Mario Marchisio è nato a Torino nel 1953. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha compiuto studi letterari e teologici. È stato redattore della rivista La Clessidra dal 1995 al 2004, dirigendo nello stesso periodo una collana di poesia per le Edizioni Joker di Novi Ligure.
ARCANO XV IL DIAVOLO
L’inventore geniale son io
D’ogni dottrina che nega Dio.
Ho spappolato la teodicea
E la scodello come purea.
Sbatto le ali e il mio sangue gela,
S’alza e s’abbassa la nera vela.
Il piedistallo sembra un altare…
Tutto il mondo vorrei profanare.
Ma fin da adesso darò il tormento
A chi è in catene sul pavimento.
*
FORRA
Un gallo lontano, accecato dalla canicola,
Intossicato dalle cicale, canta;
Anche lui fuori orario, come l’anima sfatta
Che nel tugurio del mio corpo formicola.
*
VENDEMMIA
Bussi alle porte dell’aurora,
Nell’aria cristallina
Nuda ti ergi all’orizzonte
Dove il trono di Venere scintilla
E trascolorano le foglie,
Gli Amori ti festeggiano, sui colli
I grappoli dorati già s’inchinano.
Protenderò le mani alla tua luce
Come un fiume risvegliato dal sole.
*
SPECCHIO DEI GAUDENTI
– Davvero non coltivi alcun sospetto
Che i corpi stian scemando nel sepolcro?
Rinuncia, almeno oggi, ad esser ciocco.
– Ti parla questo catafalco austero
Dove il legno dei feretri ha premuto
Senza ritegno il suo damasco nero.
– Alla corte del Nulla sei vissuto
Due volte pazzo!, ora dovrai capire
Non dico la maestà del firmamento
Ma un solo, microscopico concetto:
La boria, il fasto, le liete compagnie
Se li è ingoiati il putrido fermento
Che nutre i vermi di lingue lascive.
Breve biografia di Mario Marchisio è nato a Torino nel 1953. Dopo la laurea in Giurisprudenza, ha compiuto studi letterari e teologici. È stato redattore della rivista La Clessidra dal 1995 al 2004, dirigendo nello stesso periodo una collana di poesia per le Edizioni Joker di Novi Ligure. Tra le opere recenti di poesia, ricordiamo: Versi giocosi e satirici (1999), Il sipario della schiena (2003), Il viandante. Poesie d’amore (2003), Tre giornate. Poesie edite e inedite (2013), Epigrammi, parodie, satire (2022). In prosa: I dialoghi di Incmaro (1999), Elogio della pittura (2014), Poesia e prosa ad armi pari. Conversazioni sulla letteratura (2015), Ricerca di Dio e labirinto del mondo (2020), Chi vive se ne pente. Dodici racconti e una farsa (2020).
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
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Ismail Kadaré è nato nel 1936 ad Argirocastro, nell’Albania meridionale, si è laureato in filologia a Tirana e ha proseguito gli studi a Mosca. Tornato in patria, inizia la sua carriera come giornalista e divenne direttore di “Les lettres albanaises”. La poesia è stata la sua prima passione: Ispirazioni giovanili (1956), Il mio secolo (1961). E alla poesia è sempre tornato regolarmente: Perché pensano queste montagne (1964), Motivi di sole (1968), Il tempo (1976), Gocce di pioggia caddero sul vetro (2003).
Ismail Kadaré
Anche quando la memoria-
Anche quando la mia memoria fosse stanca
come quei tram dopo mezzanotte
che fermano solo nelle principali stazioni,
Io non ti dimenticherò.
Ricorderò
la silenziosa serata, infinita nei tuoi occhi,
il singhiozzo soffocato, caduto sulla mia spalla
come la perpetua neve.
L’addio è arrivato
me ne vado lontano da te …
Nulla di eccezionale,
solo qualche sera
le dita di qualcun altro, si intrecceranno tra i tuoi capelli
con le mie dita, chilometri lontane …
Cristallo-
Da tempo non ci vediamo e sento
come pian – piano ti dimentico
come muore il tuo ricordo in me
come muoiono i capelli e ogni cosa.
Adesso cerco in giù e in su
un posto dove lasciarti
una strofa o una nota, oppure un brillante
dove posarti, baciarti, vederti.
E se nessuna tomba ti accetterà
troverò una pianura o un oasi di fiori
dove posarti dolcemente come polena
ovunque, ovunque ti dispenso..
Ingannandoti, ma forse così
potrei baciarti andandomene senza ritorno
e non si saprà mai né da noi né da altri
se la dimenticanza è questa oppure no.
Tu piangesti-
Tu piangesti e a bassa voce dicesti
Che io ti tratto come fossi una prostituta.
A quel tempo non feci caso al tuo pianto
Ti amavo senza sapere di amarti.
Solo una mattina, all’improvviso mi svegliai
Senza te e il mondo mi sembrò vuoto,
Allora capii ciò che avevo perso
E capii altrettanto che cosa guadagnai.
Brillava su di me come un smeraldo tedioso
E la felicità si rabbuiò come il crepuscolo dietro le nubi
Non sapevo scegliere tra le due
Una più bella dell’altra mi sembrava.
Perché dev’essere così questa collezione di gioielli
Cui la luce e l’orrore la illuminavano allo stesso modo,
Che nel moltiplicare la brama la vita si accentuava
Ma anche la morte altrettanto evocava.
Ismail Kadaré
Breve biograia di Ismail Kadaré è nato nel 1936 ad Argirocastro, nell’Albania meridionale, si è laureato in filologia a Tirana e ha proseguito gli studi a Mosca. Tornato in patria, inizia la sua carriera come giornalista e divenne direttore di “Les lettres albanaises”. La poesia è stata la sua prima passione: Ispirazioni giovanili (1956), Il mio secolo (1961). E alla poesia è sempre tornato regolarmente: Perché pensano queste montagne (1964), Motivi di sole (1968), Il tempo (1976), Gocce di pioggia caddero sul vetro (2003).
Nel 1963 pubblicò il primo romanzo, Il generale dell’armata morta, e da allora si è dedicato intensamente alla narrativa. Ha pubblicato una cinquantina di volumi fra romanzi, racconti e saggi. Nel 1990 ha chiesto e ottenuto asilo politico in Francia, dove è membro onorario dell’Accademia. Nel 1992 ha ottenuto il Premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera; nel 2005 l’International Booker Prize; nel 2009 il Premio Principe delle Asturie per la Letteratura. Sempre nel 2009 gli è stato conferito la Laurea Honoris Causa in Scienze della Comunicazione dall’Università di Palermo, riconoscimento voluto fortemente dagli “arberesge” di Piana degli Albanesi. Il Premio LericiPea “alla Carriera” nel 2010 è stato conferito a Kadaré, un poeta la cui voce magistrale è estremamente riconoscibile e si snoda in un vero e proprio “Universo Kadaré”, che dalla poesia al racconto e al romanzo si dilata in una dimensione storica e geografica dal passato al presente, collegando la letteratura albanese alle radici stesse della cultura europea. Kadaré costruisce un ponte tra la sua terra e i paesi che la circondano, trattando i caratteri specifici della storia e della cultura di quel paese, ridotto per lunghi periodi al silenzio, e gli aspetti generali che strutturano la vita di tutti i popoli, violenza e menzogna del potere, dedizione al dovere e varchi di libertà.
Con l’inedito Anche se è Aprile, da cui il titolo del volume che il LericiPea dedicò al poeta premiato, è giunta a noi in quest’occasione una perla, che ancora una volta dispiega l’opera di Kadaré nell’alveo di quella ribadita “unica Letteratura europea da Proust a Tolstoj”, che si evidenzia nel riallacciare la sua poesia, come scrive Marina Giaveri, “non solo ai grandi poeti russi del Novecento, ma ad un conosciuto e praticato panorama europeo”.
