Poesia Edita e Inedita
Jude STEFAN il Poeta tradotto da Sergio Solmi-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA-
Jude STEFAN tradotto da Sergio SOLMI
Biblioteca DEA SABINA-Jude STEFAN tradotto da Sergio SOLMI
Le liriche di Jude Stefan sono tratte da Libères, Paris, Gallimard, 1970; le traduzioni di Sergio Solmi da Quaderno di traduzioni II, Torino, Einaudi, “Collezione di Poesia”, 1977.
Le chiese defunte
Ogni domenica all’ora morta quando
traversano le piazze divagando
i cani quando non s’odono le nuvole
addormentate le dimore e la voce
d’umani incappellati
nei vuoti del giorno risuona si vede
un’ombra che s’incammina al rifugio del Dio
alta navata deserta dove le statue
pregano spettri nel silenzio dorato:
talvolta una panca vi crolla sollevando
polvere talvolta vi trema un cero
segnalando l’anima senza luogo talvolta
l’organo glorioso la leggendaria
disgrazia vi deplora.
Animali
Animali come i caprioli nella loro
rimessa solitaria il cavallo
che pascola o la civetta sulla trave
Voi pure vivete in corpi talvolta
di lunga vita fatti di carne e pelli
dove gli occhi farebbero credere perfino
a un’anima quando ci guardate
come noi animati ma il silenzio
vi salva dalla morte che in noi parla
accreditando la sua potenza e più giusti
passate più stabili ossami
senza ricordi.
Jude e Judith
E l’inverno Jude? L’inverno è oblio
della primavera ancora qui sotto la neve
dei lillà (o tempo bianco lugubre
uffizio come un bacio rassomiglia
all’odio violentato su belle
labbra abbiette di ladruncola schiacciata
contro un albero mentre rauche
in lento grido svolazzano le cornacchie
essa l’occhio e la carne io la loro sbattente
ossessione!). E questi giusti nomi
d’estate, autunno? La furia di maturare
poi di colpo appassire.
A Malherbe più che uomo
Dunque dopo tre quattro secoli in questo
vicolo ecco un neo-poeta intirizzito
cui la mente assiduo visitò l’illustre
poeta dello stadio del ginnasio e della dimora
ingiallita dove alto e pallido staziona
il suo profilo tra altri furtivi
spiando la sua preda. Malherbe è morto da lunghi
anni e la poesia delle rose ma rimane la sua casa severa
come lui drappeggiata nell’alterigia delle pietre.
Che laggiù l’Orne invernale si contempli
d’ombre riflettenti la bruma di cui
il velo le avviluppa fino al tempo
ch’esse rapite rivedano egli ha detto
il puro croco che il giorno conduce
dal mare.
Del tempo presente
Per pietà che mi si dia del tempo! Ma dove mai
sono gli istanti non fuggenti? Dove
siete voi bei segni del tempo voi qui
ragazze presenti Denise dalle mani
troppo rosse Agnese dai grossi polpacci
Viviane la silvestre la funebre Margot
Irene la gatta la linguetta rude
d’Agathe Bora? In quale paese di gesta
in quale anno di regno? Dove i vostri occhi quando
da lungi vi si chiama? Dove mai sono i momenti
presenti?
Congedo
E’ progressivamente scomparso il sole
repentino come capita l’ineluttabile
dopo il tempo dopo l’amore fino
alla morte stessa all’ovest una riga
di pioppi dove le nuvole fanno
lunga ombra verdastra e un tempo
gli uccelli volavano già in cielo?
Ora lo si riode il fiume lenta-
mente la bruma si dilata
ogni giorno per me cambiare la rosa
addio a parole come macerie e devastazione.
Le liriche di Jude Stefan sono tratte da Libères, Paris, Gallimard, 1970; le traduzioni di Sergio Solmi da Quaderno di traduzioni II, Torino, Einaudi, “Collezione di Poesia”, 1977.
Breve Biografia di -Stéfan, Jude. – Pseudonimo del poeta, saggista e novelliere francese (n. Pont-Audemer 1930) Jacques Dufour, che allude al romanzo di T. Jacques Dufour, e al joyciano Stephen Dedalus. Ha studiato diritto, filosofia e letteratura e le prime quattro opere poetiche, da Cyprès (1967) a Libères (1970), da Idylles a Cippes (1973), recepite in italiano nella scelta Poesie (1978),nascono nel clima sperimentale della rivista letteraria Tel Quel. Il massimo equilibrio fra la vena provocatoria e la componente elegiaca è colto in Alme Diane (1986; trad. it. 1999) e À la vieille Parque (1989), poesie che celebrano l’eros e la morte, in cui la versificazione appare originale. Parallelamente, è molta anche la produzione saggistica e narrativa, esemplificata dalle prose di Lettres tombales (1983; trad. it. 2005), mentre qualche segno di ripetizione mostrano le raccolte poetiche più recenti, da La Muse Province (2002) a Que ne suis-je Catulle (2010), che tuttavia confermano l’energia formale della sua arte fluida e priva di remore sentimentali.
Fonte Enciclopedia TRECCANI
Les feues églises
Chaque dimanche à l’heure morte où
parcourent les places en divaguant
les chiens quand on n’entend pas les
nuages que dorment les demeures et
que la voix d’humains enchapeautés
aux vides du jour résonne on voit
une ombre qui va au refuge du Dieu
haute nef déserte où les statues prient
des spectres en le silence doré:
parfois y tombe un blanc suscitant
la poussière parfois y tremble un cierge
signalant l’âme sans lieu parfois
y déplore le malheur légendaire l’orgue
de gloire.
Animaux
Animaux comme les chevreuils en leur
remise solitaire le cheval qui
paît ou sur la poutre la chouette
Vous aussi vivez en corps parfois
de longue vie faits de chairs et
peaux où les yeux feraient croire aussi
à une âme quand Vous nous regardez
comme nous animés mais le silence
vous sauve de la mort en nous qui parle
accréditant sa puissance et plus justes
Vous passez plus stables ossements sans
souvenirs.
Jude et Judith
– Et l’hiver Jude? – L’hiver est oubli
du printemps là encore sous la neige
des lilas (O temps blanc lugubre
ministère comme un baiser ressemble
à la haine violenté sur belles lè-
vres abjectes de maraude écrassée
contre un arbre tandis que rauques
en lent cri volettent les corneilles
elle l’oeil et la chair moi leur bat-
tante hantise!) – Et ces justes noms
d’été d’automne? – La passion de mûrir
puis de flétrir déjà.
À Malherbe mieux qu’homme
Après donc trois quatre siècles en cette
venelle voici un néo-poète et
transi que hanta l’illustre poète
du stade et du gymnase et de l’hôtel
jauni où pâle et haute stationne
sa silhouette parmi furtives autres
guettant sa proie. Malherbe est mort depuis
longues années et la poésie des
roses mais demeure sa maison sévère
drapée comme lui du dédain des pierres.
