Poesia di Guillaume Apollinaire tratta da “alcools”-
-Apollinaire recite le pont Mirabeau-
il ponte Mirabeau
Sotto Pont Mirabeau la Senna va
E i nostri amori potrò mai scordarlo
C’era sempre la gioia dopo ogni affanno
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Le mani nelle mani restiamo faccia a faccia
E sotto il ponte delle nostre braccia
Stanca degli eterni sguardi l’onda passa
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
L’amore va come quell’acqua fugge
L’amore va come la vita è lenta
E come la speranza è violenta
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Passano i giorni e poi le settimane
Ma non tornano amori né passato
Sotto Pont Mirabeau la Senna va
Venga la notte suoni l’ora
I giorni vanno io non ancora
Le pont Mirabeau
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours
Faut-il qu’il m’en souvienne
La joie venait toujours après la peine
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
Les mains dans les mains restons face à face
Tandis que sous
Le pont de nos bras passe
Des éternels regards l’onde si lasse
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
L’amour s’en va comme cette eau courante
L’amour s’en va
Comme la vie est lente
Et comme l’Espérance est violente
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure
Passent les jours et passent les semaines
Ni temps passé
Ni les amours reviennent
Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure.
note: traduzione di Vittorio Sereni, postata il 17/02/2012, tratta da “alcools”, Apollinaire recite le pont Mirabeau
Guillaume Apollinaire
Biografia di Guillaume Apollinaire
Pseudonimo dello scrittore Guillaume-Apollinaris-Albertus de Kostrowitsky (Roma 1880 – Parigi 1918). Nato da un italiano e da una nobildonna polacca, ma di cultura francese, visse l’esperienza letteraria della Francia dagli ultimi anni del sec. 19º fino alla prima guerra mondiale, cui partecipò valorosamente. Le sue poesie giovanili si collocano nel quadro dell’ultimo simbolismo: così Le Bestiaire ou Cortège d’ Orphée (1911) e le poesie che, pubblicate sparsamente, furono raccolte poi nel volume Calligrammes (1918). Dal senso musicale della parola passò a coltivare il valore suggestivo delle associazioni che la parola può evocare e inaugurò la lirica in cui assumono importanza massima le immagini e le cose. In tal modo fu condotto a iniziare nella poesia il cubismo, il sintetismo o simultaneismo e il surrealismo. La sua influenza si avverte in tutti i movimenti svoltisi nella letteratura francese dal 1905 al 1920 circa. Della sua opera non voluminosa si ricordano, oltre ai libri citati, Alcools (1913, poesie), Le poète assassiné (1916, romanzo), Les mamelles de Tirésias (1917, dramma surrealista). Amico di Braque, di Picasso e degli altri cubisti, partecipò attivamente al loro movimento come critico d’arte.
Poesia di Pablo Neruda per la morte di Tina Modotti
“Riposa dolcemente sorella”
Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici.
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.
Tina Modotti
TINA MODOTTI, ARTE VITA LIBERTÀ
EMIGRANTE, OPERAIA, ATTRICE, FOTOGRAFA NEL MESSICO DEGLI ANNI VENTI, ANTIFASCISTA, MILITANTE NEL MOVIMENTO COMUNISTA INTERNAZIONALE, PERSEGUITATA ED ESULE POLITICA, GARIBALDINA DI SPAGNA.
Tina Modotti
Nata a Udine il 17 agosto 1896 e deceduta a Città del Messico il 5 gennaio 1942.
Dopo l’improvvisa scomparsa, il riconoscimento della personalità umana, artistica e politica di Tina Modotti fu quasi immediato e per alcuni anni la sua vita e la sua opera restarono vive in buona parte dell’America latina. Poi cadde l’oblio, lungo di almeno trent’anni. Inquietanti cause di questo silenzio/rifiuto si possono trovare nel mondo reazionario, nel provincialismo, nel dilagante moralismo di questo secolo, contrari alla valorizzazione di una donna libera e inserita nel grande filone della cultura laica.
L’opera di Tina, che si trova in buona parte negli Stati Uniti, venne tenuta nascosta nei cassetti dei Dipartimenti di fotografia per la nefasta influenza del maccartismo che rese impossibile, per molti anni e non solo in America, lo studio e la presentazione di un’artista che aveva creato immagini di qualità e militato nel movimento comunista internazionale.
Anche la Sinistra storica non è esente da disattenzioni nei riguardi di questa friulana d’eccezione.
Oggi sappiamo che non esiste un artista di qualità e un militante di valore, come Tina Modotti, che sia stato trascurato per così lungo tempo dagli storici della fotografia e dalla storiografia politica. Tutto ciò è avvenuto nonostante le novità e il fascino che caratterizzano la sua avventura umana:la sua complessa esistenza appare, con il solo raccontarla, un romanzo.
Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce nel popolare Borgo Pracchiuso a Udine, da famiglia operaia aderente al socialismo della fine Ottocento. Il padre Giuseppe lavora come meccanico e carpentiere, mentre la madre Assunta Mondini fa la cucitrice. Diventa emigrante all’età di soli due anni, quando la famiglia si trasferisce nella vicina Austria per lavoro. Nel 1905 rientrano a Udine e Tina frequenta con ottimo profitto le prime classi della scuola elementare. A dodici anni, per contribuire al sostentamento della numerosa famiglia (sono in sei fratelli), lavora come operaia in una filanda. Apprende elementi di fotografia frequentando lo studio dello zio Pietro Modotti.
Il padre decide di partire per gli Stati Uniti, presto raggiunto da quasi tutta la famiglia. Tina arriva a San Francisco nel 1913, dove lavora in una fabbrica tessile e fa la sarta, frequenta le mostre, segue le manifestazioni teatrali e recita nelle filodrammatiche della Little Italy.
Durante una visita all’Esposizione Internazionale Panama-Pacific conosce il poeta e pittore Roubaix del’Abrie Richey, dagli amici chiamato Robo, con cui si unisce nel 1917 e si trasferisce a Los Angeles. Entrambi amano l’arte e la poesia, dipingono tessuti con la tecnica del batik; la loro casa diventa un luogo d’incontro per artisti e intellettuali liberal. Tina nel 1920 si trova a Hollywood: interpreta The Tiger’s Coat, per la regia di Roy Clement e, in seguito, alcune parti secondarie in altri due film, Riding with Death e I can explain. Si tratta di una esperienza deludente, che decide di abbandonare per la natura troppo commerciale di quanto il cinema propone. Per la sua bellezza ed espressività viene ripresa in diverse occasioni dai fotografi Jane Reece, Johan Hagemayer e, soprattutto da Edward Weston con cui ben presto nascerà un legame sentimentale.
Tina Modotti
Il 9 febbraio 1922 Robo muore di vaiolo durante un viaggio in Messico. Tina arriva in tempo per i funerali e scopre, in questa triste occasione, un paese che a lungo l’affascinerà. Rientra a San Francisco per l’improvvisa morte del padre Giuseppe. Alla fine dell’anno scrive un omaggio biografico in ricordo del compagno, che verrà pubblicato nella raccolta di versi e prose The Book of Robo. A fine luglio 1923 Tina Modotti e Edward Weston (con il figlio Chandler) arrivano in Messico, si stabiliscono per due mesi nel sobborgo di Tacubaja e, quindi, nella capitale. Uniti da un forte amore, vivono entro il clima politico e culturale post-rivoluzionario, a contatto con i grandi pittori muralisti David Alfaro Siqueiros, Diego Rivera e Clemente Orozco, che appartengono al Sindacato artisti e sono i fondatori del giornale El Machete, portavoce della nuova cultura e, in seguito, organo ufficiale del Partito Comunista Messicano.
A contatto con la capacità e l’esperienza di Weston, Tina accelera l’apprendimento della fotografia e in breve tempo conquista autonomia espressiva; alla fine del 1924 un’esposizione delle loro opere viene inaugurata nel Palacio de Minerìa alla presenza del Capo dello Stato.
Fra il 1925 e il 1926, in tempi brevi e diversi, tornano a San Francisco, dove Tina incontra la madre ammalata, conosce la fotografa Dorothea Lange, acquista una camera Graflex. Rientrati in Messico intraprendono un viaggio di tre mesi nelle regioni centrali a raccogliere immagini per il libro di Anita Brenner Idols Behind Altars. Il loro legame affettivo si deteriora e Weston torna definitivamente in California; i contatti continueranno per alcuni anni in forma epistolare.
Tina vive con la fotografia ed esegue molti ritratti, si unisce al pittore e militante Xavier Guerrero (che ben presto andrà a Mosca alla scuola Lenin), aderisce al Partito Comunista, lavora per il movimento sandinista nel Comitato “Manos fuera de Nicaragua” e partecipa alle manifestazioni in favore di Sacco e Vanzetti durante le quali conosce Vittorio Vidali, rivoluzionario italiano ed esponente del Komintern. Tina trasforma il suo modo di fotografare, in pochi anni percorre un’esperienza artistica folgorante: dopo le prime attenzioni per la natura (rose, calli, canne di bambù, cactus, …) sposta l’obiettivo verso forme più dinamiche, quindi utilizza il mezzo fotografico come strumento di indagine e denuncia sociale, e le sue opere, comunque realizzate con equilibrio estetico, assumono di frequente valenza ideologica: esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto (mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, falce e martello,…). Sue fotografie vengono pubblicate nelle riviste Forma, New Masses, Horizonte. In questo periodo conosce lo scrittore John Dos Passos e l’attrice Dolores Del Rio, ed entra in amicizia con la pittrice Frida Kahlo.
Nel settembre del 1928 diventa la compagna di Julio Antonio Mella, giovane rivoluzionario cubano, con cui Tina vive un amore profondo e al cui fianco intensifica il lavoro di fotografa impegnata e di militante politica. Nel frattempo il clima politico é molto cambiato, le organizzazioni comuniste vengono messe fuori legge: il 5 febbraio 1930 Tina viene ingiustamente accusata di aver partecipato a un attentato contro il nuovo capo dello Stato, Pasqual Ortiz Rubio, arrestata ed espulsa dal Messico. Si imbarca sul piroscafo olandese Edam, compie il viaggio fino a Rotterdam assieme a Vittorio Vidali e raggiunge Berlino, dove conosce Bohumìr Smeral, fondatore del Partito comunista di Cecoslovacchia, lo scrittore Egon Erwin Kisch e la fotografa Lotte Jacobi nel cui studio espone le opere che aveva portato con se dal Messico. tenta di riprendere l’attività fotografica, viene a contatto con le grandi novità dell’informazione giornalistica, specialmente con la stampa popolare di Willy Münzerberg: quotidiani e periodici come il prestigioso “Arbeiter – Illustrierte – Zeitung” che pubblica fotografie di Tina in diverse occasioni. In ottobre decide di partire per Mosca, dove la attende Vidali.
