ROMA Municipio XIII-La VILLA ROMANA delle COLONNACCE
– Fotoreportage di Franco Leggeri
Roma- Municipio XIII-Castel di Guido- Fotoreportage di Franco Leggeri –I visitatori che in questi giorni , a seguito delle varie manifestazioni organizzate dalla LIPU, sono stati ospiti del GAR a Villa Romana delle Colonnacce e qui guidati dal mitico Archeologo Luca nel tour tra gli scavi archeologici. Durante la visita alla Villa Romana molti ospiti sono stati incuriositi dalla presenza di alcuni alberi , muniti di cartello con la relativa descrizione di Plinio, che si trovano nell’angolo in fondo all’area archeologica sono alcuni esemplari di : CIPRESSO,LECCIO,FRASSINO e NOCCIOLO.
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
Questi alberi sono qui a testimoniare che, tra fine dell’età repubblicana e primi decenni dell’epoca imperiale, come si può anche leggere nelle Opere di Plinio il Vecchio, Plinio il Giovane, Catone e Columella , il giardinaggio non è più considerato una occupazione produttiva, ma anche attività svolta per piacere e diletto. Celebre il brano di Plinio il Vecchio: “I decoratori di giardini distinguono, nell’ambito del mirto coltivato, quello tarantino a foglia piccola, il nostrano a foglia larga, l’esastico a fogliame densissimo, con le foglie disposte a file di sei” ed ancora: “Esistono anche dei platani nani, che sono costretti artificialmente a rimanere di piccola altezza”.
ROMA – Municipio XIII-Castel Di Guido – Villa Romana delle Colonnacce
Fotoreportage di Franco Leggeri -Anno 2005-
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
Castel di Guido- La Villa Romana è del II-III secolo d.C. è sita su di un pianoro all’interno dell’Azienda agricola comunale.La Villa ha strutture di epoca repubblicana che sono le più antiche e di epoca imperiale. La villa ha una zona produttiva di e la parte residenziale di epoca imperiale. La parte produttiva comprende l’aia o cortile coperto: il grande ambiente conserva le basi di tre sostegni per il tetto, mentre è stato asportato il pavimento, al centro si trova un pozzo circolare. Vi è una cisterna per la conservazione dell’acqua meteorica, all’interno della cisterna si trovano le basi dei pilastri che sorreggevano il soffitto a volta. A giudicare dallo spessore dei muri e dei contrafforti si può desumere che avesse un altezza di circa 5 metri. Nell’ambiente di lavoro si trovano un pozzo e la relativa condotta sotterranea. Torcular : sono due ambienti che ospitavano un impianto per la lavorazione del vino e dell’olio. Vi era un torchio collegato alle vasche di raccolta, mentre in un ambiente più basso vi era l’alloggiamento dei contrappesi del torchio medesimo ed una cucina con contenitori in terracotta di grandi dimensioni (dolii). La parte residenziale ha un atrio, cuore più antico dell’abitazione romana, in cui si conservava l’altare dei Lari, divinità protettrici della casa. Al centro vi è una vasca ( compluvio) in marmo in cui si raccoglieva l’acqua piovana che cadeva da un foro rettangolare sito nel tetto (impluvio). Sale da pranzo, forse triclinari , ampie e dotate di ricchi pavimenti e di belle decorazioni affrescate sulle pareti. Cubicoli, stanze da letto . Vi erano dei corridoi che consentivano il transito della servitù alle spalle delle grandi sale da pranzo senza disturbare i commensali o il riposo dei proprietari. Il Peristilio o giardino porticato: era l’ambiente più amato della casa, di solito con giardino centrale ed una fontana. Dodici colonne sostenevano il tetto del porticato, che spioveva verso la zona centrale. I volontari del GAR –Zona Aurelio , scavano con perizia e recuperano frammenti, “i cocci”, li puliscono,catalogano e , quindi, li trasportano nella sede di via Baldo degli Ubaldi dove vengono restaurati e conservati . Nel 1976 la Soprintendenza Archeologica di Roma recuperò preziosi mosaici e pregevoli pitture che sono ora esposti al pubblico nella sede del museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo. Se la Villa è visitabile e ben conservata lo si deve all’ottimo lavoro dell’Archeologo Dott.ssa Daniela Rossi che la si può definire “Ambasciatore e protettrice del Borgo romano di Lorium “. Ricordiamo il recente, superbo, lavoro della Dott.ssa Daniela Rossi nel quartiere Massimina sulla via Aurelia. La descrizione della Villa delle Colonnacce sono tratte da un saggio-lezione che la Dott.ssa Daniela.Rossi ha tenuto nella sala grande del Castello nel borgo di Castel di Guido il 18/04/09 .
CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”CASTEL DI GUIDO, VILLA ROMANA DELLE COLONNACCE : “Il Giardino Antico”
After Images. L’eccidio della famiglia Einstein Mazzetti: risonanze visive-
Fotografie di Eva Krampen Kosloski-Sellerio Editore
Descrizione del libro della Sellerio Editore -Il 3 agosto 1944 nella tenuta Il Focardo di Rignano sull’Arno, circa 15 chilometri a sudest di Firenze, poche ore prima che l’avanguardia delle forze alleate raggiunga la villa, un commando tedesco giustizia Nina Mazzetti e le sue figlie Luce, 27 anni, e Anna Maria, 18. Nina è la moglie di Robert Einstein, ricco commerciante, ebreo apolide, che viveva in Italia da diversi anni. Era il cugino dello scienziato Albert. Robert, che durante la strage era in fuga nei campi, poco dopo il suo ritorno e la scoperta del massacro si suiciderà.
Presenti all’esecuzione sono Lorenza e Paola Mazzetti, cugine di Luce e Anna Maria, che da alcuni anni, di fatto adottate, vivono con la famiglia degli zii. Vengono risparmiate perché non ebree. All’epoca sono poco più che bambine.
Lorenza e Paola diventeranno, ognuna a suo modo, personaggi importanti della stagione culturale del dopoguerra. Lorenza trasferitasi a Londra sarà una delle protagoniste – se non la vera artefice – del Free Cinema inglese, una delle «onde nuove» più trascinanti della cultura europea che vede protagonisti registi del calibro di Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson. Tornata in Italia negli anni Sessanta sarà anche pittrice, giornalista, intellettuale influente. Dei mesi che precedettero quella terribile esperienza scriverà nel libro Il cielo cade, mentre dal mondo cinematografico della Londra del dopoguerra nascerà il Diario londinese (entrambi pubblicati da questa casa editrice).
La sorella Paola sarà scrittrice, illustratrice, artista.
Sua figlia, Eva Krampen Kosloski, fotografa, tornerà nei luoghi dell’infanzia e della tragedia con la madre e la zia e ne documenterà l’atmosfera, la bellezza, la nostalgia. E fotograferà le due sorelle pochi anni prima della loro scomparsa: nella tenuta di Monte Malbe in Umbria, nella villa del Focardo, a Roma…
Queste toccanti immagini, con altre storiche che documentano quell’infanzia dal tragico epilogo, insieme ai documenti che registrano la strage, sono oggetto di un’importante mostra che fino al 25 febbraio 2024 è visitabile in anteprima assoluta presso il Memoriale della Shoah di Milano, e che in seguito sarà portata a New York al Centro Primo Levi.
After Images. L’eccidio della famiglia Einstein Mazzetti: risonanze visive
Edizione bilingue (italiano e inglese) Brossura, formato 17×24 cm Con 74 illustrazioni a colori
La casa editrice Sellerio
Quello che è diventata la casa editrice Sellerio era in un certo modo già presente nel carattere di chi l’ha ispirata come impresa culturale e fondata come impresa economica. Il centro guardato dalla periferia, per scoprire che la periferia è il centro.
La casa editrice Sellerio nasce nel 1969, con un piccolo investimento da parte di Elvira ed Enzo Sellerio celebre fotografo, sulla base di una idea nata parlando assieme a Leonardo Sciascia e Antonino Buttitta, l’antropologo. I quattro sono amici e sono protagonisti della vita culturale palermitana. Palermo negli anni Sessanta è una strana città. Da mille anni una delle capitali dell’Occidente, da mille anni alla periferia dell’Occidente. Crocevia e crogiuolo di tutti gli elementi fondamentali assorbiti dalla cultura occidentale. Ne è legata e distaccata insieme. In ogni sua stagione di fervore culturale (e gli anni Sessanta sono anni di fervore) produce un tipo di intellettuale, egocentrico e presuntuoso quando è un piccolo intellettuale; originale e creativo quando è un grande intellettuale. È un intellettuale segnato da un particolare movimento dialettico: dal suo cantuccio guarda il centro del mondo. Osserva quanto fragili e piene di eccezioni sono sempre diventate in Sicilia le mode e le verità altrove proclamate di volta in volta infallibili e assolute. Considera tutto questo dapprima con risentimento per esserne escluso, con sufficienza, con desiderio; poi scopre che il suo cantuccio è il mondo. Così, fin dall’inizio Sellerio è una casa editrice periferica e interessata alle periferie. Ma è questo essere una specie di provincia dell’anima che le consente di esprimere una generalità. Di non essere una nicchia, ma un soggetto. Perché il soggetto è inevitabilmente un punto di vista, cioè una provincia che si fa centro.
Il programma all’origine della casa editrice è il ritorno a una cultura che Sciascia definisce «amena», cioè una cultura in cui il cosiddetto impegno è implicito e non esplicito, quindi una cultura della leggerezza, che non rinuncia all’eleganza, una cultura delle idee, sì, ma in forma di cose belle.
La fine degli anni Sessanta segna l’apice del grande impegno ideologico e politico della cultura italiana. Ma come sempre, dall’apice, dalla sommità comincia la discesa. Alla fondazione della casa editrice vi è, volontario o involontario, l’intuito che sta per cominciare quello che allora si chiamerà riflusso. Tutti leggono soltanto di politica. Tutto è politico, in quegli anni, perfino la letteratura, perfino l’arte. Tutto è essenziale, ascetico, importante e ostentatamente povero. Se è colto, è sperimentale. La prima collana Sellerio si chiama invece La civiltà perfezionata. È fatta di carta pregiata, con le pagine intonse. E pubblica testi di «belle lettere»: ricercata letteratura, rarefatta, distante anni luce da ogni tempesta politica. Sono testi caratterizzati da due linee apparentemente parallele, in realtà convergenti: la letteratura siciliana, e la letteratura europea meno nota e più raffinata. Due linee che convergono perché si dipartono da un illuminismo di base: il credere che la cultura non ha bisogno di aggettivi, che è di per sé trasformatrice. I due primi titoli sono infatti Mimi siciliani del nobile letterato Lanza e Lettere sulla Sicilia di Eugène Viollet Le Duc, scrittore francese (nonché architetto) malinconico e di sensibilità autobiografica. Ogni volume è accompagnato da incisioni di grandi illustratori (Mino Maccari, Tono Zancanaro, Bruno Caruso) e da una introduzione che in casa editrice si prende l’abitudine (in parte per il gusto della modestia, in parte per la vanità della modestia) a chiamare Nota. Le Note sono testi che hanno come modello gli scritti occasionali di Sciascia stesso, che non prendono mai di petto il loro oggetto, ma vi alludono alla ricerca di connessioni e suggestioni apparentemente lontane ma che in realtà centrano più di ogni zelante documentazione. Così le Note sono introduzioni ma costituiscono, se si vuole, letture autonome. Lanza, per esempio, è introdotto da Calvino.
La prima svolta: la pubblicazione de L’affaire Moro di Leonardo Sciascia.
Dentro la casa editrice, nei primi anni serpeggia un dissenso. C’è chi vuole conservare una dimensione minima e riservata, un carattere strettamente amatoriale (sull’esempio del milanese Scheiwiller, o dell’editore nisseno Salvatore Sciascia). Altri invece vorrebbero misurarsi col mare aperto, con una presenza editoriale più marcata e pubblica, forse nazionale. Nel 1978, senza che nessuno lo abbia programmato volontariamente, arriva un libro di Sciascia come la spada di Alessandro Magno che taglia il nodo gordiano. L’affaire Moro è un classico libro Sellerio (forse il primo tipico). Pubblicato in una collana per pochi com’è La civiltà perfezionata, vende più di centomila copie. È un libro di denuncia, senza parrocchie, coraggioso, scritto nella prosa magnifica di Sciascia. Non teme di essere un libro di grande responsabilità ideale; ma è fatto per essere letto e goduto. Insomma è nato lo stile di una casa editrice e il suo spazio a livello nazionale.
