Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
Poesia Verticale
Un giorno troverò una parola
che penetri il tuo corpo e ti fecondi,
che si posi sul tuo seno
come una mano aperta e chiusa al tempo stesso.
Penso che in questo momento
Penso che in questo momento
forse nessuno pensa a me nell’universo,
che solo io mi penso,
e se morissi ora,
nessuno, neppure io, mi penserebbe.
E qui inizia l’abisso,
come quando mi addormento.
Sono il mio sostegno e me lo tolgo.
Contribuisco a rivestire tutto di assenza.
Sarà per questo
che pensare ad un uomo
assomiglia a salvarlo.
L’estremo di un segno
Si deve cadere e non si può scegliere dove
Ma c’è una forma del vento nei capelli,
una pausa del colpo,
un certo angolo del braccio
che possiamo piegare mentre cadiamo
È soltanto l’estremo di un segno,
la punta impreveduta di un pensiero
Ma basta ad evitare il fondo avaro di alcune mani
e la miseria azzurra di un Dio deserto
Si tratta di piegare un po’ di più una virgola
in un testo che non possiamo correggere.
Dimenticare
Talvolta dimentico l’amore,
come dimentico la mia mano
Solo loro possono prendere il mondo
e mettermelo davanti
perché possa toccarlo,
ma non mi ricordano il suo compito.
Cercare una cosa
Cercare una cosa
è sempre incontrarne un’altra.
Così, per trovare qualcosa,
bisogna cercare quello che non è.
Cercare l’uccello per incontrare la rosa,
cercare l’amore per trovare l’esilio,
cercare il nulla per scoprire un uomo,
tornare indietro per andare avanti.
La chiave del cammino,
più che nelle sue biforcazioni,
il suo incerto inizio
o il suo dubbio finale,
è nel caustico umore
del suo doppio senso.
Si arriva sempre,
ma da un’altra parte.
Tutto passa.
Però al contrario.
Breve biografia di Roberto Juarroz nasce nella Provincia de Buenos Aires, il 5 ottobre del 1925 e muore il 31 di Marzo del 1995. Laureato in Lettere e Filosofia all’ Università di Buenos Aires, ricevette dalla stessa istituzione una borsa di studio che gli offrì l’opportunità di perfezionare i suoi studi alla Sorbona. Da questa prestigiosa università ottenne successivamente l’incarico di professore titolare. Dal 1958 al 1965 fu direttore della rivista Poesía;. Fu critico del giornale La Gaceta (Tucumán, 1958-63), critico cinematografico della rivista Esto e traduttore di vari libri. Ricevette, tra tante distinzioni, il Gran Premio d’Onore della Fondazione Argentina per la Poesia (1984) e il Premio Esteban Echeverría.
-Interno Poesia Editore-A cura e traduzione di Andrea Sirotti-
Travolgente, disorientante, genuinamente «civile», la poesia di Tishani Doshi arriva per la prima volta in Italia con un libro in cui intimo, pubblico e sacro si intrecciano e danno vita ad una voce unica e originale. Una lingua composita e meticcia, assertiva, non di rado bizzarra, colta e popolare al tempo stesso, ricca di espressioni e parole che raramente trovano cittadinanza in poesia. Una formidabile eloquenza e vitalità in cui i versi liberi, cadenzati, pensati per essere letti ad alta voce, sono disposti con estro e consapevolezza sulla pagina.
Tishani Doshi libro Un dio alla porta–Interno Poesia Editore-traduzione di Andrea Sirotti
Cella
Se anche potessi percorrere i corridoi del tuo corpo, non sapresti in quali stanze entrare, quali siano piene di pietra. Dentro di te c’è tantissima acqua – una catena montuosa a nord per tener lontani gli invasori, un deserto nelle colonie batteriche del sud. Qui ci sono edifici cittadini, ingialliti, senza finestre, occupati nella fabbricazione di vaccini e borse. Qui una doppia elica infilata lungo tutta la tua spina come una sequela di stendardi tibetani. Tra questi avamposti sfrecciano i messaggeri, trasportando tubi di pelle animale, piccioni sulla schiena. C’è chi cavalca arieti, c’è chi viaggia con ombre consorti sui carri attraverso i cieli senza fermarsi una volta a guardare le stelle. Una volta arrivati è quasi sempre lo stesso. Devono togliersi i sandali e aspettare all’ingresso della grotta – la sua piega di pelle, una tenda per intrappolare il vento. Vogliono dirti che i grandi fuochi bruciano ancora, le api non rinunceranno alle loro unioni, il raccolto è sia luna che autunno. Tu non sei sola.
Mandala
Chiunque creda che una foglia sia solo una foglia non coglie il punto. C’è una fotografia in soffitta, un gingko che ingiallisce sempre più, mentre il corpo del gingko rimane sempreverde. Si apre la strada attraverso fumerie d’oppio e bordelli. Ti vorrei dire di non preoccuparti. La realtà sa come sistemare se stessa, ma il panico è contagioso. Lo spavento arriva quando fai i jumping jack o organizzi le posate, in un momento di basso dramma cosmologico. Interrotto dalla scoperta di un nodulo. O dal TG delle 9. Di colpo, ogni maniglia di porta è una sentenza di morte. Quanto si devono essere sentiti soli i primi astronomi, congelati in terrazza, cercando di afferrare la luce di lune lontane. Qualche volta è difficile capire se state rallentando o accelerando. Il trampolino del tempo ci confonde. Cuciamo i nostri giorni e le notti, gli uni alle altre, ed è come ricamare una galassia, ma pure le galassie arretrano l’una dall’altra. Una volta, una donna mi ha suonato il corpo come se fosse un’arpa. Ho dormito su una tavola di legno e lei strimpellava le corde sotto finché non son diventata uno squalo balena, che batte gli oceani. Ne sono riaffiorata come da un tunnel gravitazionale, integra, più o meno. Per giorni ho sentito le pinne al posto delle guance. Parliamo di corpi come se non potessimo comprendere l’universo che hanno dentro, anche se stiamo tutti a bocca aperta davanti al ceppo di un albero e abbiamo capito che il tempo si sposta verso l’esterno in un cerchio. E mentre tutto appare infinito, c’è sempre un anello di una cosa permeabile che ci trattiene dentro. A volte usciamo di casa senza maschera ed è un sollievo fare una pausa da ciò che siamo. Stella nana, campana di preghiera, cervo solitario che si nutre nella ginestra – qualcosa ci terrà uno specchio davanti alla faccia, quando ci serve solo che qualcuno ci porti al piano di sopra.
Macroeconomia
Un uomo siede su un altro se ce la fa. Il cuore di un uomo batte più forte. Un uomo va in miniera perché un altro uomo risplenda. Un uomo muore così la famiglia che vive in cima alla collina può mangiare panini sul prato. Il salvadanaio di un uomo ottiene un bailout. Un uomo rovescia il carretto della verdura di un estraneo. Un uomo resta a casa e gioca a tombola finché tutto questo non si placa. Un uomo si avvia come un pellegrino allo Shambala47, con un bimbo sulle spalle. Un uomo chiede chi andrà fuori a comprare il latte e le uova? La casa di un uomo è oltre l’orizzonte. Un uomo decide di andarci a piedi anche se ci vorranno giorni e notti sull’asfalto con poco cibo e acqua. Un uomo viene fermato per vagabondaggio e costretto a fare piegamenti per penitenza. Un uomo riferisce che i pesci saltano fuori dal mare e succhiano avidamente l’aria. Un uomo mangia la tessera del pane. Uno osserva come gli storni hanno preso il volo come un mal di denti, una bassa fame continua, librandosi attraverso i campi. Un uomo carica la pistola. Un uomo ha in carico l’altalena. Uno vuole ridistribuire le prugne. Uno sa che non esistono pranzi gratuiti. Uno alla fine vede il crepaccio. Uno dà la sua coperta all’uomo seduto nel crepaccio. Uno dice che dovrebbe esserci una tassa per aver fatto una cosa del genere e la riprende. La fossa si allarga.
