Breve biografia di Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma,11 febbraio 1996), poetessa, nacque in Francia dall’esule antifascista Carlo Rosselli, ucciso nel 1937 dalle milizie fasciste. Perse anche la madre prematuramente nel 1949, rimanendo orfana giovanissima e soffrendo poi a lungo di esaurimenti nervosi e depressione. Visse e studiò in Svizzera e negli Stati Uniti, poi si trasferì in Inghilterra fino al 1946, anno in cui tornò in Italia. Cominciò a lavorare nell’editoria nel 1948, come traduttrice. Fece parte della neoavanguardia letteraria Gruppo 63 e nel 1964 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Variazioni belliche, poi nel 1966 pubblicò una seconda raccolta intitolata Serie ospedaliera. Ma il suo stile è noto principalmente per il plurilinguismo, evidente in raccolte come Sonno-Sleep (1953-1966) e Sleep. Poesie in inglese (1992). Muore suicida l’11 febbraio del 1996, stessa data della morte nel 1963 della poetessa Sylvia Plath, che tradusse e di cui amò profondamente la poetica.
Poesie da “Variazioni belliche” (1959)
la mia fresca urina spargo
tuoi piedi e il sole danza! danza! danza! – fuori
la finestra mai vorrà
chiudersi per chi non ha il ventre piatto. Sorridente l’analisi
si congiungerà – ma io danzo! danzo! – incolume perché
‘l sole danza, perché vita è muliebre sulle piantagioni
incolte se lo sai. Un ebete ebano si muoveva molto
cupido nella sua
fermezza: giro! giro! come tre grazie attorno al suo punto
d’oblio!
*
sereno il suolo mi rendeva
ogni cupidigia, serena la luna mi porgeva
le sue ansie tributarie. Ma se sereno il sole mi porgeva
la sua candela flaccida, allora sereno mi si porgevano
le ali del
nero vasomotorio dubbio del leone che tanto ingrandì che non più la
sua cellula potè fermarlo.
Amelia Rosselli
Poesia da “Variazioni” (1960-61)
L’inferno della luce era l’amore. L’inferno dell’amore
era il sesso. L’inferno del mondo era l’oblio delle
semplici regole della vita: carta bollata ed un semplice
protocollo. Quattro lenti bocconi sul letto quattro
amici morti con la pistola in mano quattro stecche
del pianoforte che ridanno da sperare.
Poesia da “Serie ospedaliera” (1963-65)
Primavera, primavera in abbondanza
i tuoi canali storti, le tue pinete
sognano d’altre avventure, tu non hai
mica la paura che io tengo, dell’inverno
quando abbrividisce il vento.
Strappi rami agli orticoltori, semini
disagi nella mia anima (la quale bella
se ne sta in ginocchio), provi a me
stessa che tutto ciò che ha un fine
non ha fine.
Oppure credi di dileguarti, sorniona
nascosta da una nuvola di piogge
carica sino all’inverosimile.
Ma il mio pianto, o piuttosto una stanchezza
che non può riportarsi nel rifugio
strapazza le foglie, che ieri
mi sembravano voglie, tenerezze anche
ed ora sperdono la mia brama.
Di vivere avrei bisogno, di decantare
anche queste spiagge, o monti, o rivoletti
ma non so come: hai ucciso il tuo grano
nella mia gola.
Assomigli a me: che tra una morte
e l’altra, tiro un sospiro di sollievo
ma non mi turbo; o mi turbo? del tuo
sembrare agonizzante mentre ridi.
E bestemmia la gente: è più fiera
di te che dello spazio che ti strugge
portandoti fra le mie braccia. E io
stringo una pallida mummia che non
odora affatto: escono semi dai suoi
occhi, pianti, virgole, medicinali
e tu non porti il monte nella casa
e tu non puoi fruttificare, queste
sorelle che ti vegliano.
Sembri infatti un morto nella cassa
e non ho altro da fare che di battere
i chiodi nella faccia.
Amelia Rosselli
Poesia da “Documento” (1966-73)
Se non è noia è amore. L’intero mondo carpiva da me i suoi
sensi cari. Se per la notte che mi porta il tuo oblio
io dimentico di frenarmi, se per le tue evanescenti braccia
io cerco un’altra foresta, un parco, o una avventura: –
se per le strade che conducono al paradiso io perdo la
tua bellezza: se per i canili ed i vescovadi del prato
della grande città io cerco la tua ombra: – se per tutto
questo io cerco ancora e ancora: – non è per la tua fierezza,
non è per la mia povertà: – è per il tuo sorriso obliquo
è per la tua maniera di amare. Entro della grande città
cadevano oblique ancora e ancora le maniere di amare
le delusioni amare.
Questa notte con spavaldo desiderio scesi per le praterie d’un lungo fiume impermeato d’antiche abitudini ch’al dunque ad un segnale indicavano melma, e fiato. Solo sporcizia sì, vidi dall’ultimo ponte, dubitando d’una mia vita ancora rimasta al sole, non per l’arrosto ma per il fuoco è buona: se a tutti divenne già prima ch’io nascessi – indifferente la mia buona o cattiva sorte, dall’altr’angolo che non da questa visione crematorizzata dalla mia e vostra vita terrorizzata se resistere dipende dal cuore piuttosto dalle sottane s’arrota la Mistinguette, la vita sberciata per un attimo ancora, se sesso è così rotativo da apparire poi vano a questo recitativo che mi faceva passare per pazza quando arroteandomi dietro ad ogni scrivania sorvegliavo i vostri desideri d’essere lontani dalla mia, rotativa nella notte specchiata nel lucido del vetro che copre le vostre indifferenze alla mia stralunante morte.
Amelia Rosselli
Breve biografia di Amelia Rosselli (Parigi, 28 marzo 1930 – Roma,11 febbraio 1996), poetessa, nacque in Francia dall’esule antifascista Carlo Rosselli, ucciso nel 1937 dalle milizie fasciste.Perse anche la madre prematuramente nel 1949, rimanendo orfana giovanissima e soffrendo poi a lungo di esaurimenti nervosi e depressione. Visse e studiò in Svizzera e negli Stati Uniti, poi si trasferì in Inghilterra fino al 1946, anno in cui tornò in Italia. Cominciò a lavorare nell’editoria nel 1948, come traduttrice. Fece parte della neoavanguardia letteraria Gruppo 63 e nel 1964 pubblicò la sua prima raccolta di poesie, Variazioni belliche, poi nel 1966 pubblicò una seconda raccolta intitolata Serie ospedaliera. Ma il suo stile è noto principalmente per il plurilinguismo, evidente in raccolte come Sonno-Sleep (1953-1966) e Sleep. Poesie in inglese (1992). Muore suicida l’11 febbraio del 1996, stessa data della morte nel 1963 della poetessa Sylvia Plath, che tradusse e di cui amò profondamente la poetica.
GHIANNIS RITSOS: POETA DELLA RESISTENZA E DELL’IMPEGNO SOCIALE
Poesie da:”Molto tardi nella notte”-
traduzione italiana di Nicola Crocetti, Crocetti, 2020. Selezione a cura di Dario Bertini.
Ghiannis Ritsos
Ghiannis Ritsos, Poeta greco (Monemvasìa 1909 – Atene 1990). La sua vita, segnata da lutti e da miserie, fu animata da un’incrollabile fede negli ideali marxisti, oltre che nelle virtù catartiche della poesia. La sofferta visione decadente caratterizza costantemente la sua poetica, articolandosi di volta in volta su temi quali la memoria, il fascino delle opere e delle cose, la rivoluzione etica e sociale.
Ghiannis Ritsos-dieci poesie
Da Molto tardi nella notte, traduzione italiana di Nicola Crocetti, Crocetti, 2020. Selezione a cura di Dario Bertini.
Insuccesso
Vecchi giornali gettati in cortile. Sempre le stesse cose.
Malversazioni, delitti, guerre. Che cosa leggere?
Cade la sera rugginosa. Luci gialle.
E quelli che un tempo avevano creduto nell’eterno sono invecchiati.
Dalla stanza vicina giunge il vapore del silenzio. Le lumache
salgono sul muro. Scarafaggi zampettano
nelle scatole quadrate di latta dei biscotti.
Si ode il rombo del vuoto. E una grossa mano deforme
tappa la bocca triste e gentile di quell’Uomo
che ancora una volta provava a dire: fiore.
Karlòvasi, 4.VII.87
Senza riscontro
Grandi camion stracarichi, coperti di tele cerate,
attraversano le strade tutta la notte. Il rumore delle acque
luride
si ode nelle fogne oscure, misteriose
sotto il sonno dei prigionieri. Non è venuto nessuno.
Invano aspettammo tanti anni. La strada punteggiata
di stazioni di servizio e alberelli stenti. Nel cortile della prigione
ciotole vuote di yogurt e certe piume di uccelli. La prima
stella
gridò: “Coraggio, Ghiorghis”, poi tacque. E Petros,
irriducibile sempre, disse: “In materia di musica
prendi esempio dalla diligenza delle piccole rondini”.