La seconda svolta: la collanina blu della Memoria. Nasce la piccola editoria. Mentre circola lo slogan «piccolo è bello». Tra la casa editrice e l’immaginario dell’italian style si crea un involontario circolo virtuoso.
Fortunato, fortunoso e fortuito – avrebbe detto Sciascia – fu dunque il presentarsi di Sellerio sulla scena nazionale. Ma fu vissuto come una occasione da non mancare. E nell’autunno del 1979 nacque la collana che mancava. Il blu della Memoria. Prima di tutto la grafica. Fu una piccola rivoluzione, nel grigiore metallico delle copertine di quegli anni l’irrompere della macchia blu, della carta vergata, dell’immagine pittorica figurativa al centro della sovraccoperta, dentro una cornicetta colorata che richiamava il colore delle lettere del titolo. Un effetto cromatico accentuato da quella che era allora una originalità audace: i colori delle lettere e della cornice che cambiavano di numero in numero: una volta gialli, una volta celesti, una volta grigi, una volta rossi, quasi mai bianchi. Il libro tornava ad essere anche un oggetto elegante, anche per quel suo formato tendente al quadrato, studiato per essere su misura per la tasca di una giacchetta. Un’unica legge per i contenuti: la curiosità intelligente (intelligente, diceva Sciascia nel senso di intelligenza col lettore «come si dice intelligenza col nemico», cioè intesa rapida, sotterranea, forse complice) che il libro doveva comunicare al lettore, resa con stile letterario. Leggerezza. Una collana amena, appunto. Per quell’accavallarsi di casi fortunati che contornano le buone imprese, La memoria accompagnò – forse incoraggiò, addirittura, si può azzardare, inaugurò – una serie di novità in ciò che allora cominciava a chiamarsi «immagine». Nasceva allora lo stile della piccola editoria. Nasceva dentro l’idea dei prodotti italiani come esempio di cose belle fatte bene e con stile. La memoria, nella sua fortuna di lettori e di critica, sosteneva queste tendenze e ne era sostenuta.
La consacrazione nazionale: il caso Bufalino. Difficilmente un altro editore avrebbe scoperto Diceria dell’untore. Perché quella scoperta fu il frutto dello stile di lavoro di Sellerio.
Un uomo già anziano. Un tipico professore di Liceo siciliano. Coltissimo ma impenetrabilmente schivo. Poco appariscente, sembrava più un erudito che uno scrittore di talento. E poi la sua scrittura barocca, ricercata allo spasimo, figlia, apparentemente, dell’altra metà del secolo. Nel 1981 l’incontro con Bufalino fu casuale e solo il fatto che lo stile di lavoro di Elvira Sellerio (che allora cominciava a occuparsi a tempo pieno, da direttore editoriale, della sua impresa) è poco programmato e molto guidato dalla curiosità, poté produrre quella piccola inchiesta alla fine della quale nel cassetto di Bufalino fu scovato Diceria dell’untore. Una casa editrice più ordinata, un direttore editoriale più tradizionale, uno stile di lavoro più efficiente avrebbe mai trovato Diceria dell’untore? Comunque, quel romanzo che fu la consacrazione di Sellerio tra gli editori nazionali, vinse un meritatissimo Campiello nel 1981 e segnò un cambiamento anche nella cultura italiana. La narrativa italiana girò pagina. E cominciò la stagione dei nuovi scrittori italiani. Almeno per Sellerio.
Saggi legati soprattutto alla storia, alle scienze del linguaggio e a quella che una volta si chiamava varia umanità. Rigore scientifico ma anche il tentativo perenne di rinverdire il vecchio saggio di lettura – che non è la divulgazione o la volgarizzazione ma la capacità di mantenere lo stile, la curiosità e l’innocenza di fronte alle tematiche più teoriche ed erudite.
Nel frattempo nel 1976 erano nate due collane di saggistica. Biblioteca siciliana di storia e letteratura e Prisma. La Biblioteca è la prima collana di storia della Sellerio. Il titolo è vagamente crociano. C’è Croce infatti, forse senza che se ne abbia esplicita intenzione, sotto tutta la storia di Sellerio. Perché non possiamo non dirci crociani? Perché Croce era forse prima di tutto un grande letterato. La storia che cerca di fare Sellerio è storia con la S maiuscola, quella che Les Annales chiamavano storia evenemenziale, dei grandi avvenimenti. (Non che non sia presente anche una storia sociale e materiale, una microstoria: essa è raccolta nella collana Quaderni, fondata nel 1984). Storia di grandi avvenimenti, storia siciliana ma non solo. Ma soprattutto libri di storia fatti, o almeno questo è il tentativo perenne, per essere letti più che studiati (è in questa collana che compare il libro dello storico Francesco Renda Storia della Sicilia dal 1860 al 1970, la più completa storia della Sicilia postunitaria). Prisma invece è la collana di saggistica più classica e più specialistica: essa è destinata agli studi dei linguaggi e delle letterature intesi nel senso più ampio. Nel corso degli anni a queste prime si aggiunsero altre collane: La diagonale e La nuova diagonale, Fine secolo, destinate rispettivamente a saggi di varia, a lettere diari biografie e memorie di viaggio, alla letteratura dei diritti civili (Fine secolo, fu inventata ed è diretta da Adriano Sofri). Ma la cifra che le unifica tutte quante è sempre quella. Non perdere mai l’innocenza e la curiosità. Non perdere mai di vista che la conoscenza è un orizzonte non un traguardo. Se non è incanto, la conoscenza è tecnicismo per i tecnici. Un esempio è la Sentenza, di Luciano Canfora, che indaga sul caso della esecuzione del filosofo del fascismo Gentile e del coinvolgimento del grecista Marchesi. Canfora è intellettualmente coinvolto, per le sue posizioni politiche di sinistra per il suo antifascismo e per essere grecista; ma questo coinvolgimento non prevale sulla obiettività e dà al libro, semmai, un di più di passione. Canfora dal 1990 dirige la collana La città antica, l’unica collezione di scritti classici con studi critici e testi a fronte diretti al vasto ambito dei lettori non specialisti.
Gli anni Ottanta di Tabucchi, di Consolo, di Adorno, di Maria Messina. Sellerio è in prima fila in quella stagione in cui con un nuovo orgoglio la narrativa italiana scopre (riscopre) un’altra generazione di scrittori.
Dopo Diceria dell’untore il nome della casa Sellerio si salda in qualche modo con la vena dei nuovi scrittori italiani. Sellerio, nel suo piccolo, contribuisce a riprendere l’esportazione della cultura italiana all’estero. Accanto a Bufalino, sono richiestissimi i diritti di traduzione di scrittori che la casa editrice va scoprendo. Antonio Tabucchi, Maria Messina, Luisa Adorno, sono i nomi più interessanti. Ed è indicativo che non di inediti si tratti. Ma di scrittori caduti nel dimenticatoio, che Sellerio scopre e rilancia. Segno che gli anni Ottanta sono proprio la stagione della piccola editoria che esercita una funzione di svecchiamento, contro la pigrizia e il letargo dei giganti dell’editoria. E di questa stagione, la stagione della nuova generazione di narratori italiani, assieme a un paio di altri, Sellerio è protagonista e traino.
Il risveglio dei giganti. I grandi gruppi editoriali riassorbono i piccoli, con i manager al posto dei vecchi leoni. Fine della piccola editoria. Sellerio resiste, assieme a pochi altri. E lancia un nuovo genere di giallo all’italiana. Un piccolo editore, Sellerio?
Nel 1990 esce da Sellerio un librettino. Racconta di un commissario di polizia che indaga su un torbido delitto, nel passaggio dalla repubblica di Salò alla repubblica italiana. Il commissario, De Luca si chiama, è un funzionario del regime fascista onesto e molto scettico, in un’epoca in cui le due qualità – onestà e scetticismo – non possono andare d’accordo. Sembra il primo giallo «revisionista», in quanto presenta il volto umano di un’epoca e un momento storicamente perversi. Ma il suo autore ha abbastanza cultura, talento e onestà intellettuale per far argine a quello che potrebbe essere uno scandaluccio e per farne un caso letterario. Con Carta bianca di Carlo Lucarelli si può dire che nasca un nuovo genere di giallo italiano. Seguirà un profluvio di letteratura poliziesca, para o similpoliziesca, italiana e straniera, di grandissimo interesse e successo. Quasi a conferma di una profezia di un grande scrittore svizzero importato in Italia da Sellerio. Nel 1985 la casa editrice aveva pubblicato il romanzo di uno strano giallista svizzero e irregolare Glauser (Il grafico della febbre, giunto a una decina di ristampe), che diceva: «il racconto poliziesco è il miglior mezzo per diffondere idee ragionevoli». E a questo motto profetico oggi – che sembra più nulla possa dirsi se non in forma di giallo – pare obbedire il giallo Sellerio. All’apice di questa avventura con il poliziesco c’è la scoperta di un vero e proprio genere nuovo. Il poliziesco di scuola siciliana, e due nomi senza commento: Andrea Camilleri e Santo Piazzese. Sono titoli di successo e di grande diffusione. Sull’onda di questi anni Novanta, Sellerio inaugura altre collane, più marginali e divaganti. Come Il castello che viaggia nei grandi libri della letteratura del mondo non globalizzato – dall’Irlanda all’America latina, all’Africa, agli Afroamericani. Come Il divano che butta qui e là sotto gli occhi del lettore le più diverse stranezze, da collezionisti di oggetti inesistenti o da eruditi di cose perdute o da manualistica di pratiche del tutto inutili. Un ventaglio di grande ricchezza intellettuale, di spirito ed eleganza, di suggestioni, che consente a Sellerio di sfuggire a quello che è il grande vento editoriale degli anni Novanta. Il risveglio dei giganti. Le nuove immani concentrazioni editoriali. Le cosiddette sinergie che tolgono i libri dalle mani degli editori, e ne fanno gadget. Sellerio è così ormai un caso più unico che raro di piccola editoria. Un artigiano robusto come una industria. Un gruppo di dilettanti più bravi del miglior professionista. Una follia con dentro il metodo più rigoroso. Ma stiamo parlando ancora di un piccolo editore?
Gli anni del Duemila per Sellerio sono stati gli anni di un’esperienza nuova: i cinque milioni di copie di libri di Camilleri, oggi diventati trenta milioni, prodotti a Palermo e venduti in Italia, più i diritti di traduzione venduti fino al Giappone. Ma non c’è solo questo.
