in scena dal 5 al 7 giugno 2023 al Teatro “Il Parioli” di ROMA
Caligola di Albert Camus –Regia Andrea Baracco -Con (in ordine alfabetico): Anna Bisciari, Lorenzo Ciambrelli, Doriana Costanzo, Federico Fiocchetti, Vincenzo Grassi, Ilaria Martinelli, Sofia Panizzi, Marco Selvatico, Giulia Sessich. Adattamento Maria Teresa Berardelli Musiche Giacomo Vezzani Scene Francesca Tunno Costumi Laura Giannisi Luci e Direzione di scena Javier Delle Monache Aiuto Regista Danilo Capezzani Assistente alla regia Andrea Lucchetta Foto di scena Manuela Giusto Spettacolo degli allievi diplomati dell’Accademia Nazione d’Arte Drammatica Silvio d’Amico
NOTE DI REGIA
Andrea Baracco:” Governatore incostante, cedevole al piacere di un’idea, Caligola, dopo meno di un anno al potere, si ammala, ed è proprio da questa malattia che Albert Camus inizia la sua indagine drammaturgica. Nella seconda versione del suo Caligola, quella del 1941, la malattia coincide con il lutto: Drusilla, la sorella che Caligola ama, muore e questo diventa un dolore insopportabile. Nella terza e ultima versione del Caligola, quella del 1958, il lutto diventa invece l’incidente scatenante della malattia, non la malattia stessa: è ciò che lo porta a conoscere la più semplice e insieme terrorizzante delle verità: “gli uomini muoiono e non sono felici”; e questa verità gli rende necessario l’impossibile. La ricerca dell’impossibile conduce Caligola verso l’esasperazione e la tirannia, acuendo l’ostilità del Senato. Caligola sa che morirà, per mano del Senato stesso: attende solo il momento. Non ha paura della morte, perché la paura, così come il dolore, così come qualsiasi altra cosa, è passeggera, finisce. La morte, il dolore, anzi, danno lui una ragione, esasperano la sua ambizione di vivere. E così diventa che l’amore di vivere e la disperazione di vivere vanno di pari passo, e tra questo diritto e rovescio del mondo non sceglie mai. È a quest’assurdità a cui Camus guarda: non è il terrore del suo governo il protagonista, ma l’idea che non esiste più una possibilità di salvezza“. Andrea Baracco Regista
Enrico Carli- Ginecocrazia. Il mondo è delle donne
Cartacanta Editore-Forlì
DESCRIZIONE
In un futuro non molto lontano, il Nuovo Matriarcato è salito al potere in Europa e negli Stati Uniti. Per la prima volta nella storia dell’umanità, le donne governano buona parte del mondo civilizzato. Il separatismo di genere è diventato una realtà: le nuove famiglie sono formate da due madri e l’inseminazione artificiale è l’unica maniera consentita per la fecondazione. Mentre i donatori destinati alla BDS (Banca del Seme) sono selezionati tra coloro che si sono distinti in qualche campo della conoscenza, gli uomini che spiccano per bellezza e vigoria sessuale vengono assegnati agli Eden park, paradisi artificiali in cui le ricche matriarche possono inscenare il peccato originale e divertirsi con gli Adam. Tutti gli altri sono sottoposti a evirazione nelle Cliniche Semivir. Nella società matriarcale gli uomini non hanno più diritto nemmeno a un nome, ciascuno diventa una matricola della funzione che svolge o viene fatto riferimento alla professione esercitata sotto il precedente dominio patriarcale. “Il filosofo” è assegnato come donatore alla BDS, dove la figlia, la dottoressa Bea Iurba è ricercatrice. Qui conoscerà l’ex pornoattore Rusty T, sovrintendente alle camere masturbatorie col soprannome Farinelli, un evirato che cerca di svolgere il proprio compito scrupolosamente
L’AUTORE
Enrico Carli è nato nel 1976 a Senigallia.Ha pubblicato il romanzo breve L’uomo in mare e il romanzo Tupilak o come si diventa sciamani (Ventura Edizioni, 2015 e 2020).Si è occupato di cinema sulla rivista culturale indipendente Argonline.it.Su Malgradolemosche.com è stato pubblicato il suo racconto Sovvertimento.
