Poesie sul sagrato di David Maria Turoldo- Interlinea Edizioni-
Descrizione-Nella voce di David Maria Turoldo, tra le più vicine al dramma spirituale dell’uomo contemporaneo, troviamo le parole capaci di esprimere la condizione esistenziale di un mondo, il nostro, tra angoscia e speranza.
“Non avanza di me che una macchia pallida / un involucro d’alga alla deriva, mentre / la facciata è una sindone immensa di occhi / che mi denudano allo stupore di tutti. / Sola ci cammina sopra la luna con vesti regali verso l’alta notte”. Con tre note di Luciano Erba, Giannino Piana e Roberto Cicala; incisioni di Mauro Maulini.
David Maria Turoldo
Un brano del libro
Padre Turoldo dà così voce alla nostra ansia che non sappiamo sciogliere; nell’angoscia che, nelle sue parole, fa disperare ma allo stesso tempo offre occasioni per sperare. E un caso di speranza, favorito dalla memoria, è il giorno festivo come momento i cui l’uomo ritrova l’immagine più profonda di se stesso riflessa in una presenza interiore sacra, come insegna il pastore, «quando il sagrato continua il racconto / delle biade delle mucche del tempo / immutabile», nella penultima poesia di questa plaquette, scritta nel 1947 davanti all’«immobile» lago Maggiore.
«Ma quando facevo il pastore…», riprende il poeta nell’ultima composizione, «i tronchi degli alberi parevano / creature piene di ferite… / Io portavo le pecore fino al sagrato/ e sapevo d’essere uomo vero / del tuo regale presepio». In questi versi il sagrato è il luogo dove l’uomo nfa un incontro importante ed è provocato – dal mistero, dal sacro, dai simboli della natura e dell’arte – a interrogarsi, per rivivere una fede genuina (come quella di un pastore evangelico), per prendere coscienza di un impegno sociale al «margine della strada» dove vive chi «non sa sperare», oppure per scoprire davanti al tempio che drammaticamente «la facciata è una sindone immensa di occhi / che mi denudano allo stupore di tutti». Anche se crediamo di non decifrare più l’alfabeto delle cose e degli uomini e di non trovare un senso per tutto, alla fine ecco (ancora Nel segno di Giona) un segnale della Sua presenza: «Sola ci cammina sopra la luna / con vesti regali verso l’alta notte».
Nella nostra notte le parole di David Maria Turoldo sprigionano una luce di speranza, pur raggrumata nel sangue della sofferenza e della crisi: sono parole cvissute e scomode che si fanno profezia. (dalla nota di Roberto Cicala)
David Maria Turoldo– Poesie sul sagrato – Mauro Maulini
Interlinea Edizioni ha sede a Novara
via Mattei 21 28100 Novara, NO, Italia
L’interlinea lo spazio bianco tra due righe scritte o stampate, apparentemente inutile ma in verità necessario alla lettura. Infatti le parole si confonderebbero sulla pagina senza questa distanza, il cui bianco fa risaltare il nero del testo illuminando così il significato di un romanzo, di uno studio, di una poesia.
All’inizio degli anni Novanta due giovani novaresi hanno creduto giusto cercare un senso e uno spazio nell’interlinea lasciata bianca dai titoli di tanti e grandi cataloghi librari, riscoprendo autori italiani dell’800 e ‘900, anche con inediti (da Rebora a Montale, fino a Soldati e Vassalli), aprendo la prima collana letteraria italiana legata al Natale “Nativitas“ (nonsolo con Dickens ritradotto ma con Soldati, Consolo, Rigoni Stern, Testori, Wojtyla… e un premio letterario), offrendo uno spazio diverso alla critica letteraria (partendo però dai maestri: Dionisotti, Maria Corti, Mengaldo),e pubblicando la rivista “Autografo” del Fondo Manoscritti di Pavia, credendo nella poesia, con la collana “Lyra” e la serie “Lyra giovani” diretta da Franco Buffoni, e facendo dialogare letteratura e spiritualità con autori da Hesse a Turoldo, da Anna Maria Cànopi a Testori, senza facili buonismi ma scegliendo la crisi dell’uomo come tema della collana “Passio“, offrendo anche servizi editoriali di qualità (dagli atti di convegni ai repertori bibliografici fino ai cataloghi d’arte). Negli ultimi anni si sono avviate le edizioni nazionali delle opere di due classici come Matteo Maria Boiardo e Giovanni Verga.
Se la letteratura è una riscoperta di parole vecchie e nuove nel 1992 da Novara è salpato il piccolo vascello di carta che non chiede altro se non di avere lettori che sappiano leggere la verità di quelle parole vecchie e nuove nell’interlinea dell’editoria e della cultura italiana.
Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è stata straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea.
Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime lamine
in bianca maglia di ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…(in Passo d’addio, Scheiwiller – All’insegna del pesce d’oro, Milano 1956)
Cristina Campo
Biglietto di Natale a M.L.S.(*)
Maria Luisa quante volte
raccoglieremo questa nostra vita
nella pietà di un verso, come i Santi
nel loro palmo le città turrite?
La primavera quante volte
turbinerà i miei grani di tristezza
dentro le piogge, fino alle tue orme
sconsolate – a Saint Cloud, sulla Giudecca?
Non basterà tutto un Natale
a scambiarci le favole più miti:
le tuniche d’ortica, i sette mari,
la danza sulle spade.
“Mirabilmente il tempo si dispiega…”
ricondurrà nel tempo questo minimo
corso, una donna, un àtomo di fuoco:
noi che viviamo senza fine.
Immagine: da “La tigre assenza”, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991. Dettaglio di copertina
Devota come un ramo
Devota come un ramo
curvato da molte nevi
allegra come falò
per colline d’oblio,
su acutissime lamine
in bianca maglia di ortiche,
ti insegnerò, mia anima,
questo passo d’addio…
(in Passo d’addio, Scheiwiller – All’insegna del pesce d’oro, Milano 1956)
Cristina Campo
Biglietto di Natale a M.L.S.(*)
Maria Luisa quante volte
raccoglieremo questa nostra vita
nella pietà di un verso, come i Santi
nel loro palmo le città turrite?
La primavera quante volte
turbinerà i miei grani di tristezza
dentro le piogge, fino alle tue orme
sconsolate – a Saint Cloud, sulla Giudecca?
Non basterà tutto un Natale
a scambiarci le favole più miti:
le tuniche d’ortica, i sette mari,
la danza sulle spade.
“Mirabilmente il tempo si dispiega…”
ricondurrà nel tempo questo minimo
corso, una donna, un àtomo di fuoco:
noi che viviamo senza fine.
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(*) Maria Luisa Spaziani. Cristina Campo scrisse questa poesia a Firenze e vi appose la data “Ognissanti 1954″
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto
Ora tu passi lontano, lungo le croci del labirinto,
lungo le notti piovose che io m’accendo
nel buio delle pupille,
tu, senza più fanciulla che disperda le voci…
Strade che l’innocenza vuole ignorare e brucia
di offrire, chiusa e nuda senza palpebre o labbra!
Poiché dove tu passi è Samarcanda,
e sciolgono i silenzi tappeti di respiri,
consumano i grani dell’ansiae attento:
fra pietra e pietra corre un filo di sangue,
là dove giunge il tuo piede.
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
La tigre assenza pro patre et matre
Ahi che la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
ha tutto divorato
di questo volto rivolto
a voi! La bocca sola
pura
prega ancora
voi: di pregare ancora
perché la Tigre,
la Tigre Assenza,
o amati,
non divori la bocca
e la preghiera…
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Il Maestro d’arco
a B.B.
Tu, Assente che bisogna amare …
termine che ci sfuggi e che ci insegui
come ombra d’uccello sul sentiero:
io non ti voglio più cercare.
Vibrerò senza quasi mirare la mia freccia,
se la corda del cuore non sia tesa:
il maestro d’arco zen così m’insegna
che da tremila anni Ti vede.
(Giardino Bonaccossi, ottobre ’54, a B.B.)
(in La tigre assenza, a cura di Margherita Pieracci Harwell, 1ª ed., Milano, Adelphi, 1991)
Cristina Campo
Biografia di Vittoria Guerrini, in arte Cristina Campo (Bologna 1923, Roma 1977), ormai riconosciuta come una delle voci poetiche più alte del novecento, è stata straordinaria ed originale interprete della più profonda spiritualità insita nella letteratura europea.
Appassionata studiosa di Hofmannsthal, rivisitò il mondo misterioso delle fiabe svelandone le trascendenti simbologie. Fu traduttrice e critica di originale metodologia, enucleando dalle opere letterarie l’idea del destino e il dominio della legge di necessità sulle vicende umane che l’arte esprime in una aurea di bellezza. Appartenne al ristretto nucleo di intellettuali che avviarono l’introduzione di Simone Weil in Italia.
Negli anni cinquanta maturò la sua prima formazione nella Firenze dei grandi poeti del tempo ove conobbe Gianfranco Draghi che la indusse a pubblicare i suoi primi saggi su “ La Posta Letteraria del Corriere dell’Adda e del Ticino”.Dal ’56 si trasferì per sempre a Roma.
Studiosa di spessore leopardiano, stabilì intensi sodalizi umani e spirituali e innumerevoli frequentazioni di grandissimo rilievo, basti menzionare: Luzi, Traverso, Turoldo, Bigongiari, Merini, Bemporad, Bazlen, Dalmati, Pound, Montale, Williams, Pieracci Harwell, Malaparte, Silone, Monicelli e Scheiwiller. Tra i filosofi ricordiamo Elémire Zolla, Andrea Emo, Lanzo del Vasto, Maria Zambrano, Danilo Dolci che sostenne nei momenti difficili, ed Ernst Bernhard che le fece conoscere il pensiero di
Jung, di cui era stato allievo. Fu consulente editoriale, scrisse su importantissime riviste e studiò l’esicasmo, la mistica occidentale ed orientale, i grandi classici e i poeti di ogni tempo. La sua “metafisica della bellezza” la indusse a una controversa e profonda riflessione sulla liturgia, ritenendo la sacralità dei riti e la comprensione del valore della trascendenza efficaci difese dalla minaccia della despiritualizzazione del mondo incombente sulla modernità che secondo la Campo, in una certa misura, è disattenta alla bellezza ed esposta alla vanificazione delle intenzioni. L’architettura culturale e spirituale dell’universo campiano si desume anche dai tanti e ricchi epistolari. In particolare dalle “Lettere a Mita” (la scrittrice Margherita Pieracci Harwell), uno degli epistolari più affabulanti di tutta la letteratura italiana, è infatti possibile ricostruire la storia di un’anima che palpita per l’incanto e la tragedia della vita. Vita che per la Campo è teatro della sfida al destino condotta dalla poesia e dal sacro.
