Eugenio Montale e Sergio Solmi – Carteggio 1918-1980
Eugenio Montale Sergio Solmi Carteggio 1918-1980
Descrizione del libro Eugenio Montale e Sergio Solmi-Carteggio1918-1980-Biblioteca DEA SABINA-Con questa edizione viene reso pubblico per la prima volta uno dei carteggi più significativi ed estesi del Novecento: si tratta di 338 lettere, inedite nella quasi totalità, che Eugenio Montale e Sergio Solmi si sono scambiati tra il febbraio del 1918 e il luglio del 1980. Questo scambio epistolare consente di assistere al formarsi dello stile poetico montaliano e di vederlo modellarsi lungo la dima delle indicazioni del suo interlocutore; di scoprire risvolti nuovi circa la genesi della prima e della seconda edizione degli Ossi di seppia (1925, 1928); di seguire da vicino lo sviluppo del pensiero critico solmiano e di constatare l’enorme fascino che esercitava su Montale e sull’ambiente culturale italiano; di ricostruire la rete di relazioni fitte e articolate formatasi via via attorno ai due corrispondenti, e di ripercorrere le vicende cruciali di alcune fra le principali riviste letterarie del secolo trascorso; di rileggere la portata internazionale del lancio dell’opera di Svevo (a Montale vanno riconosciuti i meriti dello scopritore) attraverso il racconto dei protagonisti e l’esplorazione dei legami da loro intrattenuti con alcune figure chiave della cultura europea, come James Joyce, Valery Larbaud, Bobi Bazlen e (non ultimi) T. S. Eliot e Mario Praz. Nello scambio, ricco delle confidenze e degli slanci affettivi permessi da un rapporto di stima incondizionata e di fervida amicizia, si riconosce la testimonianza viva di quasi un secolo di storia, visto con lo sguardo disincantato – ma sempre partecipe – di due personalità d’eccezione. Nelle considerazioni sussurrate a mezza voce tra le righe delle lettere affiorano riferimenti all’assassinio di Matteotti, alla morte di Gobetti, alla revoca della libertà di stampa, all’incontro con Gramsci. Il carteggio è accompagnato da un saggio introduttivo che ricostruisce passo dopo passo la storia del rapporto tra i due interlocutori, da note di commento alle singole lettere, da un ricco sistema di indici. In appendice al volume si presenta un rilevante numero di articoli, recensioni e notiziari pubblicati anonimi o con pseudonimo da Montale e Solmi tra il luglio del 1925 e il dicembre del 1935, mai finora ricondotti ai due autori e individuati grazie alle indicazioni contenute nelle lettere.
Indice
Introduzione, di Francesca D’Alessandro
Nota al testo
Ciò che è nostro non ci sarà tolto mai. Carteggio 1918-1980
Appendice. Prose inedite e ritrovate, a cura di Letizia Rossi
Nota introduttiva
Prose di Eugenio Montale
Prose di Sergio Solmi
Indici
Indice delle opere citate
Indice dei periodici e quotidiani citati
Indice dei nomi
Eugenio MONTALE
Eugenio Montale(Genova 1896 – Milano 1981) è uno dei maggiori poeti europei del Novecento. In piena guerra, nel 1917, presso la Scuola Allievi Ufficiali di Parma, stringe amicizia con Sergio Solmi, che costituirà nell’arco della sua intera esistenza un punto di riferimento umano e letterario imprescindibile. Dopo gli esordi in rivista (particolarmente su «Primo Tempo») pubblica la sua prima raccolta di versi, Ossi di seppia, uscita presso Gobetti nel 1925 e poi (accresciuta) nel 1928, per le edizioni di Mario Gromo. Le sue liriche successive confluiranno in Le occasioni (1939), Finisterre (1943), La bufera e altro (1956), Satura (1971). Nel 1975 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura, e nel 1980 esce nella collana dei «Millenni» Einaudi la prima edizione critica dell’opera in versi di un poeta vivente, curata da Gianfranco Contini e Rosanna Bettarini.
Sergio Solmi
– Critico e poeta italiano (Rieti 1899 – Milano 1981); fondatore, con G. Debenedetti e altri, della rivista torinese Primo tempo (1922–23); socio corrispondente dei Lincei (1968). La sua notevole produzione saggistica ha spaziato dalla letteratura francese (Il pensiero di Alain, 1930; La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese, 1942; Saggio su Rimbaud, 1974) alla paraletteratura (Della favola, del viaggio e di altre cose. Saggio sul fantastico, 1971), da Leopardi (Studi e nuovi studi leopardiani, 1975) alla letteratura contemporanea, che ha penetrato con fine intelligenza (Scrittori negli anni, 1963). È stato poeta tanto originale quanto radicato nella tradizione italiana (Fine di stagione, 1933; Poesie, 1950; Levania e altre poesie, 1956; Dal balcone, 1968; Poesie complete, 1974), nonché felice traduttore (Versioni poetiche da contemporanei, 1963; Quaderno di traduzioni, 1969; Quaderno di traduzioni II, 1977); da ricordare anche la raccolta di prose poetiche Meditazioni sullo scorpione (1972). L’edizione completa delle Opere di S. S. è stata avviata nel 1983 (il 5°vol. è uscito nel 2000).
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma-
7) Robert Koch medico, batteriologo e microbiologo tedesco
Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 7) Il nome di Robert Koch è legato allo studio della tubercolosi, per la quale cercò di preparare una sostanza in grado di combatterla. Premio Nobel per la Medicina nel 1905
Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni– Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, la scuola di Cinema, la scuola di Musica, le Palestre , il Bistrò ,i Bar ,i Ristoranti, le Pizzerie e ancora i Parrucchieri e gli specialisti per la cura della persona e come non ricordare l’Ottica Vigna Pia .Non mancano gli Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra ragazzi ,oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico. Infine, vedendo il tronco della palma tagliato, ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Robert Koch: una vita per la scienza
Roma,lungo via Folchi ,con inizio dalla via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri, ma dimenticati su questo muro di cinta . I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta dell’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, lato via Folchi, fa da “sostegno” e “tela” ai murales realizzati in questi 270 metri. L’Opera fu iniziata nel febbraio del 2018 e completata e inaugurata il 3 maggio dello stesso anno. Nei Murales sono immortalati i 13 volti di Scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Il progetto dei Murales, finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, è stato realizzato grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica grave pecca ,ahimè, non vi è immortalata nessuna donna.
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – Robert Koch: una vita per la scienza
Robert Koch e la tubercolosi
Il nome di Robert Koch è legato allo studio della tubercolosi, per la quale cercò di preparare una sostanza in grado di combatterla.
Robert Koch nasce a Clausthal, in Germania nel 1843, figlio di un ingegnere minerario. Bambino precoce e molto intelligente, a 19 anni entra all’Università di Göttingen per studiare medicina con il ProfessoreHenle; questi sostiene che le malattie infettive sono provocate da organismi vivi.
È a partire da questa affermazione, insieme all’esperienza che egli stesso si farà nel campo della microbiologia, che Koch enuncerà quelli che oggi sono conosciuti come ‘Postulati di Koch’ e che trattano delle condizioni necessarie per poter affermare che un particolare Batterio è causa di una determinata malattia.
Links: Käfige mit Versuchstieren, rechts: ein Brutschrank, Person: Robert Koch [11.12.1843 – 27.05.1910], Deutscher Arzt und Bakteriologe, Datierung: um 1890, Material/Technik: Holzstich, koloriert, , Copyright: bpk
Laureatosi, Koch trascorre un periodo limitato a Berlino per studiare chimica e poi fa una sorta di tirocinio all’ospedale Generale di Amburgo prima di esercitare privatamente.
I primi studi di ricerca Koch li compie sul bacillo del carbonchio. Egli si trova, in questo periodo, nel Wollenstein, dove il carbonchio provoca numerose epidemie tra i bovini. Non ha contatti con altri ricercatori, né accesso a biblioteche, quindi deve contare sulle sue sole forze. Koch riesce a provare che è proprio il bacillo del carbonchio a provocare la malattia: egli inocula in alcuni topi il Sangue prelevato dalla milza di animali malati ed in altri il sangue prelevato dalla milza di animali sani dimostrando che i topi ai quali è stato inoculato sangue infetto si sono ammalati, quelli ai quali è stato inoculato sangue sano no.
Ma va anche oltre. Riesce a produrre una coltura di bacilli del carbonchio facendoli crescere e moltiplicare nell’umore acqueo dell’occhio di un bovino, riuscendo così a dimostrare che i bacilli si riproducono e causano la malattia anche senza il contatto con alcun animale, perché hanno la capacità di resistere quando le condizioni sono avverse producendo delle spore che poi, in condizioni favorevoli, produrranno di nuovo i bacilli.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma
La ricerca contro la tubercolosi
Tra il 1883 ed il 1884 Koch si dedica allo studio del vibrione del colera e alla sua diffusione, e formula delle linee guida che sono ancora oggi ritenute valide. Si dedica poi allo studio di una malattia per quell’epoca molto comune e molto grave, alla quale resterà legato il suo nome, la tubercolosi.
Robert Koch: una vita per la scienza ,studiò la tubercolosi,Premio Nobel per la Medicina nel 1905
Egli cerca di preparare una sostanza che potesse essere utilizzata con scopi terapeutici contro questa malattia. Questa sostanza, che egli chiamerà tubercolina, viene ricavata dal bacillo stesso della Tubercolosi e, sebbene non abbia il risvolto terapeutico valido sperato, è ancora oggi utilizzata (chiaramente prodotta con tecniche più all’avanguardia) a scopo diagnostico.
Lo studio della tubercolosi e del batterio che la provoca lo porterà anche a sostenere, a ragione anche se nessuno gli crederà, al Congresso Medico sulla Tubercolosi svoltosi a Londra nel 1901, che il batterio che causa la tubercolosi umana e quello che causa la tubercolosi bovina sono differenti.
La ricerca di Robert Koch, alla fine del XIX secolo, si sposta poi in Africa meridionale. Qui egli si reca per studiare e fermare la peste bovina. Purtroppo l’impresa non riesce perché la malattia è provocata da un virus (troppo piccolo per essere visto da un microscopio non elettronico) e non da un batterio, ma Koch riesce comunque a limitare il contagio grazie ad una specie di vaccinazione che egli ottiene inoculando la bile prelevata dalla milza degli animali infettati.