Forse quello che ti manca sono le cose semplici, che non è l’infanzia, ma quell’uccello rapace che afferra l’aria con gli artigli. Se tu sapessi che non costerebbe nulla tenere le ali aperte come un albatro, che potresti andare per diecimila miglia senza un solo battito d’ali, che deve essere così, questo glissando tra impennata e caduta, potresti impacchettare le tue indignazioni e andare verso la cabina telefonica nel cielo. Un dio alla porta seduto su un bufalo gigante ti offre un sorso di vino per far passare l’amarezza. La tua ultima telefonata è verso il futuro, Stiamo bene, dici. Staremo tutti bene.
Un dio alla porta (Interno Poesia Editore, 2022), cura e traduzione di Andrea Sirotti
DESCRIZIONE
Travolgente, disorientante, genuinamente «civile», la poesia di Tishani Doshi arriva per la prima volta in Italia con un libro in cui intimo, pubblico e sacro si intrecciano e danno vita ad una voce unica e originale. Una lingua composita e meticcia, assertiva, non di rado bizzarra, colta e popolare al tempo stesso, ricca di espressioni e parole che raramente trovano cittadinanza in poesia. Una formidabile eloquenza e vitalità in cui i versi liberi, cadenzati, pensati per essere letti ad alta voce, sono disposti con estro e consapevolezza sulla pagina. Quella di Doshi è una militanza a 360° gradi. Nessuna questione di scottante attualità è esclusa, in India come altrove nel mondo. Le poesie sgorgano dalla cronaca e dalla storia, dalle ultime notizie come dai vecchi rancori e contrapposizioni, lo spunto può essere un articolo di giornale, un video su YouTube, una foto, un dipinto, un libro. Poesie sempre pronte a denunciare le disuguaglianze, il mancato rispetto dei diritti civili. Tra i temi ricorrenti: la condizione della donna, le diseguaglianze economiche e sociali, le trasformazioni esistenziali in tempo di Covid, le relazioni sentimentali, la malattia, le difficoltà quotidiane del singolo individuo; il tutto mediato dalla contrapposizione di due visioni del mondo, tra laica indifferenza e fanatismo religioso, tra spiritualità e materialismo.
Autore: Tishani Doshi
Curatela e traduzione: Andrea Sirotti
Collana: Interno Books
ISBN: 978-88-85583-71-9 Data di pubblicazione: 1 giugno 2022
Pagine: 236
Formato: 15×21 cm
Cell
Even if you could walk through the corridors
of your body, you would not know which rooms
to enter, which were full of stone. Inside you
there is so much water —a mountain range
in the north to stave off invaders, a desert
in the bacterial colonies of the south. Here
are city buildings, yellowed, without windows,
busy with the making of vaccines and handbags.
Here a double helix strung up the length
of your spine like a flurry of Tibetan prayer flags.
Between these outposts the messengers dart,
carrying tubes of animal hide, pigeons on their backs.
Some ride rams, some travel with consort shadows
in chariots across the skies without once stopping
to look at stars. When they arrive it is almost always
the same. They must remove their sandals and wait
by the mouth of the cave —its fold of skin,
a curtain to trap the wind. They want to tell
you the great fires are still burning, the bees
won’t give up their unions, the harvest is both
moon and autumn. You are not alone.
Mandala
Anyone who believes a leaf is just a leaf is missing
the point. In the attic, there’s a picture of gingko
growing steadily yellow, while the body
of gingko remains evergreen. He works his way
through opium dens and bordellos. I’d like to tell you
not to worry. Reality has a way of sorting itself out,
but panic is infectious. The scare arrives when you’re doing
jumping jacks or organising the cutlery, some moment of low
cosmological drama. Interrupted by the discovery of a lump.
Or the 9 o’clock news. Suddenly, every door handle is a death
sentence. How lonely it must have been for the first astronomers,
freezing on their terraces, trying to catch the light of faraway moons.
Sometimes it’s hard to know whether you’re slowing down
or speeding up. Time’s wobbly trampoline confuses us.
We stitch our days and nights, one to the other,
and it’s like embroidering a galaxy, but even galaxies
recede from one another. Once, a woman played my body
as though it were a harp. I slept on a wooden plank
and she strummed the strings below until I became
a whale shark, pounding through the oceans. I emerged
as if out of a wormhole, more or less intact. For days I felt fins
where my cheeks should have been. We talk of bodies
as though we could not understand the universe within them,
even though we’ve all gaped at the stump of a tree
and understood that time moves outwards in a circle.
And while everything seems endless, there’s always a ring
of something permeable holding us in. Sometimes we leave
the house without our masks and it’s a relief to take a break
from who we are. Dwarf star, prayer bell, lone stag
feeding in the gorse—something will hold a mirror
to our faces, when all we need is to be led upstairs.
Macroeconomics
One man sits on another if he can.
One man’s heart beats stronger. One man goes
into the mines for another man to sparkle.
One man dies so the family living at the top of the hill
can eat sandwiches on the lawn. One man’s piggy bank
gets a bailout. One man tips over a stranger’s vegetable cart.
One man stays home and plays tombola till all this blows over.
One man hits the road like a pilgrim to Shambala, child
on shoulders. One man asks who’s going to go out and buy
the milk and eggs? One man’s home is across the horizon.
One man decides to walk there even though it will take days
and nights on tarmac with little food and water.
One man is stopped for loitering and made to do squats
for penance. One man reports fish are leaping
out of the sea and sucking greedily from the air.
One man eats his ration card. One man notices how starlings
have taken to the skies like a toothache,
a low continuous hunger, searing across the fields.
One man loads his gun. One man’s in charge of the seesaw.
One man wants to redistribute the plums. One man knows
there’s no such thing as a free lunch. One man finally sees
the crevasse. One man gives his blanket to the man
sitting in the crevasse. One man says there should be a tax
for doing such a thing and takes it back. The ditch widens.
Maybe what you miss is what’s simple,
which isn’t childhood, but that bird
of prey holding the air with its claws.
If you knew it would cost nothing
to keep your wings open like an albatross,
that you could go ten thousand miles without
a single flap, that it has to be this way,
this glissando between soaring and falling,
you could pack up your indignations
and move towards the phone booth
in the sky. A god at the door sitting
on a giant buffalo offers you a sip
of wine to make the bitterness go away.
Your final phone call is to the future,
We’re fine, you say. We’re all going to be just fine.