C’è prima di tutto che questa esperienza capace di travolgere e di tramutare non ha travolto e tramutato. E non è solo l’esperienza dei grandi numeri. È ancora una volta, negli anni dei giganti multimediali e multinazionali della comunicazione, l’esperienza di lanciare ovunque nel mondo la cultura in lingua italiana da una provincia siciliana in cui si prende ancora il gelato al gelsomino e si investe ancora il tempo a perdere tempo felicemente. Forse bisogna ancora accorgersi che in questi primi anni del Duemila la Sicilia ha esportato ovunque due cose, due cose sole ma cariche di significato e di speranza: il vino siciliano e i libri blu di Sellerio. E non solo libri. Nell’autunno del Duemila la casa editrice ha cercato una via nel nuovo campo del multimediale. Sellerio ha prodotto, per la prima volta in Italia, un cartone animato interattivo dal Cane di terracotta. Un libro video e gioco interattivo insieme: un’invenzione, premiata con la menzione d’onore al «Bologna New Media Prize». Oltre Camilleri, poi, tornando ai libri, gli anni Duemila sono stati anni di scrittori dal mondo di cui si parla molto e se ne parlerà per molto. La canadese Margaret Doody: aveva pubblicato un libro e poi il suo editore americano si era dimenticato di lei. Ma Margaret aveva creato un nuovo detective nel filosofo Aristotele, un detective deduttivo e realistico, rimandando indietro nel tempo il genere del giallo speculativo. E con questa operazione ironica di proiettarlo nel passato ha tolto ogni anacronismo a un genere, appunto la detection speculativa, che sembrava oggi impossibile: un best seller, il primo libro, seguito da altri due in prima mondiale e venduti in più di centomila copie. Ancora un miracolo editoriale: un’anziana signora inglese, caso letterario europeo degli ultimi anni, Penelope Fitzgerald, che parla delle cose profonde e invisibili e forti della vita, con una grazia colorita di tinte tenui che è stata paragonata alle tele di Turner. Il divertimento triste e trascinante del russo Dovlatov, che parla della sua esperienza di russo a cavallo della caduta del muro, con un umorismo acuto e dissacrante che ha la forza – è stato detto – di Čechov. Bolaño, cileno e giramondo, un Borges dei tempi di Tarantino (è un critico francese a definirlo così nella commemorazione per la sua recente scomparsa), che trae dal passato di ieri delle dittature sudamericane, e dal presente della diaspora della sua generazione di sudamericani, cronache vere, ma che sembrano uscite dalla smorfia dada e surrealista. E le scoperte più recenti. Due giallisti di grande qualità e di grande successo. Gianrico Carofiglio (Testimone inconsapevole e Ad occhi chiusi) l’inventore del «legal thriller» italiano, con un personaggio così vero, l’avvocato Guerrieri, che solo un magistrato di lungo corso com’è lui poteva scolpire. E la spagnola Alicia Giménez-Bartlett: l’ispettrice Petra Delicado e il vice Garzón sono due piedipiatti così indimenticabili, nel loro umorismo dolceamaro, nella loro durezza dal cuore tenero, che il grande critico Cesare Cases parla dell’autrice come «geniale scrittrice mediterranea».
– Rosa Leveroni-(1910-1985)-Poetessa spagnola legata alla Resistenza culturale catalana nel periodo franchista. La sua poesia, influenzata dall’opera di Carles Riba, è caratterizzata dal tema amoroso e dalla riflessione sul destino umano.
Rosa Leveroni i Valls neix a Barcelona l’1 d’abril del 1910 en el si d’una família de la mitjana burgesia. El seu pare, descendent d’una família d’armadors de vaixells de Gènova, fa de gerent d’un magatzem de metalls, i la seva mare, de mestra. Fa els primers estudis al col·legi Príncep d’Astúries i, posteriorment, fins als dotze anys, a les Dames Negres del passeig de Gràcia.
Rosa Leveroni
Als quinze anys publica els seus primers versos a la revista Patufet, i comença a tenir clara la seva vocació literària. Tot i que el seu pare la pressiona perquè es dediqui al negoci familiar, als dinou anys, coincidint amb la caiguda de la dictadura de Primo de Rivera, entra a l’Escola de Bibliotecàries, que aleshores dirigeix Jordi Rubió. Aquesta institució, fundada per Eugeni d’Ors, té com a professors alguns dels intel·lectuals catalans més brillants del moment (Carles Riba, Ferran Soldevila, Nicolau d’Olwer, Rafael de Campalans). L’estada a l’Escola de Bibliotecàries i, en especial, la coneixença de Carles Riba, és cabdal en la formació intel·lectual i personal de Leveroni.
L’any 1933 rep una beca per anar a Madrid a fer una tesina sobre literatura infantil. En tornar, entra a treballar a la biblioteca de la Universitat Autònoma de Barcelona. Durant la guerra civil fa dos cursos de la carrera de Filosofia i Lletres. L’any 1937 és finalista al premi Joaquim Folguera amb el llibre Epigrames i cançons, que publica l’any 1938, prologat per Carles Riba. La influència ribiana i, en general, de tota la generació postsimbolista és molt present en aquest volum. Els temes que hi apareixen seran els que es repetiran durant tota la seva obra: la tristesa, la desolació amorosa, la melangia…, sentiments continguts i objectivats gràcies a la disciplina del vers.
El 1939, després de la Guerra Civil, la depuració de funcionaris de la Generalitat fa que perdi la feina com a bibliotecària de la Universitat Autònoma. Durant la dècada dels quaranta, Leveroni dedica tota la seva energia a la resistència cultural catalana enfront de la repressió franquista, i es converteix en l’ànima del grup intel·lectual que Carles Riba forma al seu voltant. És ella qui distribueix clandestinament les Elegies de Bierville de Riba, qui actua de contacte entre els intel·lectuals catalans de l’interior i els de l’exili, i és una de les primeres col·laboradores de la revista Poesia (fundada el 1940) i de la revista Ariel (fundada el 1946).
Rosa Leveroni per al suple Foto: Ferran Sendra
L’any 1952 publica un segon volum de poesia, Presència i record, prologat per Salvador Espriu. La mort del seu pare, l’obliga a centrar-se en el negoci familiar. En aquesta època assisteix assíduament als congressos de literatura catalana que se celebren a Anglaterra, organitzats per la Catalan Society, entitat de la qual és membre. Durant les dècades dels seixanta i dels setanta, la seva figura es manté cada vegada més apartada i aïllada de l’escena literària catalana, fet al qual també contribueix el seu silenci poètic.
L’any 1981 publica el volum Poesia, que recull tota la seva obra poètica, amb pròleg de Maria Aurèlia Capmany i dos epílegs de Carles Riba i Salvador Espriu, escrits respectivament el 1938 i el 1950 i que havien prologat els dos reculls poètics. L’any següent, el conjunt de la seva obra és reconegut amb l’atorgament de la Creu de Sant Jordi de la Generalitat de Catalunya.
Mor el 4 d’agost del 1985, poc abans que es publiqui un volum de contes que recull la seva producció narrativa. És enterrada a Port-Lligat.
Rosa Leveroni
Rosa Leveroni-Poesia”PRESENZA E RICORDO”
*
Con il grigiore di questo cielo,
l’argento dell’ulivo
deve sembrare il tocco di un pennello
dalla fine trasparenza.
Un mare di piombo sullo sfondo
condensava l’oscurità.
Tutta la luce è rimasta
sul ramo d’ulivo.
Rosa Leveroni-(1910-1985)-Poetessa spagnola legata alla Resistenza culturale catalana nel periodo franchista. La sua poesia, influenzata dall’opera di Carles Riba, è caratterizzata dal tema amoroso e dalla riflessione sul destino umano.
(Presència i record. Barcelona: Edicions de l’Óssa Menor, 1952)
* * *
Elegies dels dies obscurs
III
Desmai de cap al tard damunt de l’aigua
adormida del port. Els núvols grisos
deixaven la tristesa de sentir-se
orfes del seu rosat botí de posta,
sobre el mirall opac. L’ala del somni
ratllava les cobertes treballades
d’un íntim cansament. Ja cap bandera
no ornava els mastelers. I les desferres
dels bots abandonats eren la muda
crida del desesper. Els nostres passos
ressonaven pel moll i les paraules
foren el lent sospir de la nostàlgia
d’un viatge mai fet… Ah! les inútils
veles del mort desig, ¿com desplegar-les
al vent que no vindrà per a portar-nos
al goig del mar obert, a l’alegria
de les ones batents, si els braços àvids
d’aquest port desolat ens retenien?
VIII
Aquest so greu de corda adolorida
que subratlla el meu cant, és la penyora
deixada per la mort perquè et recordi,
amor adolescent. És la teva ombra
que en l’alta solitud dels camins aspres,
el braç acollidor, va fer-me ofrena
d’aquest repòs segur, oh flama pura
del meu amor passat, present encara
en el somriure las d’un món que porta
el pes de tots els morts en les florides
de cada primavera renovada.
Ets el meu port tancat on de l’inútil
navegar porcel·lós veig la tristesa
i el conhortament… Ombra benigna
que m’acompanya el cant atemperant-lo
amb unes notes greus, serva’m els braços
eternament oberts…
(Poesia. Barcelona: Edicions 62, 1981, p. 105-108)
Rosa Leveroni
* * *
Plau-me seguir els camins que els camps parteixen,
ignorant cap a on van,
amarats d’un perfum de terra molla
i d’un errívol cant.
I prenen uns colors de coure càlid
d’un bes del sol ponent,
i celen amb amor, sota les branques,
el festeig de la gent.
Plau-me seguir els camins que per la vinya
s’enfilen costa amunt,
i tenen per la set i la mirada
un bell gotim a punt.
Plau-me seguir els camins entre pollancres
vetllant un rierol,
i coneixen el vol de les becades,
el joc de pluja i sol…
Amo tots els camins, fins els més aspres,
mentre siguin oberts
i posin tremolor de fruita nova
als meus sentits desperts.
(Poesia. Barcelona: Edicions 62, 1981, p. 80-81)
* * *
Jo porto dintre meu
per fer-me companyia
la solitud només.
La solitud immensa
de l’estimar infinit
que voldria ésser terra,
aire i sol, mar i estrella,
perquè fossis més meu,
perquè jo fos més teva.
(Epigrames i cançons. Barcelona: Gustau Gili, 1938)
Antologia
Alcune poesie
Con il grigiore di questo cielo
l’argento de l’olivera
deve sembrare il tocco di un pennello
di una raffinata trasparenza.
Un mare di piombo sullo sfondo
condensava la tenebra.
Tutta la luce è andata
al brancam de l’olivera.
(Presenza e ricordo. Barcellona: Edizioni dell’orso minore, 1952)
* * *
Elegies dels muore oscurs
III
Svenendo nel pomeriggio in acqua
sonno dal porto. Le nuvole grigie
hanno lasciato la tristezza dei sentimenti
Orfani con il loro sedere rosa,
sullo specchio opaco. L’ala del sogno
graffiato i ponti lavorati
di una stanchezza intima. Nessuna bandiera più
niente Ornava els Mastelers. I les desferres
delle barche abbandonate erano i muti
grido di disperazione. I nostri passi
risuonava attraverso il molo e le parole
Erano il lento sospiro della nostalgia
da un viaggio mai fatto… Ah! Ah! quelli inutili
candele del desiderio di morte, come aprirle
al vento che non verrà a prenderci
alla gioia del mare aperto, alla felicità
delle onde battenti, se l’avidità braccia
Ci hanno tenuti lontano da questo porto desolato?
VIII
Quel serio suono di corda dolorante
che sottolinea il mio canto, è la penyora
lasciato alla morte per ricordarti,
amore adolescenziale. È la tua ombra
che nell’alta solitudine delle strade aspre,
il braccio di accoglienza, mi ha fatto un’offerta
di questo riposo sicuro, oh fiamma pura
dal mio amore passato, presente ancora
nel sorriso quelli di un mondo che porta
il peso di tutte le morti in Florida
di ogni primavera rinnovata.
Sei il mio porto chiuso dove dell’inutilità
surf in porcellana vedo la tristezza
I el conhortament… Ombra benigna
che mi accompagna la canzone temprandola
Sul serio, servi le mie braccia
eternamente aperto…
(Poesia. Barcellona: Edizioni 62, 1981, p. 105-108)
* * *
Seguite i sentieri che conducono i campi,
ignorante cappuccio a sul furgone,
amato da un profumo di terra morbida
Non posso errívol.
E prendono i colori caldi del rame
con un bacio dal sole che tramonta,
e cieli d’amore, sotto i rami,
la festa del popolo.
Seguite i sentieri per la vigna
stanno allineando la costa,
E hanno la sete e lo sguardo
un bell gotim un punt.
Per favore seguite i sentieri tra pollancre
vegliare su un torrente,
E conoscono il volo delle borse di studio,
il gioco della pioggia e del sole…
Amo tutte le strade, anche le più dure,
purché siano aperti
E hanno messo un nuovo tremore alla frutta
nei miei sensi svegli.
(Poesia. Barcellona: Edizioni 62, 1981, p. 80-81)
Rosa Leveroni
* * *
Porto dentro di me
per farmi compagnia
solo la solitudine.
La solitudine immensa
amarla infinitamente
Voglio essere la terra,
Aire i sol, mar i estrella,
perché tu eri più mio,
in modo che potessi essere più come te.
