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Poesia Edita e Inedita
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Denise Levertov-Poesie da Collected Poems-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Denise Levertov-Poesie da Collected Poems
traduzione di Paola Splendore
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Creare la pace
Una voce dal buio gridò,
“I poeti devono donarci
immaginazione di pace, per scacciare la violenta, consueta
immaginazione del disastro. Pace, non solo
l’assenza di guerra”.
Ma la pace, come una poesia,
non esiste prima di esserci,
non si può immaginare prima che sia creata,
non si può conoscere se non
nelle parole di cui è fatta,
grammatica di giustizia,
sintassi di mutuo soccorso.
Un’ impressione,
la vaga intuizione di un ritmo, è tutto quello che abbiamo
finché non cominciamo a pronunciarne le metafore,
a scoprirle mentre parliamo.
Un verso di pace potrebbe forse
nascere
se riformuliamo la frase della nostra esistenza,
cancelliamo la sua riaffermazione di profitto e potere,
mettiamo in discussione i nostri bisogni, ci prendiamo
lunghe pause . . .
Un ritmo di pace potrebbe forse reggersi
su quel fulcro diverso; la pace, una presenza,
un campo di forza più intenso della guerra,
potrebbe allora palpitare,
strofa dopo strofa nel mondo,
ogni gesto di vita
una sua parola, ogni parola
un fremito di luce – facce
del cristallo che si va formando.
da Collected Poems, New Directions, 2013
traduzione di Paola Splendore
Toccare il centro
“Sono un paesaggio” dice lui
“un paesaggio e una persona che cammina in quel paesaggio.
Ci sono dirupi spaventosi qui,
e pianure appagate dalla loro
bruna monotonia. Ma soprattutto
ci sono foibe, luoghi
di terrore improvviso, di corto diametro
e infida profondità”.
“Lo so”, dice lei. “Quando vado
a passeggiare dentro me, come capita
un bel pomeriggio, senza pensarci,
presto o tardi arrivo dove falasco
e mucchi di fiori bianchi, ruta forse,
segnano la palude, e so che lì
ci sono pantani che possono tirarti
giù, farti affondare nel fango gorgogliante”.
“Avevamo un vecchio cane, dice lui, quand’ero ragazzo”,
un buon cane, socievole. Ma aveva una ferita
sulla testa, se ti capitava
di toccarla appena, saltava su con un guaito
e ti azzannava. Diede un morso a un bambino,
e dovettero portarlo dal veterinario e abbatterlo”.
“Nessuno sa dove si trova” dice lei,
“e nessuno la tocca neppure per sbaglio.
È dentro il mio paesaggio, e io sola, mentre avanzo
ansiosa nella vita, tra le mie colline,
dormendo sul muschio verde dei miei boschi,
inavvertitamente la tocco,
e mi avvento contro me stessa -“
“oppure mi fermo
appena in tempo”.
“Sì, impariamo a farlo.
Non è di paura, ma di dolore che parliamo:
quei punti dentro noi, come la testa ferita del tuo cane,
feriti per sempre, che il tempo
mai lenisce, mai.”
Zeroing In
“I am a landscape,” he said,
“a landscape and a person walking in that landscape.
There are daunting cliffs there,
And plains glad in their way
Of brown monotony. But especially
There are sinkholes, places
Of sudden terror, of small circumference
And malevolent depths.”
“I know,” she said. “When I set forth
To walk in myself, as it might be
On a fine afternoon, forgetting,
Sooner or later I come to where sedge
And clumps of white flowers, rue perhaps,
Mark the bogland, and I know
There are quagmires there that can pull you
Down, and sink you in bubbling mud.”
“We had an old dog,” he told her, “when I was a boy,
A good dog, friendly. But there was an injured spot
On his head, if you happened
Just to touch it he’d jump up yelping
And bite you. He bit a young child,
They had to take him to the vet’s and destroy him.”
“No one knows where it is,” she said,
“and even by accident no one touches it:
It’s inside my landscape, and only I, making my way
Preoccupied through my life, crossing my hills,
Sleeping on green moss of my own woods,
I myself without warning touch it,
And leap up at myself”
“or flinch back
Just in time.”
“Yes, we learn that
It’s not terror, it’s pain we’re talking about:
Those places in us, like your dog’s bruised head,
That are bruised forever, that time
Never assuages, never.”
*
Presagio
Basta con questi rami, questa luce.
Il cielo, anche se azzurro, mi intralcia.
Da quando ho cominciato a capire
di avere altro da fare,
non so più stare dietro al ritmo
dei giorni col passo agile degli altri inverni.
L’albero svettante,
quello che l’alba tingeva d’oro
è stato abbattuto – quel fervore di uccelli e cherubini
soffocato. La siccità ha scurito
più di una foglia verde.
Da quando
so che un altro desiderio ha cominciato
a proiettare i suoi lacci fuori di me
in un luogo ignoto, mi protendo
in un silenzio quasi presente,
inafferrabile tra i battiti del cuore.
Intimation
I am impatient with these branches, this light.
The sky, however blue, intrudes.
Because I’ve begun to see
there is something else I must do,
I can’t quite catch the rhythm
of days I moved well to in other winters.
The steeple tree
was cut down, the one that daybreak
used to gild – that fervor of birds and cherubim
subdued. Drought has dulled
many a green blade.
Because
I know a different need has begun
to cast its lines out from me into
a place unknown, I reach
for a silence almost present,
elusive among my heartbeats.
*
Due montagne
“Avvertire l’aura di una cosa che guardiamo significa
dotarla della capacità di rispondere al nostro sguardo.”
Walter Benjamin
Per un mese (un attimo)
ho vissuto accanto a due montagne.
Una era solo un bastione
di roccia pallida. ‘Una facciata di roccia’ si dice
senza pensare a un’espressione o a un volto –
un’astrazione.
Ma si dice anche
‘un uomo dal volto di pietra’, oppure ‘si è chiusa
in un silenzio di pietra.’ Questa montagna,
avesse avuto occhi, avrebbe sempre guardato
oltre o attraverso; la bocca, ne avesse avuta
una, avrebbe stretto le labbra sottili,
implacabile, senza concedere niente, proprio niente.
L’altra montagna emanava
un silenzio tutto diverso.
Può essere che (da me non avvertita)
cantasse, addirittura.
Burroni, foreste, nudi picchi di roccia, obliqui, fuori centro,
in un elegante cono acuto o corno, avevano l’aria
di provare piacere, piacere di esistere.
Questa la guardavo e riguardavo
senza trovare
un modo per convincerla a incontrare il mio sguardo.
Dovetti accettare la sua totale indifferenza,
la mia totale insignificanza,
essere
inconoscibile per la montagna
come un ago di pino o di abete
sui suoi lontani pendii, per me.
Two Mountains
“To perceive the aura of an object we look at means to invest it
with the ability to look at us in return.”
Walter Benjamin
For a month (a minute)
I lived in sight of two mountains.
One was a sheer bastion
of pale rock. ‘A rockface’, one says,
without thought of features, expression –
it’s an abstract term.
But one says, too,
‘a stony-faced man’, or ‘she maintained
a stony silence.’ This mountain,
had it had eyes, would have looked always
past one or through one; its mouth,
if it had one, would purse thin lips,
implacable, ceding nothing, nothing at all.
The other mountain gave forth
a quite different silence.
Even (beyond my range of hearing)
it may have been singing.
Ravines, forests, bare rock that peaked, off-center
in a sharp and elegant cone or horn, had an air
of pleasure, pleasure in being.
At this one I looked and looked
but could devise
no ruse to coax it to meet my gaze.
I had to accept its complete indifference,
my own complete insignificance,
my self
unknowable to the mountain
as a single needle of spruce or fir
on its distant slopes, to me.