Karlòvasi, 5.VII.87
All’ospedale
Pomeriggio tranquillo. Una ciminiera, i tetti, la linea del
colle,
una nube minuscola. Con quanto amore
guardi dalla finestra aperta il cielo
come se gli dicessi addio. E anch’esso ti guarda. Davvero,
che cos’hai preso? che cos’hai donato? Non hai tempo di
calcolare.
La tua prima parola e l’ultima
l’hanno detta l’amore e la rivoluzione.
Tutto il tuo silenzio l’ha detto la poesia. Come si spetalano
in fretta
le rose. Perciò partirai anche tu
in compagnia della piccola orsa ritta
che tiene una grande rosa di plastica tra le zampe anteriori.
Karlòvasi, 5.VII.87
Ghiannis Ritsos
Elusione
Parlava. Parlava molto. Non tralasciava niente
senza che la sua voce lo soppesasse. Quante e quante notti
in bianco
ad ascoltare i treni, le navi o le stelle,
a calcolare la materia e il colore di un suono,
a dare nomi a ombre e nubi. Ora,
quest’uomo cordiale e loquace sta in silenzio,
forse perché sul fondo ha intravisto i fanali spenti, e si rifiuta
di articolare la parola unica ed estrema: “nero”.
Karlòvasi, 7.VII.87
Questo solo
È un uomo ostinato. A dispetto del tempo afferma:
“amore, poesia, luce”. Costruisce su un fiammifero
una città con case, alberi, statue, piazze,
con belle vetrine, con balconi, sedie, chitarre,
con abitanti veri e vigili gentili. I treni
arrivano in orario. L’ultimo scarica
tavolini di marmo per un locale in riva al mare
dove rematori sudati con belle ragazze
bevono limonate diacce guardando le navi.
Questo solo ho voluto dire, se non mi credono fa niente.
Karlòvasi, 7.VII.87
Ricerca vana
La bella donna dai capelli malinconici e i braccialetti nascosti
ora dorme nella stanza di sopra. Non conosce
i nostri vecchi sospetti (benché una volta confessati)
né il nostro attuale oblio. Io scenderò nel seminterrato,
accenderò una candela per cercare qualcosa
che mi avevano tenuto nascosto a lungo. Poi
salirò di sopra e cercherò di svegliare la donna,
quella dai capelli malinconici. Non spegnerò la candela.
Karlòvasi, 18.VII.87
Imbarazzo
Uno salì la scala ansimando. L’altro
uscì in corridoio indifferente. Il terzo
non sa come reggere questo fiore. Ha paura
che lo vedano, che gli chiedano spiegazioni. Perciò
se ne sta alla finestra col pretesto di ascoltare le cicale,
butta via il fiore di nascosto e si accende una sigaretta.
Così, nessuno può essermi d’impiccio.
Karlòvasi, 21.VII.87
Ghiannis Ritsos
Lentezza
Mezzanotte passata. Dove vuoi andare a quest’ora?
I bar del porto sono chiusi. I marinai
si sono tolti le divise bianche. Forse dormiranno. Alcune
chiatte,
pesanti come fossero gravide, cariche di legname,
navigano lente sull’acqua scura con i vetri rotti
della povera luna. L’una e mezzo, le due, le tre e un quarto.
Le ore si trascinano,
e l’odore del legno appena tagliato, umido,
non cancella l’enorme ombra che sta in agguato davanti
alla dogana,
là dove, appena ieri, bei giovani pescatori subacquei
sbattevano sugli scogli i robusti polpi
tra un liquido bianco denso come sperma.
Karlòvasi, 16.VIII.87
Si è fatta notte
La festa di stasera rimandata.
E non sapevamo affatto
cosa avrebbero pianto o festeggiato.
A un tratto le luci si accesero e si spensero.
Dalla finestra vedemmo i musicanti;
attraversarono il viale in silenzio
con in spalla
enormi strumenti di rame.
Rimani qui, dunque,
fuma la sigaretta
in questa grande quiete,
in questo miracolo-niente.
Le statue sordomute.
Anche le poesie sordomute. Si è fatta notte.
Atene, 1.I.88
Qualcosa resta
Dopo tanti bombardamenti a tappeto
rimase intatto soltanto un muro della grande chiesa
con l’alta finestra; intatta anche
la bella vetrata della finestra
con colori viola, arancioni, azzurri, rossi
e raffigurazioni di fiori, uccelli e santi.
Perciò confido ancora nella poesia.
Atene, 2.II.88
Ghiannis Ritsos
GHIANNIS RITSOS: POETA DELLA RESISTENZA E DELL’IMPEGNO SOCIALE
Oggi parliamo di uno dei più grandi poeti greci del ’900, impegnato anche politicamente e socialmente.
La sua vita – ricordiamo la sua nascita a Monemvasia nel Peloponneso il 1º maggio 1909 e la sua morte ad Atene nel 1990- ha attraversato tutte le guerre e i drammi del secolo scorso.
Ma non l’ha fatto certamente da “neutrale”: come ricorda la biografia della Treccani “entrato nelle file della sinistra dopo un’infanzia e una prima giovinezza segnate da gravi lutti familiari e dalla malattia, partecipò alla lotta di resistenza contro i nazisti e poi alla guerra civile, e subì le persecuzioni dei governi dittatoriali o reazionari succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970”.
La Grecia dei colonnelli
In particolare vogliamo ricordare ai più giovani lettori il fatto che, nella Grecia “culla della democrazia”, il 21 aprile del 1967 un gruppo di ufficiali dell’esercito greco guidò un colpo di stato contro il governo greco democraticamente eletto. Nella notte, carri armati e soldati occuparono tutti i luoghi più importanti della capitale Atene, arrestarono il comandante in capo delle forze armate e tutti i più importanti politici del paese; poi costrinsero il re ad appoggiare il golpe e diedero iniziò a un regime brutale che sarebbe durato per gli otto anni successivi.
Il golpe fu organizzato da una serie di ufficiali di grado intermedio, anche contro le esitazioni dei comandanti in capo, che anzi furono arrestati nelle prime ore del golpe. Per questa ragione il colpo di stato fu soprannominato “dei colonnelli”, e la giunta militare venne ribattezzata “regime dei colonnelli” (“kathestós ton Syntagmatarchón”).
La resistenza “intellettuale”
Appena insediata, la giunta dichiarò decaduti gli articoli della Costituzione che proteggevano la libertà di espressione e quella personale. Tutti i partiti politici furono sciolti e migliaia di politici, attivisti e intellettuali di sinistra furono arrestati e centinaia furono torturati nelle carceri speciali della polizia militare. L’ideologia del regime era basata sul nazionalismo, su un duro anticomunismo e sull’idea che tutte le forze di sinistra, comprese le più moderate, fossero in realtà sostenitrici di una cospirazione comunista. Tra gli intellettuali arrestati, oltre a Ghiannis Ritsos, ricordiamo anche il compositore Mikis Theodorakis, autore di famose colonne sonore come quella del film Zorba il Greco e Z – L’orgia del potere, di Costa-Gavras, in cui viene raccontata la nascita del regime greco (Theodorakis, anche per pressioni internazionali, fu scarcerato e fuggì dalla Grecia, non ritornando fino al termine della dittatura).
La poesia di Ritsos
Ghiannis Ritsos
Per introdurre i lettori alla poesia di Ghiannis Ritsos utilizzeremo un suo libro – Pietre, Ripetizioni, Sbarre, Feltrinelli, 1978 -Edizione italiana tradotta e curata da Nicola Crocetti-.
Le poesie furono scritte negli anni ‘68/’69, durante il periodo del suo internamento. Faremo precedere la nostra proposta di lettura da una introduzione preparata, per una successiva ediziona italiana, da Nicola Crocetti, che non fu solo un suo traduttore ed editore, ma anche amico fraterno, tra i pochi cui riuscì di superare le “sbarre” per andarlo a trovare in prigionia.
L’introduzione di Crocetti
Le poesie di Pietre Ripetizioni Sbarre sono state composte tra il 1968 e il 1969, negli anni in cui Ghiannis Ritsos era confinato nei campi di concentramento sulle isole di Ghiaros e Leros, e poi soggetto a domicilio coatto a Karlòvasi, sull’isola di Samo. Nel suo consueto dialogo con il mito e con la storia, Ritsos racconta la memoria che resiste e che parla attraverso le pietre delle statue e delle colonne spezzate, anche quando gli eroi sono ormai “passati di moda”.
Nei gesti che si ripetono da sempre, incessantemente, gli echi del tempo che è stato diventano immagini di un presente fatto di sbarre, di ricerca della libertà vissuta come un’“immensa, estatica orfanezza”. Nella sua solitudine, destino di tutti gli eroi, il poeta conserva integra la sua dignità e la speranza nell’uomo, e afferma la sua fede nella rinascita e nel potere di redenzione della poesia.
Nel 1969 Ritsos riesce a eludere la censura e a inviare il manoscritto di Pietre Ripetizioni Sbarre a Parigi, dove la raccolta viene pubblicata due anni dopo da Gallimard. Nella prefazione, Louis Aragon definisce Ritsos “il più grande poeta vivente di questo tempo che è il nostro”.