Que là-bas l’Orne d’hiver se mire
d’ombres réfléchissant sa brume dont
le voile les enveloppe jusqu’au temps
ravies qu’elles revoient a-t-il dit
ce pur safran par le jour apporté
de la mer.
Adrienne Rich-femminista e poetessa politica americana-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Adrienne Rich-femminista e poetessa politica americana
Poesie di Adrienne Rich
Una notte chiara
se la mente fosse semplice,
se la mente fosse nuda di tutto
se fosse chiara la mente
tranne che delle necessità più antiche:
cucchiaio di legno coltello specchio
tazza lampada scalpello
un pettine che passa tra i capelli accanto a una finestra
un lenzuolo
gettato via nel sonno
Una notte chiara in cui due pianeti
sembrano avvinghiarsi l’uno all’altro in cui l’erba
terrestre
si muove come seta nella luce stellare
Se la mente fosse
chiara
se la mente fosse semplice potresti prendere questa
mente
questo particolare stato e dire
Così vivrei se potessi scegliere:
questo è ciò che è possibile
Una notte chiara.
Ma la mente
della donna che immagina tutto questo
la mente
che rende tutto questo possibile
non è chiara come la notte
non è mai semplice
non può abbracciare
le sue verità come si abbracciano i pianeti in transito
non così facilmente
si libera dal rimorso
non così facilmente
compie il miracolo
per cui la mente è famosa
o era famosa
non diventa astratta e pura a comando
la mente di questa donna
non desidera neppure quel miracolo
ha una diversa missione
nell’universo
Se la mente fosse semplice
se la mente fosse nuda
potrebbe assomigliare a una stanza
un interno pulito
ma come potrebbe essere possibile ora
date le voci delle città- fantasma
le loro minute, vaste configurazioni
che attendono di essere decifrate
la notte oracolare
densa di suoni
Se potesse mai ridursi a qualcosa di simile
a un pettine che passa tra i capelli accanto a una finestra
niente di più
un lenzuolo
gettato via nel sonno
ma la mente
della donna che pensa questo
è avvolta nella battaglia
occupata da una diversa missione
uno stelo d’erba secca erba piumosa radicata nella neve
che si agita nell’aria gelida una bacchetta fiera
che disegna grafici
Anche il dito scorre
su pagine di un libro
ha più buon senso della poesia che legge
conosce attraverso la poesia
attraverso i vetri piumati di ghiaccio
l’inverno
che contrae gli artigli
il vento-falco
pronto ad uccidere.
Esplorando il relitto (1972)
Dopo aver letto il libro di leggende
e caricato la macchina fotografica
e controllato il filo del coltello,
indosso
l’armatura di gomma nera
le assurde pinne
la maschera solenne e goffa.
Devo farlo
non come Cousteau con la sua
squadra assidua
a bordo del veliero inondato di sole
ma qui da sola.
C’è una scaletta.
La scaletta è sempre là
a pendere innocente
sul fianco del veliero.
Sappiamo a cosa serve
noi che l’abbiamo usata.
Altrimenti è una scoria che galleggia sul mare
solo un pezzo di attrezzatura.
Scendo.
Piolo dopo piolo e tuttavia
l’ossigeno mi immerge
la luce blu
gli atomi sottili
della nostra aria umana.
Scendo.
Le pinne mi impacciano,
striscio come un insetto giù per la scala
e non c’è nessuno a dirmi
quando comincerà
l’oceano.
All’inizio l’aria è blu e poi
un blu più intenso e poi è verde poi
nera vedo nero eppure
la mia maschera è potente
pompa il sangue con forza
il mare è un’altra cosa
il mare non è una questione di potere
devo imparare da sola
a muovere il mio corpo senza sforzo
nell’ elemento profondo.
E ora: è facile dimenticare
perché sono venuta
tra i tanti che hanno sempre
vissuto qui
agitando le loro code merlate
tra gli scogli
inoltre
quaggiù il respiro è diverso.
Sono venuta a esplorare il relitto.
Le parole sono intenzioni.
Le parole sono mappe.
Sono venuta a vedere il danno compiuto
e i tesori che persistono.
Passo il raggio della torcia
lentamente sui fianchi
di una cosa più eterna
dei pesci e delle alghe
la cosa per cui sono venuta:
il relitto e non la storia del relitto
la cosa in sé, non la leggenda
il viso affondato rivolto sempre
al sole
i segni del danno
consumati dal sale e dal rollio in questa bellezza logora
le costole della rovina
che macerano la loro protesta
tra gli intrusi esitanti.
Questo è il luogo.
E io sono qui, la sirena e le onde nere
dei suoi capelli, il tritone nella sua armatura
Giriamo in silenzio
attorno al relitto
sprofondiamo nella stiva.
Sono lei: sono lui
il cui viso affondato a occhi aperti dorme
il cui petto sopporta ancora la fatica
il cui carico d’oro, argento e rame riposa
al buio nelle casse
sprofondate mezze marce
siamo gli strumenti semidistrutti
che una volta tenevano in rotta
il giornale di bordo smangiato dall’acqua
la bussola incrostata
Siamo, sono, sei
per viltà o coraggio
l’essere che ritroviamo la via sin qui
fino a questa scena,
con un coltello, una macchina fotografica,
un libro di leggende
in cui
il nostro nome non compare.
Biografia di Adrienne Rich, femminista e poetessa politica-
Adrienne Rich è nata il 16 maggio 1929 a Baltimora, nel Maryland. Ha studiato al Radcliffe College, laureandosi Phi Beta Kappa nel 1951. Quell’anno il suo primo libro, “A Change of World”, è stato selezionato da W.H. Auden per la serie Yale Younger Poets. Man mano che la sua poesia si sviluppava nei successivi due decenni, iniziò a scrivere versi più liberi e il suo lavoro divenne più politico.
Adrienne Rich sposò Alfred Conrad nel 1953. Vivevano in Massachusetts e New York e avevano tre figli. La coppia si separò e Conrad si suicidò nel 1970. In seguito Adrienne Rich uscì come lesbica. Ha iniziato a vivere con la sua compagna, Michelle Cliff, nel 1976. Si sono trasferiti in California negli anni ’80.
Primi anni di vita
Adrienne Rich è nata il 16 maggio 1929 a Baltimora, nel Maryland. Ha studiato al Radcliffe College, laureandosi Phi Beta Kappa nel 1951. Quell’anno il suo primo libro, “A Change of World”, è stato selezionato da W.H. Auden per la serie Yale Younger Poets. Man mano che la sua poesia si sviluppava nei successivi due decenni, iniziò a scrivere versi più liberi e il suo lavoro divenne più politico.
Adrienne Rich sposò Alfred Conrad nel 1953. Vivevano in Massachusetts e New York e avevano tre figli. La coppia si separò e Conrad si suicidò nel 1970. In seguito Adrienne Rich uscì come lesbica. Ha iniziato a vivere con la sua compagna, Michelle Cliff, nel 1976. Si sono trasferiti in California negli anni ’80.