Nella capitale sovietica allestisce la sua ultima esposizione, lavora come traduttrice e lettrice della stampa estera, scrive opuscoli politici, ottiene la cittadinanza e diventa membro del partito; abbandona la fotografia per dedicarsi alla militanza nel Soccorso Rosso Internazionale. Fino al 1935 vive fra Mosca, Varsavia, Vienna, Madrid e Parigi, per attività di soccorso ai perseguitati politici. Nel luglio del 1936, quando scoppia le guerra civile spagnola, assume il nome di Maria e si trova a Madrid assieme a Vittorio Vidali, suo compagno da anni, che diventa Carlos J. Contreras, Comandate del Quinto Reggimento.
Durante tre anni di guerra, lavora negli ospedali e nei collegamenti, stringendo amicizia con altre combattenti come Maria Luisa Laffita, Flor Cernuda, Fanny Edelman, Maria Luisa Carnelli; si dedica ad attività di politica e cultura: scrive sull’organo del Soccorso Rosso Ayuda, nel 1937 a Valencia fa parte dell’organizzazione del Congresso internazionale degli intellettuali contro il fascismo e, assieme a Carlos, promuove la pubblicazione di Viento del Pueblo, poesia en la guerra con le opere del poeta Miguel Hernandez. Ha occasione di conoscere Robert Capa e Gerda Taro, Hemingway, Antonio Machado, Dolores Ibarruri, Rafael Alberti, Malraux, Norman Bethune e tanti altri della Brigate internazionali. Nel 1938 è tra gli organizzatori del Congreso Nacional de la Solidariedad che si tiene a Madrid. Durante la ritirata, con la Spagna nel cuore, aiuta i profughi che si avviano alla frontiera e si trova in pericolo sotto i bombardamenti. Arriva a Parigi con Vidali. Nonostante sia ricercata dalla polizia fascista, chiede alla sua organizzazione il permesso di trasferirsi in Italia per svolgere attività clandestina, ma le viene negato per la pericolosità della situazione politica.
Maria e Carlos, come tanti altri esuli, rientrano in Messico, dove il nuovo presidente Lazaro Cardenas annulla la precedente espulsione. Conducono un’esistenza difficile e Tina vive facendo traduzioni, si dedica al soccorso dei reduci, lavora nell'”Alleanza internazionale Giuseppe Garibaldi” e frequenta pochi amici, fra cui Anna Seghers e Constancia de La Mora.
Nella notte del 5 gennaio 1942, dopo una cena con amici in casa dell’architetto Hannes Mayer, Tina Modotti muore, colpita da infarto, dentro un taxi che la sta riportando a casa. Come già era accaduto dopo l’assassinio di Julio Antonio Mella, la stampa reazionaria e scandalistica cerca di trasformare la morte di Tina in un delitto politico e attribuisce responsabilità a Vittorio Vidali. Pablo Neruda, indignato per queste polemiche, scrive una forte poesia che viene pubblicata da tutti i giornali e contribuisce a tacitare lo “sciacallo” che
…sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
I primi versi sono scolpiti sulla tomba di Tina che si trova al Pantheon de Dolores di Città del Messico. Lungo i decenni dopo la sua scomparsa, in altre occasioni sono stati messi in discussione avvenimenti della vita della Modotti. Soprattutto le circostanze della morte hanno sollecitato interpretazioni diverse, tentativi di scoop giornalistici, ambigue ricostruzioni televisive,… Ciò nonostante la biografia di Tina è rimasta sostanzialmente invariata, perché quelle prese di posizione non sono mai state sostenute da rigorose ricerche, da prove o da obiettive e attendibili testimonianze.
Fonte biografia – TINA MODOTTI, Vita e Fotografia – Biografia di Tina Modotti
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulle vigne saccheggiate.
Sole d’autunno inatteso,
che splendi come in un di là,
con tenera perdizione
e vagabonda felicità,
tu ci trovi fiaccati,
vòlgi al peggio e la morte nell’anima.
Ecco perché ci piaci,
vago sole superstite
che non sai dirci addio
tornando ogni mattina
come un nuovo miracolo,
tanto più bello quanto più t’inoltri
e sei lì per spirare.
E di queste incredibili giornate
vai componendo la tua stagione
ch’è tutta una dolcissima agonia.
Settembre a Venezia, Autunno Veneziano
Autunno, Ottobre
Liguria, Sera di Liguria
Questi tre gruppi di liriche hanno molti punti in comune. Si compongono ognuno di una lirica breve, simile ad un “mottetto” musicale, alla quale si contrappone una poesia più elaborata, maggiormente orchestrata, una “sonata” o un canto a più voci. Ma l’elemento di partenza è lo stesso: una stagione, una città, un ricordo, un’emozione. Nelle prime due liriche di argomento veneziano il poeta traduce in note musicali le sensazioni suscitate nel suo animo dal trapasso dall’estate all’autunno.
LO STILE
Nel 1919, ormai affermatosi negli ambienti letterari della capitale, Cardarelli fondò la rivista La Battaglia, dalle cui pagine cominciò a combattere quella che sarebbe stata la lunga battaglia letteraria della sua vita: la restaurazione del classicismo, inteso come severa disciplina.
La restaurazione cardelliana muove dalla riscoperta e dalla rivalutazione dell’opera di Leopardi. Cardarelli, da mente acuta di critico quale era, si era accorto che l’operazione di fondo da realizzare per riportare la poesia nel suo alveo e nei suoi giusti limiti era quella di ricreare lo stile, senza il quale, i contenuti non possono che produrre oratoria. Il suo limite consiste forse nell’aver identificato lo stile con quello di una tradizione ben determinata, il suo merito sta invece nell’aver restituito alla lingua, vergini e brillanti come nuovi, parole e modi di dire consumati dal cattivo uso, sbiaditi dalla genericità dei contesti e praticamente privi della loro significazione.
Ad un ideale di classica compostezza, di perfezione stilistica e di limpidezza formale restò fedele in tutto l’arco della sua produzione: versi prima dispersi in alcuni volumi di prose e poi raccolti in Poesie nelle tre edizioni del 1936, 1942 e 1958. E’ una poesia ragionata, nella quale il discorso si sviluppa e si stende con limpidezza e fluidità, tutto avvolto da un tono meditativo, che comunica al lettore quasi sensibilmente un desolato senso di vivere.
I TEMI DELLA POESIA
Cardarelli fu un conversatore brillante ed un letterato polemico e severo, avendo vissuto una vita vagabonda, solitaria e di austera e scontrosa dignità. Suoi maestri sono stati Baudelaire, Nietzsche, Leopardi, Pascal, i quali lo hanno portato ad esprimere le proprie passioni con un senso razionale, senza troppe esaltazioni spirituali. La sua è una poesia descrittiva lineare, legata a ricordi passati di qualunque tipo, siano paesaggi animali persone e stati d’animo, che vengono espressi con un uso di un linguaggio discorsivo e nello stesso tempo impetuoso e profondo.
I temi ricorrenti nelle sue liriche sono il trascorrere delle stagioni, avvertito come simbolo dell’eterna mutevolezza delle cose, lo sfiorire dell’adolescenza e della bellezza, i vagheggiamenti dell’infanzia e dei paesaggi ad essa collegati. Sia nell’esplosione della vitalità estiva o sia nel malinconico disfarsi del paesaggio autunnale, il trascorrere delle ore del giorno e delle stagioni diventa simbolo delle vicissitudini della vita. Come scrive nella prima strofa di Ottobre:
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
Dal colore che inebria,
Amo la stanca stagione
Che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
Nulla più mi consola,
Di quest’aria che odora
Di mosto e di vino,
Di questo vecchio sole settembrino
Che splende nelle vigne saccheggiate.
Dal XIII secolo avanti Cristo al Novecento scelte dalla raccolta de «La flûte jade»
A cura di Francesco Saladini-Editore Librati
DESCRIZIONE
“Un erudito cinese forse mai esistito giunge in Europa ai primi del Novecento e traduce in francese centosettantuno poesie della sua terra, un orientalista parigino le pubblica in un piccolo volume dal grande successo dopo averne, forse, inventato alcune, un aero-pittore futurista apprezzato da Carrà le versa in italiano a metà del secolo senza divulgare la sua traduzione e le lascia, partendo per il Brasile, a un generale dell’Esercito suo amico: forse c’è un giallo, comunque le poesie scelte da quella traduzione sono splendide”.
Con grande dispiacere apprendiamo la notizia della scomparsa di Pietro Polverini, giovanissimo autore, poeta e filosofo.
Pietro era nato nel 1992 a Fiastra, in provincia di Macerata, ed era laureato in Filosofia all’università di Macerata con una tesi incentrata sulla figura e la poesia di Amelia Rosselli. Molti i suoi contributi critici pubblicati su diverse riviste e libri.
La sua era una scrittura elegante, elaborata in ogni sua parte. Il suo esordio, Indicesommario di sbiadimento pubblicato dalla Casa Editrice Italic Pequod, porta con sé un lavoro di grande attenzione durato anni. Una lirica non affatto semplice nella sua immediatezza di lettura, piena di ricordo, presenze tastate, pathos.
Vogliamo quindi ricordare con voi questo fine poeta leggendo alcuni suoi testi tratti proprio da Indice sommario di sbiadimento:
Pietro Polverini
Poesie di Pietro Polverini
Da sempre l’eternità è china su di voi: per commozione straniera vi slegate dagli oggetti, dall’ultimo lenzuolo verderame di cui sarete ospiti.
E dal velo della cresima cosparso sulla fronte, l’incidenza dell’aria vi sottrae dalla posa.
È questo poco sole nostro vero ricovero o fresca croce d’oblio l’obliquo uscio dalla nebbia latebra: la vita ch’era diventata seria al principio dell’azzurro dove s’assiepa il gelo parla stanca e scompare.