(Epigrammi e canzoni. Barcellona: Gustau Gili, 1938)
Rosa Leveroni-Poetessa spagnola
Rosa Leveroni (Barcelona, 1910-1985). Poeta i narradora. La seva poesia es troba influïda pel mestratge de Carles Riba, tant en els models formals com en el refús de la superficialitat i el barroquisme. La seva obra és breu i es troba recollida en dos volums: Poesia (1981) i Contes (1985). Conrea també l’assaig i la crítica literària (sobre Ausiàs March, especialment). Durant la postguerra desenvolupa una tasca important en la represa de la cultura i la llengua catalanes. L’any 1982 és reconeguda amb la Creu de Sant Jordi de la Generalitat de Catalunya.
Va ser una de les primeres membres i, posteriorment, sòcia d’honor de l’Associació d’Escriptors en Llengua Catalana.
Rosa Leveroni (Barcellona, 1910-1985). Il poeta e il cantastorie. La sua poesia è influenzata dalla maestria di Carles Riba, sia nei modelli formali che nel rifiuto della superficialità e del barocco. Il suo lavoro è breve ed è raccolto in due volumi: Poesia (1981) e Racconti (1985). Coltiva anche saggio e critica letteraria (soprattutto su Ausiàs March) Nel dopoguerra sviluppa un importante compito nel restauro della cultura e della lingua catalana. L’anno 1982 è riconosciuta con la Croce di San Giorgio della Generalitat di Catalogna.
POEMES DE ROSA LEVERONI
VI TARDA DE POESIA
20 D’ABRIL DE 2022
AULES DE DIFUSIÓ CULTURAL DE LA GARROTXA
POEMES DE ROSA LEVERONI
PÒRTIC
del llibre Epigrames i cançons, 1938
Jo porto dintre meu per fer-me companyia la solitud només.
La solitud immensa
de l’estimar infinit
que voldria ésser terra, aire i sol, mar i estrella, perquè fossis més meu, perquè jo fos més teva.
ELS RECORDS III
Jo fos per tu aquesta cançó tan dolça que desgrana el molí;
aquest oreig suau que t’agombola perfumant-te el matí.
Fos el flauteig dels tòtils a la tarda en la calma dels horts.
Si fos aquesta pau que t’acompanya en el repòs dels ports …
o fos la punxa de la rosa encesa d’un desig abrandat; aquell record d’una hora de follia, d’aguda voluptat.
Si fos l’enyorament d’uns braços tendres que varen ser-te amics,
o bé la revifalla rancorosa d’aquells menyspreus antics.
Si jo no fos per tu record amable, fos almenys un neguit,
un odi o un dolor, una recança … Ho fos tot, menys l’oblit.
(del llibre Presència i record, 1952)
CANÇÓ DE LES BESADES
El primer bes que florí,
te’n recordes?, jo el donava. Tu em prengueres el segon vora del riu que cantava.
I després ja començà
el rosari de besades.
Unes amb regust de sol
i neu dalt de la muntanya. Altres amb claror d’estels
i perfum de lluna clara.
Totes d’un encantament
que ens feia les hores calmes …
D’aquell rosari passat,
sols el record m’acompanya i la recança també,
amor, si tu l’oblidaves.
(del llibre Epigrames i cançons, 1938)
ABSÈNCIA I
Rosa encesa del desig,
com m’esgarrinxes els llavis,
i sóc tan lluny de l’amat!… Sols tinc la mar per companya; ella bé prou que em somriu dins la cala arredossada.
Em somriuen els estels i la lluna niquelada,
el campanar cimejant
i la vela ben inflada,
i la gavina en ple vol,
i el peix fugint de la xarxa…
Rosa encesa del desig,
com m’esgarrinxes els llavis! Si sóc tan lluny de l’amat
res dintre meu ja no canta.
(del llibre Presència i record, 1952)
TEMA AMB VARIACIONS
No vull el mirall del mar, ni l’estelada florida;
ni claror de cels novells, ni encetar cap nova via.
Vull la dolçor del teu braç abraçant la meva vida; vull la claror dels teus ulls i la teva veu amiga.
XXIII
ABSÈNCIA VII
Em pren la calma dels camps quan l’hora esdevé rogenca.
I la quietud de la mar
quan els vents dormen la sesta. I mentre vola l’ocell
l’ànima esdevé lleugera …
Saber-te lluny sense dol
em fa ressò de miracle.
Ara, però, veig el món
amb la claror que m’encanta de tenir-te dintre meu,
que fa que no em cal pensar-te.
(del llibre Epigrames i cançons, 1938)
CANÇÓ D’UN SETEMBRE
Era una coma d’oliveres
amb una casa i un camí,
al capdavall dues figueres
fent ombra fresca a un doll molt fi.
Era migdia. Reposava
la vinya negra de gotims; vora el portal un gall cantava; es feinejava porta endins.
Aquella font era tan clara, era tan net aquell cel blau … Omplia el pit la joia avara
i la llangor fou tan suau!…
Jo no sabia que l’amava
però en sos ulls em vaig mirar … Des d’aleshores l’estimava,
ja no he sabut què és oblidar.
(del llibre Presència i record, 1952)
Vull sentir-te com arrel
dins la foscor beneïda d’aquesta terra vivent
de nostra amor compartida.
(del llibre Presència i record, 1952)
Rosa Leveroni
CLAROR DAURADA
És la claror daurada de la posta d’un dia de tardor
que veig en els teus ulls i que m’ofrenen la teva tremolor.
És aquell deix cansat, com d’arribada després de tràngols forts
a l’esperat recer, on tots els somnis troben la pau dels ports.
És el somriure lleu, la veu sonora d’haver estimat ja tant,
que em prenen dolçament i se m’emporten sense saber on van…
(del llibre Presència i record, 1952)
ELS CAMINS III TEMA AMB VARIACIONS
Plau-me seguir els camins que els camps parteixen ignorant cap on van,
amarats d’un perfum de terra molla
i d’un errívol cant.
I prenen uns colors de coure càlid
d’un bes del sol ponent,
i celen amb amor, sota les branques,
el fresseig de la gent.
Plau-me seguir els camins que per la vinya s’enfilen costa amunt,
i tenen per la set i la mirada
un bell gotim a punt.
Plau-me seguir els camins entre pollancres vetllant un rierol,
i coneixent el vol de les becades,
el joc de pluja i sol…
Amo tots els camins, fins els més aspres, mentre siguin oberts
i posin tremolor de fruita nova
als meus sentits desperts.
(del llibre Presència i record, 1952)
COLOR DEL TEMPS
Clavellines als balcons,
parets blanques, fustes blaves. Esclat de llum: campanar; randes albes a les platges. Tocs de mel en la claror;
verds i blaus, joies de l’aigua …
Quin perfum primaveral ofrenaves, vila amable! …
(del llibre Presència i record, 1952)
Si jo tingués un veler sortiria a pesca d’albes. Encalçaria els estels
per posar-me’n arracades.
Si jo tingués un veler, totes les illes i platges
em serien avinents
per al somni i les besades.
Si jo tingués un veler,
en cap port faria estada. El món fóra dintre seu,
ai amor, si tu hi anaves …
(del llibre Presència i record, 1952)
TEMA AMB VARIACIONS
Són les illes del record
les que m’ofrenen les platges on d’aquest meu navegar pugui reposar les ales.
Tots els camins de la mar un a un se’m refusaven; sols els ports resten oberts amb l’agombol de les cases.
Les veles han desertat
tots els vents que les tibaven. L’estrella signa el retorn
al vell sofrir delectable.
Són les illes del record
les que m’ofrenen les platges …
(del llibre Poesia, 1981)
GLOSES MALLORQUINES
Si bastiment hi havia
que fadrines se’n dugués vestides de mariners,
jo la de davant seria.
Tota la mar trescaria, estimat meu, sols que us ves.
Totes les illes hauria
per a bescanvi d’un bes. Pirates i bandolers
a tots ells jo robaria,
i res no m’aturaria
si els teus braços jo trobés.
Els teus llavis jo tindria com a més segur recés. Pirates i mariners
i moros de moreria,
res ja no m’espantaria
si en els teus ulls em negués…
Rosa Leveroni
III
GLOSES MALLORQUINES VII
Vós heu robat i robeu
i vós sou la robadora;
el cor m’heu robat, senyora, i l’ànima em pledegeu.
Vós teniu tot l’amor meu,
no en voleu ser sabedora. Vós jugueu amb mi, senyora, i potser vos arrisqueu.
El cor m’heu robat, senyora, potser el vostre hi perdereu. És molt cara la penyora, mireu, senyora, el que feu!
L’enamorar enamora
i, si l’ànima em voleu, mireu-me als ulls, missenyora, que dins ells la trobareu.
El cor m’heu robat, senyora. Ara el vostre me’l deveu.
(del llibre Presència i record, 1952)
Tota la mar trescaria
si prop meu sempre et tingués!
(del llibre Presència i record, 1952)
VOLDRIA QUE EL MEU CANT FOS COM UNA ALBA
Voldria que el meu cant fos com una alba secreta per a tots,
i només un de sol capís els signes
dels inefables mots.
Voldria que el meu cant fos com l’alosa o com el dia clar,
que posen en el cel la seva joia
sense res esperar.
Voldria que el meu cant fos com un himne de gràcies per la sort
de trobar dintre meu tot el misteri
de la vida i la mort.
(del llibre Poesia, 1981)
TESTAMENT
Quan l’hora del repòs hagi vingut per a mi vull tan sols el mantell d’un tros de cel marí. Vull el silenci dolç del vol de la gavina dibuixant el contorn d’una cala ben fina; l’olivera d’argent, un xiprer més ardit
i la rosa florint al bell punt de la nit;
la bandera d’oblit d’una vela ben blanca
fent més neta i ardent la blancor de la tanca. I saber-me que sóc, en el redós suau,
un bri d’herba només de la divina pau.
(del llibre Poesia, 1981)
Donem les gràcies a totes les persones que han fet possible aquesta VI Tarda de Poesia:
ALS QUI HAN LLEGIT TEXTOS EN PROSA:
Reflexions i records de Rosa Leveroni Carta de Salvador Espriu
A LES LECTORES I LECTORS DE POEMES:
Pòrtic
Els records
Cançó de les besades
Rosa encesa del desig …
No vull el mirall del mar …
Els camins
Color del temps
Claror daurada
Si jo tingués un veler …
Glosses mallorquines: Si bastiment hi havia … Voldria que el meu cant fos com una alba Testament
A L’ÀNGEL GIRONA, MÚSIC VERSIONADOR I INTÈRPRET:
Em pren la calma dels camps
Cançó d’un setembre
Glosses mallorquines: Vós heu robat i robeu … Són les illes del record …
A L’EDITOR DEL POWER POINT:
Glòria Llinàs Francesc Bragulat
Maria Biarnés Montse Delgà Conxita Ayats Margarida Arau Tura Tarrús Roser Melià Montse Trubat M. Teresa Roura Pilar Gurt
Descrizione-Harold Bloom ha scritto che “con l’eccezione di Shakespeare” Emily Dickinson dimostra più originalità cognitiva di qualsiasi altro poeta occidentale dopo Dante, e che i critici quasi sempre sottovalutano la sua sorprendente complessità intellettuale. Forse anche per questa complessità, quasi un prisma che moltiplica immagini, luci, sensi, la poetessa che dalla sua stanza ha inviato una “lettera al mondo” colma di verità distillate in solitudine, continua ad attirare ovunque “biografi, filologi, docenti, studiosi, traduttori, critici” (Vivian Lamarque). E soprattutto lettori, catturati e conquistati dall’enigma di Emily, “piccola come lo scricciolo” e vestita sempre di bianco. I suoi versi concisi, intensi e misteriosi ritraggono ciò che la circonda: animali, fiori, piante, voci di una poesia spesso definita oracolare. Da un isolato punto di osservazione lo sguardo acutissimo di Emily ha saputo individuare e ampliare i limiti dell’espressione e della comprensione, indicare nuovi significati, vedere oltre la vita. Ha saputo creare un linguaggio nuovo per suggerire sensi inediti, pause come improvvise deviazioni nel volo degli uccelli: forse indecifrabili, ma ipnotiche, libere.
