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Premi Letterari
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Antonia Pozzi-Stamattina- Poesia da Presentimenti di azzurro -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Antonia Pozzi-Stamattina-
Poesia da Presentimenti di azzurro – 13 Aprile 1929
Quando Antonia Pozzi nasce è martedì 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite
Stamattina
sono rimasta tanto alla finestra
a riguardare il cielo:
non c’era nessun velo
di nebbia, ma una decisa tela grigiolina.
Le nuvole parevan ritagliate
ed ingommate
l’une sull’altre, strette;
carnose, a sfumature nette.
E mi sembrava
che a saettar là dentro a capofitto
con un bel volo dritto
non mi sarei dovuta sperdere
per strade sinuose
in nebulosità fumose,
ma che sarei dovuta riuscire
dall’altra parte, immediatamente,
in un azzurro fresco, veemente.
E poi me ne sarei tornata
con calma strascicata
palpeggiandomi guardinga e gelosa
l’anima rugiadosa.
Biografia di ANTONIA POZZI (Milano 1912-1938)- Quando Antonia Pozzi nasce è martedì 13 febbraio 1912: bionda, minuta, delicatissima, tanto da rischiare di non farcela a durare sulla scena del mondo; ma la vita ha le sue rivincite e … … Antonia cresce: è una bella bambina, come la ritraggono molte fotografie, dalle quali sembra trasudare tutto l’amore e la gioia dei genitori, l’avvocato Roberto Pozzi, originario di Laveno, e la contessa Lina, figlia del conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana e di Maria Gramignola, proprietari di una vasta tenuta terriera, detta La Zelata, a, Bereguardo. Il 3 marzo la piccola viene battezzata in San Babila ed eredita il nome del nonno, primo di una serie di nomi parentali (Rosa, Elisa, Maria,Giovanna, Emma), che indicherà per sempre la sua identità. Antonia cresce, dunque, in un ambiente colto e raffinato: il padre avvocato, già noto a Milano; la madre, educata nel Collegio Bianconi di Monza, conosce bene il francese e l’inglese e legge molto, soprattutto autori stranieri, suona il pianoforte e ama la musica classica, frequenta la Scala, dove poi la seguirà anche Antonia; ha mani particolarmente abili al disegno e al ricamo. Il nonno Antonio è persona coltissima, storico noto e apprezzato del Pavese, amante dell’arte, versato nel disegno e nell’acquerello. La nonna, Maria, vivacissima e sensibilissima, figlia di Elisa Grossi, a sua volta figlia del più famoso Tommaso, che Antonia chiamerà “Nena” e con la quale avrà fin da bambina un rapporto di tenerissimo affetto e di profonda intesa. Bisogna, poi, aggiungere la zia Ida, sorella del padre, maestra, che sarà la compagna di Antonia in molti suoi viaggi; le tre zie materne, presso le quali Antonia trascorrerà brevi periodi di vacanza tra l’infanzia e la prima adolescenza; la nonna paterna, Rosa, anch’essa maestra, che muore però quando Antonia è ancora bambina. Nel 1917 inizia per Antonia l’esperienza scolastica: l’assenza, tra i documenti, della pagella della prima elementare, fa supporre che la bimba frequenti come uditrice, non avendo ancora compiuto i sei anni, la scuola delle Suore Marcelline, di Piazzale Tommaseo, o venga preparata privatamente per essere poi ammessa alla seconda classe nella stessa scuola, come attesta la pagella; dalla terza elementare, invece, fino alla quinta frequenta una scuola statale di Via Ruffini. Si trova, così, nel 1922, non ancora undicenne, ad affrontare il ginnasio, presso il Liceo-ginnasio “Manzoni”, da dove, nel 1930, esce diplomata per avventurarsi negli studi universitari, alla Statale di Milano. Gli anni del liceo segnano per sempre la vita di Antonia: in questi anni stringe intense e profonde relazioni amicali con Lucia Bozzi ed Elvira Gandini, le sorelle elettive, già in terza liceo quando lei si affaccia alla prima; incomincia a dedicarsi con assiduità alla poesia, ma, soprattutto, fa l’esperienza esaltante e al tempo stesso dolorosa dell’amore. È il 1927: Antonia frequenta la prima liceo ed è