autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza.
A quel bambino mi rivolgo
C’è sempre un sottinteso
persino nella frasi più innocenti.
Le maestre correggono i compiti
occupandosi solo di sintassi
e ortografia. Il compito assegnato
è diventare un buon cristiano
che non corre lungo i corridoi.
Tutte le presunte certezze impartite
segnate bianco su nero alla lavagna
potremmo ora definirle ipotesi
non comprovate. E’ troppo tardi ormai
per alzare la mano.
Non resta che conformarci agli esempi,
sbirciare nel cuore del compagno di banco,
copiarne le risposte, sottrarsi alle domande,
controllare il dizionario alla ricerca
di un sinonimo accettabile che consenta
di declinare i verbi all’infinito.
Fuori dalle vetrate potrebbe esserci il mare.
C’è invece un muro bianco
decorato dalle ombre dei platani.
Luce su luce che danza a braccia nude
strette alle cose felici, alla frutta
poggiata sul tavolo della mensa
prima che la buccia avvizzisca
e risuoni la campanella.
A quel bambino mi rivolgo,
alle sue vastissime estati
attraversate correndo, trattenendo
il respiro, guardando dal basso,
sulle punte dei piedi.
A quel bambino racconto la parte
migliore dei ricordi, convinto che basti
voltare le spalle a ciò che non voglio
per decretarne l’inesistenza.
Non ignoro quanto siano tenaci
gli indesiderati, quali e quante
le forze scese in campo a fronteggiarsi
per lasciare una traccia o cancellarla.
In buona fede l’obiettivo è stato
cercare un luogo dove piantare
la mia presenza, dove verranno
a trovarmi per confermare la mancanza.
Come una sorta di nostalgia,
un’assenza dolce che resta,
che promette di mutarsi in ricordo.
A lui mi confesso quando scrivo,
al bimbo innocente che sono stato.
Lui il mio giudice,
il mio interlocutore.
Il mio accusatore.
Il gelsomino
Nel cortile lievita una parete
verde di gelsomino. Piantata
la primavera in cui di comune accordo
decidemmo di sfidare la sorte.
Ospitò in estate un nido di merli,
incauti. I gatti di casa
non gli lasciarono scampo.
Nella serena inquietudine propria
sconfina, d’estate, oltre il muro di cinta
per contrabbandare la gloria immodesta
dei suoi bianchissimi fiori.
La bellezza richiede la cura,
i rami vanno sfrondati, addomesticati,
che non soffochino la parabola
del televisore, non provochino
le lamentele, legittime, dei vicini
per l’incruenta invasione dei loro balconi.
A volte penso dovrei lasciare fare.
Vederla conquistare la via
ricoprire le auto in sosta, i cancelli chiusi,
sradicare i pali confitti nel cemento,
Vederla creare precari alloggi
per nuovi nidi di paglia,
dichiarare a squarciagola la rinascita
di un’antica sterminata nazione.
Elegia
All’ora di cena cominciavamo a bere.
Oltre la cornice della finestra
tutto il disordine della stanza
si manteneva a malapena in equilibrio
sopra i rami spogli del pino marittimo in giardino.
Con i silenzi edificammo muri
su cui incidere a punta di coltello
il poema delle nostre incomprensioni.
Aspettavamo come ombrelli
lasciati a sgocciolare
davanti alle porte d’ingresso
dei bar sulla spiaggia.
La reciproca fiducia inaridiva
come il pane avanzato a tavola,
persino l’attesa dell’alba sul mare
perdeva ogni senso del sacro.
Per trovare il coraggio di scriverci
attendemmo si consumasse la forza
della separazione, scemasse la magnitudine
dei nostri corpi che regolavano maree,
desideri, orologi da parete.
Pollice verde
1.
L’orto dietro casa è un quadrato
di terra fertile tre metri per tre.
Ai primi di Aprile ho piantato
parole comuni nell’angolo al sole
tra i pomodori, la lattuga e l’indignazione.
Sono germogliate quattro poesie
incivili, piccole piantine fragili.
Se annaffiate con cura, mi hanno detto,
daranno frutti all’inizio dell’estate.
2.
Strappo le erbacce con cura
per lasciare un silenzio pulito,
la misura a spanne dell’accudire,
lo sguardo quotidiano che salva.
3.
Ogni piantina è differente dall’altra.
Ogni frutto ha un gusto differente:
il seme di ogni parola
matura a suo modo.
Una, nata da un racconto di mare,
ha un gusto salato, una mi ha portato
le lacrime agli occhi, un’altra al suono
delle campane nei giorni di festa.
La quarta non è commestibile
ma il suo fiore è uno squillo,
è il più profumato.
Seduta numero 12 (settembre 2021)
È una questione di percentuali,
dottore, e di grumi di memorie
insolubili. Equilibri incerti
tra contrappesi, puntelli e zeppe
per non fare crollare lìimpalcatura.
Più parliamo del passato, dottore,
più lo riportiamo in vita.
Gli scheletri riesumati rischiano
di alterare la statica già precaria.
Se ogni sette anni,
secondo quanto la biologia suppone,
rinnoviamo ogni nostra particella
questi ricordi appartengono ora
ad un corpo differente dal mio.
Il mio corpo oggi è composto
per il 60 per cento di acqua,
10 per cento di rassegnazione,
un 6 per cento di irrisolte concessioni,
un 3 per cento di misantropia.
Qualche punto percentuale di compassione
e stupore ancora è presente
perlomeno se diamo credito
al referto degli esami.
Il resto è materia di analisi
biologica. Gli esami del sangue
evidenziano un eccesso di glicemia.
Eppure io, Dottore, non mangio dolci.
Sarò dolce di mio.
Giuseppe Carlo Airaghi
Breve autobiografia di Giuseppe Carlo Airaghi-Sono nato e vivo in provincia di Milano.Una moglie, paziente. Due figli recentemente usciti incolumi dall’adolescenza. Sul comodino mi ostino ad accumulare libri che tento di leggere contemporaneamente senza riuscire a terminarne uno. Malgrado abbia iniziato ad accumulare testi da riporre nei cassetti fin da quando ero ragazzo ho soltanto da poco trovato il coraggio è la sfacciataggine di condividerli.Ho pubblicato le raccolte di poesia “Quello che ancora restava da dire” (Fara Editore,2020), “La somma imperfetta delle parti” (Ladolfi Editore 2021), il poemetto “Monologodell’angelo caduto”(Fara Editore 2022), “Ora che tutto mi appare più chiaro” (PuntoaCapo Editrice 2023) e il romanzo “I sorrisi fraintesi dei ballerini” (Fara Editore 2021).
Giuseppe LANZA-All’albergo del sole- Solaria Editore-Firenze -1932
Articolo scritto da Sergio SOLMI per la Rivista PEGASO diretta da Ugo OJETTI
Giuseppe Lanza(Valguarnera Caropepe, 1º gennaio 1900 – Milano, 11 settembre 1988) è stato uno scrittore, drammaturgo e critico teatrale italiano, vincitore del Premio Bagutta nel 1956 per Rosso sul lago.
Sergio SOLMI – Nacque a Rieti il 16 dicembre 1899 da Edmondo e da Clelia Lolli, modenesi.Seguì gli spostamenti del padre, professore di storia e filosofia nei licei, a Mantova (dove vide la luce la sorella Olga), a Livorno e a Torino: lì concluse il ciclo degli studi elementari iniziato nel 1905-06 a Livorno, e frequentò le scuole medie. Il 29 luglio 1912, Edmondo Solmi morì di tifo a Santa Liberata, presso Spilamberto (Modena), durante le vacanze estive.
Si interrompeva prematuramente in quel punto, a soli trentasette anni, una più che promettente parabola intellettuale: libero docente di storia della filosofia e incaricato dell’insegnamento a Torino dal 1908 al 1910, Edmondo Solmi era stato chiamato nel 1910 a Pavia come professore straordinario, e i suoi eccellenti studi su Leonardo da Vinci avevano suscitato l’ammirazione di Sigmund Freud.
-Giuseppe Lanza All’albergo del Sole-Editore SOLARIA 1932--Giuseppe Lanza All’albergo del Sole-Editore SOLARIA 1932--Giuseppe Lanza All’albergo del Sole-Editore SOLARIA 1932--Giuseppe Lanza All’albergo del Sole-Editore SOLARIA 1932-
Giuseppe Lanza (Valguarnera Caropepe, 1º gennaio 1900 – Milano, 11 settembre 1988) è stato uno scrittore, drammaturgo e critico teatrale italiano, vincitore del Premio Bagutta nel 1956 per Rosso sul lago.
Sergio SOLMI – Nacque a Rieti il 16 dicembre 1899 da Edmondo e da Clelia Lolli, modenesi.Seguì gli spostamenti del padre, professore di storia e filosofia nei licei, a Mantova (dove vide la luce la sorella Olga), a Livorno e a Torino: lì concluse il ciclo degli studi elementari iniziato nel 1905-06 a Livorno, e frequentò le scuole medie. Il 29 luglio 1912, Edmondo Solmi morì di tifo a Santa Liberata, presso Spilamberto (Modena), durante le vacanze estive.
Si interrompeva prematuramente in quel punto, a soli trentasette anni, una più che promettente parabola intellettuale: libero docente di storia della filosofia e incaricato dell’insegnamento a Torino dal 1908 al 1910, Edmondo Solmi era stato chiamato nel 1910 a Pavia come professore straordinario, e i suoi eccellenti studi su Leonardo da Vinci avevano suscitato l’ammirazione di Sigmund Freud.