La sua opera ha ampia diffusione in Italia, dove sono usciti fra gli altri: Il mostro (Fandango 2010). L’incidente (Longanesi 2010), Il crepuscolo degli dei della steppa (Fandango 2009), Il generale dell’armata morta (Longanesi 2010), Aprile spezzato (ivi 2008), Dante l’inevitabile (Fandango 2008), Il successore (Longanesi 2008), La figlia di Agamennone (ivi 2007). Un invito a cena di troppo (ivi 2012), La bambola (La Nave di Teseo, 2017).
Poesie di Christa Wolf Poetessa e scrittrice tedesca-
Christa Wolf, nata nel 1929 a Landsberg an der Warthe, oggi in Polonia, si affermò come scrittrice nel 1963. Studiò a Jena e in Magdeburgo e sposò lo scrittore Gerhard Wolf. Sostenitrice del partito socialista, a cui si era iscritta nel 1949, fu una delle autrici più importanti della GDR (Deutsche Demokratische Republik). In seguito assunse una posizione molto critica nei confronti del regime comunista. Oltre a Trama d’infanzia, ricordiamo: Il cielo diviso (1963), Riflessioni su Christa T. (1968), Cassandra (1983), Medea.Voci (1996) e La città degli angeli (2011). Wolf è morta nel 2011, all’età di 82 anni, ed è sepolta a Berlino, nel Dorotheenstädtische Friedhof [N.d.B. lo stesso cimitero dove si trova la tomba di Bertold Brecht].
Christa Wolf,
Riconosciuta – Colpevole di Christa Wolf
ERKANNT
Das bin ich nicht
beteure ich
schuldbewußt
in die fordernden
anklagenden
enttäuschten Gesichter
Aber das bin ich doch wirklich nicht ich
Wirklich bin ich nicht
Nicht ich bin wirklich
Ich bin wirklich nicht
Bin ich nicht wirklich?
Das bist du
sagt der Tod
Ich bin es gewesen
gestehe ich
Zweifellos
30.11.88
SCHULDHAFT
Im Vortraum
sah ich
ein Doppelwesen
Er liegend
sie stehend
zusammengewachsen
an ihren Füßen
dergestalt
daß der Mann
sich nur aufrichten konnte
mit den Füßen der Frau
sie aber die Stehende
nur gehen konnte
in den Füßen des Mannes
So blieben sie
unbeweglich
14.9.87
Zentralbild Ecklecken 9.3.1963 Zum Tag des Buches – Schriftstellerin Christa Wolf Christa Wolf begann nach ihrem Germanistikstudium, als Literaturkritikerin, als Lektorin und Mitarbeiterin im deutschen Schriftstellerverbund. Als erste belletristische Arbeit erschien 1961 die “Moskauer Novelle”, die sogleich ungewöhnliche Beachtung fand. Ihre neue Erzählung “Der geteilte Himmel”, die im Mai erscheinen wird, steht zur Diskussion für den FDGB-Literaturpreis 1962-1963. Gegenwärtig arbeitet Christa Wolf an einem Filmdrehbuch für ihre Erzählung “Der geteilte Himmel”. UBz: Schriftstellerin Christa Wolf
RICONOSCIUTA
Questa non sono io
assicuro
ai volti
esigenti
che mi accusano
delusi
Certo questa non sono io
Davvero non lo sono
Non lo sono davvero
Io davvero non sono io
Vero che non sono io?
Questa sei tu
dice la morte
Lo sono stata
lo ammetto
Non c’è dubbio
COLPEVOLE
Nel dormiveglia
vedevo
un essere duplice
Sdraiato lui
e lei in piedi
uniti
così che
solo con i piedi della donna
ai suoi piedi
l’uomo
si sarebbe sollevato
e lei pur ritta
avrebbe potuto camminare
solo con i piedi dell’uomo
Restavano dunque
immobili
[ Traduzione di Anna Chiarloni e Ida Travi. Anterem 56, 1998 ]
Christa Wolf,
PRINCIPIO SPERANZA
(Christa Wolf, nata Christa Ihlenfeld)
Inchiodato
alla croce del passato
ogni movimento
spinge
i chiodi
nella carne.
SOLITARI DENTRO STANZE GRIGIE
A tastoni si cammina lungo gli steccati,
si sta seduti solitari dentro stanze grigie
come in camere nebbiogene,
ed è difficile liberarsi dalla tristezza
per tutte le occasioni mancate della vita
– per l’amore perduto,
il dolore incompreso,
la gioia sconosciuta
e il sole mai visto
di paesi stranieri.
PARLAVI DI COSE CHE NON VEDEVANO
Parlavi di cose che non vedevano
e loro ridevano.
Ma tu rema sul fiume oscuro
controcorrente;
va’ per la via sconosciuta
alla cieca, ostinato,
e cerca parole radicate
come il nodoso ulivo –
lascia che ridano.
Desidera che dimori l’altro mondo
nella soffocante solitudine odierna
in questo presente smemorato –
lasciali pure.
Il vento marino e la rugiada dell’alba
esistono senza che alcuno li cerchi.
Breve biografia di Christa Wolf –Poetessa e Scrittrice tedesca (Landsberg an der Warthe 1929 – Berlino 2011).Ha studiato e operato nella Repubblica Democratica Tedesca, cui ha aderito con spirito critico, anche se, dopo la riunificazione della Germania, ciò non è valso a stornare dalla sua figura riserve e sospetti d’ambiguità. Scrittrice problematica, incline al virtuosismo, dopo le poesie raccolte in Wir, unsere Zeit (1959) e Moskauer Novelle (1961), ottenne grande successo col romanzo Der geteilte Himmel (1963; trad. it. 1983), in cui il destino dei personaggi è segnato dalla divisione della terra tedesca. Non minore risonanza ottennero Nachdenken über Christa T. (1969; trad. it. 1973), il racconto Kein Ort. Nirgends (1979; trad. it. 1984), sulla vita e il suicidio di H. von Kleist, con significativi rimandi all’attualità, e il romanzo Kassandra (1983; trad. it. 1984). Dopo la caduta del muro di Berlino, ha raccolto una serie di testi polemici nel volume Im Dialog (1990) e nel discusso scritto autobiografico Was bleibt (1990; trad. it. 1991). Tematicamente legato al mito classico, come il precedente Kassandra, è Medea Stimmen (1996; trad. it. 1997), che riprende in chiave originale tematiche femministe. Tra le pubblicazioni più recenti sono da ricordare la raccolta Hierzulande Andernorts (1999), il romanzo Leibhaftig (2002; trad. it. 2002), i racconti Ein Tag im Jahr 1960-2000 (2003), l’opera in forma di diario Mit anderem Blick (2005) e il romanzo autobiograficoStadt der Engel oder The Overcoat of Dr. Freud. Roman (2010; trad. it. La città degli angeli, 2011). Postumi sono stati pubblicati in Germania: entrambi nel 2012, la raccolta di inediti Rede, dass ich dich e August (trad. it. 2012), ultimo racconto della scrittrice redatto sei mesi prima della morte; i diari Ein Tag im Jahr, 2001-2011, im neuen Jahrhundert (2013).