subito affascinata dal professore di greco e latino, Antonio Maria Cervi; non dal suo aspetto fisico, ché nulla ha di appariscente, ma dalla cultura eccezionale, dalla passione con cui insegna, dalla moralità che traspare dalle sue parole e dai suoi atti, dalla dedizione con cui segue i suoi allievi, per i quali non risparmia tempo ed ai quali elargisce libri perché possano ampliare e approfondire la loro cultura. La giovanissima allieva non fatica a scoprire dietro l’ardore e la serietà, nonché la severità del docente, molte affinità: l’amore per il sapere, per l’arte, per la cultura, per la poesia, per il bello, per il bene, è il suo stesso ideale; inoltre il professore, ha qualcosa negli occhi che parla di dolore profondo, anche se cerca di nasconderlo, e Antonia ha un animo troppo sensibile per non coglierlo: il fascino diventa ben presto amore e sarà un amore tanto intenso quanto tragico, perché ostacolato con tutti i mezzi dal padre e che vedrà la rinuncia alla “vita sognata” nel 1933, “non secondo il cuore, ma secondo il bene”, scriverà Antonia, riferendosi ad essa. In realtà questo amore resterà incancellabile dalla sua anima anche quando, forse per colmare il terribile vuoto, si illuderà di altri amori, di altri progetti , nella sua breve e tormentata vita. Nel 1930 Antonia entra all’Università nella facoltà di lettere e filosofia; vi trova maestri illustri e nuove grandi amicizie: Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio, per citarne alcune; frequentando il Corso di Estetica, tenuto da Antonio Banfi, decide di laurearsi con lui e prepara la tesi sulla formazione letteraria di Flaubert, laureandosi con lode il 19 novembre 1935. In tutti questi anni di liceo e di università Antonia sembra condurre una vita normalissima, almeno per una giovane come lei, di rango alto-borghese, colta, piena di curiosità intelligente, desta ad ogni emozione che il bello o il tragico o l’umile suscitano nel suo spirito: l’amore per la montagna, coltivato fin dal 1918, quando ha incominciato a trascorrere le vacanze a Pasturo, paesino ai piedi della Grigna, la conduce spesso sulle rocce alpine, dove si avventura in molte passeggiate e anche in qualche scalata, vivendo esperienze intensissime, che si traducono in poesia o in pagine di prosa che mettono i brividi, per lo splendore della narrazione e delle immagini; nel 1931 è in Inghilterra, ufficialmente per apprendere bene l’inglese, mentre, vi è stata quasi costretta dal padre, che intendeva così allontanarla da Cervi; nel 1934 compie una crociera, visitando la Sicilia, la Grecia, l’Africa mediterranea e scoprendo, così, da vicino, quel mondo di civiltà tanto amato e studiato dal suo professore e il mondo ancora non condizionato dalla civiltà europea, dove la primitività fa rima, per lei, con umanità; fra il 1935 e il 1937 è in Austria e in Germania, per approfondire la conoscenza della lingua e della letteratura tedesca, che ha imparato ad amare all’Università, seguendo le lezioni di Vincenzo Errante, lingua che tanto l’affascina e che la porta a tradurre in italiano alcuni capitoli di “Lampioon”, di M. Hausmann. Intanto è divenuta “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica, aridamente, quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini. Questa normalità, si diceva, è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento presso l’Istituto Tecnico Schiaparelli, iniziato nel ‘37 e ripreso nel ’38; né l’impegno sociale a favore dei poveri, in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo sulla storia della Lombardia a partire dalla seconda metà dell’Ottocento; né la poesia, che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede, rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia, contribuisce all’epilogo: è il 3 dicembre del 1938.
Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito, per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spegne per sempre mentre cala la notte con le sue ombre viola.