Iscritto alla sezione ‘moderna’ del liceo d’Azeglio, Sergio Solmi affidò alla rivistina giovanile Cronache latine, tra il 15 gennaio e l’aprile-maggio 1917, i suoi primi scritti, sintomaticamente divaricati (come sarà l’intero corso della sua esperienza) tra la critica letteraria (brevi saggi su Guido Gozzano e Arthur Rimbaud) e la scrittura d’invenzione in versi e in prosa. Nel medesimo anno fu chiamato alle armi con la classe 1899: nella Scuola di applicazione di fanteria di Parma incontrò Eugenio Montale, Francesco Meriano, Marcello Manni, Renato Tassinari, Ercole Leone Crovella, Cesare Cerati (Parma 1917 si intitolerà il bellissimo mémoire pubblicato in La Fiera letteraria il 12 luglio 1953); combatté sul Monfenera e sul Montello, fu ferito da una scheggia di granata e ricoverato nell’ospedale militare di Castelfranco Veneto, partecipò all’avanzata finale conclusa il 4 novembre 1918 (all’esperienza bellica dedicherà, in La Fiera letteraria dell’11 novembre 1928, i ricordi autobiografici dal titolo Giorni di guerra).
Tornato alla vita civile, s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Torino, fondò con Giacomo Debenedetti, Mario Gromo e Emanuele F. Sacerdote la rivista letteraria Primo tempo (15 maggio 1922-dicembre 1923), divenne amico di Piero Gobetti, alla cui lezione rimarrà fedele negli anni, conseguì la laurea in giurisprudenza con una tesi di diritto romano, iniziò l’esercizio della professione legale a Milano nel 1923 e sposò, il 20 novembre 1924, Dora Martinet, figlia di un avvocato socialista, incontrata a Pré St. Didier nell’estate del 1921, dalla quale ebbe i figli Renato e Raffaella. Il 14 gennaio 1926 fu assunto nell’ufficio legale della Banca commerciale italiana, inaugurando un lunghissimo rapporto di lavoro inscindibile dalla profonda amicizia stabilita con il protagonista assoluto della storia di quell’istituto di credito, Raffaele Mattioli.
Collaboratore delle principali riviste letterarie italiane (Il Quindicinale, Il Baretti, L’Italiano, Il Convegno, Le Opere e i Giorni, La Fiera letteraria, Solaria, L’Italia letteraria, Pègaso, Leonardo, La Cultura, Fronte, L’Illustrazione italiana, Circoli, Scuola e cultura, Pan, Emporium, Letteratura, Prospettive, Corrente, Primato) e di alcuni quotidiani (l’Unità, dove conobbe Antonio Gramsci, Giornale di Genova, L’Ambrosiano), Solmi si rivelò subito un interprete eccezionalmente acuto e consentaneo della contemporanea letteratura italiana e francese (sua è la prima originale messa a fuoco dei fondamentali caratteri tematici e formali della poesia di Montale), muovendosi nel solco nel magistero crociano ma senza rinunciare a stabilire una elettiva sintonia con alcuni tra i più eminenti hommes de lettres francesi (Charles Du Bos, Paul Valéry, Alain), particolarmente attenti ai risvolti empirici, ‘tecnici’ dell’opera d’arte.
Il pensiero di Alain (1930) è la prima sistemazione teorica del ‘metodo’ di Solmi per l’interposta persona del filosofo Émile-Auguste Chartier; Fine di stagione (1933) il suo libro di esordio en poète su una linea non lontana dal modello montaliano, ma altrettanto aperta all’ascolto di altre voci del Novecento italiano (di Vincenzo Cardarelli principalmente, mentre Emilio Cecchi fu uno tra i capitali modelli del suo esercizio di prosatore).
Di singolare rilievo è il ruolo assolto da Solmi all’interno della redazione del periodico La Cultura, fondato da Cesare De Lollis: ne diventò condirettore nel 1933, in una fase destinata ad accentuarne l’incompatibilità con la politica culturale del fascismo, che porrà fine alle pubblicazioni della rivista nel maggio del 1935 (in Strumenti critici del settembre 2009 è apparso, per la cura di Guido Lucchini, un inedito Promemoria su “La Cultura”, steso da Solmi su invito di Maurizio Mattioli).
Mentre i saggi sulla letteratura italiana del Novecento sarebbero stati accolti in volume molto più tardi, per sollecitazione di Giacomo Debenedetti (Scrittori negli anni è del 1963), le pagine francesi di Solmi trovarono un primo ordinamento nel 1942 in La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese, proprio in coincidenza con la fase liminare della sua clandestina militanza politica nelle file del Partito d’azione. Per la sua partecipazione alla Resistenza a Milano venne arrestato il 2 gennaio 1945: riuscì a fuggire dal carcere ma fu nuovamente catturato il 6 aprile. Di quelle straordinarie vicissitudini è traccia nella sezione Dal quaderno di Mario Rossetti delle sue Poesie (Milano 1950).
Condirettore, insieme con Roberto Nonveiller, di Lettere ed Arti nel 1946, direttore di La Rassegna d’Italia dal 1949, nel secondo dopoguerra Solmi orientò il proprio assiduo, discretissimo lavoro di poeta, prosatore, traduttore, critico della letteratura e delle arti figurative all’insegna di una radicale libertà metodologica, sostenuta da una inquieta, mercuriale curiosità per tutte le forme espressive, fulmineamente teorizzata, il 28 novembre 1967, in uno degli aforismi del suo Quadernetto giallo: «Mantenere sempre il compasso alla sua massima apertura, anche a costo di slogarsi le gambe della mente» (Opere, I, Poesie, meditazioni e ricordi, 2, 1984, p. 168). Non a caso il magistrale lettore di Montaigne e Leopardi, di Rimbaud e di Montale era stato, fin dal 1959, anno di pubblicazione della memorabile antologia Le meraviglie del possibile, allestita con Carlo Fruttero, uno degli scopritori italiani della science fiction; nella medesima orbita si sarebbe inscritto il complice interesse, condiviso con Franco Fortini e Italo Calvino, per Raymond Queneau, del quale avrebbe tradotto Piccola cosmogonia portatile. Il 24 luglio 1968 divenne socio corrispondente della classe di scienze morali, storiche e filologiche dell’Accademia nazionale dei Lincei.
Nell’ultima fase della sua esistenza, scandita dalla pubblicazione delle Meditazioni sullo scorpione (1972), delle Poesie complete (1974) e di una serie di mirabili raccolte di saggi su Leopardi (1969 e 1975), sul fantastico (1971 e 1978) e ancora sulla letteratura francese (1976), Solmi non venne meno all’abito di strenuo rigore e di leggendaria riservatezza che ne aveva costituito l’inconfondibile stigma, e la sua impareggiabile, generosa socievolezza ne convertì naturalmente il profilo di grande borghese in un punto di riferimento della vita culturale e civile a Milano, tanto più importante quanto meno incline all’esibizione di sé.
Morì a Milano il 7 ottobre 1981, a meno di un mese dalla scomparsa di Eugenio Montale.
Opere. In vita Solmi ha dato alle stampe i suoi libri in questa sequenza: Il pensiero di Alain (Milano 1930; Milano 1945; Pisa 1976); Fine di stagione (Lanciano-Milano 1933); La salute di Montaigne e altri scritti di letteratura francese (Firenze 1942; Milano-Napoli 1952); Poesie (Milano 1950); Levania e altre poesie, con una nota di V. Sereni (Milano 1956); Scrittori negli anni. Saggi e note sulla letteratura italiana del ’900 (Milano 1963, premio Viareggio per la saggistica); Versioni poetiche da contemporanei (Milano 1963); Dal balcone (Milano 1968); Scritti leopardiani (Milano 1969; poi, con il titolo Studi e nuovi studi leopardiani, Milano-Napoli 1975); Quaderno di traduzioni, I-II (Torino 1969-1977); Della favola, del viaggio e di altre cose. Saggi sul fantastico (Milano-Napoli 1971; poi, con il titolo Saggi sul fantastico. Dall’antichità alle prospettive sul futuro, Torino 1978); Meditazioni sullo scorpione e altre prose (Milano 1972, 1979 e 2016, premio Bagutta 1973); Poesie complete (Milano 1974); Saggio su Rimbaud (Torino 1974); La luna di Laforgue e altri scritti di letteratura francese (Milano 1976, premio Viareggio per la saggistica); Poesie (1924-1972), a cura di L. Caretti (Milano 1978); Quadernetto di letture e ricordi, premessa di L. Caretti (Milano 1979).
Tra il 1983 e il 2011 la casa editrice Adelphi (Milano) ha pubblicato, per la cura di G. Pacchiano, l’intero corpus delle Opere: I, Poesie, meditazioni e ricordi, 1, Poesie e versioni poetiche (1983); 2, Meditazioni e ricordi (1984); II, Studi leopardiani. Note su autori classici italiani e stranieri (1987); III, La letteratura italiana contemporanea, 1, Scrittori negli anni (1992); 2, Scrittori, critici e pensatori del Novecento (1998); IV, Saggi di letteratura francese, 1, Il pensiero di Alain. La salute di Montaigne ed altri scritti (2005); 2, Saggio su Rimbaud. La luna di Laforgue ed altri scritti (2009); V, Letteratura e società. Saggi sul fantastico. La responsabilità della cultura. Scritti di argomento storico e politico (2000); VI, Scritti sull’arte. Discorso sulla pittura contemporanea. Saggi e note su artisti italiani e stranieri e altre pagine sparse, con una nota di A. Negri (2011).
Il lavoro di Solmi traduttore di poesia è attestato da Versioni poetiche da contemporanei e dal Quaderno di traduzioni, I-II; di Solmi è, inoltre, la versione italiana (seguita da Piccola guida alla Piccola cosmogonia di Italo Calvino) di Piccola cosmogonia portatile di Raymond Queneau (Torino 1982).
Si deve a Solmi la cura dei due tomi delle Opere di Giacomo Leopardi per la collezione La letteratura italiana. Storia e testi della Ricciardi (Milano-Napoli 1956 e, in collaborazione con la figlia Raffaella, 1966) e delle antologie Le meraviglie del possibile. Antologia della fantascienza (con C. Fruttero, Torino 1959) e Il giardino del tempo e altri racconti. Il terzo libro della fantascienza (Torino 1983).
