Pier Paolo Pasolini -“La terra di lavoro”-da: Le Ceneri di Gramsci
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Pier Paolo Pasolini -“La terra di lavoro”-da: Le Ceneri di Gramsci
Emily DickinsonIl 15 Maggio del 1886 moriva ad Amherst, nel Massachussets, la figlia di un noto avvocato locale. Una strana donna, sempre di bianco vestita, che usciva poco di casa e che pare trascorresse le sue giornate tra ricami, marmellate e la cura del giardino. Si dice fosse epilettica e che per questo avesse preferito non sposarsi. Non sembra si fosse data troppa pena nel cercare pretendenti. Non che fosse di aspetto sgradevole, anzi, ma forse troppo presa da se stessa e dai suoi pensieri. Chissà, la sua vita interiore, così ricca, unita ai disturbi di salute di cui soffriva, le resero una quieta solitudine preferibile al destino di moglie e madre. Non si mosse molto da casa: pochi viaggi nei dintorni, solo per andare a trovare dei parenti. Col trascorrere del tempo, si ritirò al piano superiore della casa paterna, non uscendo nemmeno per il funerale dei genitori. Divenne “ la signora vestita di bianco”, strambo personaggio locale, metà fata e metà strega. Morì a cinquantasei anni, probabilmente a causa di una nefrite. Ma qui la sorpresa: la sorella ritrovò, nella sua stanza, centinaia di foglietti cuciti insieme con ago e filo, strane poesie, versi spezzati, che non rispettavano nessuna metrica. Belle, però. La famiglia decise di provare a pubblicarle. Magari a qualcuno potevano piacere. Piacquero a molti, a tutt’oggi sono continuamente ristampate. Il nome della strana signora? Non ve l’ho detto?! Si chiamava Emily Dickinson.
n. 260
Io sono Nessuno – e tu chi sei?
Sei Nessuno anche tu?
Allora siamo in due – non dirlo,
Potrebbero spargere la voce!
Com’è pesante essere Qualcuno!
Così volgare – come una rana
che gracida il tuo nome tutto Giugno
a un pantano in estasi di lei!
(Traduzione di Silvio Raffo)
(Photo by Lee Avison)
Articolo scritto da Serena di Battista- 15-05-2018
Oggi, 15 maggio, nel 1886 moriva Emily Dickinson, una delle poetesse più famose al mondo. Quali sono le sue frasi e poesie più belle? Per capirle e apprezzarle meglio andiamo a scoprire la vita e la personalità di questa donna davvero fuori dal comune.
Nata nel 1830 a Amherst, Massachusetts, da una famiglia borghese di tradizioni puritane, manifesta sin dalla giovinezza un carattere contraddittorio e complesso. Infatti, non si sa ancora per quale motivo, a venticinque anni decide di trascorrere una vita solitaria e appartata nella sua camera, nella quale si reclude. Parliamo dunque di una vita di certo ben diversa da quella delle sue coetanee.
Studia per lo più come autodidatta, grazie all’aiuto di un assistente del padre chiamato Benjamin Newton, e per un periodo frequenta il College Femminile di Mount Holyoke, che però abbandona.
Il suo carattere introverso, e il bisogno di estraniarsi dal mondo, fanno sì che stringa pochi legami affettivi e professionali nella sua vita. Anche se non manca qualche profonda amicizia: si lega a Susan Gilbert con la quale scambia numerose lettere e Samuel Bowles, direttore del giornale Springfield Daily Republican.
Dal punto di vista sentimentale sembra che Emily Dickinson abbia vissuto dei grandi amori platonici, perché si innamora di un reverendo sposato, Charles Wadsworth, e sembrerebbe anche dello stesso Bowles.
Compie pochi viaggi nella sua vita, durante i quali però incontra alcune personalità importanti nel mondo culturale, come lo scrittore e filosofo trascendentalista Ralph Waldo Emerson.
La sua forte vocazione poetica e il suo talento rimangono per lo più nascosti con lei nella sua stanza: soltanto sette dei suoi componimenti vengono pubblicati durante la sua vita. Ma alla sua morte, nel 1886, la sorella Lavinia scopre nella camera in cui si era autoreclusa ben 1775 poesie. Tutte scritte su foglietti ripiegati e cuciti con ago e filo, contenuti ordinatamente in un raccoglitore. La prima raccolta di poesie viene pubblicata nel 1890.
Oggi Emily Dickinson viene giustamente considerata una delle poetesse più sensibili di tutti i tempi, e anche una delle più rappresentative. Le sue opere vengono tradotte ancora oggi, sulle sue opere vengono prodotti testi di critica sempre più approfonditi. Vediamo insieme le frasi e poesie più belle di questa poetessa immensa.
Dunque il suo carattere singolare, un approccio complicato al mondo che la circondava e un’assoluta necessità di solitudine spinsero l’autrice a vivere gran parte della sua vita in reclusione nella sua stanza. Non solo: la Dickinson vestiva solo di bianco, in segno di purezza. Un distacco totale, fisico e simbolico, dal mondo.
Mise in opera un allontanamento dalla sua stessa famiglia, il suo universo di amore.
Pensate che la Dickinson non uscì dalla sua stanza al piano superiore della casa paterna neanche alla morte dei genitori, che pure amava.
Il suo unico accesso all’esterno era l’immaginazione, il suo talento e la vocazione poetica. Forse per questo le sue parole ci sembrano tanto profonde e vere.