Sempre in Africa, egli si dedica anche allo studio di altre malattie, quali la malaria, la spirochetosi, la tripanosomiasi.
Nella sua vita, Koch viene insignito di molteplici onorificenze, ottiene una laureahonoris causae all’Università di Bologna e conquista l’ambito Premio Nobel per la Medicina per lo studio della tubercolosi nel 1905. Muore a Bade-Baden il 27 maggio del 1910.
Robert Koch: una vita per la scienza
Robert Koch: una vita per la scienza ,studiò la tubercolosi,Premio Nobel per la Medicina nel 1905
Geheimrat Robert Koch nacque nel 1843 a Clausthal, nelle odierna Germania centro-settentrionale. Figlio di un ingegnere minerario, rivelò fin da bambino la sua intelligenza e perseveranza imparando a leggere da solo all’età di 5 anni.
A 19 anni intraprese gli studi di Medicina all’Università di Göttingen, ove ebbe come maestro il prof. Henle. Questi, che da tempo andava sostenendo, contrariamente all’opinione comune, che le malattie contagiosa erano provocate da “organismi vivi parassiti”, senza dubbio influenzò la nascente personalità scientifica del giovane allievo.
Dopo un breve periodo a Berlino per lo studio della Chimica e un soggiorno di studio all’Ospedale Generale di Hamburg, Koch incominciò a esercitare privatamente la professione di medico. Questa attività non gli impedì di interessarsi a numerosi altri argomenti, quali ad esempio l’archeologia e l’antropologia.
I primi lavori fondamentali, eseguiti con penuria di mezzi e in condizioni disagiate, riguardarono il carbonchio ematico degli animali. Tali lavori furono coronati dalla dimostrazione, attraverso l’infezione sperimentale del topo, che il bacillo del carbonchio presente nella milza degli animali morti era l’agente causale della malattia. Successivamente, Koch riuscì a isolare e a coltivare in coltura pura il bacillo, usando come terreno di coltura l’umore acqueo dell’occhio di bovino. Egli dimostrò anche la formazione delle spore e ne documentò la straordinaria resistenza nell’ambiente.
Nel 1880 Koch, già famoso, divenne membro del “Reichs-Gesundheitsamt” (Imperial Ufficio per la Salute) a Berlino; quivi ottenne finalmente mezzi adeguati alle sue capacità, e si dedicò allo studio dei terreni di coltura e della colorazione dei batteri. Risale a questo periodo (1881-82) la messa a punto di nuove metodiche per la coltivazione e l’ottenimento in coltura pura dei batteri ed, in particolare, del bacillo della tubercolosi dell’uomo.
L’esperienza acquisita e le grandi capacità analitiche permisero a Koch di rivedere i principi fondamentali – già proposti in precedenza da Henle – riguardanti le condizioni necessarie per poter dichiarare che “un determinato batterio è causa di una determinata malattia”. Tali principi sono passati alla storia come «Postulati di Koch».
A questi studi seguì un breve ma intenso e proficuo intervallo (1883-84) dedicato allo studio del colera e delle modalità di diffusione del vibrione nell’ambiente. Anche in questo campo Koch si distinse per la sua attività di «pioniere» della microbiologia, formulando alcune linee-guida per il controllo della malattia che vennero ben presto approvate e adottate in numerosi Stati e che, nella sostanza, ancor oggi vengono seguite.
Ospedale Spallanzani di Roma-foto di Franco Leggeri
Successivamente Koch riprese gli studi sulla tubercolosi che, a quel tempo, rappresentava una delle malattie più gravi e frequenti. Gli studi vennero rivolti alla preparazione di una sostanza derivata dal bacillo della tubercolosi, denominata «tubercolina», che Koch riteneva provvista di attività terapeutica. Ben presto tale attività si rivelò inesistente, ma la tubercolina si rivelò, in seguito, straordinariamente utile a scopo diagnostico (e lo è ancor oggi, seppure purificata e prodotta con tecniche più sofisticate di quelle di Koch).
Nel 1896 Koch ebbe l’occasione di soggiornare nell’Africa meridionale allo scopo di studiare l’origine di una terribile malattia dei ruminanti: la peste bovina. Koch non riuscì nel difficile intento (la peste bovina è sostenuta non da un batterio bensì da un virus); tuttavia, riuscì a limitare l’estensione dei focolai e a rallentare la diffusione della malattia attraverso una sorta di vaccinazione che consisteva nell’inoculare agli animali sani bile prelevata da animali ammalati.
In questi anni Koch giunse alla conclusione che la tubercolosi dell’uomo e del bovino erano sostenute da batteri differenti, e difese strenuamente la sua opinione (che oggi sappiamo essere esatta) contro lo scetticismo o l’avversione dei più al Congresso Medico sulla Tubercolosi tenutosi a Londra nel 1901.
Rappresentano punti fermi nella storia della Medicina altri studi compiuti da Koch, prevalentemente nel continente africano, su numerose malattie: malaria, surra, spirochetosi, tripanosomiasi, babesiosi.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma -Muro di cinta-
Koch raccolse, durante la sua non lunghissima vita, innumerevoli premi e onorificenze, compresa una laurea ad honorem presso l’Università di Bologna. Nel 1905 venne insignito del premio Nobel per la Medicina per gli studi eseguiti sulla tubercolosi.
Robert Koch si spense a Baden-Baden il 27 maggio 1910, all’età di 67 anni.
Arturo TOSCANINI -Concerto del 14 gennaio 1920 al Teatro AUGUSTEO di ROMA-
Arturo Toscanini Direttore d’orchestra (Parma 1867 – New York 1957). Iniziò la sua carriera come violoncellista, ma si affermò presto come direttore sino a raggiungere un’enorme celebrità. L’interpretazione direttoriale di T., sia in campo teatrale sia in campo concertistico, era caratterizzata da una lucida lettura del testo musicale, associata alla concezione dell’orchestra intesa come uno strumento che deve sempre vibrare in tutte le sue parti. Il suo repertorio era assai vasto, rivelando peraltro una particolare predilezione per i musicisti del sec. 19º, da Beethoven a Brahms, da Verdi a Wagner.
Vita e opere
Studiò nei conservatori di Parma e di Milano, e iniziò la sua carriera come violoncellista nell’orchestra Teatro Regio di Parma e di altre, in Italia e nell’America Meridionale. Diresse per la prima volta a Rio de Janeiro nel 1886, e si affermò successivamente nei maggiori teatri d’Europa e d’America, sino a raggiungere una celebrità e una considerazione superiori a quelle di qualsiasi altro direttore. Chiamato alla Scala di Milano (1898), vi diresse fino al 1928, anno in cui fu nominato “principal conductor” dell’Orchestra Filarmonica di New York. Direttore al Metropolitan di New York (1908-15), rientrò in Italia nel 1915; nel 1931, essendosi rifiutato di eseguire gli inni ufficiali prima di un concerto a Bologna, fu schiaffeggiato da un gruppo di fascisti. Emigrò allora negli USA, dove fu a capo (1937-54) dell’Orchestra della National Broadcasting Company, costituita appositamente per lui. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, tornò saltuariamente in Italia, e inaugurò la Scala ricostruita dopo i bombardamenti che l’avevano gravemente danneggiata (1946). T. diresse, inoltre, la prima esecuzione assoluta di numerose opere, tra le quali: La Bohème, La fanciulla del West, Turandot di G. Puccini; Nerone di A. Boito
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
Arturo Toscanini nasce a Parma il 25 marzo 1867, da Claudio e Paola Montani Toscanini. Il padre, sarto, ha combattuto per l’Unità d’Italia. Per il suo patriottismo ha scontato anche tre anni di carcere, ha perso tutti i denti e fatica a condurre una vita stabile.
Arturo, che da piccolo è molto gracile forse a causa della celiachia, si diploma in Musica al Regio Conservatorio di Parma nel 1885, con i massimi voti in Composizione e Violoncello.
Dopo il diploma, si unisce a una compagnia operistica itinerante come violoncellista. Mentre si trova in tournée in Brasile, viene chiamato a sostituire il direttore d’orchestra durante una rappresentazione dell’Aida di Giuseppe Verdi. Toscanini, che ha imparato a memoria lo spartito, regala al pubblico una brillante esecuzione. Dato il suo trionfo, è assunto per il resto della stagione, affermandosi dunque per i propri talenti ed abilità d’esecuzione a soli 19 anni.
Debutta in Italia nel novembre 1886, a Torino. Nel proprio Paese d’origine firma molte direzioni d’orchestra, tra cui ad esempio le prime mondiali dei Pagliacci di Ruggero Leoncavallo (1892) e della Bohème di Giacomo Puccini (1896), come pure la prima italiana del Crepuscolo degli dei di Richard Wagner (1895).
Nel 1896, Toscanini conduce per la prima volta a La Scala di Milano un concerto comprendente tra l’altro una sinfonia di Franz Joseph Haydn e lo Schiaccianoci di Pyotr Ilyich Tchaikovsky. Il suo successo cresce quando viene scelto come direttore d’orchestra principale de La Scala nel 1898.
Nel 1897 sposa Carla De Martini. La coppia ha due figli maschi, Walter e Giorgio (che morirà di difterite nel 1906), e due figlie, Wally e Wanda. Wanda sposerà il pianista Vladimir Horowitz, collaboratore del padre.
Nel 1908, Toscanini lascia La Scala per andare a dirigere la New York Metropolitan Opera. Qui conduce un’altra prima mondiale di Puccini, La fanciulla del West, nel 1910. Tornerà in Italia durante la prima guerra mondiale, e suonerà gratuitamente per beneficienza per i soldati al fronte fino alla fine della guerra. Dopo il conflitto, Toscanini porta l’orchestra de La Scala in tournée in Europa, in Canada e negli Stati Uniti. A partire dal 1921 si allontanerà volontariamente dalla direzione de La Scala, che gli costa troppa energia, e soprattutto dall’Italia, dove il fascismo guadagna sempre maggiori consensi. Continua a dirigere in America, apparendo come direttore d’orchestra della New York Philharmonic Orchestra nel 1926. Lavorerà con questa orchestra fino al 1936.