Onorina Dino
Biografia tratta da Antonia Pozzi. Nelle immagini l’anima: antologia fotografica,
a cura di Ludovica Pellegatta e Onorina Dino, Ancora, Milano 2007
Elsa Morante-La Storia-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Elsa Morante-La Storia
Introduzione di Cesare Garboli
Casa Editrice Einaudi
La Storia, il più celebre e discusso tra i romanzi di Elsa Morante
Descrizione
A questo romanzo (pensato e scritto in tre anni, dal 1971 al 1974) Elsa Morante consegna la massima esperienza della sua vita “dentro la Storia” quasi a spiegamento totale di tutte le sue precedenti esperienze narrative: da “L’isola di Arturo” a “Menzogna e sortilegio”. La Storia, che si svolge a Roma durante e dopo la seconda guerra mondiale, vorrebbe parlare in un linguaggio comune e accessibile a tutti.
RIASSUTO
A Roma, devastata dalla guerra, vive Ida Ramundo una maestra ebrea di trentasette anni, vedova e madre di Nino. Una sera di gennaio del 1941 Ida viene violentata da un soldato tedesco ubriaco. Frutto della violenza è Useppe, un bambino allegro e vivace.
Nel 1943 un bombardamento distrugge la casa di Ida che con i figli si trasferisce in un ricovero per sfollati a Pietralata. Tra stenti, disperazione e umana solidarietà trascorrono gli anni della guerra. Nino si arruola prima nelle camicie nere, poi partecipa alla lotta partigiana. Conosce l’ebreo e anarchico umanitario Davide Segre con cui ritorna a casa.
Nel 1945 alla fine del conflitto per Ida continuano le difficoltà e le sofferenze. Mentre Davide tenta l’inserimento con il lavoro in fabbrica al Nord, Nino non riesce a trovare una sua strada, si dà al contrabbando e resta ucciso in uno scontro con la polizia. Solo la presenza Useppe consente a Ida di superare il dolore. Anche Davide fallito il suo tentativo torna a Roma e diventa amico di Useppe.
Un giorno viene trovato morto nella baracca in cui vive, ucciso dalla droga. Intanto si manifesta l’epilessia, finora latente, di Useppe, di fronte alla quale Ida non può nulla. Una violenta crisi epilettica uccide il bambino. Ida non regge al dolore e perde la ragione. Ricoverata in manicomio muore nove anni più tardi.
Fonte: Wuz.it
Recensione del romanzo La Storia della scrittrice Elsa Morante,
con analisi precisa della storia e dei personaggi.
Articolo di Stefano Benucci
Questo non è un romanzo, è un mondo intero! C’è la grande letteratura, ci sono le drammatiche vicende di una famiglia romana negli anni del secondo conflitto mondiale e dell’immediato dopoguerra, l’amore, la disperazione la miseria, la fame, il dramma, la tenerezza e c’è la storia di Roma e dell’Italia di quegli anni ed anche la storia del resto del mondo che viene velocemente spartito dalle grandi potenze.
Si tratta di un romanzo di ben oltre mille pagine molto articolato e pieno di sfaccettature con decine e decine di personaggi difficile da descrivere in poche righe.
Il corso narrativo del romanzo si dipana intorno a Ida, giovane vedova e maestra elementare, di origine ebrea, che vive a Roma con l’irrequieto figlio adolescente Nino (detto Ninnuzzo). Ida, nel 1941, viene violentata da un soldato tedesco. Da questo drammatico evento nasce il piccolo Giuseppe (detto Useppe).
Sono tempi durissimi, l’occupazione tedesca, la deportazione degli ebrei, i primi bombardamenti, i rifugi di fortuna, la fame. Mai in nessun libro ho trovato una descrizione così coinvolgente di quello che succedeva in quei giorni. Mai ho letto una così efficace rappresentazione della disperazione, della solitudine, della forza di volontà di una madre che lotta contro ogni avversità per la vita di un figlio.
Ninnuzzo è sempre fuori, chissà dove, prima camicia nera e avanguardista, poi partigiano e stalinista, poi contrabbandiere. La povera Ida attraversa gli anni più duri della nostra storia in modo drammatico. Mi fermo qui per non spoilerare ma devo dire anche che il romanzo è infarcito di decine di personaggi credibilissimi, alcuni appena accennati, altri ben definiti che aiutano a capire l’Italia di allora.