Poesia politica
Nel suo libro “What Is Found There: Notebooks on Poetry and Politics”, Adrienne Rich ha scritto che la poesia inizia con l’attraversamento delle traiettorie di “elementi che altrimenti non avrebbero potuto conoscere la simultaneità”.
Adrienne Rich è stata per molti anni un’attivista a favore delle donne e del femminismo, contro la guerra del Vietnam e per i diritti degli omosessuali, tra le altre cause politiche. Sebbene gli Stati Uniti tendano a mettere in discussione o rifiutare la poesia politica, ha sottolineato che molte altre culture considerano i poeti una parte necessaria e legittima del discorso nazionale. Ha detto che sarebbe stata un’attivista “per il lungo raggio”.
Movimento di liberazione femminile
La poesia di Adrienne Rich è stata vista come femminista dalla pubblicazione del suo libro “Istantanee di una nuora” nel 1963. Ha definito la liberazione delle donne una forza democratica. Tuttavia, ha anche affermato che gli anni ’80 e ’90 hanno rivelato più modi in cui la società degli Stati Uniti è un sistema dominato dagli uomini, lungi dall’aver risolto il problema della liberazione delle donne.
Adrienne Rich ha incoraggiato l’uso del termine “liberazione delle donne” perché la parola “femminista” potrebbe facilmente diventare una semplice etichetta o potrebbe causare resistenza nella prossima generazione di donne. Rich è tornato a usare la “liberazione delle donne” perché solleva la domanda seria: la liberazione da cosa?
Adrienne Rich ha elogiato l’aumento di coscienza del femminismo primitivo. L’aumento della consapevolezza non solo ha portato i problemi in primo piano nella mente delle donne, ma ciò ha portato all’azione.
Il vincitore del premio
Adrienne Rich ha vinto il National Book Award nel 1974 per “Diving Into the Wreck”. Ha rifiutato di accettare il premio individualmente, invece di condividerlo con i compagni nominati Audre Lorde e Alice Walker. Lo hanno accettato a nome di tutte le donne di tutto il mondo che sono messe a tacere da una società patriarcale.
Nel 1997, Adrienne Rich ha rifiutato la National Medal for the Arts, affermando che l’idea stessa dell’arte, poiché sapeva che era incompatibile con la politica cinica dell’amministrazione Bill Clinton.
Adrienne Rich è stata finalista del Premio Pulitzer. Ha anche vinto numerosi altri premi, tra cui la Medal for Distinguished Contribution to American Letters della National Book Foundation, il Book Critics Circle Award per “The School Among the Ruins: Poems 2000-2004”, il Lannan Lifetime Achievement Award e il Wallace Stevens Award , che riconosce “eccezionale e comprovata padronanza nell’arte della poesia”.
Citazioni ricche di Adrienne
- La vita sul pianeta nasce dalla donna.
- Le donne di oggi
Nato ieri
Trattare con domani
Non ancora dove stiamo andando
Ma non ancora dove eravamo. - Le donne sono state le persone veramente attive in tutte le culture, senza le quali la società umana sarebbe morta da molto tempo, anche se la nostra attività è stata spesso per conto di uomini e bambini.
- Sono una femminista perché mi sento in pericolo, psichicamente e fisicamente, da questa società e perché credo che il movimento delle donne stia dicendo che siamo arrivati al limite della storia quando gli uomini – nella misura in cui sono incarnazioni dell’idea patriarcale – hanno diventare pericoloso per i bambini e altri esseri viventi, inclusi essi stessi.
- Il fatto più notevole che la nostra cultura imprime sulle donne è il senso dei nostri limiti. La cosa più importante che una donna può fare per un’altra è illuminare ed espandere il suo senso di possibilità reali.
- Ma essere un essere umano femminile che cerca di adempiere alle tradizionali funzioni femminili in modo tradizionale è in conflitto diretto con la funzione sovversiva dell’immaginazione.
- Fino a quando non conosciamo i presupposti in cui siamo inzuppati, non possiamo conoscere noi stessi.
- Quando una donna dice la verità, sta creando la possibilità di avere più verità intorno a lei.
- La menzogna si fa con le parole e anche con il silenzio.
- La falsa storia viene fatta per tutto il giorno, ogni giorno,
la verità del nuovo non è mai nelle notizie - Se stai cercando di trasformare una società brutale in una in cui le persone possano vivere con dignità e speranza, inizi con il potenziamento dei più impotenti.
Costruisci da zero.
- Devono esserci quelli tra i quali possiamo sederci e piangere ed essere ancora considerati guerrieri.
- La donna che dovevo chiamare mia madre era messa a tacere prima di nascere.
- Il lavoratore può sindacalizzare, uscire in sciopero; le madri sono divise le une dalle altre nelle case, legate ai loro figli da legami compassionevoli; i nostri scioperi selvaggi hanno spesso assunto la forma di un esaurimento fisico o mentale.
- Molta paura maschile del femminismo è la paura che, diventando esseri umani interi, le donne cessino di essere madri, per fornire al seno, alla ninna nanna, la continua attenzione associata al bambino alla madre. Molta paura maschile del femminismo è l’infantilismo: il desiderio di rimanere il figlio della madre, di possedere una donna che esiste puramente per lui.
- Come abbiamo abitato in due mondi le figlie e le madri nel regno dei figli.
- Nessuna donna è davvero un addetto ai lavori nelle istituzioni generate dalla coscienza maschile. Quando ci permettiamo di credere di essere, perdiamo il contatto con parti di noi stessi definite inaccettabili da quella coscienza; con la forza vitale e la forza visionaria delle nonne arrabbiate, le sciamane, le fiere donne della guerra delle donne di Ibo, le donne sete che resistono al matrimonio della Cina prerevoluzionale, i milioni di vedove, ostetriche e le donne guaritrici torturate e bruciate come streghe per tre secoli in Europa.
- È esaltante essere vivi in un momento di risveglio della coscienza; può anche essere confuso, disorientante e doloroso.
- La guerra è un fallimento assoluto dell’immaginazione, scientifica e politica.
- Qualunque cosa sia senza nome, non dettata nelle immagini, qualunque cosa sia omessa dalla biografia, censurata in raccolte di lettere, qualunque cosa sia erroneamente definita come qualcos’altro, resa difficile da trovare, qualunque cosa sia sepolta nella memoria dal crollo del significato sotto un linguaggio inadeguato o bugiardo – questo diventerà, non solo non detto, ma indicibile.
- Ci sono giorni in cui i lavori domestici sembrano l’unico sbocco.
- Dormire, girandosi a turno come pianeti
ruotando nel loro prato di mezzanotte:
basta un tocco per farcelo sapere
non siamo soli nell’universo, nemmeno nel sonno … - Il momento del cambiamento è l’unica poesia.
a cura di Jone Johnson Lewis
Opere pubblicate: “A Change of World”, “Immergersi nel relitto”, “Istantanee di una nuora”, “Sangue, pane e poesia”, numerosi libri e poesie di saggistica.
