Quando anni fa imparai a guidare la macchina, il mio istruttore mi imponeva di fumare il sigaro; e se nel groviglio del traffico o in curve strette si spegneva, lui mi spingeva via dalla guida. Durante la corsa raccontava anche barzellette e se io, troppo intento alla guida, non ridevo, mi strappava il volante di mano. Mi sento insicuro, diceva. Io, passeggero, mi spavento se vedo che il guidatore dell’auto è troppo intento alla guida.
Da allora quando lavoro mi guardo bene dallo sprofondarmi troppo in quello che faccio. Mi impongo più d’una volta di guardarmi in giro, talora interrompo il lavoro per conversare con qualcuno. Mi sono disabituato ad andare così forte da non poter fumare. Penso al passeggero.
Der Insasse
Als ich es vor Jahren lernte Einen Wagen zu steuern, hieß mich mein Lehrer Eine Zigarre rauchen; und wenn sie mir In dem Gewühl des Verkehrs oder in spitzen Kurven Ausging, jagte er mich vom Steuer. Auch Witze erzählte er während des Fahrens, und wenn ich Allzu beschäftigt mit Steuern, nicht lachte, nahm er mir Das Steuer ab. Ich fühle mich unsicher, sagte er. Ich, der Insasse, erschrecke, wenn ich sehe Daß der Lenker des Wagens allzu beschäftigt ist Mit Lenken.
Seitdem beim Abeiten Sehe ich zu, mich nicht allzu sehr in die Arbeit zu vertiefen. Ich achte auf mancherlei um mich herum Manchmal unterbreche ich meine Arbeit, um ein Gespräch zu führen. Schneller zu fahren als daß ich noch rauchen kann Habe ich mir abgewöhnt. Ich denke an Den Insassen.
Margherita GUIDACCI ((1921-1992),Poetessa e traduttrice italiana. Dopo la crisi del suo matrimonio, negli Anni ’60, superò un decennio di grave sofferenza psichica che culminò nel ricovero in una clinica neurologica. Tra i poeti da lei tradotti, John Donne, Emily Dickinson, Thomas Stearns Eliot ed Elizabeth Bishop.
La piccola Thérèse di Lisieux s’impossessò senza timore delle virtù di Cristo per avvicinarsi a Dio. La sua poesia “Se io avessi commesso tutti i crimini possibili…” riassume perfettamente la grazia della sua “piccola via”, alla portata di tutti.
Santa Thérèse di Lisieux è un genio spirituale la cui audacia si fonda su una teologia sicurissima. La Chiesa non l’ha forse riconosciuta come uno dei suoi dottori? È alla luce della sua solidità dottrinale che possiamo meditare la sua celebre poesia “Se io avessi commesso…”:
Se io avessi commesso tutti i crimini possibili
conserverei sempre la stessa fiducia,
perché so bene che quella legione di offese
non è che una goccia d’acqua in un braciere ardente.
La rivelazione del Sinai ci insegna che Dio è un fuoco che non consuma. A che può servire un fuoco, se non a bruciare? Ora, il mistero di un fuoco che brucia senza consumare non è comprensibile che se vediamo all’opera un Essere che, come un “braciere ardente”, brucia in noi i nostri peccati senza distruggerci. E poiché Dio è infinito in misericordia, quest’ultima sarà sempre superiore all’insieme delle nostre trasgressioni, cosa che sostiene Thérèse nel conservare fiducia malgrado “tutti i crimini possibili”. Benché serissimi, questi ultimi sono come “gocce d’acqua” comparate al braciere della misericordia divina.
Un cuore che soffre
Sì, ho bisogno di un cuore tutto ardente di tenerezza,
che resti punto di appoggio per me, e che senza alcun tornaconto
ami tutto di me, perfino la mia debolezza,
e che non mi lasci mai, né di giorno né di notte.
Qui la poesia sottintende la divinità di Cristo: quale altro cuore potrebbe non lasciare il credente «né di giorno né di notte», se non quello onnipresente di Dio? Anzi, Dio – che conosce le proprie creature – non è mai disgustato dalle loro debolezze, al contrario vi ravvisa l’occasione di spalancare ancora di più la propria misericordia.
No: non sono riuscita a trovare alcuna altra creatura
che mi amasse fino a questo punto, e senza mai morire.
Perché ho bisogno di un Dio che prenda la mia natura,
che diventi mio fratello, e che possa soffrire.
In questa quartina Thérèse sottolinea la realtà dell’Incarnazione: in Gesù, Dio si è fatto pienamente uomo al punto da essere diventato capace di soffrire. Egli resta nondimeno Dio, e dopo essere risorto al terzo giorno non può più morire.
Notiamo che la fraternità di Cristo rispetto a noi risulta esemplata sulla sua capacità di soffrire come noi e con noi. È questa amicizia nella solidarietà che spinge Thérèse a meravigliarsi di un Dio che l’«amasse fino a questo punto».
