Cenni biografici Evelyn Scott (Clarksville, Tennessee, 1893 – New York 1963) era una scrittrice, drammaturga e poetessa americana. Scrittore modernista e sperimentale, Scott “era una figura letteraria significativa negli anni ’20 e ’30, ma alla fine cadde nell’oblio della critica”.
DESCRIZIONE – RECENZIONI
“Avuta, giovanissima, l’intrepida avventura di una fuga dal Brasile con un uomo povero e marito di un’altra, ha lasciato un libro autobiografico… Uno stile duro, freddo, sempre amaro d’istinto, che rimarrà un esempio di ardita forza” (Elio Vittorini, Americana)
“Evelyn Scott scriveva piuttosto bene, per essere una donna” (William Faulkner)
Nel 1913 una ragazza minorenne, incinta, fugge in Brasile con un uomo che potrebbe essere suo padre, suscitando uno scandalo di cui si impadronisce la stampa. Rimane in Sud America sei anni, in una zona remota, affrontando prove durissime, miseria, sofferenza, disprezzo. E’ la storia di una sfida: una delle molte sostenute da questa giovane nata nel 1893 nel Tennessee, che si è lasciata alle spalle una casa in stile Via col vento, un’adolescenza di “ardente femminista” e persino il suo nome vero, per chiamarsi Evelyn Scott, consapevole, forse, che la sua vita somiglierà a quella di un’eroina romanzesca degli anni Venti.
Tornata in America, Evelyn Scott diventa improvvisamente una stella del firmamento letterario di New York: la sua carriera di scrittrice è vertiginosa. Quando pubblica le sue prime poesie, William Carlos Williams le scrive: “Lei è – oltre a H.D. – l’unica donna che possa far poesia oggi”.
E Sinclair Lewis, dopo aver letto il suo primo romanzo, The Narrow House: “Salutiamo Evelyn Scott. E’ una di noi; una che sa; un’artista autentica. Il suo libro è un avvenimento”. Escapade (In fuga), il diario del suo periodo brasiliano, s’impone nel 1923 come storia di uno scandalo e di una ribellione ai codici sociali. Ma Evelyn sembra avere anche il dono della divinazione critica: scrive il suo primo lungo saggio americano su Joyce, Un contemporaneo del futuro, e “lancia” Willian Faulkner, allora agli esordi, convincendo il proprio editore a pubblicare L’urlo e il furore. Quando però Faulkner riceve il Nobel nel 1950 Evelyn non pubblica più da tempo; morirà nel 1963, dimenticata, lasciando dietro di sé poche tracce e molti enigmi.
Elio Vittorini, nell’Americana, scopriva Evelyn Scott tra i “piccoli scrittori irrequieti” degli anni Venti – Robert McAlmon, Waldo Franck, Ben Hecht – e pubblicava alcune pagine di Escapade nella traduzione di Eugenio Montale. “Non le ho più dimenticate” scrive Marisa Bulgheroni nel commento alla prima edizione italiana (1988). “Il libro brasiliano di Evelyn si colloca sullo scaffale di quei rari testi autobiografici (Walden di Thoreau, La mia Africa di Karen Blixen) che usano la prima persona singolare come un appostamento, un osservatorio tramite il quale rivelarci un mondo mai fino allora immaginato – si tratti di un lago tra i boschi,di un continente o dello spazio psichico”.
Editori Riuniti, Via di Fioranello n.56, 00134, Roma (RM)
Breve biografia di Rachel Slade , nata in Connecticut, Stati Uniti, e dal 2002 vive in Italia. Artista visiva, traduttrice e scrittrice, i suoi versi sono stati pubblicati in varie antologie e siti letterari, tra cui: Atelier, Laboratori poesia, Interno poesia, Poesia del nostro tempo. Nel 2016, ha pubblicato La casa apocrifa (Samuele Editore), una plaquette di poesie e disegni in tiratura limitata e nel 2018 ha vinto il ‘Premio Ossi di seppia’ per la poesia. Ha partecipato a vari eventi, festival di poesia e mostre d’arte.
The Valley
Fibers house the bones, in blindness.
Happy without, happy within.
You, strong little eye, from your gravity,
awake to things untrue,
see the motherly dark
in this. The paternal dark.
Your nakedness unconquerable.
Where nothing breaks its composition,
it was like a body there
and nothing could touch its face.
It sat up and drew its lines
in the soil, to the horizon
where it dried up on its back, in wilderness
and vegetation, among devotions.
These dry bones will rise again and moisten
the houses with emanations and exhalations,
will become green, and dare
in the forms of vigorous things.
La valle
Fibre che ospitano ossa, nella cecità.
Felici fuori, felici dentro.
Tu, piccolo occhio gagliardo, dalla tua gravità,
svegliati alle cose non vere,
guarda il buio materno
in questo. Il buio paterno.
La tua nudità invincibile.
Dove nulla ne spezzava la forma,
era lì come un corpo
e niente poteva toccarne il volto.
Rialzandosi ha tracciato le sue linee
sul suolo, fino all’orizzonte
seccando sul dorso, nella selva fitta, silvestre, tra le devozioni.
Queste ossa secche risorgeranno e impregneranno le case con emanazioni ed esalazioni,
rinverdiranno e oseranno
nelle forme di cose vigorose.
*
The Dry Bones
Once unburied,
hurry them again underground,
under columns of burnt ledgers,
where metal spires go up all around,
in the flatland where we have spoken,
where remainders
won’t appoint another home.
Once, there was day,
now the episodes repeat.
The earnest ones who died the day before
now wake to themselves in unforeseen ways,
to sit heavily in heated rooms of strained light.
Trees lean into children’s nocturnal houses.
Here, they name the pips and burrs; name all in turn.
Cancel little numbers scrawled in frost,
lodged in bitter bread.
Cast into the flatlands, the fields of wheels,
put down, tamed or lamed, into the marrow
into the animal or human – it is written.
It is written in the white dome of invention,
the stillwater of the head.
From the wave, the verb of origin:
I forge the bells that bring these bones
to light – intact and sunless bound.
Le ossa secche
Una volta dissepolte,
riseppellitele in fretta,
sotto colonne di registri bruciati,
dove spire metalliche s’innalzano tutt’intorno,
nella pianura dove abbiamo conversato,
dove i resti
non designeranno un’altra casa.
Una volta c’era il giorno,
ora gli episodi si ripetono.
I prodi che sono morti il giorno prima
ora si risvegliano come mai s’era visto,
e sprofondano in stanze riscaldate da una luce tesa.
Alberi s’appoggiano alle case notturne dei bambini.
Qui, danno un nome ai semi e alle lappole; a ciascuno un nome a turno.