Autore: Tishani Doshi
Curatela e traduzione: Andrea Sirotti
Collana: Interno Books
ISBN: 978-88-85583-71-9 Data di pubblicazione: 1 giugno 2022
Pagine: 236
Formato: 15×21 cm
Breve biografia di Grazia Di Lisioè nata a Cabras e vive tra Teramo e Pescara. Poetessa, scrittrice, si è dedicata all’insegnamento e all’approfondimento di linguaggi espressivi. Ha partecipato a varie rassegne di Teatro-Scuola, “Giostra di Orlando”, “Cavallo di Troia”, “Progetto Ilio”, creando l’elaborazione drammaturgica dei testi con la collaborazione di Enti teatrali, l’IRRE Abruzzo, Lazio e l’ETI di Udine. Oltre al premio Pirandello (Agrigento 2003-2004), conferito ai suoi alunni per le sezioni teatro e cortometraggio, ha ricevuto il Premio Didattica “Raffaele La Porta” (Pescara). Per la poesia, suo ultimo approdo, ha pubblicato le raccolte Voci e silenzi (2003 Sigraf), Le accese solitudini (Tracce 2005), Annoda fili acquei con traduzioni in francese (Gedit 2008), Compresenze con traduzioni in sardo (Tracce 2009) e Un asciugar di tempo (Noubs 2014). Tra i riconoscimenti per la poesia edita, il primo premio “Ida Baruzzi Bertozzi” 2011 (Chiavari) e il secondo premio “Astrolabio” 2014 (Pisa). Ha ricevuto, inoltre, il secondo premio per il saggio in lingua campidanese Sa terra sonadora (Noubs 2011), Quartu S. Elena 2012. È presente in Astrolabio, Logos, nella collana Sentire, su Arte e cataloghi d’arte, sul sito online di Lietocolle. Ha collaborato con A B C, Senza Titolo, Il Monitore, La Tenda.
Torna a abitarmi la paura
nell’isola che mai il vento doma.
Sono quel vento…
nuvola di turbamento.
Tra orme e ombre – segno degli dei –
la tela si sfilaccia a larghe trame
d’antiche lontananze…
S’illivida il pensiero come piuma
che si fa barca in mare. Vibra
in silenzio e lentamente spare.
Mi insegue ovunque la mia terra
e punge d’ingombro un sentimento
nei boschi e nei declivi di olivi
dai contorti fili. Come in un sacro
tempio sembra che all’acqua si leghi
il cielo. E di bellezza m’assale
uno sgomento.
(poesia inedita)
Il giorno resta vuoto come appeso
al fragile sentiero del pensiero.
Il mondo s’è fermato su una foglia
vaga di sogni stinta è la corolla.
Altro non chiedi del viaggio amaro
che rimembrare la melodia di ieri.
Non i sorrisi mancano ma gli anni
a spalancare impensabili segreti.
Nel dubbio che ogni cosa senza forma
sia guscio morto di bellezza.
(poesia inedita)
In un viavai di indugi e di pensieri
liane oscillano della memoria.
in ombra taciturne si passano
parola e filigrane intessono
a una canzone nuova.
Quale filo t’incatena nella valle
oscura? Eri farfalla d’oro.
Brucavi l’erbe in orizzonti estremi-.
Io non ricordo questo vuoto appeso
non ricordo turbamento e peso.
in angoli smarriti
la vita trema come rena sparsa.
Indecisione estrema come seme
d’erba in un cristallo di neve.
Da “Un asciugar di tempo” (Noubs 2014)
Più nessuna fronda fa garrula
corona alla stagione delle ombre.
La levità del tempo ci attraversa
la muta cognizione del dolore.
Mentre sentiamo scorrere le ore
lampi vediamo aprirsi di momenti
come se per miracolo la forma
intonasse di luce un ritornello.
E un mondo s’aprisse di bellezza.
(poesia inedita)
Incautamente sulla tua via
in lembi battuti dal vento
dove cactus non nudi del tempo
fioriscono nere scintille,
non lascerò che tu varchi la porta
per inseguire di Alentejo
la scia. Via me n’andrò
tra crocchi di lappole amare
dove l’alba promessa m’attende.
(poesia inedita)
Mi dici “bello il tuo costume
con la fascia colorata”
e io “solo quando soffia il vento”.
Due monadi silenti
– un grillo e una farfalla bianca –
l’una ferma sul lettino
l’altra in volo frettoloso verso l’oltre.
Felice di ritrovare il mare
dell’infanzia – un raggio d’aria
in piccola barca su lunghe onde
nella nebbia della fine.
(poesia inedita)
Nessun cielo di smalto sull’arida
sponda. La luna tremula sull’onda.
Sento frusciare anemoni di mare
nell’alveo verdeazzurro di memorie.
Vorrei snodare il grembiule
alle maree – scrutare l’abisso
dentro un bisso ma l’onda come il tempo
resta viandante perso sulla riva.
Care sembianze d’acque chiare
delle dolci primavere
Sognare rive labili di mondo
discendere dall’ugola del tempo
su varchi di cielo senza luce.
Babelico squilibrio di memorie.
Fuori dal tempo perdersi sognare
da finte ombre e da pensieri umani.
La luce li attraversa li fa vani
come dissolti nodi di esistenza.
Da “Un asciugar di tempo” (Noubs 2014)
L’alba nascente
s’è lasciata cullare
aprendo gli occhi
ai colori del mondo.
Arcobaleno raro.
*
Giochi di luce
sopra i tetti innevati,
arcobaleni.
Un pesante fardello
colorato di luce.
*
Pesa la terra –
ghirigoro di ghiaccio –
fascino arcano
d’armoniosa bellezza
di mutevoli forme.
*
Oh le violette
germogliate anzi tempo
sotto la neve.
Come luci nell’ombra
d’una muta stagione.
*
Osservo andare
sonnolenta la luna.
Fiore di luce
nel viaggio incantato
sotto lampi di neve.
Vittorio Franceschi ha fatto del mondo dello spettacolo la sua vita, diventando attore di teatro, regista e drammaturgo. Dopo aver girato l’Europa, lui insieme ai suoi testi, oggi insegna recitazione alla Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna, di cui è codirettore.
MERCUZIO
Un verso che ti prende alle spalle
eccomi ti dice
sono l’intruso che non ti dà pace
l’esteta delle tue ubbie, il vandalo
delle tue ritrosie
non ti scostare dice
non ti faccio del male
voglio solo accertarmi del tuo cuore
voglio esserti Mercuzio
in cerimonia d’amore
reggere il tuo polso se sei pronto.
AMORE AL TEMPO DI SAFFO
Chissà i banchetti, chissà
le tazze lasciate lì sul prato
e nelle stanze i profumi; chissà
l’ombretto degli occhi e le unghie
meravigliose nei graffi; chissà
i sandali lì di lato in disordine, chissà
le dita sottili e le caviglie,
umide le labbra. E fuori
oltre le crete e i marmi, oltre
i sassi scuri dei selciati, oltre
il bronzo dei monili e la pietra
dei capitelli, in cima
oltre le capre e il cardo, oltre
il mirto e la porpora, gli uccelli
in libertà gioiosa e più su
più su più su le nuvole
STRAPPO
Nel costato, che all’inizio dici:
più a fondo!
può succedere, poi
più sotto, nel ventre
che dici: che succede?
poi
è troppo! ti alzi, ti vesti…
è tardi, è già successo.
I tuoi soliti occhi
non sono più gli stessi di pupilla
e il resto del corpo
che fu letizia! è già squarcio.
Chi mette le mani
lì dentro, al calduccio di viscere?
L’unghia è spezzata.
C’è un raschio nel buio
e mortale velluto sulla bara.
Da: Vittorio Franceschi, Canti dell’autunno inoltrato, Raffaelli 2018.
