercito,
aspetti ancora il giorno in cui sarai rispedito
dove libri o giocattoli sono rifiuti sul pavimento
e nessuno ha il permesso di venire a giocare
perché la tua casa si chiama baracca
e l’acqua calda sfrigola nel piatto sporco di latta.
Traduzione di Roberto Cogo e Graziella Isgrò
Poesia n. 181 Marzo 2004
Les Murray. Poesie del vuoto falciato
A cura di Paolo Ruffilli
15
Ed è chiaro che, alla fine, lei è caduta giù
dalla luna, non come una
snella Cinzia a Delfi, dopotutto
non è diciassettenne, ma con la grazia
sensuale e l’implacabilità personale
di una dea dei nostri tempi; così lui dice a
se stesso di notte vedendo il bagliore
del sonno di lei nella metà (due-terzi a rigore)
del loro letto, il claire de lune della spalla
e della fronte dietro le nuvole scure
dei capelli. Lui beve il suo vino
e ingoia più pillole. Gli uccelli
cantano la loro prima mattinata, piccoli cinguettii e
frinire di insetti, e fuori la prima luce
vela la finestra. Il giorno sarà orribile,
nervoso, cupo e pieno di tensione. L’ultima
sigaretta, il sorso finale di chardonnay,
e si stringe contro il caldo bagliore di lei,
pensando a quando dodicenne
nuotava nel caldo laghetto oltre
gli olmi e gli alberi di noce al limite
del prato. Si rigirava come una carpa assonnata
tra le ninfee, sotto le libellule
e le nuvole roventi dei vecchi giorni d’estate.
Traduzione di Fiorenza Mormile
Poesia n. 323 Febbraio 2017
Hayden Carruth. Il primato dell’etica
a cura di Fiorenza Mormile
Neve in ufficio
Jürgen Theobaldy
Una certa nostalgia di palme. Qui
è freddo, ma non soltanto. I tuoi baci
al mattino sono pochi, poi sto seduto
otto ore qui in ufficio. Anche tu sei
una reclusa e non possiamo
telefonarci. Alzare il ricevitore
e origliare? Telefono, perché il tuo
polso batte solo per altri? Qualcuno chiede:
“Come stai?”, e senza attendere risposta
è già fuori dalla stanza.
Che cosa può muovere l’amore? Io calcolo
i prezzi e vengo calcolato. Tutti i pezzi di ricambio,
le parti di caldaia, i bruciatori a olio, tutti passano
per la mia testa come numeri, nient’altro.
E anch’io passo attraverso qualcuno
come un numero. Ma alla sera vengo da te
con tutto quello che sono. Scienziati
scrivono che anche l’amore è
una relazione produttiva. E dove sono
le palme? Le palme si mostrano sulla spiaggia
di una cartolina illustrata; e noi, supini,
le contempliamo. Al mattino ritorniamo
in ufficio, ognuno al suo posto.
Con un numero, come il telefono. Traduzione di Gio Batta Bucciol
Poesia n. 285 Settembre 2013 Jürgen Theobaldy La neve e le palme
a cura di Gio Battta Bucciol
Fondazione Poesia Onlus 2013
Thomas Bernhard 18
Le parole – bambine piccole, molestano, fanno male,
se le accarezzi ridono, poi subito si ostinano,
han fretta di dir tutto, s’imbrogliano, sanno amare,
diventan grido, tacciono, nascostamente svelano.
Le parole – bambine piccole, a volte si ribellano,
sanno dire le lacrime, il riso sanno scrivere.
Agnelle si sacrificano, belve nella passione,
ansiose di dipingere l’intero mondo azzurro.
Le parole – bambine piccole. Flessuosi corpicini
che agguerriti si levano, mettono le ali, volano.
Sognano, si spaventano, si alleano, si separano,
animelle cui è stato dato di avere sempre sete.
Le parole – bambine piccole. Bianco per loro il tempo,
pagine su cui scrivere, vele che il vento gonfia
per fare viaggi nella gioia, far viaggi nel dolore.
L’amore sa trasformare in sacro la tempesta.
Traduzione di Nicola Crocetti
Poesia n. 298 Novembre 2014 Pandelìs Bukalas. Dal Mito alla Storia
a cura di Massimo Cazzulo e Nicola Crocetti
Poesia notturna
(…)
In un vestito di fiamme che rotolano nel cielo è così
che mi sentii la notte che mi disse
che aveva un’amante e con timido orgoglio
tirò fuori una foto.
Non posso vederne la faccia ho detto con rabbia,
buttandola a terra. Mi ha guardata.
Eravamo alla finestra (di un ristorante) in alto sulla
strada,
sposati da poco più di un anno.
Un lavoro veloce dissi io. Sarai maligna disse lui.
Ruppi il vetro e saltai.
Adesso certo sai
che non è questa la verità, ciò che si ruppe non era vetro,
ciò che cadde a terra non era corpo.
Tuttavia quando ricordo quella conversazione questo è
ciò che vedo – me stessa come il pilota di un caccia
che si salva sul canale. Me stessa come preda.
Oh no non siamo nemici disse lui. Ti amo! Vi amo
entrambe.
Non sembra il Signor Rochester che digrigna i denti e dice
in meno di due minuti con il suo strisciante verde sibilo
la gelosia può divorarci fino al cuore, una formula che
gli si presenta
mentre sedeva nel muschio e nell’ambra
del suo balcone parigino
e guardava la sua bella da operetta al braccio di un
cavaliere sconosciuto?
Rimanere umani è rompere un limite.
Partenza
Le nubi persero ogni ritegno
accorse in volo il vento piú disperato
e tentò di sospingere
in alto le ciocche d’acqua
su di loro scivolai in basso
la tua mano per sempre
tra collo e guancia
Traduzione di Riccarda Novello
Christoph Wilhelm Aigner Prova di stelle
a cura di Riccarda Novello
Crocetti Editore 2001
Poesia d’amore per la libertà e poesia di libertà per l’amore
Mattino infine: là nella neve le tue
lievi impronte d’arrivo e di ritorno.
Null’altro ci ha lasciato la notte di visibile,
non la candela, il vino bevuto a metà,
né il tocco della gioia; soltanto questo segno
della tua vita che alla mia cammina.
Finché la pioggia le cancelli, e resti
la verità cui ci svegliò il mattino;
felicità o dolore non sappiamo.
Traduzione di Silvio Raffo
Poesia n. 294 Giugno 2014 Philip Larkin. Lettere dall’esilio
a cura di Silvio Raffo
Come ti si dovrebbe baciare
Quando ti bacio non è solo la tua bocca non è solo il tuo ombelico non è solo il tuo grembo che bacio. Io bacio anche le tue domande e i tuoi desideri bacio il tuo riflettere i tuoi dubbi e il tuo coraggio il tuo amore per me e la tua libertà da me il tuo piede che è giunto qui e che di nuovo se ne va io bacio te così come sei e come sarai domani e oltre e quando il mio tempo sarà trascorso.
Quel che è
È assurdo dice la ragione È quel che è dice l’amore
È infelicità dice il calcolo Non è altro che dolore dice la paura È vano dice il giudizio È quel che è dice l’amore.
Chi ha nostalgia di te quando io ho nostalgia di te?
Chi ti accarezza quando la mia mano ti cerca?
Sono io o sono i resti della mia gioventù?
Sono io o sono gli inizi della mia vecchiaia?
È il mio coraggio di vivere o la mia paura di morire?
E perché la mia nostalgia dovrebbe dirti qualcosa?
E che cosa ti dà la mia esperienza che mi ha solo reso triste?
E che cosa ti dànno le mie poesie in cui dico soltanto
come è diventato difficile essere o dare?
Eppure brilla nel giardino il sole nel vento prima della pioggia
e profuma l’erba che muore e il ligustro
e io ti guardo e la mia mano tastando ti cerca.
Che cosa sei per me? Che cosa sono per me le tue dita e che cosa le tue labbra? Che cos’è per me il suono della tua voce? Che cos’è per me il tuo odore prima del nostro abbraccio e il tuo profumo nel nostro abbraccio e dopo?