Toscanini si oppone fieramente all’avanzata del fascismo in Europa. In Italia, nel 1931, viene schiaffeggiato per avere rifiutato di eseguire l’inno fascista Giovinezza. È il primo non tedesco a dirigere un’orchestra al festival dedicato a Wagner a Bayreuth, in Germania, ma nel 1933 sceglie di non recarsi a questo evento per protesta contro il regime nazista. Questa vicenda è una delle tante manifestazioni del successo del Maestro Toscanini. Infatti il capillare controllo che il nazismo esercitava su tutte le opinioni, e il fatto che il regime avesse ritenuto Toscanini “incapace di resistere alla propaganda antigermanica”, non avevano impedito che alcuni giornali esprimessero rammarico per la sua mancata partecipazione al festival, e il divieto di trasmettere la sua musica alla radio tedesca fu per qualche tempo sospeso, per convincerlo a cambiare idea.
Nel 1936, Toscanini va in Palestina per dirigere un gruppo di musicisti ebrei che, in collaborazione con il musicista polacco Bronislaw Huberman, ha aiutato a fuggire dall’Europa.
David Sarnoff, il direttore della NBC, fonda la NBC Symphony Orchestra specificamente per Toscanini nel 1937. Toscanini sarà direttore di questa orchestra per 17 anni, ma troverà il tempo di suonare con altre orchestre, da una riva all’altra dell’Atlantico.
Nel 1947 partecipa con entusiasmo alla rinascita de La Scala dopo le distruzioni belliche. È tuttavia già molto anziano.
Sua moglie Carla muore nel 1951. Toscanini dirigerà il suo ultimo concerto dal vivo alla Carnegie Hall il 4 aprile 1954, con l’orchestra sinfonica della NBC. Negli ultimi anni riesaminerà le proprie registrazioni ancora inedite. Il 16 gennaio 1957, all’età di 89 anni, anche Arturo si spegne a casa sua nel quartiere Riverdale di New York.
Giardini che onorano Arturo Toscanini
Benevento – Liceo scientifico Rummo
Cittadella
Fiumicino – IC Colombo
Frattamaggiore – Liceo Miranda
Roma – Auditorium Parco della Musica
Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920Arturo TOSCANINI in Concerto al Teatro AUGUSTEO di ROMA 14 gennaio 1920
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma-
6) Albert Sabin virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
Premessa-Franco Leggeri Fotoreportage- Murales Ospedale Spallanzani di Roma- 6) Albert Sabin l’intransigente virologo che metterà a punto il primo vaccino orale contro la poliomielite. E non lo brevetterà-
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – 6) Albert Sabin-virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
-Roma -Portuense-Vigna Pia e Dintorni– Questo reportage, come quelli a seguire, vuole essere un viaggio che documenta e racconta la storia di un quartiere di Roma: Portuense-Vigna Pia e i suoi Dintorni con scatti fotografici che puntano a fermare il tempo in una città in continuo movimento. Non è facile scrivere, con le immagini di una fotocamera, la storia di un quartiere per scoprire chi lascia tracce e messaggi. Ci sono :Graffiti, Murales, Saracinesche dipinte, Vetrine eleganti che sanno generare la curiosità dei passanti ,il Mercatino dell’usato, il Mercato coperto, le Scuole, la Parrocchia, il Museo, la Tintoria storica della Signora Pina, la scuola di Cinema, la scuola di Musica, le Palestre , il Bistrò ,i Bar ,i Ristoranti, le Pizzerie e ancora i Parrucchieri e gli specialisti per la cura della persona e come non ricordare l’Ottica Vigna Pia .Non mancano gli Artigiani e per finire, ma non ultimo, il Fotografo “Rinaldino” . Il mio intento è di presentare un “racconto fotografico” che ognuno può interpretare e declinare con i suoi ”Amarcord” come ad esempio il rivivere “le bevute alla fontanella”, sita all’incrocio di Vigna Pia-Via Paladini, dopo una partita di calcio tra ragazzi ,oppure ricordando i “gavettoni di fine anno scolastico. Infine, vedendo il tronco della palma tagliato, ma ancora al suo posto, poter ricordare, con non poca tristezza, la bellezza “antica” di Viale di Vigna Pia.
Ospedale Spallanzani di Roma-foto di Franco Leggeri
Roma,lungo via Folchi ,con inizio dalla via Portuense, si trovano i Murales che raffigurano gli scienziati che hanno combattuto e vinto le battaglie contro le malattie infettive. Eroi veri, ma dimenticati su questo muro di cinta . I Murales ora rischiano il degrado e la “polverizzazione” dell’intonaco. Il muro di cinta dell’Ospedale “Lazzaro Spallanzani”, lato via Folchi, fa da “sostegno” e “tela” ai murales realizzati in questi 270 metri. L’Opera fu iniziata nel febbraio del 2018 e completata e inaugurata il 3 maggio dello stesso anno. Nei Murales sono immortalati i 13 volti di Scienziati che hanno scritto la storia della ricerca sulle malattie infettive. Il progetto dei Murales, finalizzato a celebrare gli 80 anni della struttura ospedaliera, è stato realizzato grazie alla collaborazione fra la Direzione dello Spallanzani e l’Associazione Graffiti Zero che promuove l’integrazione fra la Street Art e i luoghi che la ospitano. Unica grave pecca ,ahimè, non vi è immortalata nessuna donna.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma -Muro di cinta-
Verranno pubblicati le foto dei Murales di tutti i 13 scienziati , uno alla volta, questo al fine di poter evidenziare la biografia e la loro Opera in maniera più completa possibile. Le biografie pubblicate a corredo delle foto sono prese da Enciclopedio Treccani.on line e Wikipedia
Albert Sabin-virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
Sabin, l’uomo della zolletta di zucchero
21 anni fa muore Albert Sabin, l’intransigente virologo che metterà a punto il primo vaccino orale contro la poliomielite. E non lo brevetterà
Il suo simbolo è una zolletta di zucchero. È il modo dolce con cui Albert Sabin ha salvato dalla poliomielite milioni di bambini in tutto il mondo. Non era dolce invece lo scienziato, nonostante l’aspetto mite: onesto fino alla crudeltà, molto egocentrico, intransigente. È anche vero che la vita, come lui stesso ripeteva, non era stata clemente con lui. Albert era nato infatti nel ghetto ebraico di Bialystock (nell’odierna Polonia) il 26 agosto 1906 con il nome di Saperstein, semicieco dall’occhio destro. Costretto a emigrare negli Stati Uniti nel 1921 a causa delle crescenti persecuzioni razziali, ebbe una vita accademica costellata di successi ma oscurata dalla perenne disputa con Jonas Salk, inventore del primo vaccino antipolio. La vita privata, invece, venne segnata dal suicidio della prima moglie, da un secondo matrimonio non felice e da un terzo tentativo coniugale in tarda età, negli anni ’80, pochi anni prima di morire, povero in canna, il 3 marzo 1993.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – 6) Albert Sabin-virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
Eppure questo uomo così provato dal destino è stato uno dei più grandi e disinteressati ricercatori mai esistiti. Cominciò la sua carriera universitaria alla facoltà di odontoiatria della New YorkUniversity, ma presto cambiò facoltà affascinato dalla microbiologia. Dopo la laurea nel 1931 si spostò presso la University of Cincinnati (Ohio), dove cominciarono le sue ricerche sul poliovirus. A spingerlo in questa direzione era stato il professor William Park e l’esplosione di un’epidemia di polio a New York. Nel 1939 Sabin ottenne il primo grande risultato: aveva infatti scoperto che quello della polio non era un virus respiratorio, ma viveva e si moltiplicava nell’intestino. Nasce così l’epoca degli enterovirus, fino ad allora mai classificati come tali. Anche a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale, cui Sabin parteciperà come ufficiale medico, la messa a punto di un vaccino contro la poliomelite deve aspettare quasi altri 15 anni. A compiere il miracolo è Jonas Salk, ricercatore della University of Pittsburgh, che nel 1952 realizza tre diversi vaccini, uno per ogni tipo fondamentale di polio, basati su virus uccisi e conservati in formalina. Il 26 aprile del 1954 comincia negli Stati Uniti una campagna di vaccinazione di massa. Tuttavia il metodo Salk non si dimostra efficiente: il prodotto non impedisce il contagio, alcune infezioni si verificano anche dopo l’immunizzazione, e inoltre il vaccino deve essere somministrato con tre iniezioni diverse. Nel frattempo anche Sabin, al Children Hospital di Cincinnati, aveva messo a punto il suo siero, sperimentato su 10mila scimmie e 160 scimpanzé, su sé stesso, sulle figlie e su giovani volontari reclutati tra i carcerati delle prigioni federali di Chillichote (in Ohio). Diversamente da quello di Salk, il vaccino di Sabin si basava su ceppi indeboliti di virus e, invece che essere inoculato, andava somministrato per via orale: su un cucchiaio o meglio su una zolletta di zucchero.
Nonostante le evidenze presenti nelle ricerche dello scienziato di origine polacca, la National Foundation for Infantile Paralysis, fondata nel 1938 da Franklin D Roosevelt, preferisce perfezionare il preparato di Salk e proseguire con quello le sue campagne di prevenzione. Forse è proprio l’origine del ricercatore a risultare sgradita alla Fondazione: sono pur sempre i tempi della Guerra Fredda. Sabin, però, non si arrende, convinto che l’unico compito della scienza sia il bene dell’umanità. Vuole a tutti i costi che il suo vaccino salvi milioni di bambini da stampelle, polmone d’acciaio e dalla morte. Anche per questo motivo (come Jonas Salk) non brevetta mai il suo vaccino e fa in modo che nessuno possa lucrare sulla sua scoperta: “èil mio regalo ai bambini”.
È la Cecoslovacchia il primo paese ad adottare il vaccino Sabin, seguita da tutto il blocco orientale, dall’Asia e dall’Europa (in Italia fu autorizzato nel 1963). In pochi anni sono milioni i bambini vaccinati, e rarissimi i casi di insuccesso. Il vaccino si diffonde su scala mondiale: anche gli Stati Uniti sono costretti a capitolare e cominciano a impiegarlo. Nel 1970 Albert Sabin riceve la Medaglia Nazionale per la Scienza (in quest’occasione dirà la famosa frase, emblematica del suo carattere: “Esiste solo un vaccino contro la poliomielite: quello che ho preparato io”). A oggi, grazie a Sabin, i casi di polio sono solo poche migliaia nel mondo. Ma la malattia resiste, endemica, in Nigeria, India, Pakistan e Afghanistan.
