Andrea Camilleri -La concessione del telefono-Sellerio Editore-
Andrea Camilleri -La concessione del telefono-Sellerio Editore-
Nota di Alessandro Barbero-«Andrea Camilleri scriveva perché si divertiva: ed è evidente che scrivendo La concessione del telefono si è divertito molto. E con lui si diverte il lettore, continuamente accompagnato dall’ironia dell’autore e dagli snodi via via più esilaranti di una classica commedia degli equivoci. Ma il divertissement non fa solo ridere, anzi, a un certo punto rischia di non far più ridere per nulla. Via via che si procede diventa fin troppo evidente che dietro c’è di peggio; c’è l’eterno dramma della burocrazia italiana, ma soprattutto un pessimismo millenario che dà per scontato che le cose cominciate male finiranno peggio, che chi prova a portare tra i pazzi un minimo di razionalità e di buon senso finirà stritolato, che ogni sistema premia i peggiori».
Alessandro Barbero
Nota di Raffaele La Capria-«Io credo che il romanzo italiano contemporaneo abbia in Andrea Camilleri uno dei suoi rappresentanti più notevoli ed originali, per la sua capacità di dominare con un colpo d’occhio tutta la commedia umana della sua Sicilia senza mai scadere nel bozzetto e nel costume; per le trame che sa far proliferare nel racconto mantenendo sempre la stessa tensione narrativa; per la implicita e mai superficiale critica sociale che si nasconde dietro le sue “storie naturali”. Si cominci a leggere questo suo romanzo semiepistolare per convincersene e sono sicuro che dopo averlo letto si cercheranno gli altri romanzi da lui scritti, soprattutto quelli legati a quest’ultimo, che si svolgono ognuno nello stesso paesino di Vigàta, nella Sicilia fine Ottocento, dando vita a una vera e propria saga isolana. E non si dimentichi che Camilleri è nato a Porto Empedocle, in zona Pirandello».
Raffaele La Capria
Autore
Andrea Camilleri (Porto Empedocle, 1925-Roma, 2019), regista di teatro, televisione, radio e sceneggiatore. Ha insegnato regia presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica. Ha pubblicato numerosi saggi sullo spettacolo e il volume, I teatri stabili in Italia(1898-1918). Il suo primo romanzo, Il corso delle cose, del 1978, è stato trasmesso in tre puntate dalla TV col titolo La mano sugli occhi. Con questa casa editrice ha pubblicato: La strage dimenticata (1984), La stagione della caccia (1992), La bolla di componenda (1993), Il birraio di Preston (1995), Un filo di fumo (1997), Il gioco della mosca (1997), La concessione del telefono (1998), Il corso delle cose (1998), Il re di Girgenti (2001), La presa di Macallè (2003), Privo di titolo (2005), Le pecore e il pastore (2007), Maruzza Musumeci (2007), Il casellante (2008), Il sonaglio (2009), La rizzagliata (2009), Il nipote del Negus (2010, anche in versione audiolibro), Gran Circo Taddei e altre storie di Vigàta (2011), La setta degli angeli (2011), La Regina di Pomerania e altre storie di Vigàta (2012), La rivoluzione della luna (2013), La banda Sacco (2013), Inseguendo un’ombra (2014), Il quadro delle meraviglie. Scritti per teatro, radio, musica, cinema (2015), Le vichinghe volanti e altre storie d’amore a Vigàta (2015), La cappella di famiglia e altre storie di Vigàta (2016), La mossa del cavallo (2017), La scomparsa di Patò (2018), Conversazione su Tiresia (2019), Autodifesa di Caino (2019), La Pensione Eva (2021), La guerra privata di Samuele e altre storie di Vigàta (2022), Il teatro certamente. Dialogo con Giuseppe Dipasquale (2023), Un sabato, con gli amici (2024); e inoltre i romanzi e racconti con protagonista il commissario Salvo Montalbano: La forma dell’acqua (1994), Il cane di terracotta (1996), Il ladro di merendine (1996), La voce del violino (1997), La gita a Tindari (2000), L’odore della notte (2001), Il giro di boa (2003), La pazienza del ragno (2004), La luna di carta (2005), La vampa d’agosto (2006), Le ali della sfinge (2006), La pista di sabbia (2007), Il campo del vasaio (2008), L’età del dubbio (2008), La danza del gabbiano (2009), La caccia al tesoro (2010), Il sorriso di Angelica (2010), Il gioco degli specchi (2011), Una lama di luce (2012), Una voce di notte (2012), Un covo di vipere (2013), La piramide di fango (2014), Morte in mare aperto e altre indagini del giovane Montalbano (2014), La giostra degli scambi (2015), L’altro capo del filo (2016), La rete di protezione (2017), Un mese con Montalbano (2017), Il metodo Catalanotti (2018), Gli arancini di Montalbano (2018), Il cuoco dell’Alcyon (2019), Riccardino (2020), La prima indagine di Montalbano (2021), La coscienza di Montalbano (2022), La paura di Montalbano (2023).
Premio Campiello 2011 alla Carriera, Premio Chandler 2011 alla Carriera, Premio Fregene Letteratura – Opera Complessiva 2013, Premio Pepe Carvalho 2014, Premio Gogol’ 2015.
-Il 4 FEBBRAIO 1966 VIENE SOPPRESSO L’INDICE DEI LIBRI PROIBITI-
-Index librorum prohibitorum-
Libri proibiti dall’Inquisizione (o Sant’Uffizio)L’ Indice dei libri proibiti (in latino Index librorum prohibitorum) fu un elenco di pubblicazioni proibite dalla Chiesa cattolica, creato nel 1558 per opera della Congregazione della sacra romana e universale Inquisizione (o Sant’Uffizio), sotto Paolo IV. Ebbe diverse versioni e fu soppresso solo nel 1966 con la fine dell’inquisizione romana sostituita dalla congregazione per la dottrina della fede.
I precedenti:
Sin dalle sue origini le lotte della Chiesa contro le eresie comportarono la proibizione di leggere o conservare opere considerate eretiche: il primo concilio di Nicea (325) proibì le opere di Ario, papa Anastasio I (399-401) quelle di Origene e papa Leone I (440-461) quelle dei manichei. Il secondo concilio di Nicea (787) stabilì che i libri eretici dovessero essere consegnati al vescovo non tenuti di nascosto.
Il concilio di Tolosa del 1229 giunse a proibire ai laici il possesso di copie della Bibbia e nel 1234 quello di Tarragona ordinò il rogo delle traduzioni della Bibbia in volgare.
La diffusione di idee contrarie ai dogmi della Chiesa cattolica, e in particolare della Riforma protestante, fu grandemente favorita dall’invenzione della stampa a caratteri mobili (1455): la Chiesa prese dunque provvedimenti nel tentativo di controllare quanto veniva stampato.
Alla metà del XVI secolo risalgono i primi cataloghi di libri proibiti: ne furono redatti dalle università della Sorbona a Parigi e di Lovanio, per ordine di Carlo V e di Filippo II.