Non esiste una raccolta neppure parziale delle lettere di Sergio Solmi, che i rari specimina sparsamente resi noti rendono vivamente desiderabile. Sono state edite, a cura di M. Baldini, introduzione di A. Dolfi, le Lettere a Sergio Solmi di Carlo Betocchi (Roma 2006).
Fonti e Bibl.: La Biblioteca e l’Archivio di Sergio Solmi sono presso la Fondazione Natalino Sapegno onlus a Morgex (Aosta). Una notevole testimonianza biografica e autobiografica ha redatto il figlio primogenito, Renato: Nota biografica e testimonianza personale, in Letteratura e società, cit., pp. 663-685 (poi, con il titolo Sergio Solmi. Una testimonianza personale, in Autobiografia documentaria. Scritti 1950-2004, Macerata 2007, pp. 775-792). Su Solmi e la Banca commerciale italiana è utile il saggio di G. Leori – G. Montanari, Le carte di Sergio Solmi, capo dell’Ufficio consulenza legale della Banca commerciale italiana (1942-1953), in Italia contemporanea, 2014, n. 274, pp. 159-174.
Una ricca serie di informazioni bibliografiche, alle quali si rinvia, offrono le monografie di F. D’Alessandro, Lo stile europeo di S. S. Tra critica e poesia, Milano 2005, di A. Giampietro, S. S. critico militante. Un itinerario nella letteratura italiana del Novecento, Bari 2012, e di G. Montanari – F. Pino, S. S. tra letteratura e banca, Milano 2016. A pp. 227-314 del suo libro Francesca D’Alessandro ha reso noto un prezioso quaderno, dal titolo Libri letti, che di Solmi registra le letture comprese tra il 1919 e il 1936 (ne esistono altri due, rispettivamente relativi agli anni 1936-60 e 1960-81).
Tra gli scritti e le testimonianze di carattere generale si vedano: Omaggio a S. S., a cura di L. Erba, in Stagione, 1956, n. 10, (interventi di L. Erba, V. Sereni, G. Caproni, L. Anceschi, M. Luzi, G. Bárberi Squarotti, M. Colesanti, M. Camilucci, E. Bartolini, U. Eco, N. Risi, G. Gramigna); E. Montale, S. S. Settant’anni. Uomo e poeta, in Corriere della Sera, 16 dicembre 1969 (poi, con il titolo S. S. uomo e poeta, in Id., Sulla poesia, a cura di G. Zampa, Milano 1976, pp. 342-344; con il titolo originario in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, II, Milano 1996, pp. 2932-2934); I. Calvino, S. lunare ma non troppo, in la Repubblica, 10 ottobre 1981 (poi, con il titolo In memoria di S. S., in Id., Saggi 1945-1955, a cura di M. Barenghi, Milano 1995, pp. 1253-1256); S. Ramat, S., S., in Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da V. Branca, III, Torino 1986, pp. 209-211. Sul poeta e prosatore d’invenzione: V. Sereni, postfazione a Levania e altre poesie, cit., pp. 25-43 (poi in Id., Letture preliminari, Padova 1974, pp. 49-63); P.P. Pasolini, Levania e altre poesie, in Il Punto della settimana, 5 gennaio 1957 (poi, con il titolo S.: evasione e impegno, in Id., Passione e ideologia (1948-1958), Milano 1960, pp. 450-452, e in Id., Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di W. Siti – S. De Laude, con un saggio di C. Segre, cronologia di N. Naldini, I, Milano 1999, pp. 1192-1195); A. Zanzotto, S. S. e “Levania”, in aut aut, 1957, n. 40, pp. 374-384, e Id., Le lune sognate nei versi di S., in Corriere della Sera del lunedì, 13 gennaio 1975 (poi, la seconda con il nuovo titolo Le “Poesie complete” di S. S., in Id., Fantasie di avvicinamento, Milano 1991, pp. 59-73 e 74-77); L. Caretti, Itinerario di S., in Strumenti critici, III (1969), 10, pp. 381-403 (poi in Id., Antichi e moderni. Studi di letteratura italiana, Torino 1976, pp. 427-452, e Introduzione a S. S., Poesie, cit., pp. IX-XXXI); P.V. Mengaldo, Caratteri stilistici della poesia di Solmi, in Giornale storico della letteratura italiana, CXIX (2002), pp. 497-510 (poi in Id., La tradizione del Novecento. Quinta serie, Roma 2017, pp. 237-248); sul critico: E. Montale, recensione a Il pensiero di Alain, in Pègaso, II (1930), 11, pp. 633-636 (poi in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, a cura di G. Zampa, I, Milano 1996, pp. 423-429); G. Debenedetti, gli anonimi paratesti allegati a Scrittori negli anni, cit. (seconda di copertina: Il libro; terza di copertina: L’Autore); P.V. Mengaldo, S. S., in Profili di critici del Novecento, Torino 1998, pp. 38-43; sul traduttore: P.V. Mengaldo, Aspetti delle versioni poetiche di S., in Studi novecenteschi, IX (1982), pp. 45-96 (poi in Id., La tradizione del Novecento. Nuova serie, Firenze 1987, pp. 307-356, e Seconda serie, Torino 2003, pp. 271-314).
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo -Fiumicino Al Borgo di TESTA di LEPRE-Inizia IL PALIO DEI FONTANILI edizione 2022-
Testa di Lepre-FIUMICINO (RM) –AMARCORD” Palio dei Fontanili prima edizione 2018″-
Franco Leggeri Fotoreportage e Articolo –Fiumicino- Borgo di Testa di Lepre- 6 settembre 2022-Mancano poche ore all’inizio della nuova edizione del Palio dei Fontanili .Una settimana quella dell’8/9/10/11 settembremolto importante per il Borgo della Campagna Romana, soprattutto in chiave simbolica infatti, dopo il terribile periodo del Covid19, ripartono tutte le grandi feste e manifestazione che coinvolgeranno tutto il Comune di Fiumicino durante i mesi di luglio e agosto e sarà il Palio l’ultimo dei grandi eventi dell’estate 2022. Durante il Palio si vedranno sfilare oltre al classico Corteo Storico con Musici i Gruppi di Arcieri, gli immancabili Sbandieratori della Città di Cori e l’Associazione Cornelia Antiqua .
La Presidentessa della Proloco , Maria Rita Rastelli, ci dice: ”Estate vuol dire solo una cosa: Riaprire e Ripartire . Il borgo di Testa di Lepre, durante le giornate del Palio, si trasformerà in una AGORA medievale a cielo aperto dove tutti potranno divertirsi con food di qualità, drink, birre artigianali e tanta musica”. Prosegue la Presidentessa :”Quest’anno però, c’è una new entry di tutto rispetto: “all’ Osteria del Palio” sarà servita la pasta fatta in casa con la farina ricavata dal “grano sacro” seminato dalla Proloco”. Chiosa la signora Maria Rita Rastelli:”Durante la manifestazione, oltre ai tantissimi appuntamenti musicali, ai giuochi popolari e rievocazione storiche in costume ,la Proloco porterà sulla tavola dei visitatori e degli ospiti del Palio, il sapore e i profumi della nostra bella Campagna Romana”.
Articolo e foto di Franco Leggeri
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–Gabriele D’ANNUNZIO –Il “LIBRO SEGRETO”-Rivista PAN n°9 -1935
Gabriele D’ANNUNZIO –Scrittore (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938). Fu uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una cultura molto vasta, mostrò un’inesauribile capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole con una raffinata tecnica di scrittura.
Gabriele D’ANNUNZIO –Scrittore (Pescara 1863 – Gardone Riviera 1938). Fu uno dei maggiori esponenti del decadentismo europeo. Dotato di una cultura molto vasta, mostrò un’inesauribile capacità di assimilare le nuove tendenze letterarie e filosofiche, rielaborandole con una raffinata tecnica di scrittura.
