Descrizione del libro di Federico Fellini e Tullio Pinelli-Alcuni anni fa, da un baule dimenticato, uscì fuori come per magia il trattamento di Napoli-New York, scritto da Federico Fellini e Tullio Pinelli nel 1948 e divenuto da allora invisibile. Il miracolo si è ripetuto quando il premio Oscar Gabriele Salvatores ha deciso di trarne un film, aggiungendo alla vicenda dei piccoli Carmine e Celestina, imbarcati clandestinamente per New York per ritrovare la sorella di lei, una ulteriore colorazione fantastica. Il volume rende conto della strana e per certi versi unica storia di questo film, dal rocambolesco ritrovamento alla realizzazione su grande schermo. Il testo del trattamento originale di Fellini e Pinelli rivela già molti tratti tipici dell’immaginario felliniano che poi si svilupperà negli anni della maturità.
Gli Autori
Federico Fellini (1920-1993) ha realizzato alcuni tra i più noti e amati film mondiali (I vitelloni, 1953; La strada, 1954; Le notti di Cabiria, 1957; La dolce vita, 1960; 8 ½, 1963; Amarcord, 1973; Il Casanova di Federico Fellini, 1976; La voce della luna, 1990). È stato il regista italiano più premiato, avendo vinto tra l’altro cinque premi Oscar. È stato anche sceneggiatore per Rossellini, Lattuada, Germi e altri registi.
Tullio Pinelli (1908-2009) è stato drammaturgo (La pulce d’oro, I padri etruschi, Il giardino delle sfingi), autore di libretti d’opera, e soprattutto sceneggiatore. Ha scritto alcune centinaia di copioni e ha firmato molti tra i più bei film di Fellini (I vitelloni, La strada, La dolce vita, 8 ½), Germi (In nome della legge, Il cammino della speranza), Lattuada, Cavani, Monicelli (Amici miei, ll Marchese del grillo, Speriamo che sia femmina).
Gramsci Antonio Jr.– La storia di una famiglia rivoluzionaria.
Antonio Gramsci e gli Schucht tra la Russia e l’Italia.
Introduzione di Raul Mordenti-Non si può non concordare con Antonio Gramsci jr. quando afferma a proposito del suo libro: «Man mano che il lavoro procedeva, ho capito che la storia della famiglia Schucht era interessante di per sé», cioè non solo come fonte per aspetti poco illuminati della vicenda biografica del massimo pensatore politico del Novecento italiano, suo nonno Antonio Gramsci.Questo giudizio dell’Autore sarà condiviso da qualsiasi lettore di questo libro, che è davvero più romanzesco di qualsiasi romanzo nel narrarci una storia familiare, cioè un concerto di tante storie personali intrecciate vitalmente fra loro sullo sfondo del «mondo grande e terribile, e complicato», (per usare le parole che il nonno del nostro Autore scrisse più volte a sua moglie).
Dall’introduzione di Raul Mordenti
[…] Man mano che il lavoro procedeva, ho capito che la storia della famiglia Schucht era interessante di per sé. È la storia di quella parte dell’intelligencija russa di estrazione nobiliare che in nome della Rivoluzione rifiutò il proprio ceto di appartenenza e, prendendo le distanze dai «preconcetti» di classe, tentò di inserirsi nel nuovo sistema di valori. Ci sono stati casi simili nella storia russa, ma quasi tutti con esiti tragici. In questo senso, la storia della famiglia Schucht, sopravvissuta felicemente alle varie terribili fasi dell’epoca sovietica, costituisce un esempio unico. […]
Nonostante il libro tratti la storia della famiglia Schucht, al centro della narrazione, anche se a volte non manifestamente, c’è sempre la figura di mio nonno, Antonio Gramsci. Sono fermamente convinto che lo studio della sua opera e della sua vita, come del resto di altri grandi classici del marxismo, non è affatto anacronistico, anzi, penso che sia molto attuale e necessario proprio ora, quando sembra che i pilastri della civiltà occidentale stiano per crollare e quando dobbiamo ricevere risposte alle domande essenziali: chi siamo, in quale direzione ci muoviamo e per quali ideali viviamo.
(Dalla prefazione dell’autore)
Antonio Gramsci jr., è nato a Mosca nel 1965 da Giuliano, secondogenito di Antonio Gramsci, e Zinaida Brykova. Laureato in biologia, ha insegnato Morfologia, sistematica e ecologia delle piante presso l’Università pedagogica di Mosca. Ha ricevuto anche una formazione musicale: inizialmente dal padre – noto musicista e pedagogo, uno dei primi promotori della musica antica in Unione Sovietica – successivamente ai corsi di musica antica nell’istituto mu- sicale «Carta Melone» e percussioni etniche. Insegna alla scuola italiana a Mosca e partecipa a varie attività musicali suonando gli strumenti antichi a fiato e percussioni etniche in varie formazioni di Mosca: «Volkonsky consort», «La Campanella», «La Spiritata», «Al-Mental» e altri. Dirige la scuola di percussioni etniche, «UniverDrums» presso l’Università Statale di Mosca e presso il laboratorio di musica elettronico-acustica del Conservatorio di Mosca, effettua ricerche sugli aspetti matematici del ritmo.
In collaborazione con la Fondazione Istituto Gramsci ha effettuato ricerche sulla storia del Pci negli anni Venti e sulla famiglia del nonno. Nell’Archivio del Comintern e in quello della famiglia Schucht ha rinvenuto molti documenti importanti che hanno contribuito a colmare lacune sia nella storia del Pci, sia nella biografia di Antonio Gramsci.
Nel 2007-2008 ha collaborato a l’Unità. Ha scritto La Russia di mio nonno. L’album familiare degli Schucht, pubblicata dall’Unità nel 2008 e nel 2010 è uscito presso Il Riformista il libro I miei nonni nella rivoluzione. Gli Schucht e Gramsci.