Denise Levertov (1923-1997)-Nata e cresciuta in Inghilterra, ma trasferita negli Stati Uniti nel 1947, Denise Levertov (1923- 1997) è una voce importante del canone poetico nordamericano del ventesimo secolo, e tuttavia ancora non ben conosciuta in Italia. Il corpus completo della sua opera è stato raccolto nel 2013 in un volume di oltre mille pagine, Collected Poems (a cura di P. A. Lacey e A. Dewey per New Directions), consentendo per la prima volta uno sguardo complessivo sulla molteplicità delle forme e dei registri poetici impiegati, da quello autobiografico-confessionale a quello di ispirazione etica e religiosa, dalla poesia di impegno e testimonianza civile alla riflessione sul lavoro poetico.Le poesie proposte, tratte da due raccolte degli anni ottanta del Novecento, accentuano un motivo profondo e pervasivo di tutta la sua opera : l’osservazione, l’ascolto, l’empatia con il mondo naturale – animali, alberi, montagne, laghi – creature viventi e senzienti, a volte trasfigurate in senso antropomorfico e metapoetico, la cui esistenza è spesso minacciata dall’opera di distruzione dell’uomo. Motivo, o assillo, che diventa dominante negli ultimi anni della vita di Levertov, in coincidenza con il suo trasferimento a Seattle, dove vive in prossimità del lago Washington e del gigantesco vulcano Rainier, presenza viva e misteriosa di molte sue poesie.
Paola Splendore ha insegnato Letteratura inglese all’Università Orientale di Napoli e all’Università di Roma Tre, occupandosi in prevalenza di letterature post-coloniali e di letteratura migrante. Tra le sue aree di studio vi è anche la rappresentazione letteraria della violenza nella narrativa scritta da donne. Ha pubblicato saggi sull’opera di scrittori indiani, sudafricani e caraibici, oltre ad aver curato le edizioni italiane di opere di Virginia Woolf, del filosofo Raymond Williams e del premio Nobel J.M. Coetzee. Per Donzelli ha tradotto poesie di Sujata Bhatt (Il colore della solitudine, 2005), Ingrid de Kok (Mappe del corpo, 2008), Karen Press (Pietre per le mie tasche, 2012) e Moniza Alvi (Un mondo diviso, 2014); ha inoltre curato con Jane Wilkinson l’antologia di poesia sudafricana Isole galleggianti (2011) e tradotto una raccolta di poesie di Jo Shapcott (Della mutabilità, 2015). Dal 2016 a oggi ha coordinato il gruppo di traduttrici di un poemetto di Philip Schultz (Erranti senza ali) e ha curato le edizioni italiane di sillogi poetiche di Hardi Choman (La crudeltà ci colse di sorpresa, 2017), Philip Schultz (Il dio della solitudine, 2018) e Ruth Padel (Variazioni Beethoven, 2021).
Giuseppe Bartoli -Poeta -Militare antifascista e Partigiano- Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Giuseppe Bartoli –Militare antifascista, Partigiano, Autore del libro il libro
-Edizioni Zero Lire-
. 25 APRILE
L’importante è non rompere lo stelo
della ginestra che protende
oltre la siepe dei giorni il suo fiore.
C’é un fremito antico in noi
che credemmo nella voce del cuore
piantando alberi della libertà
sulle pietre arse e sulle croci.
Oggi non osiamo alzare bandiere
alziamo solo stinti medaglieri
ricamati di timide stelle dorate
come il pudore delle primule:
noi che viviamo ancora di leggende
incise sulla pelle umiliata
dalla vigliaccheria degli immemori
Quando fummo nel sole
e la giovinezza fioriva
come il seme nella zolla
sfidammo cantando l’infinito
con un senso dell’Eterno
e con mani colme di storia
consapevoli del prezzo pagato
Sentivamo il domani sulle ferite
e un sogno impalpabile di pace
immenso come il profumo del pane
E sui monti che videro il nostro passo
colmo di lacrime e fatica
non resti dissecato
quel fiore che si nutrì di sangue
e di rugiada in un aprile stupendo
quando il mondo trattenne il respiro
davanti al vento della libertà
portato dai figli della Resistenza.
AD UN PARTIGIANO CADUTO
E’ un fiume di ricordi ormai amico
la strada che conduce
a quei giorni lontani di smeraldo
dove sostammo come creduli ragazzi
a creare coi sogni nelle vene
fantasie di speranze e di parole
fra pugni di “canaglie in armi”
Forse potrei dimenticare il giogo
che mi lega all’arco dei rimpianti
se soltanto le voci dei compagni
tornassero a cantare
come quando la vita dilagava
e tu portavi alla gioia di tutti
il tuo sorriso di fanciullo
e la forza serena dei tuoi occhi
Ma anche se il tempo non ricama
che fili d’ombra sulla memoria
e il tormento di quell’assurdo giorno
quando attoniti restammo
davanti alla pietà della tua forca
è pur sempre l’ora della tua lotta
del tuo caldo vento di libertà
immenso come grembi di colombe
in volo fra fiori d’acquadiluna
Tu solo amico adesso
puoi scegliere i ritorni
e dirci ancora
col battito delle tue ali
le bellezze della vita
e le dolci innocenze della morte.
NOI CHE CADEMMO
Fummo una zolla qualunque
al taglio del vecchio aratro
che il nuovo trattore ferisce
inpianto, sudore e lavoro
Ora ascoltiamo i sospiri
di neri e snelli cipressi
dipinti da soffi di sole
in chicchi di riso azzurrino
che l’acre piovasco flagella
Viviamo in bellezze di morte
fra pioppi inclinati sul rio
E siamo la gialla pannocchia
che nutre la fame del povero
che accende la fede nell’uomo
Siamo promessa di pace
che tesse tovaglie d’altare
e bianchi lini di sposa
per alta promessa di vita
…………………………………….
noi che cademmo a vent’anni
nel sogno sublime dei liberi.
CA’ DI MALANCA
Se non sai leggere
negli occhi rossi
delle ginestre
nate dal sangue
della libertà
la muta preghiera
che scuote le catene
dei tiranni . . . .
Se non t’inginocchi
sulla brace
della carne accesa . . . .
Se non piangi
sui muri di corallo
delle case arse
e se non baci
la paglia insanguinata
dalle vene di tuo fratello
sei solo un fardello inutile
che non paga
il giusto prezzo ai Morti
Solo quando capirai
tutto questo . . . .
Solo quando ricorderai
come mordevi con dente di lupo
l’ultimo pane
nel cavo della mano contadina
potrai rivivere
quella primavera colma di rosso
per il primo fiore della Libertà
I MORTI ASPETTANO UN RAGAZZO DAGLI OCCHI DI SOLE LA MÖRT ED CURBERA LA MORTE DI CORBARA I DISCORSI D’ALLORA A CRESPINO LA DISFATTA UN BARATTOLO DI LATTA UNA FARFALLA DI CENERE
INTRODUZIONE
Udimmo il tonfo delle rane
negli alti silenzi dei meriggi
e il respiro lieve dei cavalli
nelle estese vele delle notti
gonfie di lucciole e di fremiti
Sulle nostre tavole di fieno
abbiamo mangiato
lacrime e canti
fra grappoli di rondini
in giostra nel cielo
Udimmo la scure abbattersi
sui letti deserti dei boschi
mentre carri di ricordi
si trascinavano lenti
Poi arrivò l’alba
d’una rossa primavera
con brezze di mandorli avvolte
nell’immemore pianto della terra
Tornammo dalle nostre madri
dopo una lunga notte insonne
intonando canti senza dolore
Le culle delle foglie
che ci furono compagne
raccolsero il vagito
della rinata libertà
e sui crateri di sangue
– scavati –
dalla nostra lotta
mani nude di orfani
sfidarono il cielo
Dal buio delle fosse
vergini di croci
gli occhi spalancati
dei partigiani caduti
si chiuderanno solo
se la loro speranza
diventerà la nostra.