Una citazione particolare per il piccolo Useppe, personaggio tenerissimo, che nella seconda parte del romanzo diventa protagonista assoluto alla scoperta delle miserie della Roma appena uscita dalla guerra, sempre scortato dalla gigantesca cagna Bella che stravede per lui.
Un libro consigliatissimo. L’unica controindicazione è che dà un po’ di dipendenza e che appena finite le 1.300 pagine si prova un senso di vuoto ma del resto con i veri capolavori succede.
Meira Delmar -Poesie-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
La Poesia di MEIRA DELMAR
a cura di Martha Canfield e Giulia Spagnesi
Traduzione dallo spagnolo di Giulia Spagnesi
FONTE-Rivista- FILI DI AQUILONE-
VERDE MARE
1
Dal tanto amarti, mare,
il mio cuore è divenuto
marinaio.
E mi inizia a cantare
sui pennoni d’oro
della luna, nel vento.
Qui la voce, il canto,
il cuore lontano
dove risuonano i tuoi passi
lungo le rive del porto.
Dal tanto amarti, mare,
la tua assenza mi fa soffrire
fin quasi a farmi piangere.
2
Mare!
Ed è come se, all’improvviso,
fosse tutto chiaro.
Angeli nudi. angeli
di brezza e luce. Il canto
dell’acqua che danza
sarabanda di cristallo
Isole, onde, conchiglie.
Bianco grido di sale…
E il cuore, battito
dopo battito, dice Mare!
ELEGIA DI LEYLA KHALED
Ti devastarono l’infanzia, Leyla Khaled.
Come una spiga
o lo stelo di un fiore,
ti infransero
gli anni dello stupore e della tenerezza
e distrussero la porta della tua casa
perché entrasse il vento dell’esilio.
E prendesti a vagare
la patria sulle spalle
la patria divenuta ricordo
di un luogo cancellato dalle mappe
e faceva male ogni ora di più
e diventava più triste del silenzio
e gridava più forte nel castigo.
E un giorno, Leyla Khaled, notte pura,
notte ferita di stelle, ti sei trovata
i campi, i paesi, i sentieri
tatuati sulla pelle del ricordo
muovendosi nel tuo sangue rosso e vivo
riempiendoti gli occhi della loro sete
le mani e le spalle di fucili,
di fiera ribellione le insonnie.
E iniziarono a chiamarti con nomi
amari di ignominia,
ti lanciarono urla come spine
dai quattro punti cardinali,
e marcarono il tuo passo con il ferro
dell’obbrobrio.
Tu, sorda e cieca, in mezzo
agli avidi artigli nemici,
ardevi nel tuo fuoco, camminavi
di frontiera in frontiera,
difendendo il tuo petto dall’odio
con l’incerta certezza del ritorno
alla terra luttuosa di cui fosti
da mille mani straniere derubata.
Ti videro i deserti, le città,
la fretta dei treni, febbricitante,
assorta nel tuo destino guerrigliero,
negandoti l’amore e i singhiozzi,
perdendoti alla fine tra le ombre.
Non si sa, non so, quale è stata la tua direzione,
se giaci sotto la polvere, se procedi
per le valli del mare, profonda e sola,
o ti muovi ancora con il passo
felino dell’animale inseguito.
Nessuno sa. Non so. Ma ti alzi
di scatto nella nebbia dell’insonnia,
iraconda e terribile Leyla Khaled,
pecora in lupa trasformata, rosa
dal dolce tatto in morte trasformata.
IMMIGRANTI
Una terra con cedri, con olivi,
una dolce regione di fresche vigne,
lasciarono vicino al mare, abbandonarono
per il fuoco d’America.
Conservavano tra le labbra
il sapore della resina,
e il fumo profumato del narguileh
negli occhi,
mentre la nave si perdeva tra le onde
lasciandosi dietro le pietre di Beritos,
la valle gioiosa ai piedi delle colline,
e i banchetti del vino attorno alla tavola
preparata nell’estate
sotto il cielo pieno di gemme.