Cancellano i piccoli numeri scarabocchiati nel gelo,
serrati nel pane amaro.
Gettati nelle pianure, nei campi di ruote,
sono stati posti, domati o feriti, nelle midolla
nell’animale o nell’uomo – è scritto.
È scritto nella cupola bianca dell’invenzione,
l’acqua ferma della testa.
Dall’onda, il verbo dell’origine:
forgio le campane che portano queste ossa
alla luce – intatte e fissate all’oscurità.
*
The Game (Hour of Yes)
The daylight hour
strung between two points:
the day heat of the yellow room
and the tumble of the play-horse
through articulated arms and legs.
Where the child-laugh of croup
and vapor turns to earth.
The earthbound laugh: the laugh
where it cuts, the wound thrives.
Where it somersaults in the umber gash,
it descends.
From earthbound yes
to waterbound yes, strung
from anemic bud to pale fruit
from grain and difficult oil
to pigment and vine,
where the living keep them.
*
To the east, inflammation
of wound and airway.
To the west, the solar hour
turns cold and opaque.
The wave arrives, says yes and no,
opens and closes its gate. O child.
Il gioco (l’ora del sì)
L’ora diurna
è sospesa tra due punti:
il tepore giornaliero della stanza gialla
e la giravolta dal cavallino da gioco
dalle braccia e gambe articolate.
Dove la risata infantile da pertosse
e vapori torna alla terra.
La risata legata alla terra: la risata
dove taglia, la ferita prospera.
dove fa capriole nello squarcio d’ambra,
scende.
Dal sì legato alla terra
al sì legato all’acqua, connessi
dal germoglio anemico al frutto pallido
dal grano e dall’olio difficile
al pigmento e alla vite,
dove i vivi li conservano.
*
A est, infiammazione
della ferita e delle vie respiratorie.
A ovest, l’ora solare
diventa fredda e opaca.
L’onda arriva, dice sì e no,
apre e chiude il suo cancello. O fanciullo.
Breve biografia di Rachel Slade , nata in Connecticut, Stati Uniti, e dal 2002 vive in Italia.Artista visiva, traduttrice e scrittrice, i suoi versi sono stati pubblicati in varie antologie e siti letterari, tra cui: Atelier, Laboratori poesia, Interno poesia, Poesia del nostro tempo. Nel 2016, ha pubblicato La casa apocrifa (Samuele Editore), una plaquette di poesie e disegni in tiratura limitata e nel 2018 ha vinto il ‘Premio Ossi di seppia’ per la poesia. Ha partecipato a vari eventi, festival di poesia e mostre d’arte.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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da Apocryphal House (Samuele Editore 2016)
Traduzioni di Sandro Pecchiari
Land II
do you hear another country’s echo? There is a bell.
It rings far away. You will go there
and try again.
And your blood will form new bodies, seen and unseen.
Everything will be relearned. How you walk
and stand at the store. How you button your coat.
The way you look at someone.
Your name. Sleep.
Bodies. The birds especially.
You have come from far away.
The land is patient.
Terra II – Senti l’eco di un altro paese? C’è una campana./ Suona lontana. E tu ci andrai/ per ritentare./ E il tuo sangue formerà nuovi corpi, visti e non visti./ Imparerai di nuovo tutto. Come camminare/ e come attendere al negozio. Come abbottonarti il cappotto./ Il tuo modo d’osservare l’altro./ Il tuo nome. Il sonno./ I corpi. Specialmente gli uccelli./ Sei arrivata da così lontano./ La terra è paziente.
Iris
1.
mine is the language of standing still
a snail dreaming on a pillow of eggs
small numbers, a column of fixed resin
this is the territory of shaken stars
mine is the language of matrimony, the firm agreement
of four feet in river water, my name a stone thrown at the sky
my hesitation is the outcry of wooden horses
my death is a horse laying down in the water
its ribs the archway of earth’s desire
instinct and calculation made plastic and real.
an endless land of white stone. immense and strategic.
I am an island of snow and things fallen asleep in the snow.
I am a land without sorrow.
1. il mio è il linguaggio dello stare fermi/ una chioccola che dorme su un cuscino di uova/ numeri piccoli, una colonna di resina fissa/ questo è il territorio delle stelle vacillanti/ il mio è il linguaggio del matrimonio, il saldo accordato/ di quattro piedi in acqua di fiume,/ il mio nome è una pietra gettata nel cielo/ la mia esitazione la protesta di cavalli di legno/ la mia morte è un cavallo sdraiato nell’acqua/ le cui costole sono l’arcata del desiderio della terra/ dell’istinto e della macchinazione fatte plastica eppure reali./ una terra infinita di pietra bianca. immensa e strategica./ sono un’isola di neve e di cose addormentate nella neve./ sono una terra senza dolore.
2.
The measures of the hand create the whole body
the grasses and membranes soaking in the sun or
bits of fur abandoned in ditch water
these animal stalkings part trees in the distance
and if love waits for you there
the two black leaves on the thin tree will wave
the girl was a thin memory, waving
dry roads led me to her and her to me
she was the envelope of a dust cloud
rising on the roadside at noon
we were boys and girls together
on the man’s road. among the man’s herds.
I was an iris and a hymn
I was a white crane in the burnt field
I was the empty gutted houses leaning over the water
and the land was a strong mouth, a strong hand.
2. Le misure della mano creano un corpo completo/ erbe e membrane assorbono il sole/ o pezzi di pelliccia abbandonati nel fosso d’acqua/ questo perseguire animalesco separa gli alberi in lontananza/ e se amore ti aspetta lì/ due foglie nere sull’albero sottile sventoleranno/ la ragazza era un ricordo sottile, sventolando // aride strade mi hanno portato da lei e lei da me/ lei era la busta di una nube di polvere/ che sbocciava sul ciglio della strada a mezzogiorno/ siamo stati ragazzi e ragazze assieme/ sulla strada dell’uomo. tra il bestiame dell’uomo. // ero un iris e un inno/ ero una gru bianca nel campo bruciato/ ero le case vuote e sventrate che si appoggiavano all’acqua/ e la terra era una bocca forte, una mano forte.
Rachel Slade è nata a Putnam nel Connecticut (USA), vive in Italia dal 2002. La sua attività principale si
sviluppa attorno alla pittura con diverse mostre in Italia. Per la Samuele Editore ha curato la presentazione di
alcuni poeti al New York City Poetry Festival del 2014 e diverse copertine della collana Scilla. Come poeta ha
partecipato a diversi eventi letterari. Ha pubblicato in tiratura limitata la plaquette di poesie e disegni Apocryphal House / La casa apocrifa (Samuele Editore 2016). Nel 2018 ha vinto il Premio ‘Ossi di Seppia’ (Comune di Taggia).