Nicola Crocetti
Da “Pietre ripetizioni sbarre”
Ghiannis Ritsos
Dissoluzione
Forme mobili, dissolute; – l’inquietudine molteplice
e la fluidità insidiosa – udire il rumore dell’acqua tutt’intorno
imponderabile, profondo, incontrollabile; e tu stesso incontrollabile,
quasi libero.
Donne stupite giunsero poco dopo
assieme a certi vecchi, con brocche, pentole, bidoni,
attinsero acqua per le necessità domestiche. L’acqua prese forma.
Il fiume tacque come se si fosse svuotato. Faceva notte. Si chiusero le porte.
Solo una donna, senza brocca, rimase fuori, nel giardino,
diafana, liquida al chiar di luna, con un fiore nei capelli.
15 maggio 1968
A posteriori
Da come sono andate le cose, nessuno, secondo noi, ha colpa. Uno è partito
l’altro è stato ucciso; gli altri – ma è inutile rivangare adesso.
Le stagioni si alternano regolarmente. Fioriscono gli oleandri.
L’ombra fa il giro intorno all’albero. La brocca immobile,
rimasta sotto il sole, è asciutta; l’acqua è finita. Eppure
potevamo, dice, spostare più in qua o più in là la brocca
a seconda dell’ora e dell’ombra, intorno all’albero,
girando fino a trovare il ritmo, ballando, dimenticando
la brocca, l’acqua, la sete – senza avere più sete, ballando.
20 maggio 1968
Mezzanotte
Leggera, vestita di nero, – non s’udì affatto il suo passo.
Attraversò la galleria. Il semaforo spento. Mentre saliva
la scala di pietra le gridarono “Alt”. Il suo volto
vaporava bianchissimo nel buio. Sotto il grembiule
teneva nascosto il violino. “Chi va là?”- Non rispose.
Rimase immobile; le mani in alto; tenendo stretto
Il violino tra le ginocchia. Sorrideva.
15 giugno 1968
Notte
Alto eucalipto e ampia luna.
Una stella trasale nell’acqua.
Cielo bianco, argentato.
Pietre, pietre scorticate fino in cima.
Accanto, nel basso fondale, s’udì
il secondo, il terzo salto d’un pesce.
Immensa, estatica orfanezza – libertà.
21 ottobre 1968 Campo dei deportati politici di Partheni, isola di Leros
Rinascita
Da anni più nessuno si è occupato del giardino.
Eppure
quest’anno – maggio, giugno – è rifiorito da solo,
è divampato tutto fino all’inferriata – mille rose,
mille garofani, mille gerani, mille piselli odorosi –
viola, arancione, verde, rosso e giallo,
colori… tanto che la donna uscì
di nuovo
a dare l’acqua col suo vecchio annaffiatoio
di nuovo bella,
serena, con una convinzione indefinibile.
E il giardino
la nascose fino alle spalle, l’abbracciò,
la conquistò tutta;
la sollevò tra le sue braccia. E allora, a mezzogiorno
in punto, vedemmo
il giardino e la donna con l’annaffiatoio
ascendere al cielo
e mentre guardavamo in alto, alcune gocce
dell’annaffiatoio
ci caddero dolcemente sulle guance, sul mento,
sulle labbra.
Fonte –Blog di Antonio Vargiu
Ghiannis Ritsos
Di che colore è l’amore?
Il tuo corpo tagliato da una lama di luce – per metà carne, per metà ricordo.
Illuminazione obliqua, il grande letto intero, il tepore lontano, e la coperta rossa.
Chiudo la porta, chiudo le finestre. Vento con vento. Unione inespugnabile.
Con la bocca piena di un boccone di notte. Ahi, l’amore.
Ghiannis Ritsos, da AA.VV. Nuove poesie d’amore, Crocetti Editore, traduzione di Nicola Crocetti
La poesia qui sotto mi trasmette, ogni volta che la leggo, una dolcezza infinita
(forse più di tre bignè al cioccolato… che dici, sto esagerando?)
Le poesie che ho vissuto tacendo sul tuo corpo mi chiederanno la loro voce un giorno, quando te ne andrai. Ma io non avrò più voce per ridirle, allora. Perché tu eri solita camminare scalza per le stanze, e poi ti rannicchiavi sul letto, gomitolo di piume, seta e fiamma selvaggia. Incrociavi le mani sulle ginocchia, mettendo in mostra provocante i piedi rosa impolverati. Devi ricordarmi così – dicevi; ricordarmi così, coi piedi sporchi; coi capelli che mi coprono gli occhi – perché così ti vedo più profondamente. Dunque, come potrò più avere voce. La Poesia non ha mai camminato così sotto i bianchissimi meli in fiore di nessun Paradiso.
Ghiannis Ritsos, da Erotica, Crocetti, 2008, traduzione di Nicola Crocetti
Ghiannis Ritsos
Biografia di Ghiannis Ritsos
(in greco: Γιάννης Ρίτσος; Monemvasia, 1º maggio 1909 – Atene, 11 novembre 1990)
Ghiannis Ritsos, Poeta greco (Monemvasìa 1909 – Atene 1990). La sua vita, segnata da lutti e da miserie, fu animata da un’incrollabile fede negli ideali marxisti, oltre che nelle virtù catartiche della poesia. La sofferta visione decadente caratterizza costantemente la sua poetica, articolandosi di volta in volta su temi quali la memoria, il fascino delle opere e delle cose, la rivoluzione etica e sociale.
Ghiannis Ritsos
Vita
Entrato nelle file della sinistra dopo un’infanzia e una prima giovinezza segnate da gravi lutti familiari e dalla malattia, partecipò alla lotta di resistenza contro i nazisti e poi alla guerra civile, e subì le persecuzioni dei governi dittatoriali o reazionari succedutisi in Grecia tra il 1936 e il 1970.
Opere
Dopo le prime raccolte (Τρακτέρ “Trattore”, 1934; Πυραμίδες “Piramidi”, 1935), influenzate dal crepuscolarismo di K. Karyotakis, s’ispirò alla tradizione demotica nei decapentasillabi rimati di ῾Επιτάϕιος (“Epitaffio”, 1936), compianto di una madre per il figlio ucciso dalla polizia durante uno sciopero, cui seguì Τὸ τραγούδι τῆς ἀδελϕῆς μου (“La canzone di mia sorella”, 1937), di schietta intonazione elegiaca. Ma già nelle tre poesie pubblicate con lo pseudonimo di K. Eleftheríu sulla rivista Τὰ νέα γράμματα (“Lettere nuove”) nel 1936, si avverte il tentativo di aderire alla lirica pura, mentre un esito delle ricerche precedenti è rappresentato dalla raccolta Δοκιμασία (“Prova”, 1943), che incorse nella censura tedesca. Nel caso di ῾Αγρύπνια (“Veglia, 1954), pubblicata dopo l’esperienza della deportazione nelle isole dell’Egeo, è invece la fiducia nella vita che rinasce ad essere cantata. Le prove poetiche successive, numerosissime, inclinano talvolta all’enfasi e fanno posto a simbolismi non privi di fumosità: fra queste, anche la celebre Σονάτα τοῦ σεληνόϕωτος (“Sonata al chiaro di luna”, 1956), che inaugurò la serie dei monologhi drammatici nella quale figurano alcuni poemetti ispirati a personaggi mitici assunti a prototipo dell’umanità sofferente (Φιλοκτήτης “Filottete”, ῾Ορέστης “Oreste”, ῾Ελένη “Elena”, Χρυσόϑεμις “Crisotemi”, compresi, insieme con altri, nel vol. Τέταρτη διάσταση “Quarta dimensione”, 1985). Più persuasive, sul piano concettuale e stilistico, opere come ᾿Ανυπόταχτη πολιτεία (“Indomabile città”, 1958), Μαρτυρίες (“Testimonianze”, 1963 e 1966), Δεκαοχτὼ λιανοτράγουδα τῆς πικρῆς πατρίδας (“Diciotto canzonette della patria amara”, 1973), Χάρτινα (“Carta”, 1974), ῾Ιταλικὸ τρίπτυχο (“Trittico italiano”, 1982). Traduttore di poeti stranieri, studioso di Majakovskij, R. ha scritto anche opere drammatiche (Μιὰ γυναίκα πλάϊ στὴ ϑάλασσα “Una donna accanto al mare”, 1959), e si è cimentato con la prosa e con il romanzo (il ciclo Εἰκονοστάσιο ᾿Ανωνύμων ῾Αγίων “Iconostasi di Santi Anonimi”, 1982-86; ῎Οχι μονάχα γιὰ σένα “Non soltanto per te”, 1985). La sua opera poetica, riunita in Ποιήματα (“Poesie”, 10 voll., 1961-89), è stata tradotta in italiano e in altre lingue.
Vivian Lamarque è stata ospite al festival Mare di Libri nell’edizione 2013.