Editori Riuniti -Roma
La storia di una famiglia rivoluzionaria. Antonio Gramsci e gli Schucht tra la Russia e l’Italia
Autore: Gramsci Antonio Jr.
ISBN13: 9788864731278
Anno pubblicazione: 2014
€18.90 €19.90
Antonio Gramsci nacque ad Ales il 22 gennaio 1891 da Francesco Gramsci (1860-1937), i cui avi erano di origine arbëreshë, e da Giuseppina Marcias (1861-1932), di lontana ascendenza ispanica. I due si conobbero a Ghilarza, si sposarono nel 1883 e dopo un anno nacque il primogenito Gennaro; poi la famiglia si trasferì ad Ales dove Giuseppina Marcias diede alla luce Grazietta (1887-1962), Emma (1889-1920) e Antonio. Nell’autunno del 1891 il padre divenne responsabile dell’Ufficio del Registro di Sòrgono e i Gramsci traslocarono nel paese che era centro amministrativo della Barbagia Mandrolisai;[3] qui nacquero altri tre figli: Mario (1893-1945), Teresina (1895-1976) e Carlo (1897-1968).[4] Infine la famiglia rientrò a Ghilarza nel 1898 e lì fissò la dimora definitiva.[5]
Il piccolo Antonio aveva solo diciotto mesi quando sulla sua schiena si manifestarono i segnali del morbo di Pott, una tubercolosi ossea che causa il cedimento della spina dorsale e la comparsa della gobba. Ma la famiglia scelse di rifugiarsi nella superstizione, rifiutando di affidarsi alla medicina che, con una diagnosi tempestiva e un intervento chirurgico, avrebbe evitato che gli effetti della malattia provocassero danni permanenti allo scheletro e a tutto l’organismo.[6] All’età di quattro anni, Antonio per tre giorni di seguito soffrì di emorragie associate a convulsioni; secondo i medici tali avvisaglie avrebbero portato a un esito fatale, tanto che vennero comperati una piccola cassa da morto e un abito per la sepoltura.[7]
ROMA- Apre al pubblico il sito archeologico scoperto sulla via Cassia
Roma, sulla Via Cassia nuovo sito archeologico-Un nuovo tassello si aggiunge al ricco patrimonio archeologico di Roma. La Soprintendenza, in collaborazione con Eos Arc, inaugura un percorso di visita all’interno di un complesso archeologico di straordinario interesse, scoperto lungo la via Cassia tra il 2020 e il 2022, nel territorio dell’antica città di Veio, cuore dell’Etruria meridionale.
L’iniziativa, rivolta a tutti gli appassionati di storia e archeologia, si inserisce in un più ampio progetto di valorizzazione del territorio e di promozione della cultura. Il sito è stato organizzato per permettere una fruizione continua, con un percorso pedonale che si snoda tra una tomba a camera etrusca, un’antica strada lastricata e una rete di gallerie idriche ipogee. “La Soprintendenza non si occupa solo del centro storico e dei grandi complessi,” spiega Daniela Porro Soprintendente speciale di Roma, “ma tutela anche le scoperte archeologiche in zone decentrate, mantenendo vivo il legame con la comunità.” Questa iniziativa valorizza così l’identità storica del territorio e restituisce alla cittadinanza una parte significativa della propria storia.
La collina della Via Cassia era abitata sin dal VII secolo a.C., come dimostrano i ritrovamenti di una ricca tomba etrusca con oltre 60 vasi cerimoniali, che riflettono il legame di questa zona con la potente città etrusca di Veio. L’area divenne poi parte del suburbio romano, e nei primi secoli dell’Impero fu costruita una strada basolata, che ancora oggi testimonia l’importanza strategica del sito. In epoca tardo repubblicana, la collina ospitava un grande complesso produttivo, i cui resti rivelano un’articolazione planimetrica dettagliata con torchi e canalette. Con il tempo, la struttura si ampliò fino a diventare una villa rustica in epoca imperiale, fulcro dell’economia agricola romana. Uno degli elementi più affascinanti del sito è il complesso sistema idrico, composto da gallerie ipogee e una cisterna per alimentare un impianto termale. Questo sistema, ancora leggibile grazie alle tracce dei canali, testimonia l’ingegneria romana dedicata al benessere e alla memoria degli abitanti. Il sito include anche nuclei di sepolture lungo la strada basolata, per lo più tombe a cappuccina e un piccolo edificio trasformato nel II secolo d.C. in sepolcro, con loculi che tagliano il pavimento originario. Durante la visita, i partecipanti potranno usufruire di un video che documenta lo scavo archeologico, i ritrovamenti e i lavori di valorizzazione. Pannelli informativi, collocati lungo il percorso, illustrano la storia del sito, dalla fase etrusca alla presenza romana, con uno sguardo alla fiorente attività produttiva dell’epoca imperiale.
IV edizione della rassegna-Cinque monologhi con tema centrale la violenza sulle donne
Roma-Al Teatro Di Documenti, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, dal 19 al 25 novembre, in scena la rassegna “Amori Rubati“, ideata da Federica Di Martino e organizzata da Effimera S.r.l, e giunta alla sua IV edizione.
Ogni sera un incontro e lo spettacolo “Marina” di Dacia Maraini.
Amori Rubati, nata nel 2021, ha dato vita a uno spettacolo composito e modulabile, costituito da cinque monologhi tratti dal romanzo L’amore rubato di Dacia Maraini e adattati dalla stessa autrice, con tema centrale la violenza sulle donne.
Per questa IV edizione in scena “Marina”, diretto e interpretato da Lorenza Sorino, tratto dal racconto Marina è caduta per le scale.
La pièce è preceduta ogni sera, alle ore 19, al Teatro Di Documenti, da un incontro con protagoniste impegnate nella lotta contro la violenza sulle donne.
Programma
Martedì 19 – Letture da “Amore Senza Lividi”. Conversazione con l’Avv. Manuela Palombi e con l’Associazione Forti Guerriere. Modera la giornalista Paola Marinozzi.