Sono tornato dove un ragazzo
dai grandi occhi di sole
ha maturato le sue radici
Sono tornato dove abbiamo
sepolto la nostra giovinezza
e dove il nome di battaglia
nasceva tra bagliori di fuoco
Ed ho ritrovato la mia estate
L’estate dei ramarri sui muri
la fionda dall’elastico rosso
i piedi scalzi color di terra
e tutta la luce del giorno
a tingerci d’ambra le mani
Qui “giocavamo” alla guerra
fra siepi di rovi e di more
dietro lo scudo delle foglie
povera “canaglia” della libertà
inerme come grembi di colombe
Raccogliemmo morte e mirtilli
e tra cappotti di lune rosse
rubammo l’oro alle lucciole
Quando tua madre ingobbita
come la collina che ti colse
soffocò l’urlo e i singhiozzi
nella “tana” d’uno scialle nero
per te cantarono le cicale
e si schiusero nidi di viole
C’era un profumo di ginestre
nel cielo della tua ultima estate
Ora ti guardo senza piangere
compagno dagli occhi di sole
e mi chiedo se non fu fortuna
quel tuo andartene allora
col freddo sudore di morte
sul tenerume delle labbra
ancora ebbre di latte materno
Te ne andasti e forse fu meglio
perchè adesso solo le pietre
urlano come monumenti nudi
e perchè ragazzo senza nome
siamo ormai pochi a ricordare
il “sorriso” delle tue tenere vene
che si svuotavano come calici
per l’ultimo brindisi alla vita.
I s’arbuteva coma spig’d grân Si rovesciavano come spighe di grano
cun del biastèm che pareva preghir con delle bestemmie che sembravano preghiere
e vers e’ zêl e verso il cielo
pal’d s-cióp spudedi fra i dént palle di schioppo sputate tra i denti
l’andeva e’nom’d Maria e chietar sént andava il nome di Maria e degli altri santi
E prèm a caschê e fo Curbera Il primo a cadere fu Corbari
e par la bòta e per il tonfo
o tremê la tëra e o fo sobit sera tremò la terra e fu subito sera
A lé stuglé, ribèl senza pio’ él Lì disteso, ribelle senza più ali
u raspeva da e’ mêl raspava dal male
cun cla manaza grânda e cuntadéna con quella manaccia grande e contadina
……. bôna l’era la tëra ……….. ……………… buona era la terra
grasa e féna ……………. grassa e fine
Raspa Curbera, raspa stvò truvé Raspa Corbari, raspa se vuoi trovare
l’eteran cunzem dla libartê: l’eterno concime della libertà:
e’ sangue rumagnöl il sangue romagnolo
cla imbariaghê ogni côr che ha ubriacato ogni cuore
Strèca, strèca la tëra Stringi, stringi la terra
l’è sèmpar cl’udôr è sempre quel profumo
l’è sèmpar l’amôr dla stesa mâma è sempre l’amore della stessa mamma
cut fa da lët pövar fiol’d Rumâgna che ti fa da letto povero figlio di Romagna
Strèca ed elza la tësta, so canàja! Stringi ed alza la testa, su “canaglia”!
L’as drèza la camisa sanguneda Si alza la camicia insanguinata
la pê ôn lôm a Mérz, lôm’d premavera sembra un lume a marzo, lume di primavera
l’è bèl finì e’ su dé par na bangera è bello finire la vita per una bandiera
E cvànd che la prema sfója’d sôl E quando la prima sfoglia di sole
la spôrbia d’ôr tota la campagna spolvera d’oro tutta la campagna
e’partigiân e mör il partigiano muore
Bsén a lô ôn pòpul’d cuntadén Vicino a lui un popolo di contadini
o prega e o biastèma a tësta basa prega e bestemmia a testa bassa
Sôra a lô na bânda d’asasén Sopra di lui una banda d’assassini
la rid cun la vargôgna in faza ride con la vergogna in faccia
E’ sôl c’nas e dà vita a la brèza Il sole che nasce da vita alla brezza
nud coma Crèst, inciudê tna trèza nudo come Cristo inchiodato in una treggia
e pasa per l’amiga campâgna passa per l’amica campagna
l’ultum re dla muntâgna l’ultimo re della montagna
Brigant dla libartê e preputént Brigante della libertà e prepotente
ma s-cét com l’è s-cét la su zént ma schietto come è schietta la sua gente
s-cét coma i nost dê pasê bsén el stël schietto come i nostri giorni passati vicini alle stelle
fra e’ piânt’d mâma e cvèl de parabël tra il pianto di mamma e quello del parabello
(1) Silvio Corbari, medaglia d’oro della Resistenza.
Parlavamo di noi
quando la sera maturava
la stanchezza del giorno
e le contadine velate di nero
raccontavano al cielo
i guasti della pioggia
del vento e della guerra
Parlavamo di noi
all’acqua vergine di fonte
mescolando al grattare del mitra
la ragione di crederci uomini
e il diritto di lasciare
alle bestie da soma
il vanto pesante del basto
Parlavamo d’idee
mescolando bestemmie
ai rosari di pietra
per lasciare lontano l’inverno
che marciva nei solchi
e la fame
che uccideva le ultime favole
negli occhi dei bambini
Parlavamo di noi
cercando nei boschi la vita
e nei sentieri di piombo
le nostre radici di uomo
Parlavamo di noi
quando albe di fuoco
scoprivano i nostri fantasmi
già stanchi al primo mattino
già vecchi a soli vent’anni
Parlavamo del nostro domani
davanti alla salma nuda
d’un compagno caduto
e ad un ventre di terra
– che ingoiava –
le noste tenere radici
lasciandoci in bocca
la voglia rabbiosa
d’un tempo migliore
in cui ancora sperare
Vennero i giorni della primavera
La terra si coprì d’allegria
cantò tutti i colori del cielo
andò a piangere sui seminati
Nell’antica valle del Lamone
fiorì il natale sacro dei ciliegi
e le spighe in curva preghiera
baciarono il rosso dei papaveri
I campi non furono più tristi
quando sopra sbocciarono gentili
le rose selvatiche del maggio
Nessuno parlava di morte
fra le spine dei rossi lamponi
Ma la morte era in ogni pietra
nel filo dell’erbe e delle foglie
La morte vagava lungo il fiume
negli occhi delle bestie inquiete
nel taglio affilato della scure
E venne il giorno del martirio
sull’inerme cuore contadino
sulle mani rotte dal lavoro
sulla vanga ancora impastata
di buona terra e sacro sudore
Quando i barbari furono pronti
tacque il mormorio dell’acque
e una nube scura salì al cielo
a nascondere la rosa del sole
Le mani strinsero altre mani
Le parole e un pianto disperato
narraron sogni e favole smarrite
e negli occhi grandi delle madri
si posò il bacio dei figli
E l’ultimo pensiero andò lontano
ai fuochi spenti alla terra arata
all’oro reciso delle spighe
e ai giorni senza più domani
ai canti che si spegnevano
a loro che salivano il Calvario
e a noi, a noi, che siamo rimasti
a cogliere i frutti d’una stagione
nata da vittime innocenti
Era l’intera valle delle Scalelle
e dei castagni sacri a Campana
che consumava l’ultima ora
Non li chiamavano per nome
per non spaccare la cesta dell’odio
Un cenno, una spinta, un urlo
e la morte li coglieva sul petto
unendo il gemito di chi andava
all’angoscia di chi attendeva
Il campo diventò bara immensa
nel tiepido meriggio estivo
Noch ein! Noch ein! Noch ein!
Ancora uno! Ancora uno! Ancora uno!
E un colpo dopo l’altro
rompeva il grido della carne viva
e il sangue si fondeva in grumi
nel rosario dei ceppi delle mani
nella coppa umida della terra
Quando il silenzio raccolse dai pendii
l’ultimo colpo e l’ultimo grido
– lontano –
oltre la malinconia dei roveti
un requiem di coralli accesi
si scaldava al lume delle case
e noi,, noi, quelli ancora vivi
attendevamo un “nuovo” mattino
P.S. Questa poesia intende ricordare l’eccidio di 42 inermi contadini vittime della barbaria nazista a Crespino sul Lamone – Luglio 1944.