Poesie Inedite di Adriano Cataldo pubblicate dalla Rivista Atelier-
Adriano Cataldo, cilentano, è nato nel 1985 in un paese che non esiste più: la Germania Ovest. Dal 2008 è attivo nella Grande Distribuzione di parole, attraverso pubblicazioni di testi su blog, riviste e collettanee di poesia contemporanea, tra cui Soglie di Transito (Digressioni 2019). Ha inoltre pubblicato due raccolte di poesie (Liste Bloccate, 2018; Famiglia nucleare, 2021) e due plaquette autoprodotte (Amore, morte e altre cose compostabili, 2019; Come poter dire alla fine, 2020).
Arredava la mota stradale
l’asporto sirenato di pacciame.
Lindore titillato alla lontana
per contrasto, dai reflui di discarica.
Il tanfo e la grandeur, motivo per parlarne.
Scattavano foto alle brande cartonate per guardarli comunque hanno tutti il cellulare[i].
Soltanto i cani da festare, erano i più puliti.
*
Nell’angolo decubita annodato
un assorbente in nembi ematici.
Riversa tra i cartoni dei corrieri
e i take away, la nuca pallida[ii]
cullata dal vibrame del cassone.
Il gigante ha progredito
da quando dalla stanza
pachidermava inerte.
Tra i passi svelti dei passanti
sgusciano dei ratti.
*
Tra i cormorani squamati, stagnante
difformità marina, il petrolio era
il solco nero arso delle stagnole
sul PVC lercio nel box degli autoscatti.
Fumo e sudore feticci di tenda
sputi di gomma a piombare la lente.
Le giuste distanze, norme di legge.
[i] È un meccanismo di difesa e rappresentazione comune il riportare le dinamiche sociali alla propria esperienza, con il notevole risultato di avere da un lato semplificato la dinamica e dall’altro aver complessificato la propria visione.
[ii] “Empoli, 28 marzo 2022 – Scoperta choc, questa mattina 28 marzo, in una azienda cartiera di Empoli. All’interno di un container è stato trovato il cadavere di un giovane straniero. Lo ha scoperto verso le 10.30 un addetto con mansioni di smistamento della carta della raccolta differenziata attraverso una gru. Il cadavere è di un ventenne somalo.” (La Nazione, online).
Biografia di Adriano Cataldo, cilentano, è nato nel 1985 in un paese che non esiste più: la Germania Ovest. Dal 2008 è attivo nella Grande Distribuzione di parole, attraverso pubblicazioni di testi su blog, riviste e collettanee di poesia contemporanea, tra cui Soglie di Transito (Digressioni 2019). Ha inoltre pubblicato due raccolte di poesie (Liste Bloccate, 2018; Famiglia nucleare, 2021) e due plaquette autoprodotte (Amore, morte e altre cose compostabili, 2019; Come poter dire alla fine, 2020). È coautore, assieme a Mauro Milanaccio, di Divani (2022) ed è presente come autore in La Trento che vorrei (2019) e Le parole e il consenso (2021). Ha creato il movimento Breveintonso, di cui ha curato una pubblicazione autoprodotta Poesie il cui titolo è più lungo della poesia stessa (2017). Si occupa di progetti di poesia e musica, tra cui Electro Montale e Subalterna. Dal 2015 organizza reading ed eventi di poesia in Trentino e Campania, come presidente dell’associazione Trento Poetry Slam e membro del CdA dell’Università popolare del Cilento. È tra gli ideatori di Poè Trento, il Festival delle Parole ed è membro della redazione del litblog Poesia del nostro tempo. Ha curato i podcast “Il pubblico della poesia”, “Le domande della poesia” e “Lungo l’Adige, la poesia trentina in podcast”. Vive a Trento.
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
John Martone Figlio di un emigrato Campanese, è nato a Mineola (NY) 1952.Tra una ventina di libri di poesia si accenna ai recenti Homelands, A landscape in pieces, e All my kind. Homelands ha ricevuto il premio Gin’yu e Ksana il Touchstone Award dell’Haiku Foundation. È stato fondatore e redattore delee riviste tel-let e otata. Lavora come badante in un laboratorio per i diversamente abili.
UNFINISHED
It’s the world you imagined.
Step outside: wren tail,
dragonfly, fiddlehead …
a sack of lime the weight
of a child to spread
till the garden’s bright
as marble. You get it
all over you, too, Michelangelo
slaving away deliberately
unfinished.
senza un’eco
a Marco Sadori
nocciòlo con gli occhi chiusi medito i boschi
pioviggina sono una parola in piedi
il pero più chiaro a primavera il più rosso di sangue ora
un eremo — sì ma non voglio un’eco
come parlano le pietre voglio parlare interiormente
spegne la sua sigaretta per lui anche oggi termina il mondo
su una strada di campagna mi abbraccia la notte dov’è Rilke?
spolvero spolvero ma ancora resta questo fangoso sé
L’AUTORE
John Martone Figlio di un emigrato Campanese, è nato a Mineola (NY) 1952.Tra una ventina di libri di poesia si accenna ai recenti Homelands, A landscape in pieces, e All my kind. Homelands ha ricevuto il premio Gin’yu e Ksana il Touchstone Award dell’Haiku Foundation. È stato fondatore e redattore delee riviste tel-let e otata. Lavora come badante in un laboratorio per i diversamente abili.
John Martone’s translation of Giovanni Pascoli, O Little One and Selected Poems recently appeared from Laertes Books. Collections of Martone’s poetry include So Long (Ornithopter), Ksana (Red Moon Press), and Storage Case (Otoliths). Martone also edited Frank Samperi’s Spiritual Necessity: Selected Poems (Station Hill Press) and over the years has edited and published two poetry journals, tel-let and otata. Much of Martone’s work has been privately printed and volumes in English and Italian appear on Scrib’d.
Rivista LìAltrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Nota introduttiva di Pina Piccolo-Per orientarci all’interno della raccolta di poesia di Rahma Nur Il sussurro e il grido occorre individuare e seguire le briciole che l’autrice dissemina sin dal titolo, le contrapposizioni, i contrasti, i paradossi, il sussurrato e il gridato. Nella sua sapiente prefazione (di cui consiglio vivamente la lettura) pur non trascurando gli elementi ‘sussurrati’ della poesia, Mackda Ghebremariam Tesfaù ci offre molti spunti che riguardano il ‘gridato’ della raccolta, cioè gli elementi palesemente politici, relativi a potere, identità, razzismo, nerezza, critica dell’abilismo, individuazione degli elementi di intersezionalità nell’opera dell’autrice, ma in queste brevi note vorrei soffermarmi maggiormente sugli elementi di poetica più filosofici ed intimi.
Parto dalle considerazioni della prefattrice che individua il nucleo centrale della funzione della poesia per Rahma Nur:
[…] In questo testo emerge potente una voce che rifiuta ogni incasellamento e silenziamento. Una voce che dipinge un mondo complesso, dove sia la gioia che il dolore trovano spazio di riconoscimento, e dove entrambi possono essere sussurrati e gridati.
[…] Ma la poesia è anche lo spazio in cui Rahma può aspettare sua figlia, pregare per il suo arrivo e immaginarne l’incontro. Si tratta dunque di un universo fertile, generativo, di gestazione, che le permette di divenire madre ancora prima di conoscere la figlia. La poesia è il luogo in cui può salutare le primavera, in cui può nascondere la sua felicità, che è “meglio” stia al sicuro, nascosta da chi la potrebbe sciupare. Soprattutto: la poesia è grande a sufficienza per farci stare perfino l’Africa, per farci stare, in equilibrio, fuga e desiderio, gioia e disperazione.
La complessità a cui allude Ghebremariam Tesfau’ si manifesta non solo come complicazione e ricchezza di fili (bellissima a proposito la poesia “Fili linguistici” contenuta nella raccolta), ma anche come ‘inciampamento’, una conoscenza intima di un procedere difficoltoso, vacillante, che ti obbliga a pause di riflessione, che suscita negli aspiranti all’armonia reazioni che si alternano tra stupore e disprezzo. Sin dalla poesia “Centri concentrici” Rahma Nur registra l’incedere forzato e misterioso della nascita, illustrato con dovizia di particolari in “Vuoto amniotico” (Nuoto. / Mi agito… / mi sento risucchiare / questa spinta che mi porta fuori /). Dalla descrizione fisica della nascita si passa a un’associazione metaforica a quello stesso movimento nella vita in senso lato (la vita / la precedeva veloce / impaziente, sardonica / impertinente. / Lei le arrancava dietro/ seguiva titubante /le impronte /sul terreno fangoso / Riusciva ancora, con fatica, a starle dietro. / Ci riusciva ancora.)
Le poesie sapientemente concatenate nelle varie sezioni si ‘dimenano’ alternandosi tra il filosofico, il quotidiano, il sociologico e il lirico (particolarmente nelle poesie dedicate ai suoi vari morti e ai ricordi del passato) per concludersi con una considerazione della poeta sullo spazio fisico che occupa attualmente, l’angolo di casa in cui ‘vacilla’ tra sogno e silenzio, lettura e rinuncia, finendo con la domanda “io, cosa ci faccio qui!”.
A smentire quella che potrebbe sembrare una conclusione statica, l’appendice è dedicata al moto della sua poesia “Fili linguistici” nel mondo, e mette a confronto le traduzioni in inglese di Barbara Ofosu- Somuah, Alta L. Price, e Candice Whitney, restituendo una dimensione dinamica e di varietà alla sua opera e re-immettendola nel ciclo continuo dell’interazione umana intellettuale internazionale.
Dalla sezione Sussurrare
1° luglio
Nel mondo indifferente
donne vestite con i colori più sgargianti,
spalle coperte da garbasar multicolori
teste abbellite da shash variopinti
giovani bellezze dagli sguardi ridenti
donne decorate da rughe definite dagli anni
cantano ed ululano le loro grida allegre
al cielo di Roma,
i loro canti viaggiano dalle gole vibranti
verso la Somalia
le loro braccia sventolano bandiere color del cielo
orgogliose e stanche
dopo anni di fatica e di sogni.