VITTORIO FRANCESCHI è nato nel 1936 e diplomatosi all’Accademia Antoniana di Bologna nel 1958,Vittorio Franceschi ha fatto del mondo dello spettacolo la sua vita, diventando attore di teatro, regista e drammaturgo. Dopo aver girato l’Europa, lui insieme ai suoi testi, oggi insegna recitazione alla Scuola di Teatro Alessandra Galante Garrone di Bologna, di cui è codirettore. Accanto all’amore per il teatro coltiva anche quello per la poesia. Nel 2004 ha pubblicato Stramba Bologna sghemba e nel 2011 Il volo dei giorni, entrambi con la nostra casa editrice; Tre ballate da cantare ubriachi e altre canzoni del 2013 è stato invece pubblicato dall’editore Pendragon. Da poco è uscita la sua ultima raccolta poetica, Canti dell’autunno inoltrato, che questa sera (giovedì 17 maggio) l’autore presenterà in forma di spettacolo nella sua città di
Vladimír Holan-Poeta ceco (Praga 1905 – ivi 1980). Cultore, in un primo tempo, della poesia astratta, spesso indecifrabile (Blouznivý vějíř “Il ventaglio delirante”, 1926), seppe farsi appassionato testimone degli anni tragici della Boemia (Září 1938 “Settembre 1938”) e limpido cantore della nuova Cecoslovacchia (Dík Sovětskému Svazu “Gratitudine all’Unione Sovietica”, 1945; Tobě “A te”, 1947). Dal 1948 si chiuse in un isolamento totale, immerso nella visionaria e dolorosa meditazione da cui nascono le altre sue opere: Mozartiana (1963); Bez názvu (“Senza titolo”, 1963); Na postupu (“In progresso”, 1964); Noc s Hamletem (“Una notte con Amleto”, 1964); Trialog (“Trialogo”, 1964); Bolest (“Il dolore”, 1965); Smrt a sen a slovo (“La morte e il sogno e la parola”, 1965); Ale je hudba (“Ma c’è la musica”, 1968); Asklépiovi kohouta (“Un gallo a Esculapio”, 1970); Na celé ticho (“Ovunque è silenzio”, 1977).
La poesia di Vladimir Holan è una delle migliori espressioni della lirica del Novecento.
«Derubando i ricordi»
Nell’umidità
È una pioggia autunnale, testarda fino alla noia,
che racimola la schiuma della rabbia,
celata da tutti gli uomini
già da molto chiusi in una stanza.
Pallidi, stanno alla finestra e mirano
con un piacere mordace e pretenzioso
come accanto ai frutteti un bimbo fradicio
sta offrendo a nessuno fiori di carta,
proteggendoli con il cavo del suo palmo.
Li protegge invano… Invano li offre…
E invano li proteggerà e offrirà
finché non ci proverà nel linguaggio degli animali
o finché non si decide a passarlo
il parco nell’indugio sdegnato, parco
in cui non c’è nulla più che una panchina
né piallata né verniciata,
una panchina su cui s’è risparmiato,
una panchina per i morti…
Alla fine del mondo
Qui in verità è come con un fiume
nell’istante in cui abbandona un lago estinto:
un paio di sanguinolenti abissi, che non sanno dove sono,
un paio di colonne, pitturate con il seme marmoreo delle idee,
e un pugno di vecchie stracciate mappe
che non è da meno
d’un mazzo di banconote di oscura origine
che una macilenta ironia incontrerebbe alla soglia del suo uscio…
Per istanti, quasi a testimonianza, si fa sentire
un certo vertiginoso mormorio…
E come se la mestizia passasse tra le premonizioni
in bianche vesti di nessuno…
Voce e controvoce
I
Allora
È notte. Al banco del bar ti versano sempre quell’ultimo bicchiere
col biasimo della compassione… Ma dietro di te
il corpo di un tale, un poveraccio follemente solo,
caduto per la sbronza dalla farfalla al bruco,
caduto tra sé e sé per una disperazione
cui non si sfugge,
ti ricorda irraggiungibilmente e perfidamente
due certi pendìi, lacerati dalle rocce,
dagli alberi novelli, dalla lussuria che sprizza nella coda delle donnole
e dall’azzurrognola coscienza degli sparvieri.
Tra i pendìi farneticava un fiumicello
come un pugno di tranelli scagliati in faccia all’udito.
Eri giovane a quel tempo… Non facevi caso
a come crudelmente consumata fosse la maniglia del cimitero…
“Vi prego, un altro ancora!”… Sì, e il sole
era un chiccomagno come il sangue del pavone
e tu attraverso quel corso d’acqua
da riva a riva posasti masso dopo masso…
Quando si fece buio, ci passò lei.
II
E oggi
È notte. Al banco del bar ti versano sempre quell’ultimo bicchiere
con stanchezza truce… Ma non parliamo di questo,
non ci conosciamo, e tutto accade così,
come quando ci si incontra sulle scale:
uno va su e l’altro va giù…
Giù in basso ci sei tu ora,
per fortuna il rum non si chiede che cosa mai v’è successo,
poiché non è ancora né polvere né saliva
e non gli piove nella tomba.
È un rum davvero buono: bevi il primo dopo quello
come l’autunno beve, dopo le lacrime false, vino dai comignoli
durante le inalazioni del dio del momento…
Del momento? No, durevolmente e come scorticandoti
sai a rovescio dove vive colei che ti amava,
ah ardentemente lo sai e miracolosamente lo sai,
ma sei qui in una così lasciva supplica e così senza un passaggio
che anche la contrada dovrebbe avere un ponte crollato…
Creparsi dei ghiacci
È da tempo finito il banchetto e l’invitata giunge solo ora.
Non sapendo che fare con il tuo spavento
che, fuori, dietro le finestre
a malapena porta aiuto al fragore del ghiaccio che si crepa,
volentieri si immedesimerebbe in una più certa sembianza.
Ma mentre fa concessioni agli spiriti,
ti viene inesorabilmente incontro –
e tu di colpo e quasi confidenzialmente cominci a capire
che non puoi amare per essere amato,
che non puoi amare ed essere amato,
che non puoi amare perché ami,
a che devi amare chi non ti ama…
Dovunque II
La sera è così bella che ti vergogni anche solo di bramare
dalle profondità di un malinconico vuoto…
I morti è come se si camminassero addosso in bruchi del cimitero,
l’animale è come se qualcuno lo spaventasse con il grembiule del macellaio,
le cose è come se non sapessero dove sono…
Sì, è scritto che nessuno scorgerà Dio da vivo.
Egli dunque ci risparmia, quando dimora nell’obnubilamento,
nel fuoco, nella nebbia, nella nuvola, nel vento
e quando cammina tra i sipari e nel futuro…
Anche i santi intravidero solo la sua schiena.