Io non ho perso la guerra
quando combattevo
nella nuda terra africana
seppellito come un pidocchio
dentro una gabbana
fatta di sabbia e di sete
mangiando cavallette
Io non ho sporcato
l’argento delle mie stellette
nella steppa russa
mordendo con dente di lupo
le ossa condite di ghiaccio
dei miei fratelli caduti
Io perdo ancora la guerra
tutte le volte che penso
a me e agli altri ragazzi
che col fucile in mano
tenevamo Anna Frank
sepolta in una soffitta
E fra l’occhio spento del cielo
e l’odio assassino della terra
l’ebrea costruiva col sangue
quel monumento di pace
che schiaccia ancora adesso
l’anima di tutti i boia
Quella si che fu la vera disfatta
il marchio d’una sconfitta
che mi urla sempre addosso
con una bocca larga
come una camera a gas
La stella dalla coda
aveva appena perso
l’ultimo filaccio
ancora pregno di sangue
Adesso il mondo
poteva piangere
rannicchiato
fra gli spigoli
delle case arse
Ma un bambino
aveva tanta
tanta voglia di vivere
di correre sulla rugiada
che non appassiva più
sulla terra dischiusa
Cercava un barattolo
per giocare a palla
per capire dal suono
di quel giocattolo
che rideva fra i sassi
che il macello era finito
Ma nessuna luna d’argento
– rotolava –
sul grembo della terra
e allora spense
i suoi piedi nudi
fra spine di pietra
e diventò subito un uomo
Sarà festa grande
al taglio del maggese
per coriandoli di farfalle innamorate
libere dalle culle
dell’amore agreste
Voleranno
verso la vela
tenera del cielo
tra grida pulite
di bambini
frammenti ansiosi
d’albe serene
nati dalla brace
della carne accesa
E tornerà puntuale
il ricordo
della bimba di Bologna
che sognava
una farfalla di fiordaliso
da chiudere
nella gabbia del cuore
Vedo la sua immagine
dibattersi prigioniera
fra i rovi delle schegge
come rosa di macchia
nella siepe
Ogni anno
– per non dimenticare –
un filo di calendule d’oro
illuminerà
il sentiero di cenere
grigio
come la dolcezza
d’un settembre
Angela
non rivedrà più
gronde di luna
né si scalderà
all’abbaino del sole
con occhi
di passero sperduto
Di lei resta solo
un volo immenso
di cenere
che si posò leggero
sui suoi capelli
“come solinga
lampada di tomba”
Qualcuno di fronte a questa pubblicazione potrebbe intanto giustamente chiedersi a cosa serve la poesia. Rispondo con una frase dello scrittore americano William Carlos Williams laddove afferma che «niente di utile si trova nella poesia, ma l’umanità sta morendo miseramente ogni giorno per mancanza di ciò che si trova nella poesia». Pur ritenendo valido questo concetto si potrebbe pensare che la poesia possiede uno status specifico che la destina, lo si voglia o no, ad un pubblico di elite, a ristrette minoranze.
Ma così non è.
Abbiamo intanto un ricco patrimonio di versi dia-lettali che affonda le sue radici proprio nell’animo più popolare della nostra gente. E’ sufficiente ricorrere al lirismo di Aldo Spallicci o alla satira di Olindo Guerrini, alias Stecchetti, che esaltano la sensibilità più riposta e il diapason spirituale dei romagnoli, per capire l’importanza e il valore di immagini espressive che si richiamano alla fatica e al dolore dell’uomo, all’amore per la propria terra e le proprie tradizioni, concetti questi ancora profondamente radicati nell’animo più schietto del popolo.
La poesia è anche pensiero e fantasia, immagine e sentimento e lo sarà sempre fino a quando il sole risplenderà sulle sciagure umane.
Ed è proprio partendo dalla grande tragedia dell’ultima guerra che intendo dipanare il filo delle mie parole evidenziando, in particolare, l’olocausto di milioni di persone che assieme all’antifascismo, va visto come il substrato della Resistenza.
Ho avut o modo di leggere poesie scritte da bambini che hanno vissuto, prima di essere polverizzati nei lager tedeschi, momenti dilaganti di morte e disperazione. Si può cogliere in questi scritti una testi-monianza d’amore, un grido di condanna, un canto di speranza, un anelito di libertà che trascende la ricerca stessa della vendetta. Sono versi che diven-tano humus e linfa vitale offrendosi ad un’epoca in cui l’uomo barcolla alla ricerca di una luce che rischiari sentieri futuri per non morire per sempre.
Sentite cosa ha scritto, prima di entrare nei forni crematori, un ragazzo di quattordici anni:
“Prova, amico, ad aprire il tuo cuore alla bellezza
quando cammini tra la natura
per intrecciare ghirlande con i tuoi ricordi
e anche se le lacrime ti cadono lungo la strada
vedrai che è bello vivere”
E non va dimenticato neanche il monito del piccolo ebreo Hanus “gasato” ad Auschwitz quando dice “che l’uomo non deve più lasciarsi riprendere dal sonno”. E il sonno in questo caso significa accettare supinamente le libertà perdute.
Ed Alena Synkova sogna orizzonti di pace, pur sapendo di dover morire, lasciandoci questi versi:
“Vorrei andare sola
dove c’è altra gente migliore
in qualche posto sconosciuto
dove nessuno uccide”
Ho voluto di proposito far precedere alle mie poesie le stupende parole di alcuni dei tanti ragazzi che con il
tappeto delle loro ceneri innocenti prepararono la Resistenza di tutta Europa.
C’è una poesia che per il suo alto contenuto va inclusa in questa breve documentazione. Non è mia, ma del poeta siciliano Ottavio Profeta.
“Se la mia voce morirà
sulla croce di pietra cittadina
portatela sulla cima del mio monte
che s’alza nel vento
e si corica nella nebbia
Se la mia voce morirà
nella mia pianura
cercatela nel canneto
nella conchiglie del mare
e nell’acqua del fiume
Se la mia voce morirà
ridatemela viva
fra gli alberi del bosco
dove ogni sera
canta un usignolo” –
Tornando ai bambini di Terezin e degli altri campi di sterminio, è sorprendente constatare la consonanza della poesia con la natura del fanciullo, il gusto estetico essenzialmente contenutistico, che non disdegna l’aspetto formale, le continue trasfigurazioni in immagini semplici e profonde. L’età evolutiva rivaluta il suo copioso scrigno di sogni. di intuizioni, di amore. Nel caso dei ragazzi di Terezin, il realismo è esaltato dalla virtù della speranza. Di fronte al bivio del “day after”, la storia e la poesia ripropongono la missione millenaria dell’umanità che si può sintetizzare in pochi versi:
“…..e la speranza libera dalla gabbia
colorerà la nebbia delle ore”.
Questa pubblicazione, voluta dalla Comunità Montana nell’ampio quadro delle celebrazioni del cinquantenario della Resistenza, è indirizzata, in particolare, verso i ragazzi affinchè il ricordo dei loro coetanei che si aggiravano come passere bianche tra i fili spinati dei campi di prigionia, non sia dimenticato. Siamo di fronte alla tragedia di una adolescenza senza dimensione che va vista come un bozzolo di sole spento da uomini in delirio.
L’olocausto dei ragazzi polverizzati nelle camere a gas, fu forse segno d’incantesimo, di cenere che s’innalzò come un vortice sulla notte di una civiltà calpestata.
Ognuno di noi deve finalmente capire che l’innocente battito d’ali e il solco di terra che “annegava” tenerezza di ossa, appartiene all’umanità tutta come un monito tremendo.
«…..non è più tempo amico
di trascinare uomini col giogo
sui «Golgota» affamati di croci
Non è più tempo delle gioie
né di rimembranze serene
se capisci che affondi i piedi
sul sangue degli innocenti
Resta coi bambini di Terezin
e vedrai che dopo la lunga notte
i licheni tenaci della libertà
chiuderanno le crepe profonde
delle nostre coscienze stanche» –
Breve biografia di Giuseppe “Pino” Bartoli, nato a Brisighella il 18/07/1920 e deceduto il 20/06/2004. Ex Ufficiale di Stato Civile ed ufficiale della formazione partigiana “Silvio Corbari”, grado riconosciutogli dal Ministero della Difesa, ha ricoperto, nel comune di Brisighella, tutti gli incarichi pubblici: Sindaco, Presidente della Comunità Montana, della Pro Loco, delle Opere Pie e del Museo del Lavoro Contadino.