Il mare cambiò nome
una volta, un’altra e un’altra ancora
fino ad arrivare alla scottante riva
dove veloci raffiche
di uccelli dipingevano
di colori e musica improvvisa
l’istante,
e il fragore dei fiumi imitava il ruggito
del giaguaro e del puma
nascosti nella selva.
Su rive e su montagne costruirono case
come in passato la tenda nelle verdi oasi
l’antico avo, e le vecchie parole
iniziarono a scambiare
con le parole nuove
per chiamare le cose,
e seppero condividere il cuore con grandezza
come prima l’otre d’acqua nella sete del deserto.
A volte quando suona il liuto della memoria
e la prima stella
brilla nella sera
ricordano il giorno
in cui il bled scomparve lentamente
dietro l’orizzonte.
CEDRI
I miei occhi di bambina videro
– già molti anni addietro – elevarsi
fino alle nuvole un volo
di verde progressivo
che l’aria intorno
riempiva di balsamo
con tranquilla insistenza.
Il silenzio si percepiva come una
musica interrotta all’improvviso,
e nel mio petto cresceva
lo stupore.
La voce del padre, allora,
si piegò al mio orecchio
per dirmi, sottovoce:
“Sono i cedri del Libano
figlia mia.
Da mille anni, forse
da due volte mille, essi crescono
ai piedi di Dio.
Conserva la loro immagine
nella mente e nel sangue.
Non dimenticare mai
che hai osservato da vicino
la Bellezza”.
E da quel momento
così lontano,
qualcosa in me si rinnova
e trema
quando incontro nelle pagine
di un libro
la loro memorabile immagine.
IL MIRACOLO
Ti penso.
La sera,
non è più una sera;
è il ricordo
di quell’altra, azzurra,
in cui amore
si fece in noi
come un giorno
si fece luce nelle tenebre.
E proprio allora fu più brillante
la stella, il profumo
del gelsomino più vicino,
meno
pungenti le spine.
Adesso
quando la invoco credo
di essere stata testimone
di un miracolo.
Traduzione dallo spagnolo di Giulia Spagnesi
FONTE-Rivista- FILI DI AQUILONE-
Meira Delmar –Olga Isabel Chams Eljach (Barranquilla, 21 agosto 1922 – Barranquilla, 18 marzo 2009), poetessa colombiana di origini libanesi, sin dal 1937 usò lo pseudonimo Meira Delmar. Professoressa di Storia dell’Arte e Letteratura, diresse per molti anni la Biblioteca Pubblica dell’Atlantico. Le sue poesie sono caratterizzate da una sensualità di fondo.
Lucille Clifton-Poesia “Sassi e Ossa”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Sassi e Ossa una poesia di Lucille Clifton
Sassi e Ossa una poesia di Lucille Clifton
Sassi e Ossa
ecco un paese dove i vecchi
si riuniscono nella capitale e
parlano la loro lingua piena di
sassi
le loro sillabe sono schegge di osso
dicono di innalzare un credo
mentre freddo e immobile là sotto
la loro lingua si cela un figlio altrui
o forse il mio
ossa e sassi
le nostre orecchie sanguinano
rosso e bianco e blu
stones and bones
here is a country where old men
gather in the capital and
speak their language filled with
stones
their syllables are chips of bone
they speak of lifting up a creed
while cold and still there under
their tongue is somebody else’s child
or mine
bones and stones
our ears bleed
red and white and blue
Augusta Mazzella Di Bosco- Poesie -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Augusta Mazzella Di Bosco- Poesie –
-dalla Rivista QUINTA GENERAZIONE 1983-
Maro Puppini-Garibaldini in Spagna-Biblioteca DEA SABINA
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-Maro Puppini-Garibaldini in Spagna-
Storia della XII Brigata Internazionale nella guerra di Spagna-
Editore Kappa Vu
Descrizione
La guerra di Spagna scoppiò nel luglio 1936 dopo un fallito tentativo di colpo di stato militare contro il governo democratico della Repubblica spagnola. In seguito all’intervento dell’Italia fascista e della Germania nazista in appoggio ai militari, si trasformò in una guerra internazionale, militare e politica, che vedeva coinvolte tutte le maggiori potenze dell’epoca. Gli antifascisti italiani combatterono nel corso di quella guerra in prima linea, inquadrati nel battaglione e poi brigata Garibaldi, in seno alle Brigate Internazionali, che rappresentavano gli antifascisti di tutto il mondo, di diverse idee politiche, uniti nella lotta al fascismo. Questo libro racconta quell’epopea, l’eroismo di quei combattenti, ma anche i problemi e le crisi che si trovarono ad affrontare, in una lotta che aveva una valenza assieme nazionale ed internazionale. Quelle vicende fornirono un insegnamento importante qualche anno dopo per la Resistenza italiana.