Premi e riconoscimenti: National Book Award (1974), Bollingen Prize (2003), Griffin Poetry Prize (2010)
Sposo (s): Alfred Haskell Conrad (1953-1970); Partner Michelle Cliff (1976-2012)
Bambini: Pablo Conrad, David Conrad, Jacob Conrad
Renzo Nanni :”Poesie ritrovate”-Rivista L’Altrove-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Renzo Nanni :”Poesie ritrovate”
pubblicate dalla Rivista L’Altrove
Da Poesie ritrovata dalla Rivista L’Altrover-RENZO NANNI nasceva a Livorno il 4 marzo 1921-Già da bambino Nanni fu inoltrato verso l’amore per la scrittura e la poesia. Trasferitosi a Padova con la famiglia, terminò i suoi studi e iniziò ad interessarsi di politica militando nel Partito Comunista. Durante la Seconda guerra mondiale, fu impegnato sul fronte russo Per anni Renzo non riuscì a parlare di questa esperienza così traumatica. Solo quarant’anni dopo ne racconterà attraverso il poemetto Minuscoli su pagina bianca.
Dopo la guerra e la resistenza italiana, sposa Maria Germano e si laurea in lettere. È durante quegli anni che cresce il suo interesse verso la letteratura e l’arte, stringe amicizie importanti per la sua vita e la sua carriera e organizza eventi culturali
a favore della pace e della fratellanza fra i popoli. In particolare Nanni è l’animatore delle Olimpiadi culturali a Genova nel 1950, una grande kermesse a cui partecipano, oltre ai migliori artisti italiani, Picasso e Neruda, della cui conoscenza Nanni andrà sempre orgoglioso. Nel 1950 è 1° segnalato al Premio Chianciano, l’anno dopo è segnalato per l’Italia al Festival Mondiale della Gioventù a Berlino. Sono gli anni che lo vedono collaborare a Rinascita, L’Unità, Mondo operaio, Lavoro Nuovo. Nel 1952 esce il suo primo volumetto di poesie, L’avvenire non è la guerra, inserito nella rosa dei finalisti al Viareggio di quell’anno. Con questa opera, afferma Giuliano Manacorda, «viene in primo piano l’epos resistenziale, temperato dalla presenza di accenti civili o moralistico-descrittivi […]. Il tema resistenziale si riconnette senza fratture alle lotte per il lavoro: la “guerra nostra” ora si è spostata nelle campagne di Calabria e di Sicilia, dove i lavoratori cadono negli scontri con le forze dello Stato, alla Sardegna dei pastori, alle fabbriche in sciopero, ovunque è ancora tempo di “canti da gridare”».
Passano venticinque anni prima che Nanni pubblicasse il suo secondo libro di poesie. È del 1977 la raccolta Terra da amare. Intanto svolge il suo lavoro come professore in alcuni licei di Roma. Alla fine degli anni ’60 conobbe l’editore Signorelli che lo spinge a scrivere un manuale di letteratura italiana per le scuole secondarie: così nel ’73 esce Letteratura italiana: materiali per un programma, in quattro volumi.
Nel 1966 si trasferì con la famiglia a Velletri e qui si dedica alla terra e completamente alla scrittura poetica. A pochi anni di distanza l’uno dall’altro escono Braccia limitative e il mondo (1979), Minuscoli su pagina bianca, poemetto nel quale riprende, a quarant’anni di distanza, il tema della ritirata di Russia (1982), Fasi di luna, nel quale annuncia agli «scolari diletti» la sua pensione affermando: «Lascio a voi […] / una parte vistosa di me» (1989), Fuoripista (1996), Una vita quasi un secolo (2003). A Velletri si inserisce nella vita culturale e sociale della città, collabora con il giornale locale “Il Cittadino” (sul quale cura dal giugno del 2001 al novembre del 2003 la rubrica di poesia Svegliati e canta) e, soprattutto, contribuisce alla nascita della associazione “La vigna dei poeti”, che diventa in poco tempo luogo di aggregazione e di elaborazione culturale delle migliori energie sul territorio. Si spense il 1º aprile 2004. Dopo la morte, Maria trovò, fra vecchie carte, le poesie giovanili di Renzo, scritte nel 1943: alcuni cari amici e l’editore Caramanica li pubblicano nel 2005 col titolo Questo me stesso. Nello stesso anno , a cura de “La vigna dei poeti”, il volume Omaggio a Renzo Nanni, che contiene, insieme a testi del poeta scomparso, ma anche i versi e le riflessioni di quelli che definiva i suoi «amici della poesia».
L’opera di Nanni è lontana dagli sperimentalismi di quegli anni, ma ciononostante è intensa e ricca. La sua poesia narra, con questo verseggiare classico e novecentesco, i tempi bui della guerra, del periodo post-bellico e della resistenza. È tutta una cronaca vissuta, grave, sprezzante, che ha come protagonista l’uomo. Sono memorie di un ragazzo che ha visto e sentito sulla propria pelle ogni orrore. Scriverne e attenzionare il pubblico verso tali realtà, ormai passate a sempre presenti, porta l’autore e il suo lettore a mai dimenticarsene.
Di seguito una selezione di poesie tratte da L’avvenire non è la guerra, edito da Il Canzoniere.
Presto ci desteremo
Presto ci desteremo
coi morti sulle labbra
divenuti canzoni, in un sole
che spianerà le borgate
di baracche e le memorie
logore come vecchie tute operaie.
Coro dei compagni caduti
Nel giorno della resurrezione
non saliremo le scale di vetro
noi così carichi di dolore
così poveri per le gemme del cielo
così pieni di maledizione
noi che morimmo per amore di terra
di case diroccate sepolte
ai margini della strada.
Nel giorno della resurrezione
busseremo alla vostra porta
col mitra degli impiccati
e secoli di pazienza operaia.
Poi chiederemo conto a Dio:
Mario di una ferita alla nuca
Giulio della tisi del figlio
consumata nella disoccupazione
Agnese di quella sua malattia
non voluta (costava troppo
stare puliti costava troppo
mantenere chi ha sempre fame)
Luca della casa del padre
sventrata con quattro bestie
coi suoi vecchi col ramo
di lillà rampicante nel sole
noi di quel muro assolato
del cortile dove cademmo
senza bende senza preghiere.
Poi torneremo per sempre sui monti
il giorno della resurrezione…
Resistenza
Non fu solo una pagina di storia
per dare nome a una strada.
Furono lunghi anni di carcere
spalancati alla libertà. Messaggio
di morti dalla voce chiara,
aria di monti e la villeggiatura
dei poveri nelle ville dei signori.
Di là, un’Italia avvilita,
una classe disfatta, serva per denaro,
obbediente per la paura a “leggi inique”,
di qua, una società di eguali
che morivano per i diritti dell’uomo.
Resistenza fu la fabbrica salvata
per il lavoro, furono i campi
puliti dalle mine, le strade
barricate, le case fatte trincee.
