Abbazia di FARFA- Reliquia della Sacra Spina-Nella Cappella delle reliquie si conserva gelosamente una Spina della Corona di Nostro Signore, recata a Farfa al tempo delle Crociate e tenuta sempre in grande considerazione.
Intorno a questo insigne cimelio della Passione si ricorda questo episodio.
Nel 1482 Alfonso, duca di Calabria, figlio di Ferrante, re di Napoli, avendo accampato il suo esercito nei prati di Granica, visitò l’Abbazia farfense. Fu mostrata al duca, assieme alle altre reliquie, anche la sacra Spina; il discorso cadde su altre Spine della stessa corona conservate in vari luoghi; allora Alfonso mostrò una di queste Spine che egli portava sempre addosso, fu messa a confronto con quella di Farfa e si vide che era differente.
Il duca, turbato da questo fatto, propose che fosse sperimentato, per mezzo della prova del fuoco, quale delle due e quella autentica. Fu acceso un fuoco nell’atrio della basilica e alla presenza di tutti i monaci, dello stato maggiore del duca Alfonso ed altri ecclesiastici , il duca getto per primo , tra le fiamme, la sua reliquia che brucio subito, quindi fu gettata alle fiamme la reliquia farfense che il fuoco “non ardì toccare”. La reliquia farfense fu gettata più volte tra le fiamme e il prodigio si rinnovò sempre. Dinanzi a questo fatto prodigioso il duca cadde in ginocchio e bacio il sacro cimelio e subito dopo lo riconsegnò , con devozione, al Priore raccomandandogli di custodire la sacra Spina con devozione e con miglio cautela.
Fonte-l’Abbazia di Farfa di D. Ippolito Boccolini –
L’Imperiale Abbazia di Farfa di Card. Ildefonso Schuster (Vaticano 1921)
Le foto sono di Franco Leggeri-
Conoscere l’Abbazia
Abbazia di Farfa-Foto di Franco Leggeri
Nel cuore dell’antica terra Sabina, ai piedi del monte Acuziano, in un’atmosfera di mistico silenzio, che avvolge anche il caratteristico Borgo che la circonda, sorge la storica Abbazia di Farfa, immersa nel fascino di una natura verdeggiante e sorridente, nella fresca aria mattutina che si respira intorno, riscaldata da un dolce sole i cui raggi oltrepassano i rami degli alberi, prima di giungervi.
L’abbazia di Farfa è un luogo particolarmente attraente, ricolmo di pace, di serenità, di semplicità, come sono semplici i monaci benedettini che vivono, in un clima di profonda spiritualità, la loro vita quotidiana tutta dedita al Signore e alla Madonna, alla quale essa è dedicata.
Fu dichiarata monumento nazionale nel 1928, per la bellezza architettonica ed artistica del monastero e della basilica, testimonianza di una storia più che millenaria tra periodi di grande splendore e periodi di decadenza o addirittura di distruzioni e dispersioni, seguiti sempre da rinascite e ricostruzioni, sì che ancor oggi l’abbazia è un centro di cultura e di spiritualità. Straordinaria anche la fioritura della santità, dal primo al secondo fondatore, rispettivamente S. Lorenzo Siro e S. Tommaso da Moriana, fino ai Beati Placido Riccardi e Ildefonso Schuster.
Tante le visite di re, imperatori e papi fino a quella di Giovanni Paolo II il 19 marzo 1993. Migliaia i visitatori che oggi la frequentano per ammirare il patrimonio di cultura e di arte che essa custodisce e rende accessibile e per il desiderio di trascorrere qualche ora o qualche giorno di riposo fisico e spirituale, usufruendo anche delle strutture di accoglienza e di ristoro, nonché del parco e delle passeggiate nella proprietà della Fondazione “Filippo Cremonesi“, che comprende pure le caratteristiche abitazioni del Borgo di Farfa con le graziose botteghe gestite da abili artigiani.
Abbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFAAbbazia di FARFA
Fjodor Savintsev fotografo: Come in un romanzo, viaggio nelle autentiche dacie russe di campagna.
Fyodor Savintsev, born in 1982, is a documentary photographer. In the early 2000s, Fyodor worked as photo journalist, collaborating with the world’s leading photo agencies. His stories have been published in the worlds media. Fyodor’s work is filled with deep meanings and symbolism. The author has his own language and style. Fyodor Savintsev has been having several solo and group exhibitions and has participated in auctions and fairs. He also published photo albums and books. He is playing an active role in the world of photography.
Fjodor Savintsev
Il fotografo Fjodor Savintsev ci apre le porte delle casette in legno del villaggio di Kratovo, vicino Mosca, per raccontare e immortalare un patrimonio architettonico fragile e bellissimo. I suoi scatti serviranno a promuovere una fondazione per la tutela delle antiche dacie private che caratterizzano la campagna russa. Sembrano uscite da un film di Nikita Mikhalkov. O da un racconto di Anton Chekhov. Sono le dacie russe di campagna. Casette in legno, solitarie e circondate dal bosco, immerse in un silenzio che sembra irreale. Le dacie russe sono ora al centro di un interessante progetto realizzato dal fotografo Fjodor Savintsev, conosciuto per aver pubblicato i propri scatti su importanti riviste internazionali.
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Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
La pandemia come forma di ispirazione
Il progetto è nato durante i difficili momenti della pandemia; quando la gente era costretta a stare chiusa in casa, o a cercare rifugio nelle proprie dacie di campagna, lontano dalle folle delle città. “Il progetto ‘Le dacie di Kratovo’ prende il nome da un villaggio di periferia vicino a Mosca – racconta il fotografo -. Tutto è iniziato quando sono tornato a casa dei miei genitori per aiutarli nel momenti difficili della pandemia. E così ho iniziato a raccogliere immagini documentarie delle vecchie dacie della periferia di Mosca”.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
Un viaggio affascinante nel passato. Un passato inciso nelle assi di legno, nelle cornici intagliate delle finestre, nei tetti spioventi che disegnano geometrie fantasiose, spesso frutto del gusto personale degli abitanti che le hanno costruite. Queste casette, infatti, il più delle volte sono state realizzate dalla gente comune, che in passato non si affidava ad architetti e costruttori. Il risultato è un “patchwork” unico di forme e colori.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
“Mi sono visto come un archivista che raccoglie informazioni e documenti – spiega Fjodor Savintsev -. In teoria, questo lavoro dovrebbe essere fatto da professionisti dell’architettura. Ma ho creato una tendenza affascinante che si è diffusa in diverse città. E noto un interesse crescente nello studio delle dacie a livello storico”.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
L’evoluzione dei suoi lavori
Nel corso degli anni l’attenzione di Savintsev si è spostata dai soggetti umani agli oggetti immobili. Un passaggio “fluido”, come lo ha definito lui stesso, mosso dal desiderio di raccontare l’architettura come se fosse un ritratto.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
“In generale nella mia carriera hanno prevalso i soggetti umani sull’architettura, ma adesso guardo anche le case attraverso la forma del ritratto. Faccio ritratti di case”, dice Savintsev, che ha sviluppato il suo progetto con un metodo di ricerca molto preciso, percorrendo strada per strada, viuzza per viuzza, alla ricerca di casette in legno da fotografare. Spesso si è messo sulle orme dei proprietari, per raccogliere testimonianze e informazioni sulla storia delle case, da poter poi condividere insieme alle immagini.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
Trovare i proprietari non è sempre stato facile: Savintsev si è rivolto al suo vasto pubblico di Instagram chiedendo se qualcuno conoscesse la storia di una particolare casa o dei suoi proprietari.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
“Instagram è uno strumento mediatico che mi permette non solo di condividere le mie foto con il pubblico, ma anche di costruire legami significativi, dando la possibilità alla gente di contattarmi direttamente. Più di qualche volta infatti sono stato contattato dai proprietari”, spiega.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
Per il fotografo documentarista, ottenere l’accesso alle case è di fondamentale importanza; ma spesso la gente si sente in soggezione davanti a obiettivi e macchine fotografiche, perciò Savintsev scatta le sue immagini sempre con lo smartphone.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
“Viviamo in un’epoca in cui le persone sono morbosamente a disagio quando vedono attrezzature professionali e credono che violino i loro confini privati. L’iPhone non provoca una tale reazione”, racconta Savintsev.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
Al momento Savintsev sta aiutando a restaurare cinque case e ha in programma di creare una fondazione per aiutare il recupero delle dacie private. “L’obiettivo è preservare il patrimonio dell’architettura in legno – spiega -. Lo Stato non stanzia fondi per mantenere gli immobili privati, e spesso case come queste finiscono in rovina. Ma sono molto interessanti dal punto di vista del nostro patrimonio culturale, anche se sono di proprietà privata. Quindi, l’idea della fondazione è di aiutare a preservare l’aspetto autentico e originale di queste dacie, anche se private”.
Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.Fjodor Savintsev fotografo-Reportage “dacie russe di campagna”.
Articolo scritto per la Rivista PEGASO N°8 del 1932 diretta da Ugo OJETTI
Biografia completa è in fondo – Diego VARERI- – Nacque il 25 gennaio 1887 a Piove di Sacco (Padova)- da Abbondio e da Giovanna Fontana, ultimo di tre figli, dopo Silvio e Ugo-Morì a Roma il 27 novembre 1976.
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Biografia di Diego VARERI- – Nacque il 25 gennaio 1887 a Piove di Sacco (Padova)-da Abbondio e da Giovanna Fontana, ultimo di tre figli, dopo Silvio e Ugo-Morì a Roma il 27 novembre 1976.
Nonostante le condizioni agiate della famiglia, l’infanzia del piccolo Diego fu turbata dalla separazione dei genitori, avvenuta poco dopo la sua nascita, in seguito alla quale la madre si trasferì a Padova portandolo con sé. Presenza discontinua, ma molto influente sulla formazione di Valeri, fu quella del fratello Ugo, pittore e illustratore dalle qualità notevoli, morto nel 1911 a Venezia, cadendo (o forse gettandosi) da una finestra della galleria Ca’ Pesaro: ne restò a Valeri un dolore insanabile.
L’origine della vocazione poetica fu sempre, nel ricordo di Valeri, associata, oltre che a un sentimento malinconico generato quasi dal contatto con una pianura che egli percepiva galleggiante sull’acqua, all’arte del fratello, al mondo inventato dai suoi segni e colori, alle novità artistiche che Ugo riportava dalla Biennale di Venezia. Sempre grazie al fratello, il giovane Diego pubblicò due sue liriche nella rivista Poesia (IV (dicembre 1908-gennaio 1909), 11-12) diretta da Filippo Tommaso Marinetti.
Dopo aver frequentato il liceo classico Tito Livio di Padova, nella locale università conseguì la laurea in lettere nel 1908 discutendo una tesi su L’efficacia del teatro francese sul teatro di Paolo Ferrari (pubblicata in Rivista d’Italia, XII (1909), 2, pp. 257-328), orientandosi di lì in poi a studi di francesistica e italianistica. All’università conobbe la futura moglie, sposata nel 1911: Maria Minozzi, vicentina, dedicataria della sua prima silloge di versi, Monodia d’amore (Padova 1908), in seguito rifiutata dall’autore. Laureato, intraprese l’insegnamento nelle scuole tecniche e poi nei licei, con numerosi cambiamenti di sede (Fermo, Castiglione delle Stiviere, Monza, Pinerolo, Ravenna, Voghera, Rovigo, Cremona), prima del definitivo approdo a Venezia (1926), dove si stabilì nella casa (in fondamenta dei Cereri) che divenne sua dimora stabile. Il disagio dei trasferimenti fu d’altra parte bilanciato da frequentazioni con importanti personalità del mondo dell’arte e della letteratura (Filippo De Pisis, Marino Moretti, Clemente Rebora, per esempio).
Nel 1912-13, unico intervallo tra gli insegnamenti scolastici, Valeri fu a Parigi con una borsa di perfezionamento in letteratura francese; lì ricevette la notizia della morte dell’amata madre. Per motivi di salute evitò l’arruolamento e la partenza per la guerra ma non poté evitare, sulle prime, lo scontro con il fascismo. Era a Cremona con la famiglia, accresciuta delle due figlie (Giovanna, nata nel 1913, e Marina, nata nel 1915), quando, insegnante e conferenziere stimato, oltre che poeta dalla crescente notorietà, firmò sul quotidiano La Giustizia (9 luglio 1924) un appello di protesta per la scomparsa di Giacomo Matteotti. Ne ebbe una dura reprimenda, alla quale conseguì il trasferimento da Cremona a Venezia, dove comunque continuò a essere, se non attaccato (come accadde almeno in un’occasione, nel novembre del 1926), ostacolato dalla federazione del fascio locale, presso il quale cercò a più riprese, ma invano, di tesserarsi. Intimamente incompatibile con il fascismo per ragioni umane ed estetiche, oltre che per le idee socialiste, Valeri non si espose più in aperte contestazioni, e tuttavia, privo della tessera del Partito nazionale fascista, dovette abbandonare nel 1931 l’insegnamento al liceo Marco Polo per assumere una posizione più defilata, da funzionario delle belle arti, alla soprintendenza di Venezia. Manteneva nel frattempo, come libero docente, l’incarico per il corso di letteratura francese all’Università di Padova, che ebbe dal 1924 al 1934, quando gli fu sospeso per la mancanza della tessera, e che tuttavia riottenne dal 1939, per intercessione di Ugo Ojetti presso il ministro Giuseppe Bottai.
Grazie alla stima e alla protezione di personaggi eminenti dell’establishment politico-culturale italiano (godeva anche dell’appoggio del rettore padovano Carlo Anti), Valeri, che pure era ostacolato dai federali veneziani, ottenne dall’Accademia d’Italia prestigiosi premi (nel 1931, 1939, 1943) per la sua poesia. Incontrò un successo abbastanza largo, anche di pubblico, a partire dalla pubblicazione dell’autoantologia Poesie vecchie e nuove (Milano 1930), che selezionava i testi delle raccolte precedenti – Le gaie tristezze (Milano-Palermo-Napoli 1913), Umana (Ferrara 1915); Crisalide (Ferrara 1919); Ariele (Milano-Roma 1924) – con l’aggiunta di altri più recenti, che mostravano come dall’iniziale impronta pascoliana e simbolista Valeri andasse mettendo a fuoco il proprio postsimbolismo di fondo su forme e atmosfere meno evanescenti, più salde. Raggiunse l’apice della fama nel decennio 1930-40, quando, con la sua lirica cantabile, malinconica e sensuale, formalmente legata alla tradizione, ma sempre più individuabile nella sua originalità, poté contendere notorietà e favore critico alle posizioni più innovative di Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale. Fu inoltre conferenziere e pubblicista richiesto e apprezzato (v. la scelta di articoli del 1925-35 riuniti in Saggi e note di letteratura francese moderna, Firenze 1941).