Nel 1543 nella Repubblica di Venezia il Consiglio dei Dieci affidò agli Esecutori contro la Bestemmia il compito di sorvegliare l’editoria, con facoltà di multare chi stampava senza permesso: nel 1549, ad opera di monsignor Giovanni della Casa, fu pubblicato un Catalogo di diverse opere, compositioni et libri, li quali come eretici, sospetti, impii et scandalosi si dichiarano dannati et prohibiti in questa inclita città di Vinegia: l’elenco comprendeva 149 titoli e riguardava per lo più opere tacciate di eresia, ma la proibizione finì con il non essere applicata per l’opposizione dei librai e dei tipografi.
Nel 1559, ad opera del Sant’Uffizio, uscì a Roma un primo Cathalogus librorum Haereticorum, con intenti quasi esclusivamente anti-protestanti: vi comparivano anche le opere di Luciano di Samosata, il De monarchia di Dante Alighieri e perfino i commentari di papa Pio II sul Concilio di Basilea.
Indice dei libri proibiti
Il primo indice del 1558:
Tra i compiti del Sant’Uffizio, istituito da papa Paolo III nel 1542, era compresa la vigilanza sui libri. Sotto papa Paolo IV, venne pubblicato un indice dei libri e degli autori proibiti, detto “Indice Paolino”, redatto dall’Inquisizione e promulgato con un suo decreto, affisso a Roma il 30 dicembre 1558. L’elenco comprendeva l’intera opera degli scrittori non cattolici, compresi i testi non di carattere religioso, altri 126 titoli di 117 autori, di cui non veniva tuttavia condannata l’intera opera, e 332 opere anonime.
Vi erano inoltre elencate 45 edizioni proibite della Bibbia e veniva condannata l’intera produzione di 61 tipografi (prevalentemente svizzeri e tedeschi). Infine si proibivano intere categorie di libri, come quelli di astrologia o di magia, mentre le traduzioni della Bibbia in volgare potevano essere lette solo su specifica licenza, concessa solo a chi conoscesse il latino e non alle donne.
Tra i libri proibiti erano il “Decamerone” di Boccaccio, “Il Novellino” di Masuccio Salernitano e tutte le opere di Machiavelli, di Rabelais e di Erasmo da Rotterdam, il “Diálogo de doctrina christiana” dei Valdesiani.
Il papa, che da cardinale (Giampiero Carafa) era stato il primo direttore del Sant’Uffizio, attribuì a quest’ultimo e alla sua rete locale l’applicazione della proibizione, a scapito del potere dei vescovi.
Indice dei libri proibiti
La storia successiva:
Nuovi indici vennero redatti anche dal Santo Uffizio sotto i pontefici successivi e le due congregazioni furono spesso in conflitto in merito alla giurisdizione sulla censura dei libri. Anche i vescovi si opposero al potere dato all’Inquisizione in questo campo.
Nel 1596, sotto papa Clemente VIII venne redatta una nuova versione dell’indice (“Indice Clementino”), che aggiunse all’elenco precedente opere registrate in altri indici europei successivi al 1564. Ripeteva inoltre la proibizione di stampare opere in volgare, già promulgata da Pio V nel 1567.
La censura ecclesiastica ebbe pesanti conseguenze: le “espurgazioni”, a volte neppure dichiarate, potevano arrivare a stravolgere il pensiero dell’autore originario e i testi scientifici non conformi all’interpretazione aristotelico-scolastica erano considerati eretici. Nel 1616 furono bandite le opere di Copernico. Gli scrittori si autocensuravano e l’attività dei librai diventò difficile per le richieste di permesso e i pericoli di confisca.
Le “patenti di lettura”, tuttavia, che in teoria avrebbero dovuto essere rilasciate solo a studiosi di provata fiducia da parte del Santo Uffizio e durare solo per tre anni, si ottenevano invece in pratica abbastanza facilmente.
Nel 1758, sotto papa Benedetto XIV, le norme furono riviste e l’indice venne corretto e reso più comodo. Fu inoltre eliminato il divieto di lettura della Bibbia tradotta dal latino. Le competenze per la compilazione e l’aggiornamento dell’indice passarono a partire dal 1917 al Sant’Uffizio.
L’indice nei suoi quattro secoli di vita venne aggiornato almeno venti volte (l’ultima nel 1948) e fu definitivamente abolito solo dopo il Concilio Vaticano II nel 1966, sotto papa Paolo VI.
L’elenco comprendeva, fra gli altri, nomi della letteratura, della scienza e della filosofia come: Francesco Bacone (Francis Bacon), Honoré de Balzac, Henri Bergson, George Berkeley, Cartesio, D’Alembert, Daniel Defoe, Denis Diderot, Alexandre Dumas (padre) e Alexandre Dumas (figlio), Gustave Flaubert, Thomas Hobbes, Victor Hugo, David Hume, Immanuel Kant, Jean de La Fontaine, John Locke, Montaigne, Montesquieu, Blaise Pascal, Pierre-Joseph Proudhon, Jean-Jacques Rousseau, George Sand, Spinoza, Stendhal, Voltaire, Émile Zola.
Tra gli italiani finiti all’indice – scienziati, filosofi, pensatori, scrittori, economisti – vi sono stati Vittorio Alfieri, Pietro Aretino, Cesare Beccaria, Giordano Bruno, Benedetto Croce, Gabriele D’Annunzio, Antonio Fogazzaro, Ugo Foscolo, Galileo Galilei, Giovanni Gentile, Francesco Guicciardini, Giacomo Leopardi, Ada Negri, Adeodato Ressi, Girolamo Savonarola, Luigi Settembrini, Niccolò Tommaseo e Pietro Verri.
Tra gli ultimi ad entrare nella lista sono stati Simone de Beauvoir, André Gide, Jean-Paul Sartre e Alberto Moravia.
Indice dei libri proibiti-Giordano BrunoIndice dei libri proibiti-Paolo VIIndice dei libri proibiti
La sarda NINETTA BARTOLI fu la prima sindaca d’Italia
Il costume è quello del giorno della festa. Il corpetto bianco con le maniche a sbuffo, la lunga gonna a pieghe ricamata di fiori e il velo, a incorniciare un viso fiero.La sarda Ninetta Bartoli, prima sindaca d’Italia, si fa ritrarre così, nell’abito della tradizione, da solenne investitura.Una mano appoggiata sul fianco e occhi che guardano lontano, a quella scelta che nessuna prima di lei aveva fatto: governare il suo piccolo paese. Alle elezioni dell’Aprile 1946, si presenta come candidata sindaco. Con l’89% delle preferenze, conquistando 332 voti su 371, sbaraglia gli uomini avversari e viene eletta. È votata a furor di popolo, un vero e proprio plebiscito: diventa la prima sindaca della storia dell’Italia repubblicana.
NINETTA BARTOLI- La prima sindaca d’Italia
È mater familias che sulla sua carrozza gira tra Borutta e Sassari per conoscere sempre meglio il territorio che amministra e capire come intervenire per migliorare le cose. Fa costruire l’acquedotto, il sistema fognario e porta l’energia elettrica in paese: una rivoluzione che cambia per sempre Borutta, trasformandola da un povero paese fossilizzato nel passato a un moderno centro civilizzato. Grazie a lei si edificarono case popolari e la scuola. Anche i ruderi della chiesa e del Monastero di San Pietro di Sorres ritornarono all’antico splendore. E se le casse comunali non consentivano di coprire le spese, lei stessa non esitava ad attingere al suo patrimonio pur di realizzare le opere che aveva in mente.Governò Borutta per 12 anni fino al 1958.