Poeta in lingua e vernacolo nonché prosatore, si è affermato in oltre 500 concorsi letterari, molti dei quali di livello nazionale ed internazionale.
Cavaliere della Comunità Poetica Europea e Commendatore dell’Ordine Militare di S.Andrea, socio di 10 Accademie di lettere, arti e scienze, ha conseguito per due volte l’Oscar di Letteratura “Romagna”.
In sua memoria, si tiene annualmente un concorso di poesia, elaborati, disegni, ceramiche, ecc. riservato agli
quei giovani in cui Giuseppe riponeva la sua speranza per il futuro e che credeva fossero la gioia più bella del mondo.
Poesie di Alice Walker-Poetessa e scrittrice statunitense-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Alice Walker
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Prima di lasciare il palco
Prima di lasciare il palco
Canterò l’unica canzone
Che davvero dovevo cantare.
È la canzone
IO SONO.
Sì: Io sono Io
&
Tu.
NOI SIAMO.
Amo Noi con ogni goccia
del nostro sangue
ogni atomo delle nostre cellule
le nostre particelle ondeggianti
-imperterrite bandiere del nostro Essere-
Né qua né là.
Traduzione di Rocio Bolanos
Nuovo viso
Ho imparato a non preoccuparmi dell’amore
ma di onorare le sue visite
con tutto il mio cuore.
Esaminare i cupi misteri
del sangue
con mente allegra e
leggera,
conoscere il flusso delle emozioni
sciolte e veloci
come l’acqua.
La fonte sembra
qualche inesauribile
sorgente
all’interno della nostra doppia
o triplice essenza;
il nuovo viso che io
rivolgo a te
nessuno al mondo
l’ha visto
ancora.
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Before I leave the stage
Before I leave the stage
I will sing the only song
I was meant truly to sing.
It is the song
of I AM.
Yes: I am Me
&
You.
WE ARE.
I love Us with every drop
of our blood
every atom of our cells
our waving particles
-undaunted flags of our Being-
neither here nor there.
New Face
I have learned not to worry about love;
but to honor its coming
with all my heart.
to examine the dark mysteries
of the blood
with headless heed and
swirl,
to know the rush of feelings
swift and flowing
as water.
The source appears to be
some inexhaustible
spring
within our twin and triple
selves;
the new face I turn up
to you
no one else on earth
has ever
seen.
Torrevecchia Teatina – (CH), Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Torrevecchia Teatina – (CH)
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore-
Grandissimo successo per la Prima Nazionale dell’Orchestra Poetica al MLA/Museo Lettera d’Amore – Grandissimo successo e partecipazione di pubblico sabato 30 novembre al MLA/Museo Lettera d’Amore (Torrevecchia Teatina – CH), per la PRIMA NAZIONALE del progetto “Orchestra Poetica – la nostra musica è cuore di parole” direzione a cura di Beniamino Cardines. Ospite d’onore della serata lo scrittore Remo Rapino che ha intrattenuto il pubblico magistralmente in conversazione con Massimo Pamio e Beniamino Cardines.
La serata, come ha illustrato la dott.ssa Antonella Crudo della Sovraintendenza alle Belle Arti, è stata inserita nell’ambito del Piano di Valorizzazione del Ministero della Cultura 2024.
In collaborazione con il “Premio Lettera d’Amore”, sono state orchestrate alcune “Lettere d’amore e altre parole dal cuore”, lettere scritte da: Remo Rapino (Premio Campiello 2020), Beniamino Cardines (Premio Autore dell’Anno 2023), Paolo Cirulli, Silvia Di Lorenzo, Omar D’Anastasio, Rodolfo Palermo, Giorgio Gazzolo, Nicola Dragani, Lorella Santeusanio. Accompagnamento al contrabbasso a cura di Luigi Blasioli.
Orchestra Poetica con: Beniamino Cardines, Rosamaria Binni, Franca Berardi, Maria Gabriella Ciaffarini, Manuela Di Dalmazi, Sandra De Felice, Antonella Caggiano, Giulia Madonna, Lucia Magistro, Mara Motta, Annarita Pasquinelli, Caterina Franchetta, Francesca Di Giuseppe, Antonella D’Arrezzo, Maria Grazia Genova, Alessandro Palomba, Alessio Scancella, Patrizia Splendiani. Coordinamento: Annarita Pasquinelli Michetti. Supervisor: Masimo Pamio e Giuseppina Verdoliva. Regia/direzione artistica: Beniamino Cardines.Un progetto che vuole portare la voce della poesia nella vita di tutti i giorni come forma d’arte e linguaggio dialogante. A formare l’Orchestra Poetica un nucleo di poeti e poetesse pluripremiati in concorsi nazionali e apprezzati in tutt’Italia, ovvero alcune delle voci più interessanti della poesia abruzzese contemporanea.
Massimo Pamio, ideatore e direttore MLA: “Da oltre 20 anni riceviamo lettere d’amore da tutte le parti del mondo, questo vuol dire che c’è ancora chi vive l’amore e chi scrive l’amore. Il MLA/Museo Lettera d’Amore a Torrevecchia Teatina, è la piccola grande casa di questo progetto unico al mondo e molto apprezzato dai turisti internazionali che arrivano da noi alla ricerca della meraviglia che solo l’amore può suscitare. Il nostro archivio continua crescere di giorno in giorno come anche i molti riconoscimenti istituzionali che fanno di questo progetto un fiore all’occhiello della cultura.”
Beniamino Cardines, direttore artistico Orchestra Poetica: “La letteratura ci aiuta a costruire un mondo e la comprensione del mondo. Ciò che leggiamo diventa nostro patrimonio personale, una sorta di sistema immunitario parallelo. Senza la letteratura ci troveremmo di fronte a una regressione antropologica. L’Orchestra Poetica è un progetto innovativo, ideato per dare ulteriore slancio alla promozione della letteratura, oggi. Proponiamo delle parole da ascoltare, parole che si muovono nella coralità dei suoni e delle voci, dell’espressività. Un progetto performativo sulla letteratura che nasce oggi per restituire un cuore a molte parole sprecate.”
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Luca Tommasi –Poesie Inedite pubblicate dalla Rivista Atelier-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
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Luca Tommasi –Poesie Inedite-
Rivista Atelier-Fotografia di Lena Leander Kaschnig
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
molti i semi molti i fiori morto il bel canto
il culto continua ma fuori dalla finestra
dentro le campane suonano in cella
aorta ferrata trasporto ver sacro
*
La notte come un telo
potrebb’esser ampio lenzuolo
e non l’avvicendarsi delle piccole ombricole
che nel suono si fanno uova nate
una macchina si è affranta sul marciapiede
di mattina l’asfalto è tutto specchio
un vecchietto aveva forse scritto
una carezza sul viso a una carcassa
sembrava come dire il rosso
a un uomo di fango.
*
Ocra essere un tubero
come l’oro dal terriccio
inavvicinabile quando vicino
alla morte e coi corni viola
senz’ossa diventare tutto frutto
oppure come faceva il nonno
a casa si chiama cucumarazzo
farsi cibo senza pelle e figli
superare acerbo la maturità, fresco.
*
COSÌ POTRÒ GUARDARTI LE FESSURE
Qualcuno avrebbe potuto mettere
i fiori nel vaso della ricotta
come a dire terra espungimi
mostra fuori l’approvvigionamento
non si va dove una casa è come la casa
la cintola ammira lo spazio cerimoniale
appunta il trionfo sopra l’omero
vittoria della vita rudimento.
*
Tra un po’ sarà finito
il tempo della calendula
la persiana rafferma un rettangolo spanciato
quadro urbano dell’agosto fatto acqua
il suono è lontano – lo si ascolta dalla schiena
la finestra è aperta, guarda al mezzo:
sarà smessa l’ora che noi
in un poco avemmo in dote.