Dr. Albert Sabin, right, whose live polio vaccine is now being tested extensively throughout the world, is shown at Cincinnati’s Children’s Convalescent Hospital with Mark Stacey, 5, who contracted paralytic polio last summer, Dec. 17, 1959. With them are Dr. Walter Langsam, center, president of the University of Cincinnati. (AP Photo/Harvey Eugene Smith)
In ricordo di Albert Bruce Sabin, il medico polacco che creò il vaccino contro la poliomielite
«I nazisti mi hanno ucciso due meravigliose nipotine, ma io ho salvato i bambini di tutto il mondo. Non la trovate una splendida vendetta?» (Albert Bruce Sabin)
Nato nel ghetto di Bialystok – cittadina dell’attuale Polonia nord orientale che all’epoca faceva parte dell’Impero russo – nell’agosto 1906, di religione ebraica, Abram Saperstein – meglio noto come Albert Bruce Sabin da quando, nel 1930, divenne cittadino americano -, emigra negli Stati Uniti nel 1921. Suo padre Jacob, un artigiano, aveva deciso di abbandonare la Polonia a causa del fatto che l’atmosfera contro gli ebrei stava diventando molto ostile. Lo stesso Albert ne aveva fatto le spese: fin dalla nascita non vedeva dall’occhio destro e quando era ancora piccolo un coetaneo gli lanciò contro una pietra che per poco non colpì l’occhio sano, rischiando di accecarlo.
La famiglia Sabin si stabilisce a Paterson, nel New Jersey.
Un loro parente si offre di pagare gli studi universitari del giovane Albert, in modo tale che fosse poi in grado di lavorare con lui nel suo ambulatorio dentistico. E così all’età di vent’anni era studente di Odontoiatria alla New York University. Tuttavia, dopo aver letto il libro di Paul deKruif (1890-1971) Microbe Hunters (I cacciatori di microbi), decide che avrebbe dedicato la sua vita e la sua carriera a quella branca. L’entusiasmo lo porta a passare alla facoltà di Medicina ed a frequentare con successo i corsi di Microbiologia. Nel frattempo coltivava la sua passione anche al di fuori dell’università, raccogliendo microbi ovunque gliene capiti occasione (negli stagni, nella polvere, nei cassoni della spazzatura) e studiandoli in modo approfondito.
Nel ’31 consegue la laurea in Medicina e comincia a lavorare presso l’Università di Cincinnati – nell’Ohio -, dove rimarrà per oltre quarant’anni (fino al ’60 con il ruolo di professore per le ricerche pediatriche, dal ’61 al ’70 come “distinguished service professor”, ed infine, dal ’70 al 1981, come professore emerito). Nel corso della sua carriera lavorerà in vari campi della medicina (batteriologia, anatomia patologica, clinica medica e chirurgica).
Negli anni Trenta, come assistente del dottor William Hallock Park (1863-1939), celebre per i suoi studi sul vaccino per la difterite, sviluppa ulteriormente il suo interesse per la ricerca medica, in particolar modo nel campo delle malattie infettive. W. Hallock Park diventerà il mentore del giovane Sabin e gli farà ottenere una borsa di studio in quanto il suo parente dentista, per rappresaglia gli aveva “chiuso i rubinetti”. I suoi studi sulle malattie infettive dell’infanzia lo porteranno a fare ricerche su quelle provocate da virus ed in particolar modo sulla poliomielite, che all’epoca provocava migliaia di vittime, soprattutto bambini a partire dal secondo anno di vita. La scelta di dedicarsi a tale malattia fu del dottor Park, il quale convince il suo giovane assistente a riprender le ricerche sulla polio, che Sabin aveva già avviato in precedenza (nel ’36, in collaborazione con P.Oitsky, era riuscito a coltivare il poliovirus su un tessuto nervoso e a dimostrarne la primitiva localizzazione a livello del tubo digerente).
La poliomielite, una volta chiamata “paralisi infantile”, è una malattia virale acuta, altamente contagiosa, e con manifestazioni differenti, le più gravi fra le quali sono di tipo neurologico irreversibile. Si manifestava in vari modi; in genere il malato veniva colto da improvvisi attacchi di febbre seguita da paralisi irrimediabile di una parte del corpo, dovuta all’attacco da parte del virus (il poliovirus) alle fibre nervose del midollo spinale. Negli Stati Uniti tale malattia aveva ucciso o paralizzato migliaia di persone. La lotta alla polio, negli ambienti di ricerca medica, era cominciata molti anni avanti; nel ’34 Brodie e Kolmer, due studiosi americani, avevano annunciato la scoperta di un vaccino efficace. Tuttavia, quando si era proceduto alla somministrazione, molte persone erano morte. Tale drammatico fallimento aveva provocato la sospensione di qualunque ricerca ufficiale sul vaccino antipolio, anche se, sia pur ufficiosamente, molti laboratori avevano proseguito.
Nel gennaio 1938, con un appello su tutti i principali quotidiani americani, l’allora Presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, colpito da una paralisi che all’epoca fu diagnosticata come causata da poliomielite, crea la NFIP (National Foundation for Infantile Paralysis). Il suo obiettivo fondamentale era quello di raccogliere altri fondi per la lotta contro la polio, al fine di accelerare la ricerca di un vaccino e l’aiuto ai malati. In seguito l’opera delle NFIP prenderà il nome di March of Dimes (Marcia delle monetine): il 20 gennaio di ogni anno, in occasione del compleanno di Roosevelt, tutti i cittadini americani erano invitati a versare dieci centesimi di dollaro per combattere la polio. La campagna si avvalse anche della collaborazione di numerosi personaggi celebri dell’epoca. In questo modo verranno raccolti milioni di dollari e la NFIP avrà la possibilità di finanziare altre ricerche per un vaccino efficace e sicuro.
Nel ’39 Sabin annuncia alla comunità scientifica la sua prima ed importante scoperta sulla natura del virus poliomielitico che attaccava le fibre nervose, dimostrando che, a differenza di quanto si era creduto fino ad allora, la sede prediletta di tale virus era l’intestino. Non si trattava pertanto di un virus respiratorio, bensì enterico, e la conoscenza del “terreno” dove si sviluppava rappresentava un dato fondamentale per la ricerca di un farmaco per debellarlo.
Mentre prosegue le sue ricerche, in Europa scoppia la Seconda guerra mondiale. Sabin vi perderà due nipotine, Amy e Deborah, uccise dai nazisti a Bialystok.
Alla fine del ’41, quando anche gli Stati Uniti entrano in guerra, Sabin, che pochi mesi avanti è diventato consulente della commissione militare per le malattie da virus neurotropi, entra nell’esercito; sbarca prima in Sicilia e poi a Okinawa, dove installa un laboratorio da campo.
Dopo la guerra, nel ’46, viene nominato capo della ricerca pediatrica della sua Università.
L’anno seguente, quando è di stanza a Berlino, dove si occupa dell’ospedale militare, assiste ad una gravissima epidemia di polio, che colpisce moltissimi bambini della semidistrutta capitale tedesca.
Tornato negli Stati Uniti, riprende le sue ricerche e, per condurre gli esperimenti in modo migliore, venne dotato di enorme laboratorio.
Nel ’49, con lo stanziamento di oltre un milione e trecentomila dollari, la NFIP ha la possibilità di varare uno studio multicentrico in numerose università americane (compresa quella di Cincinnati). Nel frattempo le epidemie di polio del mondo aumentano ogni anno: in Danimarca arriva la terribile epidemia di Copenaghen del ’52, mentre negli Stati Uniti si verificano decine di migliaia di casi.
Nel ’53, al Children Hospital di Cincinnati, Sabin ha finalizzato le ricerche per la messa a punto di una sospensione di virus attenuati. Il vaccino di Sabin, sviluppato in concorrenza a quello dell’immunologo Hilary Koprowski (1916-2013), consisteva nello stesso virus della polio, ma “attenuato”, ovverosia privato della capacità di provocare la paralisi delle fibre nervose. L’organismo in cui veniva immesso il virus attenuato, di fronte a tale minaccia, produceva allora gli anticorpi adatti.
Albert Sabin-virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
Sabin comincia allora a testare il vaccino sull’uomo: prima su se stesso, poi su due suoi collaboratori: il dottor Ramos Alvarez, un medico messicano che lavora come suo assistente, ed un tecnico afroamericano che lavora nel suo laboratorio. I primi esperimenti su vasta scala Sabin li potrà effettuare fra alcuni giovani detenuti che si offriranno volontari. Il medico polacco, dopo lunghe esitazioni, ottiene la possibilità di cercare dei volontari fra i detenuti delle carceri federali della contea di Chillichote, in Ohio, e ne trova centinaia.
Questi primi controlli ed i successivi avranno esito positivo. Si passa così ai bambini, e le prime saranno proprio le due figlie di Sabin, Amy e Deborah – chiamate così in ricordo delle nipotine uccise dai nazisti – che all’epoca avevano rispettivamente cinque e sette anni. Dopo un’ulteriore lunga serie di prove, Sabin presenta i risultati degli esperimenti condotti alla Commissione per l’immunizzazione del NFIP.
In questo periodo un altro ricercatore, il fino ad allora sconosciuto Jonas Edward Salk (1914-1995), dell’Università di Pittsburg (in Pennsylvania), che lavorava anch’egli da molti anni sulla poliomielite, utilizzando virus uccisi con formalina, mette a punto tre vaccini contro il morbo. L’idea del dottor Salk, differente in confronto a quella di Sabin, era che l’organismo fosse in grado di generare gli anticorpi contro la polio anche in presenza di virus “uccisi” tramite il formolo. I vaccini erano tre perché, come era già stato dimostrato in precedenza, le migliaia di ceppi noti di poliovirus, erano riconducibili a tre tipi fondamentali. Pertanto, affinché un vaccino fosse efficace, era necessario che contenesse gli antigeni per tutti e tre i tipi di poliovirus.
Dopo l’annuncio da parte di Salk, nel ’52 furono avviati gli esperimenti per dimostrare che il preparato agisse come vaccino, ovverosia a protezione contro i virus naturali: i primi esperimenti risultarono positivi e nell’aprile del ’54 la NFIP varò ufficialmente il programma di vaccinazione di massa. Furono vaccinati oltre quattrocentomila bambini americani ed altrettanti bambini ricevettero un “placebo” (per effettuare così uno “studio casuale in doppio cieco”)
Nel ’55 alcuni bambini, appena vaccinati, furono colpiti mortalmente da poliomielite violenta. Il vaccino Salk si rivelò così inefficace, in quanto non garantiva una protezione assoluta, soprattutto nei casi di paralisi.