Fonte- Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Castelnuovo di Farfa -Il Murales della Memoria-Brano dal libro di Franco Leggeri
Castelnuovo di Farfa -Il Murales della Memoria-Brano dal libro di Franco Leggeri –Un vecchio proverbio castelnuovese dice testualmente: “’U giornale (ora anche il web) è come u somaru, quillu che jhi carichi porta…”. Assistiamo , leggiamo, a Castelnuovo a “Lezioni di Memoria e Appartenenza”. Grande lezione impartita a noi “vecchi ignoranti castelnuovesi” che, appunto, di Storia castelnuovese , non avendola vissuta, abbiamo un “disperato” bisogno di abbeverarci alla fonte “Ornischi” o “Bollica”. Noi vecchi castelnuovesi stiamo imparando cosa significa essere ignoranti. Se ben ricordo , in teoria, l’ignorante è chi dice <non so>, ma in realtà , a mio avviso, dopo aver letto vari articoli relativi alla “Memoria e Appartenenza” credo che, in verità oggi, a Castelnuovo è colui che <non sa e non conosce la Storia castelnuovese > ma la vuole spiegare ed illustrare ai protagonisti cioè a noi VERI CASTELNUOVESI. Il proverbio castelnuovese citato all’inizio è vero:” L’ignoranza della Storia castelnuovese? Grazie al web è diventata “saccenza”.A Castelnuovo assistiamo, in fatto di Storia ,a una sorta di: “liberi tutti… di sparare idiozie storiche che sono così eclatanti nella “semplicistica e ingenua” ricostruzione nella fase cronologica, date, e nei personaggi . Mnemosune (memoria) ) la madre di tutte le Muse, i greci la identificavano con la capacità di tenere a mente, rammentare, quindi con un’abilità della ragione, della testa, in prima istanza. Il “potere” castelnuovese è complice di questo “ANNO ZERO” della “nuova storia castelnuovese”. A noi castelnuovesi quello che abbiamo vissuto è entrato in circolo nel nostro sangue, è parte di noi.Noi vecchi castelnuovesi , allontanati e isolati dal “potere arrogante dell’ignoranza” ,che nome dobbiamo dare a chi offende la nostra intelligenza? Qual’è il nome corrispondente? Rabbia? O piuttosto delusione, sconforto, fastidio? A Castelnuovo l’ignoranza della vera storia castelnuovese è alla base della situazione attuale. L’inflazione d’informazione, in continua crescita ed evoluzione, fa perdere il senso di continuità del tempo, il valore della memoria, in un perpetuo “attimo presente” che cancella percorsi storici lenti, difficili, conquistati a fatica, tra passi in avanti e dolorosi ritorni al passato.Questa “ dittatura dell’informazione castelnuovese” è la causa dell’indifferenza con cui si accettano decisioni che hanno e avranno conseguenze pesanti per la società e la democrazia del nostro amato Castelnuovo.È pericoloso per il “potere castelnuove”che la gente abbia conoscenza, anzi coscienza, dei fatti storici che, in bene e in male, sono all’origine della situazione attuale. Noi castelnuovesi, quelli dell’Orgoglio castelnuovese, dobbiamo aver presente che la memoria storica non è “automatica”, deve essere tenuta viva, non “mummificata” e resa “sterile” , attualizzata , cosa ben diversa “dal racconto diverso”. La Storia , la nostra storia castelnuovese, viene “messa a tacere” per, a mio avviso, non dare ai giovani la capacità di analisi, critica, denuncia , discussione del presente alla luce del passato al fine di non far conoscere i “percorsi” in cui si sono perse conquiste e spesso anche i valori. La VERA storia di Castelnuovo ci permette, a noi tutti , di crearci una coscienza critica indispensabile per comprendere il tempo di oggi e per intervenire nella società castelnuovese con libertà, obiettività, apertura, forza intellettuale e morale. Ripeto da anni che sono pronto per un pubblico dibattito con le autorità e gli “storici castelnuovesi”.
Castelnuovo e i colori della rabbia,
Noi che abbiamo la parola interdetta
aspettiamo le stelle del cielo
per vedere ,da questo ponte della Storia,
l’ultima acqua silenziosa del nostro passato.
In questo spazio infinito dei ricordi
possiamo solo gettare i nostri sassi della rabbia.
Noi non abbiamo voce
perché oscurati e dimenticati
e il nostro respiro è nascosto al sole.
Ora l’ombra del silenzio scivola
e trascina a valle la voce dell’oblio.
A noi Castelnuovesi non resta che imparare
la trama dei racconti
nasconderli nel libro dell’anima
e custodirli nei cassetti della memoria.
Scriveremo e racconteremo
lo “schiaffo della resa”
che le sirene del potere ,
beffandosi del nostro dolore
e il non essere capaci di rifiutare le “monetine“ dell’umiliazione,
Franco Leggeri-brano da Murales Castelnuovesi-Sulla vecchia cote dei ricordi affiliamo lame di impossibili rivolte. Abbiamo grattato terre incolte con il chiodo del primitivo, seminando speranze di poveri. Spartendo i raccolti con il padrone è rimasta la rabbia dei figli e l’aia deserta.
Anche in noi, questo furore taciuto riporta a scelte lontane, quando vita, giovinezza e volti di ragazzi inebriati di troppa ingenuità tutto bruciammo. Solo per amore. Bastasse questo pugno di anni (paura e speranza della sera) per ritoccare quella bilancia e non imbastire cupi silenzi su mani stanche, ma golose di sole.
A Castelnuovo mattini uguali e incerti come aste sul quaderno di stagioni incolori, quando il silenzio diventa eresia, e l’antico ripetersi scava sentieri tra le pietre scritte, e il rito del ritrovarsi tra il vuoto di assenze che pesano – già affiora il dire: questa è l’ultima volta – resta, ancora, da capire la somma dei perché, mentre la nebbia nasconde l’oblio.
Non ha senso la Storia , anche quella che si scrive nel bronzo e le stagioni rigano di una patina verde (ora, che dissolti i cristalli di lacrime, alza soltanto steli di pietra e grovigli di lamiere), anche quello che è stato, e furono parole e musica e canti nati nei bivacchi e folla e bandiere, e tutti a premere l’erba sul cuore dei morti: anche l’amore di allora e le schegge di verità ( forse, anche i giuramenti), adesso, non hanno più senso.
Il tempo, con il volto di rigattiere, ha raccolto le cose vecchie districando dai rami brandelli incolori, lembi di aquiloni e frammenti di foglie stinte di speranza. Castelnuovo nel cuore, i ricordi, le speranze, le lotte vecchie e nuove e ancora giorni senza tregua ,bivacchi per nuove battaglie e strategie per nuovi obiettivi”.
Kate Clanchy –Nata a Glasgow nel 1965, Kate Clanchy ha studiato ad Edimburgo e Oxford, città in cui oggi vive e lavora come insegnante, giornalista e scrittrice freelance. Ha vinto numerosi premi prestigiosi con diversi libri di poesia tra cui “Newborn”, una raccolta dedicata ai temi della gravidanza, della nascita e della cura di un bambino. Il suo ultimo libro è la biografia “What Is She Doing Here?: A Refugee’s Story”, con cui ha vinto il Writer’s Guild Best Book Award for 2008 e che è stato mandato in onda dalla BBC
Patagonia
Dissi forse la Patagonia, e immaginavo
una penisola, grande abbastanza
per un paio di sedie a sdraio
su cui dondolare nell’alta marea. Pensavo
a noi in un freddo mozzafiato, davanti
a un orizzonte tondo come una moneta, avvolti
nell’intreccio del ripiglino che i gabbiani giocano
dal mare fino al sole. Pensavo di aspettare
finché le onde non si fossero addormentate
dalla noia.
Posa
Ora faccio sedere mio figlio
sull’anca e reggo
il suo peso con la curva
della vita, come un albero
diviso da una forcella,
come amanti inclinati in un valzer.
Niente è perduto. Mai stata
una di quelle ragazze
rimaste magre come un fuscello.
Ai balli spesso ero da sola.