Luca Tommasi (Bari, 1991) è Architetto e Dottore di ricerca in Composizione Architettonica e Urbana. Cura l’identità visiva della libreria Millelibri – Poesia & altri mondi. Ha pubblicato una raccolta di haiku e piccole tirature di libri d’arte.
La rivista «Atelier»
http://www.atelierpoesia.it
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi
Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online
Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello
Caporedattore: Carlo Ragliani
Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo
Direttore: Giovanna Rosadini
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Edith Södergran-Notturno ed altre poesie-Mauro Pagliai Editore-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Edith Södergran-Notturno ed altre poesie-
a cura di Bruno Argenziano –
Mauro Pagliai Editore-FIRENZE
DESCRIZIONE dell’Antologia di Poesie di Edith Södergran-L’antologia racchiude quasi cento poesie (versione originale e traduzione italiana di Bruno Argenziano a fronte) tratte dalla multiforme produzione di Edith Södergran, madre dell’espressionismo finlandese, e principalmente dalle raccolte Poesie (Dikter, 1916), La lira di settembre (Septemberlyran, 1918), L’ombra del futuro (Framtidens skugga, 1920), La terra che non è (Landet som icke är, 1925).
Bruno Argenziano:”Nella rivista letteraria svedese “Horisont” n°1 del 1992 avente per tema “Edith Södergran”, in occasione del centenario della sua nascita, una nota scrittrice svedese contemporanea intitola il suo contributo così: “Il coraggio di non censurare la propria anima”. Chi ha avuto modo di studiare la multiforme produzione poetica della scrittrice finno-svedese, non può non sottoscrivere il succitato giudizio, pregnante quanto mai nella sua lapidaria semplicità. Che sia stata una donna ad esprimerlo non è strano se si pensa alla fascinazione che la Södergran tuttora esercita sull’animo femminile (Bruno Argenziano).
Una Poesia di Edith Södergran copertina
Notturno
Ho intonato un canto.
Venuto non so da dove –
è scivolato come seta sulle mie corde.
Che sia dovuto agli sciolti capelli neri della notte?
O forse ai bianchi tratti sognanti della luna?
E la notte cantava, cantava
della solitudine che cullando a tutto dà pace,
cantava delle sognanti naiadi,
dei ruscelli senza brusio, del segreto della gora…
La notte aveva il fiato sospeso –
una rosa mi si è avvizzita tra le mani –
e tale la quiete come fosse svanito l’ultimo sospiro
del tutto.
Mauro Pagliai Editore
Via Livorno, 8/32
50142 Firenze
+39 055 737871
info@mauropagliai.it
Mauro Pagliai -Dopo aver fondato e diretto per quasi cinquant’anni la casa editrice Polistampa, Mauro Pagliai ha dato vita nel 2007 alla nuova sigla Mauro Pagliai Editore, con l’obiettivo di conquistare una posizione significativa nell’industria libraria nazionale. L’ambizione è far uscire presso la nuova casa editrice sia talenti poco conosciuti sia i “pesi massimi” del panorama italiano e, al tempo stesso, approfondire il legame con i maggiori premi e festival letterari, con le Università e i centri di ricerca, oltre che con le più accreditate e prestigiose rassegne artistiche italiane. Per rendere effettivo questo ambizioso progetto editoriale, Mauro Pagliai ha formato una redazione di giovani professionisti e collaboratori che, con la direzione del figlio Antonio, vuol essere competitiva nei confronti delle grandi case editrici e aperta alle nuove ricerche e ai nuovi talenti del mondo della cultura.
Poesie di Alejandra Pizarnik-Poetessa argentina – Rivista AVAMPOSTO-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Alejandra Pizarnik-Poetessa argentina –
dalla Rivista AVAMPOSTO
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936,Poesie scelte dalla Rivista AVAMPOSTO in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Poesia
Tu scegli il luogo della ferita
dove dicemmo il nostro silenzio.
Tu fai della mia vita
questa cerimonia troppo pura.
Anelli di cenere
a Cristina Campo
Stanno le mie voci al canto
perché non cantino loro,
i grigiamente imbavagliati nell’alba,
i camuffati da uccello desolato nella pioggia.
C’è, nell’attesa,
una voce di lillà che si spezza.
E c’è, quando si fa giorno,
una scissione del sole in piccoli soli neri.
E quando è notte, sempre,
una tribù di parole mutilate
cerca asilo nella mia gola,
perché non cantino loro,
i funesti, i padroni del silenzio.
La notte
Della notte so poco
ma di me la notte sembra sapere,
e più ancora, mi assiste come se mi amasse,
mi ammanta di stelle la coscienza.
Forse la notte è la vita e il sole la morte.
Forse la notte è nulla
e nulla le nostre congetture
e nulla gli esseri che la vivono.
Forse le parole sono l’unica cosa che esiste
nel vuoto enorme dei secoli
che ci graffiano l’anima coi ricordi.
Ma la notte conosce la miseria
che succhia il sangue e le idee.
Scaglia l’odio, la notte, sui nostri sguardi
che sa pieni di interessi, di incontri mancati.
Ma accade che la notte, ne senta il pianto nelle ossa.
Delira la sua lacrima immensa
e grida che qualcosa è partito per sempre.
Un giorno torneremo a esistere.
Le opere e le notti
per riconoscere nella sete il mio emblema
per significare l’unico sogno
per non aggrapparmi di nuovo all’amore
sono stata tutta un’offerta
un puro errare
di lupa nel bosco
nella notte dei corpi
per dire la parola innocente
Presenza
la tua voce
in questo non potersene uscire le cose
dal mio sguardo
mi spossessano
fanno di me un vascello in un fiume di pietre
se non è la tua voce
pioggia sola nel mio silenzio di febbri
tu mi liberi gli occhi
e per favore
parlami
sempre.
Gli occhi aperti
Qualcuno misura singhiozzando
l’estensione dell’alba.
Qualcuno pugnala il cuscino
in cerca del suo impossibile
spazio di quiete.
Questa notte, in questo mondo
a Martha Isabel Moya
questa notte in questo mondo
le parole del sogno dell’infanzia della morte
non è mai questo che si vuol dire
la lingua materna castra
la lingua è un organo di conoscenza
del fallimento di ogni poesia
castrata dalla sua stessa lingua
che è l’organo della ri-creazione
del ri-conoscimento
ma non della resurrezione
di qualcosa in forma di negazione
del mio orizzonte di maldoror col suo cane
e niente è promessa
tra il dicibile
che equivale a mentire
(tutto ciò che si può dire è menzogna)
il resto è silenzio
solo che il silenzio non esiste
no
le parole
non fanno l’amore
fanno l’assenza
se dico acqua berrò?
se dico pane mangerò?
questa notte in questo mondo
straordinario il silenzio di questa notte
con l’anima succede che non si vede
con la mente succede che non si vede
con lo spirito succede che non si vede
da dove viene questa cospirazione d’invisibilità?
nessuna parola è visibile
ombre
spazi viscosi dove si occulta
la pietra della follia
neri corridoi
li ho percorsi tutti
oh fermati un altro po’ tra di noi!
la mia persona è ferita
la mia prima persona singolare
scrivo come chi alza un coltello nel buio
scrivo come dico
la sincerità assoluta sarebbe sempre
l’impossibile
oh fermati un altro po’ tra di noi!
lo sfacelo delle parole
che sloggiano il palazzo del linguaggio
la conoscenza tra le gambe
che cosa hai fatto del dono del sesso?
oh miei morti
li ho mangiati mi sono strozzata
non ne posso più di non poterne più
parole camuffate
tutto scivola
verso la nera liquefazione
e il cane di maldoror
questa notte in questo mondo
dove tutto è possibile
tranne
la poesia
parlo
sapendo che non si tratta di ciò
sempre non si tratta di ciò
oh aiutami a scrivere la poesia più prescindibile
quella che non serva nemmeno
a essere inservibile
aiutami a scrivere parole
in questa notte in questo mondo
***
La poesia che non dico,
quella che non merito.