Mercoledì 20 – Estratti da “Il Nuovo Codice Rosso”. Conversazione con il PM Francesco Menditto. Modera l’Avv. Francesca Romana Baldacci.
Giovedì 21 – Letture da “Il futuro mi aspetta”. Conversazione con l’autrice Lucia Annibali, modera la giornalista Michela Tamburrino. Interverrà la criminologa Gabriella Salvatore dell’associazione Salvamamme.
Venerdì 22 – Letture da “Era una brava ragazza”. Conversazione con gli autori Emanuele Corne e Leandro Malgesini. Modera l’Avv. Paola Malfatti Letta.
Sabato 23 – Letture da “Magnifico e tremendo stava l’amore”. Conversazione con l’autrice Maria Grazia Calandrone. Modera la giornalista Donatella Cataldi.
Domenica 24 – Letture da “Rinasco per te”. Conversazione con l’autrice Valentina Belvisi e Roberta Beolchi, presidente dell’associazione Edela. Modera la giornalista Emilia Costantini.
Lunedì 25 – Conversazione con l’On. Laura Boldrini. Modera il giornalista Eugenio Murrali.
A seguire alle ore 20 “Marina”.
Ogni storia ha un punto di vista, che è quello da dove la si guarda. In “Marina”, adattato per la scena dalla stessa Dacia Maraini, lo sguardo da cui partiamo è quello di chi la violenza l’ha subita. Il modo in cui guardiamo gli avvenimenti è determinante, perché non solo ne delinea la nostra opinione al riguardo, ma anche l’identità di ciò che viene guardato. Perché è così che succede, ognuno di noi chiarisce a sé stesso la propria identità perché sono gli altri che ce la rimandano, è la comunità con cui entriamo in relazione che ci definisce.
Cosa accadrebbe se per effetto dei sentimenti, o più precisamente nella nostra storia, per effetto dell’amore, le nostre relazioni con gli altri finissero per diminuire sempre più riducendosi ad una sola unica persona? E se quella persona coincidesse con il nostro partner, ovvero colui o colei in cui poniamo la nostra massima fiducia e ascolto? Per Marina accade così, lei definisce sé stessa attraverso l’unico sguardo che finirà per osservarla, quello del suo amore, e che agirà su di lei come in una sorta di addestramento animale.
In concomitanza con lo spettacolo “Marina” al Teatro Di Documenti, vanno in scena al Teatro India le due pièce “Anna” e “Angela”, tratte anch’esse da “L’amore rubato” di Dacia Maraini.
Informazioni, orari e prezzi
Tessera teatro: 3 euro
Costo incontri: 2 euro
Spettacolo “Marina”: 10 euro
L’incasso delle serate sarà devoluto all’Associazione Forti Guerriere
Biografia di Patrizia Cavalli. – Poetessa italiana (n. Todi, Perugia, 1947). La sua lirica, limpida e diretta, rivela spesso intensa drammaticità. Ha scritto: Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974); Il cielo (1981); Poesie 1974-1992 (1992); Sempre aperto teatro (1999), con il quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci; La Guardiana (2005); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Flighty matters (2012); Datura (2013). C. si è dedicata anche a traduzioni per il teatro, e nel 2012 ha pubblicato, con la musicista D. Tejera, Al cuore fa bene far le scale, CD e libro con poesie e musiche originali nate dalla collaborazione tra le due artiste. Nel 2019 C. ha pubblicato la raccolta di prose Con passi giapponesi, finalista al Premio Campiello 2020; è dello stesso anno la raccolta di versi Vita meravigliosa.-Fonte Enciclopedia Treccani
Adesso che il tempo sembra tutto mio
Adesso che il tempo sembra tutto mio e nessuno mi chiama per il pranzo e per la cena, adesso che posso rimanere a guardare come si scioglie una nuvola e come si scolora, come cammina un gatto per il tetto nel lusso immenso di una esplorazione, adesso che ogni giorno mi aspetta la sconfinata lunghezza di una notte dove non c’è richiamo e non c’è piú ragione di spogliarsi in fretta per riposare dentro l’accecante dolcezza di un corpo che mi aspetta, adesso che il mattino non ha mai principio e silenzioso mi lascia ai miei progetti a tutte le cadenze della voce, adesso vorrei improvvisamente la prigione.
Quante tentazioni attraverso
nel percorso tra la camera
e la cucina, tra la cucina
e il cesso. Una macchia
sul muro, un pezzo di carta
caduto in terra, un bicchiere d’acqua,
un guardar dalla finestra,
ciao alla vicina,
una carezza alla gattina.
Così dimentico sempre
l’idea principale, mi perdo
per strada, mi scompongo
giorno per giorno ed è vano
tentare qualsiasi ritorno.
Addosso al viso mi cadono le notti
e anche i giorni mi cadono sul viso.
Io li vedo come si accavallano
formando geografie disordinate:
il loro peso non è sempre uguale,
a volte cadono dall’alto e fanno buche,
altre volte si appoggiano soltanto
lasciando un ricordo un po’ in penombra.
Geometra perito io li misuro
li conto e li divido
in anni e stagioni, in mesi e settimane.
Ma veramente aspetto
in segretezza di distrarmi
nella confusione perdere i calcoli,
uscire di prigione
ricevere la grazia di una nuova faccia.
E’ tutto così semplice,
sì, era così semplice,
è tale l’evidenza
che quasi non ci credo.
A questo serve il corpo:
mi tocchi o non mi tocchi,
mi abbracci o mi allontani.
Il resto è per i pazzi.
Note: da “Amore non mio e neanche tuo” – Patrizia Cavalli
Per questo sono nata, per scendere
Per questo sono nata, per scendere da una macchina dopo una corsa in una strada qualunque e trafficata e guidata dagli angeli piegarmi attraverso il finestrino sopra quei capelli e in silenzio sentire l’odore di quel viso dove poco prima avevo visto come la bocca e gli occhi si passavano un sorriso che non si apriva mai e correndo veloce scompariva in un attimo e tornava.