Dopo il 25 luglio 1943 Valeri, vicino al Partito d’azione, assunse la direzione del giornale Il Gazzettino, incarico che, quando tedeschi e fascisti ripresero il potere nel Nord Italia, gli costò una condanna a trent’anni di carcere; nel frattempo, però, era riuscito a entrare in Svizzera e a trovare riparo a Mürren. Tornato in Italia, ottenne la revisione dei concorsi da cui era stato escluso per motivi politici e quindi, alla fine del 1948, il ruolo di professore di letteratura francese all’Università di Padova, dove lavorò, anche con affidamenti di letteratura italiana contemporanea, fino al 1962.
Valeri si impegnò attivamente in politica, presentandosi nelle liste del Movimento di unità popolare nelle elezioni del 1953 (per la Camera) e come candidato sindaco dei socialisti alle amministrative di Venezia del 1956.
L’ampio successo professionale e istituzionale arrivò per Valeri in tempi meno adatti alla ricezione della sua poesia e del suo gusto rispetto a quando, negli anni Trenta, si era affermato: in confronto alle nuove tendenze, sia nella lirica sia nella critica, poteva sembrare ad alcuni attardato se non superato. Testimonianze autorevoli degli ultimi allievi ricordano però che, libero da costrizioni metodologiche, Valeri continuava a esercitare il suo magistero incantando l’uditorio per il modo «cordiale e umanissimo» e al tempo stesso «elegante, aristocratico» di avvicinare i testi letterari (Mengaldo, 2000).
Giorgio Caproni e Andrea Zanzotto (che era stato suo alunno a Padova negli anni Trenta) hanno inoltre riconosciuto un affinamento e un approfondimento introspettivo nella fase tarda (da Metamorfosi dell’angelo, Milano 1957) ed estrema della poesia di Valeri, che culmina nelle raccolte Verità di uno (Milano 1970) e Calle del vento (Milano 1975), non incluse per motivi cronologici nell’autoantologia definitiva delle Poesie (Milano 1962 e 1967), che ci ha dato della sua lirica un’immagine più classica, tradizionale e impressionistica (in senso pittorico), nondimeno rappresentativa del suo collocarsi al di fuori delle linee portanti dell’evoluzione della lirica novecentesca (Baldacci, 1972, 1974).
Largamente condiviso dalla critica è il giudizio positivo delle traduzioni di Valeri, che fin dal 1912 si esercitò su autori prevalentemente francesi ma anche tedeschi: si ricordino almeno i due volumi antologici Lirici tedeschi (Milano 1959) e Lirici francesi (Milano 1960). Interessante e originale la sua scrittura saggistica, riflessiva e nitidamente comunicativa, che si muove a partire da momenti della vita interiore o da sollecitazioni della poesia (Tempo e poesia, Milano 1962) e dell’arte (Scritti sull’arte, a cura di G. Tomasella, Venezia 2005). Importanti, e attualmente ancora fortunate in termini editoriali (lo stesso non si può dire delle poesie, mai più riedite dal 1977), le prose di Valeri dedicate all’amata città d’adozione: Fantasie veneziane (Milano 1934; Bagno a Ripoli 2016) e Guida sentimentale di Venezia (Padova 1942; Bagno a Ripoli 2009); ma va ricordato anche il volume Padova città materna, scritto e pubblicato nel mezzo della guerra civile (Padova 1944 e 1995). Morì a Roma il 27 novembre 1976.
Opere. Mentre si attende una ripubblicazione complessiva delle poesie (imminente presso Il Ponte del sale di Rovigo l’edizione di un’ampia antologia, a cura di C. Londero, dal titolo Il mio nome nel vento. Poesie 1910-1977), ci si può rifare, per la prima fase, alla riedizione di Umana (a cura di M. Giancotti, Genova 2008); per il resto, alle singole raccolte su cui Valeri operò selezioni compilando i volumi antologici Poesie vecchie e nuove (cit.), Terzo tempo (Milano 1950), Poesie (cit.), meglio che alla scarna cernita delle Poesie scelte 1910-1975 (a cura di C. Della Corte, Milano 1977). Da segnalare, inoltre, le poesie per bambini: Il campanellino (Torino 1928) e Poesie piccole (Milano 1965). I più importanti saggi sulla letteratura italiana sono raccolti in Conversazioni italiane (Firenze 1968). Esaustiva, fino al 1960, la bibliografia degli scritti curata da C. Cordiè in Studi in onore di Vittorio Lugli e D. V., I, Venezia 1961, pp. LI-LXXVIII.
Fonti e Bibl.: Lettere a Valeri di corrispondenti vari sono conservate a Venezia, presso il Fondo Diego Valeri della Fondazione Giorgio Cini (catal. consultabile sul sito www.diegovaleri.it e nel volume Fondo D. V. della Fondazione Giorgio Cini. Inventario della corrispondenza. Album fotografico, a cura di A. Venturini – R. Zannato, introduzione di G. Manghetti, Piove di Sacco 2010). Una biografia basata sulle fonti archivistiche, oltre che sugli imprescindibili contributi di L. Montobbio (La giovinezza di D. V., in Una precisa forma. Studi e testimonianze per D. V. Atti del Convegno internazionale… 1987, Padova 1991, pp. 141-165) e G. Manghetti (So la tua magia: è la poesia, Milano 1994), è in M. Giancotti, D. V., Padova 2013.
Per la critica si vedano, fra gli atti: Omaggio a D. V. Atti del Congresso…, Venezia … 1977, a cura di U. Fasolo, Firenze 1979; Una precisa forma… Atti del Convegno internazionale…, cit.; L’opera di D. V. Atti del Convegno nazionale di studi… 1996, a cura di G. Manghetti, Piove di Sacco 1998; D. V. e il Novecento. Atti del Convegno di studi nel 30° anniversario della morte del poeta, Piove di Sacco… 2006, a cura di G. Manghetti, presentazione di P.V. Mengaldo, Padova 2007. Fra gli altri contributi: P. Pancrazi, Poesie vecchie e nuove di D. V. (1930), in Id., Ragguagli di Parnaso. Dal Carducci agli scrittori d’oggi, a cura di C. Galimberti, II, Milano-Napoli 1967, pp. 369-373; A. Zanzotto, Il maestro universitario, in La Fiera letteraria, 3 marzo 1957, p. 3; L. Baldacci, Per un’antologietta di D. V. (1972), in Id., Libretti d’opera e altri saggi, Firenze 1974, pp. 108-129; F. Fortini, I poeti del Novecento (1977), Roma-Bari 1988, p. 43; Poeti italiani del Novecento, a cura di P.V. Mengaldo, Milano 1978, pp. 353-356; Dal simbolismo al Déco. Antologia poetica cronologicamente disposta per cura di Glauco Viazzi, II, Torino 1981, pp. 433 s.; P.V. Mengaldo, Ricordo di D. V. (1996), in Id., La tradizione del Novecento. Quarta serie, Torino 2000, pp. 44 s.; A. Zanzotto, Scritti sulla letteratura, a cura di G.M. Villalta, I, Fantasie di avvicinamento, Milano 2001 (in partic. V. italiano e francese [1957], pp. 47-52; Nella «Calle del vento» [1976], pp. 53-55); G. Caproni, «Il flauto a due canne» di V., in Id., Prose critiche, a cura di R. Scarpa, II, 1954-1958, Torino 2012, pp. 1073-1077.