NINETTA BARTOLI-La prima sindaca d’Italia
Biografia–Antonia Bartoli detta Ninetta (Borutta, 24 settembre1896 – Borutta, 1978) è stata una politicaitaliana, prima donna ad essere stata eletta sindaca in Italia– Nata da una famiglia nobile, Ninetta Bartoli (alcune fonti sostengono che avesse come secondo nome “Bartola”)[3] ebbe la possibilità di studiare presso l’istituto “Figlie di Maria” di Sassari, la scuola più esclusiva della città.
Avendo deciso di non volersi sposare e di rimanere nel suo paese, si avvicina all’ambiente culturale ecclesiastico locale dopo aver conosciuto il missionario Giovanni Battista Manzella.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, divenne segretaria della sezione locale della Democrazia Cristiana. L’anno successivo, quando decise di candidarsi alla carica di sindaco, venne sostenuta dai membri più importanti della DC provinciale, principalmente dalla famiglia Segni.
Vinse le elezioni del 1946 con l’89% dei consensi, 332 voti su 371.[3] A partire da quel momento, restò in carica per 12 anni, fino al 1958, quando il suo partito smise di sostenerla.[7]
Il giorno del suo insediamento scelse di farsi fotografare con indosso il costume tradizionale di Borutta, quello utilizzato nelle occasioni importanti.[8]
Nel corso del suo mandato fece costruire le prime case popolari, le scuole elementari, l’asilo, il cimitero, il Municipio, l’acquedotto e l’impianto fognario. Istituì una cooperativa per la raccolta del latte e per la produzione del formaggio, una casa di riposo, una cooperativa agraria e avviò tutta una serie di iniziative per offrire posti di lavoro qualificati alle donne. Si occupò anche del patrimonio artistico; il restauro del complesso monastico di San Pietro di Sorres avvenne per opera sua, con l’investimento di soldi appartenenti a lei e alla sua famiglia. A partire dal 1955, venne fatta arrivare in quello stesso monastero una comunità di monaci benedettini, l’unica in Sardegna dopo molti secoli.[1][3]
Morì nel 1978 nel suo paese, a Borutta, dopo aver continuato a lavorare per la comunità anche in seguito alla fine del proprio mandato e ruolo istituzionale. Il comune di Borutta le ha intitolato un premio, dedicato a tutte le donne che si sono contraddistinte in ambito sociale, politico, economico o che hanno partecipato al lavoro in generale.[5]
Franca Valeri, pseudonimo di Franca Norsa, aveva nell’albero genealogico della famiglia la presenza di un’attrice, vissuta nel XVIII secolo, di nome Fanny Norsa.Franca Valeri appassionata di recitazione fin da piccola, imitatrice delle amiche della madre, Franca cresce apprendendo, su invito del padre (il quale le regala spesso dischi a 78 giri di Ettore Petrolini), l’inglese e il francese e frequentando, grazie a entrambi i genitori spesso ospiti in un palchetto di amici, il teatro alla Scala, appassionandosi così all’opera. Vive inoltre a Riccione, Venezia e la Svizzera per le lunghe vacanze estive[5]. Dopo un periodo vissuto in un appartamento in via della Spiga, i Norsa nel 1935 si trasferiscono nella signorile via Mozart.
Franca Valeri
Franca frequenta il Regio Liceo Ginnasio Giuseppe Parini nella sezione C, l’unica in cui venga insegnata la lingua inglese. Sua compagna di classe e amica in quel periodo è Silvana Mauri[8], futura moglie di Ottiero Ottieri e nipote di Valentino Bompiani, il quale, trasferitosi a Milano in quegli anni, aveva fondato la casa editrice Bompiani.
Franca adolescente inizia recitando caricature in compagnia di alcune amiche: con loro inscena una specie di teatrino ad uso e consumo di amici e parenti. Nasce in questo contesto il personaggio della Signorina Snob (che stigmatizzava con sagacia e ironia i comportamenti ipocriti della borghesia milanese, cui lei stessa appartiene).
Franca Valeri
Le leggi razziali fasciste del 1938 privano la famiglia dei diritti fondamentali e Franca si trova, per di più, a dover rinunciare anche alle affezionate domestiche. Espulsa dal Parini all’ultimo anno, riesce ad iscriversi da privatista, senza destare sospetti, al Regio Liceo – Ginnasio Alessandro Manzoni.
Il periodo più buio arriva dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943. Il padre e il fratello trovano rifugio in Svizzera. Franca, rimasta a Milano con la madre, sopravvive alle deportazioni grazie a un impiegato dell’anagrafe, il quale le rilascia una carta d’identità falsa, che la trasforma nella figlia illegittima di sua madre Cecilia Pernetta, nata a Pavia come quest’ultima e non a Milano. Lei e la madre lasciano l’appartamento di via Mozart ad alcune persone ricercate e si trasferiscono in Brianza, poi in una località sopra Lecco, per tornare infine a Milano, nascoste in una casa di ringhiera bombardata, di proprietà di amici, in via Rovello. Per passare il tempo legge Marcel Proust, nei libri Gallimard in lingua originale posseduti da suo padre, il quale aveva studiato alla Sorbona.
Franca Valeri
Nel 1944, ospitata a Roma da una cugina del padre, si presenta all’audizione per l’ingresso all’Accademia nazionale d’arte drammatica, assieme a Tino Buazzelli. Recita un brano da Le mosche, di Jean-Paul Sartre, ma Silvio D’Amico, Wanda Capodaglio e Orazio Costa, affamati e di fretta, prendono Buazzelli e respingono lei. Franca non si dà per vinta, e, complice la cugina, fa credere ai suoi di frequentare l’accademia; nel frattempo riesce a recitare e a fare cabaret, divenendo amica di Ennio Flaiano e Nicola Ciarletta. Domenica 29 aprile 1945 è a Milano ed assiste all’esposizione del Duce Benito Mussolini, Claretta Petacci e gerarchi a piazzale Loreto, avendo la sensazione di assistere a un giudizio universale.
Esordi
Nel 1946 debutta ufficialmente a teatro nel ruolo di una sarta, in una commedia della compagnia di Ernesto Calindri, in scena al Teatro Olimpia, in Foro Buonaparte. Nel 1947 si fa notare con il personaggio di Lea Lebowitz, una ebrea innamorata del rabbino, in un lavoro teatrale di Alessandro Fersen. Accetta poi di interpretare il cane bassotto del signor Bonaventura, per poter recitare con Sergio Tofano. In seguito entra a far parte della compagnia del Teatro dei Gobbi, nella quale esordisce nel 1949. Il nome d’arte Franca Valeri viene scelto solo più tardi, nei primi anni cinquanta, su suggerimento dell’amica Silvana Mauri, che in quel periodo stava leggendo un libro del poeta Paul Valéry, e su spinta del padre ingegnere che non era convinto della carriera d’attrice della figlia.