Vita
Era ancora convittore presso il collegio Cicognini di Prato quando esordì con Primo vere (1879), una raccolta di poesie pubblicata a spese del padre (Francesco Paolo Rapagnetta, che, adottato nel 1851 da una zia materna e dal marito di questa, Antonio D’A., ne aveva assunto il cognome, trasmettendolo poi ai figli), e positivamente recensita da G. Chiarini. Trasferitosi a Roma nel 1881 per gli studî universitarî, che non avrebbe mai condotto a termine, fu accolto con simpatia negli ambienti giornalistici e letterarî e cominciò a collaborare alla Cronaca bizantina, la rivista di A. Sommaruga, restando affascinato dai metodi modernamente spregiudicati dell’editore, cui affidò la stampa (1882) di Canto novo e delle novelle di Terra vergine. Nel successivo periodo di dissipatezze (“La giovinezza mia barbara e forte In braccio de le femmine si uccide”), celebrato dall’audace Intermezzo di rime (1883), si unì in matrimonio con la duchessina Maria Hardouin di Gallese (dal matrimonio nasceranno i figli Mario, Gabriellino e Veniero), trovò un impiego stabile come redattore della Tribuna, firmando con varî pseudonimi cronache mondane e culturali, e pubblicò le raccolte di novelle Il libro delle vergini (1884) e San Pantaleone (1886; insieme con altre, una scelta di novelle da questi due libri sarà ripubblicata in Novelle della Pescara, 1902). All’esperienza della più elegante società romana e al nuovo grande amore per Elvira (o Barbara, come preferì chiamarla) Fraternali Leoni, si ispirò il romanzoIl piacere, composto negli ultimi mesi del 1888 e pubblicato l’anno successivo dall’editore Treves di Milano. Dopo la parentesi fastidiosa del servizio militare (1889-90), le ristrettezze economiche lo indussero a spostarsi a Napoli (1891), dove intrecciò una nuova relazione con la nobildonna siciliana Maria Gravina Cruyllas, dalla quale nacquero i figli Renata e Gabriele Dante. A Napoli collaborò tra l’altro al Mattino, si interessò alle opere di Nietzsche e Wagner, e pubblicò a puntate (1891-92) il romanzo L’innocente, apparso poi in volume presso l’editore Bideri (1892) e subito tradotto in Francia; insieme con il racconto lungo Giovanni Episcopo, di poco precedente (1891; in vol. 1892), esso risente l’influsso della narrativa russa. L’influenza della lettura di Nietzsche si fa invece sentire in modo determinante già nel Trionfo della morte(1894), e all’insegna del superomismo si svolgerà la successiva produzione dannunziana, a partire da Le vergini delle rocce (1896). Nel 1895 D’A. partecipò a una crociera in Grecia, che avrebbe poi trasfigurato nel primo libro delle Laudi. Intanto le suggestioni della crociera rivissero in un dramma, La città morta (1896; pubbl. 1898), grazie anche all’incoraggiamento a scrivere per il teatro che a D’A. veniva da Eleonora Duse, la più grande attrice del tempo, con la quale aveva ormai intrecciato una relazione (e per la quale avrebbe scritto poi Sogno d’un mattino di primavera, 1897, La Gioconda, 1899, e La gloria, 1899). Nel 1897 fu eletto deputato nel collegio di Ortona a Mare, ma, sia per la scarsa partecipazione ai lavori parlamentari sia per il clamoroso passaggio dai banchi della destra a quelli dell’estrema sinistra (“vado verso la Vita”), uscì sconfitto dalle successive consultazioni elettorali. La sua preoccupazione dominante, anche per le solite difficoltà economiche ora accentuate dal principesco tenore di vita nella villa detta la “Capponcina” presso Settignano, era piuttosto la produzione letteraria. Furono così composti, in un breve giro di anni, quelli che vengono considerati comunemente i capolavori dannunziani: il romanzo Il fuoco (1900); la tragediaFrancesca da Rimini (1902); i primi tre libri delle Laudi: Maia (1903), Elettra e Alcyone(1904); la tragedia pastorale La figlia di Iorio (1904). Nonostante qualche clamoroso insuccesso e la fine della relazione con la Duse, prevalentemente teatrali furono gli interessi del periodo successivo (La fiaccola sotto il moggio, 1905; Più che l’amore, 1907; La nave, 1908; Fedra, 1909), che pure culminò nell’ultimo grande romanzo dannunziano, ispirato a una drammatica vicenda amorosa, Forse che sì forse che no (1910). Nel 1910, per sfuggire ai creditori, D’A. fu costretto all'”esilio” in Francia, dove rinverdì un prestigio che risaliva agli anni Novanta e alle traduzioni dell’Innocente e del Piacere, scrivendo in francese antico Le martyre de saint Sébastien (1911), che fu musicato da C. Debussy e interpretato dalla danzatrice I. Rubinstein, e La Pisanelle ou La mort parfumée (1913). In traduzione francese, col titolo Le chèvrefeuille, veniva rappresentata nel 1913 la tragedia Il ferro, da lui composta in italiano come la precedente Parisina del 1912. In questi anni lavorò anche per il cinema, contribuendo non poco, con le sue sonanti didascalie, al successo del film Cabiria (1914) di Piero Fosco (G. Pastrone). Nel 1915, invitato a Quarto per inaugurare il monumento ai Mille, rientrò in Italia e avviò una personale, infiammatissima campagna interventista, in aperta polemica con gli atteggiamenti del governo. Dopo la dichiarazione di guerra, si arruolò come volontario e si distinse in una serie di imprese militari, come la Beffa di Buccari o il volo su Vienna, pur essendo rimasto gravemente ferito in un incidente aviatorio in seguito al quale perse un occhio. Nella totale cecità postoperatoria, aveva scritto (1916) il Notturno su sottili strisce di carta che la figlia Renata provvedeva a decifrare e ricopiare. Eroe pluridecorato e figura ormai leggendaria presso i reduci, si fece interprete, dopo la fine della guerra, della loro indignazione per la “vittoria mutilata” e guidò la “marcia di Ronchi” e l’occupazione di Fiume, che tenne, in qualità di “Reggente”, dal settembre 1919 al dicembre 1920, quando fu costretto militarmente a rinunciare alla sua impresa (a testimonianza degli ambiziosi programmi politici e sociali del D’A. fiumano resta la Carta del Carnaro a sfondo corporativista, che, redatta da A. De Ambris, ebbe da D’A. la forma letteraria definitiva). Ritiratosi nella villa Cargnacco, in quello che poi chiamerà il “Vittoriale degli Italiani”, sul Lago di Garda, fu colto alla sprovvista dal colpo di mano di Mussolini, che aveva appoggiato l’impresa fiumana e a essa probabilmente si era ispirato. Con il dittatore fascista intrattenne un rapporto difficile, apparentemente amichevole e di reciproca ammirazione, ma in realtà minato dal sospetto, vedendosi quindi confinato nella dorata prigione del Vittoriale e dissuaso da qualsiasi interferenza politica, in cambio del massimo riguardo formale e di non poche concessioni (nel 1924 fu creato principe di Montenevoso; poté sovrintendere all’edizione nazionale delle sue opere; nel 1937 divenne presidente dell’Accademia d’Italia).
Opere
Tra i molti generi letterarî da lui tentati, D’A. predilesse la poesialirica: essa anzi fu l’asse intorno al quale tutte le altre forme espressive ruotarono e si organizzarono, allo stesso modo in cui intorno alla letteratura ruotarono i varî aspetti della sua personalità poliedrica. Poetici sono del resto i suoi esordî, con due raccolte addirittura passate in proverbio: Primo vere (1879), per la straordinaria precocità, e Canto novo (1882), per l’invenzione di una inconfondibile cifra personale, pur a ridosso e quasi come approfondimento delle originarie suggestioni carducciane. Del classicismo carducciano, e in particolare delle Odi barbare, rimane virtualmente tributaria una poesia d’ora in poi sempre giocata sulla consapevolezza della propria inafferrabilità di Ideale e sulla conseguente inevitabilità dell’artificio: tutta barbara, congetturale e artificiosa, come congetturale e artificioso era stato il tentativo delle Odi carducciane di riprodurre i metri classici nella versificazione italiana. La stessa scoperta sensuale della natura, che rappresenta la novità più caratteristica di Canto novo e accompagnerà D’A. in tutti gli esperimenti successivi, coincide con un artificio, sullo sfondo di un primordio fantastico giustificando una barbarica irruzione nel mondo ignoto della poesia e conciliando il massimo dell’attualità e della concretezza con l’atemporalità del mito classicistico. Mentre il narratore di Terra vergine (1882) approfitta con acume della lezione verghiana, e soprattutto fornisce di un retroterra aneddotico la sfrenata sensualità del Canto novo, con Intermezzo di rime (1883) D’A. apre il gioco che da cronista mondano avrebbe condotto a perfezione nel quinquennio successivo: una scherzosa divinizzazione del bel mondo romano e di un rituale trasparentemente erotico, cui la poesia fosse in grado di restituire serietà, se non esplicitezza, ricavandone dal canto suo la conferma di una funzione sociale e del relativo consenso. È però da romanziere, con Il piacere (1889), che gli riesce di emanciparsi dalle frigide eleganze e dal valore puramente ludico già presentiti e ben esemplati da Isaotta Guttadàuro e altre poesie (1886). Nel romanzo, la “lotta d’una mostruosa Chimera estetico-afrodisiaca col palpitante fantasma della Vita nell’anima d’un uomo” mette finalmente di fronte una fedeltà all’Ideale deprecabile come un vizio immondo, per la disumanità che comporta, e un buon senso tanto immediatamente redditizio e socialmente rispettabile quanto assolutamente sprovvisto di qualsiasi attrattiva letteraria e intellettuale. Lo scrittore ribadisce così l’irrinunciabilità dell’Ideale nell’amore e nell’arte e al romanzo assegna il compito di creare artificialmente nel lettore la disposizione ad assecondare il suo sogno. A questa nuova disposizione del lettore si rivolge la più affabile poesia delle Elegie romane (1892) e soprattutto del Poema paradisiaco (1893), opera in cui, smessi i travestimenti delle raccolte precedenti per agitare l’altrettanto speciosa parola d’ordine della stanchezza dei sensi e della bontà, D’A. riscatta virtuosisticamente il linguaggio più dimesso del suo repertorio, puntando sulla tensione psicologica dei duetti sentimentali e sulla moltiplicazione delle pause che alonano di sottintesi e potenziano anche le parole più banali. Un altro romanzo, L’innocente (1892), proprio a partire da un equivoco umanitarismo esemplato su Dostoevskij e Tolstoj, aveva del resto chiarito che anche il mito della bontà e della semplicità era nutrito di intellettualismo e si fondava su un idealismo consequenziario in maniera spietata. La conversione al superomismo nietzschiano, per quanto effettivamente incoraggiata da affinità psicologiche e culturali indipendenti dalle