Roma-BEAT GENERATION di Giorgio Latini in scena domenica 13 aprile all’Altrove Teatro Studio-
Roma-Appuntamento con la musica all’Altrove Teatro Studio domenica 13 aprile con BEAT GENERATION, spettacolo scritto e diretto da Giorgio Latini.
Nel 1940 l’incontro tra Jack Kerouack e Allen Ginsberg genera un movimento che quattro anni più tardi prenderà il nome di Beat Generation e culminerà nel 1951 con la scrittura del libro cult “On the road”. Gli ideali della Beat Generation sono il rifiuto della violenza e delle regole della vita convenzionale, la liberazione sessuale e delle droghe. Da qui nascerà il beat, ovvero il movimento musicale che si origina proprio nei primi anni ‘60. Attraverso le voci di Ottavia Bianchi, Ludovica Bove e Giorgio Latini, accompagnate alla chitarra da Giacomo Ronconi, torneremo al periodo tra la fine degli anni ‘50 e il 1969. Riascolteremo i brani noti e meno noti della “Brit Invasion”: i Beatles e i Rolling Stones ma anche il folk americano fino alla musica psichedelica che saranno lo sfondo per il successivo grande movimento sociale degli hippie. A grandissima richiesta torna il racconto di questo favoloso periodo della storia dell’uomo in cui politica, società, musica sembravano ancora poter convergere tutte verso lo stesso, meraviglioso sogno di libertà.
BEAT GENERATION di Giorgio Latini
“La scelta della “scaletta” in Beat Generation è stata forse la fase più difficile”. _ annota Giorgio Latini. “In questo senso l’apporto di Giacomo Ronconi è stato fondamentale: insieme a lui si è trovato il necessario equilibrio tra le canzoni per così dire “obbligate” e alcune chicche meno note. L’inusuale arrangiamento per una sola chitarra e ben tre voci cantanti ha dato vita ad una serie di soluzioni che hanno rappresentato una sfida per gli interpreti che nascono, in primis, come attori e che si lanciano in questa nuova sperimentazione artistica.”
Biglietti: Intero 15€
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia 53, Roma
Per informazioni e prenotazioni: telefono 3518700413, email ipensieridellaltrove@gmail.com
BEAT GENERATION
Di Giorgio Latini
Con Ottavia Bianchi, Ludovica Bove, Giorgio Latini
Alla chitarra Giacomo Ronconi
Domenica 13 aprile ore 17:00
Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia, 53 Roma
-articolo di Piero TORRIANO scritto per la Rivista PAN n°5 del 1934-
Biografia di Alberto Salietti (Ravenna, 1892 – Chiavari, 1961) è stato un pittore italiano.
Alberto Salietti-Nasce a Ravenna il 15 marzo 1892, figlio e nipote di decoratori murali. Dopo aver iniziato a lavorare con il padre, frequenta fino al 1914 l’Accademia di Brera, ove ha come maestri Cesare Tallone e Mentessi.
Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, riprende la sua attività, esponendo dal 1920 alle Biennali di Venezia (nel 1942, ricevendo il Gran Premio per la pittura). Altre esposizioni: l’Internazionale di Barcellona, 1929; l’Internazionale di Budapest, 1936; la Mostra dell’Istituto Carnegie di Pittsburg, 1936; l’Esposizione mondiale di Parigi, 1937; la II e III Quadriennale Roma; la mostra La Bella Italiana, a Milano, nel 1952; il Premio Marzotto, nel 1955 e 1956; il Premio Garzanti nel 1957; il Premio del Comune di Milano nel 1959; la medaglia d’oro a Firenze, al Premio del Fiorino, nel 1961; la XXII Biennale d’Arte alla Permanente di Milano, nel 1961, il premio Bagutta-Vergani.
Salietti è fra i pittori che l’imprenditore Giuseppe Verzocchi contatta per la sua grande raccolta di quadri sul tema del lavoro: Salietti realizza così La vendemmia (1949-1950), quadro che, insieme all’Autoritratto, è oggi conservato nella Collezione Verzocchi, presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
È uno dei fondatori del Novecento Italiano, movimento del quale ha ricoperto il ruolo di segretario. I suoi principali soggetti sono paesaggi, ritratti e nature morte. Ha opere in pubbliche gallerie: a Roma (Galleria nazionale d’arte moderna), Firenze, Milano, Torino, Berlino, Zurigo, Monaco, Berna, Montevideo, Cleveland, Mosca, Parigi, Varsavia. Dopo la sua morte, una mostra commemorativa gli venne dedicata a Milano, nel 1964, al Palazzo della Permanente; nel 1967, a Milano, alla Galleria Gian Ferrari; nuovamente alla Gian Ferrari, nel 1969, per le tempere; nel 1970, a La Panchetta di Bari; nel 1971, ancora a Milano, alla Galleria Cortina, per le opere grafiche. Una mostra postuma venne pure organizzata dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Chiavari, nel 1972, a Palazzo Torriglia, con una selezione di opere pittoriche e grafiche.
Pittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTIPittore Alberto SALIETTI
Biografia di Alberto Salietti (Ravenna, 1892 – Chiavari, 1961) è stato un pittore italiano.
Alberto Salietti-Nasce a Ravenna il 15 marzo 1892, figlio e nipote di decoratori murali. Dopo aver iniziato a lavorare con il padre, frequenta fino al 1914 l’Accademia di Brera, ove ha come maestri Cesare Tallone e Mentessi.
Dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, riprende la sua attività, esponendo dal 1920 alle Biennali di Venezia (nel 1942, ricevendo il Gran Premio per la pittura). Altre esposizioni: l’Internazionale di Barcellona, 1929; l’Internazionale di Budapest, 1936; la Mostra dell’Istituto Carnegie di Pittsburg, 1936; l’Esposizione mondiale di Parigi, 1937; la II e III Quadriennale Roma; la mostra La Bella Italiana, a Milano, nel 1952; il Premio Marzotto, nel 1955 e 1956; il Premio Garzanti nel 1957; il Premio del Comune di Milano nel 1959; la medaglia d’oro a Firenze, al Premio del Fiorino, nel 1961; la XXII Biennale d’Arte alla Permanente di Milano, nel 1961, il premio Bagutta-Vergani.
Salietti è fra i pittori che l’imprenditore Giuseppe Verzocchi contatta per la sua grande raccolta di quadri sul tema del lavoro: Salietti realizza così La vendemmia (1949-1950), quadro che, insieme all’Autoritratto, è oggi conservato nella Collezione Verzocchi, presso la Pinacoteca Civica di Forlì.