Franca Valeri
La compagnia del Teatro dei Gobbi, formata da Alberto Bonucci (più tardi sostituito da Luciano Salce. Vittorio Caprioli (conosciuto a Roma e ritrovato a Milano in una rivista di Marisa Maresca) e Franca Valeri, si trasferisce a Parigi portando in scena i Carnet de notes n. 1 (1949) e Carnet de notes n. 2 (1950), opere che propongono una serie di sketch satirici sulla società contemporanea senza ausilio di scene e costumi.
La compagnia sceglie infatti una formula teatrale che non prevede alcun travestimento: gli attori non indossano costumi per caratterizzare uno o l’altro personaggio, ma si presentano così come sono al naturale, in modo che il personaggio sia una invenzione del momento e che scaturisca “come dal cappello di un prestigiatore”.
A Parigi la compagnia si esibisce in un teatrino del quartiere latino, vicino al teatro dei Pitöeff, condividendo la serata con un’altra coppia di artisti: Raymond Devos e Marcel Marceau e utilizzando scene dipinte da Lila De Nobili.
Anni cinquanta
Durante gli anni cinquanta, la Valeri intraprende l’attività di attrice cinematografica: esordisce con Federico Fellini, il primo film al quale prende parte è infatti Luci del varietà, codiretto dal regista riminese assieme ad Alberto Lattuada, nel quale interpreta la piccola parte della coreografa ungherese che allestisce un balletto surreale nel nuovo spettacolo di Checco Dalmonte (Peppino De Filippo). Farà seguito una lunga serie di commedie, spesso al fianco di Alberto Sordi o di Totò, tra cui Totò a colori (1952), Piccola posta (1955), Il segno di Venere (1955), Il bigamo (1956), Arrangiatevi! (1959), Il vedovo (1959).
Franca Valeri
Nel 1950 Colette Rosselli e Indro Montanelli si trovano a Parigi, dove va in scena proprio il Carnet de notes n. 2. Montanelli e la Rosselli sono amici della Valeri e sostenitori dello spettacolo. Nasce così in quel periodo la collaborazione tra la Valeri e la Rosselli, che le porterà a realizzare congiuntamente il libro, fortemente sostenuto dallo stesso Montanelli, Il diario della Signorina snob, pubblicato nel 1951 dalla Mondadori. Il volume è frutto della celebrità ottenuta dal personaggio della “signorina snob” alla radio, alla fine degli anni quaranta. Il diario della Signorina Snob racconta, in forma di diario, un anno della vita di questo personaggio, tracciandone la vita quotidiana, le frequentazioni, le vacanze. Ogni pagina del diario è illustrata dalle tavole della Rosselli.
Anni sessanta
Negli anni sessanta viene diretta dal marito Vittorio Caprioli in alcune commedie a colori, di cui è anche coautrice della sceneggiatura: Leoni al sole (1961), Parigi o cara (1962) e Scusi, facciamo l’amore? (1967).
Franca Valeri è colonna portante del varietà televisivo dagli anni sessanta, spesso diretta da Antonello Falqui in trasmissioni come Le divine (1959), Studio Uno (1966) e Sabato sera (1967), gli ultimi due condotti da Mina e diretti da Antonello Falqui.
Le pellicole che la vedono protagonista sono poche e per la maggior parte scritte da lei e dirette da Caprioli. In Parigi o cara al personaggio di Delia Nesti è affidato il ruolo di reggere da sola l’intera costruzione del film, circondato da personaggi tutti di secondo piano.
Franca Valeri inoltre non si è dedicata molto al doppiaggio, tuttavia è rimasto un suo doppiaggio dell’attrice francese Simone Signoret nel film Confetti al pepe del 1963.
Durante gli anni sessanta, Franca Valeri pubblica una serie di dischi nei quali vengono registrati i suoi personaggi femminili. La serie di dischi viene pubblicata dalla casa discografica EMI – La voce del padrone. Nascono così gli album Le donne di Franca Valeri (1962, con lo stesso titolo verrà pubblicato anche un EP 7″ contenente un brano inedito rispetto all’album), Una serata con Franca Valeri (1965) e La signora Cecioni e le altre (1968). Negli album ogni traccia racchiude un breve monologo dei personaggi più celebri e conosciuti di Franca Valeri, attraverso la radio e la televisione. Al successo televisivo si deve infatti l’album La signora Cecioni e le altre del 1968, che dedica tutta la prima facciata al personaggio della signora Cecioni, una romana popolana sempre al telefono con mammà, divenuta celebre grazie alle trasmissioni, dirette da Antonello Falqui, Studio Uno (1966) e Sabato sera (1967).
Anni settanta
Le ultime apparizioni cinematografiche di Franca Valeri sono da posizionare tra gli anni settanta e gli anni ottanta, quando figura in alcune pellicole minori che fanno parte degli ultimi fuochi della commedia all’italiana, tra le tante: Basta guardarla di Luciano Salce (1970), Ettore lo fusto (1972), Ultimo tango a Zagarol (1973), La signora gioca bene a scopa? (1974).
Durante gli anni settanta partecipa alla fertile stagione degli sceneggiati televisivi della Rai. Diviene molto amica di persone di teatro, come Nora Ricci, con la quale reciterà negli sceneggiati Rai Nel mondo di Alice e Sì, vendetta…, entrambi del 1974, e Giuseppe Patroni Griffi. Nel 1974 scrive e interpreta la miniserie in quattro puntate Sì, vendetta…, diretta da Mario Ferrero. La vicenda è una riflessione sul mondo degli anni settanta e sui cambiamenti avvenuti in seno alla società italiana in conseguenza alla rivoluzione sessuale, vissuta attravers o gli occhi di una signora borghese e della di lei figlia hippy. Ogni episodio infatti affronta un argomento diverso (l’emancipazione dei ragazzi italiani, il femminismo, il rapporto della borghesia con le mode dei giovani, ecc.), attraverso personaggi femminili, in parte già affrontati precedentemente da Franca Valeri nei suoi sketch: ad esempio l’episodio nel quale Sandra Mondaini interpreta la ricca signora che ha votato la sua esistenza alle stravaganze del mondo dell’arte, riecheggia il personaggio della traccia La donna del mondo hippy, presente nell’album La signora Cecioni e le altre, del 1968, che vuole convincere il marito ad indossare abiti stravaganti per non sfigurare alla festa che lei sta organizzando. Sempre nel 1974 Franca Valeri prende parte allo sceneggiato Nel mondo di Alice, diretto da Guido Stagnaro e interpretato da Milena Vukotic (Alice).
Il 12 giugno 1978, su Rete2 viene mandato in onda lo speciale Bistecca, insalatina, del programma di Claudio Barbati e Francesco Bortolini, Videosera. Franca Valeri fa da conduttrice intervistando vari personaggi celebri sul tema dell’alimentazione e delle diete dimagranti. Tra gli altri vengono intervistati Agostina Belli, Margherita Boniver e Maurizio Costanzo
Anni ottanta e novanta
Nel 1982 è nuovamente in TV nel varietà di Enzo Trapani Due di tutto.