È il crepuscolo del mondo e tu dov’eri
mentre mi sforzavo di dormire per sognarti
e nel sogno sei crudele e io ti sogno
perché crudele vuol dir viva
vicina attenta addosso a me che vivo
fuori dal sogno crudele anch’io ma senza
te contro cui spuntare armi
e è il crepuscolo del mondo e tu dov’eri
quando mi sforzavo di svegliarmi per sentire
il vuoto tuo di te già in dormiveglia
tra le braccia di un altro me che mi somiglia,
un me distorto, un me figura
di me che ha corpo nel tuo corpo
ma è il crepuscolo del mondo e ecco il vento
a gridare che non manchi solo a me,
manchi e noi manchiamo, amore, al mondo
che manda a morte senza bara e senza urna
migliaia di suoi figli perché infuria
l’indicibile dolore – la mancanza
inesauribile che scorre ma non passa
come la sabbia alla clessidra
testimone della fine e dell’eterno
del tempo muto nel deserto.
IL TRADIMENTO
Contra miglior voler voler mal pugna. (Purgatorio, xx, 1)
Come se le ceneri dall’urna
fosse ancora vita che spaventa,
come se la neve alla tormenta
fosse essenza e non l’abbaglio
di bianco all’occhio degli umani
come se il fumo che mi serve
per pensare e scrivere e parlare
fosse già il tumore e non soltanto
l’invenzione comoda, il perché
a un certo punto poi si muore
come se davvero fosse tutto
così come lo schediamo
noi gran vermi a dire io –
a dimenticare che fu Dante, non il contrario, padre a dio.
IL LASCITO
a E.C., studentessa di liceo classico
E insegnarti anche a tradurre
l’oggettiva senza verbo della morte,
insegnarti anche a convivere
con l’ombra che in silenzio sottintende
tutti i soggetti della storia
tutti gli io che alla memoria
stanno come gli accenti alle parole.
Insegnarti le parole,
donna bambina che non sai
quanto corpo nascondono quei suoni,
quanto sangue scorre ancora
dentro ai morti e quanta rabbia
che tu provi, quanto amore
che non dici – quanto tutto
sia già tutto esistito
in loro, quei mortali
che hanno fatto di morire un verbo transitivo.
Insegnarti a ricordare
che conta ricordare
il senso delle cose,
non quell’infinita
cronistoria delle rosae perché un giorno anche tu,
anche tu che adesso hai denti
tutti bianchi e occhi aperti,
tu che adesso ti diverti
anche tu ti troverai
a pezzi e senza forze,
con lo stomaco piagato
da un vuoto che non sai
e saranno quegli umani
dalle dita di scrittura
a toccarti sulla fronte,
nell’incavo delle ossa
tra i passi e l’intenzione.
Insegnarti anche a soffrire,
a respingere l’antidoto,
la preghiera, il sedativo
ché tanto è l’ablativo
del dolore poi a guarirci.
Insegnarti la bellezza
del dativo e dei servili
(occhio: siano attivi
ché il passivo è schiavitù),
la finta concretezza
di ogni possessivo
e l’inganno fiero
di noi umani tutti quanti
che diamo solo nomi
ma non solo nominiamo
perché dire è partorire
e senti come suonano
fratelli fiato e feto.
Insegnarti che gli umani
sono tutte coordinate
di un periodo senza punti
(forse scritto male,
tra refusi e altri errori
di copia o traduzione)
e che è solo il nostro tempo
delle feste comandate,
dei confini, del potere
che stravolge la sintassi
e c’impone gerarchie –
tu ricorda me che mentre parlo e insegno imparo e ascolto te.
AL TEMPO, CON AFFETTO
E non proviamo più
nemmeno a dargli contro
nemmeno a darci dentro
se non a graffi, con le unghie
(della penna o della mano
che in fondo tutto è umano
anche quel che non respira,
dai brividi del sasso
al fiato del carbone)
una parete, una a caso:
lo sterno o la galera
la memoria o il foglio bianco.
E allora fugga tutto
cancelli pure il nulla
il Tempo, e polverizzi
ogni nome, ogni storia
calpesti tutti noi
coi suoi tacchi da bolero
(zoccoli da toro)
e coi denti di chi ignora
la fame non la gola
ci mastichi e divori.