letture napoletane di D’A., risulta tuttavia decisiva, sia per l’acuirsi degli interessi teorici di uno scrittore che infatti per un intero decennio mostra di prediligere la forma romanzo, e un romanzo per giunta “idealista”, sia per la più risentita percezione della dimensione sociale dell’attività artistica. Si passa quindi dal Trionfo della morte (1894), in cui il già collaudato tema misogino della Nemica coinvolge nella sua ispirazione distruttiva miti e istituzioni inconciliabili con la purezza dell’Arte, a Le vergini delle rocce (1896), il romanzo “di una Bellezza misteriosa e quasi terribile” che racconta, in una maniera provocatoriamente antiromanzesca, il sogno di una folle palingenesi reazionaria contro la “diminuzione” e la “violazione” da cui sono minacciati tutti i valori in una moderna società democratica. E si approda infine a Il fuoco (1900), che mette in scena l’esperimento di una sorta di regia dell’albeggiante vita spirituale delle masse, non più temute e respinte ma incoraggiate e guidate nelle loro oscure aspirazioni verso la Bellezza. Alle teorizzazioni romanzesche, corrispondono i concreti tentativi di un’arte sia pure solo velleitariamente popolare, compiuti attraverso il teatro. Miti, secondo la ricetta classica dell’arte per il popolo, e insieme dimostrazioni della immutata efficacia dei miti antichi sono le tragedie dannunziane, da La città morta (1898) a La figlia di Iorio (1904) a Più che l’amore (1906), a Fedra (1909), in cui la solita lotta per l’Ideale, spinta talora fino al crimine, rappresenta iperbolicamente una comune insofferenza nei confronti del grigiore della vita quotidiana e la parola poetica sperimenta la propria efficacia fuori del libro. La stagione dei capolavori dannunziani culmina però nei due più celebrati libri delle Laudi del cielo del mare della terra e degli eroi, quando l’urgenza del comprendere lascia il posto alla liberatoria conquista di una poesia nella quale felicemente collaborino istinto e artificio. Gli oltre ottomila versi di Maia (1903) sono virtuosisticamente giocati sul mantenimento della stessa tensione espressiva e esplicitamente votati addirittura all’emulazione del poema dantesco, ponendosi altresì a modello delle innovazioni metriche novecentesche e lasciando intravedere una nuova strada per la poesia civile. Alcyone (1904), di là dalla tenue trama di una vacanza estiva a contatto con la natura toscana, trova un motivo unitario nel suo porsi come “tregua” e nella conseguente scelta di argomenti privati e sentimentali, e punta sulla suggestione d’una lingua manipolata senza sforzo evidente e sulla sconcertante prossimità al linguaggio prosastico, sempre imminente e ogni volta mirabilmente eluso (ad esiti altrettanto significativi non giungono il secondo e il quarto libro delle Laudi: Elettra, 1904; Merope, 1912; né Canti della guerra latina, 1933, noto anche come Asterope). La fase del ripiegamento memoriale si apre all’indomani della splendida fioritura primonovecentesca, all’insegna di un autobiografismo meno strumentale e idealizzato. Se così Forse che sì forse che no (1910) traduce, concretamente svilendolo, l’Ideale dei romanzi precedenti nella passione aviatoria e, quasi come postuma compensazione, rappresenta il dramma della femminilità offesa, tutte le prose di memoria e quella che è stata definita “esplorazione d’ombra”, comprese tra l’atteggiamento solennemente meditativo della Contemplazione della morte (1912) e la scrittura apparentemente pedantesca e in realtà comica del Secondo amante di Lucrezia Buti (nel vol. Il venturiero senza ventura e altri studii del vivere inimitabile, 1924, primo dei due tomi che, con Il compagno dagli occhi senza cigli e altri studii ecc., 1928, compongono Le faville del maglio), rivelano addirittura uno scrittore nuovo. Con il Notturno (pubbl. nel 1921), il mutamento dello scenario psicologico e la singolare tecnica compositiva si risolvono nella ricerca di una lirica essenzialità all’interno della prosa, che nella paratassi inevitabile di un eterno presente vive l’ultima stagione di una sensibilità sovrumana, e, con le Cento e cento e cento e cento pagine del libro segreto di Gabriele D’A. tentato di morire (1935), lo scrittore a quella tecnica fa corrispondere la naturalezza quasi meccanica con cui si concede alla registrazione, al ricordo, all’intuizione più penetrante, senza ricavarne più nessuna scintilla di vitalità.
Le opere di D’A. furono da lui stesso riordinate in 48 voll., per l’ed. nazionale (1927-36), cui si aggiunse un vol. di Indici, a cura di A. Sodini (1936). Postumi sono stati pubblicati: Solus ad solam, un diario d’amore, a cura di J. De Blasi (1939); una scelta di sue Lettere a Barbara Leoni, a cura di B. Borletti (1954); i Taccuini, a cura di E. Bianchetti e R. Forcella (1965), seguiti da Altri taccuini, a cura di E. Bianchetti (1976) e da Di me a me stesso, a cura di A. Andreoli (1990); il Carteggio D’A.-Mussolini (1919-1938), a cura di R. De Felice e E. Mariano (1971); alcuni testi inediti, che dovevano far parte della raccolta La penultima ventura (2 voll., 1931), dedicata al periodo fiumano, in La penultima ventura, a cura di R. De Felice (1974), il Carteggio D’A. – Ojetti (1894-1936), a cura di C. Ceccuti (1979).
Poesie di Vittorio Bodini -Pubblicate dal Blog L’Altrove-
Vittorio Bodini è una delle figure centrali nella poesia italiana del Novecento, noto per la sua capacità di fondere esperienze personali con una profonda riflessione sulla condizione umana. La sua opera poetica, ricca di immagini evocative e di una musicalità unica, merita un’analisi attenta che ne metta in luce i temi principali e l’impatto culturale.
Nato a Bari il 6 gennaio 1914, Bodini trascorse la sua giovinezza in un contesto segnato da eventi storici tumultuosi, come la Seconda Guerra Mondiale. Alla fine degli anni ’30 si trasferì a Firenze, dove si laureò in Lettere e Filosofia ed entrò in contatto con importanti correnti letterarie. La sua vita fu segnata da viaggi e esperienze che influenzarono profondamente la sua scrittura. Bodini visse anche in Spagna, un’esperienza che arricchì la sua poesia di una dimensione di ricerca identitaria e di nostalgia. Nel 1954 fondò a Lecce L’esperienza poetica, rivista che durò solo due anni. Gli ultimi dieci anni della sua vita li trascorse invece a Roma, dove morì nel dicembre del 1970.
La poesia di Bodini si distingue per la sua profondità emotiva e per l’uso di un linguaggio semplice ma incisivo. Le sue raccolte più celebri, come il suo libro di esordio, La luna dei Borboni, esplorano temi quali la solitudine, l’amore, la morte e la memoria; immagini che giocano un ruolo cruciale nella sua scrittura. Bodini riflette sul passato con un tono nostalgico, cercando di ricostruire le esperienze perdute. Finalista al Premio Viareggio, il volume esplora il tema della nostalgia attraverso immagini evocative che richiamano la sua terra natale, la Puglia. La luna diventa un simbolo di bellezza e malinconia, riflettendo un desiderio di connessione con le radici culturali e personali. Le poesie sono caratterizzate da un linguaggio ricco di musicalità e da una forte carica emotiva.
L’opera di Bodini si distingue per la sua capacità di esplorare temi universali attraverso una lente personale. I temi della nostalgia, della memoria e della fragilità umana sono costantemente presenti. La sua scrittura è caratterizzata da una musicalità intrinseca, che si manifesta in scelte lessicali ricercate e in un ritmo che invita alla lettura ad alta voce. La fusione di elementi autobiografici con riferimenti culturali e letterari, come il barocco spagnolo, arricchisce ulteriormente la sua poetica.
La presenza di tali tematiche sono da attribuire anche al profondo legame che il poeta ebbe con la cultura e la letteratura spagnola; il surrealismo spagnolo influenzò la sua poetica in vari modi.
Il surrealismo spagnolo si caratterizzava per l’uso di immagini oniriche, simboli e una forte carica emotiva, spesso legata alla realtà sociale e politica del paese. Nel suo soggiorno in Spagna, Bodini si interessò molto allo studio e alla traduzione di autori surrealisti quali Federico García Lorca, Miguel de Cervantes, Rafael Alberti, Francisco de Quevedo e Calderón de la Barça.
Vittorio Bodini si afferma come una delle voci più significative della poesia italiana del Novecento. La sua capacità di esprimere emozioni complesse attraverso un linguaggio evocativo e diretto lo rende un poeta di grande rilevanza.
Di seguito alcune poesie scelte di Vittorio Bodini
Sto davanti alla tua caverna
Sto davanti alla tua caverna. Esci fuori e arrenditi. Noi abbiamo la sintassi e la radio, i giornali e il telegrafo, e tu non vivi che del mio sonno, non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato, e per farmi dispetto non mi rispondi nemmeno.
Il destino dell’uomo
Quando dai pomodori uscirà il sangue il destino dell’uomo sulla terra sarà segnato Gli animali che hanno per vita privata un continente grattacieli d’arnie o l’insonne arabesco saranno nei tuoi occhi come un campo da tennis Gli ingegneri si rompono senza un grido Avran le sere cere minuziose sere dal volto aguzzo inesatte chimere Sono i calici d’ombra Sono i calici in fiamme Il vuoto dei manichini attirerà le montagne.
I pini della Salaria
Attento. Ogni poesia può esser l’ultima. Le parole s’ammùtinano. Comincia un insolito modo con le cose di guardarsi d’intendersi scavalcando le parole in una vile dolcezza. Ahi, e avevo un cuore che voleva abbaiare tutte le notti alla luna e alle pietre. Sì, i cappellini d’edera dei lampioni notturni, le coppie che s’abbracciano nelle macchine ferme… Che posto troverò per voi nella memoria, per voi e per le colme cupole che ammaìna Roma nell’ombra? I pini della Salaria non hanno pigne da far scoppiare al fuoco, pigne calde da mettere nel cavo petto dei morti.
Tu non conosci il Sud, le case di calce da cui uscivamo al sole come numeri dalla faccia d’un dado.
Qui non vorrei morire dove vivere mi tocca, mio paese, così sgradito da doverti amare; lento piano dove la luce pare di carne cruda e il nespolo va e viene fra noi e l’inverno.
Pigro come una mezzaluna nel sole di maggio, la tazza di caffè, le parole perdute, vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: divento ulivo e ruota d’un lento carro, siepe di fichi d’India, terra amara dove cresce il tabacco. Ma tu, mortale e torbida, così mia, così sola, dici che non è vero, che non è tutto. Triste invidia di vivere, in tutta questa pianura non c’è un ramo su cui tu voglia posarti.