Presenti mai assenti
Ci pensi mai
A quando non sarai più
Ci pensi mai
A quelli che non sono più
Eppure, sono così vividi
E presenti i loro visi
Così forti e chiare
Le loro voci
Così tangibili e intensi
I loro abbracci.
Non si può credere che ora siano solo ossa
Non voglio crederlo, non voglio vederlo.
Fino a che sono nei miei pensieri
Nei miei ricordi
Fino a che li vedo come ora ed allora
Fino a che io sono qui
Fino a che i miei piedi poggiano sul terreno,
Le mie mani si muovono,
Fino a che sono dentro ogni parola,
In ogni istantanea, nella mia mente
Fino ad allora e sempre
Saranno con me.
Presenti mai assenti.
Dalla sezione Gridare
La conchiglia
Non c’era nessuna valigia
Da preparare
Non c’era nessun documento
Da portare
Solo un corpo e
Un’anima smarrita
Mi hai presa per mano
E nella tua ho stretta la mia
Piccola, fragile, magra
Non avevo idea di dove andavamo
Non avevo idea da dove venivamo
Era solo casa
Era solo famiglia
Alla spiaggia
Mi hai stretto ancora più forte la mano
Ti sei chinata
Ho visto i tuoi occhi bagnati
Lacrime lapidarie
Rigare il tuo viso
Hai preso una grande conchiglia
Me l’hai poggiata sull’orecchio
“Ascolta, la musica del mare
Il richiamo del ventre terreno
Non dimenticare mai
Da dove vieni
Non dimenticare mai chi sei
Non dimenticarmi mai!”
Hai posato la conchiglia nella mia mano
E con essa hai lasciato la vita nelle mie mani.
La conchiglia è ancora con me
La vita è ancora con me
Ma tu, dove sei?
Mi vedi?
Vedi
non sono queste quattro ruote
in una sfavillante carrozzina blu cromato
non sono nemmeno quella che ogni tanto
si alza barcollando nelle sue gambette
non sono quella dalla pelle liscia e senza rughe
(che non vedi ma ci sono)
dalla pelle colorata, “oh come vorrei averla anche io!”
Quello che vedi è un corpo:
nero,
zoppo,
storto,
visibile quando lo decidi
invisibile quando lo vuoi
Mi vedi?
Son qui: anima, emozione, desiderio, sogno, debolezza,
forza, coraggio, timore, rabbia, odio, amore e tenerezza.
Mi vedi?
Son qui: donna, nera, abile quanto basta, dis-abile quando
vuoi tu,
(lo decidi tu, lo pensi tu, lo verifichi tu, importa a te)
madre, moglie, amante (eh sì!) lavoratrice, pigra, appassionata,
bramosa, incompleta, completa, dipende dai momenti,
compresa, incompresa (troppo spesso) illusa, disillusa,
speranzosa, senza speranze…
Son qui: nella mia intera persona o a pezzi dentro o
scomposta fuori.
Son qui: mi vedi?
Dalla sezione Curare
Ho lasciato la mia casa
Ho lasciato la mia terra
quel suolo che calpestavo con le ginocchia
Ho lasciato visi annebbiati dall’oblio
Ho lasciato lì le mie scarse parole.
Cinque anni e da due non vedevo mia madre
Ho lasciato la mia terra per un nuovo inizio
Verso un viso che non ricordavo
Una parola dimenticata: mamma, Hooyo.
Ho lasciato la mia terra e un futuro incerto.
Ho lasciato la mia terra perché i miei piedi non sapevano calpestarla.
la mia pancia era gonfia di vuoto, il mio cuore silenzioso.
Ho lasciato la mia terra per guarire le gambe
Mi hanno alzata in piedi, insegnato a camminare, insegnato un’altra lingua
Ma ho perso le parole del passato
Non gattono più
Non mi impolvero le gambe di sabbia
e tutto ciò che vorrei è affondare nelle parole perse
nuotare nelle favole perdute, arrampicarmi su acacie rachitiche,
Perdermi negli sguardi che mi riconoscono come una di loro:
Ridere delle storie che non conosco
Ballare e cantare i ritmi che hanno percorso le mie vene
Ripetere gli sheeko sheeko a mia figlia
Tuttavia, le mie parole zoppicano come le mie gambe,
I miei canti stonano e il mio cuore piange un pianto disperato e muto.
Tulipani
Rossi
con striature arancioni
si lanciano verso il sole
come innamorati
in cerca di un abbraccio
protesi verso la luce
attendono con pazienza
che i raggi li accarezzino
L’altro
bianco e candido
si è quasi chiuso in sé
come ad abbracciare
la sua stessa solitudine!
Qui
In questo angolo di casa,
in questo angolo di cielo e di sole,
in questo angolo di alberi sempreverdi,
di erba già bruciata dal sole brillante ed implacabile,
di piogge rare e pigre,
In questo mio angolo
aperto e nascosto,
privato e non isolato,
io, in questo angolo mio,
dove lascio i pensieri immobili,
dove allungo le gambe al sole cocente e mi rivitalizzo:
io, in questo angolo cosa cerco?
Cosa trovo?
Sogno o taccio,
leggo e lascio,
io, cosa ci faccio qui?
Pina Piccolo
Pina Piccolo è una traduttrice, scrittrice e promotrice culturaleche per la sua storia personale di emigrazioni e di lunghi periodi trascorsi in California e in Italia scrive sia in inglese che in italiano. Suoi lavori sono presenti in entrambe le lingue sia in riviste digitali che cartacee e in antologie. La sua raccolta di poesie “I canti dell’Interregno” è stata pubblicata nel 2018 da Lebeg. È direttrice della rivista digitale transnazionale The Dreaming Machine e una delle co-fondatrici e redattrici de La Macchina Sognante, per la quale è la cosiddetta macchinista -madre con funzioni di coordinamento. Potete trovare il suo blog personale digitando http://www.pinapiccolosblog.com
Langston Hughes, “Queer Negro Blues” Marco Saya Edizioni,
Descrizione-Le « chansons vulgaires » di Langston Hughes-Nota a cura di Luca Cenacchi, introduzione al testo e traduzione di Alessandro Brusa-Rivista«Atelier»-Queer Negro Blues (Marco Saya Edizioni, 2023) raccoglie le prime due raccolte pubblicate dal poeta: The Weary Blues (1926) e Fine Clothes to the Jew (1927). Alessandro Brusa, curatore del libro, decide di tradurre quella parte dell’opera di Hughes talvolta lasciata a piè di pagina e in un’articolata quanto ben documentata introduzione argomenta le ragioni dell’audace titolo, il quale ben contestualizza i testi di questa antologia all’interno del panorama culturale dell’Harlem Renaissance. Hughes interseca nelle sue chansons vulgaires il concetto di New Negro, il blues il jazz e rappresentazioni queer. In questo articolo ci si occuperà principalmente della rappresentazione dei night club di Harlem e in che modo essa possa essere letta come una vera e propria “eterotopia blues e queer”. Per chiarezza espositiva si riporteranno le traduzioni delle poesie citate nei paragrafi e in calce all’articolo il testo in lingua.
Regolamentazione della vita notturna durante l’Harlem Renaissance
Le rappresentazioni queer presenti in questa antologia dei night club di Harlem differiscono notevolmente dall’immaginario odierno: i testi stessi, infatti, non descrivono apertamente la queerness dell’autore, ma al contrario tendono a dissimularla lasciando il tutto, o quasi, all’interpretazione. Pertanto non ci sono elementi probanti sull’orientamento effettivo di Hughes e questo è ancora territorio di speculazione. Tale elemento però, come rimarca Brusa stesso, è irrilevante poiché lo statuto di queer di questi luoghi ha una motivazione prima di tutto storica: infatti i night clubs coinvolgono un bacino di utenza estremamente diversificata per orientamenti sessuali, costumi ecc… e proprio per questa loro eterogeneità sono luoghi che hanno visto una severa regolamentazione e soventemente subivano incursioni della polizia.
Il provvedimento più importante a danno di questi spazi è la normativa statunitense??? del 1907 che interdiceva l’attività dei night club oltre un orario specifico. Infatti l’after-hours notturno ad Harlem poteva essere il lasso temporale in cui si espandevano i limiti della socialità tradizionale e pertanto divenivano centri di tolleranza per la cultura LGBTQI+, la quale si mescolava ad altre realtà come quella criminale. Come riporta Shane Vogel, a molti di questi locali veniva revocata la licenza a causa di una sorta di oltraggio alla decenza: «In una lettera al commissario di polizia, in cui lo informava del cambio legislativo, il sindaco dichiarò: “Le persone che frequentano questi luoghi dopo l’orario di chiusura non sono di norma persone rispettabili. Sono volgari, rozzi e spesso apertamente immodesti. Si ubriacano, si comportano in modo chiassoso e si abbandonano a balli lascivi in sale dedicate a tale uso. È ora di porre fine a tutte queste orge volgari. Ho revocato tutte queste licenze a partire dal 1° aprile prossimo”. L’una di notte divenne nota come “ora di Gaynor”; di frequente si sentivano storie di gestori e avventori che sfidavano la polizia e che venivano allontanati con la forza.»[1]
Questa specifica direttiva storiografica aiuta quindi a mettere in prospettiva i vari elementi disseminati da Hughes all’interno di alcune poesie presenti all’interno di questa antologia e a comprendere come l‘autore unisse l’ondata New Negro alla queerness dei locali di Harlem rappresentando pertanto all’interno delle proprie chansons vulgaires (canzoni volgari) un’eterotipia blues e queer.
Le “canzoni volgari” di Hughes: l’eterotipia dei night clubs
Il night club delle poesie di Hughes, quindi, non è solo l’ambiente in cui la socialità queer emerge, ma essa è inserita in un ampio “ecosistema” notturno dalle complesse dinamiche. Questo rende i locali di Harlem una vera e propria eterotipia di deviazione secondo la definizione foucaultiana dell’omonimo saggio: spazi differenti […], luoghi altri, una specie di contestazione al contempo mitica e reale dello spazio in cui viviamo. Queer Negro Blues, per l’eterogeneità intrinseca di questi ambienti, è un insieme di “canzoni volgari”, come le definisce l’autore, di grande eterogeneità. Infatti la figuralità naturalistica – quasi da egloga – tipica di alcune poesie per descrivere le spogliarelliste (Nude Young Dancer) viene affiancata da altri componimenti dal tono cronachistico, i quali descrivono la drammaticità della vita delle sex workers africane del primo Novecento (Young Prostitute).