E ancora:
Ho preso un Sorso di Vita
Ho preso un Sorso di Vita −
Vi dirò quanto l’ho pagato −
Precisamente un’esistenza −
Il prezzo di mercato, dicono.
M’hanno pesata, Granello per Granello −
Bilanciata Fibra con Fibra,
Poi m’han dato il valore del mio Essere −
Un solo Grammo di Cielo!
A un cuore in pezzi
A un cuore in pezzi
Nessuno s’avvicini
Senza l’alto privilegio
Di aver sofferto altrettanto
Non sapendo quando l’alba possa venire
Non sapendo quando l’alba possa venire
lascio aperta ogni porta,
che abbia ali come un uccello
oppure onde, come spiaggia.
Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi
Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.
Una parola muore quando è detta
Una parola muore
quando è detta
Dice qualcuno −
Io dico che proprio
Quel giorno
Comincia a vivere.
La riva è più sicura, ma a me piace combattere con le onde.
“Emily Dickinson” Emily Elizabeth Dickinson (Amherst, 10 dicembre 1830 – Amherst, 15 maggio 1886) è stata una poetessa statunitense, considerata tra i maggiori lirici del XIX secolo.
Nacque nel 1830 ad Amherst da una famiglia borghese di tradizioni puritane. I Dickinson erano conosciuti per il sostegno fornito alle istituzioni scolastiche locali. Suo nonno, Samuel Fowler Dickinson, era uno dei fondatori dell’Amherst College, mentre il padre ricopriva la funzione di legale e tesoriere dell’Istituto; inoltre, ricopriva importanti incarichi presso il Tribunale Generale del Massachusetts, il Senato dello Stato e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti.
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Poesie scelte da Maria Borio | Apr 3, 2018-Dalla Rivista Nuovi Argomenti
Pubblichiamo una scelta di poesie da Tutte le poesie 1971-2017 di Biancamaria Frabotta (“Lo Specchio”, Mondadori, 2018), con postfazione di Roberto Deidier e nota biobibliografica di Carmelo Princiotta. La poesie ripercorrono l’itinerario dell’opera di Biancamaria Frabotta.
da Il rumore bianco (1982)
Sono questi i casi che le virgolette contano
“l’eterna indecisione dei gemelli”
il simile e il dissimile, Diotima la crespa
una maretta vispa, la luce e il moto le sono propri
l’altro è il quasi lago, il numero due, il coperchio del mondo.
Su altra pioggia cade la pioggia di ieri
ciò che sta sopra a ciò che sta sotto
chi scacciato torna dorme con noi
semina insieme panico e sonno.
*
ELOISA
E pensare che quello che ti chiedo è ben poco,
e per te facilissimo!
(Eloisa a Abelardo, Lettera 2)
I
Qui dimora l’intero e tu disperso
ci ragioni. Che io canti, più buia
sordidamente, ombra più pesante
del marmo che mi riposa non conta.
Una sola rondine non mi ti rende
la stagione perduta.
E io troppo tempo ho abitato in te
come la ragnatela in un tronco morto
al limite di una terra promessa
non cogliendomi (fu soltanto evocazione
addestramento allo stupro
il fantastico frutto dell’occidente)
mi hai nominata più bianca della luce
nido di un’idea intricata, torpida fantasia,
pupilla cieca del tuo occhio.
Si sfilava il sibilo dalla teoria lunga
delle stanze: davanti alla porta chiusa
sarò la sorella di quei meli che fuori
si spogliano lisciando a sangue i sensi
e solo la sera ne spegne il tocco.
Un triangolo è divino quando ogni punta è Dio
e ogni lato un’esca. Non c’è veglia più amara
per me che sono lontano dalla festa.
Le parole non ti costavano molto, ricordi?
scivolano via per filo e per segno
come canoe fluiscono sul filo della corrente.
Non c’era rapida che ne scuotesse il corso
scorresse anche fino al mare il discorso
del tuo sogno soltanto noi ne scontavamo il costo.
Ma subito potessi smemorarmi
annottassero ovunque le pupille degli uomini desti
in un mondo di dormienti
un bestiario delicatamente miniato dallo stilo di chi può
almeno fin quando arriverò
placida onda di lago a lambirti
i piedi di umide e molli zolle di prato
almeno fin là dove arriva l’essere
e il chierico si fa pierrot
la canaglia un’ariosa città
ogni passante un amico, un evento
allora
l’acqua coprirà il prato e ogni traccia di nome.
[…]
***
da La viandanza (1995)
La viandanza
E un’inezia in veste di gala terge
la risacca, un’inerzia, prodiga, mamma
vermiglia di vortici sei falsa calma
come l’onda lunga della riconoscenza.
Riconoscersi o congedo questa improvvida sosta
di sole che affoga? Latita
il senso lontano dalla terra ferma
e tu dormi sul filo di lana
come lo stranito starsene dei non umani
oltre le curve dove ci pedina il tempo
e sull’orlo del campo anonimi frulli di freddo
e panico che abbagli i divieti, i binari.
Così recalcitra la fame degli erbivori.
È lo spavento dei passeri poveri quello
lo sgomento delle nubi al macero. Fra poco
ci staranno addosso in tanti i polipi
della città fantasma
con tentacoli e raggiri e tu, ora lesta
a provocarli, col guizzo circasso
dell’occhio, a patirli, sordida
giovale, giovane Civitavecchia
sgarbata bilancia fra apocalisse e paese
smaniosa pazienza è la felicità che
incendia in lei troppe parole o nessuna.