L’Altrove è un Blog di poesia contemporanea italiana e straniera
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, Argentina, 19 de diciembre de 1921 – Íd., 10 de julio de 2013). Poeta, novelista, dramaturga y periodista. Lic. en Psicología. Fue directora del Centro de Documentación e Información Pedagógica del Ministerio de Educación de la Provincia de Buenos Aires; Asesora literaria de Radio Universidad Nacional de La Plata; Secretaria técnica del Departamento de Teatro de la Escuela Superior de Bellas Artes; jurado de premios provinciales, nacionales y extranjeros.
DESERTI
Gli uomini blu
costeggiano le alte dune.
Non parlano di sete
con chi non la conosce.
Come cibo
condividono silenzi di sabbia.
Sembra che ci separino eterni
orizzonti.
Non sanno
che in loro vive un’altra sete.
Esangue
senza oasi.
Quella dei nostri deserti.
(da La notte e altre poesie, 1960)
.
.
DOLCEZZA
Com’è ardua… com’è serena
questa tristezza
di essere finalmente sola
con l’ombra.
O già senza di essa.
(da Legno e trasparenza, 1962)
Di Ana Emilia Lahitte sul Canto delle Sirene:
Ana Emilia Lahitte
EL SUETER DE FEDORIO
En los bordes raídos del suéter
de Fedorio
se arremansa la vida y sus historias.
Jamás
me atrevería a proponerle restañar
esos hilos desgastados
reavivar los colores
las zonas percudidas como un abecedario
para ciegos.
Quitárselo
sería desollarlo.
El suéter de Fedorio
es una hogaza
un libro de bitácora un sol un campanario
alguna melodía que se canta
sin que nadie la escuche.
Su intemperie
anuda cuanto ha sido algo más
que un adiós
menos que un llanto
algo que sólo cabe en el hueco secreto
de la mano.
Si otra piel respira
debajo de mandala de su suéter gastado
será sólo un sudario
que busca convertirse en el revés cereal
de esa coraza
hilada por los pájaros.
ATRAPADOS
Sólo tengo de vos
una fotografía con pómulos rasantes
tu pelo de llanura sobre los hombros tensos
y sin brazos
-no he podido inventarlos todavía-
y tu extraña manera
de acompañarme a solas
de este lado del mar.
Vivías en París
(lo especifica el dorso de la fotografía)
ignoro si habrás muerto.
Importa
el desamparo de tu mirada inmensa
que me atraviesa
y sigue camino a mis espaldas
sin dejarme jamás.
Mirás hacia el vacío.
Un abrazo
sin tiempo que se abraza a sí mismo.
Mirás
como buscando la huella de un albatros.
Algo que implora
un límite para poder llegar.
///
Ni siquiera conozco tu sombra.
Sin embargo
regreso sin descanso
y me tiendo a tu lado en tu voz
en tu sed
en el tacto insaciable
con que rastreo a ciegas tus rasgos
con mis dedos.
Y te llevo a mi piel.
Y siento que tus muslos
aprietan con el celo de lo deshabitado.
Gozamos
el secreto pacto
de lejanías
que anuda nuestros cuerpos
en una memorable batalla despojada
de heridas y arrogancias.
Una trama ilesa
bellamente perversa insiste en atraparnos.
Y estamos atrapados
aquí
en el Sur más sur.
En esta factoría de la imaginación oculta
en el reverso
de los acantilados.
Ana Emilia Lahitte
LOS CHICOS DE LA CALLE
Oh, niños asesinos, oh salvajes antorchas. Julio Cortázar
Ragazzi di vita
los llamó Pasolini
con su piedad adversa
desollada.
Y nos los deja así
sin otra identidad que la mugre
y la llaga.
Debajo
del abrigo de su costra de escaras
-cristos breves-
los chicos de la calle
no saben todavía que su sombra atrapada
crece
para la historia de la infamia.*
El dolor
nunca es niño.
Y en ellos ni siquiera es dolor.
Es una humillación
de la esperanza.
* Borges
T I G R E S
Dicen
que el territorio de las hembras
es menor.
Pero el olor a hembra atraviesa el verano
y el celo
es territorio prometido
para tigres
y albatros.
DESIERTOS
Los hombres azules
frontera de las altas dunas.
No hablan de la sed
con quien la desconoce.
Como alimento
intercambian silencios de arena.
Parecen separarnos horizontes
eternos.
Ignoran
que con ellos convive otra sed.
Exhausta
Sin oasis.
La de nuestros desiertos.
Ana Emilia Lahitte
LIBERACIÓN
Las manos.
Sometida extremadura
de la avidez y de la servidumbre.
Si pudiera
las dejaría partir
desarraigadas
sabiamente inexpertas
como el tacto feliz de los amantes
buscándose en la oscuridad.
SELLOS DE POSESIÓN
CUERPO DE MUJER
Conspiración del universo
para que el horizonte
se desnude.
QUASAR
Aquel falo de estrellas
que siempre pareció comenzar
en tu boca.
PECADOS
Hay pecados rebeldes
que no desaparecen hasta violar
alguna garza azul.
Ana Emilia Lahitte
Ana Emilia Lahitte, poetessa argentina, nasceva il 19 dicembre di cento anni fa. Esordì a vent’anni con i poeti della “Generazione degli Anni ’40” differenziandosi subito per il tema della morte nel suo significato universale: “Il polso arduo della bellezza ferita, la sua denuncia testimoniale, la sua universalità a terra. Il passaggio fu arduo, ma il clamore del suo significato era chiarissimo” disse in un’intervista. Il suo stile con gli anni va condensandosi, si fa più nudo, con il minimo di parole si contrappone all’abuso del discorso perpetuato dai mezzi di comunicazione nel tentativo di “sintetizzare la chiarezza esistenziale del complesso che l’uomo di oggi comporta, senza spogliarsi della radice ancestrale che lo sostiene”.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, 19 dicembre 1921 – 10 luglio 2013), poetessa e scrittrice argentina. Ha pubblicato 27 libri suddivisi tra poesia, narrativa, teatro e saggi. Ha collaborato con diversi ministeri alla diffusione della poesia argentina nel mondo.
Ana Emilia Lahitte (La Plata, Argentina, 19 de diciembre de 1921 – Íd., 10 de julio de 2013). Poeta, novelista, dramaturga y periodista. Lic. en Psicología. Fue directora del Centro de Documentación e Información Pedagógica del Ministerio de Educación de la Provincia de Buenos Aires; Asesora literaria de Radio Universidad Nacional de La Plata; Secretaria técnica del Departamento de Teatro de la Escuela Superior de Bellas Artes; jurado de premios provinciales, nacionales y extranjeros.
Lahitte publicó 24 libros (poesía, narrativa, ensayo ,teatro y periodismo).
Algunas de sus obras publicadas son : Sueño sin eco(1947), El muro de cristal(1952), La noche y otros poemas(1959), Madero y transparencia (1962), Al sur de marzo (1969), Los abismos(1979), Los dioses oscuros (1980),El tiempo, ese desierto demasiado extendido(1993),Insurrecciones (2000),Summa de poemas, 1947-1997 (antología, 2001), Memorias del Adiós (2004),Los abismos,El cuerpo, Cielos y otros tiempos,Sueños sin ecos, Los dioses oscuros, El padre muere (2006), Gironsiglos (2006).
Es importante destacar entre sus ensayos y compilaciones poéticas: Veinte poetas platenses contemporáneos (1962), María de Villarino (1966), Roberto Themis Speroni (1975), Cinco poetas capitales (Ballina, Castillo, Mux, Oteriño y Preler, 1995).
Obtuvo, numerosas distinciones, algunas de las cuales son: Pluma de Plata del PEN Club Internacional, Centro Argentino (1980), Puma de Oro de la Fundación Argentina para la Poesía (1982 y 2001), Primer Premio Nacional de Poesía, Región Buenos Aires (1983), Premio Konex (1994), Premio de Poesía “Esteban Etcheverría”, de Gente de Letras (1999), Premio Página de Oro y Letras de Oro de Honorarte.
Su obra ha sido incluida en diversas antologías y traducida al inglés, francés, alemán, italiano, catalán y portugués. Forma parte del Inventario de Poetas en Lengua Española -segunda mitad del siglo XX- trabajo de investigación realizado conjuntamente por la Universidad Autónoma de Madrid con la Asociación Prometeo de Poesía, de España y tambien ha sido incluida en el Breve Diccionario Biográfico de Autores Argentinos -desde 1940- realizado por Silvana Castro y Pedro Orgambide, Ed. Atril, 1999.
En 2001, la Municipalidad de La Plata la designó Ciudadana Ilustre.
Gastone Novelli e la scrittura francese d’avanguardia dal 16.01.2025-
Roma-In occasione del centenario della nascita dell’artista Gastone Novelli, Villa Medici e l’Archivio Novelli hanno il piacere di organizzare questo incontro sull’influenza delle sue opere sugli scrittori francesi, da Georges Bataille a Claude Simon. Questo dialogo riunisce diversi specialisti italiani e francesi, Marco Rinaldi, Davide Crosara, Andrea Cortollessa e Mireille Calle-Gruber, alla presenza di Francesca Alberti, direttrice del Dipartimento di Storia dell’Arte di Villa Medici, per esplorare i rapporti tra immagine e scrittura sviluppati in questi incontri franco-italiani.
Gastone Novelli-Grecia 1965-Foto di Marina Lund
Dalla fine degli anni Cinquanta in poi, Gastone Novelli, scrittore, ha intrecciato uno stretto e complesso rapporto tra immagine e scrittura, animando il suo mondo poetico di una continua costruzione di molteplici universi linguistici.
Se in questo senso sarà decisivo l’incontro con l’antropologia strutturale di Claude Lévi-Strauss, in realtà l’artista aveva già trovato una grande affinità con gli umori dello sperimentalismo linguistico che aveva coinvolto gli ambienti letterari del tardo surrealismo e del Nouveau Roman francese: Edouard Jaguer, Pierre Klossowski, Claude Simon, ma anche Georges Bataille e Samuel Beckett, saranno a lui molto vicini nella comune e appassionata ricerca di nuove strutture semantiche e narrative, solitari viandanti attraverso i meandri del linguaggio; e da qui scaturiranno alcune collaborazioni per la realizzazione di libri e opere grafiche che Novelli, più che semplicemente illustrare, tenderà a chiosare e reinterpretare con le sue vivaci e colorate immagini.
