L’indocile scrittura di Anna Franchi, paladina dei diritti femminili- Articolo di Laura Candiani-
Anna Franchi è stata una pioniera del femminismo, attenta e sensibile ai diritti delle donne in un’epoca in cui se ne parlava con prudenza e i soprusi venivano taciuti per ipocrisia e perbenismo. Non solo; è stata anche musicista, scrittrice, traduttrice, giornalista, biografa e critica d’arte; una intellettuale completa, i cui interessi hanno spaziato in molteplici campi. Di tutto ciò ci parla la bella, esauriente biografia dal titolo significativo Anna Franchi: l’indocile scrittura-passione civile e critica d’arte, scritta dalla studiosa toscana Elisabetta De Troja e pubblicata nel 2016 a cura dell’Università di Firenze. Il libro è anche arricchito da una scelta di testi significativi e da un album fotografico. Anna Franchi era nata il 15 gennaio 1867, quando Firenze era capitale del Regno d’Italia, figlia unica di una famiglia livornese benestante; Cesare, il padre, era commerciante, la madre, Iginia Rugani, una casalinga molto riservata. Anna aveva maggiori affinità con il padre e la nonna Ernesta con i quali condivideva gli interessi e l’amore per la letteratura e la musica. Comincia presto ad attingere alla biblioteca paterna e legge avidamente Giusti, Dumas, Guerrazzi, romanzi sentimentali, patriottici e storici. Diventa un’ottima pianista e a soli 16 anni, nel 1883, sposa il suo insegnante, il violinista Ettore Martini. La coppia si trasferisce ad Arezzo e poi a Firenze (1889), città nelle quali il marito è direttore teatrale.
Fra una tournée e l’altra in cui si esibiscono insieme, nascono quattro figli: Cesare, Gino, Folco (che muore bambino) e Ivo; tuttavia il matrimonio è infelice: Ettore contrae debiti, mantiene a fatica il lavoro solo grazie all’impegno della moglie, la tradisce, non sa fare il padre; sarebbe un bravo violinista ma è incostante e instabile, finché parte per l’America con i due figli maggiori (1903). Di fatto il matrimonio è finito da tempo e Anna è stata costretta a vendere la casa di Livorno e a mantenere i figli (pure affidati legalmente al padre). Intanto trova il tempo per migliorarsi studiando con Ettore Janni ed Ernesta Bittanti, allora universitari molto promettenti. Inizia a scrivere e comincia a pubblicare: escono le novelle Dulcia-Tristia (1898) e un libro illustrato per bambini (I viaggi di un soldatino di piombo). Negli anni di fine secolo si impegna nella Lega Femminile (che aderisce alla Camera del Lavoro) e poi nella Lega Toscana; è attiva a fianco delle “trecciaiole” nelle agitazioni del biennio 1896-97 e, pur non essendo iscritta ad alcun partito, è vicina all’ideologia socialista. Nel 1900 è ammessa nell’associazione dei Giornalisti milanesi (seconda donna, dopo Anna Kuliscioff) e scrive su quotidiani e periodici, fra cui il “Corriere dei piccoli” (con lo pseudonimo “nonna Anna”). Con brevi articoli di informazione artistica e corrispondenze (da Venezia e Parigi, ad esempio) collabora a varie testate; risulta essere la prima donna editorialista dei quotidiani “Lombardia” e “La Nazione”. Gli anni 1902-3 rappresentano il periodo in cui più si impegna per una causa che le sta a cuore: il divorzio. Il Codice civile (1865) e l’enciclica Arcanum divinae sapientiae (1880) attraverso il potere dello Stato e della Chiesa ribadiscono la subordinazione femminile all’uomo padrone e signore in famiglia, ma anche nella vita sociale e professionale. Le donne non possono conseguire titoli di studio superiori, né decidere sui propri beni né stipulare contratti; la moglie deve condividere la residenza scelta dal marito e ne deve avere l’autorizzazione se vuole esercitare il commercio o compiere operazioni bancarie. Questa «mostruosa catena» (Sibilla Aleramo) si spezza nell’opera di Anna perché la protagonista del suo romanzo Avanti il divorzio rifiuta le convenzioni e un matrimonio iniziato con un vero e proprio stupro: «La prese brutalmente, violando quella purezza che gli si abbandonava quasi con incoscienza, la prese spudoratamente, nulla attenuando con gentilezza amorevole, senza risparmiarla (…)». Significativi i nomi della coppia: perché il riferimento autobiografico risulti ben chiaro, cambiano solo i cognomi (Mirello lei e Streno lui). Anna Mirello cresce, matura, rischia e cambia grazie a un nuovo amore, ma soprattutto grazie alla propria realizzazione attraverso il lavoro, la letteratura, l’indipendenza economica. La vera nemica della donna infatti è la rassegnazione (come spiegherà la scrittrice nel saggio Il divorzio e la donna). Interessante risulta anche il confronto con la posizione assunta dalla contemporanea Grazia Deledda che, nel medesimo anno 1902, pubblica il romanzo Dopo il divorzio, mentre veniva discussa e respinta la proposta di legge del Governo Zanardelli. Nel 1909 compare il secondo importante romanzo: Un eletto del popolo in cui la protagonista Mariangela viene abbandonata con un figlio da un deputato avido e arido preoccupato dalla carriera. Una vicenda che non può non ricordare quella personale vissuta dalla scrittrice e che rappresenta comunque una vittoria del coraggio e dell’anticonformismo perché la “sora Lange” rifiuta il cognome dell’uomo per il figlio e lo dispensa dall’obbligo del mantenimento. Nel 1910 esce un romanzo in forma di diario: Dalle memorie di un sacerdote, in cui Angelo, curato nella campagna toscana, soffre per le maldicenze dopo aver salvato da morte certa un neonato abbandonato dalla madre disperata sul greto di un fiume. Don Angelo prova pietà, sa capire e perdonare, mentre il Codice penale (art. 369) distingue fra omicidio e infanticidio (“omicidio scusato”), e libera l’uomo (padre/seduttore) da qualsiasi responsabilità. Per di più il Codice civile (art. 340) proibisce la ricerca del padre con ipocrite motivazioni. Oppresso dalla cattiveria dei parrocchiani e dai dubbi sulla propria fede, disgustato dai compromessi e dall’autorità ecclesiastica, don Angelo arriva al suicidio.
Nel periodo fiorentino Anna frequenta assiduamente i Macchiaioli e in particolare lo studio di Telemaco Signorini di cui parla ampiamente nella autobiografia (La mia vita-1940), in biografie specifiche e in saggi (Arte e artisti toscani dal 1850 ad oggi), accompagnati da conferenze molto apprezzate. La sua fama raggiunge la Francia – che frequenta durante le esposizioni internazionali – dove diviene affettuosamente “Franscì” per gli amici intellettuali, fra cui Matisse. Trasferita a Milano prosegue con fervore la sua attività di intermediaria fra i pittori, i galleristi e i collezionisti e scrive la biografia di Fattori (1910) di cui con sapienza mette in luce le doti nel saper rielaborare l’oggetto in modo tutt’altro che fotografico. Negli stessi anni varie testimonianze ricordano l’impegno di Anna sul fronte anticlericale messo in atto con scritti e conferenze; nel 1913 entra nella loggia massonica torinese “Anita Garibaldi” e nel 1914 fonda a Milano la loggia “Foemina superior”, il cui nome indica sia l’intento di «mettere sulla via della verità le giovani menti nelle quali si sviluppa uno spirito di osservazione critica» sia «l’aspirazione della donna verso il miglioramento spirituale». Siamo ormai alla vigilia della Grande guerra e Anna prende posizione da interventista con le opere Città sorelle (1915) e Il figlio della guerra (1917). Le tragiche vicende nazionali e internazionali la colpiscono duramente: il figlio Gino muore al fronte e il suo corpo non verrà mai ritrovato. Anna fonda allora la Lega d’Assistenza per le madri dei caduti, allo scopo di sollecitare la politica a prendere a cuore la situazione delle madri che non possono avere benefici economici nel caso i figli uccisi siano coniugati. Nel dopoguerra con coerenza Anna non entra nelle file del Partito fascista e invece si avvicina ai Valdesi tanto da diventare “direttore responsabile” del loro periodico “L’Appello”. Intanto continua a pubblicare saggi, romanzi, biografie (Caterina de’ Medici– 1932), racconti per bambini (Gingillo-1946) e a impegnarsi in pubbliche conferenze. Durante la Seconda guerra mondiale opera nelle file della Resistenza e, con la pace ritrovata, il 1946 è per lei un momento di grande soddisfazione: finalmente le donne italiane hanno accesso al voto attivo e passivo; si realizzava dunque il sogno di quelle pioniere come Anna Kuliscioff e Anna Maria Mozzoni che tanto a lungo e con tenacia si erano battute. Per l’occasione scrive Cose d’ieri dette alle donne di oggi. Ormai anziana prosegue tuttavia il lavoro e nei primi anni Cinquanta escono ancora sue opere.
Muore a Milano il 4 dicembre 1954, ma il funerale si svolge a Livorno dove è sepolta nella cappella di famiglia. «L’equilibrio dovrebbe nascere da una coscienza morale, da una dignità diversa tanto nel maschio quanto nella femmina (…) uguale al maschio? No. Inferiore? Nemmeno. Diversa ma non meno degna di tutte le considerazioni». (Per le donne, 1913) Le sono state intitolate una via a Olbia, una a Roma e un largo a Livorno.
Articolo di Laura Candiani-Ex insegnante di Materie letterarie, dal 2012 collabora con Toponomastica femminile di cui è referente per la provincia di Pistoia. Scrive articoli e biografie, cura mostre e pubblicazioni, interviene in convegni. È fra le autrici del volume e Mille. I primati delle donne. Ha scritto due guide al femminile dedicate al suo territorio: una sul capoluogo, l’altra intitolata La Valdinievole. Tracce, storie e percorsi di donne.
Rivalutiamo Anna Franchi
scrittrice, giornalista, donna di cultura e di impegno civile per l’emancipazione femminile
Con questo progetto il Club intende rivalutare Anna Franchi una delle figure più significative del panorama intellettuale livornese e nazionale del primo Novecento per il coraggioso impegno messo nella lotta per la conquista di diritti allora solo maschili.
Cresciuta ed educata in un ambiente familiare ricco di memorie risorgimentali, porterà sempre con sé i valori della democrazia e dell’uguaglianza ricevuti dal padre, dalla nonna e dagli amici di famiglia che frequentavano la casa paterna.
Le sue vicende personali, poi, la spingeranno a battersi per una identità nuova della donna nella società e nel mondo del lavoro con chiari collegamenti agli ideali risorgimentali.
Anna Franchi, sostenitrice delle idee progressiste che fioriscono nella stampa femminista del tempo, si trova a vivere in questa fase di trapasso epocale e decide, a seguito del fallimento matrimoniale e delle difficoltà economiche, di lottare come giornalista affinché possa realizzarsi l’uguaglianza tra uomo e donna.
Anna Franchi nasce a Livorno nel 1867 e ottantasettenne muore in povertà a Milano nel 1954. La salma, rispettando le sue volontà, viene traslata a Livorno al cimitero dei Lupi dove si trova tuttora.
Alla Biblioteca Labronica Guerrazzi la Franchi lascia in dono numerose sue opere, articoli, manoscritti che oggi costituiscono il Fondo Anna Franchi ovvero la testimonianza di vita di una donna semplice, onesta e coraggiosa.
Il progetto prevede le seguenti 3 attività:
allestimento di una mostra delle sue opere artistiche e manoscritti secondo il seguente calendario:
– 28 novembre 2024 inaugurazione della mostra presso la Biblioteca Comunale Guerrazzi con apertura straordinaria domenica 1 dicembre e termine il 7 dicembre
– 6 dicembre 2024 presso la sala degli specchi del Museo Fattori conferenza conclusiva sull’attività letteraria, giornalistica e politica della Franchi
febbraio 2025 apposizione di una lapide commemorativa presso il Famedio del Santuario di Montenero dove a ora sono presenti solamente figure di grandi uomini illustri livornesi, sarebbe la prima donna ad avere questo riconoscimento ( data da definire)
marzo 2025 Intitolazione del plesso secondaria di 1° nel quartiere La Rosa dell’istituto comprensivo Bartolena ( data da definire)
Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola
Conferenza del critico d’arte Jacopo Suggi all’interno del Progetto Rivalutiamo Anna Franchi
Venerdì 6 dicembre, presso il salone degli specchi, all’interno della Villa Mimbelli sede del Museo G.Fattori ha avuto luogo una conferenza del giornalista e critico d’arte Jacopo Suggi dal titolo “Anna Franchi, la prima e l’ultima macchiaiola“.
Anna Franchi è stata una personalità eclettica, moderna scrittrice e giornalista d’arte, autrice di oltre sessanta pubblicazioni e innumerevoli saggi, drammaturga, musicista, ma anche attivista, mossa da una complessa coscienza sociale che la portò a combattere per tante cause, in particolare per i diritti delle donne.
Davanti a un pubblico attento e appassionato Jacopo Suggi ha messo in luce un altro aspetto di questa donna eccezionale: la sua passione per l’arte, i contributi dati come critica d’arte e i legami con il movimento dei Macchiaioli. Anna Franchi è stata infatti la prima donna che ha creduto nel movimento macchiaiolo: ne ha scritta la storia, ha conosciuti gli artisti, ha cercato per loro un mercato che ne riconoscesse il valore. Importante l’amicizia con Giovanni Fattori e la corrispondenza con molti pittori: le lettere ricordano non soltanto le loro intenzioni artistiche ma anche gli stati d’animo, le relazioni, i viaggi, i successi e anche i momenti di tristezza che venivano confidati all’amica Anna.
A seguire ha avuto luogo una visita guidata al museo G. Fattori, dove sono allocate le opere dei pittori macchiaioli. In alcune stanze sono state allestite bacheche con documenti e opere che mostravano l’interesse e il legame di Anna con gli artisti di quel movimento pittorico.
Un bel pomeriggio, il finissage della mostra che chiuderà i battenti sabato 7 dicembre, che ha avuto un grande interesse e partecipazione pertanto… è stata chiesta un proroga, speriamo di ottenerla!
Storie di cinque donne che hanno cambiato l’immagine del mondo-·
Editore Mondadori
Descrizione-Di buona famiglia o figlie di emigranti, amate o solitarie, ammirate o emarginate, le cinque donne protagoniste di questo libro, di Elisabetta RASY, hanno tutte un rivoluzionario desiderio: indagare la realtà con il proprio sguardo femminile, abituato a cogliere aspetti della vita ignoti, intimi o trascurati, coltivando un’audace arte dell’indiscrezione che è l’esatto contrario dell’indifferenza. Sono cinque grandi fotografe, diverse per carattere e destino, ma ugualmente animate dalla voglia di cambiare l’immagine del mondo scovando bellezza e dolore là dove non erano mai stati visti, che si tratti di amore, politica, sesso, povertà, guerra o del corpo, soprattutto femminile. Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane Arbus e Francesca Woodman hanno poco in comune, per origine e storia personale, ma condividono la stessa voglia di raccontare con l’obiettivo fotografico la realtà a misura della loro esperienza di donne e di ciò che hanno conosciuto, scoperto e amato.
Le loro esistenze sono avventurose, spesso difficili. Tina Modotti, operaia in fabbrica a Udine a soli tredici anni, dopo una breve parentesi hollywoodiana vive accese passioni politiche e sentimentali nel Messico degli anni Venti, spalancando i suoi occhi sulla bellezza dei diseredati; Dorothea Lange, in fuga dalla sua famiglia di emigranti, ritrae nel coraggio degli americani rovinati dalla Grande Depressione la propria lotta contro la vergogna della malformazione con cui convive dall’infanzia; l’inquieta Lee Miller, che qualcuno considera la donna più bella del mondo, è pronta a svestirsi degli abiti da modella per denunciare il volto spettrale della guerra; Diane Arbus abbandona gli agi della mondanità newyorkese per puntare il suo obiettivo su ciò che non corrisponde al canone della normalità e raccontare l’imperfezione umana; Francesca Woodman nella sua breve esistenza esplora la figura del corpo femminile, indagandone in crudi ed emotivi autoritratti il lato più misterioso, insieme fragile e potente. Con una scrittura intensa e partecipe, Elisabetta Rasy insegue lungo l’arco del Novecento la vita e l’opera di queste cinque donne straordinarie, animate, ognuna secondo il proprio temperamento, da un’inarrestabile aspirazione alla libertà. Perché proprio l’incontro di talento e libertà è la cifra segreta grazie alla quale hanno saputo farsi strada in un mondo ancora fortemente maschile, diventando protagoniste di un nuovo sguardo sul secolo che hanno attraversato.