Questa sfusa felicità che assale
Questa sfusa felicità che assale
le facce al sole,
i gomiti e le giacche
– quante dolcezze
sparse nel mercato,
come son belli
gli uomini e le donne!
E vado dietro all’uno
e guardo l’altra,
sento il profumo
inseguo la sua traccia,
raggiungo il troppo
ma il troppo non mi abbraccia.
Sempre aperto teatro
Indietro, in piedi, da lontano,
di passaggio, tassametro in attesa
la guardavo, i capelli guardavo,
e che vedevo? Mio teatro ostinato,
rifiuto del sipario, sempre aperto teatro,
meglio andarsene a spettacolo iniziato.
O amori – veri o falsi
siate amori, muovetevi felici
nel vuoto che vi offro.
Tutto mi appare in bella superficie
e poi scompare. Perché ritorni
la figura io mi sfiguro, offro
i miei pezzi in prestito o in regalo,
bellezza sia visibile, formata,
guardarla da lontano, anche sfocata,
purché ci sia, purché ci sia, anche non mia.
Note: Patrizia Cavalli, Sempre aperto teatro
Poesie per colazione -153
Era alla luce terribilmente sabato,
quel sole infimo che annunzia svogliatezze
mentre nella piazza fin dentro le mie finestre
chiuse si muoveva il mercato prolungato.
L’ultima offerta e poi si chiude. Poi la festa
untuosa e il silenzio. Già si smontavano
i banchetti con la ferocia trasandata
della fine. Forse era possibile
una corsa per prendere qualcosa, forse
restava qualche cassetta ancora non riposta.
Ma non mi decidevo a quella corsa.
Quando scendevo ormai era tardi
tra i mucchi di foglie di carciofi
e i pomodori sfatti dove una vecchietta china
correva rapace alla riscossa di mezze mele
di peperoni buoni per tre quarti.
Ma io non cercavo frutta marcia o fresca,
io volevo soltanto la certezza
della settimana che finisce,
dell’occasione persa.
Note: Patrizia Cavalli, “L’io singolare proprio mio” in Poesie, Einaudi, 1992.
Pure scoprendo che quello che vedevo,
e lo vedevo in te amore amato
in verità non c’è, non c’è mai stato,
forse per questo è meno vero? No,
continua ad essere vero, e non perché
così mi era sembrato, non si tratta
di soggettività. Nessuno infatti
avrebbe in sé alcuna qualità
se non fosse per quel sentire che spinge
a concepire mischiandosi all’oggetto
un pensiero commosso per cui la nostra mente
intenerita fa che la morte venga differita,
almeno per un po’, giocando a questo
o a quello, prestando al giocatore
opaco il suo fervore, anche inventato.
Note: da “Pigre divinità e pigra sorte” – Patrizia Cavalli
Essere animale per la grazia
di essere animale nel tuo cuore.
Mi scorge amore, mi scorge quando dormo.
Per questo io dormo. Di solito io dormo.
Mi ero tagliata i capelli, scurite le sopracciglia,
aggiustata la piega destra della bocca, assottigliato
il corpo, alzata la statura. Avevo anche regalato
alle spalle un ammiccamento trionfante. Ecco ragazza
ragazzo
di nuovo, per le strade, il passo del lavoratore,
niente abbellimenti superflui. Ma non avevo dimenticato
il languore della sedia, la nuvola della vista.
E spargevo carezze, senza accorgermene. Il mio corpo
segreto intoccabile. Nelle reni
si condensava l’attesa senza soddisfazione; nei giardini
le passeggiate, la ripetizione dei consigli,
il cielo qualche volta azzurro
e qualche volta no.
Note: tratta da “Poesie”,Patrizia Cavalli, Einaudi, 1999)
Biografia di Patrizia Cavalli. – Poetessa italiana (n. Todi, Perugia, 1947). La sua lirica, limpida e diretta, rivela spesso intensa drammaticità. Ha scritto: Le mie poesie non cambieranno il mondo (1974); Il cielo (1981); Poesie 1974-1992 (1992); Sempre aperto teatro (1999), con il quale ha vinto il premio Viareggio-Repaci; La Guardiana (2005); Pigre divinità e pigra sorte (2006); Flighty matters (2012); Datura (2013). C. si è dedicata anche a traduzioni per il teatro, e nel 2012 ha pubblicato, con la musicista D. Tejera, Al cuore fa bene far le scale, CD e libro con poesie e musiche originali nate dalla collaborazione tra le due artiste. Nel 2019 C. ha pubblicato la raccolta di prose Con passi giapponesi, finalista al Premio Campiello 2020; è dello stesso anno la raccolta di versi Vita meravigliosa.-Fonte Enciclopedia Treccani
POESIA CURDA in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta a 20 anni per difendere la Siria dall’Isis.
Pubblichiamo questa Poesia per onorare una giovane guerrigliera curda ,di 20anni, morta in combattimento. Questa è la poesia che Asia Ramazan Antar ha inviato, come testamento e lettera di addio alla madre . La poesia si conclude con queste parole :” Se non torno, la mia anima sarà parola …per tutti i poeti.” Noi, Poeti della Sabina, vogliamo testimoniare la memoria della giovane guerrigliera e onorare il messaggio che ha inviato a tutti i Poeti del mondo. La Poesia e gli Eroi non hanno confini.Giovane Asia Ramazan Antar riposa serena nel paradiso degli Eroi e canta le tue poesie alle stelle e alla luna quando si accendono la sera .
POESIA CURDA in ricordo di Asia Ramazan Antar, eroina curda morta a 20 anni per difendere la Siria dall’Isis.