Ché qui sarà passato
qualcuno, qui, e qualcosa
qui sarà successo
e alla fine della carne
quando tutto sarà stato
resteranno le parole:
vivi fossili a sancire,
Tempo,
il tuo fallimento.
Sacha Piersanti è nato nel 1993 a Roma, dove vive e lavora.Ha pubblicato Pagine in corpo (Empirìa 2015), L’uomo è verticale (Empirìa 2018) e il saggio Zero, nessuno e centomila. Lo specifico teatrale nell’arte di Renato Zero (Arcana 2019; 2022). Tra il 2016 e il 2019 ha co-ideato il progetto teatrale L’ora dell’Alt, basato sulla poesia di G. Caproni e messo in scena a Roma e a Parigi. Traduttore dal latino (Plauto) e dall’inglese (Durham), è tra i curatori del progetto culturale La casa del Poeta, per la riqualificazione e conservazione della celebre ‘baracca’ del poeta V. Zeichen, e co-dirige lo spazio Zeugma, a Roma.
Biblioteca DEA SABINA- La rivista «Atelier»
La rivista «Atelier» ha periodicità trimestrale (marzo, giugno, settembre, dicembre) e si occupa di letteratura contemporanea. Ha due redazioni: una che lavora per la rivista cartacea trimestrale e una che cura il sito Online e i suoi contenuti. Il nome (in origine “laboratorio dove si lavora il legno”) allude a un luogo di confronto e impegno operativo, aperto alla realtà. Si è distinta in questi anni, conquistandosi un posto preminente fra i periodici militanti, per il rigore critico e l’accurato scandaglio delle voci contemporanee. In particolare, si è resa levatrice di una generazione di poeti (si veda, per esempio, la pubblicazione dell’antologia L’Opera comune, la prima antologia dedicata ai poeti nati negli anni Settanta, cui hanno fatto seguito molte pubblicazioni analoghe). Si ricordano anche diversi numeri monografici: un Omaggio alla poesia contemporanea con i poeti italiani delle ultime generazioni (n. 10), gli atti di un convegno che ha radunato “la generazione dei nati negli anni Settanta” (La responsabilità della poesia, n. 24), un omaggio alla poesia europea con testi di poeti giovani e interventi di autori già affermati (Giovane poesia europea, n. 30), un’antologia di racconti di scrittori italiani emergenti (Racconti italiani, n. 38), un numero dedicato al tema “Poesia e conoscenza” (Che ne sanno i poeti?, n. 50).
Direttore responsabile: Giuliano Ladolfi Coordinatore delle redazioni: Luca Ariano
Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
Redazione Cartaceo Direttore: Giovanna Rosadini Redazione: Mario Famularo, Giulio Greco, Alessio Zanichelli, Mattia Tarantino, Giuseppe Carracchia, Carlo Ragliani.
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Nota di Michele Paladino-Fotografia di Dino Ignani
Nota di Michele Paladino
Renzo Paris è uno scrittore che più di ogni altro, dopo le architettate fantasie creative del ’68 e i violenti, carichi e idiosincratici sperimentalismi dell’avanguardia – fatti di assalti alle cattedrali liriche dei famuli ermetici antisociali e neoungarettiani demodé – ha saputo mostrare il carattere di un poeta sempre coerente all’irridente gioco burlesco. Votato alla spregiudicatezza sciancata dei suoi versi: dal tono sempre indocile e fatuo, volti al segno leggero e grave in sospensione tra il lugubre décor dei convulsi anni ’70 e la successiva disintegrazione della società politica del riflusso di fine Novecento. L’occasione per ritornare a questo poeta meta-neoteroi è data dalla pubblicazione dell’intima antologia Poesie 1968-2022, personale canzoniere capace di integrare l’intero percorso poetico di Paris. L’inserimento all’interno del libro di speciali testimonianze personali in forma di memoir pone il lettore davanti a un esodo diaristico che celebra la visione picara baudelairiana. Così, dopo essere entrati nell’universo mistagoico e ferale dello sciamano di se stesso, si attraversa il padiglione delle pose saldamente poggiate sulla tavolozza dei colori dell’amato Corbière. Il senso di questa poesia è nel soffio continuo del desiderio da saltimbanco, mai dissociato dalla pesanteur contemplativa che riecheggia in poesie dalla freddezza da humour nero surrealistico:
La prepotenza ha occhi strabici,
sanguigni, una voce scandita, acuminata,
dice “basta!”
tronfia nell’eco,
specchio soltanto a se stessa.