Editore : Mondadori (11 maggio 2021)
Lingua : Italiano
Copertina rigida : 252 pagine
ISBN-10 : 8804738820
ISBN-13 : 978-8804738824
Enciclopedia TRECCANI-Rasy, Elisabetta. – Giornalista e scrittrice italiana (n. Roma 1947). Laureatasi in Storia dell’arte, negli anni Ottanta ha fondato con P.V. Tondelli e A. Elkann la rivista Panda. Ha collaborato con varie testate, tra le quali, La Stampa, L’Espresso, Panorama e Sette del Corriere della Sera. Autrice di numerosi saggi di argomento letterario, molti dei quali dedicati alla scrittura femminile (La lingua della nutrice, 1978; Le donne e la letteratura, 1984), ha esordito nella narrativa nel 1985 con il romanzo La prima estasi. Da allora ha scritto diversi romanzi di successo anche all’estero, che hanno ricevuto vari riconoscimenti come il Premio Campiello con Posillipo nel 1998, spesso di argomento parzialmente autobiografico, tra i quali si ricordano: Tra noi due (2002), La scienza degli addii (2005), L’estranea (2008), Non esistono cose lontane (2014), entrambi nel 2016, Le regole del fuoco (finalista al Premio Campiello) e Senza la guerra (con M. Cacciari, E. Galli della Loggia, L. Caracciolo), Una famiglia in pezzi (2017) e Le disobbedienti. Storie di sei donne che hanno cambiato l’arte (2019).
NANCY CUNARD, la poetessa dalla vita intensa e spericolata….
LA POETESSA PIÙ BELLA DEL MONDO NANCY CUNARD,EREDITIERA, MUSA DI HUXLEY E MAN RAY, AMANTE DI POUND, ELIOT E ARAGON, VIAGGIATRICE E PASIONARIA, FU LA PRIMA A PUBBLICARE BECKETT CON LA SUA CASA EDITRICE – IMITATISSIMO IL SUO STILE: CILINDRO, ABITI D’ARGENTO, BRACCIALI E CAPELLI CORTI – NON SPOSATA, RIBELLE, FUMAVA, BEVEVA E AMAVA IL SESSO-Articolo scritto da Eleonora Barbieri per “il Giornale”
Quando nel 1925 scrive Parallax, Nancy Cunard ha in mente due uomini: T.S. Eliot e Ezra Pound. Il primo perché, due anni prima, aveva scritto La terra desolata, che è il modello per il poema lungo della Cunard; le due opere sono pubblicate dalla stessa casa editrice, la piccola e prestigiosa Hogarth Press di Leonard e Virginia Woolf.
Il secondo perché era stato proprio Pound, dopo avere letto le poesie della raccolta Outlaws del 1921, a spingere la Cunard a continuare a scrivere, spiegandole, in una lunga lettera, che doveva riuscire a «rendere il discorso della poesia perfino più vivido di quello della prosa» e ricordandole che «l’arte è lunga».
In quella lettera, Pound le diceva anche quanto desiderasse che Nancy tornasse a Parigi. La loro storia d’amore, lunga cinque anni, era già cominciata. In realtà anche Eliot era stato amante di Nancy Cunard, pur se per una notte soltanto, nell’estate del ’22: anche se la disapprovava, e la considerava una tentatrice (in seguito l’aveva perfino dipinta come una prostituta, sotto le spoglie di Fresca, in una parte della Terra desolata che Pound lo convinse a tagliare), nemmeno lui era riuscito a resisterle, come lei stessa raccontò in una Lettera in versi scritta dopo la morte del poeta nel gennaio del 1965 (lei morì due mesi dopo), e pubblicata ora nei Selected Poems, una raccolta di poesie, in parte inedite, a cura di Sandeep Parmar (Fyfield Books).
Del resto era difficile, quasi impossibile resistere a Nancy Cunard. Nata nel 1896 a Nevill Holt, nel Leicestershire, in una residenza immensa (il salone da solo era più grande della New York Public Library), erede di un impero di costruttori navali baronetti dai tempi della Regina Vittoria, discendente di Benjamin Franklin, figlia di un padre, Bache, interessato soltanto alla caccia e alla campagna inglese e di una madre americana ricchissima, Maud, arrivata in Europa per ottenere un titolo e entrare nell’alta società politica, aristocratica e letteraria di Londra (e Lady Cunard ne fu una regina), Nancy si abitua subito ad alcune cose poco comuni, specialmente per l’epoca: i suoi genitori vivono vite separate;
la madre ha decine di amanti, e non li nasconde affatto; il suo primo amico a quattro anni non è una bambina, bensì il romanziere irlandese George Moore, amante della madre, a cui resta legata per tutta la vita e che le fa da padre insieme a Norman Douglas; viaggia e viene istruita per tutta Europa; ai balli e ai tè organizzati da Lady Cunard arrivano Somerset Maugham, i Balfour, gli Asquits, Pound (che chiede soldi per sostenere James Joyce mentre scrive l’Ulisse), Eliot…
Ereditiera, poetessa, editrice per tre anni, come racconta nel libro, ricchissimo di aneddoti, These were the Hours – Memories of My Hours Press, scrittrice, giornalista in prima fila durante la guerra di Spagna, pasionaria quasi ossessiva per le cause della repubblica in Spagna e per la difesa della cultura e dei diritti dei neri in America (sua è la raccolta Negro, una antologia che è la prima nel suo genere, e che nel ’34, quando esce, è accolta con derisione perfino dalla stampa di sinistra), collezionista di arte «primitiva» dall’Africa all’Oceania e, in particolare, di vistosissimi braccialetti d’avorio che portava a decine fino al gomito, amante di artisti, poeti, scrittori e musicisti celebri, fra cui T.S. Eliot, Samuel Beckett e Pablo Neruda (tutti anni prima del Nobel…) e poi Ezra Pound, Louis Aragon, Tristan Tzara e Aldous Huxley, Nancy Cunard era una donna bellissima e magnetica.
Gli occhi enormi e blu, la figura esile, la voce dolce e acuta insieme, la falcata leggendaria. E poi lo stile, imitatissimo per il resto del secolo, dal cilindro agli abiti d’argento, dai quattrocento bracciali ai capelli corti, una giovane donna non sposata (lo fu per pochissimi anni, con un soldato australiano), ribelle, che fumava e beveva e non si negava nulla.
Così racconta Anthony Thorne nel volume Nancy Cunard. Brave Poet, Indomitable Rebel (1968, a cura di Hugh Ford) che raccoglie i ricordi di amici e ammiratori: «Un giorno una ragazza mi ha detto: Entro in una stanza e in fondo c’è la donna più bella che abbia mai visto. Poi mi avvicino e mi rendo conto che è Nancy Cunard».
Thorne incontra Nancy per la prima volta a Venezia, dove lei versa una flûte di champagne nel Canal Grande in nome di un suo vecchio amore, il jazzista di colore Henry Crowder; poi, dopo una notte insieme, lasciano il palazzo a bordo di una gondola. Undici anni dopo, di nuovo a Venezia, Thorne ritrova lo stesso gondoliere che ricorda esattamente Nancy.
Anche quando è ormai anziana, zoppicante, rovinata dall’alcol, dalle malattie respiratorie e dalla magrezza eccessiva, se entra in un locale, o si presenta a teatro, tutti gli occhi si volgono immediatamente verso di lei, e nel silenzio che si crea si sente solo il tintinnio dei suoi bracciali. Questa è Nancy Cunard, «un corpo come una scultura» a detta di Langston Hughes, che collaborò a Negro.
Non soltanto una avventuriera: lo è stata, nel sesso (si dice che si sia fatta asportare l’utero per avere libertà totale), nelle abitudini quotidiane, nei viaggi per mezzo mondo, nelle cause sposate spesso d’istinto.
Ma è stata una figura letteraria, e non soltanto come musa, anche se ha ispirato Huxley (innamorato perso, l’ha riprodotta in varie sue eroine), il bestseller degli anni Venti Green Hat di Michael Arlen, Aragon (che fu quasi sul punto di sposare), Tzara, Evelyn Waugh, Pound e Neruda, e poi pittori come Oskar Kokoschka e Alvaro Chile Guevara, fotografi come Man Ray e Cecil Beaton, lo scultore Brancusi. Williams Carlos Williams, che giocava a tennis con lei e Hemingway, la definì «uno dei più grandi fenomeni di quel mondo», gli anni Venti.
La prova della sua sensibilità letteraria, oltre che nelle opere di poesia, è soprattutto nella sua attività di editrice e curatrice di raccolte. L’avventura della sua Hours Press comincia nel 1928 e finisce nel 1931. Nasce in Normandia, a Réanville, in una casa di campagna acquistata e arredata da Nancy con grande amore (sua madre riteneva che «solo i banali hanno bisogno di una casa»); poi si sposta a Parigi, in rue Guenégaud, a due passi dalla Galleria Surrealista.
Londra non era la città giusta per Nancy, anche se si era creata una sua «Corrupt Coterie», cenava con Keynes e Lytton Strachey, frequentava i Woolf (poco, perché Virginia era gelosa…). È a Parigi, nei primi anni Venti, che trova il suo mondo: fra i Surrealisti e i Dada, tutti suoi amici e spesso amanti, ospiti fissi nel suo appartamento all’Île Saint-Louis, che era appartenuto a Modigliani.
In nemmeno quattro anni la Hours Press pubblica 23 libri di pregio, con copertine firmate da artisti come Man Ray, John Banting, Yves Tanguy: in catalogo vanta George Moore, l’amico che le garantisce un esordio da «tutto esaurito»; Louis Aragon che traduce l’«intraducibile» Caccia allo Snark di Lewis Carroll; due titoli di Norman Douglas; Mes Souvenirs, saggi scritti apposta per lei da Arthur Symons, il critico letterario che «esportò» Verlaine e i simbolisti Oltremanica; le poesie di Robert Graves e Laura Riding; i versi di Richard Aldington (suo è il bestseller della casa editrice, Last Straws); This Chaos di Harold Acton, per il quale Nancy è stata «la Gioconda degli anni Venti»; i primi trenta Cantos di Pound (A Draft of XXX Cantos); una raccolta di poesie di John Rodker, editore di Eliot e della «più bella edizione dei Cantos» di Pound, secondo la stessa Cunard. Le promette «qualcosa» James Joyce, «il mio visitatore più famoso in rue Guenégaud», dove si reca con insistenza in cerca di una raccomandazione per un suo amico, un cantante irlandese.
Non se ne fa nulla, né per la raccomandazione, né per l’opera da pubblicare. Ma la sua vera «scoperta» è Samuel Beckett. Nel senso che è la prima a pubblicarlo. In These were the Hours (pubblicato postumo nel ’69) la Cunard spiega il suo obiettivo di editrice: «Fare soprattutto poesia contemporanea di genere sperimentale – sempre cose molto moderne, pezzi brevi di grande qualità che, per loro natura, possono avere difficoltà a trovare editori commerciali». Così, a caccia di talenti nuovi, lancia un concorso: dieci sterline in premio all’autore della migliore poesia sul tempo, cento righe al massimo. Fino all’ultimo, Nancy e l’amico Aldington si trovano a leggere roba impubblicabile; ma, la notte della scadenza…
Qualcuno ha lasciato una poesia, si intitola Whoroscope; l’autore è sconosciuto, si chiama Samuel Beckett, è nato a Dublino e già questo lo rende simpatico alla Cunard che ha antenati illustri e ribelli anche in Irlanda, e comunque le basta scorrere i versi per capire che il vincitore del concorso è proprio lui.
E che felicità prova venticinque anni dopo, quando Aspettando Godot va in scena a Parigi e il mondo si accorge del merito che spetta al suo autore. Beckett le rimane sempre amico e affezionato; nel 1956 le scrive: «Ho ancora Negro comodo nella mia libreria, a differenza della maggior parte di ciò che avevo… E perfino qualche Whoroscope».
Le chiede di spedirgli una copia di Parallax, perché vorrebbe rileggerlo. Per l’antologia black Beckett ha tradotto diciotto saggi, fra cui un Manifesto dei Surrealisti francesi e un articolo su Louis Armstrong e il jazz; ha firmato per Henry-Music, versi dedicati alla musica di Henry Crowder, uno dei volumi di maggior pregio della Hours Press. Il loro legame dura per tutta la vita, anche se Beckett la trova sempre più esile e troppo «ossessionata» dalla questione spagnola.
Eppure, anche in questo caso, la Cunard dimostra il suo talento. Nel 1937 rimette in funzione la vecchia pressa Mathieu di Réanville per pubblicare sei pamphlet, o plaquettes, che finiscono sotto il titolo The Poets of the World Defend the Spanish people!. A stampare accanto a lei c’è Pablo Neruda, i versi, in inglese, spagnolo e francese sono di Tzara, Aragon, Hughes, García Lorca e W.H. Auden, di cui appare la controversa Spain.
Dopo le plaquettes è la volta di un questionario agli scrittori, un’idea nuova all’epoca: Nancy spedisce a tutti quelli che conosce (e non) delle domande sulla guerra, per capire da che parte stiano. Il volume che raccoglie le 148 risposte si intitola Authors Take Sides on the Spanish War: non pubblicata quella indimenticabile di George Orwell, che la prega di non scocciarlo più. Lui, in Spagna, si è appena preso una pallottola.
Dopo la guerra, la vita per Nancy non è più la stessa. La sua casa di Réanville è distrutta dai nazisti, il suo mondo è in pezzi. La madre l’ha diseredata da un decennio, al grido di: «Davvero mia figlia conosce un Negro?». Ha ancora degli amanti, sempre più giovani; continua a viaggiare, a bere troppo e a scrivere: nel ’54 e nel ’56 pubblica due biografie di George Moore e Norman Douglas, molto elogiate dalla critica. Rifiuta ogni proposta di scrivere la sua autobiografia (perciò bisogna accontentarsi di due biografie, comunque ricche di dettagli, una del ’79 di Anne Chisholm e una del 2007 di Lois Gordon).
Paga, più che mai, l’esclusione da un mondo per il quale lei è troppo diversa. E che l’ha punita, a modo suo: non potendole impedire la libertà di dire, scrivere e fare, per lo più ha tentato di negarle la patente della serietà intellettuale.
Descrivendo Lucy, l’anti-eroina di Punto contro punto, Huxley parla così (indirettamente) di Nancy: «Era tutto ciò che le persone, per invidia o per disapprovazione, dicevano di lei, eppure era la più squisita e meravigliosa delle creature». Muore sola, a Parigi, pochi giorni dopo avere compiuto 69 anni. Le sue ceneri sono al Père-Lachaise, il cimitero degli immortali.
Fonte Articolo scritto da Eleonora Barbieri per “il Giornale”
Titina Maselli nel centenario della nascita-Musei di Villa Torlonia, Casino dei Principi-
Roma- Musei di Villa Torlonia -La mostra in occasione del centenario della nascita di Titina Maselli (1924- 2005) intende offrire un’ampia visione retrospettiva dell’opera di Titina Maselli, riportando l’attenzione sulla pittura e la figura di un’artista che ha attraversato con grande autonomia e libertà visiva molte correnti pittoriche, senza mai aderire a una in particolare.
Inizia nell’ambito della Scuola romana, guarda al Futurismo per poi cominciare a mettere a fuoco singoli soggetti in inquadrature che sembrano anticipare la Pop Art, ma solo e sempre cercando di cogliere il carattere della modernità: tratto che ha decisamente definito l’intera sua carriera artistica. Grazie anche alla formazione che ha sviluppato fra Roma, New York e Parigi, Maselli ha in qualche modo precorso i tempi, le teorie e la storia dell’arte contemporanea. Le sue opere della fine degli anni Quaranta e Cinquanta, con le prospettive urbane, la serie sui grattacieli, le nature morte con materiali di scarto, sono state un sicuro termine di paragone e formazione per la nuova generazione artistica degli anni Sessanta.
Nel corso della sua carriera Maselli ha esposto in diverse edizioni della Quadriennale romana e della Biennale di Venezia, ed è stata conosciuta e stimata anche all’estero, soprattutto in Francia, grazie anche alla sua intensa attività di scenografa e costumista per il teatro. Nel corso degli anni, inoltre, sono stati tanti gli intellettuali di primo piano che si sono misurati con il suo lavoro: scrittori come Corrado Alvaro, Alberto Moravia e Jacques Dupin, storici e critici dell’arte tra i quali Renato Barilli, Enrico Crispolti, Duilio Morosini, Francesco Arcangeli, Marco Valsecchi, Maurizio Calvesi, Achille Bonito Oliva, registi come Michelangelo Antonioni, senza contare i tanti amici artisti come Lorenzo Tornabuoni, Renzo Vespignani, Gilles Aillaud. Ciononostante, ancora molto resta da fare per una adeguata rilettura critica del suo lavoro.