“Santi e culti dell’anno Mille. Storia e leggende tra cultura dotta e religiosità popolare”
Ugo Mursia Editore
«Quella dei santi era una contestazione silenziosa, ma che non sfuggiva però a chi aveva tutt’altra condotta di vita e ai potenti. Cercavano di ucciderli o di rapirli.»
Di fronte alla crisi della Chiesa feudale, con il papato in balia delle nobili famiglie romane e un clero sempre più secolarizzato, intorno al Mille si ebbe una forte reazione spirituale, con figure ascetiche che si affermarono come santi, introducendo diversi e radicali modi di vivere il rapporto col sacro. Attraverso una nuova lettura di questi personaggi e dei loro rapporti, Paolo Golinelli ricostruisce, con un linguaggio vivace e accattivante, un mondo aperto al soprannaturale e al meraviglioso, dove ogni piccolo avvenimento induceva a pensare al miracolo, soprattutto per chi aveva bisogno di protezione. Il discorso si allarga quindi alla religione popolare, in narrazioni che, seppur spiegate razionalmente, possono ancora affascinare i lettori di oggi.
Paolo Golinelli, docente di Storia Medievale nell’Università degli Studi di Verona, si occupa principalmente del rapporto tra religione e società nel Medioevo, percorso attraverso le fonti agiografiche e alcuni tra i personaggi più emblematici del tempo. Tra i suoi ultimi libri, L’ancella di san Pietro. Matilde di Canossa e la Chiesa (2015), e pubblicati con Mursia: Celestino V. Il papa contadino (2007), Matilde e i Canossa (2007), Il Medioevo degli increduli (2009), Medioevo Romantico (2011), Terremoti in Val Padana (2012), Un millennio fa (2015), Breve storia di Matilde di Canossa (2015).
“Santi e culti dell’anno Mille. Storia e leggende tra cultura dotta e religiosità popolare” (Ugo Mursia Editore)
Poesie di Stig Dagerman -Breve è la vita di tutto quel che arde
Traduzione di: Fulvio Ferrari-IPERBOREA casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani
DESCRIZIONE-Per la prima volta tradotta in italiano, un’antologia che dà conto di circa dieci anni di attività poetica di Stig Dagerman.
«Un giorno all’anno si dovrebbe immaginare / la morte chiusa in una scatoletta bianca. / A nessuna illusione si dovrebbe rinunciare, / nessuno morrebbe per quattro dollari in banca. // (…) Nessuno vien bruciato all’improvviso / e nessuno per strada ha da crepare. / Certo, è menzogna, son del vostro avviso. / Dico soltanto: Possiamo immaginare.» Stig Dagerman espresse anche in versi la vicinanza agli ultimi e l’umanesimo dolente che in una continua tensione tra speranza e disincanto attraversano la sua multiforme opera in prosa. Negli anni 1944-47 e 1950-54, fino al giorno prima di morire, scrisse per il giornale anarchico Arbetaren oltre 1300 dagsedlar, poesie satiriche a commento della cronaca politica e sociale che con il loro tono diretto contribuirono a fare di Dagerman un riferimento identitario per i giovani libertari della sua generazione. Il metro è per lo più tradizionale, quasi da filastrocca, ma la giocosità della rima e del ritmo potenzia per contrasto la durezza dei contenuti: gli accordi della «democratica» Svezia con la Spagna di Franco, i senzatetto di Stoccolma lasciati al freddo, i bambini armati per combattere le guerre dei grandi. Ai brevi componimenti di denuncia, questo volume affianca una scelta di versi in cui la forma irregolare insieme alla riflessione sulla condizione umana, pur sempre intrecciata all’impegno politico, avvicina l’autore alle avanguardie internazionali e ben accoglie simboli e metafore della sua narrativa. Una lettura toccante che aggiunge un tassello significativo al ritratto di uno sperimentatore instancabile al quale ancora oggi s’ispirano scrittori, giornalisti e musicisti di tutta Europa.
Approfondimento
«Abbattete i poveri». E Dagerman si spense
Data: 1 Dicembre 2022
Recensione di Angelo Ferracuti a «Breve è la vita di tutto quel che arde» di Stig Dagerman, apparsa su La Lettura il 6 novembre 2022
Tutta la letteratura di Stig Dagerman è fortemente permeata di esistenzialismo politico e coerenza tematica, ma anche da un contrasto molto forte tra io e mondo, istinto di libertà, desiderio di giustizia sociale contrapposti alla brutalità del potere. Come la sua cristallina postura di autore è segnata da una combattività angosciata e a volte disperata, che pendolareggia tra sogno utopico e disincanto, speranza e disillusione, e da una militanza totale nel movimento libertario svedese vissuta a microfono aperto nella sua breve vita, iniziata nel 1923 e finita a soli 31 anni nel 1954 quando morì suicida al culmine del successo editoriale.
In poche stagioni ci ha lasciato alcuni libri di rara forza espressiva, valore letterario e trasporto emotivo, la passione e la purezza delle raccolte di racconti, romanzi come «Bambino bruciato», «I giochi della notte», «Il serpente», l’esordio del «1945», il lancinante «Il nostro bisogno di consolazione», un breve ma intensissimo monologo filosofico sulla tensione dell’uomo verso la felicità, il bisogno di libertà e lo schiacciante sistema di dominio sociale, che può reputarsi il suo testamento intellettuale; i reportage lirici di «Autunno tedesco», quando fu inviato da l’«Expressen» nel 1946 in Germania fra le macerie di Amburgo, Berlino, Colonia, a raccontare il Paese sconfitto, tutti libri fedelmente editi da Iperborea.
Un’altra componente di Dagerman e della sua letteratura è la ricerca ossessiva della coerenza visionaria attraverso quella che ha definito «La politica dell’impossibile», nella letteratura e nella vita, titolo di un libro di saggi, avversa a quella «Realpolitik», la politica concreta, pragmatica, dello status quo, dei compromessi e della rinuncia al cambiamento, schiacciata dal giogo economico.
Adesso esce il libro delle sue poesie politiche, «Breve è la vita di tutto quel che arde» (Iperborea) tradotto e curato con rigore e passione da Fulvio Ferrari, professore ordinario di Filologia germanica all’università di Trento, ma soprattutto grande conoscitore e divulgatore delle letterature scandinave. Si tratta di una scelta del suo corpus poetico che mette insieme testi sparsi ai «dagsedlar», dispacci quotidiani spesso scritti in rima affidati al giornale anarchico «Arbetaren» («L’operaio»), di cui era redattore, che però nel linguaggio corrente significa anche «ceffoni» per la loro immediatezza e vicinanza ai fatti di cronaca.