* * *
Amore
Non ne avevo mai incontrati così prima.
Una faccia da sollievo – davvero,
come una battuta su suo padre – sfocata
come da anni di lucidatura;
mani aggrinzite come foglie secche;
il calore licenzioso che emetteva,
emetteva, i suoi respiri corti,
prudenti: pensavo
che i suoi filamenti esplodessero,
pensavo fosse un imperatore,
morente su cuscini di seta.
Non sapevo come tenerlo
avvolto, non sapevo
come allattarlo, non avevo
alcuna idea su di lui. Di notte
cercavo di ricordare la sensazione
della sua testa sul mio collo, il cranio
piccolo come un gatto, quell’affetto
caldo come un soldo fuso,
e i capelli, la peluria, fine
come lo strato più interno nel pelo
di qualche rara creatura delle nevi,
un’aureola di pelliccia, se mai
incontrassi una bestia così potresti
andarci vicino. Ho cominciato da lì.
* * *
Il ponte oltre il confine
Qui, dovrei senz’altro pensare a casa:
il mio paese e la città ripida e pulita
dove sono cresciuta: i suoi banchi di nubi,
i venti e la luce cangiante, teatrale,
i suoi scrosci di pioggia burbera e gelida, o altrimenti,
la volta che il treno rimase qui un’ora e mezza.
Era caldo, per una volta. Il motore sembrava
borbottare e respirare con noi,
e nel silenzio, il suonatore sul retro
strimpellava Scotland the Brave. C’era
una luce dorata, da film, e l’uomo di fronte
soffriva, diceva, per amore.
Vide un paese nei miei occhi.
Ma era di Los Angeles,
e io pensavo a un altro ponte.
Era ottobre. Io correvo a incontrare un uomo
con cui le cose non erano proprio stabili,
e in effetti non lo sarebbero mai state, e mi fermai
a mezza strada per guardare gli uccelli – rondini
in lontane migliaia, trascinate
verso l’Africa, o il caldo, o la casa, senza sapere
cosa, ma certamente come. Scivolavano sul cielo di carta
erano croci sui grafici del mercato azionaio,
erano sabbia in un canestro scosso,
e io le fissavo, come a setacciare l’oro.
* * *
Un uomo sposato
L’uomo sposato la notte scorsa sognava
di una casa che gli era stata lasciata: una casa come quelle che hai nei sogni,
mille stanze, un corridoio. Vagava
in giro da solo, mi disse, sorrideva
con suo sorriso quieto e interiore. Trovavo
un giardino segreto, mura alte, chiuso, uno strano verde vellutato. Lì, una finestra guardava verso l’oceano. Piegava le mani pallide,
avevo, diceva, la chiave. Sua moglie toccava
la figlia addormentata, pesante lussuoso animale,
e lo guardava, d’intesa, soddisfatta.
traduzioni di Sergio PASQUANDRA
Breve biografia di Kate Clanchy –Nata a Glasgow nel 1965, Kate Clanchy ha studiato ad Edimburgo e Oxford, città in cui oggi vive e lavora come insegnante, giornalista e scrittrice freelance. Ha vinto numerosi premi prestigiosi con diversi libri di poesia tra cui “Newborn”, una raccolta dedicata ai temi della gravidanza, della nascita e della cura di un bambino. Il suo ultimo libro è la biografia “What Is She Doing Here?: A Refugee’s Story”, con cui ha vinto il Writer’s Guild Best Book Award for 2008 e che è stato mandato in onda dalla BBC
Antonia Pozzi condivide una nuova sensibilità dà inizio a una serie di testi di ambientazione cittadina, anzi periferica, a parte la parentesi poetica dedicata al soggiorno a Portofino e Santa Margherita.
AMORE DI LONTANANZA
Ricordo che, quand’ero nella casa
della mia mamma, in mezzo alla pianura,
avevo una finestra che guardava
sui prati; in fondo, l’argine boscoso
nascondeva il Ticino e, ancor più in fondo,
c’era una striscia scura di colline.
Io allora non avevo visto il mare
che una sol volta, ma ne conservavo
un’aspra nostalgia da innamorata.
Verso sera fissavo l’orizzonte;
socchiudevo un po’ gli occhi; accarezzavo
i contorni e i colori tra le ciglia:
e la striscia dei colli si spianava,
tremula, azzurra: a me pareva il mare
e mi piaceva più del mare vero.
Milano, 24 aprile 1929
*
PERIFERIA IN APRILE
Intorno aiole
dove ragazzo t’affannavi al calcio:
ed or fra cocci
s’apron fiori terrosi al secco fiato
dei muri a primavera.
Ma nella voce e nello sguardo
hai acqua,
tu profonda frescura, radicata
oltre le zolle e le stagioni, in quella
che ancor resta alle cime
umida neve:
così correndo in ogni vena
e dici
ancora quella strada remotissima
ed il vento
leggero sopra enormi
baratri azzurri.
24 aprile 1937
*
PERIFERIA
Sento l’antico spasimo
– è la terra
che sotto coperte di gelo
solleva le sue braccia nere –
e ho paura
dei tuoi passi fangosi, cara vita,
che mi cammini a fianco, mi conduci
vicino a vecchi dai lunghi mantelli,
a ragazzi
veloci in groppa a opache biciclette,
a donne,
che nello scialle si premono i seni –
E già sentiamo
a bordo di betulle spaesate
il fumo dei comignoli morire
roseo sui pantani.
Nel tramonto le fabbriche incendiate
ululano per il cupo avvio dei treni…
Ma pezzo muto di carne io ti seguo
e ho paura –
pezzo di carne che la primavera
percorre con ridenti dolori.
21 gennaio 1938
Antonia Pozzi condivide una nuova sensibilità dà inizio a una serie di testi di ambientazione cittadina, anzi periferica, a parte la parentesi poetica dedicata al soggiorno a Portofino e Santa Margherita. Ci sono due poesie intitolate Periferia, di analoga ispirazione. Siamo in un periodo consacrato alla ripresa intellettuale e sentimentale: l’amicizia con Vittorio Sereni, l’amore per Dino Formaggio, con cui Antonia Pozzi condivide una nuova sensibilità sociale fatta anche di desiderio di riscatto e lotta politica, di una nuova necessità di pensiero e di lavoro, che anticipano idealmente la Resistenza. Milano viene riscoperta nelle sue periferie industriali, attraversata in bicicletta, fotografata nei suoi cambiamenti urbanistici fino ai quartieri popolari dove persistono miseria ed emarginazione.
In PERIFERIA IN APRILE il riferimento è ai ricordi infantili di Dino Formaggio sul calcio, le piazzole del gioco tra ragazzi. Nato e cresciuto in periferia da una famiglia operaia, era ammirato dalla Pozzi anche in virtù del suo impegno morale. L’ambiente cittadino, le immagini del gioco del pallone tra ragazzi, ricordano analoghe scene sportive delle poesie di Vittorio Sereni.
Nelle foto: Antonia e Dino. Grazie a Laureto Rodoni.
ANTONIA POZZI-Copia del manoscritto PREGHIERA ALLA POESIA
Antonia Pozzi nasce a Milano da Roberto, avvocato, e da Lina Cavagna Sangiuliani, di nobile famiglia lombarda e pronipote di Tommaso Grossi. Risiede a Milano, nei pressi di corso Magenta; sarà però Pasturo, in Valsassina (Lecco), dove la famiglia acquista nel 1917 una casa settecentesca, a rappresentare il luogo cardine, per usare le parole di Luciano Anceschi in Linea Lombarda, della sua «geografia lirica».