Poesie di Luciano Valentini- Cipressi sulle colline-
– Betti Editrice-
Poesie di Luciani Valentini-Cipressi sulle Colline-Dalla Prefazione di Daniela Pinassi :«Non è facile descrivere in poche righe le sensazioni che suscita questa cospicua raccolta di poesie di Luciano Valentini, perché, anche se si possono intravedere due o tre temi dominanti, in realtà le emozioni che le poesie muovono sono molteplici. I temi prevalenti sono la solitudine, l’inquietudine, che porta spesso il poeta a porsi molti interrogativi, la nostalgia del tempo che passa ed anche la morte, ma solo in qualche testo».
La Betti Editrice nasce nel 1992 con un taglio prevalentemente locale con una particolare attenzione alla storia, cultura e turismo a Siena. Negli anni ha allargato il suo raggio d’azione a generi diversi (narrativa, edizioni per bambini,..) con uno sguardo che spazia all’intero territorio Toscano e a tematiche di interesse nazionale. Una produzione differenziata per argomenti e generi è elemento distintivo della Betti Editrice che opera nel mondo editoriale cercando di far convivere e tenere in equilibrio il rispetto della storia e delle tradizioni con la curiosità per l’innovazione e i linguaggi contemporanei.
Dal 2017 organizza il premio di narrativa dedicato alle storie di viaggio lungo la Via Francigena.
DESCRIZIONE del libro di Ann Mark-Vita di Vivian Maier-Nella periferia di Los Angeles, il 17 luglio 1955, apriva per la prima volta i suoi cancelli Disneyland. Quasi trentamila persone si riversarono nei viali mai calpestati prima, un fiume in piena di bambini pronti a lasciarsi meravigliare. Lì, tra famiglie, figuranti e pupazzi, c’era Vivian Maier, una tata di origine francese da poco trasferitasi sulla West Coast in cerca di un nuovo incarico. La donna girovagava da sola tra la folla con una macchina fotografica in mano: dopo anni di scatti in bianco e nero, aveva deciso di passare al colore per immortalare gli attori travestiti da nativi americani e i castelli di cartapesta, per rendere giustizia a quell’atmosfera sognante e un po’ finta. Ma conclusa la gita, quelle foto non furono viste da nessuno, come le altre decine di migliaia di immagini che Vivian Maier scattò e tenne nascoste agli occhi del mondo per decenni. La storia del loro ritrovamento è già leggendaria: montagne di rullini chiusi in scatole di cartone fino al 2007, quando per un caso fortunato John Maloof, il figlio di un rigattiere di Chicago, acquistò in blocco il contenuto di un box espropriato. All’interno trovò un archivio brulicante di autenticità e umanità, il patrimonio di una fotografa sconosciuta che in pochi anni sarebbe stata celebrata in tutto il mondo. Ma mentre le sue opere diventavano sempre più popolari, la sua biografia restava un segreto impenetrabile, perché Vivian aveva sepolto il suo talento con la stessa cura e riserbo con cui aveva protetto la sua vita. Adesso, grazie alla meticolosa ricerca investigativa di Ann Marks, che ha avuto accesso a documenti personali e fonti di primissima mano, quelle vicende personali finora oscure vengono sottratte all’oblio, al mistero e alla leggenda. “Vita di Vivian Maier” rivela in tutta la sua complessità la storia di una donna fuggita da una famiglia disfunzionale, fra illegittimità, abuso di sostanze, violenza e malattia mentale, per poter finalmente vivere alle sue condizioni. Nessuno, neanche le famiglie presso cui prestava servizio, aveva idea che quella bambinaia di provincia nascondesse uno dei maggiori talenti fotografici del periodo, in grado di ritrarre le disparità e le ingiustizie degli Stati Uniti del boom economico, le persone comuni, i bambini, la semplice vita urbana. In questo, che trabocca di foto (anche inedite), l’opera e la vita finalmente si intrecciano in un’unica storia: il ritratto che emerge è quello di una sopravvissuta, fiduciosa nel suo talento nonostante le sfide della malattia mentale, una donna socialmente consapevole, straordinariamente complessa e soprattutto libera.
Ann Marks spent thirty years as a senior executive in large corporations and served as chief marketing officer of Dow Jones/The Wall Street Journal.After retirement, she put her research and analysis skills to use as an amateur genealogist and became inspired to unlock the mysterious life of photographer Vivian Maier. She has dedicated years to studying Maier’s archive of 140,000 images and is an internationally renowned resource on Vivian Maier’s life and work. Her research has been featured in major media outlets, including the Chicago Tribune, The New York Times, and the Associated Press. Marks lives in Manhattan with her husband and three children.
Wanda Osiris | Dal registro alla Storia-Archivio di Stato-
Wanda Osiris – all’anagrafe Anna Menzio – nacque a Roma il 3 giugno 1905, da Giuseppe, palafreniere del re, e Adele Pandolfi.
Il suo precoce interesse per lo spettacolo la portò al debutto nel 1923, come soubrette presso il cinemateatro Eden di Milano, dove diede inizio alla sua scalata verso il successo. Divenne presto una figura iconica, con la sua pelle artificiosamente ocra, il trucco marcato, i capelli ossigenati, piume, paillettes, tacchi e fiumi di profumo Arpège, sempre rivestita di sfarzo e sensualità.
Il primo vero trionfo fu agli inizi degli anni Trenta, all’Excelsior di Milano, accanto a Totò ne Il piccolo cafè. Con l’avvento della notorietà vennero coniati anche i suoi soprannomi, la Wandissima e la Divina, che solo il fascismo tenterà di contenere, italianizzando il suo nome d’arte in “Vanda Osiri”.
Lavorò a fianco di grandi personaggi del tempo, come Carlo Dapporto, Macario, Nino Taranto, Walter Chiari, Renato Rascel e molti altri. Ma soprattutto le sue riviste divennero famose per le eccentriche scenografie e le enormi scalinate che scendeva con grazia e disinvoltura, sempre attorniata da un ampio corpo di ballo che sceglieva lei stessa.