La santità di Gesù è la nostra
So fin troppo bene che tutti i nostri atti di giustizia
non hanno il minimo valore davanti al tuo sguardo,
e per dare prezzo a tutti i miei sacrifici
sì, voglio gettarli fin dentro al tuo cuore divino.
Thérèse non si fa troppe illusioni sulla giustizia degli uomini. Ad ogni modo non si scoraggia: non cerca in sé stessa la virtù, ma in Gesù. La comunione dei santi significa anzitutto comunione nelle cose sante. Ora, la prima “cosa santa” è Gesù stesso. Quel che è suo è pure, per l’opera della Redenzione, diventato nostro, così come nell’Incarnazione quel che è nostro è diventato suo. Noi gli abbiamo dato una natura mortale e, in cambio, egli ci ha donato la sua santità. In virtù di questo admirabile commercium, tutto a nostro vantaggio, i nostri sacrifici assumono valore quando vengono appuntati sulla Croce.
L’amore perfetto
No, neppure una creatura hai trovato senza colpa
in mezzo ai bagliori: ci donasti allora la tua legge
e nel tuo cuore sacro, Gesù, mi nascondo.
No, non tremo perché la mia virtù sei tu.
Questa quartina completa la precedente. La Scrittura afferma che anche gli angeli non sono puri agli occhi di Dio. A fortiori gli uomini! E tuttavia ancora una volta Thérèse «non trema»: «L’amore perfetto esclude il timore» (1Gv 4,18). Effettivamente, perché tremare laddove, per la fede, la nostra virtù non è la nostra ma quella dell’Uomo perfetto, Gesù? In ciascuno di noi il Padre vede il Figlio nel quale «noi ci nascondiamo», secondo le parole della poesia: come potrebbe Egli trattarci altrimenti, allora, che come figlie e figli amatissimi?
Paradossalmente, è la piccola via di Thérèse che ci offre la sicurezza di poter stare senza paura davanti a Dio. Come una bambina, Thérèse si rimette completamente al nostro Padre celeste per arrivare a camminare sulle vette. Anche la sua spiritualità, ancorata in una teologia sicurissima, è liberatrice perché porta a compimento quel che Gesù è venuto a elemosinare su questa terra: la nostra fede e la nostra fiducia. La santa di Lisieux opera una sorta di prodigiosa sintesi dello spirituale e del dottrinale.
[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]
Un anno fa moriva Gabriele Galloni-È stato co-direttore di Inverso – Giornale di poesia –
Fonte-Redazione «Inverso – Giornale di poesia»
a cura di Mattia Tarantino-fotografia di Arianna Vartolo
Un anno fa moriva Gabriele Galloni. Pensiamo che il modo più opportuno per ricordarlo sia proporre ai lettori una selezione dei versi che ci ha lasciato: una breve mappa che ci permetta ancora di dire «La musica dei morti è il contrappunto/ dei passi sulla terra». Una mappa – così, crediamo, avrebbe sorriso – finalmente libera dai punti cardinali.
Slittamenti
È giù negli interstizi di
tempo tra i minimi
e i massimi che accade
l’irreparabile.
*
Sappiamo per esempio
senza dirlo che adesso Villa Sciarra
è di nuovo uno scatto
sovraesposto, un abbassare lo sguardo
per troppa luce, il conto
di questa estate e di quelle trascorse.
*
Dormiva: questo ha detto. Lo ha svegliato
un fischio: così ha scritto. Un fischio come
d’aria tra spazi vuoti – già passato.
Di tutto questo a malapena il nome.
In che luce cadranno
I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci
con una mano – e l’altra all’Invisibile.
*
Ho conosciuto un uomo che leggeva
la mano ai morti. Preferiva quelli
sotto i vent’anni; tutte le domeniche
nell’obitorio prediceva loro
le coordinate per un’altra vita.
*
I morti guardano alla luna come
un errore, uno sgarbo del creato;
pensano infatti che sia cosa messa
lì per illuderli (non percorribile).
L’imitazione di un antico sesso
senza ingresso né uscita né sala
d’attesa.
*
La musica dei morti è il contrappunto
dei passi sulla terra.
Creatura breve
Fabula
Volle provare la dissoluzione
della carne. Provarla con coscienza.
Rendersi terra fertile, ma senza
morire; vivo senza soluzione.
Pro Verbis #3
Rompi la roccia e ne uscirà dell’acqua.
Potrai berla, pensare un ritorno
alla materia dell’ultimo giorno.
La cosa che ti anticipa e ti chiude.
Fabula
Questa luna è una corsa di bambini
attorno a un pozzo quando il pozzo è pieno
fino all’orlo. E nessuno per chilometri.
Pro Verbis #4
E saremo l’Immagine dell’uomo.