Preda di insana genia, Eugenia
nata De Falchi, o insensatezza
di un nome rapace o insensatezza
di un nome ben nato
e se il volo non fosse un voto paterno
ma una nomade svendita di senno
e un’azzurra (che vegeto caos in questa
stazione) provvida grazia di rimozione?
O fu soltanto pigrizia la coincidenza mancata?
Il paranoico estro di disastri all’attesa
comparti e defence
custodi e silence
it’s forbidden, non leggi?
de stationner sur la passerelle
e à l’occurance
togliere il piombo
ruotare il vetro
premere il pulsante, ma bada
sarà severamente punito
l’abuso dei tuoi sontuosi capricci
futuri nutriti sui lidi di Caravani
di parche cartate di cozze
primizia del nuoto di secca
di granchi traversi la svogliata trafila
spiando tra le valve ora salse
di salmonella ricordi la misericordia dell’orto?
l’intemperanza della madreroccia
e nel grembo femmina il riccio
morte certa del mare (è la legge!)
brulicante di uova arancia, e limoni?
la misticanza invisa all’orgia pagana
di vergini lische, scorfani
e sparnocchie ancora in vita risenti
come torpida marciava alle narici l’alga
e la brama dell’altro, con inversa
ala d’ascesa, murata baldoria d’un istante
un istante
fu l’ardore di chi ti corresse
– Non si dice salisco, ma salgo
e tu che non soffri cavezza, coraggio fuggendo
oltre il Villaggio del Fanciullo
la Repubblica dei Ragazzi
e Marangone
fogna a cielo aperto
levata al cenno delle cento
macerie d’acqua in cui nacque
l’ultima cella foriera d’anfore e rancori
dove fanno il nido le murene
e luccicano le Orecchie di Venere
e intendono chi non dicendo
abbastanza ha già detto troppo
e con esorbitante assedio di giubilo smura
le labbra avare di racconti
e se nell’afa sfuma
la ciminiera più alta d’Europa
neppure tu le cerchi più le lapidi lambite
dal liquame della Fiumaretta
necropoli di vivi incrementi
al fabbisogno di Roma
e non avrebbe meritato l’indulto
la pena commutata nella guazza serena
di una tomba non inquinata
chi placò gli insulti della mia tosse convulsa
e divampa in cenere l’ombra
di una carrozzella in corsa
verso la rada di Sant’Agostino
dove montava la luna della buona pesca
ai polipi e spirava lo jodio sull’indomito
falò amico ai naviganti
che un vezzoso odio eclissò e ora lo smog
amico ai benestanti? E ora
nostra cocente storia convulsa
nostra avulsa radice le tombe
fra gli escrementi navigano
con la stessa indocile fretta
che sulla fusta leggera
ti induce al fasto saraceno
di crescerti la vita di un anno.
E che spasimo per un diffidente volatile
una sorte pellegrina nel padule! e che vandala
quando tu i sandali di pena scalzando
e di corda intrecciata nella mano sudata
stringevi la merendina di Santa Costanza
scorbutica novizia della Piazza Calamatta
fluivano scalze le pozzolane sulla Scaletta
con le prime notizie della paranza e senza
che sorpresa smarrirsi nei meandri
della Piazza Leandra dove
i morti restituiti
all’ebete gioco del tempo ma non tu
rapita al Pirgo di corsa e che affanno
sul tuo sandalino che fila
verso il Borgo Odescalchi
dove rabida nobiltà di veli, paglie e corde
si spegne nel vuoto delle cabine
Santa Fermìna al martirio
palma alla dritta, galera a sinistra
ti insidia ora un tenente
un serpente in piedi, la corona in testa
e nel petto smilzo timida alla sbarra
quella notte fosti tu la più bella
tra le svelte acque della Ficoncella
e le tronfie in lungo a libare
succo di viti tedesche, o vita
vita tua sottile
che il gerarca corrotto cinse di raro
vanto di provinciale grazia e ritroso
non per coscienza ma per innocenza di classe
millenovecentodiciassette
riarse un rigoglio cremisi sul fianco
il fiocco, le maniche a sbuffo
e perfetto ruotava sopra il ginocchio
il taffetà tagliato a teletti
a scorno delle ricche Guglielmi
Giovannelli
d’Ardìa Caracciolo
o Rodano Cinciari
oh come vagano semplici in mente
i nomi dei tuoi primi tormenti
oh come risalta nella prossima notte
la torcia del tuo eretico orgoglio!
Poi l’Ottimo Consiglio
del millenovecentoquaranta
non portò i suoi figli in salvo
sui monti della Tolfa, ma
canicola, canizie, canile
e stillicidio di polveri
croste, ghetti e l’inverno
che inferno affacciarsi
sulla mole del Lazzaretto Vecchio!
Là i vincitori (giurarono i vinti)
giocando a palla, venivano a galla
i teschi dei frati tra le bombe
miste alla pioggia e di salso prodigio
tutte le notti smontava la luna
della Buona Morte ai polipi e agli omeri mozzi.
Oh cimitero disperso fra le vasche
di sterile letame, annegato
nell’olio, nell’oblìo che
una petroliera dispensa dal largo
troppo fondo al porto lo scafo
troppo tagliente la chiglia
e che lago melmoso questo scavo
senza bisogni, questa vetrosa fronte
del treno che ci trascina
oltre le argille della Ripa Alba
e tutto è da imparare ormai
a danno, mamma, e se ne vanno
nella cavità dell’aria che grave
ora rimuove
i fumi di un’infanzia ormai appena visibile
come nei polmoni l’ombra di una trascurata influenza.