Fra i suoi maggiori successi si ricordano: Tutte donne (1939), Che succede a Copacabana? (1943), Grand Hotel (1948), Made in Italy (1953) e Festival (1954), a cui si affiancano canzoni di grande risonanza, come Sentimental (1949) e Ti parlerò d’amor (1944).
Tuttavia, l’avvento della televisione contribuì pian piano a sfumare il mito di Wanda, complice anche la diffusione di un nuovo prototipo di bellezza e di fare varietà. Eppure, ancora oggi Wanda Osiris incarna l’emblema della soubrette italiana della prima metà del Novecento e per questo riconosciuta dal grande pubblico come la prima vera diva nazionale.
Morì a Milano nel 1994, all’età di 89 anni.
Puoi consultare l’atto di nascita sul Portale Antenati: Archivio di Stato di Roma > Stato civile italiano > Roma > 1905
È stata la prima Diva dello spettacolo leggero italiano. I suoi spettacoli erano caratterizzati dallo sfarzo; amava discendere scale hollywoodiane attorniata da giovani ballerini che sceglieva lei stessa. Per lei vennero coniati gli appellativi di Wandissima e di Divina. Le interpretazioni canore molto personali, il trucco tipicamente ocra, i capelli ossigenati, le piume, i tacchi, le paillettes, i fiumi di profumo Arpège, le rose e i ricchi costumi (ideati e realizzati da Folco Lazzeroni Brunelleschi), divennero caratteristici. Registrata allo stato civile come Anna Menzio, nacque a Roma il 3 giugno 1905 nella casa di Via Quirinale 16, figlia di Adele Pandolfi e del marito Giuseppe Menzio, palafreniere del Re presente a Monza nel momento dell’assassinio di Umberto I.
Lasciata la famiglia e abbandonati gli studi di violino per seguire la passione teatrale, arrivò a Milano dove debuttò nel 1923 al cinema Eden.
Durante il fascismo, in ottemperanza alle direttive emanate da Achille Starace per conto del governo, le fu imposto di italianizzare il nome d’arte, che divenne Vanda Osiri. Nel 1937 fu scritturata da Macario per mettere in scena la rivista Piroscafo giallo. Nel 1938 è in Aria di festa, dove appare in una gabbia d’oro. A Milano nel 1940 uscì da un astuccio di profumo in Tutte donne; a Roma nel 1944 recitò per la prima volta con Carlo Dapporto, in Che succede a Copacabana, nel 1945 in L’isola delle sirene e La donna e il diavolo.
Dopo la fine della guerra, tornò a Milano e sempre con Dapporto divenne la regina del gran varietà. Nel 1946 entrò a far parte della compagnia teatrale di Garinei e Giovannini.
Nel 1948, Al Grand Hotel, sorprese il pubblico in un’opera teatrale al massimo sfarzo e lusso. Conobbe Gianni Agus con il quale ebbe una lunga relazione professionale. Sul finire degli anni quaranta, la Osiris diventò la regina incontrastata dei salotti e al Teatro Lirico le sue apparizioni erano degne dei botteghini della Scala. Nel 1951 lavorò in Gran baraonda con il Quartetto Cetra, Turco, Dorian Gray e Alberto Sordi.
Nel 1954 ritornò con Macario in Made in Italy, mentre nel 1955 in Festival, diretto da Luchino Visconti, non ottenne il successo sperato. L’anno dopo, nella rivista La granduchessa e i camerieri (tra gli attori compariva anche Gino Bramieri) inciampò nell’abito di crinoline: si temette la fine della sua carriera, ma dopo cinque giorni la Divina calcò di nuovo la scena. Ugualmente, il successo si spense rapidamente con il tramonto del varietà, progressivamente soppiantato dalla nascente commedia musicale, e l’affermarsi impetuoso di un modello di soubrette del tutto nuovo (impersonato da figure come Delia Scala, Lauretta Masiero, Marisa del Frate) e al radicale rinnovamento di stile portato avanti dalla “ditta” Garinei e Giovannini in accordo con l’evoluzione dei gusti del pubblico.[2]
Nel 1963 in una riedizione di Buonanotte Bettina, interpretò la parte della suocera a fianco di Walter Chiari e Alida Chelli, poi con la concorrenza della televisione e la decadenza del varietà, il suo percorso teatrale si interruppe. Recitò in prosa negli anni settanta: la sua parte più celebre fu in Nerone è morto? di Hubay nel 1974, con la regia di Aldo Trionfo.
Accudita dalla figlia Ludovica Rivolta in Locatelli, detta Cicci (1928-2013), e dalla nipote Fiorenza, Wanda Osiris morì a Milano nel 1994, all’età di 89 anni, a causa di un edema polmonare. È tumulata al Cimitero monumentale di Milano, non lontano dalla tomba di Gino Bramieri.[3]
Vita privata
Nel 1928, dalla relazione con Osvaldo Rivolta, nasce la figlia Ludovica, detta Cicci.
Poesie di Stig Dagerman -Breve è la vita di tutto quel che arde
Traduzione di: Fulvio Ferrari-IPERBOREA casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani
DESCRIZIONE-Per la prima volta tradotta in italiano, un’antologia che dà conto di circa dieci anni di attività poetica di Stig Dagerman.