***
Dalla raccolta Penultima (versi degli anni 1968-1971)
Firma
No, quella volta non c’ero, vi sbagliate
e anche il mio sosia nega
che si trattava di una voce e di un’altra voce ancora,
e che due voci non c’erano, allora…
Non c’erano… Giacché tradizione orale
e insegna sono la stessa cosa…
Sono quello che è pubblico… Ed è anche
per questa ragione che Dio
chiederà un giorno a se stesso
una firma nel proprio libro…
Qualcosa
Quando su quei vostri splendidi capelli
metteste una parrucca,
volevo ordinare che tutto
si fondesse nel bronzo, poiché il gesso
pensa solo a se stesso… Ma qualcosa
mi paralizzò allora,
anche se poi se ne disputò a lungo
con schiuma di birra sulla barba degli uomini…
Sì, dopo un morso velenoso possiamo litigare
per sapere se era un serpente… Ma non è necessario…
***
Dalla raccolta Addio ? (versi degli anni 1972-1977)
Perché vivere
Sì, proprio quella notte, e come se più a buon mercato
e sotto un soffitto basso, – sì, proprio quella notte,
che sa tutto da lontano
ma che intercede per il presente
e non perdona alla sua durata
che vuole raggiare se stessa e andare dove vuole –
sì, proprio quella notte,
e come se egli volesse dimostrare
che anche il destino se ne vergogna:
iniziò, derubando i ricordi,
a domandarsi perché vivere…
I passi
Si immagina come tutto ciò sarebbe
se avesse avuto mai una qualche idea
e con quali parole e con quale voce la pronunzierebbe…
Una tale inaccessibilità lo sgomenta,
non può capire neanche il suo tossicchiare,
e tantomeno la domanda, se avesse avuto mai
qualche rimpianto… Ma come un’altra volta
cammina da un angolo all’altro della sua stanza
e il cubismo dei suoi passi disturba il vicino…
Breve biografia di Vladimír Holan- Poeta ceco (Praga 1905 – ivi 1980). Cultore, in un primo tempo, della poesia astratta, spesso indecifrabile (Blouznivý vějíř “Il ventaglio delirante”, 1926), seppe farsi appassionato testimone degli anni tragici della Boemia (Září 1938 “Settembre 1938”) e limpido cantore della nuova Cecoslovacchia (Dík Sovětskému Svazu “Gratitudine all’Unione Sovietica”, 1945; Tobě “A te”, 1947). Dal 1948 si chiuse in un isolamento totale, immerso nella visionaria e dolorosa meditazione da cui nascono le altre sue opere: Mozartiana (1963); Bez názvu (“Senza titolo”, 1963); Na postupu (“In progresso”, 1964); Noc s Hamletem (“Una notte con Amleto”, 1964); Trialog (“Trialogo”, 1964); Bolest (“Il dolore”, 1965); Smrt a sen a slovo (“La morte e il sogno e la parola”, 1965); Ale je hudba (“Ma c’è la musica”, 1968); Asklépiovi kohouta (“Un gallo a Esculapio”, 1970); Na celé ticho (“Ovunque è silenzio”, 1977).
a cura di Maria Borio – nata nel 1985 a Perugia.È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite (“XII Quaderno italiano di poesia contemporanea”, Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).
La poesia di Vladimir Holan, dai Quaderni di Traduzioni, XV, Aprile 2013 (Rebstein), cura e traduzione di Sergio Corduas.
Je jaro … V noci, v hodinu lichou
slyšel, jak pláče réva,
ačkoli veliký hluk dělala voda,
ztrácející se z rybníka dírou,
kterou do hráze navrtal úhoř …
Co mu zbývalo, než aby,
zamilován až po uši hudby do mizení,
propadal hrdlem vzlyků útrpnému právu němoty?
A přece, ejhle, krása pojednou
a milost, s kterou nám ji sdílel!
E’ primavera… Di notte, nell’ora vana
udì gemere la vite,
nonostante il forte rumore dell’acqua
che si perdeva dallo stagno attraverso un foro
scavato nella diga dall’anguilla…
Che altro restava a lui, se non patire,
innamorato fino al collo della musica che svanisce,
il pianto e la tortura della mutezza?
***
Spatřil ji jenom jednou.
Ale od té chvíle žasl
a začal předzpěvovat, aniž měl komu,
a začal spoluzpívat, aniž kdo s ním šel…
Po celý rok osmělil se ji takto zbožňovat,
přítomný do budoucna, jak už doufal,
zatímco netuše se těžce vracel
od Panny Marie k Evě …
Potom jí napsal.
Byl to muž a měl tedy strach.
Přečtla si jeho dopis při světle krbu,
do kterého jej potom vhodila.
A on si přečetl její odpověď při světle od sněhu,
který nikdy neroztává …
La vide soltanto una volta.
Ma da quell’istante stupì
e intonò un canto ma non sapeva a chi,
e intonò un coro ma nessuno lo seguì…
Osò adorarla così per un anno intero,
presente per il futuro, come ormai sapeva,
laddove ignaro pesantemente ritornava
da Maria Vergine a Eva….
Poi le scrisse.
Era un uomo e quindi aveva paura.
Lesse la sua lettera alla luce di un camino
nel quale poi la gettò.
Ed egli lesse la sua risposta alla luce di una neve
che mai si scioglie…
***
Zimničné paprsky lůny
a třesoucí se ty, ubohý Mozarte!
Prstomluva hluchoněmých není tak šílená,
protože při ní jsou aspoň dva živí …
Cítíš budoucně skonalý čas …
Kdyby tak najednou přišel aspoň jeden z těch,
co budou na tvém pohřbu,
a tedy nikdo!
Febbrili raggi della luna
e tu tremi, misero Mozart!
Il diteggiare dei sordomuti non è così folle,
perché in esso i vivi sono almeno due…
Senti prossimo il tempo finito…
Se almeno uno d’improvviso venisse di coloro
che saranno al tuo funerale,
e dunque nessuno!
Vladimir Holan, dai Quaderni di Traduzioni, XV, Aprile 2013 (Rebstein), cura e traduzione di Sergio Corduas.La poesia di Vladimir Holan è una delle migliori espressioni della lirica del Novecento.Dopo la prima raccolta di versi Il ventaglio delirante (1926) pubblica Trionfo della morte (1930), L’arco (1934), Primo testamento (1940), Terezka Planetova (1944), Viaggio d’una nuvola (1945), Ringraziamento all’Unione Sovietica (1945), Requiem (1945), Soldati rossi (1956), Una notte con Amleto (1964). Negli ultimi anni ha scritto: Ma c’è la musica (1968), Un gallo a Esculapio (1970), I documenti (1976), Ovunque è silenzio (1977).
Poesie di Lilija Gazizova Poetessa e saggista russa
contributo a cura di Paolo Galvagni|Rivista Atelier|
LILIJA GAZIZOVA-Poetessa e saggista russa. È nata a Kazan’ (Tatarstan, Russia centrale). Si è laureata in medicina, poi al rinomato Istituto Letterario Gor’kij di Mosca. Per alcuni anni ha lavorato come pediatra. Attualmente insegna letteratura russa all’Università Erciyes di Kayseri (Turchia). Esperta di lingue turcofone, traduce in russo la poesia tartara e turca. Suoi versi sono apparsi sulle riviste “Novyj Mir”, “Znamja”, “Arion”, ‘Oktjabr’”, “Junost’”. Ha al suo attivo quindici raccolte poetiche, pubblicate in Russia, Europa e America. Ha curato l’antologia Il verso libero russo contemporaneo (Mosca 2021). Ha partecipato a numerosi festival letterari: Belgio, Francia, Finlandia, USA Armenia, Estonia, Polonia. a cura di Paolo Galvagni
Толстый ребёнок
Я думаю о том, какие мысли
В голове у очень толстого ребенка.
И часто ли ему бывает грустно.
Я думаю, что толстого ребенка
Намного чаще обижают,
Чем худого.
Еще я думаю о том,
Что в каждом из нас
Плачет толстый ребенок.
Un bambino grasso
Penso a quali pensieri abbia
In testa un bambino molto grasso.
E se è triste spesso.
Penso che un bambino grasso
Venga offeso molto più spesso,
Che un bambino magro.
Penso anche che
In ciascuno di noi
Pianga un bambino grasso.
***
Смерть поэзии
Когда поэзия умрет,
На похороны придут физики,
Цветочки положат на могилку.
Филологи чинно постоят,
Поскорбят для виду.
Детей приведут
В воспитательных целях
Или для массовости.
Прохожий подойдет,
Поинтересуется
Объектом похорон.
Все в ответ промолчат,
В мысли погруженные.
Да и что ответить-то.
La morte della poesia
Quando la poesia morirà,
Al funerale verranno i fisici,
Deporranno fioretti sulla tombina.
I filologi si ergeranno con decoro,
Soffriranno per finta.
Porteranno i bambini
Per scopi educativi.
O per partecipare in massa.