E fu scritta sui muri
anche se proibito
diffusa sui giornali
anche se proibito
gridata per tutte le piazze
anche se proibito.
Uno scriveva e moriva
uno fischiava in un cinema e moriva
un altro cantava e moriva.
Resistenza è ancora la stessa gente
che si dà la mano e muore
e vuole salvare le fabbriche
per il lavoro, vuole
la terra per il contadino,
i campi puliti dalle mine
una volta per sempre,
le porte delle carceri
spalancate alla libertà.
E che non sia proibito leggere
e che non sia proibito scrivere
né cantare né lavorare in pace.
Liberate Nazim Hikmet
Compagni, liberate Nazim Hikmet il poeta
cui vorrebbero tappare la bocca
perché voi per sua bocca parlate
ed essi temono le vostre parole
temono un uomo perché temono
milioni di uomini per questo
essi vogliono tappare la bocca al poeta
per questo lo lasciano consumare
in carcere come una piccola fiamma
non alimentata e non sanno che il fuoco
cresce dentro di voi con le sue parole
che ogni operaio oggi è anche poeta
e sa morire piuttosto che tacere
perché suo oggi è il canto
e il mondo e la fiamma
dell’avvenire.
L’avvenire non è la guerra
A Napoli ieri notte
hanno sbarcato la guerra.
L’hanno ancorata nel Golfo senza canzoni
e la città della musica taceva
come un gran pugno chiuso minaccioso.
Nave nemica non arresterai l’avvenire
nave che non risplendi alla luce
del giorno, perché porti tenebre e ti muovi
a lumi spenti sopra un mare vuoto.
L’avvenire è il respiro del mondo
fatto dall’alito di milioni di uomini uniti.
Hanno sbarcato trecentonove tonnellate
di guerra a Napoli fra case
ancora diroccate dalla guerra.
Ma l’avvenire non si misura a tonnellate
è dentro il cuore gonfio delle madri
è nella cronaca dello sciopero generale
è sulle terre dei feudi dove
si muore seminando il grano.
Poesie di Anna Salvini, Chiudere gli occhi per prima (Inediti)-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Anna Salvini, Chiudere gli occhi per prima (Inediti)
Novena
Fammi la grazia di restare, ogni giorno
somigliante al tuo essere in pace, lasciami
un peso leggero, qualcosa che tremi
al primo accenno di buio
–
quando i passi sulla ghiaia sono un canto
secco e la crepa del fango si fa voragine
sotto i nostri piedi così – ancora –
fa che ci cerchiamo nella notte, nel taglio
degli occhi vicini e stretti alle gole, mani
e piedi inchiodati uno sull’altro, desiderare
il fiato, l’aria che ci consuma, persi
nell’ombra delle nostre sagome
–
così potresti anche contarle le mie rughe
seguire la direzione dei pensieri, riconoscere
lo stesso solco sotto gli occhi, pendere
dalle mie labbra, rubare le parole
–
sarei felice di stare senza voce, il mio posto
l’ho trovato tra le braccia del silenzio
la testa poggiata sul cuore, indifeso battito
eco che mi risuona dentro
–
ma tu vieni a trovarmi nei sogni, incendia
la notte, fammi attorno un deserto
solo sabbia e cielo
noi, l’unica oasi
–
saremo soli, ci benediremo con pioggia
e vento, daremo fuoco alla distanza
a un vecchio per sempre, saremo le braci
la nostra presenza
–
ciò che resta è nascosto agli occhi
di tutti, i nostri incubi saranno scomposti
dopo la tempesta e fragili come vecchi
ricordi e resti di gusci, conchiglie, frammenti
che sulla battigia attendono l’onda
–
non c’è difesa, non ora, solo uno squarcio
nel tronco, un varco da corpo a corpo
una quiete redenta, vicinissima a noi
–
un miracolo.
*
Pin
Inizio io: novembre, libri, luce, casa
tu mi rispondi lago, rispetto, tangenziale
aggiungo cane, vita, nebbia, ispirazione
e tu – pianura e mare – e alba, nido
respiro, turni, quotidiano
malinconia viene fuori insieme, paura
contemplazione, anche tremare
il dubbio che ci tortura: chi protegge
il cielo, la neve, il piccolo fiorire?
è questo il nostro codice segreto
abbandonarsi alle parole, lasciarle fare
andare oltre a quello che già siamo.
*
Dissolta
Quando osservo la luce cadere adagio
tra i solchi, vegliare sui campi recisi
quando il viola si fa largo nel corpo
e il rosso affonda il suo artiglio, prego
il cielo che nessuno mi trovi.
Voglio sentire tutta quanta la pietà
per questo piccolo mondo, solo questo
coraggio sommesso è il canto che voglio
seguire. Tutto il resto scompare.
Spento ogni dolore, tace anche la carne.
*
Le parole che scrivo
Quanto ho creduto nei fiori
alla neve di marzo, alle sere
d’estate senza luna
anche quando non sapevo
chi fossi, volevo che nulla
mutasse – perduta com’ero –
a mettere a fuoco
avvenimenti e segnali.
Ma ogni cuore ha il suo addio
e il sangue non basta
a restare in ascolto, non basta
la forza che preme sotto la pelle
nulla di quello che esplode
dagli occhi ora serve
io sono quella che vuole restare –
lo scrivo ogni giorno, e non te lo dico
Io sono le parole che scrivo.
*
Alle sette del mattino, c’era tutta
quella luce, dilagava sulle case
aperte le finestre, sfiorava
oggetti, libri, i fiori secchi
un giro anche tra i rami, le bacche
giù in giardino.
E non si dava pace, non mi dava
pace.
. . .
Attratta dal movimento leggero
tra le foglie, nell’attimo che precede
il volo, tracima la memoria.
Tutto si fa leggero prima di partire.
. . .
Dal fuoco delle foglie è un lento
abbandono: lasciarsi andare
tra le braccia delle nebbie, cadere
senza un suono.
. . .
Svuotato il tronco è passaggio
d’aria, commozione la parola
linfa che non si perde.
*
Avvenire
Non ho forma in questo slargo
di pianura, abbandonata al peso
– scivolo via –
lascio dentro i fossi la voce, l’orma
alla base del tronco, svuotato
da ogni clamore, cede anche lo sguardo
C’è così tanto spazio, campi a raccolta
e nuove possibilità di caduta: precipita
ogni foglia, i colori all’imbrunire
il ramo secco sotto il passo, precipito
anch’io, senza distinzione
– corpo e passione –
per un avvenire lento, dentro
una luce bassa sempre più piccola
dove vengo a tremare per la vita.
*
Chiudere
Alghero è una spilla verde
si fa spazio tra le fotografie ricordo
ma del mare faccio fatica a scrivere
non mi lascia scampo ogni volta:
non ha pietà di me, delle mie ferite
forse mi trova scomoda, seduta sugli scogli
lui che urla, agita, lambisce, cattura
dona, riprende, abbandona
cosa ne sa del mio silenzio, dove arriva
lo sguardo, come oscilla il cuore
tra le onde, di come allungo la vita.