Insieme agli accadimenti storici c’è anche la vena esistenzialistica e romantica dello scrittore svedese: l’incrocio di questi due elementi è la sua cifra, il suo conio profondo che percorre tutta la sua opera, dentro quell’angoscia e paura prodotte dalla Seconda guerra mondiale che ne è il tellurico fondale storico.
Nel libro si alternano differenti stili compositivi, riflessioni intimistiche sulla condizione umana e il senso della vita, così come testi di impegno sociale come l’intenso «No pasarán» dove commemora l’epica tragica della guerra di Spagna con tutta la sua verve antifranchista, un inno alla lotta, alla resistenza.
La poesia di Dagerman ha una urgenza politica, ma soprattutto esistenziale, stilistica, la forma è il suo fuoco, la forma che incrocia gli ideali dei «Cuori ardenti» di cui parla in un saggio, anche per questo lo sentiamo contemporaneo e fratello, la sua letteratura è viva. I «dagsedlar», scritti con caustica ironia, hanno spesso l’andamento di una filastrocca, un gusto agrodolce, nel senso che ibridano lo stile cantilenante del verso con contenuti di dura crudezza, spietati, del palcoscenico impazzito del mondo, e nascono sempre da una notizia di cronaca.
I temi sono l’antimilitarismo, la bomba atomica, la condizione umana degli ultimi, la violenza sui bambini, un argomento molto caro a Dagerman, siano essi i senzatetto svedesi o gli africani dannati della Terra, i neri americani condannati a morte e portati al patibolo, come in «Due volte morto»: «Tutti quanti abbiamo da imparare,/ ci si allena ore e ore per fare il boia./ Che importa come un negro può campare,/ Quello che conta è che un negro muoia».
L’anarchico ribelle, quello che dice di voler opporre il potere delle sue parole «a quello del mondo, perché chi costruisce prigioni s’esprime meno bene di chi costruisce la libertà», è anche al fianco dei lavoratori insorti in Germania dell’Est contro il regime comunista: «Quante volte il popolo avete chiamato./ Ora rispondiamo: Siam qui, siamo arrivati./ Fatevi avanti, popolari signori/ – e se vi è possibile, disarmati!».
L’ultima poesia scritta da Dagerman si intitola «Attenti al cane!», pubblicata il 5 novembre 1954, e nasce dopo avere letto la dichiarazione di un responsabile della Previdenza sociale di Värmland, una contea che si trova nella parte occidentale del Paese: «Certo è deplorevole che gente che vive di sussidi tenga poi un cane» fu l’affermazione indignata di una persona probabilmente appartenente alla ricca borghesia svedese.
Stig Dagerman il ribelle, lo scrittore nato nel cuore del proletariato e figlio di un operaio artificiere poverissimo e di una telefonista, quello posseduto dal radicalismo che giovanissimo diresse «Storm», il giornale della gioventù anarchica, reagisce a queste parole scrivendo versi venati di ironica indignazione, descrive la gente dei bassifondi come quelli che «stanno in stanzette strette e fosche/ con i loro bastardi costosi», poi la denuncia arriva con un’invettiva provocatoriamente sarcastica: «Ora è il momento di esser risoluti:/ Abbattere i cani! Non è buona cosa?/ E siano poi anche i poveri abbattuti,/ così il Comune risparmia qualcosa».
La poesia fu pubblicata il giorno dopo la sua morte, l’aveva scritta ventiquattr’ore prima di uccidersi con il gas di scarico della sua automobile.
Dopo una serie di tentativi di suicidio non riusciti, sprofondato in una cupa depressione, questa volta aveva organizzato tutto, scrivendo persino l’epitaffio per la sua lapide: «Qui riposa/ uno scrittore svedese/ caduto per niente/ sua colpa fu l’innocenza/ dimenticatelo spesso».
PAOLO RUFFILI-LE POESIE DI DAGERMAN- Fonte sito www.italian-poetry.org
Stig Dagerman (1923-1954), svedese, è uno di quei talenti precoci che compiono tutto quello che li riguarda creativamente parlando entro i trent’anni, indipendentemente dal fatto che si sia deliberatamente tolto la vita al compimento dei 31 anni. Del resto aveva tentato di farlo qualche altra volta già prima e, a spiegarne almeno in parte la prospettiva autodistruttiva, c’è la sua vicenda biografica, anche se l’autore più tardi ha descritto l’infanzia come l’epoca forse più felice della sua vita. Ma, in seguito all’abbandono da parte della madre nei primissimi mesi dopo la nascita e per la difficoltà del padre minatore di garantire le condizioni essenziali alla crescita, il piccolo Stig fu ospitato e cresciuto dai nonni paterni. Nei nonni, similmente a quanto accadde allo scrittore austriaco Thomas Bernhard (con il quale c’è più qualche altra somiglianza sul piano della scrittura), trovò delle figure vivaci, rassicuranti ed intellettualmente stimolanti, dunque le prime condizioni per il futuro percorso intellettuale. L’uccisione del nonno nel 1940 da parte di uno squilibrato e, poco tempo dopo, la perdita della nonna colpita da una emorragia cerebrale, portarono Dagerman a commettere il primo di una serie di tentati suicidi. Trasferito a Stoccolma dal padre, a soli tredici anni poté avvicinarsi all’anarchismo e al sindacalismo e iniziò precocemente l’attività di scrittore in seno all’Unione Sindacale Giovanile, per poi diventare redattore del giornale Storm (La tempesta), per passare più avanti ad occuparsi di fatti di cronaca, nel combattivo giornale anarcosindacalista Arbetaren (L’operaio). La sua produzione ebbe un’accelerazione legata a un’energia esplosiva incontenibile: drammi teatrali, racconti, saggi e reportage, scritti satirici, poesie, romanzi. Divenne un originale esponente della letteratura quarantista, capitanata da Karl Vennberg e Erik Lindegren, e resta a tutt’oggi una figura mitica della letteratura svedese. Iperborea, che ha pubblicato romanzi e racconti, manda in libreria di Dagerman, Breve è la vita di tutto quel che arde (traduzione e cura di Fulvio Ferrari), poesie esistenziali, vivide e tormentate nei loro affondi dentro i labirinti della psiche, e poesie satiriche, a commento potente della cronaca politica e sociale del suo tempo. Sono versi sempre intensi, scritti in uno stile che attraverso l’ossessione, l’analisi impietosa, la satira amara, mira a mettere in scacco tutte le maschere di comodo dell’esistenza svelandone la realtà di tragedia e di farsa.