Dal 1989 fino al 1993 nell’ampio spazio all’aperto del Museo della civiltà romana, vengono organizzate e prodotte le stagioni Eurmuse dal regista Massimiliano Terzo in collaborazione con Franca Valeri, grande appassionata di opere liriche, e il direttore d’orchestra Maurizio Rinaldi; Eurmuse ebbe risonanza a livello internazionale. Durante questa manifestazione Franca Valeri cura la regia nelle opere: Il Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini e Rigoletto di Giuseppe Verdi.
Nel 1993, dopo un’assenza di circa un decennio, riappare sugli schermi televisivi partecipando alla trasmissione Magazine 3, in onda su Raitre.[17] Nel 1995 ritorna a recitare per la fiction, partecipando alla sit-com Norma e Felice accanto al comico Gino Bramieri (con cui aveva già collaborato ai tempi di Felicita Colombo, durante gli anni sessanta), a cui fanno seguito le due serie di Caro maestro (1996-1997), nelle quali interpretava il ruolo della bidella della scuola elementare nella quale era ambientato il telefilm.
Nel 1998 ritorna al varietà partecipando a La posta del cuore, in cui riporta in auge il personaggio della “Sora Cecioni”. Nel 1999 interpreta a teatro Alcool, commedia sulla decadenza dell’alta borghesia diretta da Adriana Asti[
Ultimi anni
Oltre che attrice famosa è autrice di commedie di successo, come Lina e il cavaliere, Meno storie, Tosca e altre due (portata anche sul grande schermo nel 2003) e Le Catacombe.
Nel 2000 prende poi parte alle fiction Linda e il brigadiere e Come quando fuori piove. A gennaio 2007 la trasmissione di Raiuno TV7 le dedica un approfondimento. Durante la lunga intervista, l’attrice racconta un aspetto inedito della sua vita: i suoi primi anni e la sua esperienza di componente di una famiglia ebraica durante le leggi razziali del 1938 e la seconda guerra mondiale. Il 25 settembre 2009 prende parte a una puntata del varietà I migliori anni su Raiuno. Ospitata ed intervistata da Carlo Conti viene tributata dal pubblico con lunghi e calorosi applausi in ricordo della sua fulgida carriera.[senza fonte]
Tornerà al doppiaggio nel 2001 prestando la voce a uno dei personaggi principali del film d’animazione Disney Atlantis – L’impero perduto, la Signora Wilhelmina Bertha Packard. Nel 2003 Franca Valeri collabora con il rapper Frankie hi-nrg mc, prestando la sua voce per i pezzi prologo ed epilogo dell’album Ero un autarchico. Nel 2005 ha pubblicato Animali e altri attori. Nel 2006 ha recitato in Les bonnes di Jean Genet.
Nel dicembre 2010 Franca Valeri pubblica il libro autobiografico Bugiarda no, reticente, un racconto di un centinaio di pagine nel quale traccia i principali avvenimenti della sua esistenza, che l’hanno portata a intraprendere la carriera artistica come autodidatta. A gennaio 2011 l’attrice torna sul palco del Teatro Valle di Roma con due lavori: Non tutto è risolto (commedia diretta da Giuseppe Marini, con Licia Maglietta, confermata anche nella stagione successiva), la nuova commedia di cui è autrice e protagonista, e La vedova Socrate, un testo liberamente ispirato a La morte di Socrate di Dürrenmatt che aveva debuttato nel 2003; vi farà ritorno il 16 giugno durante l’occupazione[19]. Nell’aprile dello stesso anno aveva già sostenuto quella della Sala Arrigoni (ex Cinema Palazzo) nel quartiere di San Lorenzo, partecipandovi con un intervento insieme con Sabina Guzzanti.
Insieme a Luciana Littizzetto scrive il libro L’educazione delle fanciulle, per poi essere ospite della seconda serata del Festival di Sanremo 2014, condotto dalla stessa Littizzetto insieme a Fabio Fazio.
Romania-Lo scultore rumeno Darius Hulea mescola le opere in metallo della vecchia scuola con metodi contemporanei per creare i suoi incredibili “schizzi” di metallo con fili di ferro, acciaio inossidabile, ottone e rame.
Biografia di Darius Hulea is a Romanian Postwar & Contemporary artist who was born in 1987. Darius Hulea’s work has been offered at auction multiple times, with realized prices ranging from 5,469 USD to 19,324 USD, depending on the size and medium of the artwork. Since 2020 the record price for this artist at auction is 19,324 USD for Venus In The Mirror, sold at Artmark in 2021. Darius Hulea has been featured in articles for Daily Art Magazine, Hi-Fructose and My Modern Met. The most recent article is A Contemporary Sculpture Exhibition in the Mountains: Cantacuzino Palace in Romania written for Daily Art Magazine in September 2021.
Anche la bellezza svanisce di Nikollë Loka è una meditazione profonda e struggente sull’impermanenza e la natura sfuggente della bellezza. Loka esplora la dinamica dell’attrazione e il desiderio, descrivendo come inizialmente si venga colpiti da una bellezza seducente e misteriosa, che affascina e intrappola lo sguardo. Attraverso versi delicati, l’autore cattura l’intensità di una sete crescente che diventa quasi insaziabile, e con l’immagine di una “canutola” incantevole, evoca un profumo che inebria senza bisogno di essere toccato. La bellezza descritta non è superficiale, ma vive in una “stanza senza porte né finestre”, un luogo chiuso e inaccessibile che l’anima anela a raggiungere.
La poesia si conclude con una potente verità: la bellezza, se troppo lontana, si disperde e svanisce, lasciando il cuore sospeso in una ricerca impossibile. Questa riflessione sul desiderio e sulla bellezza trascende la materialità per diventare una considerazione sull’anima, sulla fugacità e sull’intrinseca difficoltà di possedere davvero ciò che ci attrae. Con un linguaggio poetico e profondo, Loka riesce a evocare immagini forti e cariche di simbolismo, rendendo questa poesia un’esplorazione malinconica e universale dell’effimero.
Anche la bellezza svanisce, di Nikollë Loka
All’inizio, da lei ti senti solo attratto, poi, ti chiedi il perché dell’attrazione. Ti prende un desiderio e poi cresce la sete, mentre vedi una canutola che ti incanta, ti offre l’ebbrezza del profumo, ancor prima di toccarla, non raccogli nulla da lei con un solo tocco, la bellezza si disperde dentro l’anima, in una stanza senza porte, né finestre. E tu ebbro attendi dietro quelle mura, che si apra una porta spontaneo, senza saperlo che anche la bellezza svanisce, quando si allontana e si nasconde dall’uomo.
Nikollë Loka , poetessa albanese
Biografia di Nikollë Loka è una stimata poetessa albanese, nata a Mirdita il 25 marzo 1960. Dopo aver conseguito la laurea in insegnamento presso l’Università “Luigj Gurakuqi” di Scutari, ha proseguito gli studi con un master in pedagogia e un dottorato in storia dell’educazione all’Università di Tirana. La sua carriera nel settore educativo comprende ruoli di insegnante, preside e ispettore scolastico nel distretto di Mirdita, oltre a insegnare in licei di Tirana e all’Università “Aleksandër Xhuvani” di Elbasan. Loka è autrice di dieci raccolte poetiche in albanese e tre in italiano, e le sue opere sono tradotte in diverse lingue, tra cui inglese, francese, e tedesco. Inserita in numerose antologie, tra cui La Poesie contemporaine albanaise, ha ricevuto premi letterari in patria e all’estero, ed è presente nel Lessico degli scrittori albanesi e nell’Enciclopedia dei poeti contemporanei di lingua italiana.