È uno dei fondatori del Novecento Italiano, movimento del quale ha ricoperto il ruolo di segretario. I suoi principali soggetti sono paesaggi, ritratti e nature morte. Ha opere in pubbliche gallerie: a Roma (Galleria nazionale d’arte moderna), Firenze, Milano, Torino, Berlino, Zurigo, Monaco, Berna, Montevideo, Cleveland, Mosca, Parigi, Varsavia. Dopo la sua morte, una mostra commemorativa gli venne dedicata a Milano, nel 1964, al Palazzo della Permanente; nel 1967, a Milano, alla Galleria Gian Ferrari; nuovamente alla Gian Ferrari, nel 1969, per le tempere; nel 1970, a La Panchetta di Bari; nel 1971, ancora a Milano, alla Galleria Cortina, per le opere grafiche. Una mostra postuma venne pure organizzata dall’Azienda di Soggiorno e Turismo di Chiavari, nel 1972, a Palazzo Torriglia, con una selezione di opere pittoriche e grafiche.
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Poesie da Gaza-Fazi Editore–La poesia come atto di resistenza. La forza delle parole come tentativo di salvezza. È questo il senso più profondo delle trentadue poesie di autori palestinesi raccolte in questo volume, in gran parte scritte a Gaza dopo il 7 ottobre 2023, nella tragedia della guerra in Palestina, in condizioni di estrema precarietà: poco prima di essere uccisi dai bombardamenti, come ultima preghiera o testamento poetico (Abu Nada, Alareer), mentre si è costretti ad abbandonare la propria casa per fuggire (al-Ghazali), oppure da una tenda, in un campo profughi dove si muore di freddo e di bombe (Elqedra). Come evidenzia lo storico israeliano Ilan Pappé nella prefazione, «scrivere poesia durante un genocidio dimostra ancora una volta il ruolo cruciale che la poesia svolge nella resistenza e nella resilienza palestinesi. La consapevolezza con cui questi giovani poeti affrontano la possibilità di morire ogni ora eguaglia la loro umanità, che rimane intatta anche se circondati da una carneficina e da una distruzione di inimmaginabile portata». Queste poesie, osserva Pappé, «sono a volte dirette, altre volte metaforiche, estremamente concise o leggermente tortuose, ma è impossibile non cogliere il grido di protesta per la vita e la rassegnazione alla morte, inscritte in una cartografia disastrosa che Israele ha tracciato sul terreno». «Ma questa raccolta non è solo un lamento», nota il traduttore Nabil Bey Salameh. «È un invito a vedere, a sentire, a vivere. Le poesie qui tradotte portano con sé il suono delle strade di Gaza, il fruscio delle foglie che resistono al vento, il pianto dei bambini e il canto degli ulivi. Sono una testimonianza di vita, un atto di amore verso una terra che non smette di sognare la libertà. In un mondo che spesso preferisce voltare lo sguardo, queste poesie si ergono come fari, illuminando ciò che rimane nascosto». Perché la scrittura, come ricordava Edward Said, è «l’ultima resistenza che abbiamo contro le pratiche disumane e le ingiustizie che sfigurano la storia dell’umanità».
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
Il libro è anche un’iniziativa concreta di solidarietà verso la popolazione palestinese. Per ogni copia venduta Fazi Editore donerà 5 euro a EMERGENCY per le sue attività di assistenza sanitaria nella Striscia di Gaza.
«Posso scrivere una poesia / con il sangue che sgorga». Yousef Elqedra
«La libertà per cui moriamo / non l’abbiamo mai sentita». Haidar al-Ghazali
«La poesia nella mia prigione / È nutrimento / È acqua e aria». Dareen Tatour
«Se devo morire, / che porti speranza, / che sia una storia».
Refaat Alareer
«Leggete queste poesie non solo con gli occhi, ma con l’anima. Ascoltate la loro musica, il loro ritmo sottile. Che siano per voi un ponte verso la comprensione, un inno alla dignità, e un ricordo che la bellezza, anche nelle situazioni più difficili, può ancora fiorire». dalla nota del traduttore Nabil Bey Salameh
«Forse questa raccolta contribuirà a erodere in qualche misura lo scudo di silenzio e disinteresse che garantisce immunità ai responsabili del genocidio a Gaza». dalla prefazione di Ilan Pappé
«Non credete che nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU anziché i paesi che hanno la bomba atomica sarebbe più giusto mettere quelli che sono riusciti pur massacrati dai bombardamenti a scrivere queste poesie bellissime?». Luciana Castellina
Curata da Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini e Leonardo Tosti, questa raccolta propone una selezione di poesie di dieci autori palestinesi: Hend Joudah, Ni’ma Hassan, Yousef Elqedra, Ali Abukhattab, Dareen Tatour, Marwan Makhoul, Yahya Ashour, Heba Abu Nada (uccisa nell’ottobre 2023), Haidar al-Ghazali e Refaat Alareer (ucciso nel dicembre 2023). Il volume è arricchito da una prefazione dello storico israeliano Ilan Pappé e da due interventi firmati dalla scrittrice Susan Abulhawa, autrice del romanzo bestseller Ogni mattina a Jenin, e dal giornalista premio Pulitzer Chris Hedges, ex corrispondente di «The New York Times» da Gaza.
A cura di Antonio Bocchinfuso, Mario Soldaini, Leonardo Tosti Prefazione di Ilan Pappé Con interventi di Susan Abulhawa e Chris Hedges
Traduzione dall’arabo di Nabil Bey Salameh Traduzione dall’inglese di Ginevra Bompiani ed Enrico Terrinoni
AA.VV-Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza- FAZI EDITORE-
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Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-Dalla Musica alle stelle:musiche di Mozart e Boccherini-
Comune di Mompeo –Articolo di Giulia Mininni–Nell’ambito della rassegna “A Porte Aperte” del Comune di Mompeo con il supporto della Regione Lazio e la direzione artistica di Renato Giordano il giorno sabato 12 aprile, presso l’Auditorium S. Carlo alle ore 18,00 andrà in scena il concerto VICINI E LONTANI : MUSICHE Di BOCCHERINI E MOZART. Luigi Boccherini e Wolfgang Amadeus Mozart sono due compositori allo stesso tempo tanto vicini per l’epoca in cui hanno vissuto ma anche tanto lontani per lo stile ed il genere. La loro musica testimonia il passaggio dallo stile Barocco a quello Classico. Ma mentre Mozart crea una musica moderna e assolutamente originale, Boccherini continua a rimanere fedele ai canoni della musica galante e Rococò che si avvicina al Romanticismo in arrivo, mentre Mozart lancia il suo sguardo verso il Nuovo Mondo. Piccoli gioielli di musica da camera che non solo celebrano i due compositori che hanno scritto le pagine più belle per questo genere musicale, ma allo stesso tempo mettono in risalto le doti degli esecutori dell’Ensemble Crescendo . L’orchestra Ensemble Crescendo nasce dall’idea di Carla Tutino di valorizzare il repertorio da camera con contrabbasso si avvale di musicisti con esperienza che operano e lavorano insieme da anni in diverse realtà musicali sinfoniche e cameristiche. Gli artisti che suoneranno sono Roberto Baldinelli e Caterina Bono ( violini) Paola Emanuele (viola), Adriano Ancarani (violoncello) ,Carla Tutino (Contrabbasso). Il programma della giornata oltre al concerto prevede l’ apertura e la visita guidata all’osservatorio astronomico del castello Orsini Naro a cura del CNAI alle 15.30, ed alle ore 20.00 dopo il concerto , l’osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’auditorium S. Carlo.