Vorrei sapere delle parole il numero: apprese obliate, annotate. Ora ho una corolla di nomi che si spunta e sbiadisce: non lasceranno traccia sulle increspature delle labbra. Delle parole vorrei sapere forse fiato, forse voce quale sarà la mia ultima: tutto pieno di sonno e nebbia potrei dire “acqua” o “lenzuolo”.
Pietro Polverini
È uno stelo, non una selva che si imbianca, perde liquore ora stilo senza vena.
È uno stelo poi torna in questo acquario terso senza selva
con luce che non torna: resta in un piccolo punto riportami là, lì ero tutto.
spesso a voi ritorno col pensiero che siate vivi o morti poco conta: circondati in un cerchio di betulla, senza ago di luce, ma di foschia solo lo spazio ha dovere di mischiare le acque, sporgersi di fronte ad un bosco – “locus a non lucendo” per dirti che se gli occhiali si fanno appannati di coltre biancofumo o di bruma senza visione, resti ancora in controcampo.
Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini a soli 30 anni: comunità in lutto.
La comunità di Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini, a soli 30 anni. Il giovane si è spento questa notte, intorno alle 5, a seguito dell’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute mentre era ricoverato all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Pietro lascia la mamma Maria Grazia, il papà Emilio, il fratello Martino e la nonna Angela. Grande appassionato di poesia, ricopriva il ruolo di senior tutor all’università di Macerata.
“Di Pietro dovrei ricordare quella sua sensibilità uscita da un altro tempo, dominata dal presentimento di ciò che misteriosamente poi è accaduto e che non era solo un limite, erano le tenebre dentro cui vegliare quelle parole così dense ed eleganti che ha fatto appena in tempo a donarci in forma di poesie – così lo ricorda in un toccante post su Facebook il professor Sergio Labate, docente di filosofia teoretica dell’università di Macerata -. Ma non è solo questo che mi commuove. Mi commuove pensarlo mentre giocando a tennis si ostinava a giocare il dritto in back solo perché il suo modello tennistico era l’improbabile stile di Marion Bartoli, oppure quando ostentava il suo tifo per il Sassuolo. Una vita pesante che improvvisamente diventava leggera come quella dei bambini e si scioglieva in un sorriso”.
Il rito funebre si svolgerà martedì 14 novembre, alle ore 10:30, nella Basilica di San Nicola di Tolentino, muovendo dalla casa funeraria Rossetti in via La Malfa, a Tolentino. La salma verrà poi accompagnata al cimitero di Camporotondo di Fiastrone. Anche la redazione di Picchio News si stringe attorno al dolore della famiglia per l’improvvisa quanto dolorosa scomparsa di Pietro, ricordandone il sorriso e la competenza per il periodo in cui ci siamo pregiati della sua collaborazione.
“La notizia di una giovane vita spezzata crea sempre sgomento e smarrimento – sottolinea il rettore dell’università di Macerata, John McCourt in una nota di cordoglio -. Con ancora più forza vorrei far sentire ai genitori e a tutta la famiglia di Pietro la vicinanza dell’intera comunità universitaria e mia personale. Uno studente brillante e di spirito generosissimo, un ragazzo gentile il cui sorriso resterà per sempre nel ricordo dei suoi compagni di studio e dei professori che hanno avuto il privilegio di condividere con lui gli anni universitari, dentro e, soprattutto, fuori le aule”. Fonte–PICCHIO.news
Pietro Polverini
Addio a Pietro, poeta e filosofo
Pietro Polverini, poeta e filosofo originario di Fiastra, è scomparso a soli trent’anni. L’ultimo saluto sarà reso oggi a Tolentino. L’intero territorio si stringe alla famiglia. Ricordato con le sue parole, Pietro lascia un capolavoro e un pensiero profondo.
Se n’è andato a soli trent’anni il poeta e filosofo Pietro Polverini (nella foto), originario di Fiastra. Laureato in Filosofia all’università di Macerata, dove era diventato anche Senior Tutor, era anche redattore di MediumPoesia. In passato aveva lavorato anche alla scuola media di Fiastra. Si è spento domenica all’alba all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza, dove era ricoverato a seguito di una malattia che affrontava da tempo. L’ultimo saluto è stato fissato per questa mattina alle 10.30 a Tolentino, basilica di San Nicola, muovendo dalla casa funeraria Rossetti; poi Pietro sarà accompagnato al cimitero di Camporotondo. L’intero territorio si stringe a mamma Maria Grazia, papà Emilio, al fratello Martino, a nonna Angela. In tanti hanno ricordato il giovane con le sue stesse parole, prese dal libro di esordio “Indice sommario di sbiadimento” (Pequod, 2022). “Ci hai lasciato tutti senza parole, dopo un anno sospeso e muto – scrive per lui un amico –. Si perdono una mente e una sensibilità rare, perdiamo un poeta e un pensatore visionario e profondo, perdo una delle poche persone davvero corrette e leali che ho incontrato nel mio percorso letterario. Ci resta tutto di te, i tuoi sguardi, i tuoi pensieri, i tuoi articoli critici per MediumPoesia e soprattutto il tuo breve unico capolavoro Indice sommario di sbiadimento”. Sullo stesso manifesto funebre ci sono alcuni versi di Pietro: “Dovremmo perdonarci tutto alla stregua dei giorni che si cancellano l’uno nella luce dell’altro”.Fonte- “Il Resto del Carlino”
Pietro Polverini
In lacrime per Pietro, poeta morto a soli 30 anni-
Il cordoglio del professore Labate dell’Università di Macerata
Fiastra piange la scomparsa di Pietro Polverini a soli 30 anni. Si è spento questa notte, a seguito dell’improvviso aggravarsi delle sue condizioni di salute mentre era ricoverato all’istituto Santo Stefano di Porto Potenza Picena. Grande appassionato di poesia, ricopriva il ruolo di senior tutor all’Università di Macerata. “Di Pietro dovrei ricordare quella sua sensibilità uscita da un altro tempo, dominata dal presentimento di ciò che misteriosamente poi è accaduto e che non era solo un limite, erano le tenebre dentro cui vegliare quelle parole così dense ed eleganti che ha fatto appena in tempo a donarci in forma di poesie – così lo ricorda in un post su Facebook il professor Sergio Labate, docente di filosofia teoretica dell’Università di Macerata -. Ma non è solo questo che mi commuove. Mi commuove pensarlo mentre giocando a tennis si ostinava a giocare il dritto in back solo perché il suo modello tennistico era l’improbabile stile di Marion Bartoli, oppure quando ostentava il suo tifo per il Sassuolo. Una vita pesante che improvvisamente diventava leggera come quella dei bambini e si scioglieva in un sorriso“.
Pietro lascia la mamma Maria Grazia, il papà Emilio, il fratello Martino e la nonna Angela. I funerali si terranno domani 14 novembre alle ore 10:30 nella Basilica di San Nicola di Tolentino.Fonte –yoy/tvrs
Rivista L’Altrove :Chi siamo
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca)
Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Vittorio Sereni (1913-1983)-Poeta italiano, è il capostipite della variante lombarda del novecentismo poetico, detto “Linea Lombarda”. Ufficiale di fanteria, viene fatto prigioniero dopo l’8 settembre 1943. Nel dopoguerra è direttore letterario di Mondadori e cura la prima edizione dei Meridiani.
Poesie pubblicate a cura di Franco Leggeri sul gruppo facebook DEA SABINA-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Chi è Sonia Trocchianesiinizia a scrivere poesie fin da piccola e coltiverà questa grande passione durante tutta la sua vita. Il rapporto con carta e penna è viscerale, la scrittura viene vissuta come cura di ogni male. Amore e sofferenza si contrappongono nei suoi scritti, i suoi versi trasudano a volte di emozioni fortissime. E qui è la sua Anima a mettersi a nudo ….
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vanno a dormire
i colori
in silenzio
senza pretese
senza chiedersi
se siano dimorati nei cuori
almeno un giorno
almeno un’ora
almeno un attimo
La notte
intinge i pennelli nel nero
lasciando le stelle
sotto al cuscino
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Che poi niente va perso, niente.
Ogni gesto è un sasso nello stagno che, torna, amplificato.
E, l’orma di ognuno, resta.
Vicino, sopra, a fianco, dentro.
Nel bene e nel male.
E la mia, forse, resterà allo stesso modo.
Forse.
Come un granello di sabbia nell’immensità di questo deserto.
Io l’ho visto, il deserto.
Se hai lo sguardo pronto a ricevere, il deserto è bellissimo.
Sconfini tra le dune rosate come in una danza, come queste parole che imprimo nel vuoto di questa mia pagina.
Niente va perso.
Se sai vedere le briciole, una fetta di pane sarà il miracolo da farti bastare.
Sarà la cenere che sembra inutile ma che aiuta il nascere della nuova fiamma.
Niente va perso.
Trovarmi, spesso, qui ed ora, è il dono inaspettato di un’alba nuova.
Una nuova pagina.
Un nuovo verso a cui sto lavorando.
La vita è perfetta.
“Ti va di recitare una poesia in dialetto?”
Si, mi va!
Mi va mille volte.
Perché lì, i congiuntivi, non sono un cappio al collo,
perché non devo mettere in atto quel minimo che ricordo del corso di dizione, perché il mio intercalare da ignorante contadina diventa un più, un vezzo, un pregio, quasi.
Si, mi va!
Mi va mille volte.
Perché sono io senza ma e senza se.
Perché i miei limiti sono solo dei sorrisi che mi faccio, perché sono dei buchi neri che ho imparato ad amare.
Perché è andata così e ho capito che va bene.
Perché quel pezzo di carta che tanto ho rimpianto è stata la mia sfida per la vita.
Perché sò nata troppo presto.
Forse.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Nessuna stagione passa
senza lasciare orme
nessuna nuvola se ne va
senza avermi vestito di grigio
nessuna strada sassosa
so percorrere senza impolverarmi i piedi
Ho scelto il dolore
all’anestesia
le cicatrici sulle labbra
al sorriso plastico
la battaglia continua
alla resa
Vedi
essere viva
può essere un difetto
per chi guarda da lontano
immobile
C’è un tacito accordo nella Natura.
Tra il colore degli alberi, i campi, la strada, il sole che, sotto i nostri occhi stanchi e meravigliati, scompare.
Un accordo silenzioso.
Così tra noi.
Un accordo di rispetto, di mani che si aiutano, di occhi che sorridono, complici, sopra la mascherina.
Una firma di cuore.