L’Autore
Stig Dagerman –Anarchico lucido e appassionato incapace di accontentarsi di verità ricevute, militante sempre in difesa degli umiliati, degli offesi e dell’inviolabilità dell’individuo, Dagerman appartiene alla famiglia dei Kafka e dei Camus e resta nella letteratura svedese una figura culto che non si smette mai di rileggere e riscoprire. Segnato da una drammatica infanzia, intraprende molto giovane una folgorante carriera letteraria bruscamente interrotta dalla tragica morte, lasciando quattro romanzi, quattro drammi, poesie, racconti e articoli che continuano a essere tradotti e ristampati. Iperborea ha pubblicato Il nostro bisogno di consolazione, Il viaggiatore, Bambino bruciato, I giochi della notte, Perché i bambini devono ubbidire?, La politica dell’impossibile, Autunno tedesco e Il serpente.
casa editrice Iperborea- Chi siamo
Iperborea è una casa editrice indipendente fondata da Emilia Lodigiani nel 1987 per far conoscere la letteratura dell’area nord-europea in Italia.Primi a esplorarla in maniera sistematica, si è potuto farlo con vasta libertà di scelta e una produzione di altissima qualità, che spazia dai classici e premi Nobel, inediti o riproposti in nuove traduzioni, alle voci di punta della narrativa contemporanea.
Oltre ai paesi scandinavi (Svezia, Danimarca, Norvegia e Finlandia), Iperborea pubblica letteratura baltica, nederlandese, tedesca, canadese, islandese (incluse le antiche saghe medioevali), una collana di narrativa per l’infanzia (I Miniborei) e una serie dedicata alle strisce dei Mumin di Tove Jansson.
Dal 2018 lancia la serie The Passenger, un libro-magazine che raccoglie inchieste, reportage letterari e saggi narrativi che formano il ritratto della vita contemporanea di un paese o una città (non solo del Nord Europa) e dei loro abitanti. Dal 2020 The Passenger è tradotto anche in inglese, pubblicato e distribuito in tutto il mondo in coedizione con Europa Editions.
Nel 2021 è arrivata la serie Cose Spiegate bene, in collaborazione con il Post: ogni numero è dedicato all’approfondimento di un tema, attraverso articoli, infografiche e illustrazioni originali.
Inoltre, dal 2015, Iperborea organizza a Milano e in varie città d’Italia il festival I Boreali, dedicato alla cultura nordica.
Pubblicate dalla Rivista Atelier a cura di Paolo Galvagni
Tanja Skarynkina è nata nel 1969 in Bielorussia. Suoi versi sono apparsi nelle riviste “TextOnly”, “Vozduch”, “Literratura”, “Dvoetocie”. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche.zo 2022
КУБИКИ СЛЁЗ
Я не плачу
но сухие слёзы
кубиками падают в еду
высушивают книги
делают людей неразличимыми
птицы исчезают на лету
весна не хочет
открывать своё личико
поправляет кобуру.
CUBETTI DI LACRIME
Non piango
ma lacrime secche
cadono a cubetti sul cibo
seccano i libri
rendono le persone indistinte
gli uccelli spariscono in volo
la primavera non vuole
svelare il suo visino
aggiusta la fondina
1 marzo 2022
ГОРОД
Стоит город а над ним
дым
это не картина не сон не бред
нет
этот город ни в чём не виноват
но ад
на него обрушили черти
смерти
почему за что никто не знает
а город пылает
но раньше чем он восстанет
чертям тошно станет.
LA CITTÀ
S’erge la città e su di essa
il fumo
non è un quadro né un sogno né un delirio
no
questa città non ha colpa di nulla
ma un inferno
hanno scatenato i diavoli
della morte
Perché per cosa nessuno lo sa
e la città arde
ma prima che risorga
i diavoli saranno disgustati
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale e si occupa di letteratura contemporanea.
direzioneatelierpoesiaonline@gmail.com
Per tutte le comunicazioni e proposte per Atelier Online, sia di pubblicazione di inediti che di recensioni vi preghiamo di scrivere al seguente indirizzo mail di direzione: eleonorarimolo@gmail.com
Enrico Marià (Novi Ligure, 1977)ha pubblicato le raccolte: Enrico Marià (Annexia 2004); Rivendicando disperatamente la vita (Annexia 2006); Precipita con me (Editrice Zona 2007); Fino a qui (puntoacapo 2010); Cosa resta (puntoacapo 2015), I figli dei cani (puntoacapo 2019). Ha preso parte alle antologie: Genovainedita (Galata 2007); Atti della II Fiera dell’Editoria di Poesia. Pozzolo Formigarogiugno 2008 (puntoacapo 2008); Dolce Natura, almeno tu non menti (Zona 2009); La giusta collera (CFR 2011); Oltre le nazioni (CFR 2011); Poesia in Piemonte e Valled’Aosta (puntoacapo 2012); Il ricatto del pane (CFR 2013); Poeti di Corrente (Le Voci della Luna 2013); Cronache da Rapa Nui (CFR 2013); La festa e la protesta. Atti della XVI Biennale di Poesia di Alessandria (puntoacapo 2013); Poesia in provincia di Alessandria (puntoacapo 2014); Comunità nomadi (deComporre 2014); Bukowski. Inediti di ordinaria follia (Giovane Holden 2014); Ad limina mentis (deComporre 2014), Il Fiore della Poesia Italiana (puntoacapo 2016). È tradotto in lingua inglese e spagnola.
Per i dimenticati
Dormire con la luce accesa
alla tosse dei ragni
la sensazione che quasi tutto si fermi
prima dell’inutile provarci
che i bambini lo sanno
come in carcere
i nuovi arrivati.
*
Eco del mio sangue
tu, giostra incarnazione
la lacrima candela
padre patria
l’angelo profano.
*
La carne degli affetti
una sfera che si schiude
quando scarcerato dal corpo
il cielo ulteriore.
*
Sembrano un parto
i monconi felici
a morirsi ali di fionda
questa luna tagliata
gli argini impotenti
dell’abbandonare
l’impossibile
cancro delle rose.
*
Il sacro amore
di chi non può il toccare
che con la cinghia degli occhi
tavola bianca
le vostre mani.
*
Ci sono di nuovo
i servizi del Diurno
docce e guardaroba
che non m’interessa
la prevenzione dal contagio
spiegami la morte
il fare da madre
alle macchie sul lenzuolo
lo stato brado
di un ragazzo lupo.
*
Che cos’è il mio vuoto
un vangelo di orchidee
le rose sdentate
la sacra luce
del cielo spaventato.
*
Tu dentro il cielo
un’ansia di neve
che impara l’estate.