Io non posso chiudere questa estate
voglio ridere e fare i colori con la voce.
Voglio ancora appoggiarmi al sole
come fa l’alba alla collina, dimenticare
il sonno perso, la sfida notturna
chiudere gli occhi per prima.
Anna Salvini:” non sono molto brava a presentarmi non so mai cosa dire e non amo celebrarmi, preferisco che siano le parole a dire chi, in parte, sono… Io sarei molto sintetica, così: “Calma apparente” è la mia opera prima, pubblicata da Interno Poesia nel 2017 e andata in ristampa nel 2021. Nel tempo i miei testi sono stati pubblicati su: Poetarum Silva, Versante Ripido, Cartesensibili, Rebstein, Perìgeion, Margutte, Interno Poesia, Poeti Oggi, La poesia e lo spirito. Anna Salvini”.
Sandro Penna-Poesie- Mondadori Editore-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Sandro Penna-Poesie-
-Mondadori Editore.
–
«Queste sono le poesie che al di fuori di qualsiasi critico io stimo più di tutte. Sarebbero insomma quello che io lascerei ai posteri se posteri esisteranno.» Così nel 1973 Sandro Penna introduceva la propria raccolta di poesie in uscita nei tascabili Garzanti, l’unica assemblata da lui personalmente. I versi, scritti tra il 1939 e il 1958, si presentano straordinariamente compatti per i temi e il linguaggio: quella di Penna è una poesia limpida, che si rifà a una classicità senza tempo e applica la lezione di Dante, Leopardi, Rimbaud, Montale, tra gli altri, senza mai cadere nella maniera. Ma è una poesia solo in apparenza semplice, la cui chiarezza e luminosità non possono che nascere da una zona buia, da un mistero. La sua drammaticità sa ancora incantare il lettore.
Biografia di Sandro Penna-Poeta italiano (Perugia 1906 – Roma 1977). Nelle sue liriche P. ha espresso con un’agile grazia epigrammatica – in cui il ricordo dell’antologia greca si fonde felicemente con la lezione degli ermetici – momenti e fermenti di un’intensa brama di vita, tutta sensi, che della sensualità conosce anche i limiti e la malinconia.
Vita
Dopo gli studi commerciali si trasferì a Roma, dove rimase stabilmente tranne che per un breve soggiorno milanese, tentando senza fortuna le attività più disparate, da commesso di libreria a mercante d’arte. Tranne un breve soggiorno milanese, P. è sempre vissuto a Roma; ha collaborato alle maggiori riviste letterarie.
Opere
Precocemente vocato alla poesia, che coltivò in maniera esclusiva (restano un’eccezione le prose narrative, peraltro prossime per toni e temi alla produzione in versi, raccolte in Un po’ di febbre, 1973), fu conosciuto per merito di U. Saba, che favorì la pubblicazione del suo libro d’esordio: Poesie (1939). Come il poeta triestino, che è stato il proverbiale alfiere dell’antiermetismo, P. manifesta il massimo attaccamento nei confronti della realtà quotidiana, non fa mistero del proprio approccio sentimentale e sensuale al mondo che lo circonda, si esprime in una maniera facilmente comprensibile. Qui finisce tuttavia il sabismo di P., la cui poesia, proprio per la mancanza di plausibili termini di riferimento, è stata interpretata come una sorta di naturale reviviscenza alessandrina, frutto insieme di un’arte sapientemente invisibile e di una pagana gioia di vivere l’eros omosessuale. Tanto lontano dalla complessa articolazione tematica della poesia di Saba, quanto estraneo ai rituali iniziatici della poesia ermetica, P. si chiude in uno spazio privilegiato per mettere in scena la ripetizione coatta di una ricerca d’amore condotta con letizia quasi francescana, e trasforma in ossessione formale l’infinita variazione intorno a quell’unico tema. Negata a qualsiasi svolgimento narrativo, la sua poesia coglie i risultati migliori quando si affida a un’ideale brevità epigrammatica o quando consegna a vere e proprie «ariette» melodrammatiche un anacronistico gusto per l’idillio e una sapienza erotica paradossalmente universale. Le singole raccolte di questo ininterrotto canzoniere (Appunti, 1950; Una strana gioia di vivere, 1956; Croce e delizia, 1958; Stranezze, 1976; fino alla post. Il viaggiatore insonne, 1977) sono via via confluite, con l’aggiunta di poesie inedite e giovanili, nelle successive edd. complessive delle Poesie (1957; 1970 [col tit. Tutte le poesie]; 1973; e, post., 1989). Postumi sono anche i voll. Confuso sogno (1980) e Peccato di gola (1989). Nel 2017 è stato edito il volume Penna. Poesie, prose e diari, compiuta sintesi della sua traiettoria umana e artistica.
Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana- on line
Barbara Herzog Poesie da: “Nada màs” -Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Barbara Herzog Poesie da: “Nada màs”-
-Punto a Capo editrice-
Vuoi suggere
da ogni risposta
una goccia di anima
per assaporarla
abbracciarla
solo per questo
cavi sapere
da un sasso
e sì, per la tua voce
che bacia come
il vento gli steli d’erba
***
Quando intuisci
a poche sillabe
assurgi ciascuna
perché non puoi toccare
per colmare l’urgenza
ogni gemito accarezzato
nell’aria
non fa che acuire
la carnalità
del bisogno
***
Inutile arrovellamento
le risposte non sgorgano
da quel ruscello limpido
frastornante fino a
poco fa
ruvido palpare
per comprendere
dov’è finita la piena
sgorgano
***
Sublimare
è la parola d’ordine
dei decreti che
giocano al salto della corda
fortunata
colgo l’ispirazione
nell’inflessione delle parole
e costruisco
castelli sulle nuvole
se no
la mia pelle
sarebbe già avvizzita
***
Comprimendo tutte le tue parole
risulterebbe il gemito primordiale
attraverso tutte le sinapsi
fulmine a cielo
non domabile
in quel punto estesissimo
messo a fuoco
da te
***
Fatemi dimorare
in una risposta
che non mi accontenterà mai
volare da lontano
intorno a ciò
che mai più sarà vicino
fatemi guarire
senza accorgermene
sospirare lieta ricordando
ridere forte della mia follia
tornare al mio
io assennato
Da: “Nada màs” puntoacapo editrice, 2021
Barbara Herzog si è trasferita ventenne dalla Svizzera in Italia, dove si è laureata con una tesi in letteratura africana. È traduttrice ed interprete tra italiano, inglese, tedesco e francese; scrittrice di poesie, racconti, recensioni, articoli e sostenitrice dei diritti umani. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie: Se non nel silenzio (L’arcolaio 2015, con prefazione di Francesca Serragnoli) e Sopravvento (Raffaelli 2012, con prefazione di Davide Rondoni). Ha inoltre tradotto dallo svizzerotedesco Qualcuno ha scambiato le mie ossa di Ursula Hohler (Capire 2020). Ha partecipato a vari convegni, rassegne e presentazioni di poesia tra cui Infinito 200 all’Accademia Mondiale della Poesia a Verona ed è stata citata in diverse antologie (tra le quali In My Secret Life, Mirada de Pájaro Editores, Bogotá).