Emily Dickinson
Crocetti Editore
Traduzione: Barbara Lanati;
Pagine: 96
Prezzo: € 7,00
ISBN: 9788883064326
Data Uscita: 02/07/2024
LA CASA EDITRICE CROCETTI
Fondata nel 1981 dal grecista e traduttore Nicola Crocetti, la casa editrice Crocetti è specializzata nella pubblicazione di opere di poesia e di letteratura neogreca, omaggio alle origini del suo fondatore.
In quasi quarant’anni di attività, la Crocetti ha pubblicato numerose opere di poeti italiani e stranieri, tra cui i Premi Nobel Ghiorgos Seferis, Odisseas Elitis, Saint-John Perse, Derek Walcott e Tomas Tranströmer. Nel catalogo figurano inoltre volumi di Emily Dickinson, Antonio Machado, Walt Whitman, Ghiannis Ritsos, Costantino Kavafis, Louis Aragon, Kahlil Gibran, Rainer Maria Rilke, Edna St. Vincent Millay, Paul Valéry, Simone Weil, Yehuda Amichai, Anne Sexton, Manolis Anaghnostakis, Adrienne Rich, Jaime Saenz, Carol Ann Duffy, Thomas Bernhard. Quasi tutti i volumi sono pubblicati con il testo originale a fronte.
Tra gli autori italiani in catalogo, troviamo Alda Merini, Franco Loi, Antonella Anedda, Giovanni Raboni, Maria Luisa Spaziani, Antonio Porta, Cesare Viviani, Milo De Angelis, Aldo Nove, Giorgio Manganelli, Mariangela Gualtieri, Maria Grazia Calandrone, Pierluigi Cappello.
Oltre alle opere di singoli autori, la Crocetti ha inoltre pubblicati alcuni volumi collettanei, come le antologie della poesia basca, svedese, russa, greca e svizzera di lingua tedesca.
Da alcuni volumi editi dalla Crocetti sono stati tratti spettacoli teatrali interpretati da importanti attori italiani. Ne sono un esempio alcuni monologhi drammatici di Ghiannis Ritsos, portati sul palcoscenico, tra gli altri, da Moni Ovadia, Paolo Rossi, Anna Bonaiuto, Elisabetta Vergani, Isabella Ragonese, Luigi Lo Cascio ed Elisabetta Pozzi.
Nel 1995 alle collane di poesia si è aggiunta la collana di narrativa neogreca “Aristea”, che ha proposto ai lettori alcuni dei romanzi greci più venduti e letterariamente più rilevanti del Ventesimo secolo, finora assolutamente sconosciuti al pubblico italiano.
Nel 2020 la Crocetti è stata acquisita dal gruppo Feltrinelli e ha inaugurato questa nuova fase cominciando a ristampare i titoli che l’hanno resa una delle più prestigiose case editrici italiane.
LA RIVISTA “POESIA”
Nel gennaio 1988 Nicola Crocetti ha fondato “Poesia”, la rivista mensile di cultura poetica più diffusa d’Europa. Fin dal primo numero, le caratteristiche principali di “Poesia” sono state: il taglio internazionale e informativo, la distribuzione capillare nelle edicole e un apparato iconografico che finalmente consentiva ai lettori di conoscere i volti dei poeti.
La distribuzione nelle edicole ha permesso alla rivista di raggiungere un pubblico molto vasto, distribuito su tutto il territorio nazionale. La tiratura di “Poesia” ha raggiunto in passato le 50.000 copie. Molte tra le maggiori Università europee e tra le più prestigiose Università americane sono abbonate alla rivista fin dal primo numero. Nei suoi trentatré anni di vita, “Poesia” ha venduto complessivamente circa tre milioni di copie.
L’alto interesse non solo italiano nei confronti di questa rivista può essere verificato digitando la parola “poesia” sul motore di ricerca Google: su oltre cento milioni di pagine la rivista “Poesia” risulta in prima posizione tra quelle regolarmente visitate.
Del comitato di redazione di “Poesia”, garante del suo alto livello culturale, fanno o hanno fatto parte sei Premi Nobel per la Letteratura (il russo-americano Joseph Brodsky, il caraibico Derek Walcott, l’irlandese Seamus Heaney, il greco Odisseas Elitis, il polacco Czesław Miłosz e lo svedese Tomas Tranströmer), oltre a poeti di fama nazionale e internazionale, come Yves Bonnefoy, Tony Harrison, Charles Wright, Adam Zagajewski, Durs Grünbein, Paul Muldoon, Antonella Anedda, Milo De Angelis, Nicola Gardini, Franco Loi, Vivian Lamarque, Silvio Ramat.
Dopo che per i primi tre anni “Poesia”è stata diretta dai poeti Patrizia Valduga e Maurizio Cucchi, nel 1991 la direzione è stata assunta da Nicola Crocetti, e la rivista si è sempre più caratterizzata per la sua vocazione internazionale. Nei 358 numeri usciti con cadenza mensile fino all’aprile 2020 e nelle sue 30.000 pagine, la rivista ha proposto centinaia di articoli su poeti tradotti per la prima volta in italiano e di nuove traduzioni di poeti ancora sconosciuti in Italia. In totale ha pubblicato quasi 3.500 poeti, tra i maggiori a livello nazionale e internazionale, e oltre 36.000 poesie tradotte da una quarantina di lingue, quasi sempre con il testo originale a fronte.
La casa editrice Crocetti ha organizzato anche diversi festival di poesia. In collaborazione con il Comune di Parma e il Teatro Due, dal 2004 al 2012 ha curato la sezione internazionale del Festival di poesia di Parma, uno dei più prestigiosi appuntamenti culturali di quegli anni, al quale sono intervenuti alcuni dei maggiori poeti del mondo.
Nel 2003 il Ministero dei Beni Culturali ha assegnato a “Poesia”un riconoscimento per la sua attività di diffusione della poesia in Italia, consegnato al direttore della rivista Nicola Crocetti il 12 maggio 2003 al Quirinale dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi.
Con il passaggio al gruppo Feltrinelli, dal maggio 2020 “Poesia” ha cambiato veste grafica, periodicità (da mensile in bimestrale) e canale distributivo (dalle edicole alle librerie). Non è mutata, però, la passione con cui i suoi redattori e i collaboratori raccontano da trentaquattro anni il mondo poetico italiano e internazionale.
Per attivare l’abbonamento a “Poesia” scrivi a info@poesia.it . Otterrai tutte le informazioni.
I numeri arretrati di “Poesia” (nuova serie) sono ordinabili in libreria (certamente nelle Librerie Feltrinelli) e nei principali store online (lafeltrinelli.it, ibs.it, Amazon.it ecc).
Nel nostro magazzino sono disponibili molti titoli del catalogo Crocetti, chiedi al tuo libraio di fiducia di ordinarteli. In caso di difficoltà o per ulteriori informazioni scrivi a info@poesia.it
Olga Aleksándrovna Spesívtseva, Una delle migliori “prima ballerina” del XX secolo
Articolo del Profesor José Gongora Ballet–Olga Aleksándrovna Spesívtseva, también Olga Spessivtseva (Spessivtzeva y Spessiva) (Ольга Александровна Спесивцева) (18 de julio de 1895—16 de septiembre de 1991) fue una célebre bailarina rusa cuya carrera se extendió entre 1913 y 1939.
Una de las máximas prima ballerinas del siglo XX. De excelente técnica clásica, estilo inmaculado y espiritualidad escénica se la considera la encarnación de la bailarina romántica rusa. Irónicamente, su vida tendría un trágico desenlace al sufrir un colapso nervioso, al igual que el personaje Giselle, obra de ballet que sería la más representativa de su vida.
Olga Aleksándrovna Spesívtseva
Nació en Rostov del Don, era hija de un cantante de ópera, al morir su padre ella fue enviada a un orfanato en San Petersburgo. En 1906, entró a la academia imperial de danzas donde estudio con Klavdia Kulichévskaya, Yevguenia Sokolova y Agrippina Vagánova. Se graduó en 1913 e ingresó al Teatro Mariinski donde fue promovida a solista poco después. Fue una de las más famosas Giselle y Odette/Odile de El lago de los cisnes de su época.
En 1916, Serguéi Diáguilev la invitó a la gira de los Ballets Russes por América reemplazando a Tamara Karsávina, donde bailó con Nizhinski, regresando al Mariinski en 1918. Siguió alternando sus presentaciones en Leningrado con giras, entre ellas la realizada por los Ballets Russes a Londres y Buenos Aires en 1923.
Gracias a la intervención de su exmarido Borís Kaplún, un funcionario del régimen bolchevique, logró abandonar Rusia en 1924 para establecerse en París donde fue etoile de la Opera parisina (donde creó Salomé y Las criaturas de Prometeo de Serge Lifar) hasta 1932. Ese año creó una legendaria Giselle en Londres con el joven Anton Dolin, fue la primera en bailar en Occidente la variación del primer acto agregada posteriormente.
Entre 1932-37, hizo giras por el mundo con obras de Michel Fokine y Bronislava Nijinska.
Sufrió de depresión crónica y su última aparición fue en el Teatro Colón de Buenos Aires en 1939, año en el que se mudó a Estados Unidos para dedicarse a la enseñanza.
En 1943, sufrió un severo colapso nervioso y fue internada durante 20 años hasta que en 1963 sus amigos Anton Dolin, Felia Doubrovska y Dale Fern, la mudaron a Valley Cottage en la Fundación Tolstói, una comunidad rusa en el estado de Nueva York fundada por la hija menor del escritor Lev Tolstói, Aleksandra Tolstaya.
Vivió pacíficamente hasta morir de 96 años.
En 1964, la BBC realizó un documental sobre su vida y en 1966, Antón Dolin escribió su biografía ‘The Sleeping Ballerina’.
En 1982, aparece entrevistada por Antón Dolin en el documental “A portrait of Giselle” junto a otras siete supremas intérpretes del rol.
El ballet “Red Giselle” está inspirado en ella.
Olga Aleksándrovna Spesívtseva
Olga Aleksándrovna Spesívtseva, anche Olga Spessivtseva (Spessivtzeva e Spessiva) ( Ольга Александровна Спесивцева) (18 luglio 1895-16 settembre 1991) è stata una celebre ballerina russa la cui carriera si estende tra il 1913 e il 1939.
Olga Aleksándrovna Spesívtseva
Olga Aleksándrovna Spesívtseva
Olga Aleksándrovna Spesívtseva
Una delle migliori prima ballerine del XX secolo. Di eccellente tecnica classica, stile immacolato e spiritualità scenica è considerata l’incarnazione della ballerina romantica russa. Ironia della sorte, la sua vita avrebbe un tragico esito quando soffre di un esaurimento nervoso, proprio come il personaggio Giselle, opera di danza che sarebbe la più rappresentativa della sua vita.
Nato a Rostov del Don, figlia di un cantante d’opera, dopo la morte del padre lei fu mandata in un orfanotrofio a San Pietroburgo. Nel 1906 entrò nell’accademia imperiale di ballo dove studio con Klavdia Kulichévskaya, Yevguenia Sokolova e Agrippina Vaganova. Si è laureata nel 1913 ed è entrata al Teatro Mariinski dove è stata promossa a solista poco dopo. Era una delle più famose Giselle e Odette/Odile de Il lago dei cigni dei suoi tempi.
Nel 1916, Serghej Diaguilev la invitò al tour dei Russes Ballets in America sostituendo Tamara Karsavina, dove ballò con Nizhinski, tornando al Mariinski nel 1918. Continuò ad alternarsi le sue esibizioni a Leningrado con tour, tra cui quella fatta dai Russes Ballets a Londra e Buenos Aires nel 1923.
Grazie all’intervento del suo ex marito Boris Kaplún, un funzionario del regime bolscevico, riuscì a lasciare la Russia nel 1924 per stabilirsi a Parigi dove fu etoile dell’Opera parigina (dove Salomé e Le creature di Prometeo de Serge Lifar) fino al 1932. Quell’anno creò una leggendaria Giselle a Londra con il giovane Anton Dolin, fu la prima a ballare in Occidente la variazione del primo atto aggiunto successivamente.
Tra il 1932-37, ha girato il mondo con opere di Michel Fokine e Bronislava Nijinska.