Un passante si avvicinerà,
Si interesserà
Dell’oggetto del funerale.
Tutti in risposta taceranno,
Immersi nei pensieri.
Ma che si può rispondere?
***
Бабушка и Далида
Когда бабушка слушала Далиду,
Она становилась добрее.
Я могла попросить ее
О чем угодно, даже о сладком.
Когда бабушка слушала Далиду,
Она становилась красивее.
Она распускала длинные волосы,
А в глазах появлялась мечта.
Когда бабушка умерла,
Далиду стала слушать
Другая женщина,
Похожая на бабушку.
La nonna e Dalida
Quando la nonna ascoltava Dalida,
Diventava più buona.
Potevo chiederle di tutto, anche i dolci.
Quando la nonna ascoltava Dalida,
Diventava più bella.
Scioglieva i capelli lunghi,
E negli occhi appariva il sogno.
Quando la nonna è morta,
Ha cominciato ad ascoltare Dalida
Un’altra donna,
Simile alla nonna.
Дороги
Я буду с тобой,
Пока не нужна тебе.
Стану нужной — уйду.
Так много дорог на земле,
И по всем я пройти хочу:
Каменистым, песчаным, кирпичным.
И погладить всех встречных собак.
И взглянуть в глаза всем мужчинам.
Не ревнуй!
Никому из них не удержать меня.
И тебе не удержать меня.
Но я буду с тобой, пока не нужна тебе.
Стану нужной — уйду.
Strade
Io starò con te,
Fin quando non ti servirò.
Ti servirò – me ne andrò.
Sono tante le strade sulla terra,
E le voglio percorrere tutte:
Di pietra, di sabbia, di mattone.
E accarezzare tutti i cani che incontro.
E guardare tutti gli uomini negli occhi.
Non ingelosirti!
Nessuno di loro mi tratterrà.
Nemmeno tu mi tratterrai.
Ma starò con te, fin quando non ti servirò.
Ti servirò – me ne andrò.
***
Любовь и математика
Ты – сложная математическая задача.
Хочу решить тебя эмпирически.
Формулы подбираю.
Меняю местами слагаемые и множители.
Но в течение дня
Условия задачи меняются.
И ответ ускользает.
Ночью как никогда
Я близка к решению.
Но к утру ты превращаешься
В новую математическую задачу.
И я снова решаю тебя.
L’amore e la matematica
Sei un esercizio di matematica complesso.
Voglio risolverti empiricamente.
Scelgo le formule.
Cambio di posto addendi e moltiplicatori.
Ma durante la giornata
I termini dell’esercizio cambiano.
E la risposta scivola via.
Di notte come non mai
Sono vicina alla soluzione.
Ma verso mattina ti tramuti
In un nuovo esercizio di matematica.
E io ti risolvo nuovamente.
Poesie pubblicate dalla Rivista Atelier
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore generale e responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online
Direttore: Giovanni Ibello Caporedattrice: Valentina Furlotti Redazione: Giovanna Rosadini, Gisella Blanco, Sarah Talita Silvestri, Massimo D’Arcangelo, Piero Toto, Emanuele Canzaniello, Giovanni Di Benedetto, Silvia Patrizio, Mattia Tarantino. Collaboratori ed ex collaboratori: Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Antonio Fiori, Matteo Pupillo, Giulio Maffii, Daniele Costantini, Francesca Coppola, Mario Famularo, Paola Mancinelli, Lucrezia Lombardo.
Redazione Cartaceo
Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani, Eleonora Rimolo.
Emily Dickinson-Poesie -Esistenzialista nel regno della “Possibilità”-
Nota e traduzioni a cura di Sarah Talita Silvestri-Rivista Atelier
Rivista Atelier-Nota e traduzioni a cura di Sarah Talita Silvestri- Emily Dickinson-Esistenzialista nel regno della “Possibilità”, cresciuta in un ambiente calvinista, la poetessa di Amherst non decise una vita di solitudine, una vita di reclusione imposta per le delusioni della vita, la sua fu una scelta coerente, una selezione di spazi, circoscritti eppure immensi, e di interlocutori, una cernita fedele alla sua stessa essenza, che la traiettò lontana dai salotti letterari e da una vita mondana. Quando Emily Dickinson morì, il 15 maggio del 1886, nessuno sapeva che fosse una poetessa, a eccezione di una ristretta cerchia di familiari e amici. Soltanto dieci delle sue poesie erano state pubblicate mentre era in vita, tutte anonime e senza il suo consenso. Al suo funerale la maggior parte di coloro che la piangevano conoscevano di lei quella sua straordinaria capacità di coltivare fiori nella serra, che il padre Edward Dickinson le aveva costruito. Già all’età di 12 anni Emily era poietes e proprio tra gelsomini, narcisi, oleandri, gardenie e fragranti ossalidi, matura il seme della sua natura poetica. Era letteralmente un’artefice, sapeva fare tutto: un segnalibro, delle pantofole per il padre, faceva il pane, sapeva disegnare, i suoi temi a scuola erano conosciuti da tutti, suonava il pianoforte, amava improvvisare e sin da bambina in lei crebbe quella fascinazione per la catalogazione, la volontà di contribuire in un certo senso ad un ordine cosmico, di formulare un linguaggio simbolico che potesse competere in bellezza e varietà con la parola stessa. Potente come la marea e così difficile da delineare come donna impetuosa e sconfinata: Il mio bozzolo è stretto, mi chiamano i colori, / e sto cercando l’aria. /Già un’oscura capacità d’ali / mi fa sprezzare l’abito che indosso. La devozione, la passione, la gioia, la malinconia, la morte e la redenzione, il desiderio e la vacuità del successo, l’estasi e la scienza, tutto in lei si riversa e ogni sua ricerca verso il vero voga nel bacino dell’incertezza, oscilla tra gli estremi, stringendoli entrambi, accogliendoli dentro la sua immortalità.
Bibliografia
EMILY DICKINSON, Herbarium, Elliot 2006.
EMILY DICKINSON, Silenzi, a cura di B. Lanati, Feltrinelli 2018.
Senza esitare recitai la mia sentenza,
esaminai attentamente
nella sua ultima postilla
se avessi commesso errori.
Il giorno, il come del disonore
e allora quel sacro formulario
“Dio abbia misericordia” dell’Anima
fu il responso della Giuria.
Ho reso impudente la mia anima – coi suoi eccessi –
perché infine non fosse Agonia inattesa,
ma conoscendo la Morte
si accogliessero l’un l’altra come placidi amici
che senza un gesto si salutano e vanno avanti
e così risolvere per sempre la questione.
(412)
I read my sentence—steadily—
Reviewed it with my eyes,
To see that I made no mistake
In its extremest clause—
The Date, and manner, of the shame—
And then the Pious Form
That “God have mercy” on the Soul
The Jury voted Him—
I made my soul familiar—with her extremity—
That at the last, it should not be a novel Agony—
But she, and Death, acquainted—
Meet tranquilly, as friends—
Salute, and pass, without a Hint—
And there, the Matter ends—
(412)
*
La fama è così bramata
da coloro che mai hanno raggiunto il successo.
Per capire l’ambrosia
è necessario il dolente bisogno.
Neppure uno della livida armata
che oggi ha afferrato il vessillo
può definire tanto bene
cosa sia Vittoria
come colui che vinto – morente –
sente erompere
limpide e agonizzanti
le remote melodie del trionfo.
(67)
***
Success is counted sweetest
By those who ne’er succeed.
To comprehend a nectar
Requires sorest need.