LA DANIMARCA E LA RESISTENZA NONVIOLENTA AL NAZISMO: UN’ESPERIENZA DA RISCOPRIRE
Articolo di Irene Bracchi
La nonviolenza è un metodo di lotta che può raggiungere risultati evidenti.
Soprattutto se, invece che i morti, si contano le vite strappate al nemico.
Forse in pochi conoscono la storia di resistenza nonviolenta al nazismo della Danimarca, eppure è unica ed interessante perché mostra la potenza della nonviolenza e della resistenza passiva, anche quando l’avversario è un regime estremamente sanguinario e gode di mezzi infinitamente superiori.
LA DANIMARCA E LA RESISTENZA NONVIOLENTA
Riferendosi all’esperienza danese, Hannah Arendt sosteneva che su questa storia si dovrebbero tenere lezioni obbligatorie in tutte le università, ove vi sia una facoltà di scienze politiche, per insegnare a quali risultati può arrivare una lotta nonviolenta, sorretta da un buon livello di coesione sociale e di riconoscimento popolare nelle istituzioni.
L’invasione nazista
Il 9 aprile 1940 la Danimarca viene invasa dalla Germania nazista. L’esercito danese in sole sei ore capitola, il governo socialdemocratico danese resta in carica e, pur protestando contro la violazione della neutralità, acconsente a misure come la messa al bando dei comunisti e al mantenimento di relazioni economiche con la Germania, diventando un simbolo di propaganda e lasciandosi usare come «vetrina democratica» del III Reich.
Alla limitata resistenza armata si affianca una più diffusa e sempre crescente non collaborazione civile incoraggiata e sostenuta dal re Cristiano X che sin da subito si era opposto all’obbligo per gli ebrei di portare la stella di Davide, e dal governo che già nell’ottobre 1942 era riuscito ad evitare l’introduzione delle leggi antiebraiche, minacciando di dimettersi e dichiarando che ogni attacco agli ebrei danesi avrebbe costituito un attacco alla Costituzione che garantiva l’uguaglianza di tutti i cittadini.
Dopo un primo periodo, in cui il Paese diventa una sorta di protettorato tedesco, con la Germania che si impegna a non ingerire negli affari interni danesi, nell’agosto del 1943 cessa la libertà relativa concessa alle autorità locali con l’introduzione della legge marziale.
La resistenza nonviolenta
La reazione del governo fu quella di dichiarare il proprio autoscioglimento, dando in tal modo legittimazione alla resistenza. Le istituzioni collaborazioniste vengono svuotate e delegittimate, la parvenza di normalità a cui aspirano gli occupanti fallisce.
È proprio in questo momento che la risposta nonviolenta della popolazione diviene fondamentale: viene attivato tutto il tessuto associativo, vengono nascosti i ricercati e viene raccolto il denaro per organizzare la loro fuga nella vicina Svezia, li si accompagna nella notte ai luoghi di imbarco mentre i membri della resistenza si occupano di sorvegliare le strade per permettere l’esodo. A queste operazioni collaborano molte associazioni della società civile ma anche organi amministrativi, polizia e guardia costiera, arrivando a pagare con la vita e le deportazioni il proprio impegno. Grazie a questa mobilitazione più del 90% dei 7.695 ebrei danesi viene portato in salvo.
A queste opere di supporto e resistenza si affianca, così come negli altri paesi scandinavi, un rifiuto diffuso da parte di professionisti quali insegnanti, magistrati, medici e sportivi (spesso appoggiati dalle Chiese) ad iscriversi ad associazioni di mestiere e corporazioni di stampo nazista. Tanto che nella vicina Norvegia, a causa di questa scelta, non si organizzano gare sportive fino alla fine della guerra, contribuendo in tal modo ad allontanare i giovani dal regime.
Il sangue risparmiato
Se questa storia è poco conosciuta la ragione è da ricercarsi nel disinteresse diffuso, fino almeno agli anni novanta, per le lotte disarmate. Le ricerche in queGermania, sto ambito erano condotte quasi esclusivamente da studiosi dell’area nonviolenta, tra cui lo storico francese Jacques Sémelin, che alla fine degli anni ottanta elabora il concetto di resistenza civile, dando a queste pratiche estremamente eterogenee, riscontrabili anche in altri Paesi europei (Italia compresa), uno statuto teorico, chiarendone le specificità: assenza delle armi e metodi in genere nonviolenti, i cittadini come protagonisti principali, autonomia degli obiettivi diretti a contrastare lo sfruttamento e il dominio nazista sulla società.
Che senso ha quindi oggi riscoprire questi atti di ottant’anni fa? E che legame possono avere con l’oggi? L’esperienza danese insegna che la lotta nonviolenta può essere più efficacie di quella armata e che una popolazione che coopera verso un fine comune può ottenere risultati difficili da immaginare. Insegna anche, come scrive Anna Bravo, che «la seconda guerra mondiale ha ancora molto da dire, a cominciare da quel che si intende per contributo di un Paese o di un gruppo alla lotta antinazista (e a qualsiasi lotta). Oggi lo si valuta ancora in termini di morti in combattimento; sarebbe giusto, tanto più in tempi di guerre contro i civili, misurarlo anche sulla quantità di energie, di beni, soprattutto di vite strappate al nemico; sul sangue risparmiato non meno che sul sangue versato”.
Barbara Colapietro, è intellettuale e scrittrice – proprio in quest’ordine – da molti anni, partendo dall’età della ragione.
Nata a Fano, ha conseguito nel tempo – frequentazioni scolastiche comprese ed a prescindere – una notevole cultura dal taglio prettamente umanistico – musicale.
Probabilmente proprio la musica, l’armonia han inciso sulla sua cifra stilistica, non solo poetica, ma pure critica e recensoria.
Questa è la sua terza pubblicazione, pubblicata da Bertoni editore nel 2018, ed il titolo da lei scelto, è quanto mai significativo – ma, forse, ancor più, significante: “Semplicemente, la mia storia“, quella di certo a lei più cara.
E’ per davvero la sua storia, la storia della sua vita, quella che comprende ‘les petites et grand choses de sa vie’, vissuta dunque pienamente, tra mille esperienze, anche lavorative, diverse, ad esser stata, in qualche modo sublimata fino a farla divenire, in sintesi ciò che lei vuole narrare al mondo di sé, per comunicare, tra lo spirituale ed il cosmico, con le persone a cui più tiene.
Divisa in tre parti, la silloge poetica: APOCALISSE DEL CUORE, un percorso di ricerca e purificazione, di rinascita, di riscatto, anche per/con gli altri; GOCCE DI LUCE, il disvelamento di sé, il ritrovarsi, il trovare l’Amore:
“ (…) Il battito del tuo cuore/all’unisono col mio/è il pulsare della Vita. La libertà di esser Uno” ed ancora: “Sei la rugiada di fuoco/nella notte riarsa/della mia Libertà/di fiamma/che torna in cielo”.