Informazioni pratiche
Giovedì 16 gennaio dalle 18:00 alle 20:00
Grand Salon di Villa Medici
Gratuito : prenotazione obbligatoria
Lingua : italiano
Gastone Novelli nasce nel 1925 a Vienna. Durante la Seconda guerra Mondiale partecipa alla Resistenza, viene arrestato, torturato e condannato a morte. La pena viene commutata in carcere a vita e viene liberato all’ingresso delle truppe alleate a Roma il 4 giugno 1944.
Nel 1948 compie il primo viaggio in Brasile, dove inizia la sua attività artistica.
Nel 1955 si stabilisce a Roma e si inserisce rapidamente nell’ambiente artistico della città grazie all’amicizia con Emilio Villa.
Nel 1957 compie diversi viaggi a Parigi, dove incontra Tristan Tzara, André Masson, Man Ray e Hans Arp. Lo stesso anno fonda con Achille Perilli la rivista “L’Esperienza Moderna” e la Galleria La Salita di Roma gli dedica una personale.
A partire dagli anni Sessanta frequenta Samuel Beckett, Georges Bataille, Pierre Klossowski, René de Solier e avvia una stretta amicizia con Claude Simon, che in uno dei suoi ultimi libri, Le Jardin des Plantes (1997), racconta la profonda consonanza intellettuale e creativa che lo legava all’artista. Con alcuni di loro Novelli avvia vere e proprie collaborazioni: con Beckett prepara un progetto editoriale per illustrare L’image, rimasto poi incompiuto; nel 1962 realizza il libro unico per Histoire de l’œil di Bataille, mentre nel 1965 commenta con le tavole del libro Das Bad der Diana il mito di Diana e Atteone, analizzato da Klossowski.
Inizia a collaborare con gli scrittori della neo-avanguardia italiana, con i quali condivide la medesima tensione verso la sperimentazione linguistica.
Nel 1964 fonda con Perilli, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli la rivista “Grammatica”. Vince il Premio Gollin alla Biennale di Venezia dove è invitato con una sala personale.
Nel 1966 pubblica il libro Viaggio in Grecia, vera e propria summa di anni di riflessioni sul linguaggio e di peregrinazioni in universi segnici, che vanno dalla psicologia del profondo, al mito, fino al definitivo approdo all’antropologia e allo strutturalismo di Claude Lévi-Strauss.
Nel 1968 viene di nuovo invitato alla Biennale veneziana con una sala personale, ma per protesta contro l’intervento della polizia all’interno dei Giardini si rifiuta di esporre le sue opere rovesciandole contro le pareti. In ottobre è a Milano, dove inizia l’insegnamento all’Accademia di Belle Arti di Brera. Muore il 22 dicembre per un collasso postoperatorio.
Novelli ha esposto nei più importanti musei e istituzioni italiane e internazionali. Oggi le sue opere sono conservate al MoMA di New York, alla National Gallery di Washington, al MASP di San Paolo, al British Museum di Londra, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, al Museo del Novecento di Milano e alla Peggy Guggenheim Collection di Venezia.
Relatori
Mireille Calle-Gruber
Mireille Calle-Gruber, scrittrice e docente di letteratura ed estetica alla Sorbonne Nouvelle, dove dirige il Centre de recherches en études féminines et genres, è autrice di una trentina di libri. Il suo lavoro analizza il potenziale di riflessione critica della letteratura nel suo rapporto con il linguaggio, la filosofia e le arti, e i movimenti letterari del XX secolo, tra cui il “Nouveau Roman”. Lavora in particolare sulle opere di Michel Butor (di cui ha pubblicato le Oeuvres complètes in 12 volumi), di Claude Ollier, Assia Djebar, Jacques Derrida (La distance généreuse, 2009), .Marguerite Duras (La noblesse de la banalité, 2023), Peter Handke, Claude Simon (di cui ha scritto la Biografia : Une vie à écrire, 2011 ; être peintre, 2021). Dopo avere pubblicato cinque romanzi, ha scritto insieme a Michel Butor, un racconto-scenaggiatura Le Chevalier morose (2017). E’ coeditrice del Dictionnaire Universel des Créatrices (éd. des femmes, 2013) e del Dictionnaire sauvage Pascal Quignard (2015). E’ stato pubblicato un simposio dedicato alle sue opere : Mireille Calle-Gruber, l’amour du monde à l’abri du monde dans la littérature (a cura di Sarah-Anaïs Crevier Goulet et al., 2015). Nel 1997, è stata eletta all’Accademia delle arti e delle lettere della Royal Society del Canada. Ha ricevuto diverse distinzioni tra cui il dottorato honoris causa dell’Università Aristotele di Thessaloniki nel 2022. Di recente, ha pubblicato Réinventer les alphabets : Claude Simon, Gastone Novelli (2023), e ha scritto la Prefazione alla traduzione italiana del romanzo di Claude Simon, Le Jardin des Plantes (Roma, ed. Gremese, 2024).”
Andrea Cortellessa
Andrea Cortellessa è nato a Roma nel 1968. Insegna Letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma Tre. Ha curato mostre e testi (tra gli altri di de Chirico, Manganelli, Pagliarani, Raboni, Rosselli, Zanzotto, Di Ruscio, Paolini e Parmiggiani), realizzato trasmissioni radiofoniche e televisive, spettacoli teatrali e musicali. Fra i suoi ultimi libri Le notti chiare erano tutte un’alba. Antologia di poeti italiani nella Prima guerra mondiale (Bompiani 2018), Andrea Zanzotto. Il canto nella terra (Laterza 2021), Filologia fantastica. Ipotizzare, Manganelli (Argolibri 2022), il volume a più voci Arbasino A-Z (Electa 2023) e Amelia Rosselli. Con l’ascia dietro le nostre spalle (Electa 2024). È tra i fondatori di «Antinomie. Scritture e immagini»; collabora al «manifesto», al «Corriere della Sera», al «Sole 24 ore», al «Giornale dell’Arte» e ad altre testate.
Davide Crosara
Davide Crosara è ricercatore in letteratura inglese presso ‘Sapienza’ Università di
Roma. I suoi principali campi di studio sono il teatro moderno e contemporaneo, il
romanticismo, il post-umano. Ha pubblicato una monografia su Beckett e il
monodramma (Aracne, 2019), e saggi in volume e rivista su Daniel Defoe, Primo
Levi, W.B. Yeats, James Joyce, Kae Tempest. Ha recentemente curato due volumi
su Samuel Beckett: Samuel Beckett’s Italian Modernisms: Tradition, Texts,
Performance (Routledge: 2024) e Samuel Beckett and the Arts. Italian
Negotiations (Anthem Press: 2024). In quest’ultimo volume compare anche il suo
saggio ‘J’ai eu l’image’. Samuel Beckett and Gastone Novelli.
Marco Rinaldi
Marco Rinaldi è professore di Storia dell’Arte Contemporanea e Storia del Design presso l’Accademia di Belle Arti di Roma e consulente scientifico dell’Archivio Gastone Novelli, artista di cui ha curato, insieme a Paola Bonani e Alessandra Tiddia, il catalogo generale dei dipinti e delle sculture. Di Novelli ha curato anche le mostre al Museo del Novecento di Milano nel 2012 e alle Gallerie d’Italia di Intesa-Sanpaolo di Napoli nel 2013-14.
È autore di saggi e monografie sull’arte e sulla cultura progettuale del Novecento, tra cui si ricordano i volumi La Casa Elettrica e il Caleidoscopio. Temi e stile dell’allestimento in Italia dal razionalismo alla neoavanguardia (2003) e Strappare il mondo al caso. Comunicazione estetica e neoavanguardia in Italia (1956-1964) (2008), e redattore della rivista “Zeusi – Linguaggi contemporanei di sempre”.
Biblioteca di San Valentino (Pescara), per “Incontro con l’autore” si parla del Fucino con Gaetano Lolli –
Biblioteca di San Valentino (Pescara), per “Incontro con l’autore” si parla del Fucino – “Il cerchio dell’acqua” (Leonida edizioni) dell’avezzanese Gaetano Lolli verrà presentato sabato 11 gennaio 2025 presso la Biblioteca di San Valentino (Pe) alle ore 16:30 per l’appuntamento “Incontro con l’autore”: in dialogo con l’ingegnere marsicano, ci sarà la giornalista Alessandra Renzetti.
Gaetano Lolli
Il romanzo storico, record di ristampa in meno di un anno, continua il suo tour volto alla conoscenza della storia millenaria del Fucino con tante preziose curiosità anche tecniche sui lavori che hanno caratterizzato la più grande opera di ingegneria idraulica del tempo. La prefazione è dell’archeologa Emanuela Ceccaroni.
È lo stesso lago che condivide con il lettore le sue paure, le sue angosce ed il suo addio, un aspetto questo che sta incuriosendo il pubblico: ” ‘Il cerchio dell’acqua’ lascia ampio spazio alle riflessioni, anche perché la sua lettura è lineare e la storia è chiara. Nelle pagine del romanzo scorre anche un viaggio emotivo che lo stesso lago, con un senso di amarezza sempre maggiore, percorre fino all’ultimo dei suoi giorni in cui non nasconde il suo dolore e l’incapacità di capire l’uomo per la sorte che ha scelto per lui”.
Tante sono le riflessioni e gli interrogativi che il romanzo scatena ed ancora oggi divide l’opinione pubblica e politica sulla realizzazione di questa grande opera d’ingegneria che ha interessato grandi nomi della storia fra cui un orgoglioso e curioso Alexandre Dumas: era necessario prosciugare il Fucino? Ha portato davvero i suoi benefici? Lo stesso Lolli continua, durante le presentazioni del suo libro, a creare un interessante dibattito che ha coinvolto anche i ragazzi in età scolastica.