Che cosa sei per me? Che cosa sono per te? Che cosa sono?
Breve biografia di Erich Fried nato a Vienna nel 1921, nel 1938 lasciò l’Austria e si trasferì a London.Tra i suoi volumi di poesia: Germania (Deutschland, 1944), Contestazioni (Anfechtungen, 1967), Cento poesie senza patria (100 Gedichte ohne Vaterland, 1978). Tra i romanzi e racconti: Figli e pazzi (Kinder und Narren, 1957), Un soldato e una ragazza (Ein Soldat und ein Mädchen, 1960), Quasi tutto il possibile (Fast alles Mögliche, 1975). Nei suoi testi la sperimentazione formale si unisce all’impegno politico.
Itzhak Katznelson “Il canto del popolo ebraico massacrato”
Yitzhak Katzenelson nacque nel 1886 in Bielorussia, ma presto si trasferì con la famiglia a Lodz, in Polonia, dove aprì una scuola e si dedicò alla Letteratura, scrivendo sia in yiddish, sia in ebraico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Varsavia, dove assisté all’agonia del ghetto.
Nel 1943 la moglie e i suoi due figli minori furono uccisi. Lui, insieme al figlio maggiore, fu portato a Vittel, in Francia. Qui scrisse Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove fu subito eliminato.
La voce di Yitzhak Katzenelson è la voce di Giobbe, un Giobbe della modernità. Una voce dinnanzi alla quale l’intera umanità si arresta turbata. Si tratta di un’opera che non può essere paragonata a nessun’ altra nella storia della Letteratura mondiale: è la voce di un condannato a morte, fra centinaia di migliaia di condannati a morte, consapevole del suo destino di uomo e del destino del suo popolo.
La voce di Yitzhak esce dal grembo di “cieli nulli e vuoti”, impassibili al compiersi del massacro insensato e ingiustificato della
Itzhak Katznelson (Karėličy, 1º luglio 1886 – campo di concentramento di Auschwitz, 1º maggio 1944) è stato un poeta polacco di origine ebraica, vittima dell’Olocausto.-tradotto da Helena Janeczek
Il canto del popolo ebraico massacrato
I Canta
1
«Canta! Prendi in mano la tua arpa, vuota, svuotata e misera,
sulle sue corde fini getta le dita pesanti
come cuori, come cuori afflitti. Canta l’ultimo canto,
canta degli ultimi ebrei in terra d’Europa».
2
– Come posso cantare? Come posso aprir la bocca,
se sono rimasto io da solo –
mia moglie e i miei due bambini- orrore!
Inorridisco d’orrore…si piange! Sento ovunque un pianto-
3
«Canta, canta! Alza la tua voce afflitta e rotta,
cerca, cerca lassù in alto, se c’è ancora Lui,
e cantagli…cantagli l’ultimo canto degli ultimi ebrei,
vissuti, morti, non sepolti e non più…»
4
– Come posso cantare? Come posso alzar la testa?
Deportata mia moglie e il mio Benzion e il mio Yomele- un bimbo –
Non li ho più qui con me e non mi lasciano più!
O ombre oscure della mia luce, o ombre fredde e cieche.
5
« Canta, canta un’ultima volta qui sulla terra,
getta indietro la testa, fissa gli occhi su di Lui
e cantagli un’ultima volta, suonagli la tua arpa:
qui non ci sono più ebrei! Massacrati, e non più qui!».
6
– Come posso cantare? Come posso fissare gli occhi e alzar la testa?
Una lacrima ghiacciata mi si è appiccicata all’occhio…
vorrebbe staccarsi, strapparsi via dall’occhio
– e non può cadere, Dio mio!
7
«Canta, canta, alza il tuo sguardo cieco al cieli alti,
come ci fosse un Dio lassù nei cieli…salutalo, saluta con la mano-
come se da lassù una grande fortuna ci splendesse e ci illuminasse!
Siedi sulle rovine del tuo popolo massacrato e canta!
8
– Come posso cantare? Se il mondo per me è deserto?
Come posso suonare con le mani rotte?
Dove sono i miei morti? Io cerco i miei morti, Dio, in ogni rifiuto,
in ogni mucchio di cenere…O, ditemi dove siete.
9
Gridate da ogni pezzo di terra, da sotto ogni pietra,
da ogni grano di polvere, da tutte le fiamme, tutto il fumo-
è il vostro sangue e succo, è il midollo delle vostre membra,
è la vostra anima e carne! Gridate, Gridate forte!
10
Gridate dai visceri delle fiere nel bosco, dai pesci nello stagno-
Vi hanno mangiati. Gridate dai forni, gridate grandi e piccoli:
voglio uno strepito, un lamento, una voce, voglio una voce da voi,
gettare uno sguardo muto, ammutolito sul mio popolo massacrato-
e voglio cantare…sì…datemi l’arpa- io suono!
3-5.10.1943.
IX Ai cieli
1
Così ebbe principio, incominciò…Cieli, dite perché, dite per chi?
Perché sulla terra tutt’intera ci tocca essere tanto umiliati ?
La terra, sordomuta, ha come chiuso gli occhi…Ma voi, voi cieli, voi avete visto,
stavate a guardare voi, lassù dall’alto; eppure non vi siete capovolti!
2
Non si è rannuvolato il vostro azzurro, scontato azzurro, splendeva falso come sempre,
il sole rosso come un boia crudele ha continuato a girare in tondo,
la luna, vecchia sgualdrina peccatrice, andava a passeggiare in voi la notte,
e le stelle sconce brillavano, strizzavano gli occhietti come topi.
3
Via! Non voglio alzar lo sguardo, non voglio vedervi, non voglio saper nulla di voi!
O cieli falsi e bugiardi, o lassù nell’alto bassi cieli! Quanto mi addolora:
Io vi credevo un tempo,vi confidavo gioia e tristezza, riso e pianto,
ma voi non siete meglio della schifosa terra, del grande mucchio di letame!
4
Io vi lodavo, cieli, io vi inneggiavo in ogni mia canzone, ogni mio canto-
io vi amavo come si ama una moglie; lei non c’è più, disciolta come schiuma.
io somigliavo sin dalla mia infanzia il sole in voi, il sole fiammeggiante del tramonto
alla mia speranza: “così svanisce la mia speranza, così muore il mio sogno!”
5
Via!Via! Vi siete fatti beffa di noi tutti, beffati il mio popolo, beffata la mia stirpe!
Da sempre voi ci sbeffeggiate: già i miei padri, i miei profeti sbeffeggiavate!
A voi, a voi – alzavano gli occhi, alla vostra fiamma si accendevano,
i più fedeli a voi qui sulla terra che sulla terra si struggevano per voi.
6
A voi anelavano….a voi per primi esclamavano: haazinu!- Ascoltate!
E solo poi la terra. Così il mio Mosè e cosi Isaia, il mio Isaia: shimu!- Udite!
E shomu! gridava Geremia: shomu! A chi, se non a voi? Perché d’un colpo vi siete estraniati?
O aperti e vasti cieli, luminosi e alti cieli! voi siete tali quali alla terra.
7
Non ci conoscete, non ci riconoscete più- perché? Saremo poi
tanto diversi, tanto cambiati? Ma se siamo gli stessi ebrei di sempre-
e anche molto migliori…Io no! Non voglio paragonarmi ai miei profeti, non devo,
ma loro, tutti quegli ebrei portati a morire, i milioni massacrati ora –
8
Loro sì, sono migliori: più provati, purificati dall’esilio! E quanto vale
uno dei grandi ebrei di allora di fronte a un piccolo, semplice, qualsiasi ebreo di oggi
in Polonia, Lituania, Volinia, in ogni terra d’esilio, – in ogni ebreo si lamenta e grida
un Geremia, un Giobbe disperato, un re deluso intona il Qohelet.
9
Non ci conoscete, non ci riconoscete più, nessuno: come fingessimo di essere altri.
Ma noi siamo gli stessi, gli ebrei di sempre, e come sempre pecchiamo contro noi stessi,
e come sempre rinunciamo alla nostra felicità e vogliamo ancora salvare il mondo-
E voi, com’è che siete così azzurri, voi cieli azzurri, mentre ci stanno massacrando, com’è che siete così belli?