Ed è quello che si prefigge questa antologica, pensata e realizzata nell’ambito del progetto portato avanti da diversi anni dalla Sovrintendenza Capitolina, legato allo studio e alla conoscenza di importanti figure di artiste donne del XX secolo presenti nelle collezioni d’arte capitoline.
Il percorso espositivo, che copre l’intero arco temporale della produzione pittorica di Maselli, si snoda seguendo i principali temi iconografici a lei cari (i ritratti e autoritratti, lo sport, i paesaggi urbani e le nature morte oggettuali, il teatro). All’interno delle sezioni, in cui si articola la mostra nelle due sedi museali, vengono presentati una serie di lavori poco conosciuti oppure da lungo tempo non esposti, oltre a opere di collezioni pubbliche provenienti dal Museo Galleria del Premio Suzzara (MN), dal Museo del Novecento di Firenze, dai Musei Civici Palazzo Buonaccorsi di Macerata, insieme a dipinti, documenti e materiale archivistico presenti nelle raccolte capitoline (depositi del MACRO, Casa Museo Alberto Moravia, CRDAV Centro Ricerche Documentazione Arti Visive, Archivio della Galleria d’Arte Moderna). Sono esposte, inoltre, opere provenienti dalla Fondazione Toti Scialoja e da varie gallerie e collezioni private. Il Casino dei Principi ospita un percorso cronologico incentrato sulla produzione degli anni Quaranta e Cinquanta, fatti salvi alcuni approfondimenti tematici trasversali che si prolungano fino agli anni Duemila, mentre il Museo Laboratorio di Arte Contemporanea di “Sapienza” presenta una selezione delle opere di grande formato dagli anni Sessanta in poi, insieme a documenti anche inediti sull’attività teatrale, come alcune fotografie di scena di Monica Biancardi e alcuni bozzetti, restaurati per l’occasione dall’ultima collaboratrice dell’artista, Barbara Bessi.
A compendio della mostra, nelle due sedi, viene presentato un ampio apparato documentale e archivistico teso ad approfondire il percorso artistico di Titina Maselli, come fotografie, cataloghi, dépliant con proiezioni di alcuni video documentari quali: “Le metropoli di Titina Maselli”, 1969, regia di Massimo Mida, Nexus film; “Nel ring della città”, (1971), regia di Mario Carbone, Egle Cinematografica; “Titina Maselli – peintre et scénographe (1924-2005)”, 2005, di Mark Blezinger.
Il catalogo della mostra è edito da Electa. Oltre ai saggi dei curatori e a un ricco apparato di immagini, ripresenta in forma integrale e per la prima volta la quasi totalità delle interviste e delle presentazioni dedicate all’artista, insieme alla biografia, la bibliografia e il regesto aggiornato delle scenografie e dei costumi teatrali.
Si rinnova l’impegno della Sovrintendenza Capitolina nel rendere accessibili e fruibili dal più ampio pubblico le esposizioni temporanee.
È prevista la possibilità di ascolto di approfondimenti audio e di fruizione tattile di alcune opere in riproduzione e la possibilità di fruire di visite guidate tattili-sensoriali per non vedenti e un loro accompagnatore. Vedi > Visite Tattili
Nota biografica
Figlia del critico d’arte Ercole Maselli e di Elena Labroca, Modesta Maselli, per tutti Titina, è nata a Roma l’11 aprile 1924.
Suo fratello minore, Francesco, detto Citto, è stato un regista cinematografico. L’appartamento di famiglia in via Sardegna è frequentato abitualmente da scrittori, pittori e intellettuali. In questo fervido clima culturale, Titina inizia a dipingere giovanissima, guardando all’espressionismo romano. Dopo il matrimonio con il pittore Toti Scialoja (1945) e un viaggio a Parigi (1947), avvia lo studio, del tutto originale per quegli anni, dell’oggetto comune, soggetto pittorico che svilupperà nel corso di tutta la sua produzione. A soli 24 anni tiene la prima personale alla Galleria L’Obelisco di Roma (1948).
La piena maturazione avviene durante gli anni di permanenza a New York (1952-55), in cui le suggestioni del panorama urbano notturno, fatto di luci, bar, teatri e cinema, automobili, danno vita a una produzione segnata da riferimenti al dinamismo futurista e dalla pittura del contemporaneo vedutismo americano. Di rientro da New York trascorre alcuni anni in Austria (fino al 1958) per poi rientrare a Roma, agli inizi degli anni Sessanta, con una pittura volutamente più fredda e minimale, attraverso l’uso di piani bidimensionali e colori accesi, antinaturalistici, che, per certi versi, anticipano gli esiti della pop art italiana. Si concentra, inoltre, sempre più sullo studio di figure umane in movimento, prediligendo immagini sportive, come pugili e calciatori. Soprattutto a partire dagli anni Settanta, in parallelo con la pittura, porta avanti anche un’intensa attività come scenografa e costumista teatrale, lavorando per teatri francesi, tedeschi e italiani.
Nel frattempo partecipa a diverse edizioni delle Biennali di Venezia e delle Quadriennali di Roma, mentre varie gallerie le dedicano mostre personali. L’artista si è spenta a Roma il 22 febbraio 2005.
Il progetto espositivo, a cura di Claudio Crescentini, Federica Pirani, Ilaria Schiaffini, Claudia Terenzi e Giulia Tulino, è promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali in collaborazione con Sapienza Università di Roma, con l’Archivio Titina Maselli e con il Comitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della nascita di Titina Maselli.
Organizzazione e servizi museali: Zètema Progetto Cultura.
Casino dei Principi, Villa Torlonia
dal martedì alla domenica ore 9.00 – 19.00 ultimo ingresso un’ora prima della chiusura
24 e 31 dicembre 9.00-14.00 Giorno di chiusura: Lunedì, 25 dicembre
Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea, Sapienza Università di Roma, Piazzale Aldo Moro 5
dal lunedì al sabato ore12.00 – 19.00 (con ingresso gratuito) Chiuso: domenica e festivi; dal 23 dicembre 2024 al 4 gennaio 2025; dal 17 al 21 aprile 2025.
CONSULTA SEMPRE LA PAGINA AVVISI prima di programmare la tua visita al museo
Un seguito per “Lo straniero” di Albert Camus-Kamel Daoud-Articolo di Alberto Corsani-Uno scrittore algerino immagina il contraltare del celebre romanzo,Un arabo uccide un francese, apparentemente senza motivo, pochi giorni o poche settimane dopo l’indipendenza ottenuta dagli algerini nei confronti della Francia. È il ribaltamento della situazione che innescava, nel 1942, Lo straniero di Albert Camus, dove, nelle prime pagine, un francese d’Algeria sparava a un arabo sulla spiaggia, apparentemente senza motivo. Ma il libro iniziava in maniera inattesa, secca, brutale: «Oggi la mamma è morta…». E la madre è assolutamente centrale, sia pure in termini diversi, anche nel romanzo, ora uscito anche in Italia, dello scrittore-giornalista Kamel Daoud*, che davvero prosegue, rovesciandola, l’«inchiesta» legata allo Straniero e al suo protagonista Meursault(Meursault: contre-enquête è il titolo originale).
La vicenda dello Straniero è stata conosciuta da molti anche sui banchi di scuola: forse Meursault, abbacinato dal sole, ha visto l’arabo avvicinarsi minaccioso, forse era comparsa la lama di un coltello. Dunque, il delitto. E poi tutto quel che ne segue: il protagonista-assassino (che è anche il narratore) non si difende, anzi il suo comportamento sarà alla base della sua condanna a morte. Era defunta la madre, in un ospizio, e lui non se ne era occupato, anzi era andato con una donna. Tutto gli sembrava assurdo, Meursault si «lascia vivere addosso»: non gli resta che farsi condannare, sperando che tanta gente assista, odiandolo, alla sua esecuzione.
Daoud rifiuta questa impostazione, perché essa non rende giustizia alla vittima: vestendo i panni del fratellino dell’arabo ucciso, l’autore lamenta che nel romanzo di Camus la vittima esca di scena senza neppure aver avuto la dignità di un nome. Poteva essere stato ucciso chiunque altro, ciò che interessa lo scrittore francese è solo il disagio interiore, il rovello metafisico, il mal de vivre del sig. Meursault. Un lusso (il disagio esistenziale) che i poveracci non si possono permettere, dovendosi piuttosto arrabattare per tirare avanti e crescere nei vicoli andando a scuola quando capita.
Sembrerebbe una polemica rivendicativa e dettata dall’identità di un popolo liberatosi dal dominio coloniale, che ora volesse liberarsi anche della cappa culturale impostagli dalla Francia. Ma ci sono anche elementi più sottili. Intanto il romanzo di Daoud è tutto pervaso dai libri di Camus, di cui l’autore dimostra una grande conoscenza. Non solo per alcune frasi che ricalcano Lo straniero (per analogia o per via contraria, quasi parodistica). Se nello Straniero il protagonista tiene un atteggiamento di totale insensibilità nei confronti del suo delitto e della sua vittima, qui è tutta la società che assolve l’assassino-narratore: il suo crimine viene considerato un colpo di coda della guerra anticoloniale.
Ma poi c’è anche lo stile – altra operazione interessante: Daoud non si limita a usare frasi brevi ed essenziali come Camus, il suo tono quasi dimesso e una certa brevità del racconto; in un buon terzo del libro scrive rivolgendosi direttamente a un interlocutore, con stile oratorio e dimostrativo, che riecheggia quello di una successiva, complessa opera di Camus come è La caduta. Chi si addentra a questi livelli nello stile del predecessore non può che averlo ammirato.
Inoltre è centrale e molto evocativa la figura della madre. Camus parlò sempre di sua madre come di un modello (povera, di scarsissima istruzione, ma maestra di umanità); per il giovane protagonista invece la mamma è tutto (è già orfano di padre quando gli viene ucciso il fratello), ma è anche una cappa che gli impedisce di crescere, finché l’incontro con una ragazza alle prese con una tesi di laurea sul delitto non lo farà svincolare dalle sue ali protettive.
Un’opera complessa, dunque, che rimanda inevitabilmente all’opera complessiva di Camus, al suo umanesimo che non fu toccato direttamente dalla grazia della fede, ma che ne fu intrigato. Durante la guerra mondiale, nella Francia occupata, lo scrittore entrò in contatto con il mondo protestante. La morte in un incidente d’auto (assurdo, questo sì), quindici anni dopo, ha impedito questo ulteriore, eventuale sviluppo di una vita e carriera dedicate a promuovere la causa dell’umanità: contro ogni oppressione, contro la povertà, la pena di morte, contro la solitudine, e anche contro l’arroganza umana che pretende di creare autonomamente l’uomo nuovo.
*K. Daoud, Il caso Meursault, Milano, Bompiani, 2015, pp. 130, euro 16,00.
Successo a Roma della II Edizione di CORTI DA MARE-
Successo a Roma della II Edizione di CORTI DA MARE – International Short Film Festival – Si è svolta a Roma, Ostia Lido, Acilia e Tolfa la II Edizione di CORTI DA MARE – International Short Film Festival, prodotto dalla CINEMART S.r.l. in collaborazione con Barrett International Group e Associazione ART GLOBAL, e con il sostegno di “LAZIO TERRA DI CINEMA – REGIONE LAZIO”. Direzione Artistica del dott.Franco Mariotti (Direttore di numerosi Festival di Cinema Nazionali ed Internazionali e già Ufficio Stampa di Cinecittà Holding). Ospite d’eccezione, Relatore e Giurato Sezione Videoclip il M° Vince Tempera (Compositore e Direttore d’Orchestra di fama Internazionale).In gara Short Film, Documentari, Interviste e Videoclip provenienti da tutto il mondo.
Il nutrito programma del Festival si è sviluppato nei seguenti appuntamenti:
TAVOLA ROTONDA SUL MARE E SU TEMATICHE AMBIENTALI – Roma (Casa del Cinema – Sala Gian Maria Volontè)
Relatori d’eccezione: Franco Mariotti in qualità di Direttore Artistico del Festival; Vince Tempera in qualità di Giuriato della Sezione Videoclip. Il Maestro ha commentato lo Short Film “Earth” e il Videoclip “I sensi del mare”, proiettati durante la serata, parlando dell’importanza della Colonna Sonora nelle Opere cinematografiche. Maurizio Chirri (Geologo e Docente Uniroma3 e Università “La Sapienza” di Roma) che ha incuriosito il pubblico presente con l’intervento “Il mare e i cicli della terra”, fornendo informazioni preziose sui cambiamenti climatici nei secoli. Numerose le domande fatte dal pubblico presente – Gianlorenzo Battaglia (Autore della Fotografia e operatore subacqueo con all’attivo circa 100 film realizzati, documentari e il programma per RAI 2 “Azzurro quotidiano” che documentavano la cultura, l’archeologia e le tecniche di pesca, viste anche sott’acqua, di vari Paesi del Mediterraneo) che ha raccontato numerosi aneddoti legati ai film per i quali ha realizzato riprese sott’acqua e dei quali ha commentato alcune foto proiettate in Sala – Eleonora Vallone (Attrice e Presidente Aqua Film Festival) che ha raccontato il suo rapporto speciale con l’Acqua e il Mare. Angelo Bassi (Produttore e Distributore MEDITERRANEA PRODUCTION) in qualità di Presidente Giuria Short Film e Documentari; alcuni Finalisti del Festival giunti da tutta Italia : Joseph Lu (Pianista e Compositore di Modica – RG, che ha ricevuto diverse Nomination in numerosi Premi Internazionali tra i quali l’Hollywood Independent Music Awards); Paolo Robino Cuddle (Pianista e Compositore Internazionale) che ha affascinato tutti i presenti con il suo videoclip “I Sensi del mare”; Caterina Novak (Mezzosoprano e Scrittrice) autrice di un VideoArt in cui immagini della terra e del mare si mescolano con i versi di una sua Poesia. Ha moderato Virginia Barrett.
INTERNATIONAL AWARDS CEREMONY- Roma(ANICA – Sala Proiezioni). Dopo il rituale Red Carpet con Foto all’arrivo degli ospiti, sono stati proiettati gli Short Film e i Videoclip Finalisti, e il Trailer del Documentario vincitore, già visionato dalla Giuria di Esperti composta da: Franco Mariotti,Angelo Bassi, Vince Tempera, Gianna Menetti (Direttrice CINEMART), Gianlorenzo Battaglia e Riccardo Antinori (Direttore di VIVIROMA.IT). La Giuria Popolare eracostituita dal dott. Alex Di Giorgio (Presidente Associazione “Arcobaleno dell’Arte”), dott.ssa Luisa Bischetti (già Ispettrice della Polizia di Stato), Claudio Caputo (Responsabile Sicurezza del Teatro dell’Opera di Roma), prof.ssa e dott.ssa Luisa Gorlani Gambino (Docente, Psicologa, Scrittrice), Alessia Sabelli (Giovane Attrice), Ludovica Blasi (Fotomodella). Sul Palco della Sala sono state esposte opere del M° Angiolina Marchese, Presidente dell’Associazione “ARTGLOBAL” e autrice delle preziose litografie delle sue Opere dedicate al mare donate ai Vincitori, agli Ospiti e ai Giurati. Ospiti della serata : Eleonora Vallone, alla quale è stato consegnato un riconoscimento per l’impegno profuso nella diffusione della Cultura dell’Acqua, del Mare e della sua tutela; la dott.ssa Raffaella Zannetti, membro della Comunicazione diUNICEF Fondazione ETS, che ha presentato uno Spot dedicato ai bambini vittime di tutte le guerre. Nello Spot, alcuni bambini di Gaza sognano di ritornare a scuola con gli amici, ma nel frattempo si accontentano di pescare pesci in mare, luogo di serenità e Pace, dunque “PACE IN MARE, PACE IN CIELO, PACE IN TERRA, OVUNQUE PER OGNI BAMBINO”. Ad UNICEF è stato consegnato un riconoscimento per l’impegno costante profuso nella cura di bambini in stato di disagio; Cristiana Bini Leoni, che ha presentato un Video ricordo del marito Roberto Leoni, noto Regista e Sceneggiatore scomparso di recente. Al termine delle proiezioni le Giurie hanno consegnato le votazioni alla dott.ssa Luisa Bischetti che ha stilato la classifica dei Vincitori insieme alla Produttrice del Festival Gianna Menetti e a Claudio Caputo.
SEZIONE SHORT FILM : 1° PREMIO e PREMIO MIGLIOR FOTOGRAFIA “AL DI LA’ DEL MARE” di Massimo Ivan Falsetta. I Premi sono stati consegnati da Angelo Bassi e Gianlorenzo Battaglia. 2° PREMIO : “MARTINA SA NUOTARE” di Giorgio Molteni. 3° PREMIO : “LUISA E’ AL MARE” di Giuseppe Caponio. PREMIO SPECIALE : “EARTH” di Joseph Lu. Il Premio è stato consegnato da Gianna Menetti.