Giulia Bologna – Poesie dalla Rivista Atelier
Biblioteca DEA SABINA
-Giulia Bologna – Poesie dalla Rivista Atelier
Vita non è vita
se non in transito
verso la sua mancanza,
verso la speranza vana
dell’incontro.
Nel fiordo del senso
ancoriamo le nostre parole
e nell’incavo del tempo
gettiamo i nostri germogli
più cari.
Nei nodi dell’Aria
appendiamo le ombre più buie
all’ineffabile
saldiamo tutta la nostra eternità.
Siamo cera restituita dal fuoco,
alfabeti in fuga centripeta dall’abisso
ignifero rigettato dal buio.
*
Teniamo traccia di ogni assenza/
di ogni rosa che manca all’appello/
di ogni pietra che argina il vento/
di ogni giorno
che è solo polvere –
guardiamo nel fondo
rimestiamo
cerchiamo l’irripetibile d’ogni vita/
il caglio dei mondi/
la genitura dell’origine/
– cercando la chiave di qualcosa
che non ha nome.
Trovando soltanto il grido
di questi versi.
*
E dunque non patteggiare il potere,
non tacere il velo
che rivela il dissesto.
Vedo il soffocamento del segreto,
la copertura della ferita
inastata a nido del presente.
Chi deborda, chi eccede la parola,
chi resiste oltre la fine,
conservando il proprio scalpello
del dissanguamento continuo?
Chi scioglie la propria pelle
uscendo dal compasso di Dio?
Stanotte prendi ogni fonema
come ago per scucire gli alfabeti,
fermenta i liquidi
in un nuovo ordine chimico.
Stanotte innesta la fotosintesi
nel midollo spinale,
poi sarà altra pigiatura inaugurale,
altro scoppio di stelle.
Allora
svezzando il mondo
tutto avremo dato.
*
Solideo
Cosa portiamo alla vita in dono
se intorno v’è solo
malagrazia e pietra dura?
Se dobbiamo ancora pagare
il nostro fio?
Siamo soltanto soglie
da attraversare,
ciechi erratici
ad urlare in ginocchio
avanti ai camini del cielo.
Solamente con la bocca violata
dagli sterpi
– immersa nell’humus –
sapremo cantare
in tutte le lingue di Dio.
*
Il vino ci consola,
ricordi?
Ricordi quei corpi
immacolati per la resa dei conti?
Guardali ora
nel cordoglio
hanno un altro cielo per il perdono-
un luogo dove si possa riposare
dimenticando i passi fatti
su questa terra
e un giorno dove si possa
ricominciare
con nuovi re
nuovi papi
nuove stirpi
nuove strade
nuove parole.
Un mondo di pellegrini
e un nuovo Dio.
(Questo intanto ci urina in testa
mentre protetto c’arride.)
Sarebbe bello
contare i millenni a manciate,
farne storia e polvere.
Ma l’uomo è stanco
e la terra non restituisce pietà.
Sarebbe bello ascoltarti in eterno
mentre parli mesto di tua madre
mentre ometti l’importante
mentre semini vittime
e mieti la tua memoria.
Sarebbe bello non avere paura
quando la mattina ci si sveglia/
conservare il coraggio della notte
anche il giorno.
Ma questa è la risposta:
oggi sono sul letto
e non ho intenzione di uscirne.
Conserverò la speranza
per il prossimo anno.
Conserverò la carne
le parole
i respiri e il sangue.
E conserverò te
in qualche meandro della memoria
che non tace mai.
Forse vedremo altri cieli
altri oltraggi che oscurano altri pianeti-
altre vite che sfrutteremo.
Ho gridato il tuo nome
quando il tuo nome era ancora Adamo,
ma stanotte griderò tutti i nomi
che abbiamo dimenticato
strappati alla sabbia
alla terra
alla lontananza del creato
riemersi dalle dune-
coniugherò ogni verbo
per vederle fiorire.
Ci sarà un diluvio
ricordi?
*
Parlavi rimestando
nella ghiacciaia:
“io covo la mia esultanza nel turibolo”.
Hanno immolato lo smarrimento
per ricusare la specie,
incrinato il passo
che ci precede negli inizi,
reso lattescente nebbia
il nostro respiro.
Ecco.
Ora siamo ruggine in una carniera,
siamo al confine d’un deserto
senza oasi e mulattiere.
(Il siero rimesta
nel fondo del Lete
come sangue ramificato
nella sabbia).
Che la terra promessa
ci riarda nelle mani.
Giulia Bologna (1990) è laureata in Psicologia Clinica. Ha vinto il primo premio di poesia inedita “Pagine Marchigiane” 2023 dell’Associazione Versante. Ha vinto il 3° Premio Assoluto dell’Undicesima edizione del Premio Nazionale di Poesia “L’arte in versi”, organizzato da Euterpe APS di Jesi, nella sezione Sperimentazioni poetiche e nuovi linguaggi (sotto-sezione: dittico poetico) insieme ad Eugenio Griffoni.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi
Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online
Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello
Caporedattore: Carlo Ragliani
Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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L’ultima Poesia di Pablo Neruda prima di essere ucciso-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
L’ULTIMA POESIA DI PABLO NERUDA
PRIMA DI ESSERE UCCISO QUARANTANOVEANNI FA’ ERA IL 23 SETTEMBRE DEL 1973.
“Il suo testamento politico”
“Nixon, Frei e Pinochet
fino ad oggi, fino a questo amaro
mese di settembre
dell’anno 1973,
con Bordaberry, Garrastazu e Banzer,
iene voraci
della nostra storia, roditori
delle bandiere conquistate
con tanto sangue e tanto fuoco,
impantanati nei loro orticelli,
predatori infernali,
satrapi mille volte venduti
e traditori, eccitati
dai lupi di New York,
macchine affamate di sofferenze,
macchiate dal sacrificio
dei loro popoli martirizzati,
mercanti prostitute
del pane e dell’aria d’America,
fogne, boia, branco
di cacicchi di lupanare,
senza altra legge che la tortura
e la fame frustrata del popolo.”
Pablo Neruda, pseudonimo di Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto (Parral, 12 luglio 1904 – Santiago del Cile, 23 settembre 1973), è stato un poeta, diplomatico e politico cileno, considerato una delle più importanti figure della letteratura latino-americana del Novecento.
Scelse lo pseudonimo di Pablo Neruda in onore dello scrittore e poeta ceco Jan Neruda. Nome che in seguito gli fu riconosciuto anche a livello legale. Definito da Gabriel García Márquez «il più grande poeta del XX secolo, in qualsiasi lingua» e considerato da Harold Bloom tra gli scrittori più rappresentativi del Canone Occidentale, è stato insignito nel 1971 del premio Nobel per la letteratura.