La spiritualità – il suo vivere per un certo tempo ad Assisi – è il ‘fil rouge’ di questa parte…(perché) QUESTO E’ L’AMORE.
IL COLORE DEL VENTO è il titolo della terza parte.
L’impalpabilità, la rarefazione dell’approdo, della sudata e riconquistata libertà del riconoscimento della ‘maturità’ del vivere, vivere la Vita, l’Amore.
“Ripeness is all / Maturità è tutto”, diceva William Shakespeare e così è per Barbara:
“(…) Nelle mie corde/la musica della libertà di essere/acqua vento fuoco./Nelle mie corde/il tuo Amore”.
Ed a conferma di questa conquista piace citare un pensiero dell’Autrice rispetto al suo libro: “ (…) Due differenti voci testimoniano ogni visione descritta: la prima è quella della Giustizia che trafigge con la spada della Verità chi gioca con la Memoria Storica; la seconda è quella della Giustizia che equilibra, porta pace ed armonia con dolcezza e determinazione. La spada ed il fiore”.
Fonte- NoiDonne
Barbara Colapietro, la Poetessa di Fano:”La spiritualità che si fonde con la Poesia
Barbara Colapietro al Deruta-Festival-2020-
Ogni poeta incontra la poesia nel momento che solo lui conosce.
Come chi incontra un vecchio o un nuovo amico o comunque un confidente per aprire ogni lato oscuro della propria intimità e trovare così con l’altro il giusto dosaggio tra patema d’animo e gioia nel dare e nel ricevere con le buone azioni. Nel rendersi parte attiva di una comunità e di una collettività dotata di diritti umani e civili.
Barbara Colapietro al Deruta-Festival-2020-Con questi presupposti andiamo a parlare della poetessa Barbara Colapietro.
Barbara incontra la poesia nel 1994, aveva poco meno di trent’anni. Ma questo potrebbe dire tanto, come tanto poco. A quest’età c’è chi ancora si sente figlio e chi un individuo autonomo e libero, oppure un uomo, ma in questo caso una donna con tante responsabilità date dalla quotidianità, dalla famiglia e dal lavoro. Sicuramente andremo a parlare di una donna che sente senza dubbio il peso delle tante avversità e delle malattie che colpiscono il mondo: il nostro pianeta e il genere umano.
Con la poesia, la nostra autrice ritrova la sua anima e le sue radici, questo ci dice.
Barbara Colapietro nasce il 6 marzo 1967 a Fano (PU). Dopo il diploma magistrale e quello in flauto, al Conservatorio “Arrigo Boito” di Parma, lavora per dieci anni (1997-2007) come segretaria di redazione al giornale “Lo Specchio della città” di Pesaro, diretto da Alberto Angelucci. Nel 1996, l’incontro con l’editore milanese Otmaro Maestrini le permette di mettersi in gioco nei primi concorsi, pubblicando su varie antologie. Nel 1997 esce il suo primo libro “…e il mio cuore ha ripreso a cantare”, Otma Edizioni, e questo è l’anno di importanti riconoscimenti in concorsi letterari: seconda classificata al Concorso Letterario “Ermanno Minardi” organizzato dal Lions Club Parma; terza classificata al Premio Tuscolorum di Poesia, di Olevano sul Tusciano (SA) e ottava classificata al Premio “Cesare Pavese – 1998” organizzato a Chiusa Pesio (CN). La seconda pubblicazione si annovera al 2005 “Scintille di sole”, Otma edizioni, che apre un nuovo capitolo alla poetica dove l’alchimia del cuore riflette il pianto di Madre Terra e apre lo sguardo alla consapevolezza dei propri limiti, attraverso l’amore incondizionato per l’anima.
Attivista volontaria del WWF dal 1994, per cui la sua attenzione all’ambiente influenza molto le fonti d’ispirazione per la sua poetica.
Poi notiamo uno stacco di 13 anni, in cui per varie esigenze viaggia tra Marche e Umbria, ma dove lo stato emotivo sarà sempre produttivo a livello letterario.
Trova così la sua meta spirituale, Assisi. Il suo orientamento religioso legato all’ordine franscescano la coinvolge profondamente in un periodo difficile della vita, dove riesce ad acquisire tante risposte alla sua ricerca spirituale e in alcune liriche troviamo questo suo avvicinamento alla teoria di San Francesco, in cui la povertà e la purezza di cuore sono i principi fondamentali per vivere in grazia con Dio.
Fu così che arriviamo al momento dell’incontro con il gruppo Facebook “Scrivere a Pesaro” di Paolo Pagnini e alla collaborazione con Bruno Mohorovich, poeta e curatore editoriale che farà nascere l’autobiografia in versi “Semplicemente, la mia storia”, della Bertoni Editore nel 2018, dove il linguaggio diventa grido, femminile e maschile, spada e fiore. Nel 2019 riporta un discreto successo alla gara poetica “Ver Sacrum” organizzata dall’associazione culturale “Euterpe” di Jesi e continua la sua segnalazione con partecipazioni a diversi concorsi.
Nel 2021 esce la quarta pubblicazione ” Tra le sbarre incandescenti” (illustrato con acquerelli essenziali e vividi da Mara Pianosi), Bertoni editore, dove il percorso si sposta dal fuoco della ricerca di verità spirituale nella storia dell’uomo, alla luce dell’anima che restituisce la serenità quotidiana, liberata dalle maglie della rete virtuale che la pandemia ha reso esageratamente protagonista.
Tratta da “Tra le sbarre incandescenti” riporto qui la poesia dal titolo:
Libertà
Un foglio bianco
sporcato d’inchiostro
urla la sua storia.
Lo scrittore lo riempie
di emozioni decapitate
dal boia con la scimitarra
sempre all’opera.
L’oscurità
tra le sbarre incandescenti
si dissolve nel giallo
della terra illuminata.
Finalmente luce!
Concludo con il pensiero dell’autrice.
Il mio rapporto con la scrittura in versi liberi è istintivo e appassionato, terapeutico, collegato alle emozioni più profonde e sferzanti e anche a quelle più alte e sublimi. Il pensiero mi cattura e finché non lo lascio fluire su un foglio di carta non mi sento in pace. Dal 1994 non ho mai smesso di scrivere poesie in versi liberi, racconti di fantasia a tema educativo e in tempi più recenti, pensieri on line sparsi tra profili social e il mio blog.
Grazie Barbara Colapietro per aver divulgato con delicato trasporto una poesia non priva di spessore tematico.
Poesie di Simona Cerri Spinelli- Al centro dei rovesci– Interno Editoria –
C’è un grido che percorre i versi di Simona Cerri Spinelli. Una voce precipita e illumina le pagine di questa raccolta. Uno dei più grandi poeti italiani contemporanei come Giampiero Neri, scrive nella nota finale del libro come queste poesie “vengono da molto lontano, prive come sono di ornamenti, nude e non si possono ignorare”. Non si può non notare come “Al centro dei rovesci” rappresenti un chiaro invito a danzare il ballo della vita, a “non temere niente dai sogni”.
Goffa nel mio maglione nero a lato del binario
attonita nel vederti comparire,
la pena più lieve è guardare in fondo
la mano della ragazza
e le labbra pronunciano appena
che io ho perso il treno.