*
Nel cognome di mia madre
sono iridi pozzi gli zigomi
l’armistizio dei suoi occhi
l’astinenza dal morire.
*
Dimmi il valere
ancora il qualcosa
l’essere assolto
abitando cani carezze
le palpebre del costato.
*
Dentro i lupi
la lobotomia
degli angeli
l’allearsi a morire
con le siepi del vetro.
*
Restami incrollata
tu ti prego
nebulosa e netta
seno di foglia.
“Terrore di amarti in un posto così fragile come il mondo / pena di amarti in questo luogo di imperfezione / dove tutto ci spezza e ammutolisce / dove tutto ci mente e ci separa.”
Il mondo come luogo fragile, imperfetto, manchevole dove tutto frana e immobilizza, dove il sentimento più alto trema come un astro, già nel suo dirsi, traccia l’anatomia del distacco. In esergo le parole della poetessa portoghese Sophia de Mello Breyner Andresen come manifesto per questa raccolta di amara bellezza di Enrico Marià La direzione del sole, per la Collana “i Venti”, La Nave di Teseo, 2022 con una luminosa prefazione dei fratelli D’Innocenzo: “Sentiamo che Marià, quando mise il primo misero piede in quel mistero non interessante che era l’infanzia, per prima cosa abbia avuto il coraggio e l’infamia di prendere un pezzo di carta e mettersi a scrivere. […] la sua poesia è un inferno strabico […] Uno così non viene perdonato”. Gli afflitti, i diseredati, i dimenticati, tutte le categorie degli ultimi trovano qui il loro spazio, fulgore dei vinti e dei martirizzati. Nella crepa che fa il mondo, quel dirsi umani più del vetro, fallaci, fallibili, in una disperata ricerca di riscatto, incontra un cielo strappato che mendica l’azzurro innocente dell’infanzia, terreno onirico e ancestrale per eccellenza. Sull’orlo dell’abisso che si mostra in tutto il suo indicibile oltraggio, ad elevare il canto è il corpo “fratturato”, un dolore denso e bianco di linfa, ammutolito e immobilizzato in un silenzio di neve “Le brusche fratture / d’ogni impulso d’amore / che ci spaesano saliva / aghi di pioggia / gli oceani cani”. L’innocenza spalancata di fronte alla pungente celebrazione della sua fine, la cruda cessazione dell’ingenuo “l’eterna vergogna / di noi scimmie bambine”, e al contempo un tenace “addestramento alla purezza”. Versi che incidono la pagina con il bisturi della parola, una parola asciutta, furibonda, efferata. Una favola nera dell’infanzia, nella quale riverbera l’eco del sangue, uno struggente spaccato dell’anima che come un ritratto caravaggesco mostra le sue zone lacerate di ombra e di luce agognata. Un furore di tenebra che scrive con il fuoco e con un grido acuto, soffocato, lontanissimo “Margini muti d’attrito / la presa spalancata bocca / papà, tu il mio grido / i globuli della luce nera”.
L’abuso del corpo “bersaglio” e dell’anima straziata, dopo l’incestuosa e dolente conquista di quella regione profonda del cuore, scardinata dalla colpa di un altro “Dopo il mondo sarà d’amore / la colpa di essere vivi / e non la luce che non scrive / ma l’alba, le sillabe del fuoco”. Tutta la tragicità del mondo si rivela nella essenzialità dei componimenti, in alcuni casi veri e propri frammenti, uno stile netto con picchi metaforici di nostalgica memoria, una scelta lessicale che scoperchia ogni lemma e fredda il lettore con il bagliore di una lama silenziosa, facendo sanguinare l’urlo più coriaceo e antico, “l’orfano remoto”. L’abuso, la violenza, il carcere, la psicosi, la droga, una notte nera e infinita che stenta a lasciar intravedere una scheggia di luce nel corpo trafitto, esposto come un sacrificio “Di un bianco sacrificio agnello”. Marià fa cadere ogni orpello, ogni eccesso interpretativo, ogni artificio a favore di una lingua che non conosce tregua né compromesso, una fibra nervosa impastata di natura materica e celeste, sviscerata e profetica, sempre in punta di perdono “La carne degli affetti / una sfera che si schiude / quando scarcerato dal corpo / il cielo ulteriore”.
La sua architettura di significati è un terreno di fantasmi dal quale la scrittura, con la sua potenza di memoria, morte e redenzione, tenta disperatamente di raschiare via la più piccola particella di abominio. La parola poetica si fa perla e fluorescenza, lo spettro visibile di una regione del cuore segregata che riflette le miserie dell’esistenza nel suo pronunciare tutti i toni del vero “Coni di luce contrapposti / noi i disabbracciati / a cicatrice dei nomi”. E su questo scenario di macerie e tirannie, su questi “cani crocifissi” una presenza materna e connaturale alla terra sembra muoversi a passi lenti nello spazio del racconto, gravida di carezze mancate, implorate e negate dall’eterno coro dei “bambini spalancati” “Una grondaia d’ali / e strati di foglie, / come una delicatezza di cani / la mia fredda pancia di madre”. Marià ci fa entrare in zone oscure del vivere per poi risalire dal fondo nero del paesaggio, brandendo il candore di un’ala angelicata, il soffio fugace di farfalla, la spina dolorosa, il fiore trafitto dell’innocenza, il bocciolo perduto, mentre l’ombra del sopruso, della barbarie, della fragilità offesa e vituperata sembra cannibalizzare l’intera scena. Creature antichissime popolano la scena, oniriche presenze quasi a voler testimoniare le miserie della creaturalità tutta “I delfini madre e le foglie / che al seno degli alberi / si issano gusci i tossici / quando in branco di latte / corrono neve vergine / “la rotta dei suicidi”.”
E in chiusura di prefazione i fratelli D’Innocenzo, nel riportare un passo di Antonio Moresco “E vorrei una lettura che non lasci residuo, come la fiamma brucia tutto ciò che incontra, e se anche la scrittura di questo libro è così, allora che sia una fiamma che brucia un’altra fiamma” rifilano la fredda lama della parola incendiaria di Marià, quel suo condurci in un “potentissimo altrove”, dove riecheggia senza sosta “questo restare non nati”, noi tutti, ugualmente “corpi fragili, nostalgia di creature”.