10
Come Saul, il mio re, nella mia pena cercherò la maga,
troverò la strada disperata e scura per Endor,
e chiamerò fuori dalle tombe tutti i miei profeti e tutti implorerò: guardate, guardate in alto
ai vostri chiari cieli e sputate loro in faccia: “che siate maledetti, maledetti!”
11
Voi cieli stavate a guardare da lassù quando hanno portato i bambini del mio popolo
– per navi, su treni, a piedi, in pieno giorno e nella notte scura- a morire,
milioni di bambini, mentre li ammazzavano, hanno alzato le mani a voi- non vi siete commossi,
milioni di nobili madri e padre- non si è accapponata la vostra azzurra pelle.
12
Voi avete visto i Yomele di undici anni, semplice gioia! gioia e bontà,
e i Benzion, i piccoli geonim così seri e studiosi…consolazione di tutto il creato!
Avete visto le Hanne che li hanno avuti e consacrati a Dio nella sua casa,
e siete rimasti a guardare…Non avete nessun Dio in voi, cieli! Cieli da niente, cieli smagliati!
13
Non avete nessun Dio in voi! Aprite le vostre porte, cieli, aprite e spalancate
e lasciate entrare tutti i bambini del mio popolo massacrato, del mio popolo torturato,
aprite per la grande ascensione: tutto un popolo crocefisso con gravi sofferenze
deve entrare in voi…Ciascuno dei miei bambini massacrati può essere il loro Dio!
14
O cieli desolati e vuoti, o cieli come un deserto vasti e desolati,
io ho perso in voi il mio unico Dio, e a loro averne tre non basta:
il Dio degli ebrei, il suo spirito e l’ebreo della Galilea che giustiziarono, sono pochi:
ci hanno spediti tutti quanti in cielo, – o schifosa e vigliacca idolatria!
15
Rallegratevi, cieli, rallegratevi!- Eravate poveri, adesso siete ricchi,
che messe benedetta- tutto, tutto un intero popolo, che gran fortuna, vi è stato regalato!
Rallegratevi cieli lassù con i tedeschi, e i tedeschi si rallegrino quaggiù con voi,
e un fuoco dalla terra salga fino a voi e divampi un fuoco da voi fino alla terra.
26.11.1943
Breve Biografia-Yitzhak Katzenelson nacque nel 1886 in Bielorussia, ma presto si trasferì con la famiglia a Lodz, in Polonia, dove aprì una scuola e si dedicò alla Letteratura, scrivendo sia in yiddish, sia in ebraico. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale si rifugiò a Varsavia, dove assisté all’agonia del ghetto.
Nel 1943 la moglie e i suoi due figli minori furono uccisi. Lui, insieme al figlio maggiore, fu portato a Vittel, in Francia. Qui scrisse Il canto del popolo ebraico massacrato. Il 29 aprile 1944 fu deportato ad Auschwitz, dove fu subito eliminato.
La voce di Yitzhak Katzenelson è la voce di Giobbe, un Giobbe della modernità. Una voce dinnanzi alla quale l’intera umanità si arresta turbata. Si tratta di un’opera che non può essere paragonata a nessun’ altra nella storia della Letteratura mondiale: è la voce di un condannato a morte, fra centinaia di migliaia di condannati a morte, consapevole del suo destino di uomo e del destino del suo popolo.
La voce di Yitzhak esce dal grembo di “cieli nulli e vuoti”, impassibili al compiersi del massacro insensato e ingiustificato della
La Traviata a Roma -Presso la Chiesa di San Paolo dentro le Mura-
La Traviata a Roma, Immergiti come spettatore nella Parigi del XIX secolo: scene evocative ed eleganti costumi creano un’atmosfera di raffinata bellezza, e fungono da sfondo all’amore travolgente ed alla drammatica bellezza de “La Traviata” di Verdi, portata in scena nella Chiesa anglicana St. Paul within the walls da artisti di fama nazionale.
Che siate neofiti dell’affascinante mondo della lirica, o ne siate già appassionati frequentatori, questo capolavoro di Verdi, in un bellissimo connubio con la straordinaria ambientazione, renderà la vostra esperienza ancor più coinvolgente ed emozionante.
Preparatevi ad essere conquistati dalla storia di un amore tormentato raccontato in un’opera, suddivisa in tre atti, composta da Verdi su libretto di Francesco Maria Piave, che si basa sul celebre romanzo La Dame aux Camélias di Alexandre Dumas (figlio). Un dramma passionale che esplora i temi dell’amore, del sacrificio e del riscatto sociale.
La protagonista, Violetta, interpretata da Aleksandra Buczek, è una cortigiana indipendente e amante della vita mondana, che attraverso l’incontro e la conoscenza di Alfredo, interpretato da Emil Alekperov, viene travolta dal sentimento di amore verso quest’ultimo abbandonando il suo stile di vita mondano, e trasferendosi con lui nella campagna fuori Parigi. Ma Violetta, avendo contratto la tisi già prima della loro relazione, e avendo il padre di Alfredo chiesto lei di porre fine al loro legame, fugge dall’inconsapevole Alfredo: quando saprà, dopo vari avvenimenti, dei reali motivi dell’allontanamento, sarà ormai tardi e l’amata Violetta morirà tra le sue braccia.
Ad impreziosire lo spettacolo, oltre alle bellissime voci dei solisti, un eccellente corpo di ballo, coro ed orchestra da camera diretta dal noto violinista Elvin Dhimitri, il tutto incorniciato dall’atmosfera solenne della Chiesa di St. Paul, a pochi passi da Piazza della Repubblica, dove l’architettura neogotica incontra coloratissimi mosaici che riprendono lo stile bizantino.
I biglietti sono acquistabili sul sito www.opera-lirica.com, a partire da 25 euro, sono previste riduzioni e gratuità da verificare sul suddetto sito.
Per info e contatti: info@operaelirica.com
St. Paul Within The Walls Church – Via Nazionale 16a, 00184 Roma (RM)
Tutti i martedì, inizio h. 20:30
ROMA- Next Museum-Monet e gli Impressionisti – Digital Experience-
Roma-Next Exhibition, leader internazionale nella ideazione, produzione e realizzazione di mostre, prosegue il suo operato a Roma presso il centralissimo Next Museum, lo spazio multimediale, immersivo e tecnologico dove la cultura gioca con la tecnologia.
La location di Corso d’Italia 37/D – che ha ospitato a cavallo tra il 2023 e il 2024 la mostra di successo Van Gogh Experience – riaprirà i battenti, dopo ulteriori ammodernamenti e migliorie strutturali, in data venerdì 6 settembre, con “Monet e gli Impressionisti – Digital Experience“. La mostra celebra i 150 anni dalla prima mostra degli impressionisti, realizzata nella primavera del 1874 nello studio parigino del fotografo Nadar.
Gli oltre milleduecento metri quadri di esposizione sono suddivisi in diverse aree che seguono una narrazione semplice, adatta a tutta la famiglia, perseguendo sempre l’obiettivo dell’edutainment, ossia educare intrattenendo.
Nella curatela si analizzano in primis gli spunti che portarono a una tecnica diversa, considerata come la novità più dirompente nel processo di evoluzione della pittura. Il dipingere en plein air per esprimere la volontà precisa di rappresentare la luce naturale, per cogliere la bellezza pura dei contrasti tra luci e ombre, con colori forti, vividi, reali. Si spiega al visitatore – con un allestimento supportato da monitor che esaltano i movimenti dei quadri più celebri – la corrente dell’Impressionismo che imprime sulla tela gli effetti di luce che colpiscono l’occhio ancor prima che il cervello.
Una tavolozza di sfumature che cambia a seconda delle stagioni, tematica intorno alla quale si dipana il file rouge dell’esposizione.