Compie studi classici presso il Liceo Manzoni, ha una cospicua preparazione musicale, segue lezioni private di disegno e scultura; a partire dalla fine degli anni Venti si dedica alla fotografia e a molti sport: scia, nuota, cavalca, pratica tennis e alpinismo; la circonda una colta cerchia di amici fra i quali Paolo e Piero Treves.
Datano alla fine degli anni Venti l’incontro e il legame con Antonio M. Cervi, docente di latino e greco della Pozzi tra il 1927 e il 1928, e la lettura dell’opera poetica di Annunzio Cervi, fratello di Antonio e poeta, morto in guerra nel 1918. Il rapporto con Antonio Cervi si consolida, ma incontra l’opposizione della famiglia Pozzi, che lo contrasta con decisione, fino alla rottura definitiva, avvenuta nel 1933.
Al 1929 risalgono le prime prove poetiche tràdite. Sono anche gli anni in cui stringe significative amicizie, come Elvira Gandini e Lucia Bozzi, le sue migliori amiche. Nel 1930 si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’ateneo milanese. L’università sembra assorbire le sue energie più significative e incanalarle entro un alveo di rinnovate, benché problematiche, sicurezze: esperienze decisive sono per lei la frequentazione dei corsi di Antonio Banfi e la vicinanza dei suoi allievi più importanti (Enzo Paci, Remo Cantoni, Alberto Mondadori, Alba Binda; altri compagni e conoscenti sono Luciano Anceschi, Mario Monicelli, Giulio De Padova, Maria Corti, Daria Menicanti); in questi anni le sono inoltre molto vicini Vittorio Sereni, «quell’essere di sesso diverso, così vicino che pare abbia nelle vene lo stesso tuo sangue, che puoi guardare negli occhi senza turbamento, che non ti è né di sopra né di fronte, ma a lato, e cammina con te per la stessa pianura»[1], e, a partire dal 1935, Dino Formaggio, anch’essi legati a Banfi.
Nel 1933, in vacanza a San Martino di Castrozza, conosce il poeta trentino Tullio Gadenz. A Gadenz scrive lettere in cui definisce il valore vitale e il significato che la poesia assume per lei. In questi anni esplodono le sue vocazioni: poesia, fotografia, montagna. Benché abbia una congenita debolezza alle articolazioni, frequenta guide come Oliviero Gasperi, Emilio Comici (che l’affascina per la sua audacia), con i quali compie difficili escursioni; è lettrice di Guido Rey, che conosce personalmente.
Nel novembre 1935 si laurea discutendo una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. Tra il 1934 e il 1935 si innamora di Remo Cantoni che, convalescente dopo un attacco di tubercolosi, viene ospitato a Pasturo. Si tratta però di un rapporto a senso unico, dacché non si concretizzerà mai in una duratura relazione affettiva. E viaggia: in Inghilterra, nel 1931; in Austria, nell’estate 1936; nel febbraio 1937 a Berlino, Dresda, Praga.
A partire dall’autunno 1937 insegna materie letterarie presso l’Istituto Schiaparelli di Milano, cosa che rappresenta per lei un tentativo di ri-costruzione di sé e di emancipazione dai genitori. Pratica anche, insieme a Lucia Bozzi e a Dino Formaggio, molto volontariato (altro momento formativo) presso la Casa degli Sfrattati di via dei Cinquecento. Durante l’estate del 1938, a Pasturo, oltre a tradurre parzialmente Lampioon di Manfred Hausmann, sperimenta la scrittura in prosa: dopo il tentativo abbozzato nel 1935, intende progettare un romanzo che, ispirato alla vicenda della sua famiglia, sia «la storia della nostra pianura lombarda, e della vita lombarda dal 1870 in poi», ponendovi al centro la nonna Maria Gramignola (chiamata affettuosamente «Nena»). Si tratta, negli intenti almeno, di una storia di luoghi più che di persone: la ricostruzione, trasfigurata, della discendenza matrilineare che da Tommaso Grossi porta a Elisa Grossi, a Maria Gramignola, a Lina Cavagna e finalmente a lei. Antonia è entusiasta: «soltanto da un anno, posso dire, ho cominciato sul serio a vivere. E tu non puoi credere, in questi giorni freschi, dolcissimi, di recupero e di rinnovamento fisico, sotto le foglie delle mie amate piante, quanti pensieri lieti e fattivi mi passano così, tra l’ombra e il sole […]» [2]. All’amica Alba Binda parla anche di Dino Formaggio: «è così immensa la gioia di aver incontrato un’anima che mi capisce, mi valuta e mi vuol bene proprio unicamente per quella parte di me che io ritengo la migliore e la più vera […]. Credo che il carattere energico e ottimistico di Dino […] abbia influito non poco sul mio stato d’animo di ora!»[3]. Tuttavia l’estate, trascorsa tra Pasturo e Misurina, sta inesorabilmente scivolando verso l’autunno delle leggi razziali.
Nell’autunno, la promulgazione delle leggi razziali la fa precipitare in una cupa angoscia che dissolve e lacera tutti gli argini difficilmente costruiti. Gli amici o sono costretti a espatriare, come i fratelli Treves, o sono lontani: Elvira, ormai sposata, si è trasferita in Valtellina e aspetta una bambina; Lucia insegna a Brescia e presto sceglierà la vita claustrale; Sereni, costretto a frequentare un corso ufficiali, è, tra luglio e ottobre, a Fano; Paolo e Piero Treves, dopo la promulgazione delle leggi razziali, emigrano in Inghilterra. La sera del I dicembre assiste a un concerto della Società del Quartetto; ci sono anche Elvira e Lucia. Durante l’intervallo incontra Banfi, che le domanda del lavoro di rielaborazione del Flaubert in vista della sua pubblicazione; Antonia risponde: «Ci vorrà tempo ancora […]: molto è da rifare, e mi sto rifacendo anch’io»[4]. Incontra anche Dino Formaggio, cui rivolge presumibilmente la disperata richiesta di una relazione più profonda. Dino le fa capire quanto sia per lui importante il loro rapporto d’affetto, che tuttavia non sarebbe mai diventato d’amore.
La mattina del 2 dicembre 1938 va regolarmente a scuola; i ragazzi la scorgono però piangere sommessamente. Verso le 11 accusa un «malore»; saluta i suoi allievi sollecitandoli a «essere buoni» e si dirige a Chiaravalle, nella periferia milanese, mèta di comuni gite in bicicletta e di pomeriggi di studio. Si sdraia in un prato, e, assunta una dose massiccia di barbiturici, si lascia morire. Un contadino la scorge e dà l’allarme; viene portata al Policlinico ma, ormai agonizzante, è ricondotta a casa la sera del 3 dicembre. Muore quella stessa sera. Lascia tre messaggi: uno, brevissimo, per Sereni, scritto su un foglio dove aveva precedentemente trascritto una poesia dell’amico, Diana; un altro per Formaggio; un altro ancora per i genitori: «ciò che mi è mancato è stato un affetto fermo, costante, fedele, che diventasse lo scopo e riempisse tutta la mia vita. […] Fa parte di questa disperazione mortale anche la crudele oppressione che si esercita sulle nostre giovinezze sfiorite. […] Direte alla Nena che è stato un male improvviso, e che l’aspetto. Desidero di essere sepolta a Pasturo, sotto un masso della Grigna, fra cespi di rododendro. Mi ritroverete in tutti i fossi che ho tanto amato. E non piangete, perché ora io sono in pace. La vostra Antonia». I funerali si svolgono il giorno 5 a Milano e il giorno 6 a Pasturo, dove è sepolta. Per i prati spazzati da un forte vento di tramontana si snoda un interminabile corteo di persone, conoscenti e amici, ad accompagnarla «all’altra riva, ai prati | del sole», come lei stessa aveva scritto, il 3 dicembre 1934, in Funerale senza tristezza.