MAI L’INVERNO
Mai l’inverno con la primavera
– e lei è l’inverno e Ics la primavera –
(be’ non esageriamo e Ics l’estate, be’
non esageriamo, la fine estate, quasi autunno)
fuor di metafora mai un uomo giovane
(be’ non esageriamo semi-giovane, insomma
di mezza età) torniamo alle stagioni, mai
un bell’albero in fiore una fogliolina gialla guarderà
(anzi, ben lo sappiamo cosa combina d’autunno
un albero alle foglie).
LUGETE O VENERES
Lugete o Veneres Cupidinesque
e anime gentili, infelice nella sua gabbia
piegato sotto l’ala lo spiumato capino
sta l’amore suo che si era immaginato.
Oh l’immaginazione non riesce più a immaginare
ora procede per una strada oscura che fare?
Inventa ancora un poco ti prego che ci credo.
Bucami iniezione d’illusione, che due
più due non faccia quell’esiguo totale
che in gabbia non stia già cadendo dal suo filo
quel press’a poco amare, sosia dell’amare.
Vivian Lamarque
JANE
Ne faceva l’appello nome
per nome, e ogni tanto
se li contava i fiori del balcone.
Un inverno apparve un Elleboro
e spuntò una bacca all’Agrifoglio
che non ne faceva mai e spuntò
un fiore strano, mai visto, di chissà
quale nome.
Con i prediletti usava dei nickname
per esempio una violetta la chiamava
come la Austen –
Jane.
CARTA DA RICALCO
Sul vetro terso della finestra con carta-ricalco
e affilata matita di ricalcare lei tenta della vita
ogni singolo giorno non manchi un’alba all’appello
né un mezzogiorno.
Ben tesa la carta? Combaciano disegno
e contorno? Oh, che non manchi quel minuto
quell’ora, che non ne manchi nessuna, che nel ricalco
non si sposti la luna.
Che non si perda neppure lo spuntare del tram
da lontano, quel volo da quel ramo a quel
ramo, con le dita conto e riconto che non si perda
un secondo del mondo.
E con l’udito ricalca pompieri ambulanze sirene
e del merlo il fischiare e di Guappo giù in strada
l’educato sottovoce abbaiare
e il sottile righìo che sul vetro fa la matita
il dolce rumore, caro Sandro Penna, della vita.
Vivian Lamarque
COME NEL FILM «OGNI COSA È ILLUMINATA» (2005)
Come nel film “Ogni cosa è illuminata” che la guida ucraina Alex traducendo parla una lingua stranita lungo i fianchi della memoria tra gli sterminati di Trochenbrod nel cominciamento di una rigida ricerca (e c’è anche un cameo con Foer vero, che soffia via le foglie del cimitero)
Così stranisce la lingua poesia e quando ti parla saltano
i tempi verbali e ritorna di tutto anche ritornano
parole che erano morte e le bianche lenzuola del film
ed è tutto un andare venire
come il cane Sem nel finale che dalla tomba del vecchio
padrone corre al sentiero poi alla tomba poi al sentiero,
ma infine non sceglie la tomba, fugge via, via, sceglie la vita,
così anche noi, la vita.
ESERCITO
Al bisogno faccio l’appello
le nomino le convoco e loro accorrono
in punta di gambette, di curve,
di occhielli, loro le lettere
a formare parole, le rifiutate
si ritirano mogie con la coda
tra le gambe, le prescelte si allineano
lì dove le metto, anzi non lì, là, anzi
qua, in riga! attente! riposo! a capo!
ordino al mio esercito fidato.
Per ora fidato.
(non lasciarmi mai, Alfabeto)
Vivian Lamarque
Biografia di Vivian Lamarque nata a Tesero nel 1946, piccolo comune di montagna della provincia di Trento, viene data in adozione all’età di nove mesi ad una famiglia milanese perché figlia illegittima. Dopo la precoce perdita del padre adottivo scopre a dieci anni di avere due madri, nello stesso anno inizia a scrivere le prime poesie.
È cresciuta a Milano dove tuttora lavora e vive con la figlia e i nipoti.
Le prime pubblicazioni avvengono grazie al poeta Giovanni Raboni, che inserisce le poesie della Lamarque in alcune riviste letterarie.
Il suo primo libro, Teresino, vince il Premio Viareggio Opera Prima nel 1981, primo di una lunga serie di riconoscimenti: Premio Montale, Premio Camajore, Premio Elsa Morante e Premio Rodari.
Nel campo della letteratura per ragazzi, Vivian Lamarque si è dedicata alla scrittura di molte fiabe originali, oltre che alla traduzione di molte della tradizione classica. Per la sua trascrizione per ragazzi de Il flauto magico, riceve il Premio Andersen nel 2010.
Ha fatto l’insegnante di italiano e lettere, da molti anni collabora con Il Corriere della Sera.
Vivian Lamarque è stata ospite al festival Mare di Libri nell’edizione 2013.
Mariangela Gualtieri- L’ incanto fonico. L’arte di dire la poesia
Mariangela Gualtieri
Giulio Einaudi editore
Descrizione del libro di Mariangela Gualtieri «Lei, essa poesia, ha ritmica, ha melodia, timbro. Musica è. Tutti i poteri della musica. Tutti li ha». «Ogni poesia implora un respiro che la dica». Dire la poesia non avviene sempre. Eppure anche nel dire la poesia consiste, da sempre, la poesia. Lo sapeva Carmelo Bene con il suo personalissimo teatro della crudeltà, lo sapevano i Romantici e i Surrealisti, lo sapeva García Lorca, quando trovava il suo duende nella musica, nella danza e, appunto, nella poesia a viva voce (hablada), arti tutt’e tre, sosteneva, che hanno bisogno di un corpo vivo che le interpreti. Lo sa bene, benissimo, Mariangela Gualtieri, che da quarant’anni «dice la poesia in pubblico», avvolgendo chi la ascolta in un «mondo orale aurale» che non ha uguali. Sí perché «spesso», come dice Gualtieri, i professionisti, gli attori, leggono il verso puntando «sulla sua componente razionale e di significato, trascurando tutto il resto». Nella sua «arte di dire la poesia», Gualtieri ci parla invece solo del resto. E per farlo trova un linguaggio nuovo e sorprendente: non un discorso sul dire la poesia ma una scrittura con il dire la poesia. Non concetti astratti, ma figure, immagini, sensazioni fisiche, echi. E analogie, fino a costruire un libro di poesia saggistica, a opporre visione a discorso, a parlarci vicino e alto, lontani dalla chiacchiera. E così: «Formule magiche schiacciate nei libri – solo al pronunciarle si fanno efficaci. E formule mantriche, solo in voce trovano compimento. E spartiti di musica, tutti, chiedono fiato, gole, dita per farsi forma sonora. Così ogni verso. Ogni poesia implora un respiro che la dica. Essere detta. Detta per bene in sua ritmica e melodia e timbrica e interni silenzi».
Mariangela Gualtieri
Breve biografia di Mariangela Gualtieriè nata a Cesena nel 1951 ed è una delle voci poetiche piú apprezzate della scena contemporanea. Nel 1983 ha fondato insieme a Cesare Ronconi il Teatro Valdoca. Da Einaudi ha pubblicato le poesie di Fuoco centrale e altre poesie per il teatro (2003), Senza polvere senza peso (2006), Bestia di gioia (2010), Le giovani parole (2015), Quando non morivo (2019). E, per il teatro, Caino (2011) e Paesaggio con fratello rotto (2021). Per Einaudi ha inoltre pubblicato L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia (2022).
Silvia Bre-E’ nata a Bergamo nel 1953. Ha pubblicato la raccolta di poesie I riposi (Rotundo, 1990) e Le barricate misteriose (Einaudi) con cui ha vinto il premio Montale. Nel 2007 ha pubblicato il libro Marmo (Einaudi, ) vincitore, tra gli altri, del Premio Viareggio. Per le Edizioni nottetempo ha pubblicato nel 2006 “Sempre perdendosi”, portato con successo a teatro da Alfonso Benadduce. Ha tradotto, tra l’altro, Il Canzoniere di Louise Labé (Mondatori 2000) e Centoquattro poesie di Emily Dickinson (Einaudi 2011).
Le Parole
Levigata costruzione di consapevolezza è la sua poesia, che porta la nostra febbre interiore a riflettere su questo mondo delirante che solo una nuova visione può salvare.
La sua poesia è questa ricerca, questa voglia di trovare con la sua voce tesa e ferma, l’urlo di una risposta nuova, che da dentro “occhi ignoti sa entrare, dentro ai nostri occhi di pietra”.
e qui dove io sono io non sono
che la pace profonda di me stessa
e non so più che sono
e nemmeno un pensiero che mi venga
in questo luogo astratto della storia
per quanto lieve volli la mia vita
mai quanto volli lieve la mia morte
e ormai che sono qui
io sono quieta
soltanto
a volte
come fosse in sogno
sento due occhi ignoti
entrare
dentro i miei occhi di pietra.
Marmo (Einaudi)
Le barricate misteriose (Einaudi)
da Passi
Quali ripari vado immaginando…
È dove non s’avverte che universo
remoto al mio dolere e le sere
farsi previsione sterminata, case
libere al vento. Sono le illuse strade
dove la fortuna d’un momento
sparendo mi ritrova e io m’accendo
alla più magra luna senza cielo:
con tanti minuscoli bagliori
si fa il sereno d’una notte.