Un “ci sono, tira su”
oppure “lascia, faccio io che pesa troppo per te”
Scoprire la gente.
Lasciarsi scoprire.
Grazie a tutti, grazie davvero.
nel nostro piccolo
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Giornata piovosa, oggi.
Ancora in pigiama ho scritto una poesia.
L’ho registrata, ascoltata, riascoltata.
*Più volte. *
Ho ascoltato i vari passaggi, il tono, le parole più dense.
I difetti.
*Gli errori. *
L’ho portata con me, fino a sera.
Vedi…
*non c’è balsamo più efficace, non c’è. *
Una poesia la partorisci, te la spalmi addosso, la respiri.
*E tutto il resto, tutto il resto che non funziona, passa in secondo piano. *
Anche solo un attimo
Mi chiedo perché mi viene in mente la tua storia.
Eppure non ti ho mai vista, né incontrata.
Ma quel che mi è stato raccontato non riesco a cancellarlo.
Troppo forte.
Usata e maltrattata psicologicamente, da uno pseudo amore.
Uno che ti amava a modo suo.
Molto a modo suo.
Indotta a fare cose assurde,
a sposare uno che non amavi, a rinnegare il tuo essere, per proteggere lui.
A cedere, a rinnegare te stessa.
Per finire sola.
Sola.
E ancora sola.
Non avevi un nome.
Eri il tuo lavoro.
Quello.
Ti chiamavi Speranza, l’ho saputo poi.
L’ennesima beffa del fato.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Me l’hanno detto ancora.
-Sei selvatica…-
Per me è un complimento.
La poesia, la scrittura in sé, deve essere selvatica.
Il divincolarmi per sfuggire alle regole, questo mio trattare di cose terrene e non, questo saliscendi vertiginoso, furioso, sfacciato, qualcuno mi ha detto.
Tutto questo è un rifiuto totale delle briglie, un cercarmi da sola, pezzo pezzo, costruirmi.
E ricostruirmi.
Selvatico è quell’animale che, anche se ha paura, va incontro dell’ostacolo.
Lo affronta, caparbio.
Sono selvatica.
Mi rifugio nella mia tana.
Ho fatto scorta di cibo e pensieri.
Lì, tra le righe, mi troverai arresa.
Ancora una volta…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ci sono viaggi che devi fare da solo.
Scendere negli anfratti più nascosti e innominabili, stare attento a dove metti i piedi.
Poi cercare nelle anse più pericolose, quelle chiuse a chiave, quelle dove la luce non arriva neanche a mezzogiorno.
Spostare la polvere, le scuse inutili e datate, i giocattoli mai usati.
Poi sedersi, con le ginocchia sporche di tempo perduto, con gli abiti logori da certi rimorsi e con le tasche piene di nebbia.
Ritrovare piccole scatole di rimpianti, di forse, di chissà.
Buttarli dalla finestra, senza pensarci.
Leccarsi le ferite, in quella sacra solitudine così umana.
Mentre un pensiero si fa strada:
“Ogni volta che sono triste, forse, sono in viaggio verso la felicità”
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
E di questo tempo
e di questa pioggia lenta
e di questo disordine perfetto
faccio scorta
E di queste curve
e di questo azzurro mancante
e di queste parole intrecciate e chiare
mi cibo ad ogni pasto
non c’è stagione
che il tempo fermi
e riavvolga il nastro
Nessun caffè ristretto,
solo latte bollente
ad abbracciarmi tutta
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mia mamma e mio figlio.
Io, muta.
E posso solo scrivere di voi.
Di quell’amore per la terra senza mezzi termini
di quello sporcarvi le mani con orgoglio
di quel sudore buttato senza lamentarvi mai.
Mi emoziono a guardarvi.
Io non sono come voi, no.
A me la fatica dei campi fa paura, lo ammetto.
Anche se l’ho provata.
Voi, preziosi.
Per me e non solo…
Avvalersi
della facoltà di non rispondere
quando la malinconia bussa
ha la chiave
in tasca
conosce la combinazione
entra
senza consenso alcuno
e sul mio giaciglio
s’addormenta
mi veste di nenie passate
mi scioglie i capelli
accarezzandoli piano
Si insinua dentro la penna
senza fare rumore
lei sa tutto di me
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ci avete mai fatto caso alla bellezza del grano giovane?
La forza delle spighe,
di una primavera piena di promesse,
è commovente.
Eppure, io,
non ho ricordi della mia bellezza,
l’ho cercata poi,
cambiando gli occhi.
E il modo di scrutarmi
dentro uno specchio.
La capacità di un ragno,
la maestrìa con cui
disegna i suoi mandala,
ci dà lezione.
Niente è impossibile
se la tenacia vince,
se la bellezza è stampata
negli occhi,
anche di notte.
D’altronde, la rugiada,
da lontano,
è una lacrima d’amore.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
È un Luglio che scotta
nelle vene
e manca il respiro
spesso
La vita è una cassaforte
di cui ho smarrito la combinazione
non ho eredità
da lasciare al mondo
solo qualche poesia
vestita di un drappo rosso
e sangue amaro
Vedi,
dici che ti piacciono i miei pensieri…
Non so, a volte, quando me lo sento dire, non so crederci.
È che cerco di usare fili delicati per ricamarli, per fare piccole cornici intorno a quelle parole che reputo scontate, avvalermi di aghi molto sottili per non fare troppo male quando tratto con le mani la malinconia.
Non sono una sarta.
Non ho la finezza che servirebbe.
Sono un’autodidatta, una che si è forgiata passando attraverso il fuoco, che si è bruciata di mancanze, che mette ancora unguenti lenitivi su certe cicatrici.
Senza guarirle.
Sono piena di pensieri.
Messi a decantare su otri vecchi e impolverati.
Antichi come è antico l’amore.
E sempre attuale.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vedi
sembra che l’acqua faccia carezze alla roccia
la sfiora
ci si appoggia appena
un attimo
solo il tempo di bagnarla
un tempo minimo
prima di tornare al suo posto
nell’andirivieni che qualcuno ha stabilito
eppure
quelle carezze scaveranno solchi
scriveranno di inverni freddi
di primavere ad attendere gabbiani
di venti arrabbiati senza capirne il motivo
così
mentre ci si passa accanto
mentre ci si sfiora
mentre ci si guarda
ognuno di noi scrive pagine
sulla vita degli altri
tu sulla mia
io sulla tua
ed anche se la calligrafia sarà delicata e composta
scriverai su di me in modo indelebile
ed io su di te
Poi
però
lascerò una scia di punti interrogativi
sospesi nell’aria
quando ce n’è
Lasciali così
fungeranno da bastoni
per la mia vecchiaia
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
(A mio padre)
Dei biancospini
ti chiedo il nome
che non ricordi
E dei colori
accesi come solo primavera sa fare
non cogli sfumatura
Ed io
quasi ti invidio
a tratti
per la mancata percezione
dei ponti crollati
dove i tuoi passi
vanno senza timore
tra le macerie
Avrei bisogno io
ora
che mi prendessi tu
la mano
(A mio padre)
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Si fa sera.
A volte il silenzio è un imperativo senza scampo.
Lo invoco, lo cerco.
Annullo ogni cosa che accenna rumore, ascolto le ciglia che si sfiorano, le narici che buttano aria, le mani che stringono il giorno finito.
Il giorno finito.
Ne restano, sui polpastrelli, solo le ultime briciole.
Le ultime.
Mi lecco le dita, trattengo ogni minima particella, ogni attimo vissuto.
Il giorno che muore.
Non posso sprecarlo, niente devo sprecare.
Mi sorprendo a muovere le labbra.
Sale, da sola, una preghiera.
Muta a tratti.
Poi urla.
Urla.
Urla.
Sale su.
Oltre l’azzurro di cui ti parlavo…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Prendo a morsi le stagioni
i giorni
gli attimi
ho bisogno di saziarmi di ciliegie
dopo ogni pasto
ma solo dall’albero
così
sotto gli occhi dei merli
invidiosi
(quelli non mancano mai,
non i merli,
gli invidiosi)
ho bisogno di saziarmi di inchiostro
di lettere
di virgole appena socchiuse
in piccoli spazi
ho bisogno di aprire parentesi
senza trovare il modo giusto per chiuderle
di mettere accenti
per farmi sentire di più
Lasciare che la vita accada
questo
non l’ho ancora imparato
lo so
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La terra mia. Li campi, lo grà vattuto, la paja rrotolata.
Le stoppie, lu jemmete, lo callo e lu sudore.
Lo tribbulà de li contadì.
Quilli che è rmasti tali pure se fa natru lavoru.
Perché, contadì, lo si dentro, quanno non sopporti lo sprecà, quanno te rrizzi presto pure se non c’hai da fa có.
Pe non sprecà lu sòle.
Li contadì che d’è pieni de ignoranza ma che je vasta póco pe avé tutto.
Li contadì.
Comme me.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Cammino scalza.
Tentando, ma nemmeno poi tanto, di non tagliarmi i piedi.
Si trova sempre quel pezzo di vetro che qualcuno ha lasciato lì, sciaguratamente a terra, o quella conchiglia appuntita che sembra nascosta e poi te la ritrovi conficcata nella carne.
Capita a tutti, credo.
Ma ad una che scrive, forse, capita di più.
È una sorta di masochismo a cercare ciò che taglia, a non voler evitare niente di ciò che fa male, ad essere contraria alle anestesie, ai paraocchi, alle convenzioni.
Il coraggio si mischia alla sfida.
La paura si veste di sole trasparenze, di organza, di seta preziosa.
E si mostra, tutta, mentre i piedi vanno a tentoni.
Le cicatrici, autografate dalla vita, sono tante.
Ma di spazio, per nuovi tagli, ne ho ancora.
Il sangue sa d’inchiostro.
E questo scrivere fisiologico è l’unico cerotto che ho.
L’unico.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Forse, Gesù
Forse, Gesù, nascerà dentro la stanchezza di questi giorni, dentro l’ansia per il timore di non aver sufficiente memoria sul lavoro, dentro i sorrisi per molti e dentro l’irritazione trattenuta a stento per qualcuno.
Forse nascerà dentro i carboidrati distribuiti a una provincia intera, alle centinaia di pacchetti fatti, in mezzo ai fiocchi rossi messi a goccia sui regali.
Forse nascerà qui, tra le mie mani stanche e non curate, sulle occhiaie color caffè, sotto il mio cappello bianco da lavoro.