Giovane ballerina nuda
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Notturna anima danzante nell’ora più confusa?
Quale immensa foresta ha steso il proprio profumo
Che come dolce velo sul tuo giaciglio riposa?
Sotto quale albero hai dormito nella giungla,
Tu nera come la notte e dalle anche vivaci?
Quale livida luna ti è stata madre?
A quale candido ragazzo hai offerto i tuoi baci?
*
Giovane prostituta
Quella sua faccia scura
È come un fiore appassito
Su di uno stelo spezzato.
Quelle così vengono via a poco ad Harlem
O almeno così si dice.
L’eterogeneità, tuttavia, non è il solo risultato dell’unione dei molteplici tasselli con cui Hughes fornisce un’immagine di Harlem, ma, coerentemente con il saggio foucaultiano precedentemente citato, il night club è anche il luogo in cui le barriere della società diurna vanno a cadere, permettendo l’interazione di molteplici tipi sociali. Pertanto, oltre al loro intrinseco statuto contestativo, questi luoghi raccontano – anche attraverso personaggi – la vita del tempo senza censure, o quasi. Questo dettaglio acquisisce ulteriore rilevanza se si pensa che le leggi Jim Crow (1870-1964), che prevedevano la segregazione razziale nei servizi pubblici e passate alla storia col motto separate but equal [separati ma uguali], erano ancora in vigore.
Ballerini Negri
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Luci soffuse sui tavoli,
Musica allegra
Delinquenti dalla pelle scura
In un cabaret.
Amici bianchi, ridete!
Amici bianchi, pregate!
“Me e il mio amore
Abbiamo un po’ di modi,
Un po’ di modi per ballare Charleston!”
Raccontare la vita senza barriere, però, significa anche farne emergere la complessità e soprattutto la contraddittorietà; per questo, in Queer Negro Blues, immagini ricorrenti come la notte e il rapporto tra l’autore e gli altri afro-americani è spesso ancipite, come ad esempio in Mulatto (o High Yellow, nella versione inglese).
Il night club, quindi, anche in relazione al contesto storico-politico del tempo, si impone come spazio altro non normato, in cui le divisioni della vita diurna venivano totalmente ristrutturate.
Alcune osservazioni sulla queerness dell’antologia: la wilderness marittima
Come si anticipava inizialmente, la queerness dell’autore è stata ampiamente dibattuta e le aperte rappresentazioni letterarie che egli ne dà (poesie come Café: 3 a.m. o la descrizione del ballo in drag nella sua autobiografia oppure il racconto Blessed Assurance sul rapporto tra un ragazzo omosessuale e suo padre) sono successive ai testi riportati in questa antologia. Come il traduttore, però, fa notare: «Nei testi di Hughes, così come in quelli di McKay, di Cullen e ovviamente di Nugent, il desiderio omosessuale è spesso nascosto o mistificato.»[2]. Questo era dovuto alla persistente omofobia della comunità nera tutt’ora perdurante, come testimonia Michael L. Cobb che: «non esita a dare la colpa alla forte omofobia presente, ora come allora, nella comunità artistica, e non solo di colore; si veda, ad esempio, ancora ai giorni nostri, l’omofobia presente nei testi di numerosi artisti neri». Brusa, pertanto, osserva come Hughes ed altri, soprattutto nei primi lavori, avrebbero tutti ereditato il topos whitmaniano dei loving comrades per celare la propria queerness. È interessante notare che molte delle poesie in questione (Long-trip, Boy, Water-Front Trips Port Town ecc…) connotino il mare come utopia (Water-Front Streets) oppure come luogo selvaggio/incontaminato connesso ad una pulsionalità vitale, giocando sulla polisemia di wilderness e sull’ambiguità intrinseca di verbi come dip, dive, rise e roll all’interno del componimento, che rendono le descrizioni metafora tanto dell’amplesso quanto della burrasca, per non parlare dei verbi hide/hidden che sono la prova più ovvia della dissimulazione di cui parlava Brusa. Se il night club era il luogo in cui inedite interazioni sociali emergevano, il mare è territorio liminale in cui l’umano viene lasciato a piè di pagina e di conseguenza ogni rapporto di forza viene realmente a cadere: la wilderness pertanto non è uno spazio cronachistico, ma eminentemente lirico. Infatti le miserie dei personaggi, la lotta razziale, la scansione della giornata e infine l’alternanza stessa di genere si dissolvono.
Fronte del Porto
La primavera qui non è così bella,
Ma navi da sogno prendono il mare
Verso luoghi di primavere meravigliose
E la vita è gioia da amare
La primavera qui non è così bella
Ma i ragazzi si avventurano in mare
Portano bellezze nel cuore
E sogni, come anche io so fare.
*
Porto di Mare
Hey, marinaio,
Rientrato dal mare!
Hey, marinaio,
Con me devi venire!
Dai su, bevi un cognac.
O forse vuoi del vino?
Dai su vieni qui, io ti amo.
Vieni qui e non dirmi di no.
Dai su, marinaio,
Uscito dal mare.
Andiamo, dolcezza!
Con me devi venire.
*
Lungo Viaggio
Il mare è desolata distesa d’onde,
Un deserto d’acqua.
Ci tuffiamo e ci immergiamo,
Ci innalziamo e barcolliamo,
Ci nascondiamo e veniamo nascosti
Nel mare.
Giorno, notte,
Notte, giorno,
Il mare è un deserto d’onde,
Una desolata distesa d’acqua.
Testi in inglese
Nude young dancer
What jungle tree have you slept under,
Midnight dancer of the jazzy hour?
What great forest has hung its perfume
Like a sweet veil about your bower?
What jungle tree have you slept under,
Night-dark girl of the swaying hips?
What star-white moon has been your mother?
To what clean boy have you offered your lips?
*
Young prostitute
Her dark brown face
Is like a withered flower
On a broken stem.
Those kind come cheap in Harlem
So they say
*
Negro Dancers
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Da, da,
Da, da, da!
Two mo’ ways to do de Charleston!”
Soft light on the tables,
Music gay,
Brown-skin steppers
In a cabaret.
White folks, laugh!
White folks, pray!
“Me an’ ma baby’s
Got two mo’ ways,
Two mo’ ways to do de Charleston!”
*
Water-Front Streets
The spring is not so beautiful there,-
But dream ships sail away
To where the spring is wondrous rare
And life is gay.
The spring is not so beautiful there,
But lads put out to sea
Who carry beauties in their hearts
And dreams, like me.
*
Port Town
Hello, sailor boy,
In from the sea!
Hello, sailor,
Come with me!
Come on drink cognac.
Rather have wine?
Come here, I love you.
Come and be mine.
Lights, sailor boy,
Warm, white lights.
Solid land, kid.
Wild, white nights.
Come on, sailor,
Out o’ the sea.
Let’s go, sweetie!
Come with me.
*
Long Trip
The sea is a wilderness of waves,
A desert of water.
We dip and dive,
Rise and roll,
Hide and are hidden
On the sea.
Day, night,
Night, day,
The sea is a desert of waves,
A wilderness of water.
Langston Hughes
Alessandro Brusa è nato a Imola nel 1972 e vive a Bologna.Ha pubblicato due romanzi: Il Cobra e la Farfalla (Pendragon 2004) e L’Essenza Stessa (L’Erudita 2019) e tre raccolte di poesia: La Raccolta del Sale (Perrone 2013), In Tagli Ripidi (nel corpo che abitiamo in punta) (Perrone 2017) e L’Amore dei Lupi (Perrone 2021). Suoi testi poetici ed in prosa sono apparsi su antologie e riviste, cartacee ed online, sia in Italia sia, in traduzione, negli Stati Uniti, Francia, Belgio, Romania, Spagna ed America Latina. Accompagna il lavoro di scrittura a quello di traduzione dall’inglese con testi pubblicati su riviste online e cartacee (Testo a Fronte, NazioneIndiana, MediumPoesia, InversoPoesia, Le Voci della Luna, PoetarumSilva, La Macchina Sognante). A maggio 2023 esce Queer Negro Blues (Marco Saya 2023) traduzione e curatela di una selezione antologica di testi del poeta americano Langston Hughes.
Luca Cenacchi si occupa principalmente di critica letteraria con particolare interesse verso la poesia queer italiana. Ha collaborato con varie riviste online e cartacee tra cui: Argoonline, Poetarum Silva, Atelier (cartaceo), Niederngasse, FaraPoesia e altri. Ha collaborato con diverse case editrici, per cui ha firmato prefazioni e interventi, tra cui: Oedipus, Atelier, Fara editore e Tempo al Libro. È stato giurato presso vari concorsi letterari tra cui Bologna in Lettere (Dislivelli 2018). Attualmente collabora con il collettivo forlivese Candischi con cui organizza presentazioni di poesia.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
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Elena Denisa Alexandru – Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista Atelier
Elena Denisa Alexandru ha pubblicato poesie su varie riviste e blog letterari, tra i quali Inverso, Avamposto online e cartaceo (n.1), Margutte, ed Euterpe.
[A f. per i chiari di Luna]
– S. Ivo alla Sapienza
Per terminare la foce della Sapienza
era necessario commuoversi sulle tue
labbra, attendere il basamento nella
tua bocca; la lingua a scavare nei
tuoi occhi verdi. Quasi al mezzo tono
noi due ci amiamo: simili ad illimitati toni,
in fuga dal pentagramma, le lettere noi
sedimentiamo nel pianto. Sulla lanterna
in cima alla Sapienza l’ottava si trapassa,
nella carcassa sospesa, le bocche sfiniscono.
Tu sei nella cariatide arcaica, nel mio fluido
sfoghi il sangue. Non attendere la fine della
Sapienza. Ascolta il canto della mia confessione.
*
– S. Maria della Vittoria
L’incenso adesso invoca le gote pallide; la bocca
trabocca di baci, trabocca la brocca di baci. Non
basta attendere un tempo intero per saturarsi, le
cime scivolano sulle fronti, di cento in cento s’
addensano sulle gote, di mille in mille vogliono
sacrificarsi in lacrime, obliare le fonti vuote. I
bianchi nembi celano la tua arcana nudità, senti
come lievemente trafiggo il candido, ti vengo
incontro. Dopo, io e te tenuti per mano io
con te felici insieme fioriamo nella Luna pallida.
*
Martirii ( Sacro cuore di Gesù)
Sono stato in alcuni posti, senza di te
che grattavi la pelle via dal volto.