Così il tempo mi svola, le ali accosta
nella fine di una lucciola stanca
a cercar sosta – ma pure i fili d’erba tra le rovine
sono contenti della primavera
e per la quercia grande che m’invento
s’allunga in belvedere una finestra
via dal deserto, e l’ombra piove,
come se fossi già quel che divento.
*
da Edere
Ascolta, un viale avevo
di sterminate rose
da guardare la sera,
cieli di viole
che l’edera rampava a grandi tele,
avevo corde amorose.
E guarda adesso
com’è tutto raccolto in un mirino,
che finalmente la mia strada ho perso
nel mondo delle cose
e mi sento salire rami nuovi
e il cielo ce l’ho steso sulle dita
e amo, e mi rinchiudo
tutta nella vita.
Silvia Bre
*
da Il parco
Io vado destinata a un sentimento
che ha la forma del parco che ora vedo,
e ciò che vedo è il viale in cui l’inverno
è rami, pietra, acque, tramontana,
e passi di una donna che cammina.
Ma per come procede e come leva
lo sguardo secolare sulle foglie,
lei è la specie, a lei torna la rima
nella quale riposa il mondo intero –
così la qualità del giorno vaga
continuamente tra le parole e il cielo.
Marmo (Einaudi)
da L’argomento
Tutto l’essere qui
non viene detto –
resta da solo in noi
già benedetto
se solo lo si lascia respirare
vagamente
come un fiato continuo dentro un flauto
con noncuranza
come un verso un cielo non guardato.
*
da La figura
Ognuno vuole avere il suo dolore
e dargli un corpo, una sembianza, un letto,
e maledirlo nel buio delle notti,
portarlo su di sé tenacemente
perché si veda come una bandiera,
come la spada che regala forze.
Ma c’è persa nell’aria della vita
un’altra fede, un dovere diverso
che non sopporta d’esser nominato
e tocca solamente a chi lo prova.
È questo. È rimanere
qui a sentire come adesso
l’onda che sale nelle nostre menti,
le stringe insieme in un respiro solo
come fosse per sempre,
e le abbandona.
Ma nemmeno la pupilla d’un cieco
dimentica l’azzurro che non vede.
*
da L’opera dell’arte
Che baci appassionati
si danno di nascosto le tue rime
quale piacere stringe tra loro i versi
è godimento avere in bocca il senso
da capire.
(È sera, dico le tue poesie
confesso lenta al buio
brevissime bugie.
Così è l’incontro,
nel tempo che s’arrende
e mentre la rete larga
della grammatica
della poca sintassi
si rapprende
nell’impressione acuta
d’essere vicini
forse è da qui che passa
semmai ne esiste una
la storia impensabile
della letteratura).
Silvia Bre
Sempre perdendosi (Edizioni nottetempo)
Sebastiano
Poiché il cielo è così alto io sono un servo:
è giusto non dormire.
La gola è stretta, da intonare all’urlo,
dentro ho la vocazione maledetta.
Ma mi confondo
con tutto questo sonno.
Amo senza capire.
E’ non capire, che amo fino in fondo.
Mi spoglia
mi porta in giro sanguinante.
Lo spazio che mi cerca e che mi strozza
è un movimento andato
dove mi trovo infermo
nella malinconia d’essere altro.
Io vengo deportato
vengo allo sguardo.
Meno non posso.
Essere qui col corpo, col dolore,
tutto ferito, pronto al mio assalto,
a un altro finire ancora dietro l’altro.
Silenzio
Ecco, mi scordo, mi slego –
sarà lo smarrimento a suggerire
quasi una formula, un confine,
forse una frase sola che sia tutto,
un’eleganza
che vanti fino al nulla questo lutto.
Mi perdo
per un’arte che raduna
e rallenta ogni gesto in una forma
e in ogni forma il gesto che saluta.
Silvia Bre
C’è dello spazio negli occhi da riempire
e nella mente occorre una parola
da ridire con le labbra nella notte
fino a quando la notte si rovescia.
Così gira una ronda innamorata
così canta quel coro che s’ammira.
Si è parte
dentro una belva che si sfama.
Ah, mi fa stare qui, a cantare il coro –
che l’ultimo volere
sia questo stringersi nell’ultimo tono
come un filo che pende nel pensiero,
che si insegue perdutamente,
che ci dimentica.
Colpo
Qui io magistralmente scongiuro di morire –
finché mi tocca sfondo la mia scena,
la svesto, la depongo
con dentro tutto il sonno da dormire.
Faccio di meno intanto
faccio a meno
abbasso la pretesa, mi riduco –
la vastità immisurabile del luogo
forzata nella vastità della mente,
nella tenuta stagna delle parole.
Ma non è vero –
è così che si muore
ve lo dico: sempre perdendosi
per sempre.
Beati voi che dormite.
Un cuore invece batte a sangue,
sa il mio nome.
Nessuna faccia smetta di infierire,
va in cerca pure lei della sua fine
oltre la pelle
in me che sono vuoto,
nell’anima del corpo
tra i muscoli, tra i nervi
che si fanno da parte,
nel buio ostinato della vita
che rinchiude la morte.
È a me che lo fa dire,
a un disgraziato, al servo –
mi tortura il respiro
lo sorprende, lo scuote,
che io rimanga sveglio! che io gridi…
Così un altro rinvio
eppure addio, addio
addio sempre.
Silvia Bre
Silvia Bre-E’ nata a Bergamo nel 1953. Ha pubblicato la raccolta di poesie I riposi (Rotundo, 1990) e Le barricate misteriose (Einaudi) con cui ha vinto il premio Montale. Nel 2007 ha pubblicato il libro Marmo (Einaudi, ) vincitore, tra gli altri, del Premio Viareggio. Per le Edizioni nottetempo ha pubblicato nel 2006 “Sempre perdendosi”, portato con successo a teatro da Alfonso Benadduce. Ha tradotto, tra l’altro, Il Canzoniere di Louise Labé (Mondatori 2000) e Centoquattro poesie di Emily Dickinson (Einaudi 2011).
Biografia di Anne Stevenson(1933-2020)Nata a Cambridge, in Inghilterra cresciuta in America, nel New England e in Michigan, ha studiato musica, pianoforte e violoncello, poi storia e letteratura europea presso la University of Michigan, dove in seguito ritornò per conseguire una specializzazione in inglese e lavorare al suo primo studio critico su Elizabeth Bishop. Dal 1964 è stabilmente in Gran Bretagna. Ha risieduto a Cambridge e a Oxford, in Scozia, al confine anglo-gallese e ultimamente nel Galles del Nord e a Durham. Ha ottenuto molte literary fellowships da università britanniche e statunitensi ed è stata la vincitrice inaugurale dell’importante premio letterario inglese The Northern Rock Foundation Writer’s Award, nel 2002. Nel 2007 le sono stati assegnati tre importanti premi negli Stati Uniti: The Lannan Lifetime Achievement Award for Poetry, dalla Lannan Foundation di Santa Fe, il Neglected Masters Award, dalla Poetry Foundation di Chicago e l’Aiken Taylor Award in Modern American Poetry, da The Sewanee Review in Tennessee. Nel 2008, The Library of America ha pubblicato Anne Stevenson: Selected Poems, a cura di Andrew Motion, Poeta Laureato del Regno Unito dal 1999 al 2009, nell’ambito di una serie dedicata alle maggiori figure della letteratura americana. Ha pubblicato oltre venti raccolte di poesia, , e numerosi saggi critici e biografici. Oltre alle numerose raccolte di poesia, una ventina, principalmente con la Oxford University Press e dal 2000 con Bloodaxe Books, Anne Stevenson ha pubblicato nel 1989 una biografia di Sylvia Plath, Bitter Fame, un libro di saggi letterari, Between the Iceberg and the Ship, nel 1998, due studi critici su Elizabeth Bishop, l’ultimo nel 2006, e About Poems (and how poems are not about), nel 2017. Le ultime raccolte pubblicate sono Poems 1955-2005 (2005), Stone Milk (2007), Astonishment (2012), In the Orchard (2016). Nel 2018 è apparsa la prima edizione italiana, con testo a fronte, di una selezione di sue poesie, a cura e traduzione di Carla Buranello, pubblicata dall’editore Interno Poesia con il titolo Le vie delle parole. Links:https://www.anne-stevenson.co.uk/
A Dream of Guilt Remembering my mother
When in that dream you censure me,
I wander through a house of guilt.
It has a door – apology –
and windows – smiles. My selves have built
this huge, half-loved neglected place
out of the lintels of your face.
And still I hurt you. Still I – we –
entangle in obscure regret.
Your kind restraint, like stolen money,
weighs on me. I can’t forget. I can’t forget.
Hushed memories like cobwebs lace
this house too fragile to efface.
Un sogno di colpa
Ricordando mia madre
Quando nel sogno mi rimproveri,
io vago in una casa di colpa.
Ha una porta – le scuse –
e finestre – sorrisi. I miei io l’han costruito
questo luogo vasto, semi-amato, trascurato,
usando i tratti del tuo viso.