Ha anche ricoperto per il proprio Paese incarichi di primo piano, diplomatici e politici, come quello di senatore. Inoltre è conosciuto per la sua adesione al comunismo (per cui subì censure e persecuzioni politiche, dovendo anche espatriare a causa della sua opposizione al governo autoritario di Gabriel González Videla), la sua candidatura a presidente del Cile nel 1970, e il successivo sostegno al socialista Salvador Allende. Morì in un ospedale di Santiago poco dopo il golpe del generale Augusto Pinochet nel 1973, ufficialmente di tumore ma in circostanze ritenute dubbie, mentre stava per partire per un nuovo esilio.
Poesie di Esther Granek poetessa belga-israeliana-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Esther Granek Poesie
FONTE – BLOG –Il Canto delle Muse-
Constatazione
Ho solo me
In ogni giorno
Per accogliere la nuova alba
Ma non appena m’aggroviglio in un sogno
ho solo te
Ho solo me
Per incassare
Tutte le piaghe da decubito della vita
Ma appena in un sogno mi perdo
ho solo te
Ho solo me
Quando spio
Del futuro l’ora che scocca
Ma nelle mie ardenti preghiere
ho solo te
Ho solo te
Per stupirmi
E per magnificare le immagini
Ma appena ho girato le pagine
ho solo me
***
Incinta
Sono incinta di prati verdi
porto i pascoli dentro di me
Se il mio umore è divertente o saggio,
Sono incinta di prati verdi
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Bella è l’immagine!
dolce il suono
“Porto pascoli dentro di me…”
E allo stesso tempo cosa ingrata
sono incinta di deserti.
e miraggi
e chimere
grandi temporali
Di rimpianti che ingiustamente attraversano
Risate di cui non so che farmene.
E le mie gravidanze coesistono.
In tutto il mio essere. Senza limiti.
***
Finalità
Tu dici: “L’uccello canta
per festeggiare il sole…”
Tu dici: “L’uccello canta
per incantare il mio orecchio…”
Quella che ti sembra una canzone
è in realtà grido di guerra.
pianto originario
e avvertimento.
Credi che la specie
alle profondità dei mari
si divori a vicenda in giubilo
senza soffrire di carne?
Vasta selezione
dove tutto si perpetua
solo attraverso i tuoi occhiali,
ammiri, tanto e di più!
Equilibrio gigantesco!
(ti riempie di emozione…)
E quando il tuo essere vibra
per vedere intorno a te
tutte le specie, grandi e piccoli
nati per mangiarsi l’un l’altro,
Uomo, ti senti il prescelto
per cui tutto è stato fatto!
***
Cantando
Con fili di seta
Avevo intrecciato una canzone selvaggia
Selvaggia era la mia voce
E tenera era la mia canzone
***
In attesa
Questo seme che tengo
nel palmo della mia mano,
cosa farà nascere domani?
Una canna o una quercia?
Qualche pianta da giardino?
Lo ignoro e non me ne lamento.
Ma il mio cuore batte,
sapendo che nella sua vita
una vita l’attende,
il mio piacere del momento
quando dirà: presente,
finché troverà buon terreno
che lo protegge
Quindi, un buon seme attende.
Questo amore che tieni
nel palmo della tua mano
cosa farà nascere domani?
La mia felicità o il mio dolore?
O i miei infiniti rimpianti?
Non lo so, cosa sarà.
Ma lì, il mio cuore si congela
non sapendo il ruolo
nel destino che attende,
a tuo piacimento del momento.
Perché sei tu che scegli,
e sono io che soffro.
Brava la puttana in attesa
e il buon cane va d’accordo.
**
Un po’ di spettacolo…
Accordo inespresso, minuscolo.
Eppure già un legame intimo.
Un po’ di spettacolo…
Una specie di trappola
Ancora un tocco negli arpeggi.
Un dolce preludio allo stato d’assedio.
Una specie di trappola
E poi all’improvviso…
Accordi a quattro mani.
E con due bocche. Ah! gioco divino!
E poi all’improvviso…
A volte disastro…
A volte la felicità dove tutto combacia.
Sinfonia di ombre e lesene.
A volte disastro.
Corpo a corpo …
Abbinamento perfetto. Piccola morte.
E sempre una sola parola: “Ancora”
Corpo a corpo …
Un’altra pagina…
Perché molto presto tutto diventa saggio.
Come il mare dopo la tempesta.
Un’altra pagina…
Nessuna traccia …
Accordo dove tutto è già cancellato.
Insomma, dove tutto torna a posto.
Nessuna traccia …
Riposo. Tempo scaduto…
Fino al risveglio, vicino o lontano.
E poi all’improvviso: nuova esplosione!
E poi all’improvviso…
Un po’ di spettacolo…
Accordo inespresso, minuscolo.
Eppure già un legame intimo.
Un po’ di spettacolo…
Una specie di trappola
Ancora un tocco, negli arpeggi…
EVASIONE
E sarò di fronte al mare
che verrà a bagnare i ciottoli.
Carezze d’acqua, di vento e d’aria.
E di luce. Di immensità.
E in me sarà il deserto.
Entrerà solo il cielo leggero.
E sarò di fronte al mare
che verrà a battere gli scogli.
A schiaffeggiarli. A sferzarli. Usando la pietra.
A colpirli. A insinuarsi. Selvaggio.
E in me sarà il deserto.
Nessun cielo tormentato entrerà.
E sarò di fronte al mare,
statua di carne e cuore di legno.
E farò il deserto in me.
Che importerà il tempo? Scuro o chiaro…
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BIOGRAFIA
La poetessa belga-israeliana Esther Granek nacque il 7 aprile 1927 a Bruxelles, fu autodidatta non avendo potuto studiare a causa delle leggi antiebraiche durante l’occupazione nazista.
Nel 1940 la sua famiglia fuggì dal Belgio e si stabilì a Bagnères-de-Luchon in Francia, ma ben presto furono tutti deportati in un campo di concentramento a Brens nel Tarn. Nel 1941 riuscirono a fuggire, pochi giorni prima dello sterminio di tutti i prigionieri del campo. Tornata a Bruxelles, rimase nascosta prima con gli zii, poi, dal 1943 fino alla fine dell’occupazione nazista, con una famiglia cristiana che, con documenti falsi, la spacciava per figlia. .
Sopravvissuta all’Olocausto, si è trasferita in Israele nel 1956 dove ha lavorato per 35 anni come segretaria contabile presso l’ambasciata belga a Tel Aviv. Nel 1981 gli è stata conferita la medaglia civica di prima classe in riconoscimento della qualità del suo lavoro.
Morì a Tel Aviv il 9 maggio 2016.
Autrice compositrice di canzoni, poesie, ballate e testi umoristici, pubblicò diverse raccolte. I suoi versi prendono in giro mode e convenzioni. Seducono subito per la loro fantasia e libertà. Con una grazia.
FONTE – BLOG –Il Canto delle Muse-