Nella ricerca dell’attimo luminoso, i maggiori esponenti dell’Impressionismo ritraggono il progredire delle stagioni dipingendo terra, mare, fiumi, scogliere, alberi, fiori, prati, che mutano a seconda del periodo dell’anno. Dettagli vivi sempre diversi, proprio come quelle ninfee che Monet dipinge oltre duecento volte guardando lo stesso stagno, a riprova di quanto possa essere bella e mutevole la stessa cosa ogni giorno.
Ogni stagione vede un colore predominante che gli Impressionisti colgono assieme al movimento. Per cui l’immagine perde definizione, i contorni sono imprecisi e mutevoli e l’immagine è fuggevole. Uno stile pittorico che si sposa perfettamente con la moderna tecnica delvideomapping, protagonista del salone centrale della location. Pareti e pavimento prendono vita, immergendo il visitatore a 360 gradi in un viaggio lungo un anno nelle opere paesaggistiche più significative degli Impressionisti, cullati dalla musica classica de “Le Quattro Stagioni” di Vivaldi.
La Primavera viene identificata da colori delicati ma vivaci, come le “virgole” di colore che rappresentano i tanti fiori sbocciati ne “Il sentiero nell’erba alta” di Renoir che ritrae la natura che rinasce anche in “Primavera a Chatou“.
L’Estate è caratterizzata dai colori brillanti, caldi e abbaglianti o dai freddi, ma vividi, celesti e verdi. Così come dalle ombre nette come quelle dei “Covoni al sole, effetto di mattino” di Monet che ritrae anche una delle opere più iconiche dell’Impressionismo, “I papaveri“.
L’Autunno si contraddistingue per i toni rossastri, gli arancioni, le terre e i verdi spenti, come nelle opere di Pissarro “Hide Park – Londra” o “Autunno Pioppi – Eragny“.
L’Inverno infine, dalla gamma cromatica fredda che si mescola con la presenza abbagliante del bianco, come in “Effetto neve a Louveciennes” di Sisley.
A dare inizio al mapping la scomposizione di “Impressione levar del Sole“, l’opera di Monet che ha dato il nome alla corrente dell’Impressionismo.
Il mapping, della durata di circa venti minuti, può essere ammirato in piedi o sulle sedute presenti in sala, col visitatore che diventa parte dell’esperienza, nonché protagonista del quadro virtuale impressionista.
Il percorso continua con la sala didattica, con percorsi educativi studiati soprattutto per le scuole primarie e secondarie. E con l’opportunità unica di scattarsi un selfie come nel giardino di Giverny, sulla riproduzione del ponte sulle ninfee di Monet.
In questa mostra Next Exhibition introduce a Roma anche l’utilizzo dell’intelligenza artificiale, in collaborazione con la start-up internazionale MORGHY.AI.
In una prima sala vengono analizzate le opere di Renoir e Degas. Renoir, più di ogni altro impressionista, è riconoscibile per l’attenzione alle figure nel contesto paesaggistico. Degas è al contrario il ribelle tra gli impressionisti, non essendo interessato alla pittura en plein air, ma piuttosto a tecniche di derivazione giapponese come il taglio obliquo che utilizza ampiamente nella raffigurazione delle ballerine.
L’intelligenza artificiale trasforma in fotografie reali i quadri di Renoir e di Degas, producendo l’esatta visione dei due artisti nel momento in cui sono intenti nell’atto pittorico.
Partendo da dipinti come Bal au moulin de la Galette di Renoir e L’Etoile di Degas, MORGHY.AI ha trasformato personaggi e paesaggi in scatti contemporanei. Naturalmente l’ha fatto sfruttando quella che è il suo bagaglio di sapere, il database di immagini reali con cui è stata allenata (pre-trained), che è fatto di soggetti e oggetti di oggi. L’AI ha inserito in queste elaborazioni errori e imperfezioni ancora tipici di questi sistemi – ad esempio nelle mani e negli occhi – e ha fatto sparire o comparire oggetti che nel dipinto erano troppo vaghi per essere compresi dall’AI. La scelta curatoriale è stata quella di non correggere questi elementi, ma esporre le immagini esattamente come generate da MORGHY.AI, per dare dignità artistica all’atto creativo digitale.
A seguire viene affrontata una domanda curiosa: “Come sarebbe Roma, oggi, dipinta da Monet e dai suoi colleghi?”. L’intelligenza artificiale rielabora le immagini di alcuni landscapes iconici della città che ospita l’esposizione, mostrando con un gioco di schermi come verrebbero dipinti quei paesaggi secondo i canoni della corrente dell’Impressionismo.
Incluso nel biglietto di ingresso anche l’esperienza speciale di realtà virtuale – fiore all’occhiello dell’esposizione. Indossato l’oculus VR, il visitatore può muoversi, camminare e agire, come se si trovasse nel giardino di Giverny: oltrepassato il ponte sulle ninfee, sullo sfondo la casa di Monet e poi l’artista, intento a dipingere nel suo studio. Un’esperienza attiva in quanto in movimento e interattiva, dal momento che il pubblico può interagire con alcuni elementi del video.
“Un ulteriore salto in avanti nell’utilizzo della tecnologia nel mondo della cultura” – afferma la direzione di Next Exhibition – “Vogliamo che il mondo di Next Exhibition sia in continua evoluzione, per proporre sempre al nostro pubblico contenuti sempre nuovi. Le parole d’ordine al Next Museum sono accoglienza e ascolto: di nuove idee, spunti e suggestioni. Da elaborare e far crescere coinvolgendo attivamente il tessuto sociale locale. Uno sguardo internazionale permeato però, sempre e comunque, dello stile del Made in Italy.”
GIORNI E ORARI DI APERTURA
La mostra è aperta nei seguenti orari:
Lunedì: chiuso
Martedì: 10 – 18
Mercoledì: 10 – 18
Giovedì: 10 – 18
Venerdì: 10 – 18
Sabato: 10 – 20
Domenica: 10 – 18
Festivi: 10 – 20
Ultimo ingresso consentito in mostra un’ora prima dell’orario di chiusura.
I social della mostra:
FB/ nextmuseum
IG/ next.museum www.nextmuseum.net
PREZZI E MODALITA’ ACQUISTO BIGLIETTI
Dal martedì al venerdì:
· intero: 15,70 euro on-line; 14,50 euro box office
· ridotto*: 13,70 euro on-line; 12,50 euro box office
Sabato, domenica e festivi:
· intero: 17,70 euro on-line; 16,50 euro box office
· ridotto*: 15,70 euro on-line; 14,50 euro box office
* Il ridotto normale è valido per:
– under 12 anni (i bambini al di sotto dei 4 anni entrano gratuitamente)
– over 65 anni
– studenti universitari under 26 anni
– cral e partner convenzionati con la mostra
– possessori di Tessera Fai
– visitatori delle altre mostre organizzate in Italia da Next Exhibition
Ridotto gruppi (minimo 15 persone, massimo 30 persone): 11,70 euro on-line; 10,50 euro box office
Ridotto scuole (minimo 15 persone): 9,70 euro on-line; 8,50 euro box office
Biglietto open (per visitare la mostra in un giorno di apertura, senza decidere la data precisa al momento dell’acquisto; ideale nel caso si regali il biglietto per la mostra): 19,70 euro on-line; 18,50 euro box office.
La prevendita biglietti è attiva con l’Official Ticketing Partner Ticket One sul sito www.ticketone.it o chiamando il numero 892.101.
Vendita biglietti anche presso il botteghino della location Next Museum nei giorni ed orari di regolare apertura della mostra.
Per la prenotazione di gruppi e scuole è possibile inviare una email a gruppiescuole@tosc.it o chiamare il numero 02/33020033.
Per maggiori informazioni è possibile scrivere all’indirizzo e-mail: roma@nextmuseum.net o chiamare il numero 338/6443574.