*
Gemina iuvant
Soltanto a sfiorarla – dicono
i miei due rivali emisferi
digrada a più lievi some
la femmina del mio cervello diviso
la sinistra ancella della nostra passione
che cola viscosi umori di nera bile
impuri fluidi di non storia
ma sa la visione e lo spirito del tempo
e se muore è d’etilismo
e sempre fuori tempo.
La sua parte è fissa.
È la parte per il tutto.
A destra invece legge
scrive e fa di conto colui che
prende di punta ogni ideuzza e la rintuzza
nella brocca rotta che risuona a vuoto
per maniera che non ne torni l’eco
tranne i costi i ricavi e
l’insana ragione mancina
ridurre alle sue minute ragioni.
Ogni punto è la testa pensante di una linea.
Ogni linea termina in un punto.
Così fingendosi amanti
i miei due rivali emisferi
entrambi mi tormentano
e non c’è ricciolo, né maliziosa frangia
a tenerne unito il gruzzolo
a ricomporre l’antica noce
della loro inimicizia.
*
Discosto dal ramo quel tanto che basta
l’ala raccolta a non dar mostra di te
mi insegni la rotta breve del Colombo
erbivoro che ama il paniere poco profondo
di vimini, la canna, il salice, il cardo.
Non il rostro delle navi che violano il porto
ma il lento sciabordio dei remi calmi come nevi.
Anche la lampada ardente dell’Inferno in cui credi
a causa tua si mitiga, il mostro si addomestica
rientra nell’uovo, rinasce pulcino
e si smorza perfino la cruda scorza
di chi a tutti i costi ti volle eterno e di te
più eguale a un altro non c’era e molteplice.
Ora di sé si scontenta e guaisce la pavida Nomade.
Piuttosto che signora vorrebbe esserti sorella.
*
per Antonio Porta
Fu nel covo del giorno
che il fuoco ti snidò
dalla tana stipata di versi
verbi, più che altro, a vedersi
a toccarsi, questi nostri anni
gettati a ingrassare le murene.
Ma i ricorsi non ripagano i ritardi.
Né i ritorni arsi dall’inerzia
che si fa febbre fredda ai polsi.
È pur sempre la ragione del morire
vivere. Sommessamente o rogo
la menzogna abbaglia la consegna.
***
da Controcanto al chiuso (1991)
[…]
Coro
Abbiate il cuore freddo madri mie.
Respingete i cattivi discorsi verso il mare.
Che un freddo penetrante entri nel villaggio.
E quando lo straniero verrà badate che sia
il portatore della buona pioggia
ricordo dell’uomo che scalpita alle porte
insetto del futuro che feconda le carte.
[…]
Seconda voce
Chi è chiuso merita violenza
e io non riesco a dimenticare la tua lingua
così inutile, assente, dolce come il miele
valere fino in fondo il mio tormento
spegnere fra le labbra e il palato, l’ugola
e le molli pareti della casa, l’unica
lieviti, viti, storia e cibi cotti
forzarti, farti violenza, aprirti
forzarmi, farmi violenza, aprirmi
segna nel caldo fiume dell’Avvento
il calendario l’Angelo
prima della donna. Inarginabile.
[…]
***
da Terra contigua (1999)
A Dario Bellezza
Arrogante garrivi alle stelle la tua dolce nenia
il fiore ancora in nuce nello scapo
e la felicità, l’ottusità d’una caccia svogliata
mai così rasente alle promesse dell’età sfacciata
ti annoiava e ti seguiva come una cagna fedele
nel subbuglio dei tuoi astratti furori.
E ti eludeva anche da quel suo astuto
gioco a tutti commestibile, ma non a te
che la morte segreta stornavi ad ogni giro
e t’era consorte l’incanto, l’incubo dei bari.
Tu non volevi altro se non l’impossibile
la tratta di favore, il pagamento del riscatto
minacciando altrimenti colpi di testa
colpi di teatro memorabili che l’indomani
bruciavi al nuovo giorno sotto dettatura.
Non tolleravi la dittatura del giorno.
E libertà t’erano gli scuri chiodati
il fresco osceno invito della notte.
*
A Toti Scialoja per i suoi ottanta anni
Non fidatevi della carta vincente
che non si nasconde nel folto del mazzo
né l’occulta la manica di un baro
né è moneta rovente che scivola
ignorata in un fiume senz’anima.
O che lenta s’incaglia sul fondo.
Stanotte non c’è anima viva sul fiume.
Né giunche, né barcaioli.
Ma gromme di dolore indocili alla gomma
lune d’oro, buchi neri
e l’ostinata balbuzie
delle cose che abbagliano un poeta.
*
TRADUZIONI
Ibn Hamdîs
Fin quando durerà il mio esilio
amici per malasorte non diversi
dai nemici che mi assetarono
dell’acqua che arrossa le labbra
e a goderne cancella ogni altra acqua
e le mie speranze delusero?
Ci sono droghe che più del male ammalano
e io sono troppo debole
e palesi le mie false ragioni.
Non è virtù della vergine placare un cuore ribelle?
Ecco, eccoti il mio occhio, tu che l’hai visto
dall’alba alla notte velato di lacrime
nella malia del tuo sguardo perduto
né fra le ombre ha più ombra il mio corpo
né pioggia che ne smorzi l’arsura.
Eppure ogni sterilità ha i suoi benefici umori…
Non vedi? Ardo di fedeltà
come il calor bianco del carbone.