Paura di essere due
sulla via dello specchio:
qualcuno che dorme in me
mi mangia e mi beve.
***
no, la verità non è la musica
io, triste attesa di una parola
qual è il nome che cerco
e che cosa cerco?
non il nome della deità
non il nome dei nomi
ma i nomi precisi e preziosi
dei miei desideri nascosti
qualcosa in me mi punisce
da tutte le mie vite:
– Ti abbiamo dato tutto il necessario perché comprendessi
e hai preferito l’attesa,
come se tutto ti annunciasse la poesia
(quella che non scriverai mai perché è un giardino inaccessibile– sono solo venuta a vedere il giardino –)
Alejandra Pizarnik nasce ad Avellaneda (Buenos Aires) il 29 aprile 1936, in una famiglia di emigrati ebrei di origine russa. Assieme alla sorella maggiore Myriam compie i primi studi in una scuola ebraica, dove impara a leggere e a scrivere in yiddish. Durante l’adolescenza comincia a fare uso di anfetamine per curare i disturbi fisici di origine nervosa che la affliggono. A 18 anni si iscrive alla facoltà di Filosofia, poi a quella di Lettere e infine alla Scuola di giornalismo, ma non porta a termine gli studi. Dal 1960 al 1964 vive a Parigi. Muore a Buenos Aires nella notte tra il 24 e il 25 settembre 1972 per un’overdose di barbiturici.
Testi selezionati da La figlia dell’insonnia (trad. di C. Cinti, Crocetti, 2004)
Fonte-RIVISTA AVAMPOSTO
«Avamposto» è uno spazio di ricerca, articolato in rubriche di approfondimento, che si propone di realizzare un dialogo vivo rivolto allo studio della poesia attraverso un approccio multidisciplinare, nella consapevolezza che una pluralità di prospettive sia maggiormente capace di restituirne la valenza, senza mai sfociare in atteggiamenti statici e gerarchizzanti. Ma «Avamposto» è anche un luogo di riflessione sulla crisi del linguaggio. L’obiettivo è interrogarne le ragioni, opponendo alla tirannia dell’immediatezza – e alla sciatteria con la quale viene spesso liquidata l’esperienza del verso – un’etica dello scavo e dello sforzo (nella parola, per la parola). Tramite l’esaltazione della lentezza e del diritto alla diversità, la rivista intende suggerire un’alternativa al ritmo fagocitante e all’omologazione culturale (e linguistica) del presente, promuovendo la scoperta di autori dimenticati o ritenuti, forse a torto, marginali, provando a rileggere poeti noti (talvolta prigionieri di luoghi comuni) e a vedere cosa si muove al di là della frontiera del già detto, per accogliere voci nuove con la curiosità e l’amore che questo tempo non riesce più a esprimere.
CONTATTI
RIVISTA AVAMPOSTO
Via Lupardini 4, 89121 Reggio Calabria (c/o Sergio Bertolino)
avampostopoesia@gmail.com
Poesie di Anna Maria Carpi-Poetessa e Scrittrice-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
Poesie di Anna Maria Carpi-Poetessa e Scrittrice-
Anna Maria Carpi, di famiglia tosco-emiliano-irlandese, vive a Milano. Ha insegnato letteratura tedesca all’Università di Macerata Marche e a Ca’Foscari a Venezia. E’ autrice di saggi, racconti e romanzi (fra cui Vita di Kleist, Mondadori 2005, Rowohlt 2011, e Uomini ultimo atto, 2016) e traduttrice della lirica tedesca (Nietzsche, Rilke, Benn, Bernhard, Gruenbein e a.), premio Ministero dei beni culturali (2011) e Città di S.Elpidio (2015), premio Carducci (2015). Nella poesia esordisce con A morte Talleyrand (1993, premio Pisa 1993), cui seguono Compagni corpi (2004, 22005), E tu fra i due chi sei (2007), L’asso nella neve (2011, 2 edizioni), Quando avrò tempo (2013) e L’animato porto (2016). Da Hanser (Monaco 2015) è uscita l’antologia con testo a fronte Entweder bist du unsterblich e da Marcosymarcos, Milano 2016, il complessivo E io che ancora parlo. Sue poesie sono apparse su “Oktjabr’ (Mosca,1998), “Akzente“(Monaco 2001 e 2011), e di recente su “Ulisse”, “Nuovi argomenti”, “Le parole e le cose”.
STORNI nell’aria / la poesia alle elementari
STORNI nell’aria,
migrano questi figli dell’autunno,
una mano gigante li ha lanciati
su in cielo. Sbandano, ritornano,
nel loro giubilo d’essere nessuno,
i bimbi del creato.
Tutti via, poi il gioco ricomincia,
il gioco in alto, al freddo, senza tempo.
Non c’è gioco per noi, noi giù nel tempo
per le vie del quartiere.
Foglie, una cosa sola, solo qualche fruscio,
un giacere comune, ultimi battiti,
poi una terrea quiete.
LAGHI E LAGHI
LAGHI E LAGHI senza l’altra sponda,
boschi d’inverno fragili schiomati
come teste di vecchio e poi la neve
e lacrime di ghiaccio alle tettoie.
Le poche case accenti circonflessi.
Un piccolo nel mio scompartimento
fa merenda e gioca con l’orsetto
con davanti la madre
che guarda fuori e il padre col giornale,
tutto è fidato e tutto è famigliare.
Essere lui, poter ricominciare.
In casa al video o in tavola o per strada
In casa al video o in tavola o per strada
o in metrò o in qualche ufficio o alla stazione
non so dov’ero ieri e cos’ho fatto
né stamattina fino a un’ora fa,
non so più quando ho visto i miei amici
se erano loro
cosa ci siamo detti.
Ci vediamo di furia
solo per dire: non ci siamo persi,
poi è il sollievo di un “anche questa è fatta”.
Dove sei, gioia? Dove sei, speranza?
Il mio cuore ha l’accesso stretto
l mio cuore ha l’accesso stretto
il sangue non ci passa facilmente
o rigurgita o rimane dentro,
così gli altri non sanno
che passione ho per loro
che potrei
fermare anche gli ignoti per la strada
e dirgli
tutto quello che ho dentro e non mi passa –
e sarebbe la grazia.
Una vita sola? Io so che ce n’è un’altra:
sarà come stasera,
questo caffè dentro la stazione
e la pioggia che lucida il piazzale
e il vai e vieni di colori e di ombrelli.
Caldo e voci all’interno –
tu cosa bevi? e tu? Sempre lo stesso?
Salute!
Salute a te, e dimmi come stai.
Tu mi ascolti la faccia tra le mani
e io ti ascolto con i cinque sensi
e questa sera non andiamo a casa.
Quel che diciamo – cose da niente,
ma ritorna il candore
e la voglia di ridere
e una giovane smania di consacrazioni.
Anna Maria Carpi (Milano, 1939), inedito
IL MARE
qui sotto la casa: ascolta,
ha come mani e dita,
sembra scartino e incartino – che cosa?
un messaggio, un regalo?
Di tanto in tanto un tonfo ed un singulto
e sullo scoglio l’onda
schiuma e si spande, poi ritorna indietro.
Che ci voleva dire?
Che è per lei la sponda?
Il senso è al largo, e intanto cala il buio,
e verso terra in fretta con un ultimo
volo prima di notte
anche i gabbiani cercano un rifugio.
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E DALL’OCEANO irrompe a Gibilterra
ed è già nel Tirreno
e già nel Golfo.
Dal Golfo all’isola è una sola ondata,
è già qui sotto casa
a schiumar sugli scogli,
sembra un’immensa veste agitata dal vento
balze ricami e frange
su un pudore primario della terra.
E tutta notte è un andirivieni
di flutti e sfasci,
e io in ascolto a finestre aperte
fra la veglia e il sonno
rapita da quest’essere-nonessere,
dal fraterno disciogliersi fra loro
di slanci tonfi e vuoti.
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DALLA GAIA PIAZZETTA coi negozi
che vendono di tutto alla rinfusa,
moda smart e bijoux,
scende in curva una strada che va al mare:
all’angolo un cartello con la freccia
traffico consentito
ECCETTO AI BUS, AI CAMION, ALLE MOTO.