La vicenda avrà anche un breve strascico legale con il boicottaggio del vaccino Salk da parte di alcune organizzazioni di madri e la formazione di una commissione parlamentare in cui fu interrogato lo stesso Sabin, il quale non negherà mai i meriti scientifici di Salk – che rispettava molto -, ma le sue critiche al vaccino non furono gradite dal “rivale”, che in seguito arriverà ad accusare Sabin di “antipatriottismo” (accusa che, ovviamente, era del tutto infondata e nulla aveva a che fare con il discorso scientifico)
Il vaccino scoperto da Salk era in grado di prevenire molte complicazioni della malattia, ma non di evitare il contagio iniziale. Inoltre doveva esser somministrato tramite iniezione. Quello di Sabin, invece, evitava di contrarre la malattia, non necessitava di ulteriori richiami ed era somministrato per via orale, sciolto su una zolletta di zucchero. A questo proposito, una curiosità cinematografica riguarda il fatto che, nel celeberrimo “evergreen” disneyano Mary Poppins (1964) di Robert Stevenson, nella canzone Un poco di zucchero, il ritornello «Basta un poco di zucchero / e la pillola va giù» fa riferimento diretto proprio alla modalità di somministrazione del vaccino anti-polio di Sabin.
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Il vaccino Salk viene perfezionato e nel ’55 le autorità sanitarie americane ne autorizzano la vendita: dopo le iniziali perplessità, gli Stati Uniti adottano così il vaccino Salk.
Sabin mette a punto il suo vaccino fra il ’54 e il ’55. Tuttavia, mentre il vaccino di Salk viene velocemente approvato ed in seguito applicato su vasta scala, Sabin dovrà attendere alcuni anni in quanto la sperimentazione in massa del suo vaccino, fatto con virus vivi ed attenuati e somministrabile per via orale, richiede maggiori cautele. Ma al di là di tale aspetto, l’approvazione delle autorità sanitarie degli Stati Uniti sul vaccino in modo che fosse disponibile subito per la vaccinazione di massa, sarà a dir poco tardiva. Questo avviene per vari motivi (alcuni parlarono di campanilismo, in quanto Sabin, pur essendo cittadino americano fin dal 1930, era un ebreo polacco e l’antisemitismo era piuttosto diffuso anche negli Stati Uniti). In quegli anni fra il ’55 ed il ’59 Sabin non viene molto creduto né seguito: neppure nella sua Polonia il suo vaccino ha successo e gli viene preferito quello di Salk.
In ogni caso, gli studi di Sabin sicuramente non saranno comunque vani. L’Unione Sovietica, insieme ad altri Paesi dell’Europa dell’Est, chiede a Sabin la possibilità sperimentare il suo vaccino sulle loro popolazioni. Il primo Paese a produrre il vaccino su scala industriale sarà la Cecoslovacchia, seguita dalla Polonia, da vaste aree dell’Unione Sovietica, dalla RDT (Repubblica Democratica Tedesca – meglio nota come Germania Est) e dalla Jugoslavia. Anche in Asia, a Singapore, verranno sottoposti a vaccinazione oltre duecentomila bambini. Fra il ’59 ed il ’61 verranno vaccinati milioni di bambini dei Paesi dell’Est europeo dell’Asia ed anche in alcuni Paesi dell’Europa occidentale. In Italia il vaccino anti-polio di Sabin verrà autorizzato nel ’63 e reso obbligatorio tre anni dopo, nel ’66, permettendo così la scomparsa della malattia. La stessa cosa avverrà in tutti gli altri Paesi in cui era stato reso obbligatorio.
Visti i grandissimi risultati ottenuti, vengono prodotti e distribuiti sul mercato notevoli quantitativi del vaccino Sabin “orale monovalente” contro il poliovirus di tipo I. In seguito vennero messi in vendita sia il vaccino orale di tipo II (OPV – Oral Polio Vaccine) sia quello trivalente (TOPV – Trivaliant Oral Polio Vaccine), efficace contro tutti e tre i tipi di poliovirus. Il crescente successo del vaccino Sabin, unito all’assenza di pericoli che assicurava ed alla più facile somministrazione in confronto a quello di Salk, fece sì che anche gli Stati Uniti d’America adottassero, sia pur con forte ritardo, questo vaccino. Le diatribe sul conto di Sabin e del suo vaccino cessarono e, fra il ’62 ed il ’64, il farmaco assunse grandissima autorevolezza in tutto il mondo e, nello stesso tempo, crebbe la riconoscenza scientifica nei confronti del medico polacco. Con la famosa zolletta di zucchero con vaccino Sabin, fu possibile vaccinare centinaia di milioni di bambini in tutto il mondo. I risultati ottenuti, grazie al vaccino di Sabin sulla morbilità per poliomielite nei Paesi che hanno un’organizzazione sanitaria di base sufficientemente evoluta sono tali che a volte si è discusso sulla possibilità di conservare l’obbligatorietà della vaccinazione anti polio solo in quelle nazioni ancora classificabili come “a rischio”.
Dal ’69 al ’72 Sabin è presidente del Weizmann Institute of Science di Rehovot, in Israele. A partire dalla fine degli anni Settanta/inizio Ottanta, sia pur ufficialmente ritirato dall’attività, si dedicherà per circa un decennio ad altri importanti studi immunologici, soprattutto nel campo della lotta contro i tumori, le leucemie ed il morbillo («Mi è parso che uno specialista in virus, come sono finito per diventare, abbia il dovere di usare le sue conoscenze per far del bene all’umanità»). Oltre alle ricerche nel campo della microbiologia generale (meccanismi della resistenza ereditaria e dell’immunità contro i virus, studio dei virus oncogeni), notevoli saranno anche quelle nella microbiologia applicata (allestimento di vaccini preventivi e di tecniche diagnostiche per alcune malattie, fra cui la toxoplasmosi, l’encefalite giapponese di tipo B e la dengue).
Nonostante non abbia mai ricevuto il Premio Nobel, per le sue scoperte mediche, nel corso della sua lunga carriera Sabin riceve circa quaranta lauree honoris causa da parte di università europee e non, oltre al Premio Koch (nel 1962), al Premio Internazionale Feltrinelli (nel 1964) dell’Accademia dei Lincei ed alla Medaglia Nazionale per la Scienza (nel 1970) «per numerosi contributi fondamentali a comprendere i virus e le malattie virali, culminati nello sviluppo del vaccino che ha eliminato la poliomielite quale maggiore minaccia per la salute umana».
Nel maggio 1986 riceve la prestigiosa Medaglia Presidenziale per la Libertà.
Fra i suoi numerosi scritti ricordiamo Poliomyelitis papers and discussions presented at the Fourth international poliomyelitis conference (1958); Paralitic poliomyelitis: old dogmes and new perspectives, in Review Infectious Diseases, 3 (1981); Vaccine control of poliomyelitis in the 1980, in «Journal Biol. Med.». 55 (1982).
Per quanto riguarda il suo vaccino contro la poliomielite, Sabin non lo brevetterà mai, rinunciando così allo sfruttamento commerciale da parte delle industrie farmaceutiche (nonché a guadagni personali che sarebbero stati senz’altro – è del tutto superfluo dirlo – di ragguardevole entità), affinché il prezzo contenuto permettesse una più vasta diffusione della cura: «In molti insistevano perché brevettassi il vaccino, ma non ho voluto. È il mio regalo ai bambini di tutto il mondo», dichiarò Sabin negli anni Settanta.
Pertanto, dalla realizzazione del suo importantissimo vaccino non guadagnò mai un solo dollaro, continuando a vivere con il suo stipendio – e poi con la pensione – da professore universitario. Sicuramente un ottimo stipendio, ma ovviamente parliamo di cifre ridicole in confronto a quelle che avrebbe guadagnato se avesse deciso di brevettare il vaccino.
Inoltre, impossibile non ricordare il fatto che, in piena epoca di Guerra fredda, donerà i suoi ceppi virali allo scienziato russo Mikhail Chumakov (1909-1993), in modo tale da permettere lo sviluppo del vaccino anche in Unione Sovietica. E così, anche in tale occasione, Sabin andrà al di là delle questioni politiche – in epoche in cui il mondo era nettamente diviso in due dal Muro di Berlino – nell’interesse di un bene superiore.
Albert Bruce Sabin muore all’ospedale della Georgetown University – a Washington – nel marzo 1993 all’età di ottantasei anni, lasciando in tutti coloro i quali/le quali avevano lavorato con lui e/o lo avevano conosciuto il ricordo di una persona di altissimo livello e che, sia nel corso della sua vita sia della sua carriera, è sempre stata attenta alla “sostanza” e mai all’apparenza
Dr Albert Sabin (b.1906), Polish-American microbiologist and discoverer of the oral polio vaccine. In 1921, Sabin emigrated from his native Poland to the USA with his parents. He was educated at New York University, and gained his MD in 1931. After Enders had successfully cultured the virus responsible for poliomyelitis, Sabin decided to work on a vaccine. Unlike the vaccine produced by Salk, Sabin’s was a live attenuated vaccine. The vaccine was tested in Russia on 4.5 million people, and was shown to be completely safe. Sabin’s vaccine was also much longer-lasting than Salk’s and could be taken orally.
Albert Bruce Sabin
American physician and microbiologist
This article was most recently revised and updated by Encyclopaedia Britannica.Albert Bruce Sabin (born Aug. 26, 1906, Białystok, Poland, Russian Empire—died March 3, 1993, Washington, D.C., U.S.) was a Polish American physician and microbiologist best known for developing the oralpoliovaccine. He was also known for his research in the fields of human viral diseases, toxoplasmosis, and cancer. Sabin immigrated with his parents to the United States in 1921 and became an American citizen nine years later. He received an M.D. degree from New York University in 1931, where he began research on human poliomyelitis. After serving for two years as a house physician at Bellevue Hospital in New York City, he attended the Lister Institute of Preventive Medicine in London. In 1935 he joined the staff of the Rockefeller Institute for Medical Research in New York City, where he was the first researcher to demonstrate the growth of poliovirus in human nervous tissue outside the body.