E tu traditrice, vuoi spegnere la mia luce
e ti escludi dal saggio raggio del proverbio:
teme l’assenza, essenza del deserto
solo chi vi si è già smarrito.
Come sperare piacere dalla tua ripulsa?
Dalle tue vane lusinghe e promesse senza frutto?
Può forse nascere pace dalla guerra?
E un miraggio estinguere la sete nel deserto?
Volubile fanciulla che denigri
l’onda inquieta della mia pazienza
tu sola, ago della mia bilancia
fattucchiera crudele che estirpi il male
tormentando l’ammalato, cessa le tue cure
poiché il farmaco cui anelo
è la saliva delle labbra scure
e chi dal male troppo è consumato
a colei che gli rende la visita pietosa
risponde con il cenno di preghiera
dell’uomo che il mare se lo sta inghiottendo
e chi supplicando una bellezza meno avara
col male il male cerca di annientare.
Tra le stelle nessuna brilla più del sole mattutino
e tra le sue compagne nessuna è più nobile di Asma’.
***
da La pianta del pane (2003)
L’ultimo verso
Dentro gli occhi chiusi
quando vi cadde il sole
si accese un puntolino nero.
E non per vizio voleva
tenerselo l’informe
e dentro trattenerlo
nel cieco addome
divenuto sua patria.
Per non lasciarlo morire davvero
e insepolto, quell’ultimo verso
lo adottò, quell’inutile eroe.
Aurea muffa dell’estinto mattino
aerea tigna, polverosa carcassa
nocciolina che sgusci tra le dita
e, se si è presi, fedele capsula.
*
Atta
Il n’y a pas de paradis…
Ha una parola sola il bardo del ’43.
Sbiaditi kamikaze in bianco e nero
strisciavano il cielo
d’un fioco bagliore
e subito si spegnevano
come zolfanelli difettosi.
Quasi fosse uno stuolo
entra senza ferite nella tomba
il provetto architetto di Allah.
Un milione di volte e nel medesimo giorno
una gomma di fuoco ha cancellato Babele.
Ma io ho ancora troppe parole.
E questo è ancora il mio tempo.
*
da Da mani mortali (2012)
Gli eterni lavori
Dalla valletta degli ulivi una neve marina
veste di bianco le bacche della piracanta.
Potessi poggiando la testa sul cuscino
udire il mormorìo dell’anima che dorme
quando sibila la sofferenza delle piante.
Potessi, ospite impensierita, dal pietrisco salvare la salvia
che perde al vento, talvolta, una fogliolina accartocciata
accorrere dove il ramerino implora una sponda
l’ibiscus un tepore che non è qui e un’arancia
s’affaccia fra il plumbago e le spine di Cristo.
Solo al tatto la riconosco quella pace truccata
che al mattino scuote la coperta dei sogni.
*
Le fasi della luna
Trapela, nella camera oscura
come l’intelligenza nel cuore.
Illecita, ingannevolmente stanziale.
Chinata sulla sua metà in ombra
sul fianco di una panca
la faccia girata a non guardarsi
in un confuso abbracciarsi di gambe
come fosse questa l’ultima notte
per dormire insieme
non il mio sonno senza sollievo
ma il nostro che non ha rimorso.
*
I nuovi climi
Nell’estate del duemila e tre
tutto si prosciugò silenziosamente.
Un meraviglioso azzurro puntato
su di noi come un’arma radiosa
premeva i piedi sul suolo, spruzzava
di calce le pareti, entrava, senza
nemmeno una goccia di pioggia
anche di notte
dentro i nostri occhi spalancati.
Dal tronco del melo colava pece nera
e a febbraio bisognò abbatterlo intero.
Il fico si salvò scrollandosi di dosso
la veste lieve delle foglie assetate
e a luglio cogliemmo fichi secchi
da terra, come fosse Natale.
La siccità portò via anche due peschi
che si erano avviticchiati l’uno all’altro
all’insaputa di tutti, in un solo albero da fuoco.
*
Per Emily Dickinson
E se covi nel tuo bozzolo un
Mercato di parole-ciottoli
I pay in satin cash – paghi
Lingua e Vita, ma solo in contante
Yes – ti diremo – noi mendicanti.
***
da La materia prima (2012-2017)
Una volta ci fu il tempo passato.
Ovunque vagante negli eterni
ultramondi il pensiero, lo stolto
come il giusto, irrigidito
nel tormentoso intrico del viso.
Ogni cosa vissuta era tenebra.
Ogni gesto compiuto vapore.
*
Una volta ci fu il tempo futuro.
Invocato a durare latente nel seno
di attesi compimenti e di altri mortali
complimenti, più o meno incompleto
di verità relative, di errori stanziali.
Non importava che ogni cosa amata
fosse così arbitrariamente sperata.
Maria Borio è nata nel 1985 a Perugia. È dottore di ricerca in letteratura italiana contemporanea. Ha pubblicato le raccolte Vite unite (“XII Quaderno italiano di poesia contemporanea”, Marcos y Marcos, 2015), L’altro limite (Pordenonelegge-Lietocolle, Pordenone-Faloppio, 2017) e Trasparenza (Interlinea, 2019). Ha scritto le monografie Satura. Da Montale alla lirica contemporanea (Serra, 2013) e Poetiche e individui. La poesia italiana dal 1970 al 2000 (Marsilio, 2018).