1. Antonia Pozzi, lettera a Vittorio Sereni, Pasturo 20 giugno 1935, in Ead., L’età delle parole è finita. Lettere, a cura di Alessandra Cenni e Onorina Dino, Archinto, Milano 2002, p. 193.
2. Ead., lettera ad Alba Binda, Pasturo 7 luglio 1938, ibidem, p. 252.
3. Ibidem, p. 254.
4. Cit. Antonio Banfi, premessa a Antonia Pozzi, Flaubert. La formazione letteraria, Garzanti, Milano 1940.
Fonti, risorse bibliografiche, siti su Antonia Pozzi
Giorgia Meriggi è nata nel 1966 a Milano, dove si è laureata in filosofia con una tesi dal titolo Corpo, ragione, passioni nei romanzi libertini di D.A.F. de Sade. Con Stampa Alternativa ha pubblicato nel 2012 Comizi d’amore. Manuale di diseducazione sessuale, insieme a Paolo Pedote. Nel 2017 ha pubblicato per Marco Saya editore, nella collana Sottotraccia, il suo primo libro di versi, Riparare il viola. Una traduzione di alcune sue poesie in spagnolo è apparsa nel volume Di poesia e di psicoanalisi. L’indicibile sottratto al nulla, a cura di Eva Gerace, Città del Sole Edizioni, 2018.
Decidi cosa è vero
e cosa no
levi o metti una parola
dove
ti fa male.
La verità
è che vi ho amati tutti
per contraffazione.
Come di notte
il traffico stradale
è
il rumore del mare
in viale Sarca.
***
Ricordati di santificare
i fraintedimenti
la grandine creduta
viva
perché cade e grida
il catrame
creduto mare
per stregoneria del sole.
Se qualcosa nel baratro
emana bagliore
ti guarda
con i tuoi occhi.
Talvolta è il regno
dei cieli: un vetro,
tu la rondine.
Biografia di Giorgia Meriggi è nata nel 1966 a Milano, dove si è laureata in filosofia con una tesi dal titolo Corpo, ragione, passioni nei romanzi libertini di D.A.F. de Sade. Con Stampa Alternativa ha pubblicato nel 2012 Comizi d’amore. Manuale di diseducazione sessuale, insieme a Paolo Pedote. Nel 2017 ha pubblicato per Marco Saya editore, nella collana Sottotraccia, il suo primo libro di versi, Riparare il viola. Una traduzione di alcune sue poesie in spagnolo è apparsa nel volume Di poesia e di psicoanalisi. L’indicibile sottratto al nulla, a cura di Eva Gerace, Città del Sole Edizioni, 2018.
Fotografia di proprietà dell’autrice.
-FONTE-
Le Poesie sono pubblicate dalla Rivista di Poesia «Avamposto»è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
Contatti
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
Giovanni Prati – Il Romanticismo italiano-Nuovi canti Poesie-
– Editore Stabilimento Tipografico Fontana di TORINO 1844 –
Giovanni Prati
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni PratiGiovanni PratiGiovanni Prati
Giovanni Prati – Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Giovanni Prati (1814-1884) fu uno dei più importanti esponenti del secondo romanticismo italiano. Partecipò attivamente alle vicende politiche risorgimentali con una attitudine cavalleresca e disordinata che gli creò seri problemi e difficoltà di rapporto con gli altri attori dei movimenti patriottici. Ebbe una vita avventurosa passando dal natio Trentino, a Padova, dove frequentò senza concluderli gli studi giuridici, a Milano, a Torino, in Svizzera, sempre seguito da polemiche anche calunniose. Fu allontanato dall’insorta Venezia come elemento perturbatore e per la fede monarchica; anche la Firenze del Guerrazzi lo respinse per i suoi legami con la dinastia sabauda, infine furono proprio i Savoia a procurargli impieghi e serenità e al loro seguito si trasferì da Torino a Firenze e infine a Roma. Non smise mai di dedicarsi alla prediletta attività poetica e letteraria contraddistinguendosi per il suo stile melodico e musicale, e per la realistica attenzione al mondo e al sentire della borghesia.
Giovanni Prati-Nuovi canti – Torino, Stabilimento Tipografico Fontana 1844 –
Poesie di Giovanni Prati
Incantesimo
La maga entro l’arena
girò, cantando, l’orma:
con frasca di vermena
mi ha tocco in sull’occipite,
ed io mi veggio appena in questa forma.
Sì picciolo mi fei
per arte della maga,
che in verità potrei
nuotar sopra diafane
ale di scarabei per l’aura vaga.
O fili d’erba, io provo
un’allegria superba
d’esser altrui sì novo,
sì strano a me. Deh fatemi,
fatemi un po’ di covo, o fili d’erba.
Minuscola formica
o ruchetta d’argento
sarà mia dolce amica
nell’odoroso e picciolo
nido che il sol nutrica e sfiora il vento.
E della curva luna
al freddo raggio, quando
nella selvetta bruna
le mille frasche armoniche
si vanno ad una ad una addormentando;
e dentro gli arboscelli
si smorza la confusa
canzon de’ filunguelli,
e sotto i muschi e l’eriche
l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa;
noi, cinta in bianca veste
la piccioletta fata
vedrem dalla foresta
venir nei verdi ombracoli,
di bianchi fior la testa incoronata.
E dormirem congiunti
sotto l’erbetta molle;
mentre alla luna i punti
toglie l’attento astrologo,
e danzano i defunti in cima al colle.
I magi d’Asia han detto
che quanto il corpo è meno,
più vasto è l’intelletto,
e il mondo degli spiriti
gli raggia più perfetto e più sereno.
Infatti, io sento l’onde
cantar di là dal mare,
odo stormir le fronde
di là dal bosco; e un transito
d’anime vagabonde il ciel mi pare.
Da un calamo di veccia
qua un satirin germoglia,
da un pruno, o mo’ di freccia,
la sbalza un’amadriade
è in parto ogni corteccia ed ogni foglia.
Lampane graziose
giran la verde stanza:
e, strani amanti e spose,
i gnomi e le mandragore
coi gigli e con le rose escono in danza.
Del mondo ameno e tetro
com’è che ai sensi tardi
mi piove il raggio e il metro?
E né cornetta acustica
mi soccorre né vetro orecchi e sguardi?
Com’è che le mie colpe
non anco all’olmo e al pino
latra la iniqua volpe?
Né il truculento martoro
mi succhiella le polpe a mattutino?
Sono un granel di pepe
non visto: ecco il mistero.
L’erba sul crin mi repe,
ed è minor che lucciola
nell’ombra siepe il mio pensiero.
Oh fata bianca, come
un nevicato ramo,
dagli occhi e dalle chiome
più bruni della tenebra,
e dal soave nome in ch’io ti chiamo.
Oh Azzarelina! in pegno
dell’amor mio, ricevi
questo morente ingegno,
tu che puoi far continovi
nel tuo magico regno i miei dì brevi.
L’erbetta ov’io m’ascondo
so che è incanata anch’ella;
né vampa o furibondo
refolo o gel mortifica
lo smeraldo giocando in che è sì bella.
So che, d’amor rapita,
in un perpetuo ballo
mi puoi mutar la vita
o su fra gli astri, o in nitide
case di margherita e di corallo.
sien acque, o stelle, o venti,
ove abitar degg’io,
per primo don m’assenti
il bacio tuo: per ultimo,
dei rissosi viventi il pieno oblìo.
Ascolta, Azzarelina:
la scienza è dolore,
la speranza è ruina
la gloria è roseo nugolo,
la bellezza è divina ombra fiore.