[…]
La prepotenza ha le frecce aguzze,
il sangue del cervo già macchia la sabbia,
schizza sul marmo, segna le piste dell’alba.
La poesia di Paris si cala nelle onde dei simboli letterari, i vagheggiamenti distesi di Chlebnikov seguono la guasconeria delle pariglie amorose di Paul-Jean Toulet, fino a diventare metafora di nugae catulliane che per limpidità ludica si calano nel segreto espressivo di uno stile ricco di molecole trovate nel fondo cubista di un Apollinaire. Da Album di famiglia, invece, la poesia sembra ammalarsi nella rigidità di una poesia fattasi saturnina, canagliesca, tradita da una società moderna che stinge ogni vero messaggio lirico. È qui che l’atteggiamento primitivo e stregonesco, depurato dal sedimento irrazionale (il Tibet del Fucino come paesaggio sublime) porta Paris a creare una poesia dalle implicazioni sensuali e lievitanti, quasi a fondersi con un ipotetico, diamo per improbabile, Bertolucci in contumacia da un affabile erotismo campestre:
Il vento dell’utopia è passato,
tutto è stato consumato.
In bicicletta mi avvio tra le colline
di una giusta delizia, dopo tante
croci. Vieni amore, sali sul sellino,
ti porterò tra praticelli acquosi
e fiori marsicani. Colmo il viso
di riso vorrò che traspaia e
bevo con te alla fonte dei pastori
le fresche parole della sera.
Resisteremo per molto? Dureremo?
Il sentiero è accidentato, ma ci sono
I ranuncoli gialli sul ciglio del
Fosso e l’erba medica già ci prepara
le verdi lenzuola. Facciamo barchetta
con i piedi sotto le tue natiche dolci.
Poi il gioco dei quattro cantoni
Ci vedrà scontarci, piangerci,
rotolarci. La bicicletta può certo aspettare.
Il nostro amore no?
Una poesia da modello all’ultima fase della poesia di Paris, fatta di cammino urbano dal lento pede e colloquio onesto nel fondo di contesto cittadino ed esprit magico-rituale della provincia. A questo tipo di poeta plebeo, dal sapore sabiano – “La poesia è tornata bambina” -, appartiene la dimensione conversativa, drammaturgica, di una “realtà, che mi inghiotte come una fornace con i suoi tizzoni ardenti”, di un Aprile che bordeggia il Pasolini friulano, di un carattere levantino e orientaleggiante che traspare con un delicato linguaggio da sapiente critico del costume sociale occidentale. La bellezza della poesia di Renzo Paris risiede nell’incontro fecondo e stratificato di un atto liberatorio che nega ogni alone arido, intellettuale, una clausola che alla poesia di oggi risulterà vuota di senso.
[…] Sono ancora lucido
e vispo ma non mi aspetto più niente.
Non ho fatto altro che rincorrere
la vita immaginandola, stravolgendola,
per ricomporla nell’ultimo scongiuro.
Renzo Paris è nato a Celano (AQ) nel 1944. Si è trasferito con la famiglia a Roma nel 1958, dove ha sempre vissuto. Ha raccolto le sue poesie in Album di famiglia (Guanda, 1990), Il fumo bianco (Elliot, 2013), Il mattino di domani (Elliot, 2017) e Magico respiro (Stampa 2009, 2021). Ha scritto La banda Apollinaire (Hacca, 2009) e ha raccontato la seconda scuola romana di poesia in La vita personale (Hacca, 2009). Ha tradotto e commentato per gli Oscar Mondadori Gli amori di Guillaume Apollinaire e Gli amori gialli di Tristan Corbière, mentre per TEA ha commentato Amori di Jacques Prévert. È autore di numerosi romanzi tradotti all’estero, tra i quali: Canisciolti (Guaraldi, 1973), Frecce avvelenate (Bompiani, 1974), la trilogia marsicana Ultimi dispacci della notte (Fazi, 1999), La croce tatuata (Fazi, 2005) e I ballatroni (Avagliano, 2007), a cui sono seguiti Alberto Moravia: Una vita controvoglia (Castelvecchi, 2013), Il fenicottero. Vita segreta di Ignazio Silone (Elliot, 2014), Pasolini. Ragazzo a vita (Elliot, 2015), Miss Rosselli (Neri Pozza, 2020) e Pasolini e Moravia. Due volti dello scandalo (Einaudi, 2022). Ha insegnato Letteratura francese nelle università di Salerno e di Viterbo. Collabora al «Venerdì di Repubblica», «il manifesto» e «il Fatto Quotidiano».