Paola Mancinelli (Taranto, 1974). Approfondisce gli studi filosofici e teologici, ottenendo il titolo di Magistero in Scienze Religiose. È poeta e artista visuale. È presente nel volume Taranto, citta della poesia, a cura di Silvano Trevisani, Macabor (2022), nel volume Sud. Viaggio nella poesia delle donne (Volume secondo), a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor (2020). Ha pubblicato il libro di poesie La resa del grazie, Ladolfi (2019). È presente nelle raccolte poetiche Sud. I poeti (Volume sesto), a cura di Bonifacio Vincenzi, Macabor (2019), Il corpo, l’eros, Ladolfi (2018), Close up. 0.10 Atti introspettivi di Sara Liuzzi, Gangemi (2018), Parole Sante, Kurumuny (2015). Ha pubblicato il libro d’artista Poesia, tempo presente. La parola e il tempo, Print Me (2014). Ha curato insieme ad Antonella De Biasi l’Antologia di AA.VV. Cartoline dalla Puglia per L’Erudita, Giulio Perrone (2023). Riceve il Premio Speciale della Giuria nella 2ª Ed. del “Premio Poesia Inedita Poeti Oggi 2022”, il Primo Premio della 9ª Ed. del Concorso Internazionale di Poesia “Parasio – Città di Imperia” 2022 e il Gran Premio della Giuria nella 29ª Ed. del Premio Nazionale di Poesia Inedita “Ossi di seppia”. Fa parte della redazione online della rivista Atelier per la quale cura la rubrica Visuale sul Novecento.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
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Rino Della Negra: Emigrante-Calciatore e Partigiano
Articolo di Fabio Casalini
Rino Della Negra nacque nel 1923 a Vimy, nel dipartimento di Pas-de-Calais, da genitori italiani: il padre, muratore, era originario di Udine.
Nel 1926 la famiglia si stabilì ad Argenteuil nel quartiere Mazagran, ribattezzato Mazzagrande a causa della numerosa presenza di italiani.
Rino, giovane e pieno di speranze, iniziò la sua carriera calcistica come attaccante nella squadra della cittadina alla periferia di Parigi, ovvero l’Argenteuillais FC.
Riuscì a ritagliarsi molto spazio ed a collezionare diversi successi, come la Coupe de la Seine del 1938 e la Coupe du Matin-FSGT del 1941.
Nel frattempo svolse l’attività di apprendista muratore, prima, e di operaio del settore metallurgico in seguito. Nel 1938 fu naturalizzato francese.
Nel 1942 fu notato dai dirigenti dell’importante squadra del Red Star Football Club, società fondata a Parigi che giocava nello stadio di proprietà situato nella periferia Nord della capitale francese, esattamente a Saint-Ouen-sur-Seine.
Come la storia ci ricorda, la Francia nel 1940 fu invasa dai nazisti. Questo evento colpì anche il giovane Rino tanto che nel 1942, a 19 anni, rifiutò la chiamata al Servizio di Lavoro obbligatorio (Service du travail obligatoire – STO) in Germania, decidendo di unirsi ai Francs-tireurs et partisans (FTP). Il Servizio di Lavoro obbligatorio era un periodo con il quale i francesi dovevano “partecipare” allo sforzo bellico tedesco fornendo lavoro gratuito.
Rino Della Negra si unì al distaccamento italiano dei Francs-tireurs et partisans / Main-d’oeuvre immigrée (FTP-MOI), con il nome di Jean-Claude Chatel (secondo altre fonti Dallat).
Prima di essere catturato partecipò a una quindicina di azioni, tutte nel 1943: tra le operazioni possiamo ricordare sabotaggi, distribuzione di materiale e armi ed attacchi ai convogli nazisti o fascisti.
Nel giugno del 1943 prese parte all’attacco alla sede parigina del Partito fascista italiano, in rue Sédillot.
Sempre nel giugno del 1943 partecipò all’esecuzione del generale Von Apt.
Nel frattempo Rino non abbandonò la famiglia e nemmeno la propria squadra di calcio.
Della Negra giocò solo otto partite nelle file del Red Star FC. Le giocò tutte quando si trovava già in clandestinità. Incurante del pericolo, giocò tutte, anzi le sole, le otto partite con il proprio nome e non con lo pseudonimo di Jean-Claude Chatel o Dallat.
Purtroppo il 12 novembre un’operazione contro i tedeschi non si concluse come le altre. Rino rimase ferito nell’attacco ai nazisti e fu trasportato all’ospedale della Pitié-Salpêtrière. All’interno delle stanze del nosocomio parigino fu arrestato, interrogato dalla polizia ed infine dalla Gestapo.
Rino Della Negra verrà giustiziato insieme ad altri 21 partigiani ad Ovest di Parigi, il 21 febbraio del 1944. Erano 23 in totale; l’ultima, Olga Bancic, verrà decapitata in Germania cinque mesi dopo.
Fu sepolto nel cimitero del Centro di Argenteuil.
Grazie all’estremo sacrificio Rino diventerà una figura emblematica del club Red Star tanto che la sua memoria è regolarmente onorata dai tifosi che hanno voluto installare una lapide commemorativa all’ingresso dello stadio.
Ma perché le i tifosi francesi vogliono bene a questo emigrato italiano?
Rino Della Negra incarna, ancora oggi, i valori in cui si riconoscono i tifosi del club e delle periferie parigine: l’antirazzismo, l’antifascismo e la difesa degli immigrati.
Dimitri Manessis et Jean Vigreux, Rino Della Negra, footballeur et partisan : vie, mort et mémoire d’un jeune footballeur du « groupe Manouchian », Libertalia, 2022
Quando è necessario il cambiamento della narrazione per modificare i pensieri della società.
Africa: femminile plurale un libro per comprendere, per conoscere e scoprire.«Bisogna isolare quello scimpanzé, non dovete parlare con lui». Queste parole sconvolgenti sono state pronunciate da un’insegnante di una scuola media di Spoleto. Un avvenimento di ottobre 2020 che ha visto protagonista un bambino di 13 anni di origine marocchina. Il padre del bambino ha reso pubblica, a mesi di distanza, la frase offensiva che è diventata oggetto di un’inchiesta.È davanti all’ennesima notizia di discriminazione razziale che ci si trova costretti a riflettere nuovamente sul lavoro di narrazione nei confronti dei Paesi altri e di chi, da questi, proviene. In una realtà come quella del 2021 in cui nelle classi di tutta Italia i bambini si confrontano con culture e identità variegate e diversissime tra loro, l’episodio avvenuto nella scuola media di Spoleto disarma e fa preoccupare. Parole forti legate a stereotipi e pregiudizi razziali non possono e non devono arrivare dalle figure di riferimento come quelle di adulti, ancora peggio, insegnanti. Colmare la necessità di nuove narrazioni è l’unica via possibile per scardinare le convinzioni di sempre, i bias – i pregiudizi come vengono chiamati nel gergo sempre più frequente e usato proveniente dal mondo dell’attivismo. E così la cultura può e deve essere un mezzo per poter lavorare sul linguaggio e sullo sguardo che ha bisogno di essere educato, cambiato.