Not one of all the purple Host
Who took the Flag today
Can tell the definition
So clear of victory
As he defeated – dying –
On whose forbidden ear
The distant strains of triumph
Burst agonized and clear!
(67)
*
Accordava le sue sublimi parole come lamine –
luccicanti splendevano –
e ciascuna denudava un nervo
o si mostravano licenziose con le ossa –
Lei mai aveva pensato di far del male –
Quella – non è una questione di acciaio –
un volgare sberleffo della carne –
che a malapena le creature reggono –
Desiderare è umano – mai discreto –
Una lastra sugli occhi
vetusta consuetudine il morire –
schiudersi appena – per scomparire.
(479)
She dealt her pretty words like Blades—
How glittering they shone—
And every One unbared a Nerve
Or wantoned with a Bone—
She never deemed—she hurt—
That—is not Steel’s Affair—
A vulgar grimace in the Flesh—
How ill the Creatures bear—
To Ache is human—not polite—
The Film upon the eye
Mortality’s old Custom—
Just locking up—to Die.
(479)
*
Esiste una certa inclinazione della luce,
pomeriggi invernali –
che schiaccia come macigno
sinfonico di cattedrali –
Dolore del cielo, concedici –
di non trovare infamia,
solo il divario interiore
dove abita il senso –
Nessuno può insegnarla, qualunque
sia l’afflizione che suggella
un tormento imperiale
infuso dall’aria –
Quando giunge, la vista ascolta –
le ombre – smettono di respirare –
quando va via è come la lontananza
dentro gli occhi dei morti –
(258)
***
There’s a certain Slant of light,
Winter Afternoons,
That oppresses, like the Heft
Of Cathedral Tunes.
Heavenly Hurt, it gives us –
We can find no scar,
But internal difference
Where the Meanings are.
None may teach it Any –
‘Tis the Seal Despair –
An imperial affliction
Sent us of the Air –
When it comes, the Landscape listens –
Shadows – hold their breath –
When it goes, ‘tis like the Distance
On the look of Death.
(258)
Fonte foto in evidenza: Emily Dickinson nel dagherrotipo ripreso fra il 1846 e il 1847, restaurato nel XXI secolo. La fotografia fu scattata al College di Mount Holyoke nel cui archivio è stata ritrovata, ed è una delle due immagini fotografiche autenticate e di certa identificazione. (da Wikipedia)
Rivista Atelier
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore generale e responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online
Direttore: Giovanni Ibello Caporedattrice: Valentina Furlotti Redazione: Giovanna Rosadini, Gisella Blanco, Sarah Talita Silvestri, Massimo D’Arcangelo, Piero Toto, Emanuele Canzaniello, Giovanni Di Benedetto, Silvia Patrizio, Mattia Tarantino. Collaboratori ed ex collaboratori: Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Antonio Fiori, Matteo Pupillo, Giulio Maffii, Daniele Costantini, Francesca Coppola, Mario Famularo, Paola Mancinelli, Lucrezia Lombardo.
Redazione Cartaceo
Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani, Eleonora Rimolo.
Gian Piero Stefanoni -Ante editoriale: “La co-stanza del cielo”
Rivista L’Altrove
L’AUTORE–Gian Piero Stefanoni, nato a Roma nel 1967 dove si è laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con In suo corpo vivo (Arlem edizioni, premio “Thionville” sezione poesia in lingua italiana e “V.M Rippo” del comune di Spoleto per l’opera prima) a cui (oltre ad alcuni in digitale) a cui tra cartaceo ed ebook sono seguiti una decina di titoli. Suoi testi oltre che essere stati pubblicati in antologie e riviste del settore sono stati tradotti e pubblicati in Francia, Spagna, Malta, Grecia, Cile, Venezuela, Argentina oltre che in diversi dialetti e lingue minoritarie d’Italia. Sulla sua poesia, su cui è uscita nel 2023 la lettura di Francesco Di Ciaccia Di novembre (alveo) e la poetica dell’aderenza (Stampa Eliografica Correggio, col supporto nominativo dell’Archivio dei Cappuccini Lombardi) ama ricordare i riconoscimenti più lontani, il “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” nel 1997 e l’ultimo nella sezione poesia religiosa di “Arte in versi” nel 2021, tutti per l’inedito.
Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per “LaRecherche.it” (per i cui ebook è uscito nel 2017 il lavoro sulla poesia in dialetto della provincia di Chieti La terra che snida ai perdoni) e dal 2014 giurato del Premio “Il giardino di Babuk- Proust en Italie”. Nel 2024, infine, per la Ideostampa di Colli al Metauro è uscito un breve studio sulla poesia italiana a cavallo tra novecento e nuovo millennio, All’altezza degli occhi e il ricordo Lettere da Malta, Oliver Friggieri e me. Collabora con il blog di Nazario Pardini “Alla volta di Leucade”.
TUTTI GLI ADDOMESTICABILI MONDI
Tutti gli addomesticabili mondi e gli ordini eternamente riferibili ma sotto qualcuno ha parcheggiato di nuovo di fronte all’uscita – e il mare non ha confini non accettando più di bussare.
Così, nel sonno, sei ancora tu l’intruso, l’occhio lungo la spina di pesce, la notte senza riflessi nel giorno che cede alla sete.
TU CREDI
Tu credi ma il vento in te non può riposare né adagiarsi la nuvola o l’albero finalmente alla sua maturata infanzia dare respiro nel piccolo nido.
Tu credi ma non riesce a passare – basso allo sguardo – il sole, l’oriente.
DEL CUORE
Ha le ossa fragili, le cartilagini a tempo, nel busto il silenzio della frana.
Ma non cede nel suo quieto vigore, nell’azione di forza da cui ascende il cielo contemplato dalla ruga, il grasso d’anima sola.
Perché un inizio questo Dio di pietra, un inizio questa visione del tutto che lentamente nella separazione ci consuma.
SACRAMENTO
Il fiore non ha lastre, non ha nebbia, chiaro l’odore nel riflesso composito della radice.
Sciolta alla trasparenza della terra, la luce nella forma dello stelo.
CAMMINANTI
Non teme chi non ha vita ma sposta l’altare – alza il numero nell’ammonizione adesso visibile dei ricoveri e delle piazze fasciate.
Non è pensabile in noi ciò che allo specchio riappare non più dell’altro ma nella carne, nelle case, il provvisorio scontornando l’abisso.
Non è pensabile – e non si fermano nel sottomondo stabili e labili – nel sottomondo nel mondo che di noi non ha veste.
Nota biografica di Gian Piero Stefanoni
Nato a Roma nel 1967, laureato in Lettere moderne, ha esordito nel 1999 con la raccolta In suo corpo vivo (Arlem edizioni, Roma- prefazione di Mariella Bettarini) vincendo nello stesso anno, per la sezione poesia in lingua italiana, il premio internazionale di Thionville (Francia) e nel 2001, per l’opera prima, il “Vincenzo Maria Rippo” del Comune di Spoleto. Son seguiti in cartaceo e in ebook una decina di titoli, l’ultimo dei quali è Lunamajella (Cofine Edizioni, Roma , 2019).
Presente in volumi antologici, suoi testi sono apparsi su diversi periodici specializzati e sono stati tradotti e pubblicati in greco, maltese, turco e spagnolo (Argentina, Venezuela, Cile e Spagna) oltre che in Francia e in Italia nel dialetto di aree romagnole, abruzzesi e sarde.
Già collaboratore con “Pietraserena” e “Viaggiando in autostrada” è stato redattore della rivista di letteratura multiculturale “Caffè” e, per la poesia, della rivista teatrale “Tempi moderni”. Dal 2013 sempre per la poesia è recensore di poesia per LaRecherche.it e dal 2014 giurato del Premio “Il giardino di Babuk- Proust en Italie”.