Nascerà nei miei auguri, fatti a pochissimi, e senza frasi fatte, in quelle due parole, a volte una, ma dette col cuore.
Nascerà.
Si, nascerà…
E muoio sempre un po’
anche stasera
nel giorno mesto
che taglia i minuti finali
li tiene per sé
li sfuma piano piano
e li promette a un’altra primavera
Mi abbraccia forte
mi cinge la vita
e i fianchi arrotondati dal tempo
la malinconia
mi invita a ballare
un lento
e coi piedi pesanti
calpesta i miei
stanchi
mentre i grilli
sembrano far festa
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Le foglie del ciliegio
stanno tremando
hanno diradato i respiri
per non sprecare le forze
Sono stanca anche io
di questo inverno
mentre mi fingo corteccia
dove non passa gelo
Ascolta
la senti la paura
che provo
quando giro l’angolo dei miei pensieri?
Capita che lascio il coraggio lì appeso
insieme ai vestiti logori
di certi giorni senza fine
ed esco nuda
con le mani ad elemosinare
spiccioli di domani
Sotto i piedi
i lucidi sampietrini
raccontano
sanno tante cose
sanno di me
sanno che piango
a volte
ma senza lacrime
Pochi hanno la fortuna di conoscere il vero olio.
L’olio di casa, spremuto a freddo, come una volta.
È faticossissimo ottenere un litro di oro verde, c’è un lavoro certosino lunghissimo, dietro.
Di monitoraggio, per capire quando i parassiti arrivano.
E prevenire dove si può.
Perché anche il contadino può sbagliare il periodo del trattamento, ed è solo veleno inutile per i frutti.
Ci vuole attenzione, passione, dedizione.
Mio figlio Luca ha superato il nonno, in questo.
Monitorare minuziosamente per un risultato più sano e naturale possibile.
Oro verde.
Prezioso.
Anche quest’anno.
Ore 20.
Stendo i panni appena lavati, in balcone.
L’aria di una mitezza rara, piacevole, dolce, si lascia respirare tutta.
Sulla provinciale nemmeno un’auto, niente, calma assoluta.
Sulla strada secondaria, stessa cosa.
C’è un silenzio beato, stasera.
Una pace dovuta, alla natura.
Il ciliegio, muto, è a riposo, dopo la lunga giornata d’amore con le api.
In fondo, tutto è meraviglioso.
Cosa ci manca, allora, per essere felici?
Passerò dal camino
tra la fuliggine che farà nere
le mie parole
e la tenacia delle streghe
che non temono il rogo
Avrò il peso sulla schiena
delle battaglie quotidiane
dei respiri corti
delle sottrazioni che ho subito
mi riconoscerai
dal naso lungo e i modi bruschi
e dalla testardaggine che non nascondo
Avrò in dono solo due mani
fredde
Vedi,
della neve ho poco o niente.
Non sono così leggera, da tenermi anche sul ramo più piccolo, come niente fosse;
non ho il suo innato equilibrio da stare in alto senza vacillare, senza sforzo alcuno, con totale naturalezza;
non ho la sua grazia di ballerina prima di fermarsi, io non ce l’ho davvero.
E del suo candore, che dire?
Non lo conosco.
Ho pensieri color carbone e, dopo essere stata fuoco,
di quelli difficili da domare,
incompresa,
resto cenere.
Le contraddizioni ci offuscano la strada da seguire.
Le chiese aperte e i teatri chiusi;
i viaggi all’estero e il divieto di sconfinare tra comuni;
la mascherina all’aria aperta e il naso fuori al chiuso;
i parrucchieri chiusi anche se rispettano le regole.
Le leggi vanno rispettate.
Ma non sempre ci rispettano.
Serve il sole.
In questo buio pesto.
I fiori sbocciano tra le pagine, come stelle nelle notti buie.
Non è sempre facile vederle, le stelle, non lo è affatto.
Come non è facile spogliarsi dentro un libro, spogliarsi tutta.
Senza tabù, togliendo il superfluo che appesantisce l’anima, scegliendo di assomigliare all’aria del mattino, quella ancora non contaminata.
Che strane le persone che scrivono!
Che strane a raccontarsi a chi, di loro, non interessa niente.
Sono piena di fiori e di stelle.
E di parole lievitate come il pane.
Cotte qui, nel cuore mio.
La seduzione dall’autunno
Dovremmo imparare l’arte della seduzione dall’autunno.
Fa spogliare gli alberi lentamente, foglia foglia, ne scopre le curve strette, le parti in eccesso, il corpo nodoso e i segni del tempo.
Lo fa con garbo, vestendoli prima di giallo, di un tessuto sempre più leggero, trasparente, minimal, per far sì che nessuno sia a disagio a mostrarsi.
Nessun corpo e nessun albero è perfetto ma, ognuno, può custodire una propria bellezza, una sua particolare dote d’attrazione.
Mostrare i rami, scarni e doloranti ad occhi clementi e meravigliati, questa la lezione da imparare.
I tabù sono foglie.
In attesa di cadere...
Ecco,
mi trovi in forma, dici.
Beh, rispondo che sono felice di dare questa impressione.
Ma se solo ti facessi un giro tra le mie parole, uno solo, tra gli spazi troveresti il mio respiro mancante.
E, dopo le virgole, quelle pause di paura e incertezza.
Troveresti i punti interrogativi appesi al buio e, le stelle, nascoste dietro i cespugli di perché.
Ma sono viva.
E, per rispettare il mio essere selvatico, assorbo tutto.
Tutta la tempesta.
E tutto l’azzurro.
Ho 55 anni, oggi.
55 nei che raccontano le volte in cui mi sono fermata.
55 rughe dove sono scritti i miei giorni neri.
Ma anche 55 ripartenze, 55 slanci al giorno per festeggiare l’aria che respiro, 55 parole per prostrarmi davanti a una nuova alba.
E 55 baci alla vita.
La vita tutta.
La mia.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Eccomi. Sono un mare di colori, ora che di tempo ne è passato…
Un po’ più triste, a volte, ma colorata, quello si.
Ricordi quel dì di Primavera, quando avevo quel foulard color prato, che tanto ti piaceva?
Ora indosso quello color ocra, come tutte le foglie che giacciono a terra, finite.
Ho il viso sbiadito e, di rossetto, lo sai, non he faccio uso.
Ho paura di sporcarmi quando parlo, perché sono sempre concitata, quando parlo, io.
Però ho le mani rosse, color melograno, perché mi piace abbracciarle, le persone, prenderle per mano.
E mi si scaldano.
E diventano rosse.
E ho un cesto di parole da dirti, nascoste tra i grappoli d’uva e tra le castagne di cui sono ghiotta.
Mi perderò nel bosco, prima o poi, mi perderò.
Nelle favole bisogna perdersi per trovarsi.
Sempre!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Ha un peso, il cuore?
Sì, se dentro ci fai entrare tutto.
Tutto,
anche ciò che meriterebbe stare fuori,
al freddo.
Tutto.
La stanchezza,
la malinconia,
i gesti sbagliati
e i pensieri che non dovrebbero essere pensati.
Le delusioni,
le aspettative da non aspettare.
Il mare che ho dentro,
in tempesta.
La paura del buio.
Ho un paio di ali,
sdrucite.
Con le piume mancanti e l’apertura,
sempre più stretta.
Plano sui giorni, spaiati.
E sui sogni, scordati.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mille attimi di eternità
Anche se il silenzio contiene mille stati d’animo, mille sensazioni, mille attimi di eternità…
ho sempre preferito le parole.
E le parole scritte, nello specifico.
Ci si può soffermare su ognuna di esse, respirare l’odore delle pause, degli spazi vuoti, dell’andare a capo con la stessa forza di una cascata tra le braccia di due montagne.
Vedi,
le parole sono gocce di sangue, spine di una rosa costretta a difendersi per proteggere i delicati petali, respiri nati nella parte più interna del cuore.
E sono anche proiettili, a volte, sparati con la speranza di oltrepassare il torpore, la rassegnazione, la delusione.
Ecco, davanti al silenzio mi inginocchio, a pregare, però, quel dio che sparge petali di versi, a firmare pensieri vergini, nuovi, pieni di vita.
In fondo cos’è la poesia, se non un delirio dal fascino indiscusso?
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Chissà se arriverai
Chissà se arriverai
immacolata come una sposa
come una poesia leggera
che si posa
sul cuscino
dove appoggerò le ciglia
indosserai fiocchi
tra i capelli
mentre i miei
ribelli
slegherò
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La mia Fermo
Gira e rigira per trovare un parcheggio: niente.
La mia Fermo presa d’assalto, finalmente!
La fiera di Natale, i negozi aperti, la temperatura accettabile.
Una bella camminata poi al capolinea.
Manca il fiato, tanta è la bellezza.
Manca davvero.
La piazza, questo lussuoso salotto, strapieno di meraviglie.
E di gente.
Ammiro l’albero.
Calcinaro si è superato.
Come sempre.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
È notte, finarmente!
È notte, finarmente!
Sò fatto la pannella
la pizza
lo pà
pe passà tempu
pe divagamme
Ma lu tèmpu non passa
non passa mai
Tra póco vedo un filme
e po?
Tutte ‘ste notte sframicate
non saccio più do mettele
le stelle a se d’è smorte tutte,
la luna…
La luna
a no la vedo più…
olio vergine di oliva
In dialetto ce parla li contadì. Comme me.
Sò ricevuto vari messaggi de cumblimenti perché scrio in dialetto.
Perché non me vergògno a scrie cuscì.
È che, a d’è più facile,
non me sbajio co li congiuntivi, non devo mmattimme a troà parole strane, senzuali, dilicate.
In dialetto lu penzieru è già perfèttu, non gne manca co’.
In dialetto lu dolore a d’è dolore, la contentezza a d’è essa, pricisa, senza sinonimi pe fa finta che sò studiato.
Io non sò studiato.
Io so jita a parà le pecore quanno l’amiche mie java in piazza.
E in fabbrica quanno loro cuminciava le superiori.
Io parlavo in dialetto, jo li campi.
E in fabbrica.
Ce parlo ancora.
In dialetto ce parla li contadì.
Comme me.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Unico, impalpabile, inafferrabile.
Non si può pensare di sbocciare per un tempo indeterminato.
Tutto è così fugace, così rapido e scivoloso.
E ci si accorge di ciò solo mentre i petali cominciano a cedere.
Niente si trattiene, niente.