Comune di Mompeo (Rieti)–Rassegna “A Porte Aperte”-
Sabato 12 aprile Programma: h. 15.30 apertura e visita guidata all’ Osservatorio astronomico Castello Orsini Naro a cura del CNAI (Centro nazionale Astroricercatori indipendenti), h. 18.00 Concerto “Vicini e Lontani” all’Auditorium S. Carlo. h. 20. 00 Osservazione del cielo primaverile con telescopio nel giardino dell’Auditorium . Ingresso Gratuito.
Guido Harari -Remain in light- 50 anni di fotografie e incontri
Editore Rizzoli Lizard
Descrizione del libro di Guido Harari -Rita Levi-Montalcini, Patti Smith, David Bowie, Umberto Eco, Vasco Rossi… L’elenco potrebbe andare avanti a lungo, perché queste sono solo alcune delle persone che Guido Harari ha ritratto in ben cinquant’anni di carriera, mezzo secolo che viene ora celebrato con questo prezioso volume di oltre quattrocento pagine. Una incredibile galleria di storie e immagini raccolte in un libro che è un vero e proprio condensato del talento, della visionarietà e dell’inguaribile curiosità che permeano tutti i lavori di Harari. Dopo “Una goccia di splendore”, dedicato alla memoria fotografica di De André, un altro appuntamento con uno dei più grandi maestri internazionali del ritratto.
Biografia di Guido Harari
Guido Harari (Il Cairo, 28 dicembre1952) è un fotografo e critico musicaleitaliano.Nei primi anni settanta ha avviato la duplice professione di fotografo e di giornalista musicale, contribuendo a porre le basi di un lavoro specialistico sino ad allora senza precedenti in Italia e collaborando con riviste come Ciao 2001, Giovani, Gong e Rockstar. Dagli anni novanta il suo raggio d’azione contempla anche l’immagine pubblicitaria, il ritratto istituzionale, il reportage a sfondo sociale e la grafica dei volumi da lui curati. Dal 1994 è membro dell’Agenzia Contrasto.
Di lui ha detto Lou Reed: “Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido. So che le sue saranno immagini musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi ritratti vengono generalmente ignorate dagli altri fotografi. Considero Guido un amico, non un semplice fotografo”.
Di Fabrizio De André Harari è stato uno dei fotografi personali, con una collaborazione ventennale che include la copertina del disco In concerto, tratto dalla leggendaria tournée dell’artista genovese con la PFM nel 1979. Sul cantautore genovese Harari ha realizzato quattro fortunati volumi: E poi, il futuro (Mondadori 2001, con nota introduttiva di Fernanda Pivano), Una goccia di splendore (Rizzoli 2007, con nota introduttiva di Beppe Grillo), Evaporati in una nuvola rock insieme a Franz Di Cioccio sulla tournée con PFM (Chiarelettere, 2008) e Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari (Rizzoli, 2018). È stato inoltre uno dei curatori della grande mostra dedicata a De André da Palazzo Ducale, a Genova.
Tra le sue mostre Strange Angels, 2002/05, Wall Of Sound 2007/08/16/17/18, Sguardi randagi. Fabrizio De André fotografato da Guido Harari 2009/10 e l’antologica Remain In Light 2022/23.
Nel 2011 ha fondato ad Alba, dove risiede, la Wall Of Sound Gallery, galleria fotografica e casa editrice interamente dedicata alla musica.
2004. Fernanda Pivano. The Beat Goes On. Guido Harari (a cura di). Mondadori.
2005. Viaggio a Garessio. Studio Bibliografico Bosio Editore.
2006. The Blue Room. Galleria Arteutopia e HRR Edizioni.
2006. Vasco! Edel.
2007. Fabrizio De André. Una goccia di splendore. Un’autobiografia per parole e immagini a cura di Guido Harari. Nota di Beppe Grillo. Prefazione di Dori Ghezzi De André. Rizzoli.
2008. Fabrizio De André & PFM. Evaporati in una nuvola rock. A cura di Guido Harari e Franz Di Cioccio. Chiarelettere.
2009. Mia Martini. L’ultima occasione per vivere. A cura di Menico Caroli e Guido Harari. Nota di Charles Aznavour, Introduzione di Giuseppe Berté. TEA.
2010. Giorgio Gaber. L’illogica utopia. Guido Harari (a cura di). Nota di Luigi Zoja. Chiarelettere.
2010. Sandro Chia. I guerrieri in San Domenico, HRR Edizioni.
2011. Quando parla Gaber. Chiarelettere.
2012. Tom Waits. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2012. Vinicio Capossela. Le fotografie di Guido Harari. TEA.
2014. Kate Bush, The Photography of Guido Harari. Wall Of Sound Gallery.
2015. Pier Paolo Pasolini. Bestemmia, Chiarelettere.
2015. Sonica. Guido Harari / Ravello. Wall Of Sound Gallery.
2016. The Kate Inside, Wall Of Sound Gallery.
2016. Wall of Sound. The Photography of Guido Harari, catalogo della mostra, Rockheim Museum.
2017. Wall of Sound 10, Wall Of Sound Editions.
2018. Fabrizio De André. Sguardi randagi. Le fotografie di Guido Harari, Rizzoli.
2018. Wall of Sound, Silvana Editoriale.
2021. Muse, catalogo della mostra, Locus festival, Wall Of Sound Editions.
2022. Remain In Light. 50 anni di fotografie e incontri. Rizzoli Lizard.
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano e la sua visione autentica. “Il cinema è la più grande arte del nostro secolo, ma come tutte le cose umane è soggetta ai capricci della fortuna e della creatività.”Federico Fellini
Elvira Notari, la pioniera del Cinema italiano
Elvira Notari è una delle figure più straordinarie e poco celebrate nella storia del cinema italiano. Direttrice, produttrice, sceneggiatrice e attrice, è stata la prima donna a realizzare film in un’Italia ancora dominata da una visione patriarcale e tradizionalista. Nata a Napoli nel 1886, Elvira Notari è diventata un’icona di una cinematografia che cercava di raccontare la realtà del popolo, la sua vita quotidiana, e le sue tradizioni, in un periodo in cui il cinema era visto principalmente come un prodotto di intrattenimento e non come uno strumento di narrazione profonda e culturale. Ha vissuto in un’epoca in cui il cinema italiano stava facendo i suoi primi passi. Il suo percorso nel mondo del cinema inizia negli anni ’10 del Novecento, quando nel 1913 decise di aprire la sua casa di produzione, la Cines Napoli. In un momento in cui la gran parte delle donne si limitava a ruoli passivi nell’industria cinematografica, Elvira si distinse per il suo spirito imprenditoriale e per la sua volontà di essere una protagonista assoluta.