MENZIONE SPECIALE “LUCI SPARSE” Videoart di Poesia e Immagini di Caterina Novak. Il Premio è stato consegnato dal M° Angiolina Marchese.
SEZIONE DOCUMENTARI : 1° PREMIO ASSOLUTO “ERA SCRITTO SUL MARE” di Giuliana Gamba. Il Premio è stato consegnato dal dott. Franco Mariotti.
PREMIO DELLA CRITICA : “IL MAESTRO DEL MARE” Documentario scritto da Kyrahm e Julia Pietrangeli anche Regista dell’Opera. Il Premio è stato consegnato dal dott. Riccardo Antinori, Direttore di VIVIROMA e Presidente Giuria Stampa.
SEZIONE VIDEOCLIP : 1° PREMIO “I SENSI DEL MARE” di Paolo Robino Cuddle – Il Premio è stato consegnato dal M° Vince Tempera; 2° PREMIO “IL LAMENTO DEL MARE” di Tiziana Scimone; 3° PREMIO EX AEQUO a “FLIGHT OVER THE OCEAN” di Fausto Bizzarri (Videoclip Musica Strumentale) e “ZUCCHERO, ZUCCHERO” di Flora Vona (Videoclip).
PREMIO MIGLIOR COLONNA SONORA DA FILM al M° Gabriele Saro, autore del brano “VENICE” per l’omonimo Videoclip, al quale è stato conferito anche il Premio della Giuria Popolare che ha molto apprezzato l’idea dell’Opera con una panoramica su Venezia vista dagli occhi del noto Fotografo Diego Cinello. Ha condotto l’Evento Virginia Barrett (Attrice, Regista, Musicista). A seguire si è svolto un momento conviviale con Cocktail di fine Evento.
La mattinata è stata aperta dall’Intervento di Fulvio Volpi, Comandante del natante della APS SOTTO AL MARE , definito “Astronauta dell’acqua”. Durante l’Evento sono state premiate le migliori Interviste ad over 60 su ricordi di vita legati al Mare, realizzate ad Acilia, Ostia Lido e Tolfa da una Troupe della CINEMART. Le Interviste, già visionate dalla Giuria di Esperti, sono state anche valutate dalla Giuria Popolare presente in Sala. Tutti concordi per i Premi da assegnare: 1° PREMIO a Fernanda Sergio di Donnamasa; 2° PREMIO a Franco Capitanelli; 3° PREMIO ad Ambra Sax. Inoltre sono stati assegnati Diplomi d’Onore ai tre CSA partecipanti : Centro Anziani di Piazza dei Sicani (Acilia) Presidente Vincenzo Basso – Centro di Promozione Sociale “La Rocca”(Tolfa) Presidente Daniela Cedrani – CSAQ Piazza Ronca 22 (Ostia Lido) Presidente Veronica Vincenza Volpi. E’ intervenuto Mimmo Barbuto, Coordinatore dei dieci CSAQ del X Municipio di Roma. L’Attrice e Regista Virginia Barrett, conduttrice del Matinée, ha letto in modo appassionato alcuni Racconti dal Libro “Balene salvateci! – I Cetacei visti da un’altra prospettiva” (Casa Editrice MURSIA)di Maddalena Jahoda (Biologa e Divulgatrice Scientifica), accompagnata dalle calde note della chitarra classica del M° Angelo Cacciato (Compositore e Polistrumentista) e dalla voce recitante, con ironica inflessione veneta, di Barbara Braghin (Attrice eGiornalista). LaPoetessa e Scrittrice Melina Mignemi ha emozionato il pubblico con la lettura delle sue Poesie “Siculo profumo di mare” e “Cascata d’acqua”, dedicate al mare della sua Sicilia e tratte dal Libro “La penna dell’anima” (Edizioni Nuova Impronta).
Ospiti : il prof. Gennaro Ruggiero Direttore del Festival “Corti al Tevere”e la dott.ssa Angelica Loredana Anton Presidente della Fondazione AREA CULTURA di Roma che ha consegnato il Premio “ATHENA d’ORO” a Virginia Barrett, eccellenza nel settore della Cultura. A chiusura dell’Evento sono state proiettate alcune delle Opere dei Vincitori delle Sezioni del Festival.
Tutti gli Eventi si sono svolti ad ingresso libero e gratuito.
Ilaria Giovinazzo nasce a Roma nel 1979. Laureata in Lettere. Nel 1999 vince il premio Segnalazione speciale della Giuria al concorso europeo di poesia e narrativa “Massimo Grillandi”. Ha pubblicato i seguenti romanzi “Anime perdute (Effedue, 2001), “Non posso lasciarti andar via” (Prospettiva, 2005), “Donne del destino” (Besa, 2007) e le raccolte poetiche “Come un fiore di loto” (Ensemble, 2020), “La simmetria dei corpi” (Ensemble, 2021). Sue poesie sono state pubblicate su riviste specializzate e blog (De sur a sur, Atelier, Metaphorica, Transiti Poetici, La Bottega della Poesia de giornale La Repubblica, Centro cultural Tina Modotti). Con Fuorilinea nel 2022 pubblica il libro illustrato per bambini “Life. 10 cose importanti” e nel 2023 cura la plaquette, edita da Ensemble, dell’evento “Sinfonie Poetiche. Concerto per corde e fiati” da lei concepito e diretto. Attualmente vive e lavora tra le colline sabine.
Appartenere alle nuvole,
porsi come girasole alla luce,
libera ghianda in evoluzione di destino.
Sciogliersi e sorridere
come il ghiaccio innamorato del sole,
senza dolore.
Essere. Essere. Essere.
Senza convincimento di peccato.
*
Lo senti questo logorio continuo
delle corde intorno all’argano?
L’incontro perfetto del corpo
che aderisce all’ombra?
Sei nelle armonie improvvise
a cui accedo negli attimi illuminati
delle mie giornate.
Sotto il peso delle cose
questo muscolo idiota schianta.
Dimmi solo che la vita non tradisce
Dimmelo ancora. Menti.
*
Sono le illuminazioni del vento,
il canto ripetuto del cuculo
sul ramo di magnolia
a darmi la consistenza del seme,
l’efflorescenza del respiro,
a dirmi: taci.
La dea Tara sorride al Caos
mentre prego le cime innevate
del mio Himalaya personale.
Inspira. Espira.
Tutto sta lì a dirmi: taci.
*
Ho tentato di ricomporre
le ossa della bambina spezzata,
quella che nessuno vede
nascosta dentro i vestiti
incisa nella carne
che sorride a tutti
senza trovare la via di casa.
*
Sono composta di silenzi
e ubriacature d’anima
che non riesco a nascondere
e fede in orizzonti lontanissimi.
Paio vivere di poco
ma l’infinito abita
dentro le mie cellule.
La rivista «Atelier»ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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Castelnuovo di Farfa – La riva sinistra del Farfa-
Brani e Poesie dal libro di Franco Leggeri-MURALES CASTELNUOVESI-
Castelnuovo di Farfa -Brani e Poesie dal libro di Franco Leggeri– la riva sinistra del Farfa-MURALES CASTELNUOVESI– ………..Al termine della salita che porta dalla campagna al borgo di Castelnuovo , si trova un vecchio edificio ricoperto di edera, muschi e arbusti vari che crescono sul muro , ma vi è anche l’immancabile pianta di fico. All’interno delle vecchie mura , frammenti di mura, cresce spontaneo un giardino incolto che alimenta la fantasia di architetture fantastiche , scenografia di storie medievali in quel che resta del manufatto. Eppure questo rudere assume, nella fantasia del visitatore attento e non superficiale, una valenza magica ch’è l’unione tra realtà e immaginario letterario. Chissà se il rudere la sera si veste di colori bluastri, scala del “bleu gotico” l’ora amica dei fotografi e dei pittori, oppure ha lo stesso colore del vecchio insediativo storico racchiuso nelle mura di cinta costruite in pietrame a difesa dell’antico borgo di Castelnuovo. Rudere che potrebbe essere un eremo solitario posto ai confini del mondo, ma anche luogo dove si consuma da secoli l’instancabile opera dell’uomo per conquistare e domare la natura del colle dove sorge il Borgo di Castelnuovo di Farfa………….
-Castelnuovo, gli speroni della Luna.
La luna, i suoi speroni, ha ferito la notte castelnuovese. Il tempo, l’insulto del tempo si è smarrito nella ruggine dei ricordi. Occasioni uccise da barbari affamati di euro . Ora incidere la memoria su lastre di pietra. Il verde, la verde Valle del Farfa era un invito alla contemplazione .La colpa , se colpa è l’aver creduto di possedere la luna nell’età dei sogni. La colpa è nell’aver camminato nei sentieri dell’erica. La Valle , il mito , la sua Storia è qui nel mio cuore che colora di rosso gli spini delle siepi. Se il sogno si disperde lascio le mie parole sulla pietra. La stagione del gelo uccide le gemme della speranza , il tragitto segnato dal forte profumo, tragitto senza bandiere, del fieno falciato dai ricordi e illuminato dalla luna che uccide l’ombra dei cespugli. Ho rigirato tra le mie mani le parole, contato i sospiri come si contano le monete, ho cercato di scrivere l’ombra della sera , i ricordi degli anni giovani e l’altalena delle spinte infinite, le stagioni senza croci e le mani legate. Se la morte mi resta come l’ultimo sogno , l’ultima arma prima che anche le parole scritte siano morte per sempre. Cerchi un lapis , un foglio , una sedia per ricomporre, con calma, i fili, i fumi delle illusioni, le nuvole che portano la pioggia carica di poesia. Le vecchie porte dei fienili, il cigolio dei cardini vecchi, le note delle passate avventure prima che i fuochi si spengano . I ricordi, come le rondini, tornano sempre a scandire la forte stagione della follia mente negli uliveti la brezza accarezza le foglie , la brezza intrisa di fumo , di fieno, e sono i fuochi del bivacco del tempo immutato scolpito nell’attesa di un’alba rossa che trasformano i vicoli del Borgo nel labirinto di Dedalo e ad ogni incrocio trovi una epigrafe , un ricordo e un nuovo inizio.
I tetti di Castelnuovo di Farfa, il mio Dedalo.
Scoprire, o riscoprire Castelnuovo, cercando di aver gli occhi disincantati, mi permette comunque di vederne l’anima del mio Dedalo la più popolare, la più vissuta dalla gente comune. Scopro e riscopro, nuovo punto di vista, dopo tanti anni i vicoli del mio “Borgo Dedalo”, dove ho trascorso l’infanzia e la mia giovinezza che, nell’età dell’incoscienza, appare eterna. Se da adulti, in modo crudo, ci rendiamo conto che la vita passa in fretta, ci consola il pensiero che l’eterno rimane non nella materia, ma nelle vibrazioni, nelle sensazioni che aleggiano intorno a noi e che percepiamo secondo la nostra sensibilità e i nostri stati d’animo. Ora, osservando i tetti , vale la pena ricordare e raccontare e magari riflettere su queste nuove sensazioni che danno i tetti di Castelnuovo. Quante cose sono cambiate in queste vie , tante persone ,attori nella mia fanciullezza, non esistono più, altre sono invecchiate e altre ancora sono lontano altrove a cercare una vita diversa . E’ strano cercare dai tetti, di aprirli, e vedere, nei ricordi, le persone che abitavano la casa, scoprire l’atmosfera, rivivere gli stati d’animo con occhi diversi, con esperienza ,“lunga esperienza della vita”, reinventare ed animare anche i più piccoli dettagli del quotidiano la vita semplice e minimalista di una volta.
Vedo le vie di Dedalo là dove diventano più ripide, più stette , gli incroci e giù per i vicoli e scalette e ancora piccoli cortili e scale buie, soprattutto d’inverno. Nel mio paese, nel mio Dedalo ora sono cambiate molte, moltissime cose forse troppe .Sono cambiate le persone, le case, anche le storie non sono più le stesse. Ma non il “Borgo Dedalo” , il mio Castelnuovo , quello carico di storie scritte su di epigrafi marmoree “inchiodate” nella mia anima. Queste storie, immutabili e solide, che parlano e raccontano alla mia memoria, come una canzone poetica infinita ,di un Castelnuovo tramontato per sempre. Il mio paese, Castelnuovo, il mio Dedalo è un posto così sconosciuto alla “nuova gente” che ora lo abita e lo “consuma” e che ne distrugge il verde e la sua storia. La “nuova gente” che non ha l’abitudine di menzionarne il nome del mio Dedalo. La “nuova gente” non può ricordare la musica , dolci suoni, che uscivano da ogni porta , non può godere il trionfo e la purezza dei sogni che nascondono i cuori carichi di emozioni che creano le case del “mio paese” .
Castelnuovo, via Roma Est
Avete mai aspettato e visto il sole
che dona il primo bacio a Castelnuovo?
E se una mattina anche tu cerchi tra il sillogismo e il controesempio
di questo nostro dialetto, si di questo “sporco latino”
di cui adoro il categorico del disadorno,
ma essenziale canto invisibile che emerge da tracce nascoste .
Tracce, si quelle arate nella terra Sabina, che fermentano nel decasillabo armonioso che varia al ritmo dei versi sciolti e che , poi, li ricompone
nell’armonia del canto che allontana il “genio crudele”
che ha violentato la notte castelnuovese
e che , ora, aspetta il coagulo del sangue al sole
che ne rallenta la fecondità del passato fervore.
Castelnuovo,
ho negli occhi la quotidiana immagine, se pur superficiale,
del puntuale equilibrio e solo allora , se sarò libero, cercherò
di narrare la meraviglia dei racconti nascosti
che, da sempre ,dormono senza avere risposta,
ma era luce assoluta e felicità degli antichi castelnuovesi.
Rivisitare Castelnuovo, il suo profondo contraddittorio sillogismo filosofico
che , da sempre, cerco nella spiritualità
che diventa fulcro del mio soggettivismo
così relativo al mio pensiero pendolare.
Cerco la chiarezza nella mia anima ch’è tela
pronta per caratteri del libro che mai ho consultato.
Mi chiedo se troverò a Castelnuovo
il controesempio del sillogismo aristotelico?
A Castelnuovo, a volte , le risposte le trovi nascoste ,
ma esse sono sempre testimoni di dolci sere e serene albe,
lente, pallide e timide promesse future
che puoi trovare soltanto quando Castelnuovo diventa attico
e dialoga , dopo le stelle, con il primo raggio del sole.
Si potrebbe ascoltare, dai colli, forse anche la dolce,
filosofica voce dei castelnuovesi che si avviano ,
incontro al sole, camminando lungo via Roma Est.
Ed è allora che il sole riaccende, per il giorno,
i giochi linguistici dei fiori di campo.
Ecco, dunque, che, adesso, io ridivento una decomposizione
di sogni e illusioni in cerca di approdo,
una salvezza tra le ombre acute,
ma pronte a scomparire in un futuro senza storia e senza epoca.
“Se le pietre,
il cuore delle pietre,
l’acqua,
è la sua carezza che traccia l’ombra dei sogni,
sono e diventano
allora
l’inizio dei ricordi.
L’arido cuore delle pietre è (si fa) prigioniero nella mia anima.
Solo ora, adesso
La bassa marea tra i vicoli di Dedalo travolge il ragazzo
Che si accende nel nuovo giorno al sole
che entra solenne dalla via Roma est”.
Franco Leggeri, castelnuovese-
Poesia-Castelnuovo, via Roma Est
Dalla raccolta Murales Castelnuovesi
AMARCORD – Castelnuovo nel cuore.
Sulla vecchia cote dei ricordi affiliamo lame di impossibili rivolte. Abbiamo grattato terre incolte con il chiodo del primitivo, seminando speranze di poveri. Spartendo raccolti con i padroni è rimasta la rabbia dei figli e l’aia deserta.
Anche in noi, questo furore taciuto riporta a scelte lontane, quando vita, giovinezza e volti di ragazzi inebriati di troppa ingenuità tutto bruciammo. Solo per amore. Bastasse questo pugno di anni (paura e speranza della sera) per ritoccare quella bilancia e non imbastire cupi silenzi su mani stanche, golose di sole.
A Castelnuovo mattini uguali e incerti come aste sul quaderno di stagioni incolori, quando il silenzio diventa eresia, e l’antico ripetersi scava sentieri tra le pietre scritte, e il rito del ritrovarsi tra il vuoto di assenze che pesano – già affiora il dire: questa è l’ultima volta – resta, ancora, da capire la somma dei perché, mentre la nebbia nasconde l’oblio.
Non ha senso la Storia . Anche quella che si scrive nel bronzo e le stagioni rigano di una patina verde (ora, che dissolti i cristalli di lacrime, alza soltanto steli di pietra e grovigli di lamiere), anche quello che è stato, e furono parole e musica e canti nati nei bivacchi e folla e bandiere, e tutti a premere l’erba sul cuore dei morti: anche l’amore di allora e le schegge di verità ( forse, anche i giuramenti), adesso, non hanno più senso.