“Africana. Continente al di là degli stereotipi” (Feltrinelli, 2021) è un testo che vuole lavorare proprio sull’Africa; il continente più grande del mondo ma che, nella sua vastità, non si conosce affatto se non per l’istruzione media e limitata che la scuola e le voci ovattate dei telegiornali ci mettono a disposizione. L’Africa che è conosciuta solo come continente di povertà, di migrazioni, di carestie, di conflitti, di scontri religiosi. Invece l’Africa reale dello sviluppo, della tecnologia, di commercio, festival, cultura, tradizioni, eccellenze sparisce sempre. Svanisce fagocitata dai pregiudizi e dall’assenza totale di approfondimento da parte del mondo occidentale. Un’Africa libera da stereotipi, un’Africa scevra da termini limitanti, dalla povertà lessicale e culturale che il cosiddetto primo mondo ha sempre usato per narrarla e renderla concreta.
“Africana” a cura di Igiaba Scego (Roma, 1974) autrice italo-somala autrice di numerosi romanzi tradotti all’estero e Chiara Piaggio studiosa ultradecennale nell’ambito dello sviluppo nell’Africa Sub-sahariana hanno lavorato ad approfondire lo sguardo. L’obiettivo è quello di avere un nuovo strumento per smettere di coniugare l’Africa al singolae ma al plurale. “Uno strumento di difesa contro gli stereotipi” che si concede al lettore tramite le sue letterature e i suoi protagonisti: Adichie, Wainaina, Bulawayo, Selasi, Gazemba e molti scrittori emergenti ancora sconosciuti. Voci, storie, esperienze che tramite la parola trasformano, modellano e ridefiniscono questo continente che ha molto da dare e deve farlo sapere a chiunque.
Africana, V.V.A.A., a cura di Igiaba Scego, Chiara Piaggio, Feltrinelli, 2021, 224 p,19 euro
Nadia Maria Filippini- “Mai più sole” contro la violenza sessuale
– Viella Libreria Editrice-
Sinossi del libro di Nadia Maria Filippini- Il libro ricostruisce una vicenda che ha segnato uno snodo cruciale nella lotta contro la violenza sulle donne. È la prima manifestazione femminista in un processo per stupro, a Verona nel 1976, che vede il movimento, d’intesa con la parte civile, chiedere il dibattimento a porte aperte e trasformare il processo in un’azione di denuncia contro la parzialità dei giudici, la vittimizzazione secondaria e la cultura solidale con lo stupro.
Il valore emblematico e l’impatto mediatico della vicenda, seguita per la prima volta in diretta anche dalla Rai, portano il tema della violenza di genere al centro del dibattito pubblico e inaugurano una stagione di mobilitazioni e iniziative delle donne, con l’apertura di centri antiviolenza e la modifica del codice Rocco, che ancora derubricava lo stupro come reato contro la morale.
La ricca documentazione, per la maggior parte inedita, di cui si è avvalsa la ricerca, ha consentito di mettere in luce le figure delle protagoniste, i contenuti e le sfaccettature di questa battaglia, le sue ripercussioni sociali e politiche, collocandola nel contesto della storia delle donne degli anni Settanta.
2. La violenza carnale nei codici e nella tradizione giuridica
3. Il femminismo italiano alla metà degli anni Settanta
4. Il contesto veronese
5. Lo spartiacque del delitto del Circeo
2. «Ogni processo per violenza carnale è un processo politico»
1. L’incontro con il movimento femminista
2. Rompere il silenzio!
3. L’antecedente del processo per aborto di Padova
4. La mobilitazione delle donne
5. La strategia processuale: l’istruttoria di parte civile
6. Per un processo a porte aperte!
3. La contestazione in Tribunale
1. La scelta di Tina Lagostena Bassi e Maria Magnani Noya
2. La ricusazione della Corte
3. La conclusione del processo
4. La risonanza mediatica
5. L’impossibile rientro nel paese
4. «Non è che l’inizio!»: la lotta contro la violenza sulle donne nella seconda metà degli anni Settanta
1. Il proliferare delle manifestazioni
2. Nascita dei centri antiviolenza autogestiti
3. Verso una nuova legge sulla violenza contro le donne
Appendice
Indice dei nomi
L’Autrice-Nadia Maria Filippini ha insegnato Storia delle donne presso l’Università di Ca’ Foscari di Venezia. Ha fatto parte del direttivo della Società italiana delle storiche, di cui è fra le socie fondatrici, e della redazione della rivista «Genesis». Per i nostri tipi ha già pubblicato: Corpi e storia. Donne e uomini dal mondo antico all’età contemporanea (2002), Donne dentro la guerra. Il primo conflitto mondiale in area veneta (2017) e Generare, partorire, nascere. Dal mondo antico alla provetta (2017; trad. ingl. Pregnancy, Delivery, Childbirth. A Gender and Cultural History from Antiquity to Test Tube, Routledge, 2020).
In copertina: Manifestazione femminista nell’aula del Tribunale di Verona, 1976. Archivio Lucas Uliano.
Viella Libreria Editrice-
Via delle Alpi 32 – 00198 Roma
Tel. 06.8417758 – Fax 06.85353960
Breve biografia di Valentina Furlotti nasce a Parma nel 1993, città dove vive e insegna. Laureata con lode in Filosofia con una tesi sull’autore letterario, ad oggi sta ultimando la sua prima raccolta poetica. Suoi testi appaiono in Farapoesia.
Pasqua in RSA
Te lo presentano tirato a lucido
capelli argentati e barba fatta
solo qualche pelo sugli zigomi
sfuggito alla lama del rasoio.
Siede nel bianco come chi pretende;
calze nei sandali, piede che ondeggia.
Ornata di perle lo interroghi
su proverbi e tabelline, narri di un uovo
di cioccolato fondente
disciolto nell’auto. Labbra succhiano
dalla tua mano nido, finché la porta
spalanca luce e polvere.
*
Insegni come domare gli animali
al mendicante che osa chiedere;
sai piegare i vitelli in una pentola
e fingi di mangiarli in cinque
bocconi esatti. Ti accogliamo
al buio, sull’erba di candele:
è arrivato il Rabbunì. Lascia
che ti mostri la mia gratitudine
mentre ti prego di non sparire.
*
Stoviglie che tintinnano e limoni
tra le vie di Malaga, banchi
vendono mandorle e al mattino
biglietti della lotteria. Un genio levita
sotto l’ombra della Manquita,
da ventiquattr’ore a bordo strada
uno scarafaggio a gambe all’aria.
Biblioteca DEA SABINA -La rivista «Atelier»
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