Una pioniera che non solo recitava nei suoi film, ma li scriveva, li produceva e li dirigeva. Era una donna che non si accontentava di essere solo un volto davanti alla macchina da presa, ma desiderava costruire una sua visione cinematografica, affermandosi come figura creativa. I suoi film sono stati ispirati dalla sua città natale, Napoli, e dalla cultura popolare napoletana. Elvira Notari ha raccontato storie di vita quotidiana, di amore, di sacrificio, di passione, ma anche di lotta sociale e di critica ai costumi. La sua Napoli, rappresentata nei film, era una città vibrante e pulsante, dove i protagonisti erano spesso lavoratori, pescatori, contadini e figure della tradizione. Attraverso il suo cinema è riuscita a immortalare una Napoli che non si vedeva nelle pellicole più conosciute dell’epoca.
Il Cinema popolare e la nascita di un Linguaggio
Elvira Notari è soprattutto nota per aver contribuito alla nascita del cinema popolare. Nei suoi film, infatti, emerge un’attenzione particolare per le classi più umili, per le donne, per le dinamiche familiari e per le tradizioni del Sud Italia. La sua visione non era solo una rappresentazione dei costumi locali, ma anche una critica e una riflessione sulle difficoltà e le speranze di chi viveva ai margini della società. Il suo lavoro è stato un precursore del cosiddetto cinema neorealista che avrà il suo apice negli anni Quaranta, ma il suo stile era decisamente più intimo e focalizzato sulla semplicità e sull’autenticità della vita quotidiana. Nonostante i limiti tecnologici e le difficoltà economiche, Elvira Notari riuscì a girare film che catturavano le emozioni più autentiche, utilizzando spesso attori non professionisti, scelti tra la gente comune. I suoi film, infatti, rappresentano una fusione tra il documentario e la fiction, in cui l’aspetto visivo e realistico della vita napoletana era al centro della narrazione. La sua capacità di raccontare storie vere, autentiche, senza filtri, rendeva i suoi film assolutamente innovativi per l’epoca. La sua attenzione al linguaggio popolare e alla vita di strada risuonava con la gente comune, creando una connessione emotiva profonda con il pubblico.
I film di Elvira Notari: un ritorno alle radici del Cinema italiano
Tra i film più significativi di Elvira Notari spiccano “Cavalleria”(1915), un dramma intenso e passionale, che rappresenta una delle prime incursioni nella vita delle classi popolari e nel mondo rurale, e “Assunta Spina”(1915), una delle sue pellicole più celebri. “Assunta Spina” è tratto da una novella di Salvatore Di Giacomo, un autore napoletano di grande rilievo, e racconta la storia di una donna forte e coraggiosa che affronta le difficoltà della vita con dignità. Questo film segna un importante passo nella rappresentazione di figure femminili forti nel cinema italiano, un tema che Elvira Notari esplorerà spesso nel suo lavoro. Il film, pur nelle sue limitazioni tecniche, presenta una grande intensità emotiva e una riflessione sociale che si distingue per la sua forza.
Un altro film che merita attenzione è “L’ultima corsa” (1919),che presenta un mondo di miseria e di lotte quotidiane, ma allo stesso tempo una grande passione e speranza. Questo film, sebbene non tanto conosciuto, è significativo per il suo approccio realistico e la sua capacità di raccontare la vita del popolo con un’umanità straordinaria. Elvira Notari non si limitò a raccontare storie di passione e sacrificio, ma affrontò anche tematiche più complesse e sociali. In “Il ventre di Napoli” (1923), ad esempio, la regista esplora la vita dei quartieri più poveri della città, offrendo una rappresentazione crudele ma realistica delle disuguaglianze sociali. Anche in questo film emerge un forte legame con la tradizione napoletana e con la sua cultura popolare, ma c’è anche una critica sociale che denuncia le ingiustizie della società del tempo.
Il Cinema di Elvira Notari: una Rivoluzione femminile
Ciò che rende ancora più straordinaria la figura di Elvira Notari è il fatto che, oltre a essere una pioniera nel campo del cinema, ha avuto anche il coraggio di sfidare le convenzioni di genere. In un mondo cinematografico dominato dagli uomini, Elvira ha avuto la forza di affermarsi come regista, produttrice e sceneggiatrice, ruoli che, all’epoca, erano pressoché impossibili per una donna. La sua figura rappresenta un esempio di emancipazione femminile in un contesto dove il cinema era una prerogativa maschile. Non solo, ma Elvira Notari è stata anche una delle prime registe a dare spazio e voce alle donne nei suoi film, non più solo come semplici comparse o figure romantiche, ma come protagoniste reali con una propria individualità. La sua capacità di raccontare storie di donne forti, indipendenti, ma anche fragili e vulnerabili, le ha dato una visione unica e profonda del mondo femminile.
Il declino e l’oblio
Nonostante il grande successo iniziale e la popolarità che i suoi film riscossero, il cinema di Elvira Notari subì una crisi con l’arrivo del sonoro e la nascita di nuove tendenze artistiche. Nel 1930, la sua casa di produzione fallì e, di lì a poco, l’opera di Elvira Notari cadde nel dimenticatoio. Il suo nome fu lentamente oscurato dalla grande storia del cinema italiano che vedeva la nascita di registi come Fellini, De Sica e Rossellini. Tuttavia, i suoi film continuano a essere apprezzati oggi per il loro spirito autentico e per la loro capacità di raccontare una Napoli che è ormai leggenda.
Conclusioni
Elvira Notari è stata una donna straordinaria che ha segnato indelebilmente la storia del cinema italiano. Il suo contributo alla nascita di un cinema popolare e alla valorizzazione della cultura napoletana è inestimabile. Con il suo spirito innovativo e la sua determinazione, Elvira Notari ha dimostrato che il cinema può essere uno strumento potente di narrazione, capace di raccontare le storie delle persone comuni e di farle diventare universali. La sua figura merita oggi una riscoperta e una valorizzazione, affinché il suo nome non resti nell’ombra ma brilli di quella luce che, fin dalla sua nascita, ha saputo emanare.
Fonte-La Notizia.net è un quotidiano di informazione libera, imparziale ed indipendente che la nostra Redazione realizza senza condizionamenti di alcun tipo perché editore della testata è l’Associazione culturale “La Nuova Italia”, che opera senza fini di lucro con l’unico obiettivo della promozione della nostra Nazione, sostenuta dall’attenzione con cui ci seguono i nostri affezionati lettori, che ringraziamo di cuore per la loro vicinanza. La Notizia.net è il giornale online con notizie di attualità, cronaca, politica, bellezza, salute, cultura e sport. Il direttore responsabile della testata giornalistica è Lucia Mosca, con direttore editoriale Franco Leggeri.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960- A cura di Walter Guadagnini, Monica Poggi- Dario Cimorelli Editore-
Margaret Bourke-White (1904-1971), è una tra le fotografe più autorevoli della storia del fotogiornalismo. Fu tra le prime donne fotografe ad affrontare un ambiente ed un settore fino ad allora prettamente maschile, la prima fotografa straniera ad avere il permesso di scattare foto in URSS e la prima donna fotografa a realizzare una copertina di Life.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il volume monografico presenta l’opera di questa pioniera dell’informazione e dell’immagine, Margaret Bourke-White ha esplorato ogni aspetto della fotografia: dalle prime immagini dedicate al mondo dell’industria e ai progetti corporate, fino ai grandi reportage per le testate internazionali più importanti; dalle cronache sul secondo conflitto mondiale, ai celebri ritratti di Stalin prima e poi di Gandhi; dal Sud Africa dell’apartheid, all’America dei conflitti razziali fino al brivido delle visioni aeree del continente americano.