Soffriva di depressione cronica e la sua ultima apparizione fu al Teatro Colón di Buenos Aires nel 1939, anno in cui si trasferì negli Stati Uniti per dedicarsi all’insegnamento.
Nel 1943 ha avuto un grave crollo nervoso ed è stata internata per 20 anni fino a quando nel 1963 i suoi amici Anton Dolin, Felia Doubrovska e Dale Fern la trasferirono a Valley Cottage presso la Fondazione Tolstoj, una comunità russa nello stato di New York fondata dalla figlia minore del Scrittore Lev Tolstoj, Aleksandra Tolstaya.
Ha vissuto pacificamente fino alla morte di 96 anni.
Nel 1964 la BBC ha realizzato un documentario sulla sua vita e nel 1966 Anton Dolin ha scritto la sua biografia ‘The Sleeping Ballerina’.
Nel 1982 appare intervistata da Anton Dolin nel documentario “Un portratto di Giselle” insieme ad altre sette interpreti supreme del ruolo.
Antonio Gramsci, Lettera alla mamma del 15 dicembre 1930.
Antonio Gramsci:”Carissima mamma,ecco il quinto natale che passo in privazione di libertà e il quarto che passo in carcere. Veramente la condizione di coatto in cui passai il natale del 26 ad Ustica era ancora una specie di paradiso della libertà personale in confronto alla condizione di carcerato. Ma non credere che la mia serenità sia venuta meno. Sono invecchiato di quattro anni, ho molti capelli bianchi, ho perduto i denti, non rido più di gusto come una volta, ma credo di essere diventato più saggio e di avere arricchito la mia esperienza degli uomini e delle cose. Del resto non ho perduto il gusto della vita; tutto mi interessa ancora e sono sicuro che se anche non posso piú «zaccurrare sa fae arrostia» [«sgranocchiare le fave arrostite» in lingua sarda], tuttavia non proverei dispiacere a vedere e sentire gli altri a zaccurrare.
Dunque non sono diventato vecchio, ti pare? Si diventa vecchi quando si incomincia a temere la morte e quando si prova dispiacere a vedere gli altri fare ciò che noi non possiamo più fare. In questo senso sono sicuro che neanche tu sei diventata vecchia nonostante la tua età. Sono sicuro che sei decisa a vivere a lungo, per poterci rivedere tutti insieme e per poter conoscere tutti i tuoi nipotini: finché si vuol vivere, finché si sente il gusto della vita e si vuole raggiungere ancora qualche scopo, si resiste a tutti gli acciacchi e a tutte le malattie. Devi persuaderti però che occorre anche risparmiare un po’ le proprie forze e non intestarsi a fare dei grandi sforzi come quando si era di primo pelo. Ora mi pare appunto che Teresina, nella sua lettera, mi abbia accennato, con un po’ di malizia, che tu pretendi di fare troppo e che non vuoi rinunziare alla tua supremazia nei lavori di casa. Devi invece rinunziare e riposarti. Carissima mamma, ti auguro tante cose per le feste, di essere allegra e tranquilla. Tanti auguri e saluti a tutti di casa.
Ti abbraccio teneramente.
Antonio Gramsci, 15 dicembre 1930.
Antonio Gramsci
Antonio Gramsciè tra i fondatori del Partito comunista italiano. Fatto arrestare da Mussolini muore nel 1937, dopo 11 anni di prigione.
Antonio Gramsci è nato ad Ales (Cagliari) nel 1891 da famiglia piccolo-borghese. Di salute cagionevole fin dall’infanzia, vince una borsa di studio per l’Università di Torino, laureandosi in lettere e filosofia. Nel 1913 aderisce al Partito socialista del quale diventa, nel ’17, segretario della sezione torinese. Affascinato dal pensiero e dall’opera di Lenin, in Russia, nel 1919 promuove la formazione della corrente comunista nel Partito socialista, dalla quale, nel 1921, nasce il Partito comunista d’Italia. Direttore del quotidiano L’Ordine nuovo, nel ’22 è componente dell’Esecutivo dell’Internazionale comunista. Si sposa a Mosca; avrà due figli per i quali, dal carcere italiano, scriverà una serie di commoventi favole pubblicate con il titolo L’albero del riccio. Rientrato in Italia, è eletto deputato per il collegio Veneto e segretario generale del Partito comunista. Nel 1926 viene arrestato dalla polizia fascista nonostante l’immunità parlamentare, il re e Mussolini sciolgono la Camera dei deputati, mettendo fuori legge i comunisti. Gramsci e tutti i deputati comunisti sono processati e confinati: Gramsci nell’isola di Ustica e successivamente nel carcere di Civitavecchia e Turi. Non essendo adeguatamente curato è abbandonato al lento spegnimento fra sofferenze. Muore nel 1937, dopo 11 anni di prigione, senza aver mai rivisto i figlioletti. Negli anni della reclusione scrive 33 quaderni di studi filosofici e politici, definiti una delle opere più alte e acute del secolo; pubblicati da Einaudi, nel dopoguerra, sono noti universalmente come i Quaderni dal carcere, tradotti in tutte le lingue più importanti.
Roberto Sansuini – Silvano Sansuini-“ESTETICA DELLA MUSICA”.
Editore:Zecchini
Perché questo libro di Roberto Sansuini?Molto spesso i musicisti che escono dai nostri Conservatori sono ritenuti carenti di quella formazione di base, di tipo multidisciplinare, che dovrebbe caratterizzare chi è in possesso di una maturità liceale o addirittura di una laurea. Si ritiene che, frequentemente, i Conservatori italiani, per la loro struttura, non siano ancora in grado di assicurare, accanto alla formazione musicale, anche quando sia di altissimo livello, una preparazione generale di base che faccia del musicista anche un uomo di cultura. Del resto, i Licei musicali, fin dal tempo delle loro molteplici sperimentazioni, hanno sempre mirato a sanare tale carenza. Questo testo vuole essere un parziale, ma significativo contributo all’ampliamento degli orizzonti di pensiero dei giovani musicisti, affinché questi possano cominciare a concepire il mondo musicale come parte di un universo culturale più vasto, nelle molteplici correlazioni di tipo interdisciplinare e storico. Per fare questo, dobbiamo cercare di chiarire cos’è stata la musica nelle antiche stagioni degli uomini, nelle culture del passato, quale posto ha occupato nelle varie epoche, in riferimento alla vita di tutti i giorni, alla cultura, alla religione, alle arti. Ci si rende conto facilmente che la grande parte delle problematiche e degli interrogativi che ancora oggi ci poniamo hanno le loro radici nel pensiero degli antichi e negli sviluppi che esso ha conosciuto nel lungo cammino della storia. Tutto ciò anche per la constatazione che è mancato fino ad oggi un concreto raccordo, soprattutto nel campo dell’Estetica della musica, fra la ricerca musicologica, necessariamente a carattere specialistico e la possibilità di accedere, da parte dei giovani musicisti, a quelle conoscenze e riflessioni fondamentali sulla musica che possano consentire a chiunque una più informata consapevolezza dei fatti musicali. Questo volume, affiancando il lavoro dei docenti, spesso anche di alto livello, vuole rappresentare una prima introduzione ad un settore di studio che può giungere a riflessioni avvincenti, ma che possono diventare spesso di grande complessità. Per tali motivi il testo è redatto con una attenzione didattica a misura di chi voglia cominciare ad esplorare i diversi significati della musica, in un approccio di grande semplicità, nei vari rapporti con la storia, la filosofia, le scienze, ecc.., fino alle soglie della ricerca estetico-filosofica dei nostri giorni. Il lettore, anche privo di una specifica competenza di tipo musicale, storica o filosofica, viene guidato con un continuo supporto di riferimenti, annotazioni, chiarimenti che gli consentono una lettura sempre agevole e chiarificatrice.
Trama
Questo testo vuole essere un parziale, ma significativo contributo all’ampliamento degli orizzonti di pensiero dei giovani musicisti, affinché questi possano cominciare a concepire il mondo musicale come parte di un universo culturale più vasto, nelle molteplici correlazioni di tipo interdisciplinare e storico. Per fare questo, dobbiamo cercare di chiarire cos’è stata la musica nelle antiche stagioni degli uomini, nelle culture del passato, quale posto ha occupato nelle varie epoche, in riferimento alla vita di tutti i giorni, alla cultura, alla religione, alle arti. Ci si rende conto facilmente che la grande parte delle problematiche e degli interrogativi che ancora oggi ci poniamo hanno le loro radici nel pensiero degli antichi e negli sviluppi che esso ha conosciuto nel lungo cammino della storia. Tutto ciò anche per la constatazione che è mancato fino ad oggi un concreto raccordo, soprattutto nel campo dell’Estetica della musica, fra la ricerca musicologica, necessariamente a carattere specialistico e la possibilità di accedere, da parte dei giovani musicisti, a quelle conoscenze e riflessioni fondamentali sulla musica che possano consentire a chiunque una più informata consapevolezza dei fatti musicali. Questo volume, affiancando il lavoro dei docenti, spesso anche di alto livello, vuole rappresentare una prima introduzione ad un settore di studio che può giungere a riflessioni avvincenti, ma che possono diventare spesso di grande complessità.
Roberto Sansuini – Silvano Sansuini
ESTETICA DELLA MUSICA.
Pagine VIII+296 – formato cm. 17×24 – Euro 25,00
I luoghi sono memoria, radici, punti di vista – di Luigi Oliveto-
Editore Feltrinelli
Federica Manzon-“Alma”-Premio Campiello
Reduce dal successo del Premio Campiello, ecco il romanzo “Alma” di Federica Manzon. Pagine intense, dove geografie reali e interiori (fino a che punto le seconde possono prescindere dalle prime?), vicende personali e Storia, vanno a costruire un racconto che, per quanto riferito a un recente passato, fa pensare molto al presente. A come, nel nostro oggi, ci si voglia aprire o chiudere al futuro, ragionando – non senza apprensione – di radici e strappi, confini e spaesamenti, patrie e apolidia. Del resto tutto questo ha a che fare con il ‘chi sono’, in quale luogo (fisico e mentale) posso dire di trovarmi a casa, poiché i luoghi sono anche ‘punti di vista’. Il romanzo di Federica Manzon pare avere le sue ragioni proprio in questa intelligente inquietudine, mossa da memorie, sentimenti, visioni del mondo. La protagonista, Alma, torna tre giorni a Trieste per gli adempimenti relativi a una inaspettata eredità lasciatale dal padre. Uomo di grande fascino, pressoché assente dalla famiglia in un continuo andirivieni oltre confine, su un’isola della ex Jugoslavia del maresciallo Tito, senza che si sapesse quale lavoro vi andasse a fare: “andava e veniva da casa senza che si potesse mai essere sicuri del suo ritorno. Era uno di cui non fidarsi. Fuggiva sempre verso est e a lei e sua madre non restava che attenderlo, un’attesa eterna.” Sono anni che Alma ha lasciato Trieste per rifarsi una vita altrove. Ora ritrova la città e, con essa, una parte di sé: l’infanzia, il viale di platani che portava alla bella casa dei nonni, gli eleganti caffè dove si respirava mondanità e mitteleuropa. Ritrova la casa sul Carso nella quale, da un giorno all’altro, si erano trasferiti e dove, da Belgrado, era arrivato Vili, figlio di due intellettuali amici di suo padre. Destino vuole che sia proprio Vili a consegnarle l’eredità, lui che era stato “un fratello, un amico, un antagonista” e che oggi sarebbe stata l’ultima persona che desiderava rivedere. Sono dunque per Alma tre giorni emotivamente impegnativi, di sovrapposti pensieri su quanto è accaduto nella sua vita e nelle esistenze altrui; in un prima e in un dopo, qui e oltre. Non è un caso che tutto ciò sia avvenuto – e adesso si riproponga – in una terra di confine, nella seducente Trieste, che, per dirla con Saba, è città di “scontrosa grazia”, di “aria strana, tormentosa”. Un posto che bene accondiscende desideri di altrove e sconfinamenti. Terra di furioso vento che vorrebbe portar via cose e anime. Passa, sconquassa, non si ferma. Poi torna, nuovamente arriva, e fugge.