Di sasso in sasso, non ti giravi più di
spalle per farti mordere, non velavi
più le lacrime sul viso dissetato, le contrazioni
del depressore, dell’orbicolare affrescati
sulla parete. Una volta apertosi il cielo
il ventre si distenderà ad accogliere l’
intradosso, la luce divaricherà i piedritti, la
steppa che ti correva dietro. Sono stato epodico
senza di te. Il Michele era seduto sul trono
in pietra, si infilzava gli occhi verdi
con la punta della spada. Nell’istante passato
a 20 metri mortifichiamo la salsedine, il ferro freddo.
Tra 20 metri guardami: io sarò tornato da te.
*
Dispersioni (S. Maria Immacolata)
Non tutto l’essere può essere presente, ci si
ostina ad attraversare le spoglie tanto da
disperdere l’immagine apparsa di
recente. Ora già rinasciamo coperti dalla
sacra melma secreta dai riposi della Lucia,
ora anche il Danubio si soffre immerso
nell’amniotico. Tu dici portami, resistimi
al guado, io velato d’un zendado. Tu dici
offrimi nell’abside, forami con le trifore,
versami nella tua gola –sulle navate
incise le tue grida, sulle navate sofferti
i rari esametri. Vieni, un giorno siamo
giovani, ci ricordiamo nei salici all’
angolo dei nostri corpi. Il giorno
dopo, la notte si sveste tra la luna
e il fuoco, incide il velo, scopre il capo.
A tratti poi, il tuo sorriso intimorisce
la parola, germogliano i distici miei
tra le tue labbra, vivono nel tuo blando
respirare. Ci si disperde certe volte.
*
Eliotropio (S. Susanna alle Terme)
Sono rimasto sperduto nelle tue spoglie,
mi radico inconsapevole nella città lontana,
quasi tu fossi il mondo. Là uno sguardo
resiste il fondo. Attendo, persisto il confine,
sconfino nel pianto. Nelle lacrime noi
mortifichiamo i vent’anni, sfioriremo
nel perdonarci delicatamente all’una
e mezzo di notte. Saremo Cassandre sole.
Biografia di Elena Denisa Alexandru ha pubblicato poesie su varie riviste e blog letterari, tra i quali Inverso, Avamposto online e cartaceo (n.1), Margutte, ed Euterpe.
Biblioteca DEA SABINA
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Antonio Nazzaro – Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista AtelierRivista Atelier-
Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963). Giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. È direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici.
* * *
adesso che non ho più il silenzio
ma un fischio senza fine
sento solo il silenzio degli altri
quello a fare solitudine
la lingua incagliata tra i denti
della parola non detta
quella di un mondo del lavoro
a negare la dignità senza dire
orfano di terra di madre
parlo con te acufene
un ascoltare te
che non ascolti me
*
sono una conchiglia di terra
muovo passi sul mattino alpino
alla finestra lo sguardo
fa il cielo mare piatto
sono una conchiglia
l’orecchio porta nella testa
l’eco degli oceani e dei mari
tutti quelli possibili dell’emigrante
l’acufene seduto sul lobo
canta mille lingue e terre
in un solo fischio
*
sento il canto delle sirene d’Ulisse
il richiamo dell’onda mediterranea
il frangersi della spuma degli oceani
il muoversi lento del lago
il vento a spazzare le strade d’Europa
il ciclone a scuotere le palme caraibiche
il turbinio delle foglie d’autunno
il pizzicare della cetra sull’incendio di Roma
il ritmo del charango sulla povertà dei barrios
il ballo del tango e delle balere di periferia
il suono dell’arte continuo
come Van Gogh lascio
l’orecchio sul comodino
a sentire lo scorrere del Rodano
a passare senza posa come un acufene
*
Antonio Nazzaro
non mi perderò nella nebbia densa di Londra
trafitta dal canto perduto di Trafalgar
né in quella spessa dell’Eridano
a riecheggiare le urla della batracomiomachia
né in quella impigliata alle cime andine
attraversata dal fischiettare del Libertador
né in quella versata da Atena sulle coste d’Itaca
a nascondere lo sguardo d’Ulisse
né in quella dolce addormentata sulle Highlands
tessuta dagli elfi dell’acqua
il fedele acufene destriero dello stridio
dalle nebbie richiama alla terra
e non si può perdere il cammino
solo seguire l’infinito sibilo
*
ho un dio nella testa
sicuramente ortodosso
non scende mai dal pulpito
o dal minareto
la sua chiamata è costante
si è rubato il silenzio
confonde le parole sulla lingua
e gioca a girarmi intorno a farmi girare
è un demiurgo che non smette di battere
uno stakanovista dimenticato in miniera
sbatte come il vento le finestre
e si porta via i pensieri
anche quelli amorosi soffia via
lasciandomi in una solitudine piena
piena di lui ovviamente
e non è neanche bello
sembra un neon impazzito
che non smette di vibrare la luce
tutti mi dicono di non pensarci
ma lui non smette di pensarmi
acufene l’allarme che
un ladro non sa spegnere
Antonio Nazzaro
Biografia di Antonio Nazzaro (Torino, Italia, 1963). Giornalista, poeta, traduttore, video artista e mediatore culturale. Fondatore e coordinatore del Centro Cultural Tina Modotti. È direttore di diverse collezioni di poesia italiana e latinoamericana per differenti case editrici. Ha pubblicato le sillogi: Amore migrante e l’ultima sigaretta (RiL Editores, Chile; Arcoiris, Italia, 2018), Corpi Fumanti (Uniediciones, Bogotá, 2019) e Diario amoroso senza date, Fotoromanzo poetico (Edizioni Carpa Koi, Italia, 2021), La dittatura dell’amore (Edizioni Delta 3, collezione Aeclanum, Italia, 2022). Un libro di racconti brevi: Odore a (Edizioni Arcoiris, Italia, 2014) e il libro di cronaca e poesia: Appunti dal Venezuela, 2017, Vivere nelle proteste (Edizioni Arcoiris, Italia, 2017). Suoi testi sono stati pubblicati in differenti lingue su riviste e antologie nazionali e internazionali.
Biblioteca DEA SABINA
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Poesie di Hans Magnus Enzensberger poeta, saggista e scrittore tedesco
-Einaudi Editore-
Hans Magnus Enzensberger
Hans Magnus Enzensberger è stato poeta, saggista e scrittore tedesco. Tra le sue opere pubblicate da Einaudi ricordiamo Mausoleum (1979, e ripresa nel 2017 con lievi aggiornamenti e l’aggiunta del testo a fronte), La fine del Titanic (1980), Musica del futuro (1997), Più leggeri dell’aria (2001), Il mago dei numeri (1997, ripreso anche in ET), Ma dove sono finito (1998 e 2011), Esterhazy (2002), Che noia la poesia (2006), Il perdente radicale (2007), Nel labirinto dell’intelligenza (2008), Hammerstein o dell’ostinazione (2008 e 2010), Josefine e io (2010), Bibs (2011), I miei flop preferiti (2012), Il mostro buono di Bruxelles (2013), Chiosco (2013), Considerazioni del signor Zeta (2015), Tumulto (2016), Parli sempre di soldi! (2017). Panopticon (2019) e Artisti della sopravvivenza. Sessanta vignette letterarie del Novecento (2022).
Ciò che ieri sera fu è e non è
La barchetta che si allontana
e la barchetta che si accosta
I capelli così vicini erano capelli stranieri
Questo è facile a dirsi E’ sempre così
Il lago grigio è proprio il lago grigio
Il pane fresco di ieri sera è indurito
Nessuno balla Nessuno bisbiglia Nessuno piange
Il fumo è dissolto e non dissolto
Il lago grigio adesso è azzurro Qualcuno chiama
Qualcuno ride Qualcuno se n’è andato
C’è molta luce Era mezzo buio
La barchetta non sempre ritorna
E’ la stessa cosa e non è la stessa
Qui non c’è nessuno La roccia è roccia
La roccia cessa di essere roccia
La roccia ridiventa roccia
E’ sempre così Nulla scompare
e nulla rimane Ciò che fu
è e non è ed è Questo
nessuno lo capisce Ciò che ieri sera
fu è facile a dirsi Com’è luminosa
qui l’estate e com’è breve.
Finnischer Tango
“Die Furie Des Verschwindens”
Was gestern abend war ist unf ist nicht
Das kleine Boot das sich entfernt
und das kleine Boot das sich nähert
Das Haar das ganz nah war ist fremdes Haar
Das ist leicht gesagt Das ist immer so
Der graue See ist doch der graue See
Das frische Brot von gestern abend ist hart
Niemand tanzt Niemand flüstert Niemand weint
Der Rauch ist verschwunden und nicht verschwunden
Der graue See ist jetz blau Jemand ruft
Jemand lacht Jemand ist fort
Es ist ganz hell Es war halb dunkel
Das kleine Boot kehrt nicht immer zurück
Es ist dasselbe und nicht dasselbe
Niemand ist da Der Felsen ist Felsen
Der Felsen hört auf Felsen zu sein
Der Felsen wird wieder zum Felsen
Das ist immer so Es verschwindet
nichts und nichts bleibt Was da war
ist und ist nicht und ist Das
versteht niemand Was gestern abend war
Das ist leicht gesagt Wie hell
der Sommer hier ist und wie kurz
(da Nuovi poeti tedeschi a cura di Anna Chiarloni,Einaudi, 1994)
Hans Magnus Enzensberger
Luce residua
Ma sì, ma sì, anch’io sono qua, fra quelli
che resistono. È persino facile,
a paragone di Katowice o Montevideo.
Qua e là resti di campagna,
binari arrugginiti, calabroni.
Un fiumiciattolo, noccioli e ontani,
perché non sono bastati i fondi
per far piazza pulita. Sopra l’acqua lurida
il ronzio dei fili ad alta tensione
non mi disturba. Mi vuol convincere
che potrei leggere ancora un po’,
prima che faccia buio.
E se mi voglio annoiare,
ho la televisione, l’ovatta colorata
sugli occhi, mentre di fuori
i ragazzini suicidi sulle Honda
sgommano in tondo sulla piazza bagnata. Anche il fracasso,
anche la sete di vendetta sono pur un segno di vita.
In questa fioca luce prima del sonno
niente coliche, nessun vero dolore.
Come un lieve crampo nei muscoli
sentiamo, loro e io, sbadigliando,
di minuto in minuto il tempo
farsi più piccolo.