Così la vita è un forte
licor che ebbri ci rende,
un sonno alto è la morte
e il mondo un gran Fantasima
che danza con la Sorte e il fine attende.
Vieni ed amiam. L’aurora
non spunta ancor; gli steli
ancor son curvi; ancora
il focherel di Venere
malinconico infiora i glauchi cieli.
Vieni ed amiam. Chi vive,
naturalmente guada
alle tenarie rive:
ma chi è prigion nel circolo
che la tua man descrive a ciò non bada.
Giovanni Prati
Un giorno d’inverno
Sempre sul farsi della tacit’ora
Crepuscolar m’invade una tranquilla
Malinconia, che dolcemente irrora
Questi occhi del dolor che da lei stilla.
Guardo il foco morente, e m’innamora
Tenervi intenta e risa la pupilla,
lnsin che appena qualche brace ancora
Tra la commossa cenere scintilla.
Il crepitar di quella ultima vita,
L’ombra addensata e la cadente neve
Di piu cupa tristezza il cor mi serra.
E prorompoll dall’anima atterrita:
Mio Dio, che sogno è questo viver breve!
Mio Dio, che solitudine è la terra!
Oh che cielo!
Oh che cielo ! oh che mar ! Quella profonda
e doppia immensità quanti sospiri
mi trae dal cor ! di che malie m’inonda!
con che forza m’assorbe entro i suoi giri!
La man per gioco, o fanciulletta bionda,
non por sugli occhi miei: lascia ch’io miri
queste due glorie. A te né il ciel né l’onda
parlano: ed altro muove i tuoi desiri,
Te move il riso dell’età tua verde,
un’ape d’oro, una farfalla, un fiore:
me l’infinito ciel, l’onda infinita.
E in questi abissi il mio pensier si perde,
e mentre scherzi, o bimba, il pensatore
piange tra il vel delle tue rosee dita.
Alba
Fumano i campi; la rugiada stilla
sull’erba nova; il cheto aere si desta
il sol che spunta, e con l’aletta in resta
il cardellino in cima al gelso trilla.
Al giocondo lavor sparsa è la villa
sui bruni solchi; pei declivi a festa
saltan le capre; e in seno a la foresta
le allegrie della caccia il corno squilla.
Questa è vita davver; questo è divino
elemento di forza all’uman petto:
aria, luce, tripudio, opera intorno.
E noi, civico vulgo, ogni mattino
(fatica insigne!) ci leviam dal letto,
pallidi spettri, ad invecchiar d’un giorno.
Ramuscello
O ramuscel di mandorlo,
quando su te si posa
il cardellino, e ai limpidi
rigagni e al ciel di rosa
sparge la fresca e lieta
anima di fanciullo e di poeta;
o ramuscel, per magica
arte io vorrei mutarmi
nell’ augellin che dondola
su te, trillando carmi;
su te che spargi al vento
la molle nebbia de’ tuoi fior d’argento.
E là, cantando il giovane
mio tempo e i dolci inganni,
le ingrate nevi e il cumulo
non sentirei degli anni.
Ma ognun la sua fatale
stella ha sul capo; ed accusarla è male.
Marionette
Al fantolino, più che pesca o mela,
piace il casotto degl’incanti, dove
un piccol mondo di figure nove
al suo cupido e fermo occhio si svela:
né sa che dietro la dipinta tela
per fili arcani in giocolier le move;
e crede velo il finto; e in quelle prove,
in quegli atti, in que’ volti avvampa e gela.
Grandeggia quindi il fantolin con l’ora:
e nel mondo degli uomini s’aggira,
e crede vero ciò ch’ è finto ancora.
Uom poi diventa, e si travaglia e stanca
pur dietro a sogni: e il dì che l’ombra ei mira
del Ver, spìa sul quadrante, e il tempo manca.
Giovanni Prati
Or passeggi solinga
Ti veggo, o madre; per i conscii lochi
dove teco scherzava io fanciulletto
or passeggi solinga, e il caro aspetto
del tuo lontano lacrimando invochi.
Parmi d’udire i tuoi gemiti fiochi
i quando mesta riguardi il vacuo letto,
e tuo figlio mancar vedi al banchetto,
e il cerchi indarno ai consueti giochi.
Sì, vederti mi par, parmi d’udirti
povera madre! e rimaner lontano,
tal rimorso è per me ch’io non so dirti.
Conosco il fallo e m’addoloro e piango!
Ahi! Com’è questo cor misero e strano!
Conosco il fallo, eppur lontan rimango.
Tra veglia e sonno
Un verno a notte bruna
mentre nell’erma stanza
d’Usca inducea la luna
un pallido chiaror,
cantò questa romanza
il reduce Gildorl.
«Senti diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor:
compi la tua promessa;
vieni, mio dolce amor.
Eccoti il lino bianco,
segnaI della tua fede;
mirami cinta al fianco
la ciarpa tricolor;
vieni, nessun ti vede,
angelo del mio cor.
Mio bel tesor, calcai
sabbie infuocate e nevi;
un oceàn varcai
per te, mio bel tesor;
per me varcar tu devi .
solo un vial di fior.
Tu mi dicesti un giorno,
con lacrime dirotte:
«Quando farai ritorno,
chiamami, o mio Gildor,
chiamami a mezzanotte, .
ti volerò sul cor.»
Senti, diletta mia,
la mezzanotte appressa;
io gelo sulla via,
e tu non vieni ancor;
compi la tua promessa,
vieni, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
piti bello ho salutato
ma te recando in core,
fu mio secondo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.
Che fai, diletta mia?
Quell’ora è già suonata.
lo gelo sulla via,
e tu non vieni ancor …
Ti sei di me scordata;
addio, mio dolce amor.
Soldato e trovatore,
le belle ho ricusato ;
or senza te nel core,
sarà mio solo amor
la spada del soldato
e il suon del trovator.»
E dileguò. Svegliata
Usca, sul far del giorno,
disse d’aver sognata
la voce di Gildor;
e aspetta il suo ritorno
la poveretta ancor.
Biografia di Giovanni Prati
Busto di Giovanni Prati (Trento)
Giovanni Prati (Comano Terme, 27 gennaio 1815 – Roma, 9 maggio 1884) è stato un poeta e politico italiano.
Giovanni Prati
Giovanni Prati nacque nel 1815 a Dasindo (oggi frazione del Comune di Comano Terme) nel Trentino, all’epoca appartenente all’Impero Austro-Ungarico e si formò nell’Imperial Regio Ginnasio d’Austria-Ungheria di Trento, intitolato alla sua persona nel 1919, Liceo Classico Giovanni Prati, dopo il passaggio del Trentino – Alto Adige all’Italia. Nello stesso Ginnasio studiò il poeta e patriota Antonio Gazzoletti.
Studiò legge a Padova e si dedicò alla poesia. Si sposò nel 1834 con Elisa Bassi, dalla quale ebbe tre figli: Riccardo, Rita ed Ersilia (i primi due morirono infanti). La moglie venne a mancare nel 1840. I temi della morte della moglie e dell’affetto per la figlia ritorneranno frequentemente nelle sue liriche. Pubblicò a Padova la prima raccolta, Poesie, nel 1836. Decise di trasferirsi a Milano nel 1841; qui conobbe Alessandro Manzoni e pubblicò l’Edmenegarda, una novella sentimentale in endecasillabi sciolti che ebbe un grande successo di pubblico ma fu stroncata dalla critica.