Federica Manzon-
Federica Manzon-“Alma”-Premio Campiello
Federica Manzon-
Ad aprile sono poche le barche che fanno la spola dalla terraferma all’isola. Lei cammina nel paese chiuso: una donna con gambe da cicogna e rughe ai lati degli occhi azzurrini come chi è cresciuto in una città ventosa, se ne va in giro sola tra case di vacanza disabitate, qualche facciata sfoggia una bandiera della Dinamo Zagabria appesa ai fili del bucato, qualche altra un muro decorato da fori di proiettile. Alma alza gli occhi verso il campanile e vede un gabbiano che si sgranchisce le ali. Stamattina ha telefonato all’albergo sull’isola, ha chiesto se era possibile prenotare una camera. È possibile, le hanno risposto con riluttanza. Sono cambiati i tempi ma l’isola conserva la sua scortesia. Il cielo intanto è schiarito, c’è un sole baltico. Le sembra di aver passato la vita sotto cieli come questo, a inseguire qualcosa che non aveva chiaro. Un inverno nella sua città a est, doveva essere la fine di febbraio, camminava nel bosco del barone Revoltella e gli alberi sobbalzavano per la bora, lei stringeva la mano di un uomo che si era intrufolata nella tasca del suo cappotto e tremava. Accadevano cose del genere, conosceva persone con cui passava del tempo, scrutavano il cielo insieme, facevano un pezzo di strada, poi lei se ne andava. Le campane battono l’ora, il capitano della barca è entrato in cabina a controllare che tutto sia pronto. Alma si affretta a raggiungere la passerella, nessuno le controlla il biglietto: è l’unica passeggera, e ha l’aria da straniera del nord. Ovunque abbia vissuto l’hanno sempre scambiata per una che viene da un altrove, c’è qualcosa di provvisorio nei suoi gesti, come se fosse sempre sul punto di partire, o perché dà l’impressione di aspettare un attimo di troppo prima di rispondere alle domande e la gente pensa che lei non capisca la lingua, nessuna lingua, anche se lei ne capisce e ne parla diverse.
Federica Manzon-
Sul ponte appoggia i gomiti al parapetto e si sporge a vedere l’acqua che si increspa appena i motori iniziano a rullare. Una volta, in braccio a suo padre, le era caduto il cappello in acqua. Un cappellino di paglia con il nastro blu comprato a Venezia. Per consolarla lui l’aveva portata sotto coperta, dove molti nel vederlo si erano alzati a stringergli la mano, aveva detto qualcosa al capitano e quello aveva fatto spuntare dall’armadietto sotto i comandi un rettangolo di tessuto blu con una stella rossa cucita su un lato e gliel’aveva sistemato sulla testa. Lei aveva detto grazie, e il capitano e suo padre si erano scambiati uno sguardo significativo. Il cappello dei giovani pionieri di Jugoslavia non è sopravvissuto all’infanzia e non esistono foto di quel giorno: pochi di noi sono stati immortalati nelle occasioni di festa, se non si aveva la fortuna di entrare nelle parate nazionali e di finire sul “Vjesnik” o sul “Novi list”. Alma ricorda che portava sandali blu e una maglietta alla marinara. Per anni ha creduto che quel ricordo fosse una suggestione della fantasia, cresciuto nel deserto della memoria familiare con l’ostinazione di un’acacia nel Sahara, poi aveva smesso di pensarci.
Federica Manzon-
A quel tempo suo padre la portava due o tre volte l’anno sull’isola. C’era un’aria da festa del cinema e coppe di champagne, l’aria sbarazzina dei Paesi non allineati. Uomini in giacca e cravatta o con il cappello bianco passeggiavano lungo i viali o sfilavano su piccole macchine decappottabili; branchi di cerbiatti brucavano l’erba del campo da golf. Alma si tuffava dagli scogli piatti e nuotava in apnea tra i pomodori di mare grossi come un pugno e i cefali, e i saraghi. Aveva il divieto di rivolgere la parola a chicchessia, e d’altra parte si chiedeva come avrebbe potuto farlo dal momento che parlavano lingue indistinguibili diverse dalla sua, solo ogni tanto riconosceva qua e là dei suoni che assomigliavano a quelli che sentiva sugli autobus di casa sua, o alla spiaggia dopo la Pineta dove scendevano al bagno gli sloveni di Contovello. A volte sull’isola c’erano anche altri bambini, il cappellino blu con la stella rossa come il suo, camicie bianche e un fazzoletto rosso attorno al collo. Suo padre le aveva spiegato che erano i giovani pionieri, e lei gli aveva detto che voleva essere una pioniera. E perché mai? Per avere la divisa come loro! In realtà detestava le volte in cui sull’isola c’erano i pionieri. Erano una banda, una tribù. Parlavano una lingua esoterica, possedevano un codice di gesti che lei ignorava: battevano palmo contro palmo, pugno contro pugno, urlavano, si tuffavano dalle scogliere a sud, le più pericolose, fischiavano con due dita in bocca. A volte la trascinavano nelle loro spedizioni alle ville e dai buchi nelle recinzioni spiavano i camerieri in divisa preparare il fuoco per la griglia mentre sui grandi tavoli di pietra i vasi aspettavano di essere riempiti dai fiori e i militari piantonavano i cancelli. Nessuno dei soldati li minacciava mai, né li scacciava quando diventavano molesti, perché il Maresciallo adorava i bambini, si faceva fotografare con loro ogni volta che appariva alle cerimonie pubbliche, li baciava e accettava i loro doni, finanziava i giochi atletici a cui presenziava con la moglie e i funzionari che negli anni sopravvivevano alle epurazioni. Ad Alma capitava di imbattersi in suo padre che passeggiava lungo i viali dell’isola in compagnia di donne con collane di perle e uomini che fumavano, le strizzava l’occhio a dire che non era il momento per ricordare a tutti che era un padre. Passandogli accanto lo sentiva parlare ogni volta lingue diverse, le parole uscivano agili dalla sua bocca, accavallate le une sulle altre così che diventava difficile per chiunque attribuirgli un accento, capire da dove veniva o, meglio ancora, da che parte stava. (Dov’era nato? Chi erano i suoi genitori? E il nome che portava?) Non sapevano, quelle donne e quegli uomini eleganti, che suo padre era uno zingaro capace di imbastire storie che stordivano e di cantare ninne nanne che mettevano paura – andava e veniva da casa senza che si potesse mai essere sicuri del suo ritorno. Era uno di cui non fidarsi. Fuggiva sempre verso est e a lei e sua madre non restava che attenderlo, un’attesa eterna.
Luigi Oliveto
Federica Manzon-“Alma”-Premio Campiello
Federica Manzon-
L’infanzia di Alma, che durò più o meno fino al trasferimento nella casa sul Carso, era stata un alternarsi di attese e pomeriggi carichi di tensione in cui sua madre rientrava con vaschette di alluminio colme di ćevapčići arrostiti e ajvar, kipferl e biete cucinate con le patate, la cena per il ritorno di suo padre che finivano per sbocconcellare da sole. E se da adulta Alma ha sviluppato una certa irritazione per il rumore di tacchi femminili che avanzano sul parquet, è perché in quei giorni di vana speranza sua madre indossava il vestito di raso verde che le lasciava le ginocchia e le spalle scoperte e i tacchi che risuonavano tormentosamente dalla cucina alla finestra del salotto, per ore, fino a quando non si arrendevano al buio e venivano lanciati nello sgabuzzino lasciando nell’aria uno strascico di trepidazione e dolore.
Articolo di Luigi Oliveto-Giornalista, scrittore, saggista-[da Alma di Federica Manzon, Feltrinelli, 2024]-Fonte-toscanalibri.it
Luigi Oliveto
Luigi Oliveto-Giornalista, scrittore, saggista.Inizia giovanissimo l’attività pubblicistica su giornali e riviste scrivendo di letteratura, musica, tradizioni popolari. Filoni di interesse su cui, nel corso degli anni, pubblica numerosi libri tra cui: La grazia del dubbio (1990), La festa difficile (2001), Siena d’autore. Guida letteraria della città e delle sue terre (2004), Giosuè Carducci. Una vita da poeta (2011), Giovanni Pascoli. Il poeta delle cose (2012), Il giornale della domenica. Scritti brevi su libri, vita, passioni e altre inezie (2013), Il racconto del vivere. Luoghi, cose e persone nella Toscana di Carlo Cassola (2017). Cura la ristampa del libro di Luigi Sbaragli Claudio Tolomei. Umanista senese del Cinquecento (2016) ed è co-curatore dei volumi dedicati a Mario Luzi: Mi guarda Siena (2002) Toscana Mater (2004), Mario Luzi. Un segno indelebile (2016). Esce nel 2020 la raccolta di racconti Le rose di Kathryn. Nell’album Indy e Lib (cinque ristampe) adatta, per i bambini della scuola primaria, il testo della «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», edizione patrocinata dalla Federazione Italiana dei Club Unesco. E’ autore di trasmissioni culturali per la televisione e di docufilm pubblicati in Dvd. È direttore del portale Toscanalibri.it.
Considerato uno dei più grandi compositori nella storia della musica,[3] le sue opere sono notevoli per profondità intellettuale, padronanza dei mezzi tecnici ed espressivi e per bellezza artistica. La sua fama è dovuta all’ampio e magistrale utilizzo del contrappunto, all’organizzazione armonica e tematica delle sue opere e all’inclusione di temi e motivi sacri (specialmente dalla musica sacra del culto luterano) e profani, oltre che alla capacità di padroneggiare i diversi stili nazionali (principalmente lo stile tedesco, quello italiano e quello francese, che approfondì). È considerato uno dei massimi maestri di forme musicali come il canone, la cantata e la fuga.
JOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred Einstein
Operò una sintesi mirabile fra lo stile tedesco (di cui erano stati esponenti, fra gli altri, Pachelbel e Buxtehude) e le opere dei compositori italiani (particolarmente Vivaldi, del quale trascrisse numerosi brani, assimilandone soprattutto lo stile concertante).
La sua opera costituì la summa e lo sviluppo delle varie tendenze stilistico-compositive della sua epoca. Il grado di complessità strutturale, la difficoltà tecnica e l’esclusione del genere melodrammatico, tuttavia, resero la sua opera appannaggio solo dei musicisti più dotati e all’epoca ne limitarono la diffusione fra il grande pubblico, in paragone alla popolarità raggiunta da altri musicisti contemporanei come Händel o Telemann.
Dopo la sua morte, per motivi imputabili sia alle oggettive difficoltà tecnico-esecutive sia al cambio nel gusto imperante, la sua opera fu sostanzialmente dimenticata per quasi un secolo, sebbene celebri compositori quali Mozart e Beethoven ebbero modo di conoscerne e apprezzarne lo stile. Nel 1829 l’esecuzione della Passione secondo Matteo, diretta a Berlino da Felix Mendelssohn, riportò alla conoscenza di un vasto pubblico l’elevata qualità dell’opera compositiva di Bach, che è da allora considerata il compendio della musica contrappuntistica del periodo barocco.
JOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred EinsteinJOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA Articolo di Alfred Einstein
Biblioteca DEA SABINA- JOHANN SEBASTIAN BACH e L’ITALIA -Rivista PAN n°4 Aprile 1935
Alfred Einstein (Monaco di Baviera, 30 dicembre 1880 – El Cerrito, 13 febbraio 1952) Alfred Einstein (Monaco di Baviera, 30 dicembre 1880 – El Cerrito, 13 febbraio 1952)
Biografia
Alfred Einstein, cugino del celeberrimo fisico Albert, iniziò la sua carriera come critico musicale del Berliner Tageblatt nel 1927. Si trasferì prima a Londra, nel 1933, poi in Italia dal 1935 al 1938, e in ultimo negli Stati Uniti a partire dal 1939. Negli USA insegnò presso lo Smith College di Northampton nel Massachusetts, alla Columbia University di New York, ad Ann Arbor, a Princeton e infine alla Julius Harrt School of Music di Hartford in Connecticut. Si ritirò dall’insegnamento nel 1950 per motivi di salute, dopo aver preso la cittadinanza statunitense nel 1945. Fu molto conosciuto all’epoca anche per l’approccio, dai toni spesso forti, tenuto nella sua attività di critico musicale.