Guillaume Apollinaire -Poesia da “alcools”- Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesia di Guillaume Apollinaire tratta da “alcools”-
-Apollinaire recite le pont Mirabeau-
il ponte Mirabeau
Sotto Pont Mirabeau la Senna va
E i nostri amori potrò mai scordarlo
C’era sempre la gioia dopo ogni affanno
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Le mani nelle mani restiamo faccia a faccia
E sotto il ponte delle nostre braccia
Stanca degli eterni sguardi l’onda passa
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
L’amore va come quell’acqua fugge
L’amore va come la vita è lenta
E come la speranza è violenta
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Passano i giorni e poi le settimane
Ma non tornano amori né passato
Sotto Pont Mirabeau la Senna va
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Le pont Mirabeau
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours
Faut-il qu’il m’en souvienne
La joie venait toujours après la peine
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
Les mains dans les mains restons face à face
Tandis que sous
Le pont de nos bras passe
Des éternels regards l’onde si lasse
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
L’amour s’en va comme cette eau courante
L’amour s’en va
Comme la vie est lente
Et comme l’Espérance est violente
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
Passent les jours et passent les semaines
Ni temps passé
Ni les amours reviennent
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure.
note: traduzione di Vittorio Sereni, postata il 17/02/2012, tratta da “alcools”, Apollinaire recite le pont Mirabeau
Biografia di Guillaume Apollinaire
Pseudonimo dello scrittore Guillaume-Apollinaris-Albertus de Kostrowitsky (Roma 1880 – Parigi 1918). Nato da un italiano e da una nobildonna polacca, ma di cultura francese, visse l’esperienza letteraria della Francia dagli ultimi anni del sec. 19º fino alla prima guerra mondiale, cui partecipò valorosamente. Le sue poesie giovanili si collocano nel quadro dell’ultimo simbolismo: così Le Bestiaire ou Cortège d’ Orphée (1911) e le poesie che, pubblicate sparsamente, furono raccolte poi nel volume Calligrammes (1918). Dal senso musicale della parola passò a coltivare il valore suggestivo delle associazioni che la parola può evocare e inaugurò la lirica in cui assumono importanza massima le immagini e le cose. In tal modo fu condotto a iniziare nella poesia il cubismo, il sintetismo o simultaneismo e il surrealismo. La sua influenza si avverte in tutti i movimenti svoltisi nella letteratura francese dal 1905 al 1920 circa. Della sua opera non voluminosa si ricordano, oltre ai libri citati, Alcools (1913, poesie), Le poète assassiné (1916, romanzo), Les mamelles de Tirésias (1917, dramma surrealista). Amico di Braque, di Picasso e degli altri cubisti, partecipò attivamente al loro movimento come critico d’arte.
Emanuela Tesei-Romanzo “ La Danza di Sole e Luna”-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-EMANUELA TESEI , romanzo “ La Danza di Sole e Luna”.
EMANUELA TESEI , nata a Roma da genitori sabini originari di Monte Santa Maria di Poggio Nativo-
Fernando Pessoa:“L’unica prefazione di un libro è la mente di chi lo legge“.