E ancora ti ferisco. Ancora io – noi –
c’impigliamo in oscuri rammarichi.
Il tuo riserbo gentile mi opprime,
come denaro rubato. Non posso dimenticare. Non posso.
Memorie sopite come tele di ragno ricamano leggere
questa casa troppo fragile per cadere.
*
Anne Stevenson
Hands
Made up in death as never in life,
mother’s face was a mask
set in museum satin.
But her hands. In her hands,
resting, not crossing, on her Paisley dress
(deep combs of her pores,
her windfall palms, familiar routes
on maps not entirely hers
in those stifling flowers)
lay a great many shards of lost hours
with her growing children. As when
tossing my bike
on the greypainted backyard stairs,
I pitched myself up, through the screened door,
arguing with my sister. “Me, marry?
Never! Unless I can marry a genius.”
I was in love with Mr. Wullover,
a pianist.
Mother’s hands moved staccato on a fat ham
she was pricking with cloves.
“You’ll be lucky, I’d say, to marry a kind man.”
I was aghast.
If you couldn’t be a genius, at least
you could marry one. How else would you last?
My sister was conspiring to marry her violin teacher.
Why shouldn’t I marry a piano
in Mr. Wullover?
As it turned out, Mr. Wullover died
ten years before my mother.
Suicide on the eve of his wedding, O, to another.
No one said much about why at home. At school
Jennie told me in her Frankenstein whisper,
“He was gay!”
Gay? And wasn’t it a good loving thing
to be gay? As good as to be kind,
I thought then.
And said as much to my silent mother
as she wrung out a cloth until her knuckles shone,
white bone under raw thin skin.
Anne Stevenson
Mani
Truccato in morte come mai lo fu in vita,
il volto della mamma era una maschera
incastonata in seta da museo.
Ma le mani. Nelle sue mani,
abbandonate, non incrociate, sull’abito damascato
(i favi profondi dei pori,
i palmi vizzi, percorsi familiari
su mappe non del tutto sue
tra quei fiori soffocanti)
giaceva un cumulo di cocci di ore perdute
con bambini che crescevano. Come la volta in cui
scagliai la bici
sulle scale tinte di grigio del cortile,
e mi slanciai per la porta posteriore,
gridando a mia sorella. “Sposarmi, io?
Mai! A meno che non possa sposare un genio”.
Ero innamorata del signor Wullover,
un pianista.
Le mani della mamma fecero uno staccato su un grasso prosciutto
che stava lardellando con spezie.
“Considerati fortunata, credimi, se sposerai un uomo gentile”
Ero esterrefatta.
Se non puoi essere un genio, almeno
puoi sposarne uno. Come altro sopravvivere?
Mia sorella tramava per sposare il suo insegnante di violino.
Perché mai io non avrei potuto sposare un pianoforte
nella persona del signor Wullover?
Poi accadde che il signor Wullover morì
dieci anni prima della mamma.
Si suicidò alla vigilia del suo matrimonio, O, con un’altra.
A casa nessuno disse molto sul perché. A scuola
Jennie mi sussurrò con ghigno da Frankenstein,
“Era gay!”
Gay? Gaio? Non era forse una cosa buona
e amabile? Buona quanto essere gentile,
pensai.
E lo dissi alla mamma che zitta
strizzava uno straccio fino ad avere lustre le nocche,
ossa bianche sotto una pelle screpolata e sottile.
*
Anne Stevenson
The Day
The day after I die will be lively with traffic. Business
will doubtless be up and doing, fuelled by creative percentages;
the young with their backpacks will be creeping snail-like to school,
closed in communication with their phones; a birth could happen
in an ambulance, a housewife might freak out and take a train to nowhere,
but news on The News with irrepressible importance will still sweep
everybody into it ¬like tributaries in a continental river system,
irreversible, overwhelming and so virtually taken for granted
that my absence won’t matter a bit and will never be noticed.
Unless, of course, enough evidence were preserved to record
the memorable day of my death as the same day all traffic ceased
in the pitiful rubble of Albert Street, to be excavated safely, much later,
by learned aboriginals, who, finding a file of my illegible markings
(together with the skeleton of a sacred cat), reconstructed my story
as a myth of virtual immortality, along with a tourist view of a typical
street in the late years of the old technological West – a period
they were just learning to distinguish from the time of the Roman wall,
built of stone (so it seemed) long before anything was built of electricity.
Il giorno
Il giorno dopo la mia morte il traffico sarà vivace. Di certo gli affari
andranno a gonfie vele, sospinti da percentuali creative;
zaino in spalla, come lumache i ragazzi strisceranno verso scuola,
chiusi in comunicazione con i loro telefoni; su un’ambulanza qualcuno potrebbe nascere
e una casalinga dar di matto e prendere un treno diretto in nessun luogo,
ma le notizie su The News continueranno a trascinare tutti
con la loro importanza irresistibile – come immissari di un sistema fluviale continentale,
irreversibili, travolgenti e così virtualmente e ciecamente accolte
che la mia assenza conterà meno di un bit, seppure sarà mai notata.
A meno che, certo, non rimanessero tracce sufficienti a identificare
il giorno memorabile della mia dipartita come quello in cui il traffico si fermò
tra le macerie miserevoli di Albert Street, molto tempo dopo, e in tutta sicurezza,
riportate alla luce da colti aborigeni i quali, ritrovato un file di miei illeggibili segni
(accanto allo scheletro di una gatta sacra), ricostruissero la mia storia
come un mito di immortalità virtuale, accanto all’istantanea di una tipica
strada della tarda era tecnologica occidentale – un periodo
che staranno appena imparando a distinguere dall’epoca del Vallo di Adriano,
fatto con pietre (a quel che sembrerà) molto tempo prima che tutto venisse fatto con l’elettricità.
Anne Stevenson
*testi in traduzione Carla Buranello
Carla Buranello, nata a Venezia, si è laureata presso l’Università Ca’ Foscari Venezia in Lingue e Letterature Straniere, facoltà di Anglo-Americano. Ha lavorato presso un’azienda commerciale internazionale con ruolo dirigenziale. Di recente ha intrapreso per passione un’attività di traduzione di poesie dall’italiano all’inglese e dall’inglese all’italiano. Ha stretto amicizia con la poetessa anglo-americana Anne Stevenson e ha iniziato a tradurne le poesie. Stevenson ne ha apprezzato il lavoro invitandola ad approntare una raccolta da pubblicare in Italia. La raccolta è stata pubblicata nel 2018 dall’editore IP Interno Poesia con il titolo Le vie delle parole. Ha tradotto anche un libro inglese di racconti ispirati alla scienza, non ancora pubblicato.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Margaret Atwood Brevi scene di lupi. Poesie scelte (1966-2020)
a cura di Renata Morresi- Editore Ponte alle Grazie
Biografia di Margaret Atwoodè una delle voci più importanti della narrativa e della poesia canadesi. Laureata a Harvard, ha esordito a diciannove anni. Ha pubblicato romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi. Più volte candidata al Premio Nobel perla Letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L’altra Grace (2008), Il racconto dell’Ancella (2017), Il canto di Penelope (2018), I testamenti (vincitore del Booker Prize 2019), La donna da mangiare (2020), Lesioni personali (2021), e le raccolte di poesie Brevi scene di lupi (2020)e Moltissimo (2021), tutti usciti per Ponte alle Grazie. L’autrice vive a Toronto, in Canada.
Margaret Atwood
Breve premessa-Per la prima volta Ponte alle Grazie offre al pubblico italiano una scelta delle poesie della grande scrittrice canadese, che abbraccia tutta la sua produzione, dal 1966 al 2020, ed è curata da Renata Morresi, una fra le più apprezzate poetesse italiane. «Essere accesa da dentro vena per vena essere il sole».
È pericoloso leggere i giornali
Mentre costruivo accurati castelli nel recintino di sabbia le fosse scavate alla svelta si riempivano di cadaveri spinti dai bulldozer e mentre andavo a scuola pettinata e linda, i miei piedi sulle crepe dell’asfalto detonavano bombe vermiglie.
Ora sono adulta e alfabetizzata, e siedo sulla mia sedia placida come un fuso
e si incendiano le giungle, il sotto- bosco si fa pesante di soldati, i nomi sulle mappe complicate salgono in fumo.
Sono io la causa, sono una massa di giocattoli chimici, il mio corpo è un congegno mortale, mi protendo con amore, le mie mani diventano pistole, le mie buone intenzioni sono del tutto letali.
Persino i miei occhi passivi trasmutano tutto ciò che guardo in una foto di guerra in bianco e nero come posso fermarmi?
È pericoloso leggere i giornali.
Ogni volta che batto un tasto su questa macchina elettrica per parlare di un placido albero
esplode un altro villaggio.
Da Brevi scene di lupi (Ponte alle Grazie, 2020)
Questa è una mia fotografia
È stata scattata qualche tempo fa. A prima vista sembra una copia sciupata: contorni sfocati e chiazze grigie fuse nella carta:
poi se la esamini, vedi nell’angolo a sinistra qualcosa come un ramo: parte di un albero (balsamina o abete) che affiora e a destra, a metà di quello che appare un dolce declivio, una piccola casa di legno.