Il tempo, con il volto di rigattiere, ha raccolto le cose vecchie districando dai rami brandelli incolori, lembi di aquiloni e frammenti di foglie stinte di speranza. Castelnuovo nel cuore, i ricordi, le speranze, le lotte vecchie e nuove e ancora giorni senza tregua ,bivacchi per nuove battaglie e strategie per nuovi obiettivi. Il vecchio e il giovane nella storia , Castelnuovo per sempre. Castelnuovo nel cuore.
dal libro – “MURALES CASTELNUOVESI”
di Franco Leggeri , Castelnuovese
Castelnuovo, il racconto scritto col chiodo forgiato.
(alla scoperta di vecchi casali, ruderi castelnuovesi)
Ho trovato,
nell’angolo estremo,
in alto, in quella vecchia trave le sagome tracciate dal chiodo forgiato,
segni del tempo di guerra.
E’ lo stupore e la finezza del racconto disegnato,
lasciato da questa donna castelnuovese
che ha distrutto la legge di gravità.
E questo disegno,
così neanche in bianco e nero, ma solo legno,
solo un fossile e scena del passato
riverberi onirici dell’immaginazione.
Traccia di armonia del creato,
traccia segnata solo per alcuni riti passeggeri, ma solenni.
Nella trave è disegnata e immaginata
l’esplosione della luce
mentre si espande l’azzurro infuocato
immaginazione della sfrenata insoddisfazione
nella ricerca di un cielo sereno.
Ora sono tracce di parole e gridi inascoltati,
ora che sono “fossili” testimoni che narrano una tragedia,
tutta castelnuovese, ma ancora inascoltata
e nascosta in questa trave “intonsa” .
“Castelnuovo il chiodo forgiato
all’ombra della polvere.
Castelnuovo, c’è sempre la luna pronta per la nuova notte
carica di illusioni e inattesi veleni,
pensieri segreti depositati
, frettolosamente,
all’interno di nuvole di fumo.
Ed ecco che, ora, l’anima si commuove
e partorisce una luna piena,
la preghiera gemella che brucia l’amore,
quella che viene respinta nella via segreta,
che si illumina alla luce,
distratta , della luna nuova”.
Castelnuovo, il sogno e l’UTOPIA CONSUMATA.
Sono nato a Castelnuovo in una casa senza libri, ma , poi, la vita , i fatti tristi della vita mi fecero sconfinare nella Poesia. Io divenni un castelnuovese clandestino, emigrante all’interno di una biblioteca, e ,quindi, iniziai a navigare in un “OCEANO DI LIBRI”. Ogni libro era ed è un’isola su cui mi è stato possibile vivere libero .
La Poesia e la scrittura sono il giusto modo , forse, per ripagare il mio Borgo. Ripagare Castelnuovo, con moneta giusta per avermi accolto, per avermi regalato i sogni scritti sui muri, suoni e profumi , la sua bella storia , e le piccole storie che, assieme, sono diventate il mio Castello di Kafka e forse l’isola per un nuovo “naufrago castelnuovese”.
Sono nato castelnuovese , da genitori castelnuovesi e da nonni castelnuovesi , ma ho vissuto anche altrove una parte della mia vita. A Castelnuovo ho trascorso anni importanti, quelli che danno “l’impronta” alla formazione umana. Sono castelnuovese “dentro” e incatenato a Castelnuovo da sentimenti contrastanti come : Ammirazione per le sue straordinarie risorse , ma anche, ahimè, frustrazione per il modo in cui, quotidianamente, esse vengono sprecate da incapaci, si quelli della “Dittatura della Maggioranza”.
Come castelnuovese, orgoglio castelnuovese, sono parte di quella pattuglia che pensa che fare qualcosa , anche poco, sia meglio che non fare nulla ed abbandonare il Borgo, l’amato Castelnuovo, al suo triste destino di :”colonia della sottocultura Sabina”. Troppi castelnuovesi, senza altra colpa se non quella di essere nati a Castelnuovo, meritano di avere una chance , cioè quella di valorizzare le loro straordinarie qualità nascoste che spesso non sanno nemmeno di possedere. Credo , fortemente, che la politica dei piccoli passi, in un Borgo come Castelnuovo, sia quella da percorrere, quindi, piccoli passi e non spese faraoniche , soldi pubblici mal spesi per passerelle pre-elettorali, che diventano solo un pallido ricordo “snocciolati e bevuti” nei discorsi del bar.
Spero che altri “castelnuovesi dentro”, anche se residenti altrove, vogliano unire le loro idee e le loro voci in un progetto di Rinascimento culturale castelnuovese.
Piccola riflessione di un castelnuovese
Castelnuovo, La Notte.
Si adagia la notte su Castelnuovo
Ne assume, diligentemente, le forme,
essa si fa architettura, ridisegna le vie e i vicoli.
La notte castelnuovese , la mia notte,
quella che raccoglie le ombre depositate dal giorno
e che il vento sa disperdere e nascondere
dietro gli scricchiolii della vecchie porte
così solenni al gioco dei lampioni che ne esaltano i colori.
E’ la notte la sentinella del riposo,
dei pianti e dei sorrisi.
E’ la notte che fa volare l’ultimo , esile, fumo dei camini
custodi di nudezze e specchio di grazie nascoste
e di profili di cose semplici.
E’ la notte castelnuovese
che scrive, solitaria, storie dettate da folletti senza nome.
Il mio Castelnuovo è tazza e culla
del latte che versano le nuvole
che troviamo al risveglio del giorno.
Notte castelnuovese dimora amica delle stelle
e delle rose alle finestre dolci come i sorrisi delle mamme.
Notte castelnuovese gemella della solitudine e della quiete,
resoconto di lunghi intervalli tra il fuoco e la tristezza ,
ma così immobile nella solitudine del buio.
Notte che, infine, libera il sole sui cumuli
di speranze respinte dal filo irto della realtà.
Ed io, allora, ridivento pastore
del mio gregge di delusioni che ritornano,
rientrano dagli spiragli delle finestre.
Castelnuovo, è la notte la mia prigione
Ben costruita e cucita alla mia anima senza ali.
E ora, finalmente, senza una benedizione mi addormento.
“ Si può trattenere la notte?
Si può simulare il niente?
Vestiti di crudo realismo
Siamo al centro del niente,
mentre fugge la notte
nostro riparo dalle voci
delle finestre vicine.”
Castelnuovo, storie ai suoi margini.
Castelnuovo se diventa il margine e recinto
di una notte senza perché,
allora raccontiamoci storie
sussurrate tra le sbarre di cancelli inopportuni e indesiderati.
Ora ci ritroviamo qui a contare , a catalogare
le costellazioni disperse in lontane dimensioni
fuori dai confini bisbigliati
e scritti sui nostri pezzi di carta silenziosa.
Pensieri scritti con le gocce d’acqua
che ci regala, sempre, la notte castelnuovese.
E’ questa corteccia così ostinatamente
aggrappata ai fuggitivi e ribelli pensieri,
veri dominus di questa oscurità
ch’è spazio dove si espande
il profumo antico degli indugi
dei nostri silenziosi dibattiti, alcune volte inconsistenti,
che si evolvono nel brevissimo tempo a noi concesso dalle emozioni.
Ed ecco che la notte,
se pur essa superficiale e a volte emozionata
e dispersa nel circolo delle nostre mani
si fa ora luce lieve, vicina alla volontà
che si coniuga con l’irruenza nascosta in un desiderio impreparato.
Si ,la notte ,ora, diventa anarchia e poesia
Che evade oltre le fragili braccia,
esse imprudenti guardiane di una libertà
che si eclissa dietro la luce delle stelle
che diventano così sensuali
in questa melodia che incornicia la nostra notte castelnuovese.
I campi arati
Così come il sangue delle parole
Si posa sopra le note
Che nascono dalle pietre
Che difendono i campi arati
E la fatica lenta e severa dei buoi
Hanno profanato,
Hanno invaso
Hanno calpestato
Hanno deriso
La nostra sacra terra e la nostra valle
Hanno ucciso gli ulivi
E le spighe del grano maturo,
Hanno tagliato i riflessi dell’acqua
con il ferro e il rumore dell’argano
Hanno disperso nel vuoto
il profumo della nostra pace.
Ora il pane viene impastato con il cemento
e l’acqua è sepolta nelle rocce delle Gole del Farfa.
Nessuno di noi sentirà il grido
e la speranza della vittoria dispersa
nella nebbia che disegna questa notte nemica delle stelle.
I campi arati- Murales castelnuovesi di Franco Leggeri.
Citazione:“Ci sono domande a cui le risposte si hanno solo se si riesce a dare del tu a Dio “
Castelnuovo ,le sue Colline.
Castelnuovo ha le colline
Come cupole coperte di ulivi
Dove l’erba si lascia cullare
Dall’alito del Farfa
Mentre nasce l’attimo di Pace
Che si abbandona al riposo dei pensieri.
L’erba, come Castelnuovo,rinasce come fosse immortale
E risorge dalla meravigliosa terra
Per donarsi alla dolcezza del giorno
Come coperta e cuscino
Dove poter sognare melodie
Che addolciscono gli anni passati
Mentre scrivo del tempo che ancora mi accompagna
Mentre sogno su questo foglio bianco.
Ricordo che Fu Euripide la mia prima fuga dall’adolescenza,
mentre la neve rubava il mio sguardo
che tratteggia la soglia ,
il confine, del mio sentimento che fu strutturato e descritto
in una liturgia che esautorò le orditure ,
i simboli di struggenti antitesi.
Fu anche il blu che ,seminato nel silenzio della notte,
accese il dubbio e la paura.
Ora anche il vento si ripara dalla notte castelnuovese,
notte innamorata di Euripide e della luna.
Luna che trafigge il silenzio dell’anima,
dispersa tra le pietre dei giovani sogni.
Sogni che nascono così disadorni in questo novembre
che li ha rinchiusi tra le siepi di bosso.
Castelnuovo, Come la Pioggia.
Cadono le ore dalla torre
così come cadono le gocce di pioggia
infinite e ritmiche
come le note di jazz.
Le gocce e le note
così dolci e misteriose
come se , assieme, fossero
da poco arrivate da Nashville.
E’ la pioggia
che danza in questa nebbia,
mantello dell’autunno castelnuovese,
che diventa collezione romantica di perle
che, come gocce infinite,
si disperdono nei vicoli e vie di Castelnuovo.
Con la pioggia, gli angoli castelnuovesi
travolti e disegnati sulla nebbia,
sono le quinte e scenografia
del palcoscenico per rappresentare
e immaginare, le metafore,
le analogie di inediti racconti
che ,come gli occhi delle donne castelnuovesi ,
sono sempre in attesa del sole,
mentre, nell’angolo ,si trovano
angeli che ascoltano racconti che cercano mani
annegate nel vento del nulla.
Dalla torre cadono le ore
avvolte nei sogni all’interno di bolle di sapone
sogni in cerca di occhi
che mi accompagnano verso
il crudo cibo della realtà
del gelo freddo castelnuovese.
P.S.
Racconti in cerca di occhi
che come le mie mani cercano, sempre, le tue.
Castelnuovo, lo scantinato del chiacchiericcio .
L’orgia delle chiacchiere castelnuovesi
ha partorito il libro dei rancori ,
album così caro a voi che affilate le parole
e lo sguardo per colpire in silenzio,
un silenzio che riempie il vuoto del vostro scantinato
dove vivete ,galleggiando, sulle acque nere del vostro odio.
Voi vi nutrite del male, avete fame del male .
Voi siete il buio che vestite con la nebbia dei vostri occhi,
la vostra voce è come il sibilo della serpe.
Al vostro richiamo rispondono solo i latrati, lontani, dei cani randagi.
L’umido, insopportabile, del vostro respiro
è un virus letale che infetta il mio Castelnuovo.
Castelnuovo, i colori e l’ideologia.
Questa mattina i colori di Castelnuovo
si disperdono come stelle filanti.
Colori profumati, impercettibili, e nascosti
tra il linguaggio degli ulivi.
E’ questa una mia visione interiorizzata,
ma sempre in cerca di un approdo sicuro.
Si, Castelnuovo non può essere un racconto sommario
ma, come le sequenze chimiche , deve espandersi
in una litania nell’immenso cielo.
Castelnuovo diventa una litania senza amen,
e senza consistenza, un oggetto fantasma
all’interno di una storia inaccessibile
che si frantuma come stelle filanti
nell’intimità di esperienze sofferte e malate
che diventano , esse stesse, oggetti appesi alle pareti del mio io.
Castelnuovo mi tenta ancora al peccato dell’illuminismo,
e così l’ideologia diventa il mio luogo del “niente”,
l’elemento misterioso di una poesia forgiata con i colori della pietra.
Colori castelnuovesi e tristezza ideologica
che sono come i dubbi di Amleto
in cerca di Ofelia che disperde, così tremante, i colori
della sua fragile innocenza.
Piange Castelnuovo in cerca dei colori,
sepolti trai vecchi tronchi deposti a terra ,
terra scura come i sogni svaniti all’alba
di questa poesia, ora diventata logora e affaticata
mentre rincorre il colore di questo giorno
sempre uguale agli altri.
”Novembre castelnuovese.”(1976)
Sono debole ed è allarme fragilità.
Il dolore cronico di un’opera senza citazioni,
ma, per fortuna, sono gli zuccheri
a indicarmi la luna .
Ma è l’Ulysses di James Joyce che insiste e logora la mia fragilità.
Percorsi, postumi, per correre nella bellezza dell’acqua piovana
Non più incubi illustrati,
ma solo semplici foto di una luce debole,
Fragile.
Debole come il probabile ,ammirando, di viziati ritratti,
ora
è sempre più fragile dipingere il desiderio in modo godibile
nel “mentre”, gli affreschi dei miei sogni non hanno illustrazioni patinate.
Castelnuovo è la mia, orrenda, poesia per odiarmi,
è tutto inutile so già che il foglio bianco
è di un nero brillante .
Castelnuovo , a volte aristocratico e dominante
È una nave pregiata , visibile e bella, che naviga in formazione
Dentro la flotta dei Borghi sabini.
Castelnuovo non prenderà il largo
In quell’oceano del futuro,
Castelnuovo
Un colore diverso della schizofrenia tracciata da un sismografo impazzito.
Castelnuovo il borgo delle decapitazioni delle idee e tomba dei sogni.
Le illusioni di un sabato castelnuovese
È una comicità tragica di un copione senza parole.
Ombre,
si ,ombre cinesi
sono adagiate sul mio foglio bianco
e
dal nero volano gialle farfalle
esse
“PARLANO PAROLE DENTRO LE BOLLE DI SAPONE”
Raccontano , elevandosi in un vortice,
di un Castelnuovo disperso all’interno di mura ciclopiche.
E’ forse l’ora
Che torni alla montagna,
Alla roccia,
Alla neve,
Alla nebbia di questo sabato di novembre
Ho ora l’inchiostro nelle mie mani
Per dipingere cerchi senza misura,
e senza diametro.
Come sono lontani dal mare questi sabati castelnuovesi.
P.S. Ogni libro intorno a me ha un’anima, ma non riesco a trovarla essa corre e si nasconde per le vie di Dedalo.
Come disse James: “non so in che ordine vanno le parole”.
Allora che senso ha scolpire in forma dedalica una pagina bianca?
Certamente Castelnuovo non è una scultura greca, ma ha , possiede, un’anima : “ossessiva, assordante.”
Castelnuovo, il mio Castelnuovo, è un libro raro per pochi eletti.
Castelnuovo di Farfa le tracce del Razzismo- (Archivio 1986)
Brividi, incubi
Appesi a una catenella, come l’odio “Cara Poesia”.
Non può essere la cultura della nostalgia.
Così
Le ragazze che abitano a Nord, nel buio
Leggono le lapidi con le dita della mano
Non hanno lo sguardo per nuovi fantasmi
La loro lentezza , come nelle onoranze funebri
Sottolinea il desiderabile
Esalta
“l’estetica della fatica”
Castelnuovo , il razzismo è scritto in cifre
Nei conti correnti del cemento.
Castelnuovo mostri usciti da un thriller
Delle follie umane,
si
l’altra faccia di Castelnuovo:
L’altra parte della barricata;
Castelnuovo, l’alcool
E il pezzo della bassa manovalanza.
Castelnuovo: Dare voce alla volontà di esistere
Oltre le follie ,
i sorrisi e i racconti da osteria.
La lavanderia degli anni non cancella
Il seme dell’odio
RANCORE AVVELENATO:
“i feroci anni castelnuovesi”
sono sulla sponda avversa.
Ora posso vedere, ho catturato
L’impressione di una Rivoluzione.