Non la creatura breve, ma la traccia.
L’estate del mondo
Me ne vado; ma tu sei lontananza
che ritorna. L’eternità felice
del tuo viso indagato controluce –
dalla Magliana vecchia alla mia stanza.
*
Luna di luglio: dalla tua finestra
scoperta di sfuggita sopra il mare.
Per poco, ma l’abbiamo fatta nostra
pensando fosse un fondo di bicchiere.
Luna di mare; ciotole di legno
in fila tutte lungo il davanzale.
Il cielo non si asciuga – intanto
la marea sale.
III
Ma l’ultima parola sulla Luna
spettò al più piccolo di noi, che disse:
la Luna è questa duna senza attesa
di mare; è l’autostrada che da Piana
del Sole porta fuori le città
di tutto il mondo.
*
Capitava la notte che si andasse
a frugare, bambini, tra gli scogli;
cercando il Filo che riavvicinasse
le stelle l’una all’altra.
Raggiungere lo spazio dalla riva
del mare; intanto cogliere una lucciola
dal bagnasciuga e saperla sorpresi
ancora viva.
*
È la notte di san Lorenzo. Prima
che cadano le stelle scavalchiamo
il muretto del centro sportivo.
L’acqua della piscina è ancora mossa;
imita nei suoi guizzi le vicine
luci del campo da calcio; riflette
i nostri visi oltre il bordo, curiosi
del fondale laccato.
“Guarda”, mi dici alzando la tua Tennent’s
verso la Luna, “è come se a momenti
tutti i passati a noi qui ritornassero;
l’acqua si muove, si sta preparando
a ridarceli tutti”. Getti via
la bottiglia ormai vuota. Ci sediamo.
Ignoravamo che una volta nudi
saremmo nudi rimasti per sempre.
C’è qualcuno vicino a noi, ma l’ombra
lo nasconde. Sappiamo a cosa i corpi
servono gli uni agli altri, ché vent’anni
sono bastati a questo.
Abbiamo smesso di parlare; adesso
ascoltiamo soltanto.
Le presenze
non ci temono più; così continuano
i loro giochi a bassa voce, quasi
chiedessero a noi di imitarle.
Bestiario dei giorni di festa
Il cane
Un cane con due zampe è sempre un cane.
Purché sempre ricerchi con la coda
la fissità delle cose lontane.
Il pesce rosso
Il pesce rosso è aruspice celeste;
prova tu a decifrare le stelle da un vetro –
sicuramente non ci riusciresti.
Lo struzzo
Andando sempre avanti tutto il mondo
ci dimenticherà. Lo struzzo
preferisce così girare in tondo.
Gabriele Galloni (1995 – 2020).Ha pubblicato le raccolte poetiche Slittamenti (Augh!, 2017), In che luce cadranno (RP, 2018), Creatura breve (Ensemble, 2018) e L’estate del mondo (Marco Saya, 2019). Ha pubblicato, inoltre, la raccolta di racconti Sonno giapponese (Italic Pequod, 2019). È stato co-direttore di Inverso – Giornale di poesia e autore e ideatore, per la rivista Pangea, della rubrica Cronache dalla Fine: dodici conversazioni con altrettanti malati terminali
Le discariche della poesia sono piene di lirica intimistica. Aggrediamo piuttosto gli oppressori degli uomini e della natura. Non scendiamo a compromessi con le necessità culturali del potere editoriale e di quello più in alto. Come ha scritto Pablo Neruda, la poesia a cui è estranea la passione civile non solo è inutile ma addirittura è dannosa.
le discariche della poesia sono stracolme
di lirica intimistica anche di quella d’amore
conta appena angusti orridi vuoti fra picchi di macerie
quella della divina consolazione
degli spasimi per la verità nascosta
dell’indagine introspettiva dell’esistere
dei languori della nostalgia che mai si estinguerà
in mille declinazioni e mille lingue pallida
la lirica si ripete vuota
e inutile è il lamento che ormai nessuno più l’ascolta
forza poeti coraggio
baldi invochiamo in coro delle figlie di mnemosine il soccorso
forti che dei rottami dell’ironia le cave sono ancora vuote
come di quelli della provocazione, della ricerca della verità
subito ai nemici della vita lanciamo la sfida eccitante
accaniamoci ringhiosi contro gli oppressori degli uomini
degli animali delle piante delle cose
di questa nostra Terra che ci è madre e padre
unico paradiso certo nell’universo
fino a quando accoglierci potrà
da più soddisfazione una timida solidarietà sentita
per una vita offesa per un pallido eroe della strada
per l’insozzamento d’un fiumiciattolo insignificante
che mille premi di giurie cieche di turbe di uomini violati
sorde all’assordante chiamata di dignità
Fonte-Ass. La Città Futura-| Via dei Lucani 11, Roma | Direttore Resp. Adriana Bernardeschi
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