Scoperte straordinarie presentate dal Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina
Il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina, sito in piazza Duomo a Fara in Sabina, a partire da oggi apre le proprie porte a un’esposizione temporanea, ovvero alcuni reperti archeologici appartenenti alla storia del territorio sabino. Si tratta infatti di antichi resti di eccezionale importanza, che promettono di gettare nuova luce sulla storia di Fara in Sabina e i suoi dintorni. Questi reperti, frutto di recenti scavi condotti nei pressi della stazione della frazione di Passo Corese (durante un intervento di bonifica dagli ordigni bellici è stata infatti incredibilmente rinvenuta una necropoli romana, ovvero ben 42 sepolture datate dal I al III secolo d.C.) includono gli scheletri di una comunità vissuta qui oltre 1800 anni fa. Nello specifico, si tratta delle unità sepolcrali T36 e T38 che offrono preziose informazioni sulle pratiche funerarie e sulla società dell’epoca: viene considerato infatti uno dei ritrovamenti più prestigiosi degli ultimi anni.
A svelare i dettagli e i segreti affascinanti di questa scoperta, tra cui lo studio effettuato sulle sepolture che include l’analisi delle informazioni dirette e indirette, è stato il convegno tenutosi ieri, venerdì 6 settembre, presso la Sala Civica Santa Chiara di Fara in Sabina che ha riunito il sindaco di Fara in Sabina, Roberta Cuneo, il soprintendente Alessandro Betori (che all’epoca del rinvenimento delle tombe era il funzionario archeologo della zona e seguì direttamente i lavori) e altre figure del settore. “Ci tengo a manifestare a tutti voi – dichiara il sindaco Cuneo – il pensiero di tutta l’amministrazione comunale di Fara in Sabina, cioè che per noi è davvero importante condividere la storia del nostro territorio. E con “nostro” intendiamo una vasta area che non comprende solo il nostro Comune, dato che l’uomo è da sempre un viaggiatore. Per questo ringraziamo gli studiosi e la Soprintendenza, che ci hanno permesso di scoprire un altro tassello del nostro passato riguardante una comunità che ha vissuto sul nostro territorio”.
Il convegno – presentato da Alessandra Petra, direttrice del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – è poi proseguito con gli interventi dei diversi relatori presenti che, davanti a una sala gremita di persone, hanno rivelato i dettagli degli scavi e degli studi effettuati negli anni. Durante l’incontro infatti archeologi, studiosi e ricercatori – tra cui anche coloro che sono intervenuti direttamente agli scavi e che in questi anni hanno studiato gli scheletri per capire il sesso, l’età, l’alimentazione, la statura e tutte le altre informazioni (ad esempio gli aspetti di tipo sociale, culturale e religioso) per determinare la loro vita in quell’epoca – hanno esposto ai presenti i propri studi. Tra questi: dott. Alessandro Betori, Soprintendente SABAP per le province di Frosinone e Latina; dott. Emanuele Brucchietti, archeologo; dott. Mauro Lo Castro, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l; dott.ssa Rosaria Olevano, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l; dott. Mauro Rubini, Direttore Servizio di Antropologia della SABAP per le province di Frosinone e Latina; dott. Angelo Gismondi, Laboratorio di Botanica, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; dott.ssa Cristina Martínez Labarga, Centro di Antropologia molecolare per lo studio del DNA antico, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”; dott.ssa Flavia Maria Novi Bonaccorsi, Conservatore per i Beni Culturali; dott.ssa Tiziana Orsini, Istituto di Biochimica e Biologia cellule CNR di Monterotondo, Roma.
“La ricomposizione ossea di entrambi gli individui – spiega la dott.ssa Tiziana Orsini, riferendosi alle unità sepolcrali T36 e T38 attualmente custodite al Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina – permette di poter appurare quanto gli studi antropologici precedentemente condotti hanno fatto emergere: le condizioni complessive di salute erano buone, nonostante non appartenessero a classi particolarmente agiate. Gli unici indici di deterioramento – continua – sono dovuti a fattori di stress occupazionale/funzionale e a una scarsa igiene orale”. L’incontro, organizzato dalla Pro Loco di Fara in Sabina (gestore ufficiale dell’ufficio turistico comunale e del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina) – ha quindi offerto un’opportunità unica per immergersi nel mondo affascinante dell’archeologia. E, nello specifico, ha permesso ai partecipanti di scoprire un altro straordinario tassello riguardante il patrimonio storico culturale di Fara in Sabina. E inoltre, a partire da oggi, chiunque voglia conoscere da vicino questi tesori archeologici potrà farlo visitando il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina (ubicato presso Palazzo Brancaleoni in piazza Duomo), dove appunto sono conservate le ricostruzioni di due scheletri.
Il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina
Il Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina è uno dei punti di riferimento per la conoscenza della civiltà dei Sabini, in quanto conserva i materiali provenienti dai due centri più importanti della Sabina Tiberina: Cures ed Eretum. Allestito a partire dal 2001 all’interno del rinascimentale Palazzo Brancaleoni (sito in piazza del Duomo) ha visto – nel corso degli anni – le sue collezioni ampliarsi, grazie agli scavi effettuati con regolarità proprio a Cures ed Eretum. Il cospicuo aumento del numero dei materiali ha reso necessario nel corso del tempo l’allestimento di nuove sale: la sala della Scrittura, interamente dedicata al cippo inscritto ritrovato nel greto del Fiume Farfa, e la sala dedicata alla Tomba XXXVI di Colle del Forno.
Della fase rinascimentale, l’edificio conserva intatta la facciata della prima metà del ‘400, mentre gli interni sono stati pesantemente ristrutturati dai successivi proprietari: al tardo barocco possono essere ascritti gli affreschi di una delle sale, dipinti con motivi a grottesche come si usava nei piani nobili delle case di fine ‘70
Per informazioni e prenotazioni contattare l’Ufficio Turistico Comunale in piazza Duomo, 2: 0765/277321 (gio. ven. sab. dome e festivi), 380/2838920 (WhatsApp), visitafarainsabina@gmail.com
Torre Pellice-Iniziato il convegno storico numero 63 della Società di Studi valdesi
Torre Pellice – 6 settembre 2024-Iniziato ieri pomeriggio alle 15:30 a Torre Pellice nell’aula sinodale (via Beckwith 2) la 63ma edizione del Convegno storico della Società di studi valdesi, dal titolo «Come si fa una letteratura. Lingue, testi e culture nell’autunno del Medioevo valdese».
Le tre giornate, che si possono seguire anche in streaming sul canale YouTube della SSV o sulla sua pagina Facebook si aprono con il saluto di Gian Paolo Romagnani, presidente della Ssv. Seguiranno, in due sessioni moderate rispettivamente da Andrea Giraudo (organizzatore del convegno) e Attilio Cicchella, le relazioni di Philippe Martel («Ecrire en “langue vulgaire” dans les Alpes du Sud au Moyen Age»); Aline Pons e Matteo Rivoira («Storia linguistica dei valdesi: il contributo della dialettologia»); Lorenzo Ferrarotti («Dialetto-lingua locale e varietà “alte” in Piemonte tra Medioevo e Rinascimento»); Andrea Giraudo («Per un repertorio digitale dell’occitano alpino medievale»). A seguire, visita alla mostra esposta al Centro culturale valdese, «Valdo e i valdesi tra storia e mito».
Il convegno, che è aperto a tutti gli interessati, proseguirà domani con una intensa giornata che comincerà alle 9 con la terza sessione, moderata da Laura Ramello, e le relazioni di Caterina Menichetti («Intorno all’edizione degli Atti degli apostoli. Problemi testuali e messa in contesto»); Joanna Poetz («La réception de la littérature “hussite” dans les manuscrits vaudois»); Matteo Cesena («Il ms. Dublin, Trinity College Library, 269 e i corpora valdese e cataro. Annotazioni codicologiche e paleografiche»); seguirà un momento di discussione e la pausa.
I lavori riprendono alle 11 guidati da Lothar Vogel, con le relazioni di Laura Ramello («La letteratura francoprovenzale nel Medioevo. Un itinerario fra generi, testi e temi»); Federica Fusaroli («Testi e manoscritti in lingua d’oc tra Provenza e Delfinato»); Attilio Cicchella («Prime indagini sulla letteratura devota in volgare italiano nei primi secoli della stampa piemontese»). Si conclude alle 13 dopo un momento di discussione
Nel pomeriggio, dalle 15, sessione presieduta da Laura Gaffuri, intervengono Lothar Vogel («I testi dei manoscritti valdesi: testimoni di una cultura teologica») e Micol Long («“Sentimenti del corpo” e “sentimenti dell’anima”: sensi ed emozioni nei sermoni valdesi medievali»). Dopo la discussione e la paura, si riprende alle 16,30 con Laura Gaffuri («La predicazione cattolica nel Piemonte sabaudo del Qattrocento»); Ludovic Viallet («Pastorale et lutte contre l’hérésie entre Dauphiné et Méditerranée – fin XVe – début XVIe siècle»).