Allegati-Alcune immagini del libro
Indice
Margaret Bourke-White Una vita sul tetto del mondo Monica Poggi Il talento di Miss Bourke-White Margaret e la scrittura Alessandra Mauro I primi servizi di “Life”
L’incanto delle fabbriche e dei grattacieli
Ritrarre l’utopia in Russia
Cielo e fango: le fotografie della guerra
Il mondo senza confini: i reportage in India, Pakistan e Corea
Oro, diamanti e Coca-Cola
Biografia
Bibliografia
Nacque nel Bronx il 14 giugno 1904, figlia di Joseph White, inventore e naturalista e Minnie Bourke; avviata agli studi di biologia frequentò, ancora studentessa del college, alcuni corsi di fotografia[1].
La carriera professionale inizia nel 1927. All’età di vent’anni iniziò a scattare fotografie industriali.
Nel 1929 si compì la svolta professionale: conobbe Henry Luce, caporedattore di Time, che la invitò a trasferirsi a New York per collaborare alla fondazione di una nuova rivista illustrata: Fortune[2].
Erano gli anni della Depressione e dell’importante campagna fotografica della Farm Security Administration e anche la Bourke-White con il futuro marito, lo scrittore Erskine Caldwell, intraprese un viaggio di ricerca e documentazione sociale nel sud, che sfociò nella pubblicazione del libro You Have Seen Their Faces. La fotografia della Bourke-White fu emblematica sia per i contenuti che per lo stile. Fin dagli inizi, la sua carriera abbracciò la visione moderna tipica di quegli anni, di un mondo dominato dalla fede nel potere della macchina e della tecnologia.
Nonostante i suoi viaggi e il rapporto con Fortune, fino al 1936 mantenne un proprio studio, per i lavori industriali e di corporate senza per questo trascurare le diverse possibilità per libri, mostre e lavori indipendenti.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Il primo numero della rivista Life, del 23 novembre 1936, utilizzò una sua foto per la copertina. Era uno scatto dei lavori finiti (grazie al New Deal) della diga di Fort Peck, nel Montana: un’immagine che fece il giro del mondo e che segnò un punto di svolta della professione del fotografo nell’universo femminile.
Da quel momento Margaret Bourke-White iniziò un’assidua collaborazione con la prestigiosa rivista e copre reportages dalla Seconda Guerra mondiale, all’assedio di Mosca, dalla guerra in Corea, alle rivolte sudafricane. Al fotogiornalismo la Bourke-White dedicherà la maggior parte della sua carriera[3].
La Bourke-White si considerò sempre una fotografa seria e impegnata in un’altrettanto seria missione. Dopo aver scattato le fotografie della Cecoslovacchia invasa dai tedeschi nel 1938, credette che la macchina fotografica potesse salvare la democrazia del mondo: “sono fermamente convinta che il fascismo non avrebbe preso il potere in Europa se ci fosse stata una stampa veramente libera che potesse informare la gente invece di ingannarla con false promesse”.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Fu con il marito in Unione Sovietica nel 1941, quando venne invasa dai nazisti (la Bourke-White fu non solo l’unica fotografa americana testimone dell’evento, ma anche la sola fotografa straniera a Mosca).
Grazie all’intervento di Roosevelt scattò il primo ritratto non ufficiale di Stalin, anche l’unico per molti anni, con circolazione autorizzata al di fuori dell’URSS. Nel 1943 fu la prima donna ad accompagnare i caccia statunitensi che bombardavano e fotografò quello che fu uno dei più violenti attacchi all’esercito tedesco.
A seguito del reggimento statunitense, fotografa gli assedi della linea gotica (zone di Loiano e Livergnano nell’Appennino Emiliano)[4]. Entrò a Buchenwald il giorno dopo la liberazione dei prigionieri e fece parte del gruppo che scoprì, prima ancora dell’esercito, il campo di Erla. Nel 1952 capì per prima i tragici risvolti della guerra di Corea.
Perseguendo la sua missione lei stessa divenne leggenda: nel 1937 durante un servizio nell’Artico il suo aereo fece un atterraggio di fortuna e si interruppe per giorni e giorni ogni contatto; nel 1942 in navigazione verso il Nord Africa la nave fu silurata nel Mediterraneo e passò una notte e un giorno su una scialuppa di salvataggio.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Nel 1953, all’età di 49 anni, le venne diagnosticata la malattia di Parkinson. Quando nel 1959 non fu più in grado di lavorare, si sottopose ad un intervento chirurgico al cervello che fu documentato sui giornali. Da quel momento ridusse drasticamente l’attività di fotografa e si dedicò alla scrittura. L’autobiografia Il mio ritratto, venne pubblicata nel 1963 e fu un bestseller.
Dopo una caduta nella sua casa di Darien, nel Connecticut, morì il 27 agosto 1971, all’età di 67 anni[2].
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Stile
Nel 1928 affermò su un giornale che “l’industria è il vero luogo dell’arte” e due anni più tardi che “i ponti, le navi, le officine hanno una bellezza inconscia e riflettono lo spirito del momento”.
Nella composizione delle sue prime immagini, si può notare una stretta relazione con la pittura cubista, la sovrapposizione dei piani, le geometrie astratte, la riduzione da tridimensionale a bidimensionale; e fu senza dubbio altrettanto importante l’influenza del cinema espressionista russo e tedesco, da cui derivano la drammaticità degli effetti di luce e la suggestione per l’astratto. Accanto all’aspetto teatrale, e a volte retorico, della sua fotografia industriale, ha sicuramente contribuito alla sua fortuna anche un certo aspetto romantico: la nazione aveva bisogno di credere e sognare della tecnologia, una delle poche speranze per controbattere l’insorgere della Depressione.
Negli anni Trenta la Bourke-White muove la sua ricerca sulla scia di altri fotografi, da László Moholy-Nagy a Edward Steichen, verso il dinamismo dell’astratto: le fotografie della Elgin Watch Company o della Singer rivelano un’immagine senza alto né basso, senza punto focale, così che l’occhio è costretto a vagare sull’intera superficie. L’immagine è una successione di oggetti senza fine ed un’inquadratura puramente arbitraria di un mondo che si estende ben oltre di essa. Uno straordinario esempio di questa pratica è il foto-murales per il palazzo della NBC al Rockfeller Center datato 1933, conservato sul luogo fino agli anni ’50 e successivamente rimosso e mai più mostrato in pubblico.
Solo verso la fine della sua lunga e brillante professione, nei primi anni ’50, ritorna la passione per l’astratto con alcuni interessantissimi esperimenti di fotografia aerea che precorrono molta pittura della fine degli anni cinquanta e sessanta.
Margaret Bourke-White. L’opera 1930-1960-
Della sua professione di donna fotografa disse più volte: “la fotografia non dovrebbe essere un campo di contesa fra uomini e donne” e più tardi rivelò ad un editore: “in quanto donna è forse più difficile ottenere la confidenza della gente e forse talvolta gioca un ruolo negativo una certa forma di gelosia; ma quando raggiungi un certo livello di professionalità non è più una questione di essere uomo o donna”.
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