Michele Paladino è nato a Termoli nel 1993. Ha pubblicato nel 2021 Breviario delle aberrazioni (Fallone editore). Si occupa di critica letteraria.
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Redazione Online Direttori: Eleonora Rimolo, Giovanni Ibello Caporedattore: Carlo Ragliani Redazione: Mario Famularo, Michele Bordoni, Gerardo Masuccio, Paola Mancinelli, Matteo Pupillo, Antonio Fiori, Giulio Maffii, Giovanna Rosadini, Carlo Ragliani, Daniele Costantini, Francesca Coppola.
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-MURALE CASTELNUOVESI-La Poesia del primo giorno di giugno-
di Franco Leggeri di Castelnuovo di Farfa
-La Poesia del primo giorno di giugno-
(Ed ora è Sempre più autunno)
Come declinare un poema,
come declinare il verso degli animali feriti,
come declinare l’esilio ,
come declinare il dolore camminando sulla strada che brucia.
Declinare all’interno di una tenda il grido del riposo,
contare i metalli dell’odio che sono nella mano sbagliata.
Non declinare il tramonto della luna e il credito di un sogno.
Oso dividere il ricordo dal profumo dell’amore e bere le gocce di lacrime
prima che svanisca il vapore dell’alba e tu sole che aspetti dietro il colle
riprenditi il buio dell’odio e lascialo all’incontro di un lento rinascere
all’interno della mia poesia, malata di verbi, che nasconde il muro merlato di un sogno finito.
Corrono le parole all’assalto dei ricordi e il poema declina il lento , ma veloce, sfogliare la primavera
ed ora è Sempre più autunno, mentre in un acquazzone è già trascorsa l’estate nell’ampiezza di una luce finita.
mentre il sole stende le sue braccia all’orizzonte.
Tra il grigio e le sue mille sfumature,
come un Radiologo, cerco una risposta.
Un singolo bagliore, all’ombra della sera,
che possa illuminare la mia mente
e – solo – tra le pieghe della memoria
continuo imperterrito a frugare.
Come un Radiologo, forte io mi aggrappo
al segno rivelatore che mi spieghi l’esistenza.
E quando stanco – pur sembrando strano
per un Medico Radiologo – io prego.
E tra i fulmini che accendono il tramonto,
attendo quell’Arcangelo che m’indichi la via.
E poco importa se la gente – spesso ignara –
mi deride e vede in me un automa.
Una sorta di congegno senza l’anima
che vive al buio per paura dell’amore.
Tanto io , come un Radiologo e senza sosta,
continuo ad esplorare nell’intimo del mondo
portando spesso addosso, non solo per bontà,
le mie e le altrui miserie, a volte anche serie.
E proprio come un Medico Radiologo,
m’immergo in mille volti e mille vite.
Mi perdo in giovani sorrisi, spesso stanchi, e soffro
quando inerme e interrogato giro i miei tarocchi
– che son pixel iridescenti – e non vi leggo la speranza
che il Prossimo vien da me ad elemosinare.
Ma in fondo – e questo l’avrai capito –
sono proprio come un Medico Radiologo,
Uomo fatto di carne e d’ossa, a volte quasi rotte,
che nel cuore della notte ancor si scioglie quando
– desiderando solo la mattina e pure un letto –
incrocia il sorriso di un Bambino spaventato
che, come vento inviato dalle Stelle sulla terra,
di colpo lo riasciuga da tutta la fatica e dal dolore.
da ITACA, PENELOPE E I MAIALI
Itaca: La Bellezza
Anche adesso – che gli dèi del progresso hanno brindato
con milioni di piccole bolle color di zecca effervescenti e
i nostri cervelli, tutti d’un sorso, si son bevuti –
quando alzo il naso dal mio smartphone vedo ancora
che la luna, sola, resta appesa al filo
– candido –
fatto di pensiero di bambino senza macchia.