Sabato, giornata conclusiva moderata da Caterina Menichetti, dalle 9 alle 12, intervengono Paolo Rosso («Ambiti di formazione e di circolazione di cultura giuridica in area pinerolese e nelle valli valdesi nel tardo medioevo»); Marco Fratini («Cultura visiva nel Pinerolese tardomedievale»); Andrea Maraschi («La formazione medico-scientifica dei barba: tra contesto e tradizione»). Discussione, conclusioni e chiusura del convegno alle 12.
Per info: 0121-932765; e-mail: segreteria@studivaldesi.org; www.studivaldesi.org
Scoperte Archeologiche straordinarie presentate al Museo Archeologico della Sabina Tiberina
Il Museo Archeologico della Sabina Tiberina, sito in piazza Duomo a Fara in Sabina, aprirà le proprie porte – seppur in maniera temporanea – ad altri reperti archeologici appartenenti alla storia del territorio sabino. Si tratta infatti di resti archeologici di eccezionale importanza, che promettono di gettare nuova luce sulla storia antica di Fara in Sabina e i suoi dintorni. Questi reperti, frutto di recenti scavi condotti nei pressi della stazione di Passo Corese, includono gli scheletri di una comunità vissuta in Sabina oltre 1800 anni fa. A svelare i dettagli e i segreti affascinanti di questa scoperta sarà il convegno fissato per venerdì 6 settembre che riunirà il sindaco di Fara in Sabina, Roberta Cuneo, il soprintendente Alessandro Betori (che all’epoca del rinvenimento delle tombe era il funzionario archeologo della zona e seguì direttamente i lavori), Francesca Licordari, funzionario archeologo, e altre figure del settore.
La Pro Loco di Fara in Sabina – gestore ufficiale dell’ufficio turistico comunale e del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina – è infatti lieta di annunciare il convegno “Le tombe di Passo Corese. Studio di una necropoli romana”, che si terrà venerdì 6 settembre alle ore 16:00 presso la Sala Civica Santa Chiara di Fara in Sabina. Questo evento imperdibile riunirà esperti, professionisti e appassionati del settore per fare luce su un vero e proprio viaggio attraverso il tempo. Si tratta di un incontro che offrirà un’opportunità unica per immergersi nel mondo affascinante dell’archeologia. E, nello specifico, permetterà ai partecipanti – studenti, professionisti del settore, insegnanti, appassionati e curiosi – di scoprire un altro straordinario tassello riguardante il passato di questo territorio. Parliamo infatti di un convegno dedicato agli scavi effettuati nel 2015 nell’area della stazione di Passo Corese (frazione di Fara in Sabina): durante un intervento di bonifica dagli ordigni bellici è stata incredibilmente rinvenuta una necropoli romana, ovvero ben 42 sepolture datate dal I al III secolo d.C. Viene considerato infatti uno dei ritrovamenti più prestigiosi degli ultimi anni.
Durante l’incontro saranno presenti diversi archeologi, studiosi e ricercatori, tra cui anche coloro che sono intervenuti direttamente agli scavi e che in questi anni hanno studiato gli scheletri per capire il sesso, l’età, l’alimentazione, la statura e tutte le altre informazioni (ad esempio gli aspetti di tipo sociale, culturale e religioso) per determinare la loro vita in quell’epoca. Tra questi vi sono:
ssa Alessandra Petra, direttrice Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina;
Alessandro Betori, Soprintendente SABAP per le province di Frosinone e Latina;
Mauro Lo Castro, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l;
ssa Rosaria Olevano, Soc. Coop. Il Betilo – Servizi per i Beni Culturali s.r.l;
Mauro Rubini, Direttore Servizio di Antropologia della SABAP per le province di Frosinone e Latina;
Angelo Gismondi, Laboratorio di Botanica, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”;
ssa Cristina Martínez Labarga, Centro di Antropologia molecolare per lo studio del DNA antico, Dipartimento di Biologia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”;
ssa Flavia Maria Novi Bonaccorsi, Conservatore per i Beni Culturali;
ssa Tiziana Orsini, Istituto di Biochimica e Biologia cellule CNR di Monterotondo, Roma.
“Siamo entusiasti di poter condividere queste scoperte straordinarie con il pubblico. Questi reperti – dichiara Alessandra Petra, direttrice del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – non solo arricchiscono la nostra collezione, ma offrono anche nuove opportunità di ricerca e comprensione del nostro passato. Ci teniamo inoltre a sottolineare – precisa la direttrice – che il Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina di Fara in Sabina è l’unico museo della provincia di Rieti che ospita reperti provenienti unicamente da quell’area geografica dell’antica Sabina gravitante intorno al Tevere, in cui fiorirono i grandi centri di Cures ed Eretum, proprio grazie ai contatti e ai commerci con i popoli vicini resi possibili dalla navigabilità del fiume”.
Durante l’incontro sarà quindi possibile sia conoscere le ultime scoperte relative agli scavi in questione sia comprendere meglio il ruolo dell’archeologia nella società moderna. Inoltre, per proteggere e rendere accessibile al pubblico questo prezioso patrimonio culturale, in una delle stanze del Museo Civico Archeologico della Sabina Tiberina – Fara in Sabina (ubicato presso Palazzo Brancaleoni in piazza Duomo) sono conservate le ricostruzioni di due scheletri che potranno essere visionate temporaneamente dopo il convegno.
Per informazioni e prenotazioni contattare l’Ufficio Turistico Comunale in piazza Duomo, 2: 0765/277321 (gio. ven. sab. dome e festivi), 380/2838920 (WhatsApp), visitafarainsabina@gmail.com
Pola vuole Dante Alighieri. Ma Dante pose lì il confine dell’Italia-
Pola, città oggi non Italiana, vuole Dante Alighieri. Ma Dante pose lì il confine dell’Italia – Si parla sempre di difendere i confini degli altri, mentre qualcuno vorrebbe cancellare i nostri, o quelli che rimangono ancora.
Non si parla mai di ciò che avviene o è avvenuto ieri dei Nostri confini, spesso ceduti per qualche spicciolo o… Svenduti ceduti, regalati in maniera tacita e silenziosa, spesso all’oscuro degli stessi Italiani, per evitare …
Così come, scusate il raffronto, sembra avvenire oggi con le Aziende Italiane, oggi scomparse o in mano a stati esteri.
E’ in questa ottica che rileviamo ciò che scrive la Pregiatissima “Accademia di Alta Cultura” a firma del Suo Presidente Giuseppe Bellantonio, che riproponiamo a seguire, per evidenziare una “strana” richiesta del Vicesindaco di Pola.
La richiesta del busto di Dante Alighieri, portato da Pola a Venezia, dove oggi è esposto all’Arsenale, da chi fu costretto a fuggire dalla città Italiana.
Pola, citta brutalmente strappata, insieme ad altre città e territori, all’Italia ed agli Italiani, tra Foibe, persecuzioni criminali ad opera dei comunisti Titini, attentato nella spiaggia di Vergarolla dove si è compiuto un ed r massacro con il più alto numero di morti mai avvenuto nella storia della Repubblica Italiana, e dove tantissimi i bambini furono polverizzati per te t cui si è persa ogni traccia.
Noi lo abbiamo ricordato recentemente, anche se le istituzioni, troppo spesso, dimenticano, con la complicità di tanti Media che tacciono o… negano.
Non vogliamo entrare nel merito della questione, ma solo ricordare, in questa tg fase, che riportare a Pola il busto originale di Dante Alighieri, sarebbe un vergognoso affronto verso tutti quegli italiani cacciati brutalmente da quella città e che con grande rischio hanno voluto togliere il Busto di chi nel tempo indicava il limite dei confini Italiani già nel Suor tempo, quando scrisse la Divina Commedia.