Militò nel Movimento degli Studenti, durante e dopo il Sessantotto, e soprattutto nel Movimento delle Donne, a partire dal 1972, impegnandosi anche nella politica attiva con il Partito Socialista di Unità Proletaria.[3][4] Nel 1976 pubblicò Donne in poesia, che dà grande rilievo alla poesia di Amelia Rosselli e antologizza per la prima volta anche le giovanissime Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Il volume, che ha suscitato un vivace dibattito,[senza fonte] tratta il tema della specificità del linguaggio poetico femminile, ripreso e ampliato in Letteratura al femminile (1980), che indaga le tracce del femminile anche nella letteratura maschile.[2]
Gli interessi accademici della Frabotta si spostarono poi dall’Ottocento al Novecento: la prima monografia fu dedicata nel 1971 a Carlo Cattaneo, la seconda nel 1993 a Giorgio Caproni. Successivamente la Frabotta scrisse saggi e recensioni ad Amelia Rosselli, Franco Fortini, Toti Scialoja, Elsa Morante.[2]
Nel 1989 pubblicò il romanzo, Velocità di fuga, vincitore del Premio Tropea.
Fece parte degli Amici della Domenica per l’attribuzione del Premio Strega,[5] e scrisse per il teatro una serie di atti unici raccolti in Trittico dell’obbedienza (1996).[3] Come traduttrice, pubblicò con Bruno Mazzoni un’antologia della poetessa romena Ana Blandiana.
Collaborò, tra gli altri, con Il manifesto e con L’Orsaminore, rivista fondata insieme a Maria Luisa Boccia, Giuseppina Ciuffreda, Licia Conte, Anna Forcella, Manuela Fraire e Rossana Rossanda.
Nel 2013 fu nominata socia onoraria della Società Italiana delle Letterate.[6]
Ebbe incarichi di docenza alla Sapienza – Università di Roma, dove si era formata alla scuola di Walter Binni, fin dal 1969. Nel 2001 divenne professore ordinario di Letteratura italiana moderna e contemporanea.
In molti suoi testi vi sono riferimenti al paesaggio rurale di Cupi, nella Maremma grossetana, luogo abituale di soggiorno.[7]
In occasione dell’uscita di Tutte le poesie 1971-2017, avvenuta il 20 marzo 2018, partecipò a eventi e trasmissioni come TGR Petrarca, il Salone Internazionale del Libro di Torino, Quante storie[8], il Festivaletteratura di Mantova[9], Poesia Festival, Pordenonelegge, InQuiete, il Caffè di Rai Uno, il Festival del giornalismo culturale, Più libri più liberi.
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Sotto la betulla
Inaugurazione
Presentazione di Scatto di famiglia – Cos’è successo nella testa e nel cuore dei giovani adolescenti durante il lockdown imposto dalla pandemia? Questo libro nasce da una sfida letteraria creata e promossa dal Centro Asteria di Milano, che ha cercato di dare voce agli studenti, per fargli raccontare la condizione di “reclusione” in famiglia. A cura di Centro Culturale Asteria
Ore 14.30
Sotto la betulla
La nostra sorellanza – Donne italiane e straniere, di tutte le età, di diversa estrazione; donne che si sono prese per mano e hanno dato vita a una sorellanza fatta di ascolto e comprensione reciproca; donne combattenti, fragili che hanno avuto il coraggio e la generosità di mettersi in gioco. Molti i temi affrontati: la maternità, l’intercultura, la libertà di espressione, la parità di genere. Dal privato all’universale per scandagliare l’animo umano e la società, declinata al femminile. A cura di Associazione Per i Diritti umani
Ore 15.00
Sotto la betulla
Presentazione dell’antologia La poesia nei giorni della Paura (Rayuela Edizioni)
Il segno dei nostri giorni, dietro il bagliore nitido di sensazioni mai provate prima, sembrò essere, per lungo tempo, l’incertezza. Le domande alle quali nessuno sembrava in grado di offrire una risposta. Così ci siamo ritrovati, ignorando distanze, forse come mai intimamente legati, sotto il segno della Poesia. Tornando ad essere quei “Cronisti, brevi e astratti, del proprio tempo”, cari a Shakespeare. Tutti insieme, a redigere il diario dell’inquietudine di giorni distanti, eppure così vicini. La narrazione emotiva, emozionale, di un mondo che continua a chiedere di essere salvato dalla bellezza.
Ore 16.00
Sotto la betulla
Sbagliare è umano – Un viaggio nella realtà carceraria, tra Bollate e il Bassone di Como, narrato attraverso il linguaggio poetico e musicale – Con Lorenza Auguadra (autrice) e i Poeticanti. A cura di Luisa Cozzi.
Ore 16.30
Sotto la betulla
Scarlatta Odissea – La poesia incontra il teatro. La poesia si fa corpo. Non è mai facile trasporre la parola poetica in parola detta, recitata.
Ci proviamo attraverso la sensibilità di giovani artisti che danno voce ad alcune poesie di Gabriella Cominotti. Corriamo da un testo all’altro, danziamo su colori e suoni, partiamo da un pensiero, un respiro, un vento che sa di Trieste. Regia Giovanni Di Piano, con artisti della compagnia Bottega Teatrale Milano
Ore 17.00
Dedalus
Dimmi com’eri vestita? – Mostra Itinerante – Inaugurazione – La mostra vuol essere un momento di riflessione e una risposta tangibile a uno dei pregiudizi più pervasivi della nostra società, a partire dalle parole delle donne accolte da Cerchi d’Acqua e da D.I.Re.. Rete contro la violenza.