Ma le moto
coi minorenni in sella
curvano giù beate lampeggiando,
e spariscono in fondo
con un urlo di gioia i trasgressori.
Il vigile? E’ là al bar, che si fa un drink.
E anche qui per vicoli e stradine
per vetrine e per muri i manifesti
dell’eclatante, del trionfo umano.
Il contagio è arrivato all’innocente:
vende frutta e verdura nel paese
in un suo bugigattolo,
con fuori un suo cartello,
in stampatello dice
HERE THE GLOBAL PRIMIZIA.
Viva la vita, mai fu così grande.
Anna Maria Carpi è nata nel 1939 a Milano, da madre emiliana e padre di origine irlandese. Ha studiato lingue e letterature straniere alla Statale di Milano. Ha vissuto a più riprese a Bonn, a Berlino e a Mosca. Ha insegnato letteratura tedesca all’ Università di Macerata (1968-80) e alla Ca’ Foscari di Venezia (1980-2009) e dal 2001 insegna traduzione letteraria dal tedesco alla Statale di Milano. Vive a Milano. È autrice di un diario inedito di 15.000 pagine e di studi su Kleist, Mann, Handke e sulla poesia tedesca del ‘900. Nel 1993 ha vinto il Premio Nazionale Letterario Pisa per la Poesia.[1] La traduzione di A metà partita di D. Grubein le ha meritato il Premio Monselice nel 2000.[2] Per le sue traduzioni dalla poesia tedesca (Friedrich Nietzsche lirico, Benn, Paul Celan, Enzensberger, H.Mueller, Gruenbein, Krueger) ha avuto nel 2012 il Premio nazionale per la traduzione. Nel settembre 2015 ha ricevuto il Premio Città di Sant’Elpidio a mare, per la miglior traduzione italiana della poesia straniera, È membro delle giurie del Premio Monselice e del Premio internazionale Wuerth di Stoccarda e dal 2013 dell’Akademie der Sprache und der Dichtung di Darmstadt. Nel 2014 ha ricevuto il Premio Carducci alla carriera.
Opere
Poesia
- A morte Talleyrand, Udine, Campanotto, 1993
- Compagni corpi. Tutte le poesie 1992-2002, Milano, Scheiwiller, 2004
- E tu fra i due chi sei, Milano, Scheiwiller, 2007
- L’asso nella neve. Poesie 1990-2010, Massa, Transeuropa, 2011, (prima e seconda edizione)
- Quando avrò tempo. Poesie 2010-12, Massa, Transeuropa, 2013
- Entweder bin ich unsterblich, Monaco, Edition Lyrik Kabinett bei Hanser, 2015, traduzione di Piero Salabé, Postfazione di Durs Grünbein
- L’animato porto, Milano, La Vita Felice, 2015
- E io che intanto parlo. Poesie 1990-2015, Milano, Marcos y Marcos, 2016
- Né io né tu né voi, Milano, La Vita Felice, 2018
- Doroghie drughie, Pietroburgo, edizione Aleteija, 2018, traduzione di T.Stamova
- E non si sa a chi chiedere, Milano, Marcos y Marcos, 2020
- L’aria è una, Torino, Einaudi, 2022
Romanzi
- Racconto di gioia e di nebbia, Milano, Il Saggiatore, 1995
- E sarai per sempre giovane, Torino, Bollati Boringhieri, 1996, (trad tedesca: Forever young, Rowohlt, Reinbek 1997)
- Il principe scarlatto, Milano, La Tartaruga, 2002
- Un inquieto batter d’ali. Vita di H.v.Kleist , Milano, Mondadori, 2005 ( *Kleist. Ein Leben, Berlino, Insel, 2011)
- Il mio nome era un altro. Due bambini dell’Est , Roma, Perrone, 2013
Racconti
- Tagtraeume, in “Zukunft? Zukunft (6 autrici sul “futuro”)”, Gehrke, Tuebingen, 2000
- Piccola Anna, Querini-Stampalia, Venezia 2007
- Uomini ultimo atto, Moretti & Vitali, Bergamo 2015
Poesie di Giovanna Cinieri -Estratto da “Piccola stregheria” -Rivista L’Altrove-Biblioteca DEA SABINA
Biblioteca DEA SABINA
-Giovanna Cinieri-Estratto da “Piccola stregheria”
-Rivista L’Altrove-
Biblioteca DEA SABINA-L’AUTRICE–Giovanna Cinieri, poeta e scrittrice, è nata a Taranto e ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. È stata semifinalista al Premio Calvino racconti nel 2021 e nel 2022 e ha vinto il premio della critica sezione racconti al Premio Inedito Colline di Torino.
Questo tempo di correre
a notte chiara di neve
l’ho fatto,
e stare qui dentro marzo
neutrale agli elementi, all’orario che conta
meglio i minuti rimanenti e gli sputi
che la tua faccia a bassa frequenza
mi schiva,
fa del respiro un fischio che porta i cani
dritti a casa: eccoli
abbandonati tutti, nonostante
padrona rimanga dall’alto
una luce.
in me accetti di morire:
ti serve essere due
dove c’è tutto e polvere
e un pezzetto di Dio ti riguarda,
così dritto
che è un proiettile.
e poi hai la fine ad occhi aperti, tu
disperato di grazia,
perché insieme dura
la vita.
Amore che mi hai dato il coltello
il pane col burro di fumo e piangevi
è in fiamme il comodino
mi hai detto di notte, seduto
tremando la sedia
del più bel velluto
non hai scritto la voce
risalita in gola col bastone
amore che mi hai fatto
nero
l’occhio celeste
hai messo la voglia
caduta
aspettandomi fuori da scuola
nell’auto storpia
la lama spalma, hai promesso
non taglia
ho cose nel sangue anche ora
a Luna Park spento
hai girato la Ruota
hai fatto il fantasma e gli specchi, la bara
conoscevi il mio nome
hai strappato il vestito viola che avevo
mancandomi molto
alla comunione con Dio
sporcato il tavolo sceso in cantina
parlato ai nemici di me
lavata in giardino
amore che mi hai dato resurrezioni
di marmo
la carne è del sangue, solo suo
hai mangiato dal seno
pregandomi
non dirlo a nessuno
che ero io che ti entravo di nascosto.
Ti piace guardare la notte che ho negli occhi
dove ti inginocchi, ai miei piedi sporchi parli
anche a me piace cercare le ossa degli avi tra i
tuoi denti.
fare molecole dai capelli
oppure niente
coperta dai fantasmi del futuro.
e così i miei discendenti stanno dritti,
negli spazi rotti di linguaggi
nei secoli gli attimi incontabili.
smettere è un continuo
ti dico che mi serve.
mi dai teoriche
dimensioni subatomiche
dici a me che vuoi prendere
dici a me che vuoi molecole
se cadessero fuochi e fosse
irreversibile
procedere in disfatta
su questa terra classica
a conferma delle leggi
già da anni inaccettabili
mangeremmo l’armamento
con i nuclei nella bocca.
Rivista- L’Altrove
“La poesia non cerca seguaci, cerca amanti”. (Federico García Lorca) Con questo presupposto, L’Altrove intende ripercorrere insieme a voi la storia della poesia fino ai giorni nostri.
Si propone, inoltre, di restituire alla poesia quel ruolo di supremazia che ultimamente ha perso e, allo stesso tempo, di farla conoscere ad un pubblico sempre più vasto.
Troverete, infatti, qui tutto quello che riguarda la poesia: eventi, poesie scelte, appuntamenti di reading, interviste ai poeti, concorsi di poesia, uno spazio dedicato ai giovani autori e tanto altro.
Noi de L’Altrove crediamo che la poesia possa ancora portare chi legge a sperimentare nuove emozioni. Per questo ci auguriamo che possiate riscoprirvi amanti e non semplici seguaci di una così grande arte.
Dalila e Daniela, le fondatrici.
Per informazioni: laltrovepoet@outlook.it