Però, quell’attimo resta per sempre, non si cancella.
Unico, impalpabile, inafferrabile.
Sono io quei petali che tremano, che sanno che, a breve, il vestito rosso…
scolorirà.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
E allora? Io ho già deciso.
Tirare dritto all’obiettivo può far incorrere in una serie di problematiche durante il tragitto.
A non essere accomodanti si rischia di restare soli.
E allora?
Niente, occorre solo capire se la destinazione merita il viaggio.
E se si ha voglia di rischiare.
Io ho già deciso.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
In un campo di papaveri
Ho bisogno di un bagno in un campo di papaveri
farne ghirlande
intrecciarle tra i capelli
vestirmi di rosso
di papaveri rossi
e niente altro
ubriacarmi di vento
e di un alfabeto che
solo io e te
conosciamo...
Sento le membra vacillare ad ogni alito di vento.
Sono di quei colori che il bosco dona a Novembre, i miei pensieri.
Caldi e poi subito freddi, deboli, impauriti.
Cadranno, lo so, cadranno.
In fondo, delle foglie, non importa niente a nessuno: cadono, muoiono, senza che nessuno ne abbia pena.
Sembra ovvio, scontato.
Le senti sotto i piedi, con quello scricchiolio che sa di fine, di mancanza di domani, di “forse saremo utili al terreno”.
Non so se sarò utile al terreno io, non credo.
Non si curerà nessuno del mio cadere ed essere morta.
Non resterà niente di me, niente che possa ricordare lontanamente il mio passaggio.
Sono Autunno, le mie parole.
Sono Autunno lento.
E inesorabile.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Febbraio,te lo ricordi ancora?
Febbraio,
quasi non ti riconosco.
Non riesci più a farmi ridere,
del tuo Carnevale non porto ricordo.
I carri carichi di paure sfilano nella mente, in bianco e nero.
Manca Arlecchino, mancano i colori.
Manca lo zucchero filato sulla punta delle dita,
mancano le risa giovani,
mancano i coriandoli dentro la maglietta,
incollati da un sudore di cose in divenire…
Resta l’odore del mare sulle labbra, di un anno fa.
Te lo ricordi ancora?
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
LA MERLA
La merla solitaria zitta zitta
rvistita co’ un mantèllu sculuritu
a fà du’ passi e se ne pprufitta
zumpetta vassa senza lu maritu
-Quist’anno stranamente sento callo-
a se lamènta mentre se llontana
-de ‘sti tramonti fatti de corallo
io staco mejio co’ la tramontana-
-E se cuscì continua la mmasciata
allora vojio fà comme me pare
a faccio comme una che conoscio
bbandono tutto e po… vaco a lu mare!-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Se ci sarà un’altra vita
Se ci sarà un’altra vita
un’altra possibilità
un’altra forma da assumere
quando il tramonto incontrerà la notte
quando le dita
rattrappite
non stringeranno più la penna
quando
voltandomi
vedrò il grano diventato paglia
se ci sarà un’altra possibilità
dicevo
Dio degli abissi e delle risalite
concedimi di rinascere ninfea
leggera
a pelo d’acqua
in superficie
senza zavorre-
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Hai visto gli ulivi?
Hai visto gli ulivi?
Hanno miriadi di piccolissimi fiori.
I rami sono tempestati da quelli che, poi, diverranno preziosi frutti da spremere.
La storia si ripete eppure, pur sembrando identica agli altri anni, ogni volta è nuova e diversa.
E diverso sarà l’olio.
Niente, domani, sarà come ieri.
Niente.
Ciò che si era va custodito, riposto nell’angolo del comodino, gelosamente protetto.
Ma è del domani che dobbiamo parlare.
Gli ulivi hanno dimenticato il raccolto passato.
Aspettano nuove mani.
Se da sempre è così, un motivo ci sarà…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Che luna, stasera!
Che luna, stasera!
Io e te non abbiamo mai
festeggiato granché
tu eri schivo
a tutto ciò che di confezionato
il mondo proponeva
in questo
nel tempo
ti assomiglio sempre più
Che luna, stasera!
Babbo, la tua festa
non l’hai mai calcolata
calcolavi il sudore
spesso obbligato
Che luna…
a lei ti affidavi
come i saggi contadini fanno
a lei
a nessun altro
tanto eri orgoglioso
dei tuoi campi
Ora
in questa tua ultima fase
dove io ti imbocco
la torta di mele
inzuppata di latte
ora
la luna
sembra averti scordato
D’altra parte
volge lo sguardo
noncurante
Un paltò di neve
E tu pensi che un paltò di neve
possa bastare a coprirmi la pelle?
No, non basta.
Ciò che ho dentro è ibernato e perpetuo
in segrete stanze
chiuso
e fuori
dal mondo gelido
prendo le distanze.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Così sia.
Signore,
accogli le nostre croci.
Quelle in bella vista, che il mondo vede e commisera,
ma ancor di più quelle nascoste, quelle indicibili, quelle tenute nelle stanze più buie in attesa di speranza.
Ecco, donaci il pane del domani,
il pane come prima necessità dell’anima.
Non lasciarci attrarre dalle frivolezze ma dall’essenziale del quale abbiamo perso traccia.
Passaci attraverso.
Tagliaci dentro.
Facci uscire il sangue della vita: quella vissuta con l’accettazione di ciò che non si può cambiare e con la tenacia inesauribile per ciò che merita una svolta.
Armaci di coraggio, quello di mostrarci veri e fragili, in questo mondo che ci obbliga a mostrarci perfetti e forti.
Così sia.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Di fiori in bianco e nero
Di fiori in bianco e nero
di luce flebile
di quelle poche parole che passano oltre i lupi
che tentano di sbranare la preda
di labbra tagliate dall’inverno
e screpolate dai morsi
dell’impotenza
di solitudini scelte
ed altre pagate care
di ieri a cui non credere più
di domani di cui diffidare
e di cuori chiusi fuori dall’uscio
di tutto questo
si nutre una pagina vergine
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Profuma di Maggio
Profuma di Maggio, l’aria.
Di rose.
E ali di rondine sulla mia schiena.
E la mente torna a quella ragazzina, acerba ancora, che vestiva un profumo di ginestra per sognare due occhi.
Specie protetta, l’ho capito poi.
La ginestra.
E i sogni di lei.
Notte
Ci verrai a trovare prima, stasera.
Tra i rami nudi e sensuali degli alberi ai bordi della strada, tra l’erba umida della scarpata incolta, tra le luci delle finestre accese anzitempo.
Notte.
Un po’ ti temo, devo ammetterlo.
Sei troppo lunga e troppo silenziosa.
Troppo nera.
Ho impastato una torta per esorcizzare il timore che mi incuti.
Ho profumato la casa di burro, marmellata, mele cotte.
Non ho dosato gli ingredienti, non lo faccio mai.
Li metto a caso, così, a intuito, come faccio quando scrivo.
Comincio a battere le lettere (o le uova) e non so mai se parlerò d’amore o di matematica.
Poi inforno.
Ho un forno a forma di cuore.
Sforno cose che nemmeno io conosco.
Le assaggio…
Non sono una grande cuoca né una grande scrittrice.
Ma qui profuma di buono.
Notte, non ti temo!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Nascita di un poeta..
A chi, tra due colori, ne vede mille altri
a chi si turba per una foglia a terra
a chi si accorge della nascita di un poeta..
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Giornate azzurre
Le giornate azzurre fuori e la paura dentro.
I contagiati vicino casa e una preghiera di supplica al cielo.
C’è un silenzio terribile!
E tanta tristezza per la durata senza tempo di questa pausa di vita.
E questa foto di un anno fa, a ricordarmi un panorama totalmente stravolto.
Mi manca il mio mare dalla finestra.
Mi manca vederlo da lontano…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Come ironizzare su una tragedia: copri-sterzo abbandonato.
A me non me nteressa
la jiornata dell’ambiente
chi la festeggia ojji
non ha capito gnènte
la festa se cumincia
da lu primu de Jennà
e non deve avé fine
manco dopo de Natà
l’ambiente se n’è ccòrtu
de èsse trascuratu
che ce ne frechemo tutti
anche se è tanto nominatu
Io intanto me preparo
co la sappa e co la vanga
se me mòro in ‘che scarpata
me potete anche fa santa
(O intitolarmi una scarpata)
Il ciliegio si è vestito di oro.
Prima di abbandonare i rami, le foglie, hanno voluto sfoggiare il loro abito più festoso.
Il vento di ieri, benché di una certa intensità, ne ha staccate poche.
Molte resistono, l’attaccamento alla vita è sempre forte.
Ecco, vedi…
è quando pensi che sei alla fine, è lì che serve l’ultimo sforzo.
Quando vorresti cedere al vento, alle intemperie, e invece senti dentro le foglie danzare, senza cadere, a darti forza.
Sono foglia, temo il vento della vita.
Sono foglia, vestita d’oro per l’ultima danza.
A ballare tra i rami, nella stagione più fredda.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Adesso
Non ho voglia di parlare.
Non ho voglia di spiegare, di parlare del vuoto, del nulla.
Ci si potrebbe sempre infilare nei miei assoli, tra le righe, tra punti e virgole, comunque.
E buongiorno, e buon pranzo, e c’è il sole oggi e meno male…
Sono vuote le parole, vuote di senso, vuote di percezioni.
Siediti.
Siediti sui miei fiumi.
Quei rivoli che sono un filo d’acqua ma che poi diventano dighe senza controllo.
Le dighe, fatte per contenere, non sempre fanno il loro dovere.
Siediti.
Ma ora basta.
Non ho più voglia di parlare.
Non più…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Gli orli sdruciti
e i bottoni attaccati alle ferite
trasformate in feritoie
per coprire il vuoto
stretto da darmi affanno
in certe nebbie oltre la collina
dei rimpianti
o largo fino a caderci
in quelle notti bucate di stelle
in cui mi sento piccola
e scompaio piano
ci vuole tempo per capire
che chi non dà non ha
e chi non ha
ha bisogno
di elemosina nel cappello
e di carezze
Perfetto, il sarto del tempo
che lascia qualche spillo
non a caso
in ogni abito
del suo atelier
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo-Foto di Franco Leggeri
Sfoglio i giorni e le stagioni.
La mimosa, la ginestra, i papaveri, i girasoli.
L’odore dei sogni, delle speranze, delle certezze sperimentate, delle delusioni cocenti.