L’autore affida proprio ai pensieri e ai sentimenti del lago Fucino il compito di congiungere le storie degli uomini attraverso le varie epoche sul cui sfondo si muovono i singoli personaggi che animano le pagine di questo percorso, lungo le sponde del bacino lacustre.
Ingresso libero.
Per info è possibile seguire le pagine social di @gaetanololli, @gaetanololliscrittore ed il sito www.gaetanololliscrittore.it.
Gaetano Lolli Scrittore
Una breve biografia di Gaetano Lolli Sono nato nella terra dei Marsi e vivo ad Avezzano.
Sono un ingegnere edile-architetto, lavoro in una società di ingegneria e questo è il mio lavoro; le mie passioni però non sono altrettanto univoche, sono molte, per questo mi piace definirmi “fedele discepolo della mia curiosità” che mi porta ovunque.
Leggo tantissimo e scrivere col tempo è diventata una conseguenza naturale, credo che sia un modo insensato e romantico di sottrarre tempo alle cose da fare.
Ho un retaggio di appartenenza fortissimo con il mio territorio, dalla mia terra, dalle montagne che la caratterizzano traggo sempre spunti e la volontà di scrivere, dopo tutto “l’universale si coglie anche restando presso di sé”.
-Maria Luisa Fehr-Romanzo APRILE- Mondadori editore Milano 1934-
-Articolo di Guido Piovene per la Rivista PAN n°5 del 1934-
-Maria Luisa Fehr-Romanzo APRILE- Mondadori editore Milano 1934--Maria Luisa Fehr-Romanzo APRILE- Mondadori editore-Maria Luisa Fehr-Romanzo APRILE- Mondadori editore-Maria Luisa Fehr-ScrittriceBiblioteca DEA SABINA-Rivista PAN n°5 del 1934-Articolo di Francesco Flora Rileggendo le “LAUDI” di Gabriele D’Annunzio
Guido Piovene-Scrittore e giornalista italiano (Vicenza 1907 – Londra 1974). Formatosi all’incrocio di un cattolicesimo sensuale con un illuminismo attinto ai moralisti francesi del Sei-Settecento, aperto alle influenze del freudismo e dell’esistenzialismo, P. indagò le passioni e i vizi umani. Tra i romanzi più noti: Le furie (1963), in cui ha tentato di applicare la tecnica del nouveau roman, dando particolare rilievo alla memoria di un mondo in decadenza di fronte al quale lo scrittore subisce rimorsi e inibizioni, non senza però lasciare nel lettore un sapore di ambiguità; e Le stelle fredde (1970, premio Strega), in cui ritorna con gli stessi simboli la materia autobiografica.
Vita e opere
Nel 1935 entrò a far parte del Corriere della sera per poi passare a La Stampa, della quale fu collaboratore fino alla fondazione, con I. Montanelli e altri, del quotidiano milanese Il Giornale (1974). La sua opera, che varia dalla corrispondenza e dai servizi di giornalismo d’alto livello alle pagine di viaggio e di riflessione, al racconto, al romanzo, è quella di un saggista formatosi all’incrocio di un cattolicesimo morbido e sensuale, di tradizione vicentino-fogazzariana, con un illuminismo attinto soprattutto ai moralisti e romanzieri francesi del Sei-Settecento; ma aperto alle suggestioni del freudismo e dell’esistenzialismo. Un saggista inteso all’esplorazione lenta, minuta delle passioni, dei vizi umani, colti nel loro sinuoso trasformarsi o dissimularsi in virtù (a cominciare dall’egoismo così spesso atteggiato a pietà); un osservatore e descrittore di «caratteri», il quale, come narratore, rivela, sotto il lucido intellettualismo della sua indagine e delle sue invenzioni, l’ansia di una ricerca soggettiva, di un personale riscatto. Ne è testimonianza, nei suoi racconti (La vedova allegra, 1931; Inverno di un uomo felice, post., 1977; Spettacolo di mezzanotte, post., 1984) e nei romanzi (Lettere di una novizia, 1941; La gazzetta nera, 1943; Pietà contro pietà, 1946; I falsi redentori, 1949; Le furie, 1963; Le stelle fredde, 1970; Verità e menzogna, post., 1975; Romanzo americano, post., 1979), quel procedere della narrazione, entro una cornice apparentemente oggettiva, per monologhi – in forma epistolare, di diario, di confessione, ecc. – dei protagonisti, che permette allo scrittore di eludere, come in un gioco o finzione scenica, quanto di troppo autobiografico urge al fondo della sua arte. Accanto alla produzione saggistica (Lo scrittore tra la tirannide e la libertà, 1952; Idoli e ragione, post., 1975), poi raccolta in Saggi (2 voll., post., 1986-90), e ai notevoli libri di reportage, di viaggio e di costume (De America, 1953; Viaggio in Italia, 1957; Madame la France, 1966; L’Europa semilibera, 1973; ecc.) è da ricordare il discusso La coda di paglia (1962), in cui P. rievocò i propri rapporti col fascismo. Al genere fiabesco appartiene Il Nonno Tigre (1972).
La raccolta La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Osservavo un falco
planare lento lungo il pendio,
la sua forma scura
negli artigli come una preda.
Inclinò le ali,
cadde nell’aria –
l’ombra proseguì
senza di lui, come una lepre.
Ero ai ferri corti
con la mia cosiddetta anima,
parte libero falco,
parte ombra in libertà vigilata,
così agii d’impulso:
ne tenni uno ben in vista
e lasciai andare l’altra.
Il falco si librò in aria:
la compagna a terra
cominciò a sbiadire,
finché colle e cielo furono vuoti,
ed ebbi paura.
L’albero del mondo
Che specie di albero era quello, che stazionava
come un mendicante in fondo al nostro viottolo
dove noi ci sfidavamo su monopattini e biciclettine?
Segnava la fine del nostro mondo, mutilato,
grigio come una reliquia, laggiù oltre l’ultimo cancello
dove cominciavano i campi,
era cresciuto prima che si costruisse il complesso residenziale.
Era là che stavamo accovacciati,
dall’infanzia fino al tramonto dell’adolescenza,
le ginocchia raccolte sul mento, a sussurrare
dolci orrori …
Compagno albero, radice tribale,
da anni non penso a te, la tua linfa
in me, ma ora mi chiedo che specie eri
– sambuco o biancospino,
– e perché d’un tratto me ne importi.
Migratorio II
alla maniera di Hölderlin
Mentre gli uccelli migrano lentamente
lui guarda dinanzi a sé,
il principe e impassibile affronta
il vento che gli soffia contro il petto
c’è silenzio intorno a lui
lassù nell’aria
ma splendenti sotto di lui
si estendono i suoi territori
e con lui
per la prima volta inseguendo la vittoria
ci sono i giovani
ma con un colpo d’ala
lui li governa
Nota
‘Hawk and Shadow’ (Falco e ombra) è tratta da ‘Falco e ombra’, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose scelte, cura e traduzione di Giorgia Sensi, Interno Poesia Editore, 2019
‘World Tree’ (L’albero del mondo) e ‘Migratory II’ (Migratorio II) sono tratte da
La compagnia più bella (The Bonniest Companie), cura e traduzione di Giorgia Sensi, Edizioni Medusa, 2018
Kathleen Jamie è nata in Scozia. Laureata in filosofia all’università di Edimburgo. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: Black Spiders (1982); The Way We Live (1987); The Queen of Sheba (1994), Jizzen (1999),The Tree House (2004), The Overhaul (2012), The Bonniest Companie (2015). Ha ricevuto premi importanti, tra gli altri: con The Tree House il Forward Poetry Prize come Best Poetry Collection of the Year, 2004, e Scottish Arts Council Book of the Year Award, 2005; con The Overhaul il prestigioso Costa Award, e finalista del TS Eliot Prize. L’ultima raccolta, The Bonniest Companie ha vinto sia il Saltire Society Book of the Year sia il Poetry Book of the Year. Jamie scrive anche non-fiction; in particolare qui si citano Findings (2005); Sightlines (2012), e Surfacing,(2019) tre volumi di narrativa di viaggio nella sua nativa Scozia, sulla sua flora e fauna, su escursioni da lei fatte nelle isole Orcadi, Ebridi, e in altre isole al largo delle coste scozzesi, sui loro insediamenti neolitici. KJ vive a Fife, è Professore di Scrittura Creativa all’Università di Stirling.
In Italia Kathleen Jamie è tradotta da Giorgia Sensi:
La casa sull’albero, poesie scelte, Giuliano Ladolfi Editore 2016, ha vinto il premio Achille Marazza per la traduzione poetica 2017.
La compagnia più bella, Edizioni Medusa, 2018
Falco e ombra, poesie e prose scelte, Interno Poesia Editore 2019
Scrutare gli orizzonti (Sightlines), Luciana Tufani Editrice 2019
Kathleen Jamie ha vinto il Premio Internazionale del Ceppo, Pistoia 2019
Breve bio di Giorgia Sensi traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia.Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice per la promozione della poesia.Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Kathleen Jamie, Patrick McGuinness, John Barnie, Philip Morre, e curato diverse antologie.
Qui si citano per esteso le pubblicazioni più recenti:
Pubblicazioni nel 2018:
La compagnia più bella, (The Bonniest Companie) Kathleen Jamie, Medusa Editore;
Scrutare gli orizzonti, (Sightlines) Kathleen Jamie, narrativa di viaggio, Luciana Tufani Editrice;
una raccolta di poemetti di Natale di Carol Ann Duffy,Un Natale inglese, con Andrea Sirotti, Le Lettere.
Pubblicazioni nel 2019:
Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore,
Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore;
La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, Lietocolle-gialla oro;
8 poesie di Jenny Mitchell per la rivista Versodove, n. 21;
Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, IP.
La raccolta La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Giorgia Sensi ha ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito da ‘Ministero dei Beni e delle Attività Culturali’.
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