Restlicht
Doch doch, ich gehöre auch zu denen,
die es hier aushalten. Leicht sogar,
im Vergleich zu Kattowitz oder Montevideo.
Hie und da Reste von Landschaft,
rostende Eisenbahnschienen, Hummeln.
Ein kleiner Fluß, Erlen und Haselnüsse,
weil das Geld nicht gereicht hat
zur Begradigung. Uber dem trüben Wasser
das Summen der Hochspannungsmasten
stört mich nicht. Es redet mir ein,
daß ich noch eine Weile lang
lesen könnte, bevor es dunkel wird.
Und wenn ich mich langweilen will,
ist das Fernsehen da, der farbige Wattebausch
auf den Augen, während draußen
die kindlichen Selbstmörder auf ihren Hondas
um den nassen Platz heulen. Auch der Krach.
auch die Rachsucht ist noch ein Lebenszeichen.
Im halben Licht vor dem Einschlafen
keine Kolik, kein wahrer Schmerz.
Wie einen leichten Muskelkater
spüren wir gähnend, sie und ich,
die von Minute zu Minute
kleiner werdende Zeit.
Utopia (1957)
Il giorno sale, con grande forza
batte i suoi zoccoli tra le nuvole
il lattaio sui suoi bidoni
tambureggia sonate; al cielo ascendono i fidanzati
su scale mobili; selvaggi, con grande forza
si sventolano cappelli bianchi e neri.
Le api scioperano. Tra le nuvole
ruotano i procuratori,
papi cinguettano dagli abbaini.
La commozione domina sia lo scherno
che il giubilo. Velieri
sono piegati dai bilanci.
Il Cancelliere parteggia con un vagabondo
i fondi segreti. L’amore
è consentito dalla polizia,
è promulgata un’amnistia
per coloro che dicono la verità.
I panettieri regalano rosette
ai musicanti. I fabbri
fanno delle croci
ferri per gli asini. Come in un ammutinamento
irrompe la felicità, come un leone.
Gli strozzini, su cui sono gettati
fiori di melo e ravanelli,
si pietrificano. Buttati sulla ghiaia,
abbelliscono fontane e giardini.
Ovunque ascendono mongolfiere
la flotta di piacere e’ pronta a partire;
salite, lattai,
fidanzati e vagabondi!
Scioglietevi! Con grande forza
sale
il giorno.
Bildzeitung (1957)
Tu diventerai ricco,
incidifrancobolli Attaccaorologi:
se il centravanti vuole,
per un marco sarà colpita di testa
una grande quantità’ di principi offesi
dote di Turandot pronostico infallibile
Apparecchia la tua tavola:
tu diventerai ricco.
Manotipista Stenocure,
tu diventerai bella:
se il produttore vuole
l’inchiostro di stampa verrà spalmato
tra le cosce una grossa rete
un mostriciattolo indesiderato
Distenditi, asinella;
tu diventerai bella.
Bestia sociale Compagnodivoce
tu diventerai forte:
se il presidente vuole
giù pugni sull’agitatore
scatti di flash sul sorriso del boia
dai botte dunque, metticela tutta
fuori i randelli dalla sacca:
tu diventerai forte.
Anche tu, anche tu, anche tu
arriverai lentamente
alle buste-paga ed alle bugie
ricco, forte ed umiliato
tra ispezioni e caffè
al malto, ben contaminato
di multe, merda,
scorie nucleari:
i tuoi polmoni una gialla scogliera
di nicotina e di calunnia
possa la terra esserti leggera
come il sudario
di raggiro e d’inganno
che compri ogni giorno
in cui ogni giorno ti avvolgi.
Hans Magnus Enzensberger
L’altro
Uno ride
si interessa
ha il mio viso con pelle e capelli sotto il cielo
lascia rotolare parole dalla mia bocca
uno che ha denaro e paura e un passaporto
uno che litiga e ama
uno si diverte
uno si dimena
ma non io
io sono l’altro
che non ride
che non ha viso sotto il cielo
e alcuna parola nella sua bocca
ed è sconosciuto a sé e a me
non io; l’altro; sempre l’altro
che non vince e non è vinto
che non si interessa
che non si muove
l’altro
che è indifferente a se stesso
del quale io non so niente
del quale nessuno sa chi è
che non mi muove
questo io sono.
(1964)
Bibliografia
Questo è scritto per te.
Tortuosità sotto la corteccia,
scrittura tremolante dietro le tempie,
piste di formiche.
Questo non è un artificio.
Circuito stampato,
comunismo
dei polipeptidi,
primule elettroniche,
allodole, secondo un programma.
Prendi e leggi, vecchio suicida.
Manifesti genetici,
permutazioni, gorgheggi.
Ogni cristallo un capolavoro.
Costruire occhi di libellula
non è un artificio
ma le ricchezze del mondo
sono più semplici.
Questa ortica
potrebbe essere di Proust.
Feedback-system di secondo grado,
ultrastabile.
Finché questo libro ti arriverà in mano,
potrebbe essere per leggere
già troppo buio.
Se le libellule
se la caveranno senza di noi,
non lo sappiamo.
Bisogna accettarlo.
Butta via il libro
e leggi.
(1964)
Ordine del giorno
Telefonare consulente fiscale, lavorare un po’.
meditare sulla foto di una donna
che si è ammazzata.
Andare a vedere quando si è cominciata a usare
l’espressione immagine del nemico.
Dopo il tuono osservare le bolle
che il nubifragio forma sul lastrico
e bere l’aria bagnata.
Fumare e guardare un po’ di televisione senz’audio.
Chiedersi di dove viene il prurito del sesso
durante una squallida riunione.
Pensare per sette minuti all’Algeria.
Dar fuori in bestemmie come un dodicenne
su un’unghia che si è spezzata.
Ricordarsi di una precisa sera,
ventun anni fa, era di giugno,
un pianista nero suonava il cha cha cha
e qualcuno piangeva di rabbia.
Non dimenticare di comprare il dentifricio.
Cercar di capire perché
perché Dio non lascia mai
in pace gli uomini, e neanche il contrario.
Cambiare la lampadina in cucina.
Ritirare dal balcone, con cautela,
la cornacchia fradicia, arruffata, inanimata.
Contemplare le nuvole, le nuvole.
Ma anche dormire, dormire.
da Più leggeri dell’aria traduzione di Anna Maria Carpi
Canto Quinto
(da La Fine del Titanic, 1978)
Rubate ciò che vi è stato rubato,
prendetevi finalmente quel che è vostro, gridava,
intirizzito, la giacca gli andava stretta,
i suoi capelli guizzavano sotto le gru
e lui gridava: io sono uno di voi,
cosa state ancora ad aspettare? Adesso
è ora, sfondate le barriere,
gettate la gentaglia a mare,
comprese le valigie, i cani, i lacché,
le donne anch’esse e persino i bambini,
con violenza, coi coltelli, con le nude mani!
E mostrava loro il coltello,
mostrava loro la nuda mano.
Ma quelli della terza classe,
emigranti tutti, stavano lì fermi
nell’oscurità, si toglievano tranquillamente
il berretto e restavano ad ascoltarlo.
Ma quando vi deciderete a prendere vendetta,
se non vi muovete subito?
O forse non siete capaci di vedere del sangue
che non sia quello dei vostri figli e il vostro?
E si graffiava il viso
e si feriva le mani
e mostrava loro il suo sangue.
Ma quelli della terza classe
lo ascoltavano e tacevano.
Non perché non parlasse lituano
(non parlava lituano);
non perché fossero ubriachi
(le loro antiquate bottiglie,
avvolte in panni grossolani,
erano state da tempo scolate);
non perché avessero fame
(avevano anche fame):
non era per via di tutto ciò. Non era
così facile da spiegare.
Capivano, certo, quel che diceva,
ma non capivano lui.
Le sue parole non erano le loro.
Erano rosi da paure diverse
dalle sue, e da altre speranze.
Rimasero lì in piedi, pazienti,
con i loro zaini, i loro rosari,
i loro bambini rachitici,
dietro alle barriere, gli fecero largo,
lo ascoltavano, rispettosamente,
e attesero, finché non affondarono.
(da La fine del Titanic Einaudi, 1980, traduzione di Vittoria Allliata)
Hans Magnus Enzensberger
Biografia di Hans Magnus Enzensberger scrittore tedesco (Kaufbeuren, Allgäu, 1929 – Monaco di Baviera 2022). Autore anticonformista e versatile (romanziere, autore di testi teatrali, radiofonici ecc.), è stato tra gli animatori del Gruppo 47 ed è una delle figure più interessanti della letteratura tedesca del secondo dopoguerra. I suoi scritti, in particolare i saggi, sono permeati da un profondo pessimismo e denunciano causticamente le storture e le debolezze della società contemporanea.