A Milano pubblicò nel 1843 i Canti lirici, canti per il popolo e ballate; nel 1844 dette alle stampe Memorie e lacrime e Nuovi canti. Dal 1845 al 1848 soggiornò a Padova, a Venezia e a Firenze. Nel 1848, recatosi a Torino, si mostrò sostenitore della Monarchia Sabauda. Negli anni che precedettero la prima guerra di indipendenza, fu sostenitore di Re Carlo Alberto di Savoia: per questo motivo, gli austriaci lo espulsero dal Regno Lombardo Veneto (anche Milano e Venezia all’epoca appartenevano all’Impero),e il governo di Firenze del Granducato di Toscana (sotto la dinastia Asburgo-Lorena) gli rifiutò l’asilo politico.
Furono questi i tempi più difficili e tormentati della sua vita perché professava i suoi ideali a favore della Monarchia Sabauda in una terra ostile e tra uomini decisamente avversi. Legato da ideali alla Monarchia Sabauda tornò a Torino, dove la sua fedeltà fu premiata con la nomina del Re Vittorio Emanuele II di Savoia a storiografo della Corona. Nel 1851 sposò in seconde nozze l’attrice drammatica Lucia Arnaudon.
Nel 1861 nel Governo Cavour (VIII legislatura del Regno d’Italia) venne eletto Deputato nel Parlamento Italiano con Torino divenuta Capitale del Regno d’Italia. A Torino presso il Caffè Fiorio in via Po, frequentato tra gli altri anche da Camillo Benso conte di Cavour, Massimo D’Azeglio, Urbano Rattazzi, Gabrio Casati, discuteva le sorti della neonata Italia. Nel 1865 seguì il Governo Unitario a Firenze divenuta Capitale, dove conobbe Mario Rapisardi, Niccolò Tommaseo, Atto Vannucci, Pietro Fanfani, Arnaldo Fusinato, Francesco Dall’Ongaro, Terenzio Mamiani ed altri.
Nel 1871 si trasferì a Roma divenuta Capitale d’Italia, nel 1876 divenne Senatore nel governo Depretis I XIII legislatura del Regno d’Italia nel 1878 divenne membro del Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1878 il Ministro dell’Istruzione Francesco De Sanctis governo Cairoli I fondò a Roma l’Istituto Superiore di Magistero del quale Giovanni Prati divenne direttore. Durante questi anni la sua poesia aveva continuato a fluire con la pubblicazione del poema Armando (1868, una parte del quale era apparsa nel ’64), degli oltre cinquecento sonetti di Psiche (1876) e delle liriche raccolte in Iside (1878). Morì a Roma nel 1884.
Sepolto a Torino, le sue ceneri furono trasferite nel paese natio ricongiunto alla patria. Dal 1923 le sue spoglie risiedono nella chiesa di Dasindo di Lomaso.
Note biografiche tratte e riassunte da Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Giovanni_Prati
Artista Hans Bachmann-Titolo:”A Christmas Carol In Lucerne” anno 1887 –
Rainer Maria Rilke Poesia La nascita di Gesú-
Rainer Maria Rilke, nome completo René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema.
È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge.
Poesia di Rainer Maria Rilke
La nascita di Gesú –
Se tu non fossi stata, in tua fattura, solo umiltà, — come poteva, o Donna, accader l’ineffabile prodigio, che illumina la Notte all’improvviso? L’Iddio che era in corruccio con le genti, s’è conciliato…. E viene al mondo in te.
Forse piú grande lo sognavi, Madre? Che vuol dire grandezza? Ogni oltre limite ed ogni oltre misura della terra, ch’Egli sovrasta e annulla, il suo destino va diritto nel mondo, ora, per vie finanche ignote ai trànsiti degli astri.
Guarda! Sono grandi questi Re. Travolsero innanzi al tempio del tuo Grembo santo i piú ricchi tesori della terra…. E tu forse stupisci, umile, ai doni. Ma guarda! Fra le pieghe dello scialle, il tuo Pargolo, già, tutto trascende. L’ambra che va lontano sui navigli, l’oro contesto in fulgidi gioielli, l’incenso che si esala e che c’inebria, passano, Donna. E lascian solamente amarezza d’inutili rimpianti….
Ma il Bimbo che ti splende, ora, nel grembo (domani lo saprai!) conduce e dona la Gioia che non passa e che si eterna.
Rainer Maria Rilke
(Traduzione di Vincenzo Errante)
da “La vita di Maria, 1912”, in “Rainer Maria Rilke, Liriche scelte e tradotte da Vincenzo Errante”, Sansoni, 1941
∗∗∗
Geburt Christi
Hättest du der Einfalt nicht, wie sollte dir geschehn, was jetzt die Nacht erhellt? Sieh, der Gott, der über Völkern grollte, macht sich mild und kommt in dir zur Welt.
Hast du dir ihn größer vorgestellt?
Was ist Größe? Quer durch alle Maße, die er durchstreicht, geht sein grades Los. Selbst ein Stern hat keine solche Straße. Siehst du, diese Könige sind groß,
und sie schleppen dir vor deinen Schoß
Schätze, die sie für die größten halten, und du staunst vielleicht bei dieser Gift —: aber schau in deines Tuches Falten, wie er jetzt schon alles übertrifft.
Aller Amber, den man weit verschifft, jeder Goldschmuck und das Luftgewürze, das sich trübend in die Sinne streut: alles dieses war von rascher Kürze, und am Ende hat man es bereut.
Aber (du wirst sehen): Er erfreut.
Rainer Maria Rilke
da “Das Marien-Leben”, Leipzig: Insel Verlag, 1912
Dipinto allegato è Opera dell’Artista Hans Bachmann-Titolo:”A Christmas Carol In Lucerne” anno 1887 –
Rainer Maria Rilke, nome completo René Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (Praga, 4 dicembre 1875 – Montreux, 29 dicembre 1926), è stato uno scrittore, poeta e drammaturgo austriaco di origine boema.
È considerato uno dei più importanti poeti di lingua tedesca del XX secolo. Autore di opere sia in prosa che in poesia, è famoso soprattutto per le Elegie duinesi (iniziate durante un soggiorno a Duino), i Sonetti a Orfeo e I quaderni di Malte Laurids Brigge.
Rilke viene oggi riconosciuto come il maggior poeta tedesco dell’età moderna, come uno dei più grandi interpreti lirici della spiritualità moderna, ma la sua opera si ricollega più che altro al secolo precedente, ai simbolisti francesi (di cui tradusse anche diverse opere) e al clima decadente di fine Ottocento/inizio Novecento.
I temi di fondo delle opere di Rilke sono la religiosità, profondamente influenzata dall’ambiente cattolico della sua famiglia, ma che si modifica nelle opere seguenti ai viaggi in Russia in cui era venuto a contatto con l’anziano Tolstoj, cioè in Storie del buon Dio e nel Libro delle ore (in tedesco: Das Stundenbuch, 1899-1903).
Qui il Dio di Rilke appare panteistico e presente in tutte le cose, e la sua religiosità sembra più di tipo lirico-simbolico. Accanto a ciò l’altro grande elemento dell’uomo senza casa, presente anche in Franz Kafka, un uomo privo quindi delle certezze basilari sulla sua vita e che soffre profondamente per questa sua condizione.
A partire dal Libro delle immagini (Das Buch der Bilder, 1902 seconda edizione del 1906) la sua poesia prende una via nuova, sulla quale si sente l’influenza delle altre arti, pittura e scultura con le quali era venuto a contatto soprattutto nel suo soggiorno parigino; il poeta non vuole più parlare ma cerca una soggettività facendo parlare le cose, gli uomini, gli animali, ottenendo i suoi esiti più alti nelle Poesie Nuove (Neue Gedichte, 1907).
In seguito la produzione di Rilke sarà sempre più simbolica-profetica e filosofica, di non facile comprensione. Di particolare interesse per la sua poetica è il concetto di «spazio interno del mondo», quel «Weltinnenraum» che Rilke vede estendersi attraverso tutti gli esseri.
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