Articolo di Franco Leggeri-Scrivere la recensione per il romanzo di Emanuela Tesei non cosa è semplice. Potrei descrivere l’opera di Emanuela come se fosse una sceneggiatura di un film, raccontare le scene , ma , forse, non è così che riuscirei ad esprime al meglio le sensazioni e le emozioni che mi hanno coinvolto . Proverò, semplicemente, a mettere in ordine il turbine di sorprese che mi hanno segnato ed è di questi sentimenti e sensazioni che proverò a scrivere cercando di delineare il quadro ed esaltarne il ritratto finale. Sin dalla prima pagina dell’opera di Emanuela Tesei si entra nella scenografia, risucchiati dalla scena abbracciati dalle canzoni di Vasco Rossi e Guccini. Ti trovi ad essere attore della graffiante poetica dei versi di così bene incastonati all’interno di una pagina dove, appunto, si trovano in scena sia Diana che Apollo. Prendere Majakovskij, i suoi versi, per alimentare la pagina, incidere la pagina, è che fa Emanuela Tesei , lei utilizza la penna come scalpello, e rafforzare il pensiero che l’autrice getta sul bianco della pagina così come il ferro sull’incudine un battere e levare e, come il maniscalco che forgia il ferro, così l’autrice ne modella e, poi, ricama il pensiero scritto. E il Gaber di “porta romana bella”, quel Gaber, che conosco, è il sottolineato usato per descrivere la traccia sonora nel ricordo del quartiere Bravetta, Forte Bravetta , la Pisana. Come scrive l’autrice siamo in una barchetta che naviga nel mar dello Stromboli , ed ecco che ti accorgi di questo mare “verticale” di “questa montagna di mare” , e scopri che stai navigando in un oceano di parole che ti risucchiano in labirinto kafkiano. In questo labirinto hai, sei fortunato, la sirena , colonna sonora, di voci amiche di cantanti che condividi, nel gusto, con l’autrice la quale non ti lascia in balia del nulla , ma si fa essa stessa bussola e faro in questo oceano di sentimenti. Puoi sostare a Rieti, ascoltando i dialoghi di Platone con Carmide, e ammirare il ponte romano che si offre allo sguardo quando il Velino è in magra. E dopo, sempre in un progredire di scenari nuovi, vai , campo lungo della regia, al Terminillo e ti aggrappi alla sua altitudine e, quindi, provi a riemergere, come il ponte romano, perché , se vuoi riemergere, devi sapere che :”non può piovere per sempre” come dice il Corvo nel film omonimo. Il romanzo di Emanuela è un labirinto, il mio Dedalo, com’è il mio Castelnuovo nei ricordi e nelle poesie che scrivo. Se in Castelnuovo ad ogni angolo trovi una nuova epigrafe che narra una storia, così ad ogni pagina scritta da Emanuela Tesei entri, navighi, a fianco di un nuovo personaggio. Poi ti fermi e ti ristori, prendi fiato, ti disseti con i versi Alda Merini:” … inquietudini segrete disparvero, perché eravamo vicine a dio, e la nostra sofferenza era arrivata al fiore….”. E come dimenticare di aver incontrato nelle pagine del libro Eraclito e i Pink Floyd ? Emanuela Tesei riesce a farli camminare insieme Eraclito e i Pink Floyd come compagni di strada; questi giganti cosi si vedono assieme, con l’immaginazione puoi vederli disegnati nelle crepe del muro che trovi al ciak iniziale del romanzo :” E camminare per il Borgo sabino (Monte Santa Maria o Castelnuovo di Farfa?), i sui vicoli o “sentieri” , che l’autrice immagina come vene senza luce ed è allora che lei invoca la Via Lattea e la stella Vega perché il protagonista è assetato di Sole, mentre Orfeo , figlio della Poesia, guida il lettore nelle melodie che si riflettono sulle pietre “antiche” delle case. L’Autrice con uno stile unico, è la sua prima opera letteraria, riesce, è capace di creare tensione fino a renderla palpabile. Le “musiche” la colonna sonora è la zattera che riesce a “traghettarti “sulla riva opposta e così il lettore torna a riva dopo aver navigato questo “mare verticale”. Concludo questa impressione “ a caldo” scrivendo, credo di poterlo fare, che l’autrice ha scritto , incredibile performance di Emanuela, in modo di poter permettere al lettore di solidarizzare con il suo protagonista, seguendolo nei suoi alti e bassi. In questo romanzo l’autrice è capace, è stata capace, di descrivere la nostra società in modo crudo e graffiante, i capitoli li ha “rifiniti” e lavorati anche con la carta vetrata, ma il risultato finale è stato che il romanzo “Danza di Sole e Luna” , ad ogni capitolo, il lettore si trova di fronte a un dipinto dai colori dalle innumerevoli luci generate dalle mille facce del “diamante” della fantasia. Queste impressioni a caldo non sono un prologo, ne una prefazione e neanche una introduzione al lavoro di Emanuela. La Danza di Sole e Luna sarà una lettura che spingerà il lettore ad affidare le sue emozioni a questa trama affascinante che , ne sono sicuro, il ritmo, altissimo, del susseguirsi dei capitoli sarà capace di rimanere impresso nel intimo , il lavoro di Emanuela, è destinato a lasciare un segno profondo .