Ore 18.00
Teatro
Alessandro Ducoli. SConcerto tra musica e parole – “Animale incatturabile questo Ducoli, anche in questo caso, forse più di prima… E così, quello che nei precedenti album era stato definito “romanticismo approssimativo”, ne Il Cotone pare trovare nuove coordinate, forse rivelando il proseguimento di un viaggio musicale che, iniziato con le atmosfere minimali di Divanomachia (2016), è proseguito nello spietato crepuscolarismo di Diavoli e contrari (2018)”. Con Valerio Gaffurini.
Ore 19.00
Teatro
Disturbati dalla quiete. Tempi Diversi – Reading poetico con musica live e proiezione – A cura di Marco Philopat, Paolo Cerruto e Tommaso Russi
Ore 19.30
Teatro
Vauro Senesi – Presentazione di La regina di Kabul. Storie dall’Afghanistan di Emergency (Libreria Pienogiorno), con Cecilia Strada.
Il libro racconta la guerra in Afghanistan attraverso le storie di Emergency, di cui Vauro è stato portavoce dal 2006 al 2009. Piccole, indimenticabili storie, spesso ad altezza di bambino, perché sono sempre i piccoli, i civili, a pagare il prezzo delle guerre decise sul tavolo dei grandi. Questo libro ricostruisce vent’anni di una tragica vicenda mai abbastanza raccontata.
0re 20.30
Teatro
Strange fruit – Billie Holliday – La storia di una donna che si fa largo nel men’s world, il mondo fatto per gli uomini, facendone il suo campo di battaglia, la sua croce di talento e di passione. Da qui il vero blues si libera, ancora intatto, magico e ulcerato, nella magia della sua voce – Con Maria Rita Briganti e Francesco Epiro.
Ore 21.00
Teatro
Quando si sogna non si è mai soli – Un viaggio in musica e parole tra immaginazione e realtà – A cura del Missi Trio (Tastiera, voce e cajón)
Domenica 8
Ore 14
Sotto la betulla
In un mignolo d’aria. L’esperienza del Laboratorio di lettura e scrittura creativa attivo nel Carcere di Opera da 28 anni ha continuato a offrire con le sue attività, in presenza o a distanza, supporto e vicinanza. Un ponte, un arcobaleno di parole e sentimenti per guardare con fiducia e speranza alla vita, oltre le contingenze, verso nuovi orizzonti. A cura di Alberto Figliolia.
Ore 14.30
Patio
Di cosa parliamo quando parliamo di Cultura? Quando siamo troppo allegri, in realtà siamo infelici. Quando parliamo troppo, siamo in realtà a disagio. Quando alziamo la voce, in realtà abbiamo paura. In realtà… la realtà non è quasi mai come appare. (Virginia Woolf – On being ill) La realtà dal punto di vista degli adolescenti, che continuano, spesso, a chiedersi, Di cosa parliamo quando parliamo di Cultura? Con Antonella Cavallo, Gipo Anfosso e Carlo Marconi – Scrittori e Insegnanti.
A seguire
Essere al mondo – con Charlotte di Siena
Ore 15.00
Dedalus
Com’eri vestita? Mostra itinerante – Una domanda troppo spesso rivolta alle donne: rispondono le sopravvissute alla violenza sessuale – Istallazione artistica di Cerchi D’Acqua, centro antiviolenza di Milano.
Ore 16.00
Teatro
Sola di fronte al mare (Pluriversum edizioni) di Patrizia Cirulli, poeta e cantautrice. Presentazione.
Ore 16.30
Teatro
Cristina Peri-Rossi – Premio Cervantes 2021 – L’indomita –
Solo sei donne hanno vinto, nei suoi 41 anni di storia, il Premio Cervantes, il Nobel della lingua spagnola. Due di queste sono nate in Uruguay. Ida Vitale e Cristina Peri-Rossi. Entrambe nate a Montevideo, quella città dallo sguardo inquieto, fragile e concreta, sempre alla deriva su un mare appena intravvisto. Con Milton Fernández e Angel Galzerano
Ore 17.30
Teatro
Alejandra Pizarnik – Piccola cantora notturna –
Credo che la malinconia sia, in fin dei conti, un fatto musicale: una dissonanza, un ritmo distratto. Mentre fuori tutto accade in una cadenza vertiginosa, da cascata, dentro c’è come una lentezza esausta, da goccia che scende, di tanto in tanto. Con Lorella de Luca e Renata Bertolas – Alla chitarra Massimo Latronico.
Ore 18.00
Teatro
Antonio Pigafetta – Relazione del primo viaggio intorno al mondo – (10 agosto 1519 – 6 settembre 1522). Storia di un viaggio iniziato poco più di 500 anni fa, che arriva a noi attraverso gli occhi pieni di meraviglia, di barocco incanto, di questo incerto navigatore dagli occhi prensili, a cui nulla sembra sfuggire. Dai dettagli più apparentemente insignificanti del terreno, la varietà delle specie che popolano un universo fino ad allora sconosciuto, la propria capacità di resistenza alle inclemenze, le lingue, i costumi e la gestualità dei popoli incontrati lungo il cammino; la variopinta genialità del creato sfiorata in un tempo (tre anni) che sembra dilatarsi al suo passaggio. Con Aldo Stella.
Ore 18.30
Teatro
Luca Vullo – Ambasciatore della gestualità italiana nel mondo – Il mio mestiere è quello di raccontare, ciò che per molti è visto ancora come uno stereotipo negativo del quale vergognarsi, con una nuova chiave di lettura: quella di un patrimonio immateriale della nostra cultura, un super potere comunicativo, una magia e perché no, una bellissima poesia.