In 1939 Sabin became associate professor of pediatrics at the University of Cincinnati College of Medicine in Ohio and chief of the division of infectious diseases at the Children’s Hospital Research Foundation of the college. He later became professor of research pediatrics. While at the college, he disproved the prevailing theory that the poliovirus enters the body through the nose and respiratory system; he subsequently demonstrated that human poliomyelitis is primarily an infection of the digestive tract. Sabin postulated that live, weakened (attenuated) virus, administered orally, would provide immunity over a longer period of time than killed, injected virus. By 1957 he had isolated strains of each of the three types of poliovirus that were not strong enough to produce the disease itself but were capable of stimulating the production of antibodies. He then proceeded to conduct preliminary experiments in the oral administration of these attenuated strains. Cooperative studies were conducted with scientists from Mexico, the Netherlands, and the Soviet Union, and finally, in extensive field trials on children, the effectiveness of the new vaccine was conclusively demonstrated. The Sabin oral polio vaccine was approved for use in the United States in 1960 and became the main defense against polio throughout the world.
Sabin also isolated the B virus, conducted research that led to the development of vaccines for sandfly fever and dengue, studied how immunity to viruses is developed, investigated viruses that affect the nervous system, and studied the role of viruses in cancer.
Sabin became professor emeritus at Cincinnati in 1971, and from 1974 to 1982 he was a research professor at the Medical University of South Carolina in Charleston.
Franco Leggeri Fotoreportage-Murales Ospedale Spallanzani di Roma – 6) Albert Sabin-virologo – creò il vaccino contro la poliomielite
Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani –Medico polacco (Białystok 1906 – Washington 1993), naturalizzato statunitense. Laureatosi alla New York University, lavorò in diversi campi della medicina (batteriologia, anatomia patologica, clinica medica e chirurgica) e in varî ambienti scientifici americani e inglesi; prof. alla Children’s hospital research foundation dell’univ. di Cincinnati. Particolare risonanza hanno avuto le sue ricerche nel campo della microbiologia generale (meccanismi della resistenza ereditaria e dell’immunità contro i virus; studio dei virus oncogeni, ecc.) e applicata (allestimento di vaccini preventivi e di tecniche diagnostiche per alcune malattie, tra cui la toxoplasmosi). S. si dedicò in particolare agli studî sulla poliomielite. Nel 1936, in collaborazione con P. Oitsky, riuscì a coltivare su un tessuto nervoso il poliovirus e a dimostrarne la primitiva localizzazione a livello del tubo digerente. Intorno al 1953 ottenne da tre ceppi dello stesso virus mutanti adattativi sprovvisti di azione patogena ma tuttavia capaci di moltiplicarsi nell’organismo umano e di indurre, quindi, uno stato di immunità. In tal modo S. poté allestire nel 1956 un vaccino antipoliomielitico attivo per via orale, che trovò un impiego di massa dal 1961 e rappresentò un ulteriore progresso nei confronti del vaccino di Salk (già sperimentato nel 1952 e usato su larga scala dal 1954-55), ottenuto con virus ucciso e somministrabile solo per via parenterale. Premio Feltrinelli (1964) per le scienze mediche e chirurgiche applicate.
St. Andrew’s Church di Roma-MALIA Concerto Spettacolo
Roma – St. Andrew’s Church -MALIA – Il Salotto Musicale dell’800. Concerto Spettacolo. Le più belle arie da salotto di Francesco Paolo Tosti e Canzoni Napoletane d’autore.Una serata all’insegna della leggerezza e della raffinatezza, per un originale spettacolo di notevole qualità artistica, creato con l’intento di dare corpo alle suggestioni (di volta in volta appassionate, tristi, allegre ed esilaranti) evocate dall’ambiente e dalla situazione, ricreando, con l’esecuzione di arie da camera e romanze da salotto, valzer, canzoni napoletane d’autore e la lettura di poesie e brani letterari, quella che era la tipica atmosfera dei salotti borghesi e nobiliari dell’ottocento.
Locandina-St. Andrew’s Church -Roma-MALIA – Il Salotto Musicale dell’800- Concerto Spettacolo.
The most famous Salon Romances by Francesco Paolo Tosti end the Masterpieces of the Neapolitan Song (Copyright 2025)
A very nice show which will take you in a 1800 musical living room with musicians in original dresses
IL Salotto Musicale dell’800
Le più belle arie da salotto di Francesco Paolo Tosti e Canzoni Napoletane d’autore (Copyright 2025)
Sabato 25 gennaio 2025 ore 19.30
Sabato 29 Marzo 2025 ore 19.30
Sabato 31 Maggio 2025 ore 19.30
St.Andrew’s Church of Scotland – Chiesa Scozzese
Via XX Settembre 7, 00187 Roma
“Una serata all’insegna della leggerezza e della raffinatezza, per un originale spettacolo di notevole qualità artistica, creato con l’intento di dare corpo alle suggestioni (di volta in volta appassionate, tristi, allegre ed esilaranti) evocate dall’ambiente e dalla situazione, ricreando, con l’esecuzione di arie da camera e romanze da salotto, valzer, canzoni napoletane d’autore e la lettura di poesie e brani letterari, quella che era la tipica atmosfera dei salotti borghesi e nobiliari dell’ottocento.
Calatevi in questa deliziosa atmosfera d’epoca…
Vi aspettiamo! Siete tutti invitati!!!”
“An evening of gracefulness and elegance, for an original show of remarkable artistic quality, created with the intention of giving substance to the suggestions (from time to time passionate, sad, cheerful and hilarious) evoked by the environment and by the situation, to recreate the typical atmosphere of the bourgeois and noble salons of the nineteenth century, with the execution of chamber and salon music, arias, waltzes, Neapolitan writer’s songs and the reading of poems and literary passages.
Come into this delightful period atmosphere …
We are waiting for you! You’re all invited!!!”
(Tutti i dirittti riservati/All rights reserved)
Bruna Tredicine, soprano
Tiziana Pizzi, contralto
Massimo Simeoli, baritono
Emilia Nigro, violino
Mirco Roverelli, pianoforte
Biglietto intero/Full price ticket – euro 20
Ridotto/Reduced for under 18/over 65 – euro 15
Ridotto under 10 e invalidi civili/reduced for under 10 and disabled civilians – euro 10
Biglietto promoxdue/promotickets for two – euro 35
Biglietto promoxtre/promo for three minigroup or family (minigruppo o famiglia) – euro 50
*I biglietti possono essere acquistati direttamente al botteghino, ma è possibile anche effettuare prenotazioni e pagamenti dei biglietti scelti tramite l’indirizzo Paypal info@amrds.it, comunicandoci numero e tipologia dei biglietti ed effettuando poi direttamente l’ingresso (tramite nominativo).
*Tickets can be purchased directly at the box office, but it is also possible to make reservations and payments for the chosen tickets with the Paypal address info@amrds.it, by letting us know the number and type of tickets and then entering directly (with name).
Apertura botteghino ore 19.00/Box office opens at 7.00pm
Ingresso Pubblico dalle ore 19.00/Public entrance at 7.00pm
N.B. per motivi organizzativi vengono accettati pagamenti solo in CONTANTI; unico pagamento online disponibile, Paypal.
N.B. for organizational reasons, payments are only accepted in CASH; the only online payment available is PayPal.
Biglietti disponibili anche su: Classictic – Eventbrite – Billetto – OOOH Events
Frosinone, al Teatro Vittoria va in scena “Famiglia micidiale”
Frosinone-Prosegue la nuova stagione di prosa autunnale al Teatro Vittoria, organizzata dall’Amministrazione Mastrangeli mediante gli assessorati alla Cultura (Simona Geralico) e Centro storico (Rossella Testa) in collaborazione con Good Mood.Cinque i prossimi appuntamenti in programma, fino ad aprile 2025.
Giovedì 23 e venerdì 24 gennaio sarà di scena alle 21 “Famiglia micidiale”, con Enzo Casertano, Beatrice Fazi, Gianni Ferreri e Alessandra Merico.
Frosinone, al Teatro Vittoria va in scena “Famiglia micidiale”
La trama dello spettacolo teatrale
La famiglia Moscetti ha un grande astio nei confronti dei vicini, i Longobardi. Ogni cosa diventa un motivo di sfida tra le due famiglie, soprattutto in occasione delle festività: luminarie migliori, addobbi più appariscenti, pranzi e feste più riuscite.
Ma anche nel quotidiano si intrattengono invidie e gelosie: acquisti di macchine, vacanze più lussuose, vestiti firmati, persino la razza del cane diventa motivo di competizione.
Un giorno però a casa dei vicini avviene un fatto drammatico. I Moscetti vivono un momento di scarsa compassione per il lutto immediatamente interrotto da un nuovo motivo di invidia: i Longobardi sono improvvisamente sotto l’occhio dei riflettori nazionali. I Longobardi sono diventati famosi. I Moscetti però non vogliono essere secondi a nessuno e studiano un piano per il contrattacco. Ci riusciranno? Una commedia esilarante ricca di colpi di scena, un giallo comico che vi terrà incollati alle poltrone!
Info&Biglietti
Prevendita online su https://www.ciaotickets.com/it/comune-di-frosinone. L’abbonamento valido per tutti gli spettacoli, per la platea, è adesso in vendita al costo di 90 euro; quello per la galleria a 50.
I biglietti e gli abbonamenti possono essere acquistati anche presso la biglietteria del Teatro Comunale Vittoria a partire dalle tre ore antecedenti lo spettacolo; il pagamento potrà essere effettuato solo tramite pos.
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Dina Ferri: la giovane “poetessa-pastora” ora riscoperta
DINA FERRI
Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908. Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi.Muore nel 1930 a soli ventidue anni, a Siena. Aveva un istinto naturale per la poesia e ci ha lasciato tutto nel suo “Quaderno del nulla”
Al pascolo
Mugghiano ai venti bianchi buoi pascenti lungo i declivi, tra i sonanti rivi. E vanno lenti ne’ chiaror silenti de’ tramonti d’oro. Sognan di lavoro.
Dicembre
Sotto vel di bianca brina dorme squallida natura non ha verde la collina non ha messi la pianura. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre il cielo.
Non più nidi tra le fronde; non si perdono nel vento, non echeggiano gioconde le canzoni a cento a cento. Acqua, vento, neve, gelo, densa nube copre ‘l cielo.
Vorrei
Vorrei fuggire nella notte nera, vorrei fuggire per ignota via, per ascoltare il vento e la bufera, per ricantare la canzone mia.