Sullo sfondo vi è un lago, e oltre questo, basse colline.
(la foto è stata scattata il giorno dopo che annegai.
Io sono nel lago, al centro dell’immagine, appena sotto la superficie.
È difficile dire dove con precisione, o dire quanto grande o piccola io sia: l’effetto dell’acqua sulla luce inganna
ma se guardi abbastanza a lungo, alla fine riuscirai a vedermi).
Da Brevi scene di lupi (Ponte alle Grazie, 2020)
Moltissimo
È na parola antica, che va sbiadendo. Moltissimo volli. Moltissimo pregai. Io lo amai moltissimo.
Mi faccio strada camminando con attenzione, per via delle ginocchia malandate di cui mi frega assai meno di quanto possiate immaginare visto che esistono altre cose un pelino più importanti (aspetta e vedrai).
Ho in mano un mezzo caffè in una tazza di carta con – me ne rammarico moltissimo – un coperchio di plastica, cerco di ricordare cos’erano quelle parole un tempo.
Moltissimo. Com’era usata? Moltissimo amati. Moltissimo amati, siamo riuniti. Moltissimo amati, siamo oggi qui riuniti in questo album di foto dimenticate che ho ritrovato di recente.
Sbiadite ormai, color seppia, in bianco e nero, stampate a colori, ognuno di noi così tanto più giovane. Le Polaroid. Cos’è una Polaroid? Chiede il neonato. Neonato da un decennio.
Come spiegarlo? Tu scatti e la foto esce dalla parte rialzata. Alzata sopra cosa? Con quello sguardo perplesso che vedo di continuo. Così difficile da descrivere i dettagli più minuti di come – tutti questi moltissimo amati qui riuniti – di come vivevamo un tempo. Si incartava l’immondizia con la carta del quotidiano legata con un filo. Cos’è un quotidiano? Voi capite cosa intendo.
Il filo però, di filo ne abbiamo ancora. Lega le cose insieme. Un filo di perle. Ecco cosa ti dicono. Come tenere traccia dei giorni?
Ognuno splendido, ognuno separato, ognuno unico e finito. Li ho tenuti sulla carta in un cassetto, quei giorni, adesso svaniti. Le perle possono essere usate per contare. Come nei rosari. Ma non mi piace avere pietre intorno al collo.
Lungo questa strada ci sono molti fiori,
sbiaditi adesso ché è agosto, polverosi e diretti verso l’autunno. Presto i crisantemi fioriranno, i fiori dei morti, in Francia. Non pensare che questo sia morboso. Sono le cose come stanno.
Così difficile descrivere i dettagli più minuti dei fiori. Ecco gli stami, niente a che fare con gli umani. Ecco i pistilli, niente a che fare con le pistole. Sono i dettagli più minuti a ostacolare i traduttori e anche me, quando provo a descrivere. Capite cosa intendo dire. Tu puoi deviare. Tu puoi perderti. Lo stesso accade alle parole. Moltissimo amate, riunite qui insieme in questo cassetto chiuso, ormai sbiadite, mi mancate. Mi manca chi è mancato, chi è partito troppo presto. Mi mancano anche quelli che sono ancora qui. Mi mancate tutti moltissimo. Moltissimo rimpianto ho di voi.
Rimpianto: ecco un’altra parola che non senti più tanto spesso. Io rimpiango moltissimo.
Da Moltissimo (Ponte alle Grazie, 2021)
Poesie tarde
Queste sono le poesie tarde. Quasi tutte le poesie sono in ritardo, ovvio: troppo tardi, come una lettera spedita da un marinaio che arriva dopo che è annegato.
Troppo tardi per essere di aiuto, certe lettere, e le poesie tarde non sono diverse. Arrivano come via mare.
Di qualsiasi cosa si tratti è già accaduta: la battaglia, il giorno di sole felice, il chiaro di luna che diventa voglia, il bacio d’addio. La poesia si arena sulla riva come un detrito.
Oppure tardi e la cucina è chiusa: tutte mangiate o fredde le parole. Galeotto, sorte e disfatto, o sospesi, attese e un poco, pensoso, dolente, desolata. Persino amore e gioia: vecchi canti pluri-masticati. Sortilegi arrugginiti. Ritornelli consunti.
È tardi, è molto tardi; troppo tardi per ballare. Allora, canta quel che puoi. Accendi la luce: canta ancora, canta: Ora.
Da Moltissimo (Ponte alle Grazie, 2021)
Margaret Atwood
Biografia di Margaret Atwoodè una delle voci più importanti della narrativa e della poesia canadesi. Laureata a Harvard, ha esordito a diciannove anni. Ha pubblicato romanzi, racconti, raccolte di poesia, libri per bambini e saggi. Più volte candidata al Premio Nobel perla Letteratura, ha vinto il Booker Prize nel 2000 per L’assassino cieco. Fra i suoi titoli più importanti ricordiamo: L’altra Grace (2008), Il racconto dell’Ancella (2017), Il canto di Penelope (2018), I testamenti (vincitore del Booker Prize 2019), La donna da mangiare (2020), Lesioni personali (2021), e le raccolte di poesie Brevi scene di lupi (2020)e Moltissimo (2021), tutti usciti per Ponte alle Grazie. L’autrice vive a Toronto, in Canada.
Stefano Massari ritorna quest’anno alla poesia dopo un lungo silenzio. La parola è recuperata dal poeta con coraggio, sapendola ormai sfruttata fino all’insignificanza dal mainstream sociale, dove anche l’arte è triturata e trasformata in altro. Si avverte chiaramente un necessario ritorno alla poesia civile – politica in senso lato – ma anche un’attenzione particolare alle relazioni interpersonali e amorose (ti poso le labbra sugli occhi mentre dormi/ faccio piano).
Il poeta sceglie di iniziare con un percorso tragico e potente, quasi una via crucis, con dodici morti che chiedono memoria e risurrezione. La scrittura è ritmata su versi liberi molto ben costruiti, con brevi distanze che intervallano i sintagmi e sostituiscono la punteggiatura.
Il lettore è costretto a porsi gli stessi interrogativi del poeta, le domande ultime sull’ingiustizia che si perpetua, sull’illusorietà di ogni facile sogno, sulla nostra vita e la sua fine destinale (anche quando crediamo noi di deciderla, la fine non è che il precipitare degli eventi – il più amato tra noi non sa obbedire/…/ e si impicca alle ciminiere/ più alte con un cappio conservato intatto/ nei secoli dei secoli dai padroni/ delle cattedrali dei quartieri/ dei tribunali).
Nonostante la laicità con cui legge il mondo, si avverte in Massari una spiritualità di fondo, dove, dopo la durezza delle denunce e le delusioni della storia, compare la fiducia in un progetto di vita nuova, come se le figure e le macchine del diluvio possano finalmente restare solo reperti antropologici e più risvegliarsi a ripetere il male:
guardiamo tre volte la calma
la casa costellazione la posizione nuda
dell’alba l’odore della schiena guardiana avremo i nostri figli legioni
i nostri fiori sentinelle
le vene disarmate le gambe unite
come latitudini avverate le mani
impareranno a riposare il pane
lo faremo insieme
VI
Sei volte annunciata arrivò la morte
dell’amico più grande che diceva ormai
di neanche pregarla che non c’era bisogno
perchè la pelle era già vetro abbastanza
e l’ago andava infilato caldo e buono
anche per l’osso e piano piano piano
così non avrebbe lottato ma pianto
all’infinito e dormito con i topi nel letto
che per rispetto gli avrebbero mangiato
soltanto una mano la madreperla mano
(dalla sezione I primi dodici morti 1969 – 1996)
*
il vincitore rovescia la maschera ai sepolti
battezza con migliaia di chiodi incendia
i libri santi la materia dei vetri dei venti
e degli alberi raggianti predica le braccia
a tenaglia la bava del bene penitente
confonde l’urlo nel numero e nel nome
di ognuno di noi
(dalla sezione, Figure del diluvio)
*
IV
la rotazione delle torri le nervature locuste
cresciute unanimi e insonni le cuciture dei cementi
e degli allarmi le giuste confessioni delle carni
(dalla sezione, Macchine del diluvio)
* * *
Biografia di Stefano Massari è nato a Roma (1969), poeta, videomaker, artista visivo, vive a Bologna. Ha pubblicato in poesia: diario del pane (Raffaelli 2003 – post-fazione di Alberto Bertoni); libro dei vivi (Book editore 2006 – post-fazione di Alberto Bertoni); serie del ritorno (La vita felice 2009 – prefazione di Milo De Angelis). Libri che hanno ottenuto premi e una vasta attenzione critica. Suoi testi sono presenti su numerose riviste letterarie e antologie critiche e tematiche, in rete, in Italia e all’estero. In dialogo critico con Alberto Bertoni e Pier Damiano Ori ha pubblicato il volume Stati di poesia contemporanea (l’Arcolaio 2017). Ha realizzato video su poeti contemporanei italiani e stranieri e suoi progetti di videopoesia e videoarte sono stati ospitati in vari festival di letteratura e arti visive, italiani e internazionali. In videopoesia ha vinto il premio TreviglioPoesia nel 2009; un suo lavoro di videopoesia è stata esposto nel 2011 alla Biennale d’arte di Venezia. Tra il 2000 e il 2010 ha fondato e animato diversi progetti culturali: FuoriCasa.Poesia, SECOLOZERO, LAND e CARTA|BIANCA, muovendosi tra web, video e arti visive, riviste, ideazione e direzione di collane di poesia ed organizzazione di eventi e curatele di mostre. Ha curato per oltre quindici anni i progetti video del Teatro delle ariette (www.teatrodelleariette.it), con cui ha realizzato numerosi lungometraggi in Italia e all’estero, ha inoltre realizzato numerosissimi altri progetti video tra teatro, poesia, video-arte, arti visive, comunicazione istituzionale e promozione sociale.