C’è qualcosa di intoccabile nella tua immagine
che ha resistito fino a oggi.
*
“Andiamo a prendere un po’ d’aria”.
Avrei voluto vederlo restare e piangere
nella strada di fango.
Non temere niente dai sogni,
se dormendo vedi qualcosa di terribile
non è un annuncio di catastrofe,
è il mio pensiero che affonda.
*
Sto in silenzio la maggior parte del giorno,
la casa mi scricchiola addosso.
Di notte osservo il brutto tempo.
Gli scherzi della mente,
io e te abbracciati
e tu parli.
Non dirmi che ancora, al posto tuo,
arriverà il mattino.
*
Arrivo presto al Caffè,
ti cerco negli occhi degli altri
che fanno colazione,
tua madre è lì da anni, non mi chiede
niente,
mi prende sotto braccio e dice:
“È andato via per primo”
“È sempre andato via per primo”.
Nota di lettura: Giampiero Neri
Collana: Interno Libri
ISBN: 9788885583030
Anno: 2018
Pagine: 64 Formato: 11×17 cm
Storia della XII Brigata Internazionale nella guerra di Spagna-
Editore Kappa Vu
Descrizione del libro di Maro Puppini-Garibaldini in Spagna-Storia della XII Brigata Internazionale nella guerra di Spagna-La guerra in Spana scoppiò nel luglio 1936 dopo un fallito tentativo di colpo di stato militare contro il governo democratico della Repubblica spagnola. In seguito all’intervento dell’Italia fascista e della Germania nazista in appoggio ai militari, si trasformò in una guerra internazionale, militare e politica, che vedeva coinvolte tutte le maggiori potenze dell’epoca. Gli antifascisti italiani combatterono nel corso di quella guerra in prima linea, inquadrati nel battaglione e poi brigata Garibaldi, in seno alle Brigate Internazionali, che rappresentavano gli antifascisti di tutto il mondo, di diverse idee politiche, uniti nella lotta al fascismo. Questo libro racconta quell’epopea, l’eroismo di quei combattenti, ma anche i problemi e le crisi che si trovarono ad affrontare, in una lotta che aveva una valenza assieme nazionale ed internazionale. Quelle vicende fornirono un insegnamento importante qualche anno dopo per la Resistenza italiana.
Marco Puppini è stato docente a contratto per il corso di Storia della Spagna Contemporanea presso l’Università agli Studi di Trieste. E’ vicepresidente dell’AICVAS – Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna con responsabilità nella produzione scientifica dell’associazione. Ha collaborato con la rete degli Istituti di Storia del Movimento di Liberazione in Italia, in particolare con l’Istituto Regionale del Friuli – Venezia Giulia a Trieste e di quello Friulano a Udine, e con il Centro di Documentazione Storica Leopoldo Gasparini. Ha scritto diversi contributi, tradotti in spagnolo, francese e sloveno sulla partecipazione italiana antifascista alla guerra civile e più in generale sul tema della guerra di Spagna del 1936 – 1939 e sulla storia del movimento operaio e sindacale e sull’emigrazione politica nella prima metà del Novecento. (https://www.spagnacontemporanea.it/index.php/spacon/puppini) Marco Puppini, nell’anno accademico 2008 – 2009 ha tenuto con un contratto annuale il corso di Storia della Spagna Contemporanea presso l’Università agli Studi di Trieste ed ha fatto parte per anni della Commissione d’Esame e di Laurea di Storia della Spagna Contemporanea presso la stessa Università. Attualmente è membro del Comitato di redazione della rivista Spagna Contemporanea. E’ vicepresidente dell’AICVAS con responsabilità nel settore scientifico. Collabora con la rete degli Istituti di Storia del movimento di Liberazione in Italia, in particolare con l’Istituto Friulano e Regionale per il Friuli – Venezia Giulia, e con il Centro di Documentazione Gasparini. Ha scritto diversi contributi, tradotti anche in francese e sloveno sulla partecipazione italiana antifascista alla guerra civile di Spagna e sulla storia del movimento operaio e antifascista e sull’emigrazione politica. Tra i suoi interventi più recenti: L’immagine delle Brigate Internazionali dalla fine della guerra civile agli anni Novanta, in: Pacificazione riconciliazione in Spagna, Storia e Problemi Contemporanei n. 47 – gennaio – aprile 2008. Volontari antifascisti dal Friuli e dall’Isontino in Spagna, Una biografia collettiva, in: Marco Puppini e Claudio Venza (a cura di), Tres Frentes de Lucha. Società e cultura nella guerra civile spagnola (1936 – 1939), Udine, KappaVu, 2009, volume che raccoglie gli atti del convegno curato da Marco Puppini e Claudio Venza svoltosi a Monfalcone (Gorizia) il 6 e 7 dicembre 2006. Volontari sloveni e italiani dalla Venezia Giulia nelle brigate internazionali in Spagna, in Slovenci v Španski Državljanski Vojni. Zbornik referatov s simpozija, Koper, Zadruženje protofašistov in borcev za vrednote NOB Koper, 2010. Atti del convegno internazionale tenuto a Capodistria (Repubblica di Slovenia) il 12 febbraio 2010. La “lezione spagnola”. L’esperienza delle Brigate Internazionali e le vicende dell’antifascismo italiano”, in Catalunya i Itàlia. Memòries creuades, experiènces comunes. Catalogna e Italia. Memorie incrociate, esperienze comuni, Barcelona, “Documents del Memorial Democratic”, n. 2, 2012. Ha scritto assieme ad Augusto Cantaluppi, “Non avendo mai preso un fucile tra le mani”. Antifasciste italiane nella guerra civile spagnola. 1936-1939, Milano, Edizioni Aicvas, 2014, tradotto anche in spagnolo: “Sin haber empuñado un fusil jamás”. Antifascistas italianas en la Guerra Civil española 1936- 1939, Cuenca, Ediciones de la Universidad de Castilla-La Mancha, 2016. Las difíciles cuentas con el pasado. Bibliografía italiana sobre la Guerra Civil española, in “Studia Historica. Historia Contemporánea”, numero monografico dedicato a La Guerra Civil, a cura di Ángel Viñas. Apparati comunisti di vigilanza e repressione nelle Brigate Internazionali. Il caso della “Garibaldi”,in “Spagna contemporanea”, n. 49, 2016. Il 30 novembre 2018 ha organizzato il convegno: Vie di libertà e di lotta. Le vie di espatrio clandestino dall’Italia durante gli anni della dittatura fascista, tenuto al Kulturni dom di Gorizia. Il suo ultimo libro è: Garibaldini in Spagna. Storia della XII^ Brigata Internazionale, Udine, KappaVu, 2019. (https://www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwjvjuDN4sn7AhWGQ_EDHdfUAUIQFnoECAYQAQ&url=https%3A%2F%2Fwww.difesa.it%2FAmministrazionetrasparente%2Fcommiservizi%2FDocuments%2Fsovvenzioni_contributi%2Fass_comb%2F2019%2Fcurricula%2Fcomb_vol_antifascisti_spagna_CV_2.pdf&usg=AOvVaw150j14dsc72KqsWBZclkji)
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