Vorrei mirare nella cupa volta fise le stelle nella notte scura; vorrei tremare ancor come una volta, tremar vorrei, di freddo e di paura.
Vorrei passar l’incognito sentiero, fuggir per valli, riposarmi a sera, mentre ritorni, o giovinetto fiero, chiamando i greggi, e piange la bufera.
Alla rondine
Dimmi di mare rondine bruna, dimmi di mare, tu che lo sai; quando ne’ cieli sale la luna, cosa le stelle dicono mai?
Cosa ti dice l’onda turchina quando la notte veglia sui mari? Forse nel cuore di pellegrina sogni la gronda de’ casolari?
Pace
Udivo nel piccolo fosso sommesso gracchiare di rane; passava tra i rami di bosso sussurro di preci lontane.
Rideva nel cielo profondo pensosa la pallida luna; veniva, da lungi, giocondo un cantico lieve di cuna.
L’ombra
Chiesi un giorno a le nubi lontane quando l’ombra finisce quaggiù; mi rispose vicino una voce, una voce che disse: Mai più!
Alle stelle del cielo turchino, a la notte vestita di nero, io richiedo con timida voce, come allora, lo stesso mistero.
Io richiedo ne l’ombra la via e risogno la luce che fu; ma risento la solita voce; quella voce che dice: Mai più!
Partì
E’ spenta la querula voce
e c’è questa povera croce.
Partì per un lungo viaggio,
partì con le rose di maggio.
Fuggì nel silenzio, lontano,
e chiuse la piccola mano.
Non linda di crine la cucina;
ma pesa la terra, ma bruna.
DINA FERRI
Breve Biografia –Dina Ferri nacque ad Anqua di Radicondoli (SI) il 29 settembre 1908.Pochi anni dopo la sua nascita, i genitori si trasferirono in un podere a Ciciano nel comune di Chiusdino. La piccola Dina fu mandata presto dietro il gregge delle pecore; dopo i 9 anni frequentò le prime classi elementari della scuola del paese, ma dopo tre anni i genitori le fecero interrompere gli studi. Prese qualche lezione di nascosto da una compagna di classe. Senza conoscere la metrica, iniziò a scrivere le sue impressioni poetiche che la bellezza della natura le produceva nell’animo. L’11 gennaio 1924 si tagliò tre dita della mano destra con il trinciafieno; per lenirne il dolore, i genitori la mandarono di nuovo alla scuola elementare, per frequentare la quale fece a piedi tutti i giorni circa dieci chilometri di strada. Notando il suo talento, l’ispettore scolastico persuase i genitori a inviare la bambina all’Istituto Magistrale e ottenne per lei un sussidio annuo dal Monte dei Paschi. Nel 1927 iniziò i corsi nell’Istituto di Santa Caterina di Siena, tornando a casa per le vacanze natalizie ed estive ed aiutando i genitori nella cura del gregge. A Siena, nonostante la rigida vita di Collegio, conobbe i più bei monumenti e l’arte della città e il 1º aprile 1928 assisté con commozione per la prima volta nella sua vita ad un concerto di Arthur Rubinstein che volle conoscerla. Il suo talento fu scoperto dal critico Aldo Lusini che pubblicò su La Diana un saggio delle poesie da lei composte e che ebbero subito una larga diffusione. La notorietà non la distolse dagli studi. Nel 1929 fu promossa alle Magistrali superiori. Un grave attacco d’influenza nell’inverno scosse la sua salute; in dicembre si allettò definitivamente e a febbraio fu portata all’Ospedale di Siena dove rimase in agonia per quattro mesi. Morì il 18 giugno 1930 a soli 22 anni. Dina Ferri teneva sempre un piccolo libro con sé, sul quale scriveva i suoi pensieri e le poesie. L’aveva intitolato Quaderno del nulla. Fu pubblicato nel 1931 dall’editore Treves e in ristampa nel 1999.Edizione Effigi copia anastatica a cura di Idiulio Dell’Era 2016.
Langston Hughes, “Queer Negro Blues” Marco Saya Edizioni,
Descrizione-Le « chansons vulgaires » di Langston Hughes-Nota a cura di Luca Cenacchi, introduzione al testo e traduzione di Alessandro Brusa-Rivista«Atelier»-Queer Negro Blues (Marco Saya Edizioni, 2023) raccoglie le prime due raccolte pubblicate dal poeta: The Weary Blues (1926) e Fine Clothes to the Jew (1927). Alessandro Brusa, curatore del libro, decide di tradurre quella parte dell’opera di Hughes talvolta lasciata a piè di pagina e in un’articolata quanto ben documentata introduzione argomenta le ragioni dell’audace titolo, il quale ben contestualizza i testi di questa antologia all’interno del panorama culturale dell’Harlem Renaissance. Hughes interseca nelle sue chansons vulgaires il concetto di New Negro, il blues il jazz e rappresentazioni queer. In questo articolo ci si occuperà principalmente della rappresentazione dei night club di Harlem e in che modo essa possa essere letta come una vera e propria “eterotopia blues e queer”. Per chiarezza espositiva si riporteranno le traduzioni delle poesie citate nei paragrafi e in calce all’articolo il testo in lingua.
Regolamentazione della vita notturna durante l’Harlem Renaissance
Le rappresentazioni queer presenti in questa antologia dei night club di Harlem differiscono notevolmente dall’immaginario odierno: i testi stessi, infatti, non descrivono apertamente la queerness dell’autore, ma al contrario tendono a dissimularla lasciando il tutto, o quasi, all’interpretazione. Pertanto non ci sono elementi probanti sull’orientamento effettivo di Hughes e questo è ancora territorio di speculazione. Tale elemento però, come rimarca Brusa stesso, è irrilevante poiché lo statuto di queer di questi luoghi ha una motivazione prima di tutto storica: infatti i night clubs coinvolgono un bacino di utenza estremamente diversificata per orientamenti sessuali, costumi ecc… e proprio per questa loro eterogeneità sono luoghi che hanno visto una severa regolamentazione e soventemente subivano incursioni della polizia.
Il provvedimento più importante a danno di questi spazi è la normativa statunitense??? del 1907 che interdiceva l’attività dei night club oltre un orario specifico. Infatti l’after-hours notturno ad Harlem poteva essere il lasso temporale in cui si espandevano i limiti della socialità tradizionale e pertanto divenivano centri di tolleranza per la cultura LGBTQI+, la quale si mescolava ad altre realtà come quella criminale. Come riporta Shane Vogel, a molti di questi locali veniva revocata la licenza a causa di una sorta di oltraggio alla decenza: «In una lettera al commissario di polizia, in cui lo informava del cambio legislativo, il sindaco dichiarò: “Le persone che frequentano questi luoghi dopo l’orario di chiusura non sono di norma persone rispettabili. Sono volgari, rozzi e spesso apertamente immodesti. Si ubriacano, si comportano in modo chiassoso e si abbandonano a balli lascivi in sale dedicate a tale uso. È ora di porre fine a tutte queste orge volgari. Ho revocato tutte queste licenze a partire dal 1° aprile prossimo”. L’una di notte divenne nota come “ora di Gaynor”; di frequente si sentivano storie di gestori e avventori che sfidavano la polizia e che venivano allontanati con la forza.»[1]
Questa specifica direttiva storiografica aiuta quindi a mettere in prospettiva i vari elementi disseminati da Hughes all’interno di alcune poesie presenti all’interno di questa antologia e a comprendere come l‘autore unisse l’ondata New Negro alla queerness dei locali di Harlem rappresentando pertanto all’interno delle proprie chansons vulgaires (canzoni volgari) un’eterotipia blues e queer.
Le “canzoni volgari” di Hughes: l’eterotipia dei night clubs
Il night club delle poesie di Hughes, quindi, non è solo l’ambiente in cui la socialità queer emerge, ma essa è inserita in un ampio “ecosistema” notturno dalle complesse dinamiche. Questo rende i locali di Harlem una vera e propria eterotipia di deviazione secondo la definizione foucaultiana dell’omonimo saggio: spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo. Queer Negro Blues, per l’eterogeneità intrinseca di questi ambienti, è un insieme di “canzoni volgari”, come le definisce l’autore, di grande eterogeneità. Infatti la figuralità naturalistica – quasi da egloga – tipica di alcune poesie per descrivere le spogliarelliste (Nude Young Dancer) viene affiancata da altri componimenti dal tono cronachistico, i quali descrivono la drammaticità della vita delle sex workers africane del primo Novecento (Young Prostitute).
Giovane ballerina nuda
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Notturna anima danzante nell’ora più confusa?
Quale immensa foresta ha steso il proprio profumo
Che come dolce velo sul tuo giaciglio riposa?
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Tu nera come la notte e dalle anche vivaci?
Quale livida luna ti è stata madre?
A quale candido ragazzo hai offerto i tuoi baci?
*
Giovane prostituta
Quella sua faccia scura
È come un fiore appassito
Su di uno stelo spezzato.
Quelle così vengono via a poco ad Harlem
O almeno così si dice.
L’eterogeneità, tuttavia, non è il solo risultato dell’unione dei molteplici tasselli con cui Hughes fornisce un’immagine di Harlem, ma, coerentemente con il saggio foucaultiano precedentemente citato, il night club è anche il luogo in cui le barriere della società diurna vanno a cadere, permettendo l’interazione di molteplici tipi sociali. Pertanto, oltre al loro intrinseco statuto contestativo, questi luoghi raccontano – anche attraverso personaggi – la vita del tempo senza censure, o quasi. Questo dettaglio acquisisce ulteriore rilevanza se si pensa che le leggi Jim Crow (1870-1964), che prevedevano la segregazione razziale nei servizi pubblici e passate alla storia col motto separate but equal [separati ma uguali], erano ancora in vigore.
Ballerini Negri
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Luci soffuse sui tavoli,
Musica allegra
Delinquenti dalla pelle scura
In un cabaret.
Amici bianchi, ridete!
Amici bianchi, pregate!
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Raccontare la vita senza barriere, però, significa anche farne emergere la complessità e soprattutto la contraddittorietà; per questo, in Queer Negro Blues, immagini ricorrenti come la notte e il rapporto tra l’autore e gli altri afro-americani è spesso ancipite, come ad esempio in Mulatto (o High Yellow, nella versione inglese).
Il night club, quindi, anche in relazione al contesto storico-politico del tempo, si impone come spazio altro non normato, in cui le divisioni della vita diurna venivano totalmente ristrutturate.