Articolo di Franco Leggeri
La scrittrice Emanuela TESEI, nata a Roma da genitori sabini originari di Monte Santa Maria di Poggio Nativo, è una gradita scoperta letteraria del tutto casuale. Emanuela TESEI è la vincitrice assoluta , con il romanzo La Danza di Sole e Luna, della XIV edizione del Premio Letterario Internazionale “Gaetano Cingari” 2019.
Contatti:
e.mail.: emefsoleluna@yahoo.com
Pagina Facebook: La danza di Sole e Luna.
Rosella Postorino- Mi limitavo ad amare te –Biblioteca DEA SABINA
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Rosella Postorino- Mi limitavo ad amare te –
Feltrinelli Editore
DESCRIZIONE di Luana Favaretto
Il romanzo estremamente coinvolgente di Rosella Postorino prende spunto da una storia vera. Nel 1992, durante l’assedio di Sarajevo, i bambini dell’orfanatrofio di Bjelave vennero trasferiti in Italia per essere messi in salvo. Molto furono adottati anche se i genitori biologici erano ancora in vita e non tornarono più in Bosnia. Se l’intento era buono, togliergli dal pericolo dei bombardamenti, dalla crudeltà dei cecchini, dalla fame e dagli orrori della guerra, il risultato finale non fu altrettanto degno di lode. Figli e genitori che non hanno mai smesso di cercarsi né di rassegnarsi alla perdita. In questo dramma si ambienta la storia di Omar, Nada e Danilo i tre indimenticabili bambini protagonisti principali del romanzo. Con storie familiari, personalità e atteggiamenti nel corso degli eventi, completamente diversi tra loro, hanno in comune l’esodo verso l’Italia e la difficoltà nell’integrazione. Ognuno di essi con la sua vicenda personale, ognuno con il suo fardello di ricordi e orrori, ma uniti dalla solidarietà di chi soffre insieme e la sofferenza crea legame.
Senza addentrarci troppo nella trama, per non togliere gusto al lettore, di può dire che questo libro è di un’attualità estrema. Le guerre sono oscene, privano gli esseri viventi della loro umanità, portano la crudeltà e l’inimmaginabile limite di accettazione del male a livelli inconcepibili. Quando tutto questo colpisce bambini innocenti e lascia su di loro segni indelebili, che siano fisici o psicologici, è inaccettabile. Sono solo bambini. Pensiamo all’Ucraina, pensiamo al conflitto israelo/palestinese e a tanti altri su tutto il pianeta. Non ci interessi chi ha ragione o chi ha torto, i bambini sono sempre non colpevoli e pagano lo scotto più alto per guerre assurde e immorali.
Brava Postorino a portare l’attenzione su questa vicenda in particolare e sull’insensatezza delle guerre fratricide in generale. Facciamo tutti parte di questa tormentata umanità, non si può ignorare o fingere di non sapere.