Affronto contro chi ha difeso l’Italia ed i suoi confini, sentendosi appartenente all’Italia, quindi Italiano, Nazario Sauro, che ben spiega la Sua appartenenza all’Italia nella lettera al Figlio scritta in punto di morte, o Cesare Battisti….
Affronto di tutti gli Italiani che sono stati vilmente, brutalmente infoibati.
Affronto di tutte le donne che sono state brutalizzate, violentate, ed uccise o buttate nelle foibe…
Affronto di tutta quella popolazione costretta ad esulare e disperdersi nel mondo, dopo una vera e propria “Pulizia Etnica” perpetrata nel silenzio delle blateranti Organizzazioni Internazionali e di una ignobile complicità dei Governi Nazionali ancora ad oggi.
Affronto a quegli Italiani cacciati dagli stessi Italiani a Bologna 18 febbraio 1947. “L’orologio segnava le 12 e l’altoparlante annunciava l’entrata in stazione di un treno pieno di profughi istriani, giuliani e dalmati… Molti di loro sono donne e vecchi, ma ci sono anche tanti bambini…. “
Tratto da :“Il treno della VERGOGNA” di cui pochi sanno…
E, potremmo continuare.
Ci chiediamo quindi perché dovremmo concedere ciò che è Italiano?
Facciano pure un calco del busto, ma che non sia l’originale.
Il popolo Italiano ha già dato tanto, derubato o svenduto che sia.
Ieri la Corsica, poi Nizza ecc. ceduti, attraverso trattati, per pochi spiccioli a causa di debiti…. poi, dopo la seconda guerra mondiale, L’Istria, la Dalmazia, e Fiume.
Oggi la Francia pretenderebbe il Monte Bianco, e la Svizzera Campione d’Italia?
Ricordiamo, tornando alla storia dell’area di Pola:
L’accordo di Osimo (in francese Traité d’Osimo; in inglese Treaty of Osimo; in serbo-croato Osimski ugovor) è un accordo, siglato a Osimo il 10 novembre 1975 tra i ministri degli affari esteri di Jugoslavia e Italia.
Il trattato di Osimo fu il primo accordo internazionale i cui negoziati per l’Italia non vennero curati dal Ministero degli affari esteri. Le trattative furono condotte deliberatamente in maniera riservata.
Fu ratificato dall’Italia il 14 marzo 1977 (legge n. 73/77) ed entrò in vigore l’11 ottobre 1977
Una vicenda di sangue Italiano, con migliaia di morti, feriti e deportati, ad oggi non si conoscono le cifre ufficiali, contrattati estorti, imposti, e… dove ancora, pur ratificati, non trovano riscontro ed applicazione per gli Italiani, dovrebbe finire a “Tarallucci e Vino” con l’ennesima remissione dell’Italia, e degli Italiani?
Ettore Lembo
“Perché usare l’Italianissimo simbolo di Dante Alighieri per “strane” rivendicazioni?”
“Una notizia apparsa sui mezzi di informazione alla vigilia di Ferragosto, riportava – cito testualmente dallo ‘strillo’ – “L’accorato appello di Bruno Cergnul, vicesindaco di Pola, di riavere il busto di Dante apposto sulla facciata dell’Arsenale…” di Venezia
Lo dico con franchezza, la notizia – ufficiale e riconducibile a una ‘accorata’ esternazione di un vicesindaco la cui origine è certamente italiana, e che in loco rappresenta proprio le sensibilità e le possibili istanze della minoranza Italiana di Pola – ha suscitato in me una certa curiosità ma anche sorpresa e meraviglia.
Ammetto che – per rinfrescare la memoria – sono riandato indietro all’immediatezza di un dopoguerra più che sfortunato per le popolazioni Italiane di Nord-Est, e in particolar modo quelle di Istriani, Fiumani e Dalmati, ricche di amor patrio e di un forte radicamento alle tradizioni, ai ricordi, alle fatiche, spese per generazioni nel segno di una schietta italianità. Eh sì! Perché è impossibile non ricordare che proprio quelle terre – e come non ricordare anche le questioni e le tensioni legate alle nostre amate e italianissime città di Trento e Trieste – costituirono momento di vero e proprio cruento baratto tra gli Alleati vincitori della II° Guerra Mondiale e il tetro regime che in Jugoslavia era sottoposto a Josip Tito e ai suoi esecutori, qual era Milovan Dilas. Come non ricordare la vera e propria persecuzione etnica che subirono pesantemente e drammaticamente gli Italiani che risiedevano in quelle terre, e i cui uomini avevano versato il loro sangue per l’Italia: come non ricordare il cruento, canagliesco, sterminio – il numero degli Italiani allora uccisi pecca tuttora per difetto – degli Italiani di tutte le età infoibati per mano di bande e militari Jugoslavi, uccisi sì per feroce odio etnico ma anche per derubare quella povera gente di terre, case e beni personali, costringendola all’esilio. Bande cui si unirono, con pari efferatezza, anche miserabili, infami, Italiani: altrettanto violenti, ladri e sanguinari, che forti della forza delle armi e vantando spesso la loro dichiarata appartenenza a bande pseudo-partigiane, saccheggiavano, stupravano ferocemente, uccidevano senza pietà, anche consumando vendette per antiche invidie o rancori prescindendo così da altre motivazioni di tipo etnico e/o politico.
Nel rispolverare vecchi testi, ho ritrovato il Trattato Dini-Granic – “Trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Croazia concernente i diritti delle Minoranze; Zagabria, 5 novembre 1996” – che all’Art. 3 recita “Tenendo conto dei documenti internazionali rilevanti accennati nel preambolo, la Repubblica di Croazia, nell’ambito del suo territorio, si impegna ad accordare alla minoranza italiana l’uniformità di trattamento nel proprio ordinamento giuridico al più alto livello acquisito; questa unitarietà può essere acquisita attraverso l’estensione graduale del trattamento accordato alla minoranza italiana nella ex zona ‘b’ sul territorio della repubblica di Croazia tradizionalmente abitato dalla minoranza italiana e dai suoi membri”.
Leggendone, mi è sorta una domanda: l’esternazione con toni ‘accorati’ di Bruno Cergnul, vicesindaco di Pola, intesa a ottenere in restituzione’ del busto di Dante, allora portato in Italia dai profughi e oggi collocato in una nicchia sulla facciata dell’Arsenale a Venezia, al pari di ogni azione della vita quotidiana, ha delle motivazioni: ma di quale tipo? Credo poco a una boutade personale: quindi, l’antico quesito cui prodest si pone, proprio per voler risalire alle pulsioni che possano aver mosso il vicesindaco Cergnul a formulare la particolare richiesta, fors’anche potenziale causa del possibile rinfocolarsi di polemiche e idonea a riaccendendo dolori mai sopiti.
Lo ha fatto per motivazioni squisitamente di tipo ‘culturale’? Come “stava qui” e “qui“ deve tornare? Voglia cortesemente chiarirlo.
Lo ha fatto per motivazioni ideologiche, fors’anche di segno politico, personali e/o collettive? Anche in questo caso, voglia cortesemente chiarirlo.
Lo ha fatto per una motivazione di tipo sociale, o per captare la possibile benevolenza di una qualche ‘parte’? Sia cortese nel chiarirlo.
In ogni caso, di norma, per aderire a una qualsiasi richiesta, è buona norma verificarne lo spessore e le reali motivazioni che possano rendere il richiedente credibile e meritevole di attenzione, piuttosto che i contenuti della richiesta stessa; nel particolare, una tematica fatta di pesi e contrappesi: impossibili da ignorare.
Proprio riandando all’Art.3 sopra menzionato è notorio – e il vicesindaco, proprio perché rappresentante in loco della minoranza italiana, non può non sapere – che proprio alcune parti essenziali dello stesso siano tuttora disattese, e non certo da parte Italiana.