«Un giorno all’anno si dovrebbe immaginare / la morte chiusa in una scatoletta bianca. / A nessuna illusione si dovrebbe rinunciare, / nessuno morrebbe per quattro dollari in banca. // (…) Nessuno vien bruciato all’improvviso / e nessuno per strada ha da crepare. / Certo, è menzogna, son del vostro avviso. / Dico soltanto: Possiamo immaginare.» Stig Dagerman espresse anche in versi la vicinanza agli ultimi e l’umanesimo dolente che in una continua tensione tra speranza e disincanto attraversano la sua multiforme opera in prosa. Negli anni 1944-47 e 1950-54, fino al giorno prima di morire, scrisse per il giornale anarchico Arbetaren oltre 1300 dagsedlar, poesie satiriche a commento della cronaca politica e sociale che con il loro tono diretto contribuirono a fare di Dagerman un riferimento identitario per i giovani libertari della sua generazione. Il metro è per lo più tradizionale, quasi da filastrocca, ma la giocosità della rima e del ritmo potenzia per contrasto la durezza dei contenuti: gli accordi della «democratica» Svezia con la Spagna di Franco, i senzatetto di Stoccolma lasciati al freddo, i bambini armati per combattere le guerre dei grandi. Ai brevi componimenti di denuncia, questo volume affianca una scelta di versi in cui la forma irregolare insieme alla riflessione sulla condizione umana, pur sempre intrecciata all’impegno politico, avvicina l’autore alle avanguardie internazionali e ben accoglie simboli e metafore della sua narrativa. Una lettura toccante che aggiunge un tassello significativo al ritratto di uno sperimentatore instancabile al quale ancora oggi s’ispirano scrittori, giornalisti e musicisti di tutta Europa.
Approfondimento
«Abbattete i poveri». E Dagerman si spense
Data: 1 Dicembre 2022
Recensione di Angelo Ferracuti a «Breve è la vita di tutto quel che arde» di Stig Dagerman, apparsa su La Lettura il 6 novembre 2022
Tutta la letteratura di Stig Dagerman è fortemente permeata di esistenzialismo politico e coerenza tematica, ma anche da un contrasto molto forte tra io e mondo, istinto di libertà, desiderio di giustizia sociale contrapposti alla brutalità del potere. Come la sua cristallina postura di autore è segnata da una combattività angosciata e a volte disperata, che pendolareggia tra sogno utopico e disincanto, speranza e disillusione, e da una militanza totale nel movimento libertario svedese vissuta a microfono aperto nella sua breve vita, iniziata nel 1923 e finita a soli 31 anni nel 1954 quando morì suicida al culmine del successo editoriale.
In poche stagioni ci ha lasciato alcuni libri di rara forza espressiva, valore letterario e trasporto emotivo, la passione e la purezza delle raccolte di racconti, romanzi come «Bambino bruciato», «I giochi della notte», «Il serpente», l’esordio del «1945», il lancinante «Il nostro bisogno di consolazione», un breve ma intensissimo monologo filosofico sulla tensione dell’uomo verso la felicità, il bisogno di libertà e lo schiacciante sistema di dominio sociale, che può reputarsi il suo testamento intellettuale; i reportage lirici di «Autunno tedesco», quando fu inviato da l’«Expressen» nel 1946 in Germania fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, a raccontare il Paese sconfitto, tutti libri fedelmente editi da Iperborea.
Un’altra componente di Dagerman e della sua letteratura è la ricerca ossessiva della coerenza visionaria attraverso quella che ha definito «La politica dell’impossibile», nella letteratura e nella vita, titolo di un libro di saggi, avversa a quella «Realpolitik», la politica concreta, pragmatica, dello status quo, dei compromessi e della rinuncia al cambiamento, schiacciata dal giogo economico.
Adesso esce il libro delle sue poesie politiche, «Breve è la vita di tutto quel che arde» (Iperborea) tradotto e curato con rigore e passione da Fulvio Ferrari, professore ordinario di Filologia germanica all’università di Trento, ma soprattutto grande conoscitore e divulgatore delle letterature scandinave. Si tratta di una scelta del suo corpus poetico che mette insieme testi sparsi ai «dagsedlar», dispacci quotidiani spesso scritti in rima affidati al giornale anarchico «Arbetaren» («L’operaio»), di cui era redattore, che però nel linguaggio corrente significa anche «ceffoni» per la loro immediatezza e vicinanza ai fatti di cronaca.
Insieme agli accadimenti storici c’è anche la vena esistenzialistica e romantica dello scrittore svedese: l’incrocio di questi due elementi è la sua cifra, il suo conio profondo che percorre tutta la sua opera, dentro quell’angoscia e paura prodotte dalla Seconda guerra mondiale che ne è il tellurico fondale storico.
Nel libro si alternano differenti stili compositivi, riflessioni intimistiche sulla condizione umana e il senso della vita, così come testi di impegno sociale come l’intenso «No pasarán» dove commemora l’epica tragica della guerra di Spagna con tutta la sua verve antifranchista, un inno alla lotta, alla resistenza.
La poesia di Dagerman ha una urgenza politica, ma soprattutto esistenziale, stilistica, la forma è il suo fuoco, la forma che incrocia gli ideali dei «Cuori ardenti» di cui parla in un saggio, anche per questo lo sentiamo contemporaneo e fratello, la sua letteratura è viva. I «dagsedlar», scritti con caustica ironia, hanno spesso l’andamento di una filastrocca, un gusto agrodolce, nel senso che ibridano lo stile cantilenante del verso con contenuti di dura crudezza, spietati, del palcoscenico impazzito del mondo, e nascono sempre da una notizia di cronaca.
I temi sono l’antimilitarismo, la bomba atomica, la condizione umana degli ultimi, la violenza sui bambini, un argomento molto caro a Dagerman, siano essi i senzatetto svedesi o gli africani dannati della Terra, i neri americani condannati a morte e portati al patibolo, come in «Due volte morto»: «Tutti quanti abbiamo da imparare,/ ci si allena ore e ore per fare il boia./ Che importa come un negro può campare,/ Quello che conta è che un negro muoia».
L’anarchico ribelle, quello che dice di voler opporre il potere delle sue parole «a quello del mondo, perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà», è anche al fianco dei lavoratori insorti in Germania dell’Est contro il regime comunista: «Quante volte il popolo avete chiamato./ Ora rispondiamo: Siam qui, siamo arrivati./ Fatevi avanti, popolari signori/ – e se vi è possibile, disarmati!».