“NON UN LAMENTO ESCE DALLE FERITE”.
Sulle sponde del Farfa-
Dove ho lasciato a riposare il sole
carnefice inchiodato al cielo
e la luna che aspetta l’ora silenziosa
di una solitaria speranza
scritta sui muri bianchi
e come i pensieri riflessi nei torrenti
che cercano la luce degli occhi.
Si
Io getto i miei pensieri nell’acqua
e rintraccio i miei occhi.
Apro i silenzi ,come riti al crepuscolo,
quando il vento fa crollare
le foglie
e la mia angoscia mi fa vivere il nulla.
Ora è il tempo del silenzio
ho già spento le grida
di schegge taglienti.
Il docile germoglio
di lotte essenziali
sono gocce di opaco sole
che annodano il sangue
e rincorrono gli echi
nascosti nell’ombra
di una cascata di acqua
e tu, assassino feroce,
hai distrutto il sogno,
scritto sul pentagramma,
mentre lo recitavo a braccia nude tra i profumi dell’erba
sulla riva del Farfa.
I vecchi libri
I vecchi libri sono come sculture
di una vita del dopo,
sono ritagli di tempo
e risultati di calcoli per una rotta tracciata
alla ricerca di sentieri che segnano l’anima.
Sentieri solitari e sospesi sulle emozioni
che si anellano all’interno di un cerchio
di passione e scrittura.
Ed è così, mentre i gatti si addormentano
sull’autobiografica di un’oscura psicologa analista,
che mi interrogo sui Dialoghi, ormai scheletri, di Platone,
si, proprio quelli
che ho sepolto
nei miei appunti tra i libri e nascosti in alto sugli scaffali.
L’Estate castelnuovese (1978)
Dai campi si leva
un coro serrato di cicale .
Il rosso , taciturno, dei papaveri
veglia il riposo delle poche parole
di desiderio silenzio.
Poi, la sera ,lo sguardo abbraccia fosforescenti geometrie
che nascono dall’immobilità della stanchezza.
Ascolto note di avventure eccessive, affogate in follie singolari.
I miei occhi (pallidi) sono sguardi (stanchi) ai margini dei campi.
Ora, del giorno, che corre al tramonto, ne dimentico l’alba.
Se Castelnuovo (Archivio 1981)
Castelnuovo,parole meravigliose, se le saprò vestire e dipingere, con le foglie degli ulivi , nella dolcezza della sera.
Castelnuovo, se saprò descrivere, scrivere e incidere, il fascino raffinato dei colori, così come sono tradotti e vissuti nella spiritualità dell’anima.
Non ho un teschio in mano, non ho i dubbi di Amleto, non scriverò i tormenti,la nebbia dei miei dubbi, non sono Shakespeare.
Non trovo statico il legittimo dubbio che vaga , da sempre, nel labirinto di Dedalo.
Castelnuovo, non è il Castello di Elsinore o quello di Dracula. Castelnuovo è, a volte ,un inquieto schema di vie dove si rincorrono i pensieri partoriti da uno spirito notturno per un progetto del bello.
Castelnuovo è un pensiero filtrato,
Castelnuovo è potenzialità: non idea, ma sostanza.
Il fuori posto della mia poesia ,Castelnuovo se lo chiami “musica” o “poesia”,
( neanche Cartesio mi aiuta ad uscire dai meandri del nozionismo).
Le ferite aperte sono il suono di una domanda antica, la pericolosa,( gesuitica?), insoddisfazione.
Eppure la notte si adagia , sempre, sui tetti e il “genio maligno” fugge, finalmente , dalla mia esistenza.
Conosco la luce di Castelnuovo, Castelnuovo non è la mia “provincia oscura”.
Castelnuovo è una divinità ed io ai suoi piedi ho lasciato i miei sogni, i miei sguardi, i miei pensieri, i miei versi.
Castelnuovo: ora non confondo più il buio con la tenebra. Oggi, ora, non ho più paura della notte.
MURALES CASTELNUOVESE- libro di Franco Leggeri
….e la lancia dell’ultimo sole
squarciò il sipario della notte alla luna castelnuovese…
Ho iniziato a scrivere MURALES CASTELNUOVESE , non perché ci fosse bisogno di altra carta stampa, ma perché volevo viaggiare, con la fantasia, in un Borgo solidale e pacifico di un tempo e questo era il mio Castelnuovo e questo è il mio modo di raccontarlo.
Ho trovato semplicemente delizioso, un po’ come aprire un barattolo di marmellata, quando appassionatamente rivivo in forma di Poesia questo mondo e l’emozione di scrivere esperienze incise sui volti dipinti nei miei Murales.
Mi emoziono a ogni pagina… sento sempre più forte il desiderio di partire e di terminare il viaggio . Caro Castelnuovo, ti ho conosciuto, in profondità, poco per volta devo dire che ho trovato , l’intuizione, l’alfabeto, e le parole da scrivere ad ogni tuo angolo ad ogni tua via. Confesso che mi emoziono , rileggendo gli scritti “ammassati “sulla scrivania. Devo lavorare sulle citazioni, ma ormai , forse, sono in dirittura di arrivo. Il mio lungo MURALES CASTELNUOVESE me lo sto gustando…lo rileggo poco per volta, e lo gusto come un vecchio whisky . Il fascino incredibile di questa avventura letteraria tutti i volti, i soggetti bè sono anche “metropolitanizzati” e per questo i miei “editor”, si ho due “editor”, i miei nipoti Flavio e Flaminia Leggeri. Flaminia mi corregge i passi successivi e i viaggi fantasiosi mentre Flavio , ahimè, i “congiuntivi” e l’architettura della pagina.
Sono felice di aver avuto l’opportunità di scrivere, devo terminarlo, per poi condividere questa esperienza con altri , forse, pochissimi Castelnuovesi.
Sto controllando che ogni parola abbia la sua giusta collocazione, per questo leggo senza fretta, cercando di comprendere bene il significato di ogni frase che mi trasmette l’energia di chi riesce a vivere veramente il cammino e realizza il sogno di trasferirlo agli altri attraverso le parole, così da rendere la “strada dei Murales ” infinita, nella speranza di passeggiarvi nuovamente.
E’ solo una parentesi
E’ un’ora di riflessione e mi approprio
di metafore e strumenti.
Ora il mio lirismo è prigioniero
in un cerchio di rose
rosse come infuocate armate
e avanzano petali di parole,
regimenti di sogni,
che sono pronte a combattere contro
la repressione della libertà.
Ho il lusso della fantasia
per correre dietro le nuvole
cariche d’ideali.
A volte ,
solo certe volte,
quantifico le emozioni che sono voci e gridi
così
come l’eterogeneo collettivo
delle note che occupano gli spazi e le righe
in assemblea permanente
nel pentagramma della mia anima.
A volte, le invertebrate note
si nascondono nei colori della mia terra
e le parole e l’immagine
del vecchio neorealismo
offusca l’esordio di questa strana parentesi
inserita e , forse, inopportuna
nel discorso di un vecchio castelnuovese.
Castelnuovo, Noi i ragazzi di via Coronari.
Amici miei, siamo quelli che abbiamo intrecciato i nostri sogni
come i vimini di un canestro
e, poi, li abbiamo riposti, nascosti
così lontano dalla vita vera.
Erano le inutili verità
rifiutate da noi adolescenti
che sapevamo annegare nel pane
i fiori del nostro sorriso.
Ora siamo diventati realtà dei sogni dei nostri padri
e artisti nel raccontarci una vita dispersa
nelle difficoltà di un percorso asfaltato da incognite.
Amici miei ora il sorriso
e il sospiro (soddisfatto?) di essere arrivati nell’oasi dei ricordi
quelli da noi sussurrati e nascosti tra sassi di via Coronari.
Ricordate?
Allora ci è stato impossibile
Far volare i nostri aquiloni che, oggi, ritroviamo
Se un Castelnuovese abita a Roma, ve ne sono moltissimi, nei fine settimana o per qualsiasi altro motivo decide di lasciarsi alle spalle rumori, stress e cemento dove andare se non in Sabina . E’ innegabile che la mente e il corpo si distendono immergendosi nel “morbido” paesaggio collinare , ma come descrivere , trovare le parole, il piacere di “affogare” gli occhi e l’anima tra gli uliveti . Tornando in Sabina , a Castelnuovo, ritrovi sepolti sotto una strato spesso di fogli polverosi, migliaia di immagini archiviate nella memoria. Questi fogli si sono stratificati e appiccicati l’uno all’altro, ma è ancora leggibile lo scritto. Qui a Castelnuovo ritrovi i volti del passato vedendo i giovani che corrono per la piazza. Certo a Castelnuovo , tappa intermedia tra passato e futuro, scopri che puoi ancora incontrare un sorriso e chi crede ancora nella stretta di mano. Si , qui a Castelnuovo puoi incontrare ancora un sorriso che si allarga e ti viene incontro per una stretta di mano per dimostrare , a me, che esistono ancora ricordi e voci che hanno segnato , inciso, le notti castelnuovesi senza lampioni. Disperdi l’ansia quotidiana, ma ricordi e rivivi l’ansia di guadagnarsi il futuro , proprio qui dove hai costruito il timbro della rabbia e lo slancio per la lotta.E’ qui che mi chiedevo cosa ci fosse oltre l’orizzonte, ma non è questo il giorno, oggi, per essere l’archeologo del ricordo.Ormai, forse, solo la Poesia ha un effetto tellurico e carnale che sa trasformare il mio tempo. Il “tempo differente” in tempo di Poesia; di salvezza e di recupero di tutto ciò che l’uomo perde nel suo allontanarsi dall’infanzia, beata età dell’innocenza, che nella memoria poetica diventa un luogo di simboliche appartenenze. Qui a Castelnuovo, le fragili figure dei sogni rivivono , sono ferite, le più insanabili ferite, fatte di carne e di sangue. Ferite, sogni feriti che incontro nei vicoli di Dedalo (Castelnuovo) con un destino , un tragico destino di dolore, ma forse questa è una storia di ordinaria follia dove il pathos si genera in stigmatiche narrazioni che, poi, riesco sempre a diluirsi nella “retorica dei sentimenti”. Ai primi segni di pioggia va in frantumi, nel mio ricordo, il mondo arcadico, bucolico, ma fragile come un presepe di cartapesta. Ora a Castelnuovo regna la stirpe della “razza carnefici”, a Castelnuovo sono escluso, sono l’intellettuale-poeta, con la testa tra le nuvole e nel cuore i versi di una poesia. Si, è vero riesco ancora a sentire tra i vicoli di Dedalo le canzoni ingenue e sentimentali dell’anteguerra. E’ ora di andare ,ma resterò sempre col cuore castelnuovese. E ora lancio lo sguardo verso questo cielo carico di nubi e di spazi azzurri , sembra un cielo di Raffaello, dove le leggi della natura mescolano la vita e morte anche nel misto colore di un pomeriggio qualunque passato qui a Castelnuovo.
Castelnuovo, noi che siamo andati via.
Noi castelnuovesi che abbiamo viaggiato dietro la polvere
alzata dagli zoccoli dei cavalli del padrone.
Noi che abbiamo bevuto l’acqua del nostro fiume Farfa
e mangiato il pesce pescato in quelle Gole
maestre del nostro nuoto .
Castelnuovo , siamo andati via
seguendo la luna del mattino
tra gli sguardi nascosti dietro le finestre.
Siamo andati via cercando il sole,
il suo nascondiglio dietro Fara.
Siamo andati via , non ricordo, o non voglio ricordare la stagione
dei silenzi, madre dei nostri mille perché.
Siamo andati via noi che conoscevamo
il suono della cedra solo dal racconto dei vecchi castelnuovesi
guerrieri reduci di assurde e folli guerre in terre lontane.
Siamo andati via , noi poveri tra i poveri,
accolti da Pasolini e da Mamma Roma.
Siamo stati neorealismo e protagonisti
di pellicole in bianco e nero.
Castelnuovo, noi torniamo con le nostre cicatrici e i nostri racconti.
Noi castelnuovesi abbiamo nostalgia
dei vecchi sorrisi , dei volti amici,
siamo tornati con lo zaino ancora pieno di perché.
Siamo tornati alla ricerca dei suoni e voci antiche,
quelle conservate in angoli chiusi e bui.
Siamo tornati per rileggere lapidi a noi care.
Castelnuovo, siamo tornati ora
tra sguardi estranei alle nostre cicatrici.
Eppure, Castelnuovo
noi non siamo mai andati via
perché abbiamo nelle nostre vene il tuo sangue.
Torniamo a prenderci e testimoniare quel che nessuno
potrà mai riscrivere o certificare: la nostra Storia.
La Storia quella che abbiamo lasciato
chiusa dietro le nostre vecchie porte.
Castelnuovo, si quelle porte dove aspettavamo
di uscire dietro i passi certi da seguire.
Castelnuovo, siamo tornati forti con il coraggio di terminare
l’inverno e l’amara stagione dei rancori e dell’odio.
Castelnuovo, siamo tornati per testimoniare,
per essere humus della nostra Storia .
Castelnuovo, riportiamo il tuo sangue
per nutrire il sogno vecchio e nuovo
di un Castelnuovo futuro.
Il volto senza titolo
È l’astratto segno in una cornice oscura
Divisa da un’introspezione psicologica
E dal suono primitivo del battere le mani
In mille riflessi
Si
Ho dimorato nell’inconscio
Dove
Il suono e l’armonia
Sono una narrazione di ombre rubate
Ai sogni di geometrie e geografie
Di scarabocchiati ritratti
Su di uno scarto di pensiero
Di trame d’amore
Affogo nel piacermi agitato
Mentre resto
Annoiato nel nulla
Ora sono entrato in un meccanismo ,perverso, di un’evoluzione continua.
SERA CASTELNUOVESE
La dignità è un fiore
che torna la sera.
La sera castelnuovese,
è come un evento letterario
vi sono i frammenti dei sorrisi,
luce di paradossi,
baci e fiori di campo
e la mia trasgressione
di un materialismo infinito.
Così la sera estiva è consumata,
mentre emerge la notte con le sue regole silenziose.
Ecco ora s’è spenta
anche l’ultima luce, dolce e supplichevole
come una voce umana.
Troppo umana tutta
questa sera castelnuovese.
Adesso nell’aria, c’è un vellutato riposo
di palpebre abbassate.
Castelnuovo, lo ami sempre di più…..
Finche non si arrende.
Ed ora nel buio io mi trovo ,come Telemaco, in un godimento dissipativo in riva al mare.
P.S. nota a piè pagina .
“Quale è il più grande peccato dell’uomo? E’ dormire di notte, quando l’universo è disposto a lasciarsi guardare.”(Lilaschon)
Castelnuovo,la nostalgia leggendo Cechov
Si , per avere nostalgia
Devi avere, possedere , una casa,
ma, ora, i miei ricordi sono di un rosso sbiadito
e io mi lascio cadere addosso la sera
mia compagna fedele, essenziale madre dei sogni.
La mia anima
ora è
Simile al vetro della finestra
che raccoglie le gocce di pioggia.
Nostalgia è il mio veleno Lucifero
È lui il padrone del foglio bianco
Che io cerco inutilmente di incidere con la penna rossa.
Proverò, ancora una volta, a disegnare Cechov
E “La signora con il cagnolino”
All’interno della mappa arancione
Inchiodata alla mia anima.
Ora lascio Cechov in un mare tropicale
Mentre io torno a creare un nuovo sogno
Per una casa castelnuovese inesistente.
Luna Castelnuovese. (1978)
Si muovono lentamente le foglie
come timide onde al soffio della brezza
mentre la luna, la sua faccia bianca
trafigge la fragilità dei pensieri.
Le (romantiche ) case di Castelnuovo
producono sogni, incompiuti
lontani, non al passo del tempo veloce.
Castelnuovo,
se il silenzio diventa una melodia per l’anima,
e mi segue per le vie di Dedalo, sempre uguale,
vado a contare i sogni e le lacrime
in questa notte senza un sussulto
mentre cerco i tuoi occhi dispersi nel corteo delle stelle che seguono la luna.
E pur mi associo a un sogno collettivo per il nulla ,
per, poi, ritornare nella certezza delle tue vie ,
e tu
Dedalo ,
sempre uguale, che mi segui nei miei ricordi
per godere
mentre annego nella faccia bianca della luna castelnuovese.
Né surreale , né metafisico
Portate i “fallacciani” al padrone
Castelnuovo, l’uomo servizievole che, camminando, aspetta di mangiare i “FALLACCIANI” del padrone.
Il “Vero sindaco”, quello ombra, merita l’omaggio:” E il servo devoto gli rifornisce la tavola con deliziose primizie.”