Sfoglio il dolore.
Sfoglio le cicatrici
e gli oli con cui ho tentato
di lenirle.
Sfoglio le pagine
ora bianche
ora imbrattate di pensieri.
Pensieri come fiamme
che bruciano l’inverno.
E le stagioni
e i giorni
che sfoglio.
, sindaco di Belmonte
Sono una che scrive
È quel sottile confine d’azzurro che faccio fatica a delineare.
Dove l’acqua e il cielo si fondono, senza paura.
Il confine.
Tra l’essere e l’apparire.
Tra il pensiero intimo e lo scritto.
Tra il concreto e il sogno.
Tra la massa e l’io.
Tra l’immunità di gregge e la mia.
No, io non sarò mai immune.
Da niente.
Sono una troppo fragile.
Sono una che scrive.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Mi sto chiedendo se abbia sapore la Poesia.
Odore si, ne ha, evoca aromi dolcissimi, tra le righe.
Ma, sapore?
La mia si, sa di figlia di contadini, di colline coltivate a foraggio, dove pascolavano le pecore dalle quali, mia madre, mungeva il latte per fare il formaggio.
Sa di mani prive di crema all’orchidea ma che odorano di carne per riempire le olive.
E di pane, quello buono, usato per impanarle.
Sa di versi che sbocciano in bocca, mentre, alla cassa, sommo la spesa.
Sa di frutta matura, di zucchero tra le dita, mentre invaso la marmellata fumante.
Di pesche in vetro, di spicchi di sole custoditi per l’Inverno.
Sa di mare, del mio amatissimo mare, e del sale che lo fa tanto simile alle mie lacrime.
Sa di lievito, quello madre, che partorisce inni alla vita.
E che si moltiplica nella gioia.
Lontana da scrivanie di legno intarsiato, viva di fogli sparsi in ogni dove.
Ecco, io non so neanche se sono degna di chiamarla Poesia, la mia.
Ma questo è il suo sapore.
Dolce/amaro.
Come me
Grembiulino, fiocco e zainetto. Torno a scuola!
Faccio il terzo anno, quest’anno.
Ripetente, direte.
Si, ho ripetuto.
Ho ripetuto tutta la vita che ho un buco, una voragine, un vuoto incolmabile.
Niente e nessuno ha sostituito o riempito i miei anni di scuola mancati.
Niente.
E nessuno.
Poi, in una serata di Asino chi non legge, ascolto lui, Umberto Piersanti, mi piace.
Tempo dopo vengo a sapere della sua scuola.
Sono ignorante come una capra ma testarda come in mulo.
Ci provo, mi iscrivo, mi scapicollo per andarci, frequento, imparo.
Imparo, imparo, imparo…
Ma non sufficientemente.
Devo andare ancora.
Ancora, ancora, ancora…
Domenica rivedrò i miei compagni di classe.
Faremo anche la ricreazione.
Praticamente, sono già lì.
un campo arato
Regalami un campo arato
ci seminerò parole vergini
Se nasceranno
chiamale col mio nome
portale al mulino
fanne pane
Quando avrai fame
cibati di me
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Sto imparando a leggere il silenzio.
A percepirne le sfumature, i toni alti e bassi del dolore, il fiato che manca e le mani fredde.
Perché il silenzio è un mare di roba: è Inverno, è solitudine, è un albero privo di foglie, una porta chiusa, un caffè senza zucchero.
È avere paura.
Lo sto leggendo, lentamente, per non perdere nemmeno una parola.
Perché, in fondo, lo amo il tuo silenzio.
Ma io sono altro.
Sono il chiasso, lo schiamazzo, il tuono rumoroso.
Di quel silenzio a cui appartieni, io, sono solo l’urlo…
A pugni stretti
A pugni stretti
col domani a sottrarre
carezze
sorrisi
gesti consueti
ed ora impossibili
Tu
che la fatica hai divorato
costruendo certezze
e terreni
da lasciarci
tu
che non distingui più
il remoto dall’oggi
convivendo con fantasmi e suoni
ora scomparsi
Vedi
posso solo giocare
con te
col bambino nato
dai neuroni che muoiono
piano
senza fare rumore
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
ARSA
Mi sorprendi arsa
come certi giorni di Luglio
Disidratata
come sabbia scolpita dal Ghibli
sola
debole come non immagini
forte come non saprai mai
A bruciarmi i piedi
sulla sabbia rovente
scalza
per sentire ogni granello
di cui sono fatta
ARSA Sonia Trocchianesi
OMAGGIO AL MESE DI LUGLIO
Il mio sale
Era presto e, il mio presto, significa prima del sole.
La sabbia era priva di orme, le mie erano le prime.
Ho pensato che era bellissimo come la notte portasse via ogni traccia del giorno precedente e che, a volte, mi sarebbe piaciuto fare così.
Cancellare tutto.
E ricominciare.
Pagina pulita, bella calligrafia.
Errori da evitare, scelte da azzeccare, risposte precise da dare.
Invece, solo il mare ha questa facoltà.
Il mare si rinnova ad ogni onda, ad ogni alito di vento.
Si inventa, ogni attimo.
Un giorno mi ha fatto una promessa.
Avrebbe nascosto tutte le mie lacrime.
Il mio sale, in fondo, è come il suo…
scritta il 4 novembre 2019-ore 22:44-
Me faccio cucciòla
Me faccio cucciòla.
Me bbusco dentro de me, me rritiro, quasci ce rinuncio.
Divento muta, invisibbile, comme se non ce staco.
Perché là fòri, spesso, non gne sse fà a stacce, non gne sse fà.
Che vorrà succède, chi se ne ccorghierìa?
Penso nisciù, nisciuna proprio.
Ma se dovèsse sboccià ancora un fiore, forse me rreffaccerìo.
Forse.
Ne rparlemo più in là.
A primavera.
VEDI
Vedi,
ho avuto anche io paura di fiorire.
Ho avuto paura dell’aria gelida del mattino
e di quella tetra della sera che entra nelle ossa e che rende fragili come vetri sottili sottili.
Allora son rimasta gemma, a volte
son rimasta embrione, pensiero,
azione mai accesa.
E le parole sono rimaste inchiostro,
desideri nudi con la paura del buio.
Nudi.
Sotto una coltre di stracci.
Non saccio se je la poi fa,
Non saccio se je la poi fa,
a nasce,
ce semo barricati in ogni mòdu,
no, non è pe lu virusse,
quella è la scusa,
e tène pure,
perché la sapemo raccontà cuscì bè,
che ce credemo tutti.
Semo nchiavato lu còre
e semo vuttato via la chiae,
mejio a mette un muru,
a non fasse domande,
a non cercà risposte.
Semo legato le ma’,
mejio non toccacce
unu co natru,
mejio a facce l’auguri a sopra
comme è stato sempre fatto:
“Comme stai, tutto vè?”
“Se tira avanti”
e via lu prossimu
cuscì…
Semo leato lu sorrisu,
perché ammó,
finarmente,
la vocca non se vede,
a sta bbuscata.
Non jela poi fa, a nasce!
E comme fai?
Non se po’ scavargà,
lu cunfì,
tra l’amore che pórti
e l’ipocrisia che ce tè ritti.
Piccolo ciclamino-
Il piccolo ciclamino ha vissuto un sacco di inverni.
Lui, col freddo, sta bene.
Riesce a mettere foglie nuove, verdi, forti.
E fiorire.
Ha imparato che, quando fuori non è l’ambiente che vorrebbe, fare finta di morire sia l’unica soluzione.
Morire.
Ritirarsi, mettere la testa sottoterra, non respirare.
Non soffrire.
Non inutilmente.
Aspettare il momento giusto,
saperlo fare, in silenzio.
Prima o poi arriverà l’ora in cui tutto sarà.
Tutto.
E la mortificazione estiva apparirà come un ricordo lontano.
Il ciclamino ha da insegnare molto.
Sto prendendo appunti…
Ecco, vedi…
mi inviti a non mollare, a non darla vinta a chi tenta di ostruire un sogno, ad essere più forte delle barriere, ad insistere, ad essere me stessa.
Vedi…
tu non sai quanto io sia caparbia, quanto io sappia essere determinata, e quanta ribellione contengono le mie idee.
Però sono stanca, stanca di far finta di essere nel torto, stanca di chinare il capo.
Stanca di mani chiuse, stanca di voci dubbie.
In certi labirinti, si rischia solo di perdersi.
Resto fuori, con la delusione da gestire.
I papaveri, sbocceranno lo stesso.
Più rossi che mai!
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
All’alba sarò pronta.
All’alba sarò pronta.
Presto, prestissimo.
Prima che il rumore copra il canto degli uccelli, prima che il sole scaldi la fronte, prima…
Prima.
Prenderò una strada secondaria, quella con vista mare.
Lascerò spaziare i pensieri trattenuti dietro i vetri, scioglierò le ginocchia semi bloccate dalla quarantena.
Camminerò finché avrò fiato.
Domani.
La senti com’è fresca, l’aria?
La senti com’è fresca, l’aria?
Mi ricorda quando, ragazzina, la respiravo tutta, col naso, a bocca chiusa.
E, camminavo, senza ancora sapere dove volessi andare.
Perché, mi avevano detto che, non era importante cosa volessi fare ma, era importante fare ciò che si doveva.
Io mi nascondevo sotto le lenzuola, la sera, che sapevano di fieno o di paglia, a seconda delle stagioni.
Lì, nascosta, parlavo sola.
Mi ripetevo i desideri a voce alta, i sogni, le cose che avrei voluto fare.
Credevo che, se lo avessi detto a voce alta, qualcuno mi avrebbe sentita, esaudita.
Lo faccio ancora, quando vado a camminare.
C’è un piccolo tunnel che attraverso solitamente, lì mi escono i pensieri a voce alta; in quei venti passi mi ritrovo, torno indietro, volo via…
E, i pensieri rimangono lì, sotto il tunnel, adagiati nell’aria fresca…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
La senti com’è fresca, l’aria?
Mi ricorda quando, ragazzina, la respiravo tutta, col naso, a bocca chiusa.
E, camminavo, senza ancora sapere dove volessi andare.
Perché, mi avevano detto che, non era importante cosa volessi fare ma, era importante fare ciò che si doveva.
Io mi nascondevo sotto le lenzuola, la sera, che sapevano di fieno o di paglia, a seconda delle stagioni.