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
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Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
“In fil di trama”- è la nuova raccolta di poesie di Stefania Rabuffetti
Stefania Rabuffetti, in libreria per Castelvecchi Editore con una prefazione di Massimo Arcangeli-100 parole – una per poesia – concatenate una con l’altra a intessere una trama, come fa un ragno con la sua ragnatela. Non a caso, sono proprio questi i due vocaboli che aprono e chiudono l’antologia. I versi qui raccolti, esito di un’intensa indagine su di sé resa possibile da una lunga pratica poetica, abbracciano molteplici contrasti: vita/morte, nulla/tutto, prigione/libertà, pace/guerra, notte/giorno, sorriso/pianto, per citarne alcuni. Queste dicotomie sono fondanti della vita stessa e necessarie per una visione universale, che abbraccia il mondo, l’infinito e il tempo nella sua interezza, «ciò che non ha dimensione», e – spingendosi ancora più in alto – lo Spirito.
La raccolta è frutto di un richiamo irresistibile della poesia. Come spiega l’italianista Massimo Arcangeli nella prefazione: «Se la poesia ti detta dentro non puoi farci niente. La cerchi, e non sempre la trovi (e, se anche la trovi, non sempre ti ascolta), ma quando è lei a trovarti, stanandoti da infingimenti e paure, non puoi resisterle, sei costretto a riportarne le parole. Stefania Rabuffetti vive l’esperienza poetica in questa misura». L’atto di scrivere diventa quindi atto necessario, l’autrice ha bisogno in modo insaziabile della poesia per dar voce a se stessa e ritrovarsi. Nei suoi versi si incontra una fame sazia di parole, e ancora un’infinita voglia di lasciare traccia della vena creativa.
La ruota gira la mente si muove il pensiero respira germogliano parole la penna scivola sul foglio l’inchiostro scrive la poesia rivive.
Stefania Rabuffetti
La scrittura è, dunque, per la poetessa lo specchio dell’anima: riflette la sua irrequietudine e le sue debolezze, ma è anche testimone di una costante ricerca di senso e della volontà di seguire il filo che si intreccia con al vortice/labirinto della vita, in «un abbraccio mortale che – come scrive Arcangeli – in realtà, è una promessa di rinascita.»
Stefania Rabuffetti è nata a Roma, dove vive. Per dieci anni ha lavorato nella redazione di programmi televisivi della Rai. Le sue poesie hanno dato vita a diverse raccolte, pubblicate da Manni: Il perimetro dell’anima (2009, Premio Minturnae 2010), Libertà vigilata (2011), Vietati gli specchi (2016), Cartoline dall’universo (2017, finalista al 44° Premio internazionale Città di Marineo), Parole affamate di parole (2019).
In fil di trama è la nuova raccolta di poesie di Stefania Rabuffetti, in libreria per Castelvecchi Editore con una prefazione di Massimo Arcangeli (pp. 112 – euro 14,50).
Danièl Bidussa- l giardiniere del cimitero- Zacinto Edizioni
Descrizione del libro di Danièl Bidussa-Leggo sulla lapide / Sopra quel morto / Che sei tu / “Scusate se esisto” e esito / Manco ti sei accorto / Che non esisti più-Gabriele è il giardiniere del cimitero Maggiore nella periferia ovest di Milano, ogni giorno si prende cura di ciò che è in vita, dei fiori e delle piante che animano questo posto apparentemente così solitario, e con loro dialoga, così come parla con le persone che incontra, o che non ha mai incontrato. Nei loro dialoghi il tema della morte ricorre come strumento d’indagine sulla vita, sui rapporti umani, sulla memoria e diventa terreno fertile, per noi come per Gabriele, per coltivare fiori come pensieri. Il giardiniere del cimitero è un romanzo in versi, un vero e proprio crocevia tra musica e teatro, tra prosa e poesia. Groucho Marx diceva che la differenza fra la vita e un film è che la vita non ha una trama. Qui ogni morte è un film compiuto, fermo ai titoli di coda costituiti dagli epitaffi, con la sua conclusione e la sua morale.
Danièl Bidussa è nato a Milano nel 1994, da qui non se n’è mai andato se non per un anno sabbatico fra il kibbutz Ma’agan Michaèl in Israele e Tel Aviv, per imparare l’ebraico mentre si manteneva lavorando in un bistrot sul lungomare. Cuoco di notte e scrittore di giorno, dal 2014 ha continuato nella ristorazione milanese mentre studiava Scienze per la comunicazione alla Statale di Milano e storytelling all’Università IULM. Da un anno è editor del magazine “Aware. Bellezza resistente”. Un suo racconto (Il bar dei confusi) è presente nell’antologia Giovani Scrittori IULM, A casa prima del buio (Milano, Biblion edizioni, 2021).
Biblion Edizioni nasce nel 2004, tra Venezia e Milano. La marca tipografica scelta per rappresentare la casa editrice – l’immagine della gatta con un topolino in bocca – è quella storica dei Sessa, famiglia di tipografi veneziani attivi tra il XV e il XVI secolo.
Attraverso le sue prime collane dedicate alla divulgazione storica – Storia, politica, società, Civiltà del libro, Fotografia e Circolo Polare – Biblion Edizioni ha iniziato a progettare e creare percorsi di studio e di ricerca. L’attività editoriale si è quindi ampliata nel corso degli anni, grazie anche a comitati editoriali formati da studiosi di prestigio, e comprende oggi numerose collane, dedicate alle tematiche più disparate.
La storia moderna è rappresentata dalla collana Adriatica moderna, suddivisa nelle sezioni “Studi” e “Testi”. La saggistica politica è articolata in due collane: Quaderni di politica e Riflessioni politiche. La critica letteraria e la ricerca bio-bibliografica sono trattate in Scriba, collana rivolta al mondo degli studi. La letteratura classica e moderna, italiana e straniera, è presentata ai lettori nell’agile Universale Biblion, che comprende testi di narrativa, poesia e teatro, oltre che nuove traduzioni di grandi autori, con testo originale a fronte, curate e commentate da autorevoli specialisti.
La saggistica divulgativa e di attualità (con Fronde sparte, Biblion International Monographs, Divulgare la storia, Lingua incerta, nuova…, Città Gentili) affronta temi di storia moderna e contemporanea, di politica, economia, costume, sociologia, arte e filosofia. La riscoperta del patrimonio culturale e artistico “minore” del nostro Paese è affidata a Luoghi d’arte in Italia, con volumi di grande formato e riccamente illustrati a colori. Biblion Edizioni Rare offre edizioni e facsimili di prestigio di libri antichi e manoscritti, per un pubblico di bibliofili e studiosi. La collana Centro Studi Biblion è nata per raccogliere esperienze e metodologie di diverse aree e discipline, dall’urbanistica alla sociologia, dall’economia alle scienze giuridiche, dai nuovi media alle più recenti tendenze culturali. Frutto di un’importante partnership con la Regione Veneto e Marco Polo System sono altre due collane: Patrimonio Veneto nel Mediterraneo, che con i suoi volumi contribuisce alla riscoperta delle tracce del dominio di Venezia negli anni della Repubblica, e Quaderni del Centro di documentazione sulle architetture militari di Forte Marghera, dedicata alla divulgazione storica sulle fortificazioni italiane ed europee.
Le pubblicazioni di Biblion Edizioni sono realizzate anche grazie a rapporti privilegiati con istituzioni culturali di rilievo, in particolare con l’Accademia della Crusca, il Museo Diocesano di Milano, la Biblioteca Nazionale Marciana, l’Università Statale di Milano, l’Università di Chieti-Pescara, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, i Musei Civici Veneziani, il Comitato “Dante 2021. Verso il VII centenario della morte di Dante Alighieri”, la Chiesa di San Bernardino alle Monache di Milano, il Museo Nazionale dell’Antartide di Trieste, la Fondazione Querini Stampalia di Venezia.
Biblion Edizioni partecipa alle procedure di valutazione di VQR (Valutazione della Qualità della Ricerca), l’innovativo sistema lanciato da ANVUR – Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca – che permette agli autori un’efficiente gestione delle proprie pubblicazioni.
Biblion Edizioni
via Ippolito Nievo, 8 – 20145 Milano
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