Alcune osservazioni sulla queerness dell’antologia: la wilderness marittima
Come si anticipava inizialmente, la queerness dell’autore è stata ampiamente dibattuta e le aperte rappresentazioni letterarie che egli ne dà (poesie come Café: 3 a.m. o la descrizione del ballo in drag nella sua autobiografia oppure il racconto Blessed Assurance sul rapporto tra un ragazzo omosessuale e suo padre) sono successive ai testi riportati in questa antologia. Come il traduttore, però, fa notare: «Nei testi di Hughes, così come in quelli di McKay, di Cullen e ovviamente di Nugent, il desiderio omosessuale è spesso nascosto o mistificato.»[2]. Questo era dovuto alla persistente omofobia della comunità nera tutt’ora perdurante, come testimonia Michael L. Cobb che: «non esita a dare la colpa alla forte omofobia presente, ora come allora, nella comunità artistica, e non solo di colore; si veda, ad esempio, ancora ai giorni nostri, l’omofobia presente nei testi di numerosi artisti neri». Brusa, pertanto, osserva come Hughes ed altri, soprattutto nei primi lavori, avrebbero tutti ereditato il topos whitmaniano dei loving comrades per celare la propria queerness. È interessante notare che molte delle poesie in questione (Long-trip, Boy, Water-Front Trips Port Town ecc…) connotino il mare come utopia (Water-Front Streets) oppure come luogo selvaggio/incontaminato connesso ad una pulsionalità vitale, giocando sulla polisemia di wilderness e sull’ambiguità intrinseca di verbi come dip, dive, rise e roll all’interno del componimento, che rendono le descrizioni metafora tanto dell’amplesso quanto della burrasca, per non parlare dei verbi hide/hidden che sono la prova più ovvia della dissimulazione di cui parlava Brusa. Se il night club era il luogo in cui inedite interazioni sociali emergevano, il mare è territorio liminale in cui l’umano viene lasciato a piè di pagina e di conseguenza ogni rapporto di forza viene realmente a cadere: la wilderness pertanto non è uno spazio cronachistico, ma eminentemente lirico. Infatti le miserie dei personaggi, la lotta razziale, la scansione della giornata e infine l’alternanza stessa di genere si dissolvono.
Fronte del Porto
La primavera qui non è così bella,
Ma navi da sogno prendono il mare
Verso luoghi di primavere meravigliose
E la vita è gioia da amare
La primavera qui non è così bella
Ma i ragazzi si avventurano in mare
Portano bellezze nel cuore
E sogni, come anche io so fare.
*
Porto di Mare
Hey, marinaio,
Rientrato dal mare!
Hey, marinaio,
Con me devi venire!
Dai su, bevi un cognac.
O forse vuoi del vino?
Dai su vieni qui, io ti amo.
Vieni qui e non dirmi di no.
Dai su, marinaio,
Uscito dal mare.
Andiamo, dolcezza!
Con me devi venire.
*
Lungo Viaggio
Il mare è desolata distesa d’onde,
Un deserto d’acqua.
Ci tuffiamo e ci immergiamo,
Ci innalziamo e barcolliamo,
Ci nascondiamo e veniamo nascosti
Nel mare.
Giorno, notte,
Notte, giorno,
Il mare è un deserto d’onde,
Una desolata distesa d’acqua.
Testi in inglese
Nude young dancer
What jungle tree have you slept under,
Midnight dancer of the jazzy hour?
What great forest has hung its perfume
Like a sweet veil about your bower?
What jungle tree have you slept under,
Night-dark girl of the swaying hips?
What star-white moon has been your mother?
To what clean boy have you offered your lips?
*
Young prostitute
Her dark brown face
Is like a withered flower
On a broken stem.
Those kind come cheap in Harlem
So they say
*
Negro Dancers
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Soft light on the tables,
Music gay,
Brown-skin steppers
In a cabaret.
White folks, laugh!
White folks, pray!
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
*
Water-Front Streets
The spring is not so beautiful there,-
But dream ships sail away
To where the spring is wondrous rare
And life is gay.
The spring is not so beautiful there,
But lads put out to sea
Who carry beauties in their hearts
And dreams, like me.
*
Port Town
Hello, sailor boy,
In from the sea!
Hello, sailor,
Come with me!
Come on drink cognac.
Rather have wine?
Come here, I love you.
Come and be mine.
Lights, sailor boy,
Warm, white lights.
Solid land, kid.
Wild, white nights.
Come on, sailor,
Out o’ the sea.
Let’s go, sweetie!
Come with me.
*
Long Trip
The sea is a wilderness of waves,
A desert of water.
We dip and dive,
Rise and roll,
Hide and are hidden
On the sea.
Day, night,
Night, day,
The sea is a desert of waves,
A wilderness of water.
Langston Hughes
Alessandro Brusa è nato a Imola nel 1972 e vive a Bologna.Ha pubblicato due romanzi: Il Cobra e la Farfalla (Pendragon 2004) e L’Essenza Stessa (L’Erudita 2019) e tre raccolte di poesia: La Raccolta del Sale (Perrone 2013), In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone 2017) e L’Amore dei Lupi (Perrone 2021). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina. Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte, NazioneIndiana, MediumPoesia, InversoPoesia, Le Voci della Luna, PoetarumSilva, La Macchina Sognante). A maggio 2023 esce Queer Negro Blues (Marco Saya 2023) traduzione e curatela di una selezione antologica di testi del poeta americano Langston Hughes.
Luca Cenacchi si occupa principalmente di critica letteraria con particolare interesse verso la poesia queer italiana. Ha collaborato con varie riviste online e cartacee tra cui: Argoonline, Poetarum Silva, Atelier (cartaceo), Niederngasse, FaraPoesia e altri. Ha collaborato con diverse case editrici, per cui ha firmato prefazioni e interventi, tra cui: Oedipus, Atelier, Fara editore e Tempo al Libro. È stato giurato presso vari concorsi letterari tra cui Bologna in Lettere (Dislivelli 2018). Attualmente collabora con il collettivo forlivese Candischi con cui organizza presentazioni di poesia.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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Descrizione del libro Mille e una Callas-Voci e studi-A cura di Luca Aversano e Jacopo Pellegrini-Quodlibet S.r.l.-Tutti hanno sentito il suo nome, molti hanno udito la sua voce.La parabola spettacolare di un’artista che conobbe un’ascesa scabrosa benché non avara di riconoscimenti, fino a un culmine breve come tutti i culmini, e una prolungata, malinconica discesa verso una brusca morte misteriosa, ha ispirato romanzi, poesie, testi teatrali e musicali, spettacoli di danza, film, programmi radiofonici e televisivi. Crisalide mutatasi in icona di eleganza femminile, la greco-americana si fece italiana, anzi veneta (di Verona) e poi milanese, per finire francese o quasi: l’essenza internazionale del melodramma italiano non poteva essere sancita in forma più apodittica. Il suo canto, ora osannato ora censurato, il suo stile interpretativo paragonato alle grandi voci dell’Ottocento, le sue riconosciute facoltà di attrice hanno riportato prepotentemente l’opera lirica al centro del dibattito intellettuale, hanno aperto nuovi sentieri nel repertorio, hanno contribuito a rafforzare in Italia il ruolo della regìa operistica. Maria Callas (1923-1977) è tutto questo. Per la prima volta, filosofi, storici della letteratura, dell’arte, del teatro, del cinema, della danza, della moda, sociologi della comunicazione indagano gli effetti della sua presenza umana e artistica nella sfera dello spettacolo e del costume sociale. Lo studio del lascito artistico è affidato ai musicologi, impegnati anche a delineare possibili metodologie per un terreno di ricerca ancora poco dissodato – almeno in Italia – quale è l’interpretazione musicale. Dei ricordi parlano testimoni diretti e amici del grande soprano.
ANTONIO GRAMSCI, Quaderni del carcere, 1948/51: “Basta vivere da uomini, cioè cercare di spiegare a se stessi il perché delle azioni proprie e altrui, tenere gli occhi aperti, curiosi su tutto e tutti, sforzarsi di capire; ogni giorno di più l’organismo di cui siamo parte, penetrare la vita con tutte le nostre forze di consapevolezza, di passione, dì volontà; non addormentarsi, non impigrire mai; dare alla vita il suo giusto valore in modo da essere pronti, secondo le necessità, a difenderla o a sacrificarla. La cultura non ha altro significato”.
Antonio Gramsci (Ales, 22 gennaio 1891 – Roma, 27 aprile 1937) la sua vita e le sue opere, dalla fondazione del partito comunista alla prigionia in epoca fascista. Un uomo il cui pensiero politico ha influenzato tutto il Novecento. In questo filmato, tratto dal programma Comunisti d’Italia di Rai Play, il regista Carlo Lizzani racconta la figura dell’uomo politico italiano, filosofo, politologo, giornalista, linguista e critico letterario, considerato uno dei più importanti pensatori del XX secolo.
Nome completo Antonio Sebastiano Francesco Gramsci, nasce nel 1891 ad Ales, in provincia di Cagliari, quarto di sette fratelli. Si trasferisce nel 1911 a Torino per frequentare la facoltà di Lettere e Filosofia, entra in contatto con il movimento socialista e si iscrive al Partito Socialista. Nel 1919 fonda L’Ordine Nuovo, che dissente col Partito Socialista e con l’Avanti! riguardo ai consigli di fabbrica che stanno occupando le industrie un po’ in tutta Italia. Nel 1921 a Livorno è tra i fondatori del Partito Comunista italiano, nel 1924 viene eletto deputato ed è segretario del partito fino al 1927. Delegato italiano nell’esecutivo dell’Internazionale, in Russia Gramsci studia gli sviluppi della dittatura del proletariato. A Mosca conosce la violinista Giulia Schucht, che diventa sua moglie e dalla quale ha due figli. L’8 novembre del 1926, a causa delle leggi eccezionali contro gli oppositori, è arrestato dalla polizia fascista e condannato a vent’anni di reclusione. In cella Gramsci scrive I Quaderni dal carcere, che saranno in tutto 33 e consistono in uno sviluppo originale ed estremamente approfondito della filosofia marxista. L’aggravarsi delle sue condizioni di salute portano prima al suo ricovero in clinica e poi alla libertà condizionale. Muore per un’emorragia celebrale il 27 aprile del 1937.
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