Ore 19.00
Piano Bar
Poetry Slam – In un mignolo d’aria – Il Poetry Slam è una gara tra poeti che leggono o performano i propri testi con solo voce e corpo, senza musiche o oggetti di scena. In 3 minuti al massimo raccontano un piccolo mondo e lo regalano al pubblico che a sua volta non può limitarsi all’ascolto passivo ma deve partecipare allo spettacolo attraverso il voto. Una piccola magia nata in America nel 1984 a Chicago con Marc Kelly Smith e arrivata in Italia nel 2001 grazie a Lello Voce, oggi piuttosto diffusa grazie anche alla Lega Italiana Poetry Slam. A cura di Elena Gerasi. Maestro di Cerimonia: Alberto Figliolia.
Ore 20.00
Teatro
Se tutte le donne del mondo – The Good News Female Gospel Choir. Un’alternanza e un susseguirsi di racconti di vite di donne “valorose”, di immagini suggestive, accompagnati da brani appositamente scelti per l’occasione. Uno spettacolo che vuole essere un omaggio alla forza delle donne che si battono per una società più giusta e al femminile! Uno spettacolo dedicato al cambiamento, e al coraggio di cambiare le regole in gioco, nella vita reale e nello spettacolo, per poter sognare diversi scenari e possibili futuri, in cui l’attrice principale è la libertà.
Ore 21.00
Teatro
Premio Internazionale di Poesia città di Milano – Premiazione della II Edizione del Premio Internazionale di Poesia Città di Milano.
Ore 21.30
Teatro
Evento finale
Le chitarre erranti – Quando i musicisti sono poeti
Concerto con musiche composte da musicisti di diverse culture che furono anche poeti. Alle chitarre i talentosi musicisti della masterclass Errante, del Festival Corde d’Autunno e Festival Homenaje.
Artisti: Vanessa Bernardi, Nicholas Nebulosi, Giulio Petrella, Victor Valisena e Veronica Bresadola. A cura del M° Marco Ramelli
ROMA- 22 marzo 2022.In occasione della Giornata Mondiale della Poesia 2022, che si celebra il 21 marzo, le biblioteche promuovono iniziative, incontri e reading dedicati.
La giornata, istituita nel 1999, riconosce all’espressione poetica un ruolo privilegiato nella promozione del dialogo e della comprensione interculturale, della diversità linguistica, della comunicazione e della pace.
Di seguito le proposte delle Biblioteche di Roma:
Lunedì 21 marzo
– alle ore 16.30 la Biblioteca Villa Leopardi aprirà gli appuntamenti della stagione con una maratona/Poetry Slam e con la musica del pianoforte del Maestro Alessandro Conti. Ospiti conosciuti e nuovi interpreteranno con i loro versi la poesia che è occasione di incontro e confronto, di memoria e augurio, voce e ascolto.
– alle ore 17 la Biblioteca Laurentina ospita un incontro dedicato a Pier Paolo Pasolini e ai suoi componimenti.
Modera e coordina l’evento Dante Maffia, intervengono Laura De Luca, giornalista, Giuseppe Manfridi, drammaturgo, lo scrittore Marco Onofrio e lo storico del teatro Giorgio Taffon.
La Casa delle Letterature dedica quattro incontri alla lettura dei versi di Pier Paolo Pasolini, Maria Giuseppa Guacci, Lucrezia Marinelli e Umberto Saba. Alle 18.15 primo appuntamento della rassegna Riletture poetiche. Dieci voci per i classici e per le dimenticate a cura di Elisabetta Destasio Vettorie Cetta Petrollo Pagliarani
Martedì 22 marzo
– alle ore 17.30 la Biblioteca Ennio Flaiano ospiterà un reading di poesia contemporanea.
Si alterneranno nella lettura delle proprie poesie quattro autori, quattro differenti voci del panorama cittadino contemporaneo. Gli autori ci faranno intraprendere un viaggio ognuno nel proprio mondo, dal componimento in dialetto romanesco, passando per le parole dell’interiorià, fino ad arrivare ai versi che ogni giorno possiamo leggere sui muri camminando distrattamente per la città. Con Marazico, Marilena Votta, Ilaria Palomba, DECLE, Martina Dini, Luca Malgioglio.
Giovedì 24 marzo
– alle ore 18 presso la Casa delle Letterature con Poesie d’aria di Gabriella Sica, Interno Libri Edizioni 2022 con Arnaldo Colasanti e Paolo Rigo.
Venerdì 25 marzo
– alle ore 11 alla Biblioteca Aldo Fabrizi si terrà il Dantedì, reading sulla Divina Commedia con Daniele Aristarco: evento-performance, rivolto alle classi a partire dal IV anno della primaria con Daniele Aristarco (autore, regista e voce) e Giufà Galati (musicista).
ORTENSIA ROSA
Emily Dickinson (Amherst, Massachusetts, 1830 – ivi 1886) condusse una vita isolata e appartata e divenne celebre come poeta solo con l’edizione postuma dei Poems (1890) e con la pubblicazione delle sue lettere (1894, edizione accresciuta 1931). Altre poesie furono pubblicate nel 1929 (Further poems). La sua opera è riunita nell’edizione critica definitiva curata da Th. H. Johnson: Poems (3 voll., 1955); Letters (3 voll., 1958) e interamente tradotta in italiano.