Opere
Ancora adolescente patì la dura esperienza della guerra a cui partecipò nel 1944-45. La sua poesia (Verteidigung der Wölfe, 1957; Landessprache, 1960; Blindenschrift, 1964; Gedichte 1955-70, 1971; Mausoleum, 1975, trad. it. 1979; Der Untergang der Titanic, 1978, trad. it. 1980), pur risentendo molto dell’insegnamento brechtiano, non vede tuttavia un mezzo di salvezza per l’uomo e si presenta come denuncia spietata di tutte le storture e debolezze della società di oggi. Essa si distingue per l’originalità dell’espressione volutamente antipoetica e provocatoria, ricorrendo sia ai mezzi più facili di rottura (abolizione delle maiuscole, introduzione del gergo commerciale, rottura sintattica, ecc.), sia alla più raffinata demitizzazione della letteratura “bella” nell’uso profanante della citazione. Lo stesso carattere aggressivo e accusatore si rivela nei saggi più strettamente letterari, in cui E., nella ricerca dell'”artista radicale” (Clemens Brentanos Poetik, 1961), denuncia ogni debolezza o inattualità del fenomeno letterario. Molto importante la sua attività giornalistica, sviluppatasi soprattutto su Kursbuch e su Trans-Atlantik, battagliere riviste da lui create rispettivamente nel 1965 e nel 1980, nonché la sua opera saggistica, sempre a contatto con l’attualità senza però mai ridurvisi: Einzelheiten (1962; trad. it. Questioni di dettaglio, 1965); Politik und Verbrechen (1964; trad. it. 1979); Deutschland, Deutschland unter anderem (1967); Das Verhör von Habana (1970; trad. it. 1971); Der kurze Sommer der Anarchie (sotto forma di romanzo, 1972; trad. it. 1973); Palaver. Politische Überlegungen (1974; trad. it. 1976); Ach, Europa! (1987; trad. it. 1989). Del 1995 è la raccolta di poesie Kiosk. Neue Gedichte (trad. it. 2013), mentre sono stati pubblicati nel 1997 ZichZack (trad. it. 1999) e il fortunato Der Zahlenteufel (trad. it. 1997), tra l’apologo e la fiaba, in cui la matematica diventa, per un alunno che non ne è attratto, un mondo quasi magico. Ha poi scritto, tra l’altro: Esterhazy. Eine Hasengeschichte (con I. Dische, 1998; trad. it. 2002); Die Elixiere der Wissenschaft (2002; trad. it. 2004), in cui racconta storie, vere e mitologiche, che orbitano intorno alla scienza; Schreckens Männer. Versuch über den radikalen Verlierer (2006; trad. it. 2007); Josefine und Ich. Eine Erzählung (2006; trad. it. 2010); Hammerstein oder der Eigensinn: eine deutsche Geschichte (2008; trad. it. 2008); la raccolta di poesie Rebus (2009); i saggi Fortuna und Kalkül. Zwei mathematische Belustigungen (2009), Meine Lieblings-Flops, gefolgt von einem Ideen-Magazin (2010; trad. it. 2012) e Sanftes Monster Brüssel oder Die Entmündigung Europas (2011). Tra i suoi lavori più recenti occorre ancora citare Tumult (2014; trad. it. 2016) e Immer das Geld! (2015; trad. it. Parli sempre di soldi!, 2017).Fonte-Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani
Marco Ercolaniè nato a Genova nel 1954, dove vive e lavora come psichiatra. Scrive racconti fantastici e vite immaginarie e indaga il rapporto arte/follia. Tra i suoi libri di narrativa: Col favore delle tenebre (Coliseum, 1987), Vite dettate (Liber, 1994), Lezioni di eresia (Graphos, 1996), Sindarusa (Tabula fati, 1997), Il mese dopo l’ultimo (Graphos, 1999) Carte false (Hestia, 1999), Il demone accanto (L’Obliquo, 2002), Taala (Greco & Greco, 2004) e Il tempo di Perseo (Joker, 2004.) È autore di due volumi di critica poetica, Fuoricanto (Campanotto, 2000) e Vertigine e misura (La vita felice, 2008). Ha curato il volume collettivo Tra follia e salute: l’arte come evento (Graphos, 2002) e il convegno L’arte della follia (Genova, Biblioteca Berio, 2004.) Suoi testi sono pubblicati in Riga, Poesia, Il gallo silvestre, Ipsofacto, Nuova Corrente, Anterem, La clessidra, Nuova Prosa, La mosca di Milano, Ciminiera. È stato redattore di Fanes, rivista di cultura psicoanalitica, e di Arca. Quaderni di scrittura. Con Luisella Carretta ha ideato la collezione di arte e scrittura Scriptions. In coppia con Lucetta Frisa ha scritto L’atelier e altri racconti (Pirella, 1987), Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000) e Anime strane (ibidem, 2006) e dirige per le edizioni Joker «I libri dell’Arca».
Per la mano sinistra
La forma è limpida – per esprimere cose e opache.
Ma se, dalla porta in cui appaio, fossi già scomparso?
Certi giorni, che trascorrono senza di me.
Scrivere è un atto di violenza, un magico errore, una gioia senza nome.
La poesia non nasconde e non svela.
La forma della poesia confluisce in suoni che ne cancellano l’architettura.
Prima di scrivere, maturo la gioia di tacere.
Sciolse la scena del disastro con parole che risuonarono armoniose.
Somigliando a qualcuno mi scopro inimitabile.
Lo spostamento di un avverbio è più eversivo di una rivoluzione vittoriosa.
Le opere inessenziali hanno una grazia particolare.
I fiumi si differenziano per i detriti che trascinano.
***
La pertinenza del testo: modulare una passione.
Le perfezioni sono attimi.
La poesia è abitare desideri impossibili.
Il fulmine frantuma lo specchio che riflette il lampo.
Lo scrittore ha un solo dovere: essere cosciente delle proprie visioni.
Perché la mia lingua sia vera, deve averla nutrita il buio.
L’immobilità: limite estremo del rallentamento del moto.
Lo scoglio non esaurisce il flusso delle onde.
Scrivo per prepararmi a scrivere in qualche impossibile giorno
Siamo perduti, solo se siamo stati ingiusti.
Disimpari lo stupore e cominci a morire.
Disorientare il presente: sopravvivere.
***
Allo scrittore accade di anticipare se stesso senza conoscersi ancora.
La parola è indicibile. Ma occorre scrivere per saperlo.
Morirò per non essere sopraffatto dalla morte.
Maldestri e inutili, stupidi e balordi. Eletti.
Qualcuno si crede originale per eccesso d’ignoranza.
Il linguaggio può trasformare, ma bisogna esserne all’altezza.
Non c’è nulla di conforme: mi aiuta la scienza del deforme.
Nascere sempre nel tempo sbagliato.
Scrivo per ripetere ciò che non sono. Per allontanarmi da me
Non avendo più nessun desiderio, come posso desiderare la morte?
Solo quando la casa va a fuoco, è visibile la sua architettura.
***
Chi è cieco grida di non vedere. Non scrive aforismi sulla cecità.
Distruggere quel suono solo per aprire le orecchie a un altro suono.
L’arte, consumando opere, non si annulla ma cambia forma.
La parola è trasparenza dell’io all’esperienza dell’abisso.
Non si crea verità ma la si dissotterra.
Prima necessità: esprimersi. Prima necessità: ammutolire. Da dove si inizia?
Un uomo che guardi se stesso da lontananze estreme e trovi un linguaggio possibile.
La forma dell’io, alla radice, è visione del non-io: vertigine dello specchio.
Un dio – ma simile al fumo che sale dalle macerie.
La forma più primitiva del sapere è un soffio di vento.
Il passato non è mai certo della sua estinzione.
***
La follia, come l’arte, presume di sconfiggere la morte.
La scrittura è spartito per la voce.
Troppe parole, nella pagina, e pochissimi ricordi, nella mente.
Uccidermi sarebbe perdere il flusso vivente di cui solo io sono occhio e orecchio.
Avvicinarsi alla mancanza di maschere è la via maestra per togliersi la vita.
Scrivere è parlare di un vento di cui non ricordiamo il suono.
Nessuna interiorità è personale.
Tutte le idee vengono dal sonno.
Solo chi si sveglia può osservare dormire.
Dormire è appartenere al segreto di un altro.
All’interno del sonno c’è un risveglio di cui la scrittura è complice.
Il testo è il risveglio ma il fondo della parola è il sonno.
Stile: gioco di equilibri attorno a un precipizio.
***
La scrittura è il sogno illegittimo ma reale della resurrezione.
Il sonno rende la veglia un territorio misterioso.
La vita: progressivo misconoscimento del mondo.
Ci sono fantasmi che devono esistere per noi e oltre di noi.
Farsi sopraffare dalle voci è la volontà di creare un non-luogo della letteratura.
Il punto più in ombra corrisponde al centro della luce più intensa.
Disegni fatti di fuliggine e cenere, di ciò che è esistito ed è bruciato.
Il vero incendio è dove soffochi, non nel chiarore delle fiamme.
Ricordo impossibile: il sole sotto il cuscino.
L’opera deve restare segreta, se occorre, contro il suo stesso autore.
Annotare, ma lentamente.
***
Missione impossibile ma necessaria: trovare le frasi lucide dello stordimento.
E’ l’opera stessa a inventare l’io nel quale vuole esprimersi.
La scrittura può descrivere i colori, ma ogni descrizione è un’ombra.
La musica tradisce il corpo meno della parola.
Della musica attrae il silenzio suscitato dalle note.
Scrivere: emorragia che non può essere fermata.
Ci sono ferite che richiudere sarebbe un delitto.
Aveva molto buio, nelle dita.
Accettare il fallimento personale come la linfa necessaria.
***
Perseverare nel sogno: scegliere il delirio contro l’annientamento.
Alcuni intervalli, dentro il mio sonnambulismo: gli atti vitali.
Riposare dai miei folli. Non vivere più in loro ostaggio.
Ritrovare, sotto il torace, la gaia, palpitante oppressione di creare.
Letteralmente non togliere mai la penna dal foglio.
Stupirsi per chi ti chiede cosa stai scrivendo.
I libri: la propria ferita, inarrestabile, scesa a patto con delle cicatrici.
La «cifra del tappeto» di tutta la mia opera è la necessità di vivere nonostante.
Per chi esige una certa luce, l’ombra non sarà mai sufficiente.
Non vivere neppure un attimo senza le potenzialità della parola.
Pagina mai vuota – inesauribile esorcismo.
Silloge dal titolo celaniano, incantevole: Da quale rupe riflessa (finalista al Premio Lorenzo Montano 2021, sezione «Raccolta inedita»). Ossia: dall’impossibilità di guardare in faccia, senza schermi, la luce. E qui si parla di giochi sui sipari che sono riverberi di oggetti deprivati di consistenza, ombre d’acqua, resti del diluvio.
Marco parla di uno «stormire» come brezza della dismisura oceanica più che brusio di foglie. L’acqua e l’aria appaiono elementi trionfali e trionfano, vorticosi e dolorosi elementi, sulla terra e sul fuoco, esperienze deludenti. Che il poeta si sia annidato nel riflesso per deviare l’urlo del ‘reale’ lacaniano, della Chose?
Protezione, forse, raffica parata continuamente per un indice di salvezza. Ercolani tenta di mettersi salvo, lungi dal suo credo ogni senso o sentimento della Redenzione. Sparire è il suo traguardo, nel silenzio, tra le ammirate nuvole, tra i fumi e gli ectoplasmi di una Genova opaca e graffiante, sparire, walserianamente. Quasi un sì, quasi un’obbedienza in extremis. Obbedienza all’altrove, alle nebbie.
Poesia mentale, tutta tesa alla cosa estraente, al nucleo e alla polvere particellare. Fino al sinistro di certe ombre persecutrici. Ombre che sopraggiungono allorché la distanza si fa più netta ed esatta. Appare allora il desiderio taciuto del salto, l’affondo nel buio. Non un buio romantico, decadente, ma deangelisiano, irto di editti e spaventi.
Tutto avviene, scrive il poeta, come se «quel lungo incredibile altrove […] non esistesse e l’aria fosse / ancora quel precipizio del volo perfetto / sopra la pietra finale».