Biography
Einstein was born in Munich. Though he originally studied law, he quickly realized his principal love was music, and he acquired a doctorate at Munich University, focusing on instrumental music of the late Renaissance and early Baroque eras, in particular music for the viola da gamba. In 1918 he became the first editor of the Zeitschrift für Musikwissenschaft; slightly later he became music critic for the Münchner Post; and in 1927 became music critic for the Berliner Tageblatt. In this period he was also a friend of the composer Heinrich Kaspar Schmid in Munich and Augsburg. In 1933, after Hitler’s rise to power, he left Nazi Germany, moving first to London, then to Italy, and finally to the United States in 1939, where he held a succession of teaching posts at universities including Smith College, Columbia University, Princeton University, the University of Michigan, and the Hartt School of Music in Hartford, Connecticut.
Einstein not only researched and wrote detailed works on specific topics, but wrote popular histories of music, including the Short History of Music (1917), and Greatness in Music (1941). In particular, due to his depth of familiarity with Mozart, he published an important and extensive revision of the Köchel catalogue of Mozart’s music (1936). It is this work for which Einstein is most well known.[1] Einstein also published a comprehensive, three-volume set The Italian Madrigal (1949) on the secular Italian form, the first detailed study of the subject. His 1945 volume Mozart: His Character, His Work was an influential study of Mozart and is perhaps his best known book.
Saggi e contributi
Revisione del Catalogo Köchel delle opere di Mozart, 1937
Repertorio bibliografico di E. Vogel, 1945-1948
Studio sulla musica vocale profana stampata in Italia dal ‘500 al ‘700, 1945-1948
Opere
Musica tedesca per viola da gamba (Zur deutschen Literatur für Viola da Gamba im 16. und 17. Jahrhundert, Diss. München), 1903.
Geschichte der Musik, Berlin, Teubner, 1917.
Heinrich Schütz, Kassel, Bärenreiter, 1928.
Gluck. La vita – Le opere (Gluck, 1936), Milano, Fratelli Bocca Editori, 1946. – I Dioscuri, 1990.
Breve storia della Musica (A Short History of Music, 1937; rev. 1938; 1947), traduzione di E. Pasquali, Firenze, La Nuova Italia, 1960. – Milano, BUR, 1979; Milano, SE, 2008; Milano, Mondadori, 2011.
Canzoni Sonetti Strambotti et Frottole. Libro Tertio (Andrea Antico, 1513), 1941.
Greatness in Music, Oxford University Press, 1941.
Golden Age of the Madrigal: Twelve Five-Part Mixed Choruses. G. Schirmer, Ney York, 1942.
W.A. Mozart. Il carattere e l’opera (Mozart: His Character, His Work, 1945), traduzione di L. Lotteri, Milano, Ricordi, 1951.
La Musica nel periodo romantico (Music in the Romantic Era: A History of Musical Thought in the 19th Century, 1947, rev. 1949), traduzione di Adele Bartalini, Firenze, Sansoni, 1952.
The Italian Madrigal (3 voll.), Princeton University Press, 1949.
Schubert (Schubert. A Musical Portrait, 1951), Edizioni Accademia, 1970.
Relationship to Albert Einstein
While one source (1980) lists Alfred as a cousin of the scientist Albert Einstein,[2] another claims (1993) that no relationship has been verified.[3] Some websites claim they were both descended from a Moyses Einstein seven generations back, hence they were sixth cousins.[4] In 1991, Alfred’s daughter Eva stated that they were not related.[5] On the other hand, she wrote in 2003 that they were fifth cousins on one side, and fifth cousins once removed on the other, according to research by George Arnstein. They were photographed together in 1947 when Albert Einstein received an honorary doctorate from Princeton, but they did not know that they were distantly related.[6]
Works
Gluck (Master Musicians Series-Series Editor Eric Blom), translated by Eric Blom, J. M. Dent & Sons LTD, 1936
A Short History of Music, translation of Geschichte der Musik, 1937, rev. 1938, 1947
Canzoni Sonetti Strambotti et Frottole. Libro Tertio ( Andrea Antico, 1517). Smith College: Northampton, MA, 1941
Golden Age of the Madrigal: Twelve Five-Part Mixed Choruses. G. Schirmer: New York, 1942
Greatness in Music, translation of Grösse in der Musik by César Saerchinger, Oxford University Press, 1941
Mozart: His Character, His Work, translated by Arthur Mendel and Nathan Broder, Oxford University Press, 1945
Music in the Romantic Era: A History of Musical Thought in the 19th Century, 1947, rev. 1949
The Italian Madrigal, translated by Alexander H. Krappe, Roger H. Sessions, and Oliver Strunk, Princeton University Press, 1949 (3 volumes)
Schubert, translated by David Ascoli, Cassell & Co., 1951
L’Alba dell’Italia democratica-Articolo di Valdo Spini-
L’Alba dell’Italia democratica-Articolo di Valdo Spini-Questo del 25 aprile 2023 non è un anniversario qualsiasi. Si svolge dopo che le elezioni dello scorso settembre hanno dato vita a un governo di destra-centro presieduto da Giorgia Meloni, leader di un partito, Fratelli d’Italia che ha nel suo simbolo la Fiamma tricolore che aveva caratterizzato il Movimento sociale italiano, la formazione politica di estrema destra fondata a suo tempo da reduci e nostalgici del fascismo della Repubblica di Salò. Il modo in cui verrà celebrato il 25 aprile rappresenta quindi un test importante del comportamento degli esponenti di questo partito, che oggi rivestono importantissime cariche istituzionali come la Presidenza del Consiglio e la Presidenza del Senato. Ma è importante allora il modo in cui ci prepariamo a questa ricorrenza noi che ci riconosciamo nella Resistenza e nella lotta di Liberazione e che ci richiamiamo alle tradizioni di quei partiti che l’hanno guidata politicamente.Credo che la cosa importante che dobbiamo sottolineare è il carattere nazionale assunto dalla lotta di Liberazione, un richiamo a cui nessuno si può sottrarre. Da dove parte infatti la Resistenza e dove arriva.
Il 3 settembre 1943 a Cassibile, in Sicilia, viene firmato l’armistizio dal generale Castellano inviato del capo del governo Badoglio e il generale Bedell Smith, inviato dal generale Eisenhower. Solo che questo armistizio non viene annunciato, e tanto meno le nostre truppe vengono a questo avvenimento preparate e informate. Fino a che, l’8 settembre, lo stesso comandante in capo delle truppe alleate, dal suo comando in Algeri, lo rende noto. Seguono a Roma ore concitate, fino a che Badoglio non va alla radio, annuncia l’armistizio con le Forze armate alleate e pronuncia quella frase del tutto incomprensibile: «le Forze armate italiane reagiranno ad eventuali altri attacchi di qualsiasi altra provenienza». Avviene così che circa seicentomila militari italiani vengono catturati senza colpo ferire e inviati nei campi di concentramento, mentre le truppe tedesche occupano il territorio italiano non già liberato dagli Alleati e vi installano il governo collaborazionista della Repubblica Sociale italiana con alla testa Benito Mussolini. È un momento così tragico che fece parlare allo storico Ernesto Galli Della Loggia di “morte della patria”. Rispose il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi che non di morte della patria si trattava ma di Rinascita della patria, della nascita dell’Italia democratica. Si riferiva al fatto che in realtà era nata l’Italia democratica e che questa era nata grazie a chi, in questo sfascio totale, aveva preso le armi contro i tedeschi occupanti e i fascisti della Repubblica Sociale italiana.
Cominciò così la lunga lotta di Liberazione che doveva durare per tutto l’aprile del 1945 fino al 5 maggio, la resa della Germania. Una lotta che fu condotta con molto valore anche nelle valli valdesi. La celebriamo il 25 aprile, che è la data dell’insurrezione generale proclamata dal Clnai, Comitato nazionale di liberazione dell’Alta Italia.
Questa lotta fu condotta dai partigiani e dai patrioti (così si chiamarono nella valorosa Massa Carrara), ma anche dagli internati militari, gli Imi che scelsero il campo di prigionia nazista piuttosto che venire a combattere per la Repubblica Sociale. Pensiamo infatti quanto sarebbe stata più lunga la guerra di liberazione se i tedeschi avessero potuto rovesciare qualche centinaio di migliaia di militari a combattere al loro fianco sul fronte italiano. Ma anche le Forze regolari italiane ricostituite al Sud svolsero un ruolo importante nella guerra di Liberazione, in particolare nello sfondamento del fronte ad Alfonsine. Ma un discorso particolare va riservato ai civili. Senza un appoggio dei civili non c’è Resistenza che tenga. Donne e uomini pagarono un prezzo pesantissimo nelle rappresaglie e nelle stragi con cui si cercò invano di fiaccare la Resistenza del popolo italiano.
Ma guardiamo questa vicenda a guerra conclusa. Qual è stata la condizione delle altre nazioni sconfitte. L’Austria, che pure aveva subito l’Anschluss, l’unificazione nel Reich tedesco, occupata e divisa fino al 1955. Il Giappone sotto il proconsolato del generale Mac Arthur fino alla guerra di Corea del 1953. La Germania, occupata e divisa fino al crollo del muro di Berlino nel 1989. Che cosa sarebbe stato dell’Italia se non avesse partecipato, con la Resistenza e la guerra di Liberazione, alla lotta contro il nazifascismo e questa lotta non fosse stata guidata dall’unità dei partiti antifascisti nel Comitati di Liberazione? E nonostante questo il Trattato di pace non fu lieve, ma sarebbe stato assai più duro se non ci fosse stata la Resistenza e la Guerra di Liberazione.
D’altro canto la nostra Costituzione è antifascista, perché non è una Costituzione concessa dai vincitori a una nazione vinta, ma è il frutto della lotta condotta dal popolo italiano contro i nazisti e i fascisti. Noi dobbiamo. rivendicare il carattere nazionale di questa lotta, al cui ricordi e alla cui celebrazione nessuno si può sottrarre. Questo valeva per ieri, ma vale per l’oggi e per il domani.
25 APRILE La Liberazione come festa popolare
Il XXV Aprile è festa di tutti e tutte nel nostro paese; dopo l’8 settembre la lunga lotta di Liberazione coinvolse i partigiani e i militari che dissero no a Salò.
La Costituzione è conseguenza di quell’impegno di popolo.
Valdo Spini
VALDO SPINI, già professore universitario associato alla facoltà di Scienze Politiche Cesare Alfieri di Firenze, è stato deputato al Parlamento per otto legislature (fino al 2008) e vicesegretario nazionale del Partito socialista (1981-1984).Ministro dell’Ambiente, sottosegretario all’Interno (1986-1992) e agli Esteri, presidente della Commissione Difesa della Camera, è stato cofondatore dei Democratici di sinistra di cui è stato eletto presidente della direzione nel 2000. Oggi presiede l’Associazione delle Istituzioni culturali italiane (AICI).
VALDO SPINI,Uomo politico italiano (n. Firenze 1946), figlio di Giorgio. Socialista, vice-segretario nazionale del PSI (1981-84), nel nov. 1994 ha promosso la scissione dal partito della componente che ha dato vita alla Federazione laburista, di cui è stato eletto presidente e che è poi confluita nei Democratici di Sinistra (DS). Deputato dal 1979, è stato ministro dell’Ambiente (1993-94) e presidente della commissione difesa della Camera dei Deputati (dal 1996 al 2001). Confermato alla carica di deputato nelle elezioni politiche del 2006 con la lista dell’Ulivo, l’anno successivo ha aderito al nuovo Partito socialista ma non è stato rieletto nelle politiche del 2008 a causa del risultato negativo ottenuto dalla nuova formazione. Tra le pubblicazioni: Naia? No grazie (1997); La rosa e l’ulivo (1998); Compagni siete riabilitati! Il grano e il loglio dell’esperienza socialista, 1976-2006 (con G. M. Gillio, 2006); Vent’anni dopo la Bolognina (2010); La buona politica. Da Machiavelli alla Terza Repubblica. Riflessioni di un socialista (2013); Sul colle più alto. L’elezione del presidente della Repubblica dalle origini a oggi (2022).
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