L’ultima poesia scritta da Dagerman si intitola «Attenti al cane!», pubblicata il 5 novembre 1954, e nasce dopo avere letto la dichiarazione di un responsabile della Previdenza sociale di Värmland, una contea che si trova nella parte occidentale del Paese: «Certo è deplorevole che gente che vive di sussidi tenga poi un cane» fu l’affermazione indignata di una persona probabilmente appartenente alla ricca borghesia svedese.
Stig Dagerman il ribelle, lo scrittore nato nel cuore del proletariato e figlio di un operaio artificiere poverissimo e di una telefonista, quello posseduto dal radicalismo che giovanissimo diresse «Storm», il giornale della gioventù anarchica, reagisce a queste parole scrivendo versi venati di ironica indignazione, descrive la gente dei bassifondi come quelli che «stanno in stanzette strette e fosche/ con i loro bastardi costosi», poi la denuncia arriva con un’invettiva provocatoriamente sarcastica: «Ora è il momento di esser risoluti:/ Abbattere i cani! Non è buona cosa?/ E siano poi anche i poveri abbattuti,/ così il Comune risparmia qualcosa».
La poesia fu pubblicata il giorno dopo la sua morte, l’aveva scritta ventiquattr’ore prima di uccidersi con il gas di scarico della sua automobile.
Dopo una serie di tentativi di suicidio non riusciti, sprofondato in una cupa depressione, questa volta aveva organizzato tutto, scrivendo persino l’epitaffio per la sua lapide: «Qui riposa/ uno scrittore svedese/ caduto per niente/ sua colpa fu l’innocenza/ dimenticatelo spesso».
PAOLO RUFFILI-LE POESIE DI DAGERMAN- Fonte sito www.italian-poetry.org
Stig Dagerman (1923-1954), svedese, è uno di quei talenti precoci che compiono tutto quello che li riguarda creativamente parlando entro i trent’anni, indipendentemente dal fatto che si sia deliberatamente tolto la vita al compimento dei 31 anni. Del resto aveva tentato di farlo qualche altra volta già prima e, a spiegarne almeno in parte la prospettiva autodistruttiva, c’è la sua vicenda biografica, anche se l’autore più tardi ha descritto l’infanzia come l’epoca forse più felice della sua vita. Ma, in seguito all’abbandono da parte della madre nei primissimi mesi dopo la nascita e per la difficoltà del padre minatore di garantire le condizioni essenziali alla crescita, il piccolo Stig fu ospitato e cresciuto dai nonni paterni. Nei nonni, similmente a quanto accadde allo scrittore austriaco Thomas Bernhard (con il quale c’è più qualche altra somiglianza sul piano della scrittura), trovò delle figure vivaci, rassicuranti ed intellettualmente stimolanti, dunque le prime condizioni per il futuro percorso intellettuale. L’uccisione del nonno nel 1940 da parte di uno squilibrato e, poco tempo dopo, la perdita della nonna colpita da una emorragia cerebrale, portarono Dagerman a commettere il primo di una serie di tentati suicidi. Trasferito a Stoccolma dal padre, a soli tredici anni poté avvicinarsi all’anarchismo e al sindacalismo e iniziò precocemente l’attività di scrittore in seno all’Unione Sindacale Giovanile, per poi diventare redattore del giornale Storm (La tempesta), per passare più avanti ad occuparsi di fatti di cronaca, nel combattivo giornale anarcosindacalista Arbetaren (L’operaio). La sua produzione ebbe un’accelerazione legata a un’energia esplosiva incontenibile: drammi teatrali, racconti, saggi e reportage, scritti satirici, poesie, romanzi. Divenne un originale esponente della letteratura quarantista, capitanata da Karl Vennberg e Erik Lindegren, e resta a tutt’oggi una figura mitica della letteratura svedese. Iperborea, che ha pubblicato romanzi e racconti, manda in libreria di Dagerman, Breve è la vita di tutto quel che arde (traduzione e cura di Fulvio Ferrari), poesie esistenziali, vivide e tormentate nei loro affondi dentro i labirinti della psiche, e poesie satiriche, a commento potente della cronaca politica e sociale del suo tempo. Sono versi sempre intensi, scritti in uno stile che attraverso l’ossessione, l’analisi impietosa, la satira amara, mira a mettere in scacco tutte le maschere di comodo dell’esistenza svelandone la realtà di tragedia e di farsa.
L’Autore
Stig Dagerman –Anarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell’inviolabilità dell’individuo, Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il nostro bisogno di consolazione, Il viaggiatore, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell’impossibile, Autunno tedesco e Il serpente.
casa editrice Iperborea- Chi siamo
Iperborea è una casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia.Primi a esplorarla in maniera sistematica, si è potuto farlo con vasta libertà di scelta e una produzione di altissima qualità, che spazia dai classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni, alle voci di punta della narrativa contemporanea.
Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia), Iperborea pubblica letteratura baltica, nederlandese, tedesca, canadese, islandese (incluse le antiche saghe medioevali), una collana di narrativa per l’infanzia (I Miniborei) e una serie dedicata alle strisce dei Mumin di Tove Jansson.
Dal 2018 lancia la serie The Passenger, un libro-magazine che raccoglie inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un paese o una città (non solo del Nord Europa) e dei loro abitanti. Dal 2020 The Passenger è tradotto anche in inglese, pubblicato e distribuito in tutto il mondo in coedizione con Europa Editions.
Nel 2021 è arrivata la serie Cose Spiegate bene, in collaborazione con il Post: ogni numero è dedicato all’approfondimento di un tema, attraverso articoli, infografiche e illustrazioni originali.
Inoltre, dal 2015, Iperborea organizza a Milano e in varie città d’Italia il festival I Boreali, dedicato alla cultura nordica.
Questo sito usa i cookie per migliorare la tua esperienza. Chiudendo questo banner o comunque proseguendo la navigazione nel sito acconsenti all'uso dei cookie. Accetto/AcceptCookie Policy
This website uses cookies to improve your experience. We'll assume you're ok with this, but you can opt-out if you wish.Accetto/AcceptCookie Policy
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.