Alfonso Guida
Marco Ercolani, Psichiatra e scrittore
***
Non parli la nostra lingua
arrivi e non parli:
guardi quel doppio sole,
come i fuggiti dal mondo guardano,
senza lacrime dopo la fuga,
la doppia luce e non abbassano gli occhi.
Arrivi, e questo cielo a picco
è tuo.
***
Cenere sognata dai morti
numero primo –
sillaba.
Senza una parola che rompa il muro della lingua
posso trascrivere me?
Vagabondo nelle stazioni
ma non ho occhio di folle.
La corda dondola vuota dal ramo.
Quale testa sprofonderà nell’ombra?
***
Qui non foglie, non alberi,
ma l’immagine esatta di una porta
nel profumo del giorno.
I venti, sulla maniglia,
indifferenti alla morte.
Torniamo
verso la luce bianchissima
inventiamo
un cielo mai, mai
notturno.
La vista ritorni,
del mare muto.
Marco Ercolani è nato nel 1954 a Genova, dove vive e lavora come psichiatra. S’interessa alla poesia contemporanea e al rapporto arte-follia. Numerose sono le sue pubblicazioni, in ambito sia scientifico sia letterario, sia come unico autore sia in coppia con Lucetta Frisa.
Marco Ercolani
* Marco Ercolani, Nel fermo centro di polvere (Il Leggio, Chioggia (Ve), 2018
LA POESIA COME ENIGMA NECESSARIO
Marco Ercolani è nato a Genova nel 1954. E’ psichiatra e scrittore. Artista complesso: narratore, critico letterario, saggista, curatore di collane, aforista, poeta. Insomma un autore che pratica la parola ed usa il linguaggio nelle sue forme, stili e strutture diverse. Come ha scritto Dario Capello, questo “È il libro di un poeta che da sempre conosce il senso della vertigine, del doppio movimento, imprendibile, delle cose e della lingua che le nomina. La parola di Marco Ercolani è qui scagliata, scagliata fuori dal suo stesso fluire ritmico, dopo essere stata a lungo macerata, febbrilmente meditata.” E’ la padronanza del linguaggio che prima di tutto colpisce in questa raccolta raffinata, articolata, profonda. La lingua qui “ritrova una forza non comune, un’originalità di dizione che altri poeti hanno perduto o non sanno trovare” (così scrive Antonio Devicienti nella sua introduzione) per cui la raccolta è portatrice di un piacere in sé, quello di incontrare una scrittura forte e piena, consapevole e ricca di sfumature. In un momento storico in cui la perdita di qualità del linguaggio va di pari passo con lo scadere della qualità della vita sociale e culturale del nostro Paese, credo che Ercolani ci offra una via di riflessione critica necessaria. Persona che analizza lucidamente, spietatamente il proprio lavoro, autore critico con se stesso, come con gli altri, Ercolani, nell’intervista curata da Gabriela Fantato che arricchisce il libro, chiarisce il senso del suo lavoro e della sua poetica. “La poesia, in quanto enigma, è esperienza dell’inconciliabile. Tutto non è mai come appare: l’universo di ogni parola ha l’inafferrabilità e la potenza del miraggio. La magia del canto incrina la compattezza del discorso, lo dissolve…”. La scrittura di Ercolani, per sua stessa indicazione, cerca “sequenza musicali” che nascono non dalla retorica (vera o presunta) della rima, ad esempio, ma dalla forza intrinseca dei significati che il poeta esprime, allude, indica, scolpisce. La poesia assume così un senso ontologico, fluttuante magari in certi momenti, ma sempre determinato. La poesia di Ercolani è un viaggio che cerca l’Altro dentro di noi e così facendo si sorprende e sorprende il lettore di pari passo. Il lirismo di Ercolani è di una forma diversa da quello abituale: siamo dinnanzi ad un lirismo “metafisico” non perché trascenda le cose, ma perché accede alle cose, entra nel vivo della materia poetica. Un lirismo quindi che sa fondere intelletto ed emozione, riflessione e visione intuitiva. La poesia di Ercolani è colta, ricca di riferimenti espliciti ed impliciti, ma mai pedante; egli sa connettere pensiero e visionarietà, un po’ come accade appunto per la musica. La scrittura nella poesia di Ercolani cerca il senso ed è senso essa stessa nel momento in cui si dice; la lingua accade e così si descrive, riflette su se stessa, propone una direzione a se stessa nel momento in cui indica le cose. Non ci si attenda quindi una poesia cerebrale, intellettualistica: “Nel fermo centro di polvere” è fuoco, passione che brucia, segreto che non si svela, miraggio necessario del nostro andare.
Stefano Vitale
@@@
Lei tace, tu abbandoni le braccia.
Torna segreto, il sole.
Lettere ancora bianche, mai scritte, mai perdute.
Aprono i cancelli. Ma del vento nessuna traccia.
Soffierà, forse.
In cima alle pietre.
Buio agli occhi. Vertigine.
Naufraghi sul tavolo.
@@@
Torre alta. Parto da qui.
Il bianco che le onde lasciano alla notte
è schiuma viva, dove l’acqua evapora:
restano, sempre, le fitte d’ombra dei versi.
Io parlo da qui:
insperabile reale limpida
voce.
Respiro, ma ai miei giorni
manca qualcosa di terrestre e di dolce.
Il lavoro poetico?
Rigorosa dilapidazione.
Essere nel nulla e non salvarsi. Cancellare
le parole nel foglio vuoto.
Leggere le pagine di chi fu vivo
e guardare la bellezza del cielo:
ritardare il congedo dal mondo,
léggere, non
scrivere più,
smettere di ripararsi dal cielo.
Finalmente
non capire.
@@@
Le maschere della mente
Immobile durante il giorno a leggere e a pensare,
ma ogni notte, la testa sul cuscino,
le gambe ferme, a perdifiato
nella terra lucente per sognare,
nella terra sconosciuta, in cima ai torrenti,
fra i monti percossi dai venti,
correre,
con cose strane da guardare,
nessun incubo a potermi spaventare…
Ma poi svegliarsi
e inutile e lungo torna il giorno.
Impossibile trovare la terra non vista,
impossibile riascoltare il sogno:
muto alle parole adulte
diventare il bambino trasparente
che abita la stanza di niente,
fumo di parole
le maschere della mente.
@@@
Ostuni
Dove sono le pietre che l’occhio inventava fra viso e mondo,
la masseria tra gli ulivi, le mura circolari e in alto
l’abbagliante, bellissima Ostuni?
La ricordo e la cerco
mentre scrivo all’interno del foglio,
lettera sotto lettera:
sotterro le frasi
concentro lo spazio
attendo che si laceri
la mia invisibile, affilata parola.
@@@
Tornare e tacere
A chi mi chiede, scrollo la testa.
È un no a ogni domanda:
appena ricorderei
qualcosa come odissee e ciclopi,
uno spazio invaso da navi e acqua,
il mondo interrotto dal ritmo del navigare
fra cieli sotterranei.
Il segreto è tornare, e tacere.
Ciò che ha vibrato
tradurlo in brevi bisbigli e rinascere
in silenzio, la nebbia dissolta,
in una vaga fedeltà
di testimoni di nulla.
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Note sull’Autore Marco Ercolani (Genova, 1954), è psichiatra e scrittore.
Per la narrativa scrive: Col favore delle tenebre, Praga, Il ritardo della caduta, Vite dettate, Lezioni di eresia, Il mese dopo l’ultimo, Carte false, Il demone accanto, Taala, Il tempo di Perseo, Discorso contro la morte, A schermo nero, Sentinella, Turno di guardia, Camera fissa, Preferisco sparire. Colloqui con Robert Walser 1954-1956, Destini minori.
Per la saggistica: Fuoricanto, Vertigine e misura, L’opera non perfetta, Il poema ininterrotto, L‘archetipo della parola. René Char e Paul Celan e Fuochi complici.
Per la poesia: Il diritto di essere opachi, Si minore, Nel fermo centro di polvere. I suoi taccuini sono raccolti in Nottario. Partecipa al convegno internazionale Bruno Schulz: il profeta sommerso. Suoi testi in riviste (Nuova Corrente, Poesia, La mosca di Milano), antologie (Altra marea) e siti web (La dimora del tempo sospeso, Doppio zero).
Vince il Premio Montano, il Premio per l’Aforisma “Torino in sintesi”, il Premio Morselli e il Premio Smasher. In coppia con Lucetta Frisa cura “I libri dell’Arca” e scrive: L’atelier e altri racconti, Nodi del cuore, Anime strane (Âmes inquiètes, tr. fr. di Sylvie Durbec, Éditions des états civils, 2011), Sento le voci (J’entends les voix, ibidem, 2011), Il muro dove volano gli uccelli, Diario doppio e Furto d’anima.
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Marco Ercolani
Nota biobibliografica–Marco Ercolaniè nato a Genova nel 1954, dove vive e lavora come psichiatra. Scrive racconti fantastici e vite immaginarie e indaga il rapporto arte/follia. Tra i suoi libri di narrativa: Col favore delle tenebre (Coliseum, 1987), Vite dettate (Liber, 1994), Lezioni di eresia (Graphos, 1996), Sindarusa (Tabula fati, 1997), Il mese dopo l’ultimo (Graphos, 1999) Carte false (Hestia, 1999), Il demone accanto (L’Obliquo, 2002), Taala (Greco & Greco, 2004) e Il tempo di Perseo (Joker, 2004.) È autore di due volumi di critica poetica, Fuoricanto (Campanotto, 2000) e Vertigine e misura (La vita felice, 2008). Ha curato il volume collettivo Tra follia e salute: l’arte come evento (Graphos, 2002) e il convegno L’arte della follia (Genova, Biblioteca Berio, 2004.) Suoi testi sono pubblicati in Riga, Poesia, Il gallo silvestre, Ipsofacto, Nuova Corrente, Anterem, La clessidra, Nuova Prosa, La mosca di Milano, Ciminiera. È stato redattore di Fanes, rivista di cultura psicoanalitica, e di Arca. Quaderni di scrittura. Con Luisella Carretta ha ideato la collezione di arte e scrittura Scriptions. In coppia con Lucetta Frisa ha scritto L’atelier e altri racconti (Pirella, 1987), Nodi del cuore (Greco & Greco, 2000) e Anime strane (ibidem, 2006) e dirige per le edizioni Joker «I libri dell’Arca».
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