E’ questa l’immagine di una quieta giornata castelnuovese senza tempo. La resa, quasi pittorica, del gesto servile, minuziosa nei dettagli e sapiente nei colori dell’offerta dei “fallacciani” . Quadretto che appare in perfetto equilibrio con l’idea struggente della vita che, in continuo divenire, anima e illumina di senso, contenuti e spessore, la realtà del nostro piccolo Borgo.
E se anche una bugia
Può essere una verità
Sarà come parlare
Della dialettica di Platone
Con uno sconcertante
Essere
la mente e destino da retrovie,
Appunto,
è navigare le bugie per trasformarle in verità …apparenti.
Il servo che guarda sgomento il “ cesto pieno di fallacciani” che , ahimè, sfuggitogli di mano è il simbolo di un tempo che evidenzia e sottolinea la ,triste, verità.
È lui il” tuo padrone”: rendigli omaggio.
E ,in fine, il servo con la cravatta ha gridato :
”PORTATE I FALLACCIANI AL PADRONE”.
Mentre uno stormo di uccelli volteggia attorno al campanile e l’aria della sera si fa umida e profumata. Ora sembra avverarsi, quasi vicino, il sogno del servo fedele . Sogno che, da molto tempo già assapora il servo e che, forse, un giorno anche lui assaggerà , finalmente,
il“ FALLACCIANO ” del padrone.
I BASTIONI di Castelnuovo.
Le distese arate
Erano come seni
Della madre che offre la vita
Alle labbra del bambino.
L’anima lasciata sui bastioni di Castelnuovo,
mi allontana dalla giovinezza.
Lascio i libri , e coagulo l’attimo
del “prima” e del “poi”.
La lotta e la clemenza infinita
Sono la traccia per il dialogo con me stesso.
Ora uscirò illeso da poesie sconosciute.
I GRAFFITI di CASTELNUOVO
Ho contemplato le facciate di Castelnuovo
Ho memorizzato, cercato, ogni dettaglio
Ho inciso tutto nella mia memoria
Ho registrato i suoni, grida, i pianti, i singhiozzi e i gemiti
Ho evidenziato i colori del giorno e della notte
Ho scritto Castelnuovo nel mio muro degli appunti.
Ecco, ora i sogni stanno fuggendo dalle mie mani.
P.S.
Castelnuovo, i suoi bastioni
Dall’umile casa della mia semplice giovinezza, ricordo le scale buie, le stanze piccole e basse, dove si respirava la dignitosa povertà. Non vi erano tende di seta blu con risvolti cremisi, non si serviva il caffè agli ospiti in visita. Era questa la mia casa, la casa dell’infanzia, la mia infanzia . I libri furono i miei canali satellitari e Montale, Ossi di Seppia, la mia navicella spaziale. La semplicità dei rapporti , il rapporto sociale, era una condizione , inconsapevole, ma fondamentale di una vita serena .
Possiedo ancora Ossi di Seppia, la III ristampa del 1954 Ed. Mondadori.
dal libro di Franco Leggeri-“Castelnuovo, la riva sinistra del Farfa”
La Campagna Romana nelle tempere e nei pastelli di Giulio Aristide Sartorio
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
La Campagna Romana nelle tempere e nei pastelli di Giulio Aristide Sartorio,Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 -Man mano che la via Appia scende nelle paludi un silenzio innaturale comincia a gravare sul paesaggio . I canti si affievoliscono , non si sentono grida di gioia, ma solo l’indefesso zirlio delle cicale e un gracidare assordante . Qualche bifolco , qualche contadino , qualche buttero giallo di febbre vi fanno un triste saluto . Pian piano si scoprono tra le canne dei lustri sospetti: è l’acqua stagnante … Nei rari casali , nelle povere osterie, vi salutano uomini dall’aspetto fraterno , ma come scaturiti dal passato. Paiono di una stirpe che non è morta mai ; le loro facce sembrano lavorate come i ruderi della Campagna e su di esse si leggono i sacrifici secolari. La via Appia procede così per miglia e miglia, attraverso un paese sospetto , ricco di pascoli , di macchie, ma silenzioso . Gli archi della strada superano i canali fangosi nei quali si vedono i bufali immobili, mentre rari guizzi accusano i pesci. Qualche famiglia di pescatori ha costruito le capanne sulle palizzate e vive come gli uomini primitivi fabbricando le stuoie e le nasse. Sembra di essere catapultati in un paesaggio arretrato nei secoli; sembra d’essere in una specie di Stige e la nostra vita civile
“sembra un inganno , un’illusione”.
Questo paesaggio e questa vita –triste, solenne, straordinariamente caratteristica- il Sartorio delinea con tocchi rapidi e suggestivi in un conferenza su Terracina e traduce da tempo in piccole tempere e pastelli.
Giulio Aristide Sartorio , uscito da una famiglia d’artisti imbevuti di classicismo e che consideravano , quindi, il paesaggio come manifestazione artistica di scarsa importanza, non si dedicò sin dai primi anni agli studi che poi ha privilegiato. Fino alla Gorgone e alla Diana Efesina il Sartorio fu sotto l’influenza deli insegnamenti paterni e deve al pittore Francesco Paolo Michetti il primo impulso verso questi nuovi orizzonti.
Nell’Esposizione parigina del 1889 un suo quadro – I figli di Caino- fu premiato con una medaglia d’oro; e in questa occasione egli si recò , insieme al Michetti, alla Mostra di Parigi.
L’amore e la conoscenza profonda che il Michetti aveva per i paesisti francesi del ‘30 gli rivelarono tutto un mondo quasi ignoto, lo appassionarono per una manifestazione artistica da lui prima poco stimata. Ed a Francavilla a Mare, subito dopo Parigi , segnò con i pastelli del suo grande amico le prime impressioni di paese. Venuto a Roma, trovò nell’amicizia di due nobili illustratori della Campagna Romana- il Carlandi e il Calemann- stimolo costante a che l’improvvisa rivelazione non impallidisse. E il Carlandi e il Colemann gli furono guida nelle prime escursioni attraverso l’Agro Romano: anzi fra loro tre si fermò il progetto di una illustrazione completa di esso; progetto che, purtroppo, pare abbandonato. Ed ora ben pochi conoscono come il Sartorio le segrete bellezze e le ardenti emozioni che può offrire a
chi la contempli con anima candida e fervente l’interminata desolazione della Campagna Romana. Finora il Sartorio, sotto l’aspetto assai cospicuo di paesista, era stato conosciuto frammentariamente- quasi si potrebbe dire saggiato- nelle mostre di Venezia, di Roma, di Milano. Nel febbraio, però, sono state esposte a Londra settantatrè opere – metà tempere, metà pastelli- fra nuove e vecchie sensazioni paesistiche di lui, sì che la mostra offre la visione completa di quel che il Sartorio rappresenta non solo come paesista, ma anche come interprete di una regione nello svolgimento dell’Arte moderna. A Roma, nel salone Corrodi, si è tenuta la prova generale del grande spettacolo londinese: e artisti, amatori, studiosi, giornalisti sono accorsi: e in tutti era profondo il convincimento che il Sartorio fosse il vero multiforme poeta della Campagna Romana e che la mostra odierna avesse una significazione e una organicità profonda che la rendeva un avvenimento artistico affatto insolito. Bisognava vedere, infatti, quale tenace legame spirituale collegava tutte queste Opere così varie di soggetto, di sentimento, di tecnica e come il loro
intimo valore d’arte si intensificasse e si accendesse nel dispiegamento magnifico! La semplicità aristocratica e originale del taglio – rarissima perché segno di una personalità squisita-;la varietà dei momenti colti e la tecnica varia e sensibilissima con cui son resi ; la finezza e la intensità del sentimento onde son tutti materiali; la suggestiva magia evocatrice che li anima pareva che si avvivasse e si ampliasse in una vita più ricca e più ardente. Il Sartorio mantiene nel suo spirito una spiccata propensione per il mondo classico di cui egli ha una conoscenza straordinaria per un artista e perciò predilige quei luoghi della Campagna Romana avvolti nei veli fantasiosi delle leggende oppure onusti di memorie. Così si spiega il gran numero di quadri nei quali egli canta Terracina e il Circeo. E’ il mare di Omero e di Virgilio e-scrive il Sartorio nella conferenza citata- :”i navigli a vela che oggi lo solcano potrebbero essere le navi di Giasone, di Ulisse, di Enea, di Augusto, di Genserico; potrebbero essere flotte che portarono la Poesia , l’Arte, la Guerra, la conquista, la distruzione: pare che noi stessi abbiamo vissute tutte le vicissitudini antiche.” Circe, l’incantatrice di Colchide, ebbe nella regione il suo regno fatale: e il suo spirito sembra che aleggi ancora sul mare azzurro , sulle azzurre lenee dei monti , sulle rovine dei Templi, sugli stagni putridi e mortali . Una solenne atmosfera di silenzio
circonfonde Terracina squallida , chiusa tragicamente nella luce del suo passato, quando i traffici ed il commercio urgevano, quando gli eroi turbinavano intorno, quando l’arte risplendeva nel tempio di Anxur che prometteva al suo popolo la giovinezza eterna e in molti altri Templi e Fori e Basiliche e case. L barcgìhe pescherecce sotto al Circeo con le vele tessute di luce . gonfie e veloci sulla solenne distesa del mare azzurrissimo nella violenza del sole sembrano quelle che passarono innanzi l’isola a vele spiegate una notte remota tra il ruggire dei leoni incatenati e l’ululare dei lupi, mentre Odisseo era tenuto prigioniero nel palazzo incantato di Circe. I bufali pigri, fangosi, dagli occhi iniettati di sangue che triano una pesante carrozza presso Terracina, guazzando in mezzo all’acqua, sembrano veramente quelli abbandonati dalle torme unne di Genserico nella loro partenza precipitosa. Altri bufali lenti e grevi tirano un carro dalle enormi ruote ai monti Ausoni di linea sobria e sdegnosa, interrotta dal Pesco montano, una rupe a foggia di torre sporgente dal Tirreno come faro ciclopico. Esso fu tagliato sotto il primo impero perché contenesse la via Appia, la quale solo colà toccava il mare ed era un punto strategico guardato dal presidio romano chiuso nel Castrum che circondava il tempio di Anxur. Sul davanti del quadro il terriccio melmoso si affloscia ed affonda . L’ampio paesaggio sembra fasciato in tedio profondo , in un silenzio pauroso ed il carro ed i bufali ed i conducenti sembrano silenziose apparizioni fantastiche. Ancora altri bufali affogati nel fango , con le teste torte in alto , ansanti, guardati da due butteri monumentali, selvaggi ruderi di una remota età eroica. Desolazione epica domina anche nelle rovine del porto di Trajano, ora pozzanghera in cui guazzano i bufali, ma un tempo rifugio ricco di vele e di grida che vide partire verso l’Africa gran parte del bottino di Genserico. E’ un arco di terra melmosa cui sono attaccati ancora gli anelli per le navi e al di là di essa si stende sconfinato il mare, rompendosi in spuma sulla terra
superstite ch’esso ogni dì più incalza e sopprime. L’organismo coloristico è squisito : i toni aurati iridescenti delle nuvole pendule sul mare si fondono mirabilmente con quelli oscuri e sordi dell’acqua opaca e della terra che scoscende , rilevati dalla massa azzurra del monte e dalla macchia rossa della casetta che si erge a destra . Molti di questi finissimi quadri si fan notare , oltre che per la loro significazione sempre profonda , per la raffinata seduzione del colore. Vi è una tempera – L’aratura a Foro Appio- che è tutta una delicata sinfonia di toni gialli nell’immensità triste del piano, nelle figure dell’uomo e dei buoi, atomi perduti nello spazio. Un’altra tempera –Nel lago di Nemi, sotto villa Cesarini- in cui attraverso un incrocio fantastico di olmi e platani s’intravvede il cielo roseo sorridente sulle masse azzurrine dei monti, è un accordo finissimo di giallo, verde , rosso , azzurro. Nell’Aratura con i bufali è il roseo chiarore dei monti che anima il paesaggio illuminandolo di un sorriso infinito di pace e di gioia, mentre un lungo convoglio di bufali immani passa con andatura lenta grave come nell’eternità del tempo. Fini illustrazioni ha anche Ostia. Una tempera
che ritrae un piccolo cimitero settecentesco , il cui modesto ingresso è fiancheggiato da due colonne joniche, ornamento forse di qualche villa romana, è una visione di una semplicità e di una signorilità più che squisita, resa con magnifica nitidezza e rilievo, animata da un occhieggiare vivace di papaveri che squillano nella chiara luminosità diffusa sulla campagna. E’, come tante cose del Sartorio, una cosa fatta di niente, ma piena di freschezza e di aristocratica distinzione. Guardate il Pagliaio così morbido, tagliato finemente sull’orizzonte luminosissimo, perlaceo per lo sfolgorare del sole. Guardate lo studio di Tor di Quinto: una semplicissima linea di colline su cui si arrampicano curve le pecore, tutta soffusa di una tristezza e di una poesia infinita. Il Sartotio ha la virtù dei grandi artisti, quella di innalzare ad espressione di arte le forme più umili della vita e della natura, di essere sempre semplice ed originale insieme, di animare come per incantesimo perfino manifestazioni d’arte strascinate per tutte le mostre e tutte le botteghe. Vuol rendere le rovine dei
monumenti romani e non fa né la veduta, né la cartolina illustrata. Le colonne superstiti del Teatro di Ostia sembrano membra sparse, ma ancora viventi, di un organismo già vibrante e pare che anelino all’alto agili e fulgide; le rovine delle Terme antoniniane , quadro di fattura finissima, sembrano penetrare in ogni pietra, in ogni linea di una vita profonda e anche gli acquedotti hanno una grandiosità altera, solenne di voci remote che li rende una vera e grande evocazione di vita fuggente nei secoli. Le paludi e il Litorale pontino sono evocati in alcuni quadretti che sono i migliori della serie, specie quello rappresentante un armento di bufali che attraversa un ponte di pietra, il cui riflesso rossastro anima l’acqua appena increspata e, più ancora, quel lembo di litorale , vero capolavoro, in cui è reso possentemente l’infinito del mare e quel senso di timoroso stupore, di tristezza, di annichilimento che esso produce e che la tenue vita delle pecore beventi intensifica. Delle illustrazioni di Tivoli è assai fine quella che ritrae una cascata, ora scomparsa, scendere rumorosa e fresca tra rigogliose siepi verdi, e le due rive dell’Aniene , eleganti nella loro pace un po’ triste, fresche di ombre animatrici. Di Castel Fusano si
vede lo Stagno del Levante , immobile, triste, armonia di toni verdi, e il viale del coniglio, grandioso, in cui le masse brune dei pini ondeggianti staccano sopra il cielo diafano che appare a tratti tra esilità dei rami. La pineta di Sant’Anastasia è resa in due aspetti diversissimi- una volta oasi perduta in una desolazione immensa, affondata in un orizzonte torbido, chiuso da una monotona linea di monti- un’altra come parco signorile racchiudente una casetta candidissima: una visione gaia, fresca, aristocratica. Molti altri quadri ritraggono svariati aspetti della Campagna Romana. La strada attraverso la selva laurentina, oltre a rivelare una straordinaria abilità tecnica , è altamente suggestiva per lo sfondo misterioso, per la immobilità quasi esanime degli alberi e delle erbe che sembrano forme di una vita lontana. Di morbidezza squisita e finissima di chiaroscuro è la Raccolta del fieno. Più fine e possente il Temporale sulla via Cassia bianca di polvere, su cui rotolano con grave incedere carri tirati da bufali. L’appesantimento dell’aria , l’attenuazione dei colori pel filtrare lieve del sole, l’aspettazione misteriosa e raccolta che si diffonde sugli
uomini e sulle cose insieme a una tristezza profonda fanno apparire imminente l’abbattersi della bufera. L’Aratura di settembre in una sterminata e desolata campagna chiusa da monti assume una grandiosità sovrannaturale come se fosse una funzione sacra. Assai delicata è la Pastorale, pervasa di una tristezza elegiaca che si effonde non solo dal volto accasciato del suonatore gonfio e lacero, ma anche da quel rudero-voce d’altri tempi- staccante sul piano erboso e dalla squallida distesa interminata avvolta in una luminosità diffusa. Epica è la Sera nella Campagna Romana per il rossore tragico che avvolge come di un velo di nebbia il desolato piano erboso, le pecore strette l’una all’altra, timidamente. Certi grandi quadri hanno raggiunto una vita straordinaria, riprodotti in piccole dimensioni. Così quello già a Venezia in cui si vedono le pecore disposte a semicerchio come per un misterioso rito sotto il tenue chiarore roseo dell’estremo crepuscolo, mentre la luna rosseggia pallida e incerta dietro i vapori : pare che un silenzio argentino circonfonda ogni cosa ; pare che un infinito senso di poesia da ogni cosa emani. Così da Tonnara , esposta a
Milano nel 1906, che appare più intensa nell’azione, più armonica nella costruzione , più accordata nel colore. La pittura , con questi lavori, il Sartorio ha superbamente rappresentato e descritto la Campagna Romana.