Lì, nascosta, parlavo sola.
Mi ripetevo i desideri a voce alta, i sogni, le cose che avrei voluto fare.
Credevo che, se lo avessi detto a voce alta, qualcuno mi avrebbe sentita, esaudita.
Lo faccio ancora, quando vado a camminare.
C’è un piccolo tunnel che attraverso solitamente, lì mi escono i pensieri a voce alta; in quei venti passi mi ritrovo, torno indietro, volo via…
E, i pensieri rimangono lì, sotto il tunnel, adagiati nell’aria fresca…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Vedi,
è arrivato settembre,
di già.
Un nuovo ciuffo di capelli sbiaditi,
un sorriso mancato,
una carezza stanca,
la sera.
Ho provato a seminare il coraggio,
nascondendo la paura
nella tasca di dentro;
non so se ce l’ho fatta,
non lo so.
Ho messo in moto le mani.
Le mani sono il fulcro
di ogni cosa.
Le mani sanno piangere,
accarezzare,
lottare.
Sanno fare l’amore.
Sanno stringere il tempo passato,
ricamando il domani
su finestre di vento.
Ho esorcizzato il dolore,
con le mani.
Ho cucito ferite di carne
e poesia.
Ci ho aperto la via,
nuova,
con le mani.
Ho invitato sui fiori
le api,
a impollinare la notte,
di stelle cadute
per me.
Le sensazioni sono immagini scritte sulla pelle.
E la pelle che invecchia è un album di foto.
Sto invecchiando, si, me ne accorgo dalla difficoltà a fare la salita.
Dal fiatone.
Dai piedi, uno in special modo, che appoggio male e che si ribella.
Manca l’acqua durante il percorso.
L’acqua fresca, di sorgente, quella che nasce per dissetarsi, per ristorare le labbra dall’arsura.
Gli odori però, li ho immagazzinati.
Ogni profumo una foto.
L’erba, il grano alto appena dieci centimetri, la borragine.
Le ho tutte qui, le loro immagini.
Sulla pelle piena di rughe.
Piena di curve.
Piena di poesia.
Immensa, stasera
Immensa, stasera
da contenermi tutta
me e tutte le mie paure
le mie angosce
le mie domande sospese
e il tuo ventre
accogliente grembo
dalla pelle bianca
sentiero degli amanti
palpito degli audaci
viatico dei coraggiosi
Non ti somiglio
sei troppo bella
luna
Vedi,
sembra alquanto inutile ripeterti in quale modalità va presa la vita.
Con leggerezza, con estrema leggerezza.
Senza entrare dentro alla sostanza, ai problemi, alle cose che le tue mani toccano.
Vedi,
dare poco di sé è sempre molto riduttivo ma, dare troppo, è da sempre penalizzante.
È una colpa.
Non ne trarrai benefici.
Dare tutta te stessa sarà il tuo male.
Il tuo difetto più grande.
Il tuo tarlo nello stomaco.
Rimani in superficie, cerca di capirlo.
Galleggia, se vuoi salvarti.
Di solito, dopo il mezzo secolo, si comincia a capire.
Di solito.
O anche no.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Gioia nel condividere una fetta di crostata
Scapijiata non póco
co l’aria de mare
sempre pronta a lottà
pe checcosa che vale
che fatica a fa der bène
a difende l’ambiente
sai lo vello che d’è?
Lu còre enorme de la jente!
(Su questa foto faccio schifo, mascherina e vestita di cenci, a fine raccolta, ma voglio farvi vedere quanta gioia porta il nostro gruppo.
Gioia nel condividere una fetta di crostata e sapere di aver lottato per una giusta causa)
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Le ali delle parole
Le parole hanno le ali.
Inutile tentare di trattenerle, tutto inutile.
Andate, adagiatevi su nuovi lidi, su nuove scogliere, su nuove pagine.
Non so se qualcuno vorrà leggervi, non lo so.
Ma non è a questo che penso, ora.
Penso alla grazia, alla leggerezza, alla profondità che dovrò donarvi.
Penso ai probabili sensi che, teoricamente, potrete accarezzare.
Il gusto, il tatto, la vista, l’udito.
E quell’odore, inconfondibile, che saprete emanare.
Spiccate il volo, andate.
E grazie a chi, ancora una volta, crede in me.
In voi.
È lenta la pioggia.
Come una carezza lieve, quella che si fa ad un bambino quando dorme e non lo si vuole svegliare.
Malinconica, però.
Come tutta la scala del grigio, così precariamente in equilibrio tra il bianco e il nero.
I colori, certo, quelli sono altro.
Come quel prato, dove mi riempivo i polmoni di vita.
Dove il silenzio firmava un patto d’alleanza col verde ed io mi sentivo una regina sul trono dell’infinito.
Piove.
Lento lento.
Il grano ringrazia.
Io…
scriverò della malinconia.
Ancora.
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo-Foto di Franco Leggeri
Le pecore.
Quanto le ho odiate, le pecore.
Le ho odiate come non ho mai odiato niente altro.
Tantissimo.
Poverine, ma che c’entravano loro?
Ne avevano una quindicina, i miei, e mi mandavano a pascolarle.
Avevo il terrore che si venisse a sapere.
Magari dalle mie compagne di classe, quelle che, nei pomeriggi liberi, passeggiavano in piazza.
Oppure dai compagni, i maschi.
Cosa avrebbero pensato, se avessero saputo?
E poi, era tempo rubato ai compiti, ai miei amati libri.
Oh mio Dio!
Ci ho messo quasi quarant’anni per dirlo ad alta voce.
“Ho pascolato le pecore, si, io.”
Per tanti anni.
Lì, in quei prati verdi, dove qualcuno cantava che ci nascono speranze…
Vedi,
ci sono luoghi, nel corpo,
dove nessuno immagina il dolore.
Dove nessuno parla dei segni scalfiti nella carne,
a colorare il grigio di inverni sterili,
come murales astratti.
E questo carico,
che si fa peso e forza, qui, sulla mia schiena.
E tento di non curvarmi, saltando ostacoli
che faccio finta siano niente.
Scendono giù,
sulle vertebre stanche
come cerchi in uno stagno,
dove i sassi tirati recano fastidio.
E creano onde.
Ma quanto fascino hanno
le cose complicate
e quanto profumano
la pelle
le ostinazioni di cui mi vesto.
Sono questo.
Nuda e vulnerabile.
Poi forte.
Vestita solo di spine.
L’unico mio rifugio…
E poi mi dici… parla.
Che, il mio ammalarmi spesso, deriva da una stanchezza interiore, che il corpo sente le emozioni negative, il malessere, il sonno stentato.
Ma a chi vuoi che interessino le mie lagne?
Le mie paranoie malinconiche, il mio turbamento quando mi affaccio dalla finestra e non vedo più il mare?
Forse sono troppo sensibile, soffro pure per un saluto mancato, figurati…
No, non mi va di parlare.
L’unico amico sincero è questo foglio.
Il mio confidente.
L’unico mio rifugio…
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Siamo nati
Siamo nati
per essere felici
si parlava l’altra sera…
Vedi
sono nata piangendo
modellata dall’urlo
di mia madre
certi inizi
li porti dentro
non si dimenticano
Sonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di FermoSonia TROCCHIANESI-Poetessa Operaia di Fermo
Non fermarmi. Sto sognando. Abbiamo vissuto proni secoli d’ingiustizia. Secoli di solitudine. Ora no. Non fermarmi. Ora e qui, sempre e ovunque. Sto sognando la libertà. Facciamo sì che la bella unicità Di tutti Ripristini L’armonia dell’universo. Giochiamo. Conoscenza è gioia. Non certo un obbligo scolastico. Io sogno perché amo. Grandi sogni su nel cielo. Gli operai delle fabbriche occupate Produrranno cioccolato per il mondo. Io sogno perché SO e perché POSSO. Sono le banche a creare i “ladri”. Le prigioni i “terroristi”. La solitudine gli “emarginati”. I prodotti il “bisogno” I confini gli eserciti. Tutto deriva dalla proprietà. La violenza genera violenza. Ora no. Non fermarmi. È giunto il tempo per ristabilire L’etica come prassi finale. Fare della vita una poesia. Fare della vita una prassi. È un sogno possibile possibile possibile IO TI AMO E non fermarmi, non sto sognando. Io vivo. Tendo le mie mani Verso l’amore la solidarietà La libertà. Tutte le volte che ricomincia daccapo. Io difendo ANARCHIA.
(traduz. Carmine Mangone)
dal blog Pochi amici Molto amore di Carmine Mangone
*
Verrà il tempo
Verrà un tempo in cui le cose cambieranno. Ricordatelo, Maria. Ricorda, nelle pause del gioco, Maria, di quando correvamo impugnando il testimone – non guardarmi – non piangere. Sei tu la speranza, ascolta, verrà un tempo in cui saranno i figli a scegliere i genitori non verranno fuori a caso non ci saranno porte chiuse con persone curve là fuori e il lavoro saremo noi a sceglierlo non saremo come cavalli cui si guarda in bocca. Le persone – pensaci! – parleranno coi colori, con le note. Abbi solo cura di conservare in una grande bottiglia d’acqua parole e concetti come disadattati – oppressione – solitudine – prezzo – profitto – umiliazione serviranno per la lezione di storia. Non voglio mentirti, Maria, sono tempi difficili. E ce ne saranno altri. Non so – non aspettarti troppo da me – questo ho vissuto, questo ho imparato, questo io dico e di tutto ciò che ho letto una cosa conservo con cura: “L’importante è restare umani” Cambieremo la vita! Maria, nonostante tutto.
(trad. Carmine Mangone)
Our life is jack-knifings
Our life is jack-knifings in dirty dead-ends rotten teeth, faded slogans basso vestiario smell of piss, antiseptics and spoilt sperm. Ripped-off posters. Up and down, up and down Patission Ave Our life is Patission Ave. The powdered fetergent which does not pollute the sea And Mitropanos sang his way into our life but Dexameni has also swallowed him like those high ass ladies. But we are still here. We travel all our life in lust the same course. Humilation-loneliness-despair. And vice versa. Ok. We do not cry. We grew up. Only when it rains we secretly suck our thumb. And we smoke. Our life is pointless painting in programmed strikes snitches and patrols. That’s why I tell you. Next time they shoot us we shan’t run away. Count our strengh. Let’s not sell our skin so cheap, damn it! No. It’s raining. Give me a cigarette.
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