Ad esempio sono cadute nel vuoto le richieste di parte Italiana di dar luogo a una doppia toponomastica tanto negli atti istituzionali che nelle cartine; l’utilizzo anche della lingua Italiana nelle indicazioni descrittive dei luoghi di interesse turistico e naturalistico; l’applicazione della legge croata che stabilisce ‘Il diritto all’educazione e istruzione nella Lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali nella Repubblica di Croazia’, come pure per quanto riguarda l’applicazione concreta delle ‘modello C’, ovverosia ‘l’insegnamento viene svolto in Lingua croata, ma un monte ore che può variare da due a cinque ore settimanali viene dedicato all’insegnamento della Lingua e della cultura della minoranza nazionale nello specifico Lingua e letteratura, geografia, storia, arte musicale, arte figurativa’, che – è di tutta evidenza – includa l’utilizzo e il rispetto della lingua italiana (cfr. Fiume 6-1-2017, comunicaz. della Unione Italiana dal titolo ‘Il diritto all’educazione e istruzione nella Lingua e nella scrittura delle minoranze nazionali nella Repubblica Croazia’; cfr. intervento 7-12-2016 del Presidente della ‘Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani Fiumani e Dalmati’, dr. Antonio Ballarin, nel corso delle cerimonie per la ‘Celebrazione dei 25 anni dell’Unione Italiana ed i 20 anni del Trattato tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Croazia concernente i diritti minoritari’).
Quindi, parlando un linguaggio piano e rispettoso verso il vicesindaco, chiederei se sia per lui ‘normale’ o meno formulare richieste pretendendone attenzione e soddisfazione, mentre da controparte Croata molte e più serie inadempienze di Atti ufficiali, formali e istituzionali, restano irrisolte: nonostante il trascorrere del tempo.
E ancora: se i profughi Italiani nell’abbandonare le loro case e le loro cose, ritennero di portare con sé ‘quel’ busto di Dante fu perché esso era testimonianza di cultura, patria e di libertà, Italiane: in esso fu anche riposto simbolicamente lo stesso affetto che si rivolge a un familiare, a un parente, trasmettendolo di mano in mano mettendolo così in salvo da mani diversamente degne. Proprio la raffigurazione di Dante Alighieri, tra i massimi rappresentanti della Cultura e della Storia Italiane, che non si poteva lasciare nelle mani di chi tale Storia, tale Cultura, tale respiro antico, non rispettava e anzi offendeva e combatteva aspramente. E ritengo che queste considerazioni – proprio alla luce delle motivazioni relative alla perdurante e tenace in applicazione di parte delle intese istituzionali tra Italia e Croazia – abbiano mantenuto la propria attualità.
La stessa impossibilità si riverbera sul rilascio di una eventuale copia proprio di ‘quel’ busto di Dante. Dall’originale dovrebbe ricavarsi un calco da poter lavorare: ma il calco, a contatto con l’originale, ne trarrebbe un quid di immateriale ma esistente: un pezzo dello spirito di quella scultura, se vogliamo. Uno spirito meno peregrino di ciò che possa sembrare. La scultura in questione, così come ogni opera d’Arte, ha in sé la scintilla creativa dell’Artista che la concepì, e tale scintilla permea la scultura stessa. L’Artista in questione fu lo scultore – ma anche pittore, deputato, Direttore e Professore presso il Regio Istituto di Belle Arti di Roma – Ettore Ferrari: lo stesso dalle cui mani capaci ebbe vita anche la Statua di Giordano Bruno, collocata tuttora a Campo de’ Fiori, a Roma. Ferrari – i cui valori erano e sono ben noti, essendo stati improntati nel segno degli Ideali di Tolleranza, Libertà e Fraternità – realizzò per la Città di Pola, un busto dedicato a Dante Alighieri, dando così testimonianza e corpo ancorché simbolico ad alcuni celebri versi danteschi “Sì come a Pola presso del Quarnaro / Che Italia chiude e i suoi termini bagna.”. (cfr. Inferno, Canto IX, versi 113, 114).
Certamente, anche l’Artista non avrebbe accettato né gradito – né lo farebbe ora – che la sua opera, con tutto ciò che in essa fosse ed è tuttora riposto e rappresentato, non fosse più nelle mani di coloro cui essa era stata solennemente destinata e quindi consegnata: autentici Italiani, dignitosi e di forte personalità, e non certo gente da ‘poco’. Opera Italiana, di uno scultore Italiano, fatta per la comunità di Italiani residenti allora a Pola, rappresentante anche un Autore e una Cultura unicamente Italiani.
Egregio vicesindaco, se permette un sommesso e rispettoso suggerimento; se proprio dovesse accontentarsi di un calco, ma non di ‘quel’ calco, non è meglio comprare un oggetto similare da qualche parte in uno dei negozi lì presenti? Potrà così dire ‘è mio’, è ‘nostro’, anche con enfasi: lo avrà acquistato con i suoi mezzi, e sarebbe veramente e totalmente ‘suo’. E se lo volesse potrà ancor più adoperarsi, con l’usuale vigore che le gocce di sangue Italiano che scorrono nelle sue vene certamente le danno, a far sì che proprio la minoranza italiana presente a Pola, possa lì godere appieno dei propri diritti.
E ciò con buona pace di Dante Alighieri, di Ettore Ferrari e delle sensibilità, affatto irrilevanti, di quanti allora subirono offese e violenze inenarrabili, e che dovettero abbandonare terre, case e oggetti di famiglia, ma che non vollero abbandonare il loro simbolo di cultura e italianità, in territorio e in mani non italiane, fors’anche insanguinate.”
Accademia di Alta Cultura Il Presidente Giuseppe Bellantonio
Monterotondo saluta la bella stagione con “Abbronzatissima”, rassegna culturale che animerà tanti e diversi luoghi della città, dai più frequentati a quelli più periferici, nella settimana che segna la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno. Dal 20 al 28 settembre (seguirà programma definitivo), si alterneranno l’arenacinematografica, dj set e “incursioni culturali” in piazze e angoli di molti quartieri, da piazza Renato Borelli a Piedicosta alla Passeggiata, da piazza Santa Maria delle Grazie a quella dei Leoni e allo Sbracato e molte altre zone di Monterotondo.
Tutte le iniziative sono gratuite e realizzate in collaborazione con varie realtà associative della città.
«L’idea di fondo – afferma l’assessora alla Cultura Alessandra Clementini – è quella di una animazione culturale diffusa, dai luoghi più frequentati a quelli più periferici, che accompagni da un lato la città al passaggio della stagione in maniera brillante e coinvolgente e, dall’altro, offra una vetrina all’offerta culturale delle tantissime associazioni che animano Monterotondo e che, come sempre, hanno risposto con disponibilità ed entusiasmo alla nostra proposta. Ovviamente “Abbronzatissima” non sostituisce l’Estate Eretina, che certamente tornerà nel 2025 con una formula di qualità alla quale stiamo già lavorando. Tenevo molto, però, ad inaugurare il mio Assessorato nel solco di quella sinergia con le associazioni della città costruita, coltivata e potenziata negli anni da chi mi ha preceduta, una continuità che è mia intenzione valorizzare ulteriormente a vantaggio della vasta e variegata offerta culturale che caratterizza Monterotondo, oltre naturalmente del pubblico che a questa risponde sempre con passione e partecipazione».
«Mi fa molto piacere riprendere il lavoro avviato nella precedente Consiliatura – aggiunge il presidente del Cda di ICM Pietro Oddo – e dare avvio, con “Abbronzatissima”, al calendario degli eventi culturali a cui stiamo lavorando con entusiasmo e che presenteremo nei prossimi mesi»
«Con “Abbronzatissima” salutiamo questa lunga estate con eventi e occasioni di incontro, socializzazione e cultura diffusa – conclude il sindaco Riccardo Varone – uscendo dai luoghi tradizionali e “contaminando” tante zone e angoli della città, dal centro alle periferie. Ringrazio l’Assessorato alla Cultura, la fondazione ICM e le realtà associative che, con la loro partecipazione, hanno contribuito ad allestire un cartellone interessante e vario. E naturalmente ringrazio tutte e tutti coloro che assisteranno e parteciperanno agli eventi in programma».
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