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
Biografia di Giulio Aristide Sartorio.
Allievo prima del padre e poi dell’Accademia di San Luca fece i suoi primi passi all’insegna del fortunismo alla moda con quadi in costume settecentesco o comunque contrassegnati dalla pennellata virtuoso e dalla tematica facilmente leggibile. Nel 1883 inviò all’Esposizione di Belle Arti di Roma Dum Romae consulitur morbus imperat ovvero Malaria (opera dispersa), potente dipinto neo caravaggesco di denuncia sociale. Nel 1889 vinse la medaglia d’oro a Parigi con I figli di Caino e si avvicinò a Francesco paolo Michetti, da cui derivò l’amore per il pastello e per il paesaggio. Contemporaneamente alla frequentazione di In Arte Libertas realizza il trittico Le Vergini Savie e Le Vergini Folli per il conte Gegè Primoli, opera intrisa di umori neo bizantini. Un passo successivo fu il dittico Diana d’Efeso e gli Schiavi e La Gorgone e gli Eroi – vera e propria summa della sua stagione simbolista e delle sue riflessioni sull’arte – opera che alla Biennale di Venezia del 1899 ottenne l’acquisto statale per la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Tra il 1908 e il 1912
realizzò l’intero fregio per la nuova aula del Parlamento mettendo a punto un nuovo linguaggio per la decorazione ambientale dove si coniugava il classicismo michelangiolesco con la propria sigla inconfondibile. Allo stesso periodo risale la partecipazione al gruppo dei XXV della Campagna Romana, con il quale perlustrò tutti gli amati dintorni di Roma riportandone i segni distintivi in procinto di essere cambiati per sempre dal progresso. Nel 1915 partì volontario per la guerra che documentò con una serie di lavori di straordinaria modernità caratterizzati da tagli fotografici arditi e da contrasti cromatici d’effetto. Negli anni ’20 compì una serie di viaggi in Oriente e Sud America grazie ai quali realizzò una serie straordinaria di opere contraddistinte dall’immediatezza del reportage dal vivo. L’ultimo periodo si dedicò a ritrarre la famiglia Fregene mettendo a punto un’innovativa pittura di luce post impressionista di straordinaria modernità. Morì nel 1932 a Roma durante la progettazione della decorazione del Duomo di Messina. Biografia: Nasce a Roma l’11 febbraio 1860, il nonno Girolamo e il padre Raffaele, entrambi scultori, lo avviano
all’arte. Frequenta i corsi di Francesco Podesti all’Istituto di Belle Arti. 1877-79 Si mantiene realizzando soggetti alla moda neo settecenteschi e neo pompeiani sulla scia del successo di Mariano Fortuny. Si reca a Napoli dove conosce Domenico Morelli. 1883 Partecipa all’Esposizione internazionale di Roma con Malaria (Dum Romae consulitur morbus imperat). 1884 Visita a Parigi il Salon e attraverso Vittorio Corcos viene in contatto con l’ambiente degli artisti italiani ivi operanti. 1885 Lavora come illustratore per la “Cronaca Bizantina” di Angelo Sommaruga, che lo presenta a Gabriele D’Annunzio. 1886 Stringe amicizia con Francesco Paolo Michetti ed Edoardo Scarfoglio e viene in contatto con il gruppo di artisti di “In Arte Libertas” legati a Nino Costa. Prende parte all’editio picta dell’Isaotta Guttadauro di D’Annunzio. 1889 Ottiene la medaglia d’oro all’Esposizione universale di Parigi con I figli di Caino (1887-89). Durante l’estate soggiorna con D’Annunzio a Francavilla ospite di Michetti, che lo introduce alla tecnica del pastello e alla pittura di paesaggio. 1890 Frequenta il salotto del conte Giuseppe Primoli, che gli commissiona
il trittico Vergini savie e vergini folli (Roma, Galleria comunale d’arte moderna). Espone per la prima volta con il gruppo “In Arte Libertas”. 1893 Si reca in Inghilterra per studiare le opere dei preraffaelliti e conosce a Londra William Morris. In una tappa a Parigi visita nuovamente il Salon. Invia da Parigi e Londra articoli sull’arte europea alla “Nuova Rassegna”. 1895 Espone alla I Biennale di Venezia, cui sarà presente con assiduità. 1896-99 Insegna pittura alla Scuola d’arte di Weimar su invito del granduca Carlo Alessandro di Sassonia. Si accosta al simbolismo tedesco e compie studi di animali nel giardino zoologico di Weimar. 1899 La III Biennale di Venezia gli dedica una sala personale, in cui espone il dittico Diana d’Efeso e Gorgone e gli eroi (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna). 1901 È nominato membro dell’Accademia di San Luca. Sposa Giulia Bonn. 1903 Nasce la figlia Angiola. 1904 È tra i fondatori del gruppo dei XXV della Campagna romana. 1905 Giulia Bonn rientra a Francoforte portando con sé la figlia. Pubblica il romanzo Roma Carrus Navalis – favola contemporanea. 1906 Partecipa all’Esposizione di
Milano per l’apertura del traforo del Sempione con il Fregio del Lazio, poi suddiviso in diversi pannelli. 1907 Decora il salone centrale della Biennale di Venezia con il ciclo allegorico La Luce, Le Tenebre, L’Amore e la Morte (Venezia, Galleria d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro). 1908-12 Realizza il fregio decorativo della nuova aula del Parlamento italiano progettata da Ernesto Basile. 1914 Espone all’XI Biennale di Venezia. 1914-15 Allo scoppio della prima guerra mondiale si arruola come volontario con il grado di sottotenente di cavalleria. Ferito e catturato a Lucino sull’Isonzo è trattenuto nel campo di prigionia di Mauthausen, da cui viene liberato diversi mesi dopo grazie all’intercessione di papa Benedetto XV. Torna al fronte dove dipinge scene di guerra. 1917 Pubblica Tre novelle a perdita. 1919 Sposa l’attrice Marga Sevilla, con cui vive nella villa Horti Galateae. Dirige la moglie nel film Il mistero di Galatea. Si reca in Egitto per realizzare il ritratto di re Fuad I e visita Palestina, Libano e Siria. Il 14 settembre nasce la figlia Lidia. 1919-21 Collabora la casa di produzione cinematografica Triumphalis, firmando il soggetto di Clemente
VII e il sacco di Roma e dirigendo il San Giorgio. 1921 Espone alla Galleria Pesaro. 1922 Pubblica il poema illustrato Sibilla e lo scritto teorico Flores et Humus. 1923 Il 23 novembre nasce il figlio Lucio. 1924 Effettua il periplo dell’America Latina a bordo della Regia Nave Italia. 1929 Si imbarca sulla nave militare italiana Caio Duilio per una crociera nel Mediterraneo. 1930-32 Lavora alla decorazione musiva del nuovo Duomo di Messina. 1932 Muore il 2 ottobre e viene sepolto nella chiesa di San Sebastiano fuori le mura.
Articolo e ricerche a cura di Franco Leggeri-le foto in B/N sono originali del 1906 –
Amy Lowell-Poetessa statunitense (Brooklin, Massachusetts, 1874 – ivi 1925), lontana parente di James Russell, la Lowell esordì con una raccolta di versi tradizionali, A dome of many-coloured glass (1912); non avendo ottenuto il successo che si attendeva, lasciò l’America per Londra, dove entrò a far parte attiva del movimento imagista creato da E. Pound, riuscendo in breve a esautorarlo per divenirne la più accanita propagandista. Tornata negli Stati Uniti, pubblicò tre antologie: Some imagist poets (1915, 1916, 1917). Accanto a quello dell’imagismo, fu per lei importante l’influsso della poesia francese, sensibile nelle raccolte Sword blades and poppy seed (1914); Men, women and ghosts (1916); East wind (1926); Selected poems (1928). Fu appassionata traduttrice di poesia cinese. Tra i saggi critici: Six French poets (1915), Tendencies in modern American poetry (1917), Life of John Keats (1925), Poetry and poets (post., 1930).
“La lettera”, poesia d’amore di Amy Lowell
Piccole contorte parole, scarabocchiate su tutto il foglio
Come zampe di mosche infangate,
Che cosa potete dire della fiammante luna
Trapuntata dalle foglie della quercia?
O della mia finestra senza tende,
E del nudo pavimento al chiaro di luna?
Le vostre sciocche astuzie e i vostri intrighi
Non hanno nulla della florescenza del biancospino.
E questa carta è fragile, muta, liscia, vergine di dolcezza
Sotto la mia mano.
Sono stanca, amore mio, di riscaldare il mio cuore
Contro il tuo volere;
Di spremerlo in macchioline d’inchiostro,
E di spedirlo per posta.
Ed io qui sola, brucio, sotto il fuoco
Della grande luna.
. da Dreams in War Time:
I
I wandered through a house of many rooms.
It grew darker and darker,
until, at last, I could only find my way
by passing my fingers along the wall.
Suddenly my hand shot through an open window,
and the thorn of a rose I could not see
pricked it so sharply
that I cried aloud.
Vagavo in una casa di molte stanze.
Il buio s’infittiva, ed alla fine
riuscivo ad orientarmi a malapena
tastando la parete con le dita.
Ma d’un tratto incontrava la mia mano
una finestra aperta,
ed ecco che la spina di una rosa
invisibile acuta mi feriva
ed io piangevo forte.
II
I dug a grave under an oak-tree.
With infinite care, I stamped my spade
into the heavy grass.
The sod sucked it,
and I drew it out with effort,
watching the steel run liquid in the moonlight
as it came clear.
I stooped, and dug, and never turned,
for behind me,
on the dried leaves,
my own face lay like a white pebble,
waiting.
Sotto una quercia scavavo una fossa.
Nell’erba pregna di fango affondavo
con cura infinita la vanga,
la risucchiava la zolla,
a fatica di nuovo la estraevo,
osservando il metallo liquefarsi,
riemergere alla luce al chiar di luna.
Scavavo china senza mai voltarmi.
Alle mie spalle, sulle foglie secche,
il mio viso giaceva – un sasso bianco
in attesa.
*
da Picture of the Floating World:
OMBRE CHINOISE
Red foxgloves against a yellow wall stricked with plum-coloured shadows;
a lady with a blue and red sunshade;
the slow dash of wawes upon a parapet.
That is all.
Non-existent – immortal –
as solid as the centre of a ring of fine gold.
Digitali purpuree contro una gialla parete striata d’ombre color prugna;
una dama con un parasole rosso e blu.
Lento frangersi d’onde a un parapetto.
E questo è tutto.
Inesistente – immortale –
solido come il cuore di un anello d’oro fino.
*
The Taxi
When I go away from you
The world beats dead
Like a slackened drum.
I call out for you against the jutted stars
And shout into the ridges of the wind.
Streets coming fast,
One after the other,
Wedge you away from me,
And the lamps of the city prick my eyes
So that I can no longer see your face.
Why should I leave you,
To wound myself upon the sharp edges of the night?
E quando me ne vado via da te
il mondo batte sordo
come tamburo il cui suono si ottunde.
Lancio il tuo nome contro stelle aguzze
fende il mio grido i marosi del vento.
Rapide si rincorrono le strade
e l’una l’altra incalza, ti respinge
via lontano da me. Tutte le luci
della città trafiggono i miei occhi
e il tuo volto scompare alla mia vista.
Perché lasciarti, solo per ferirmi
sulle lame affilate della notte?
Amy Lowell
*la traduzione delle poesie è di Silvio Raffo
Poeti cinesi nella versione di Amy Lowell
L’Imperatore ritorna dopo un viaggio a Sud
Avanza pari a un santo
il Supremo.
Nel suo carro laccato
intimorisce i cento esseri.
Nascosto dal purpureo fumo dell’incenso
un ombrello rotondo
protegge il Figlio del Cielo.
Squisita la bellezza
delle spade a doppio taglio
dei carri, delle scarpe
dei servi, ricamate con le costellazioni.
Davanti a lui portano i ventagli del Sole e della Luna:
lo precedono stuoli di lance affilate
i barbagli di molte bandiere.
Il vento di Primavera proclama il ritorno dell’Imperatore
che unisce le diecimila province
in un’armonia accordata da Pace e Certezza:
i vecchi sono satolli di felicità e lo è il popolo,
la mia ode si aggiunge al canto
della perfetta quiete.
Wen Cheng-Ming, XVI secolo
*
Canto del salice spezzato
Quando montò a cavallo, non prese un frustino di cuoio:
spezzò un ramo di salice.
Una volta smontato, iniziò a suonare il flauto:
con il dolore feroce della partenza voleva distruggere il viaggiatore.
Dinastia Lliang (VI secolo)
*
Lungo il lago, in primavera
La meditazione solitaria continua senza interruzione.
Scorre – va alla deriva, invero – e ritorna in sé:
la barca si muove verso il vento del crepuscolo.
Entriamo all’imboccatura del lago da un affluente fiorito
mentre la notte avvolge la Valle Occidentale.
Dai denti della collina, la Costellazione del Sud:
la nebbia cala sulle anse del fiume, si divarica dolcemente.
Alle mie spalle, la luna cala, tra gli alberi.
Il mondo non è che un quadrato d’acqua in perenne
movimento: acqua che si coagula e dilaga.
Sono felice di essere un vecchio con la canna da pesca.
Chi-wu Ch’ien
*
Scritto in esilio
Il sole sorge mentre dormo. Non è ancora alto
e sento il rigoglioso rigogolo sopra il tetto.
D’improvviso, penso al Parco Imperiale, all’alba:
i richiami degli uccelli assisi sui millenari alberi.
Penso a quando ero funzionario del tribunale
al meticoloso lavoro nella Sala delle Udienze.
In piena primavera, nei rari momenti di svago,
guardavo l’erba e le cose che crescono:
sentivo questo stesso rumore dall’alba al tramonto.
Dove mi trovo ora?
Nella solitaria città di Hsün Yang.
Il canto degli uccelli è lo stesso
ma sono mutate le mie emozioni.
Se solo potessi dimenticare di essere
agli estremi confini della terra:
ma è poi così diversa la vita a palazzo?
Bai Juyi
*
Un ufficiale presso il villaggio dal fossato di pietra
Ho cercato alloggio per la notte: tramontava
presso il villaggio dal fossato di pietra.
Gli agenti di reclutamento catturano le persone di notte.
Un venerabile vecchio scavalcò il muro e fuggì.
Una vecchia uscì dalla porta.
Quanta rabbia nelle grida degli ufficiali!
Quanta amarezza nel pianto della vecchia!
Ho sentito le parole della donna
che perorava la sua causa davanti a loro:
“I miei tre figli sono alla frontiera di Yeh Ch’eng.
Da uno di loro ho ricevuto una lettera:
gli altri due sono morti in battaglia.
Chi sopravvive ha un orizzonte breve:
chi muore non tornerà mai più.
In casa non c’è più alcun adulto:
mio nipote è ancora al seno.
La madre di mio nipote è fuggita.
Sono vecchia, molto vecchia, le forze
svaniscono, eppure ti prego, segui gli ufficiali
quando torneranno questa notte.
Accetterò con entusiasmo l’incarico di servire Ho Yang
sono ancora in grado di preparare un pasto”.
La tenebra soffocava tra le lacrime.
All’alba, ripresi il mio cammino:
restò sola la venerabile vecchia.
Tu Fu
*
Guardando la luna dopo la pioggia
Le nuvole sono gravi e gridano:
ancora una volta vedo l’orizzonte
oltre i quattro lati della città.
Apri la porta. La luna si alza, cammina
come un rospo. Il suo chiarore è una brina
che si estende per diecimila li.
Il fiume sembra una catena piatta e lucente.
La luna, in cima, è un occhio bianco:
mostra il cuore abbagliante del mare.
Lo adoro, così, rotondo come un ventaglio
e ne canto fino all’alba.
Li Po
*
Proclamate la gioia di quest’ora dice l’Imperatore Ling
Il vento freddo si impenna. Il sole brilla lungo il vasto canale.
Il loto è rosa: si china alla luce, si spalanca la sera.
La meraviglia è in eccesso, un solo giorno non può contenerla.
Limpidi suoni d’arco, note fluide sulle fluttuanti rive: cantiamo la canzone
dell’amore perenne. Mille anni? Diecimila? Nulla può pareggiare questa gioia.
*
Calma serale
Il sole è tramontato.
La sabbia brilla.
Il cielo ci colpisce con i suoi bagliori.
Le onde tremano
e l’acqua fa chiacchierare le pietre.
Sul bianco sentiero della luna
una barca va alla deriva:
cerca l’ingresso del porto
dopo molte svolte e sventure.
Probabilmente, la neve
è caduta sopra i pendii
dei tenebrosi colli.
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