Tra i riconoscimenti ama ricordare i più lontani, i premi “Via di Ripetta” e “Dario Bellezza” entrambi nel 1997 per l’inedito e l’ultimo, sempre per l’inedito, nella sezione poesia religiosa di “Arte in versi” nel 2021.
Elenco delle opere di Gian Piero Stefanoni in questo blog:
Il Dolore della Casa. Compianti dal Covid.
IL DOLORE DELLA CASA compianti dal Covid – Poiché tutto si compie in un altrove sconosciuto. Francoise Dolto per Vito, medico e uomo buono INTRODUZIONE Raccolgo nella brevità e nel ricordo di questi
Breve biografia di Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano. Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie e in qualche rivista letteraria (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niedergasse) ed è stata segnalata in concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahiér corpo piccolo ).
Nell’ora candida
sparano; è la mezzanotte
battezzo di fuoco nella candida
ora dell’arrivo della
linea della tua fronte, con gli occhi
scuri da fare spavento tu
maledici tutti
come si fa coi santi
per una cosa sparente continua.
Ed io ti immagino lungamente
contando i giorni che non ci sono,
i giorni insomma, le spille,
le cose adatte e loro
vengono ad assistere. Allora
diventi incandescente
lì dove ti incunei – spargi
una luce leggera
*
Lungo la linea fissa di un pensiero risorge muore
e che le linee si flettono così:
la immensità tattile declina
nel lontano da qui che è dove porge
le miliardi di anime e
– lungo la linea fissa anche la mia
che ha tutta la misera corrotta
nella miseria accesa in questo
eroe scomparente malinteso –
ti guarda con gli occhi glauchi e
lascia che il tuo grande cuore muoia,
lo bagna svelta del suo pianto finito
lungo una linea fissa risorgente
*
una crosta nell’angolo del pavimento
tra
i pavé disgiunti e arrotola
in riflessione rossa molto poco
immagine due te due tre volte
suona alla porta uno monco
tra
le due linee intersecanti
non va aprire alla luce che ruota
e comunque rivelata procede senza vedere fin quando incontra
l’ultimo dei suoi processi minori impegnato in più lotte untuose
*
Francesca a Venezia
due testeleone in oro color che balla
riprese in ottobre al filo della gondola:
si va per San Servolo Incident’acqua
malvestie della cenere dell’incendio
e curvate per passare sotto la Salute
enqualmentre brilla una città sola
la testa di Francesca nei beccheggi
scende
attenti
Breve biografia di Silvia Molesini, nata a Bussolengo (Vr) il 14 luglio 1966, vive e lavora come psicoterapeuta a Costermano. Ha pubblicato le raccolte Nuova noia (Ibiskos ed. 1987), L’indivia (Campanotto ed. 2001), Il corpo recitato (I figli belli ed. 2004), Lezioni di vuoto (Liberodiscrivere ed. 2006). Ha partecipato al romanzo a rete Rifrazioni scomposte su corpo 12 e, per circa due anni, membro fondatore, al progetto Karpòs. È presente in diverse antologie e in qualche rivista letteraria (Le voci della luna, Filling Station, L’ortica, Critère, Niedergasse) ed è stata segnalata in concorsi di poesia (nel 2008 : con Esanimando al Premio Montano e al premio Mazzacurati/Russo con Cahiér corpo piccolo ).
Biblioteca DEA SABINA
-La rivista «Atelier»-
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
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Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Biografia di Gioconda Belli (Managua 1948) poetessa nicaraguense di origine italiana. Il bisnonno, un agrimensore della provincia di Biella, lavorava nei cantieri del canale di Panama. Nel 1970 comincia a pubblicare le sue poesie ed entra nel Fronte Sandinista di Liberazione Nazionale. Minacciata dagli sgherri di Somoza fugge in Costa Rica nel 1976, ma due anni dopo ritorna in Nicaragua per combattere. Con la vittoria del Fronte entra nel governo e vi resta fino al 1994, quando lascia la politica per divergenze col partito.
Il suo primo romanzo, La donna abitata (1989), a un tempo storico e autobiografico, conosce un successo planetario. Autrice di una ventina di libri – romanzi, poesia, racconti per bambini – riceve innumerevoli riconoscimenti in patria, nelle Americhe e in Europa. La Francia le ha conferito il titolo di Chevalier des Arts et des Lettres.
Dio mi fece donna
E Dio mi fece donna, con capelli lunghi, occhi, naso e bocca di donna. Con curve e pieghe e dolci avvallamenti e mi ha scavato dentro, mi ha reso fabbrica di esseri umani. Ha intessuto delicatamente i miei nervi e bilanciato con cura il numero dei miei ormoni. Ha composto il mio sangue e lo ha iniettato in me perché irrigasse tutto il mio corpo; nacquero così le idee, i sogni, l’istinto Tutto quel che ha creato soavemente a colpi di mantice e di trapano d’amore, le mille e una cosa che mi fanno donna ogni giorno per cui mi alzo orgogliosa tutte le mattine e benedico il mio sesso.
Eros è l’acqua
Tra le tue gambe il mare mi mostra strane scogliere coralline
rocce superbe coralli magnifici contro la mia grotta di conchiglie madreperlata
tu mollusco di sale segui la corrente l’acqua scarsa scopre le pinne mare nella notte con lune sommerse il tuo ondeggiare brusco il mio pulsare di spugna i cavalli minuscoli fluttuanti fra i gemiti aggrovigliati in lunghi pistilli di medusa
Amore tra delfini a balzi ti tuffi sul mio fianco leggero ti accolgo in silenzio ti guardo tra bollicine le tue risa cerco con la bocca spuma leggerezza dall’acqua ossigeno dalla tua
vegetazione di clorofilla
dagli occhi argentati fluisce il lungo sguardo finale ed emergiamo da corpo acquatico siamo di nuovo carne una donna e un uomo tra le rocce.
io sono la tua indomita gazzella
io sono la tua indomita gazzella, il tuono che rompe la luce sul tuo petto Io sono il vento sfrenato sulla montagna e il fulgore intenso del fuoco dell’ocote. Io scaldo le tue notti, accendendo vulcani nelle mie mani, bagnandoti gli occhi col fumo dei miei crateri. Io sono arrivata fino a te vestita di pioggia e di ricordi, ridendo la risata immutabile degli anni. Io sono l’inesplorata strada, la chiarezza che rompe la tenebra. Io metto stelle tra la tua pelle e la mia e ti percorro completamente, sentiero dopo sentiero, scalzando il mio amore, denudando la mia paura. Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta
Il tuo ricordo mi avvolge come una coperta proteggendomi dal freddo, splende col mio corpo nel silenzio bagnato di questa sera in cui ti scrivo, nella quale non posso far altro che pensarti e pronunciare il tuo nome in segreto, dentro la mia bocca avvolgendolo nel recinto dei miei denti mordendolo fino a consumarne le lettere, fino a consumarlo tanto il nome tuo che mi ha accompagnato, per tornare a farlo rivivere cullandomi da me con la tua voce e i tuoi occhi, dondolandomi in questo tempo senza ore nel quale ti desidero in cui amo ogni minuto che è rimasto impresso nella mia memoria per sempre.
Io sono un nome che canta e si innamora
Io sono un nome che canta e si innamora dall’altro lato della luna, sono il prolungamento del tuo sorriso e del tuo corpo. Io sono qualcosa che cresce, qualcosa che ride e piange. Io, quella che ti ama.
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