E dondola nella via del latte, punzonata da miliardi di libellule
che son stelle quando a sera, l’Architetto, accende le sue luci.
E nonostante questo schermo, ancora vita e morte si rincorrono
in quel gioco vecchio quanto il tempo, fatto d’anni e di stagioni
e primavere che inarrestabili si susseguono e nuovamente
– continuano a sbocciare –
con prati che profumano di fresca malachite appena colta.
E volteggiano, nella cornice d’una finestra, grandi farfalle
e puntiformi uccelli a dipingere improbabili geometrie.
E passa l’estate e tornano a far rumore anche le foglie
che cadendo ci vengono a donare
il fragore rosso calcedonio
d’un silenzio ormai spesso inascoltato.
E di nuovo perfino anche la pioggia, rigida di freddo, ancora indossa
il maglione suo più bello, bianco color dell’innocenza e si dimena
imperterrita nel vento, tutto a ricoprire, il brutto e il bello e
i semafori e le canne, il tratto e pur la linea, il vero e l’apparente ombra.
E mentre il Mondo ancora insegue il Sole,
che zitto e quatto corre e
si smarrisce in quell’anfratto
d’Universo che prende il nome di Galassia,
io, che piccolo pur respiro, nient’altro posso fare
se non pigiare forte quel bottone
e riprendermi la Bellezza.
– Itaca –
unico traguardo materiale a cui approdare
spegnendo, come Ulisse, le sirene
leucotomizzanti e impure menzognere,
in quest’odissea ad arte costruita e poi…
spacciata, in pasticche narco-selfie, come vita.
Penelope: La Promessa
Distanze incolmabili s’aprono
su sterminati e feroci silenzi,
come acqua salata divide
coste, calette e spicchi di terra.
Nell’ora più buia dell’uomo
dove parola non viene né detta,
né scritta; la gioia è cliccata.
Un “like”, l’apoteosi del cuore,
espressione perfetta del tempo spietato
che ingurgita i minuti e perfino le ore.
E barbari, dai colletti stirati e
fasulle promesse di gloria e successo,
svendono la vita nel vuoto della rete.
Ma tu, dolce Amore, non perire.
Aspettami nell’antro di quel sogno.
Cercami nella luce dei tuoi occhi.
Penelope tesseva la sua tela e
con speranza di notte la sfilava,
nel ricordo dell’unica promessa:
Saremo sempre Noi e sempre veri,
a costruire su macerie,
portandoci per mano.
Argo: Il Ricongiungimento
A Serraino Fioravante
Ancora mi domando come?
E piego parole in questo lembo
bianco lenzuolo di carta e di stracci.
Accartoccio le idee, ruvide, a tratti
sbiadite, pendenti e scoscese.
Ripide scale che portano in alto
al ricordo di sere di maggio
e sullo sfondo quell’Itaca nostra.
Perplessa ascoltava sussurri e progetti,
giammai un rimpianto o inutili chissà.
E ciliege profumate inebriavano l’aria e
ubriacavano la mente di quei Mariani tramonti.
E forse mai niente ci siamo promessi
ma un Cane sempre ricorda il non detto.
Aspettami sul ciglio di questa nuova casa
nel cielo di maggio torneremo a cantare
come rondini nere a parti invertite
tu Argo io Ulisse, nel certo ritorno.
da COME POLVERE DI CASSETTI
Oggi ho visto Dio
Oggi ho visto Dio
dentro l’ingranaggio
della ruota della vita
poco oleata a denti
stretti e ben serrati.
Dio rideva nel sorriso
fermo, rosso e vero
al semaforo dell’incrocio
tra via morte e malattia.
Eppur oggi ho visto Dio,
quando ho appreso ch’Egli
non diverso era da me.
Quel me ch’ogni mattina,
di sottecchi, guardo in faccia
nello specchio, colle mani
appoggiate al lavandino.
E quando oggi ho visto Dio
mi sono accorto che mai
l’avevo fissato dritto
e scrutato negli occhi.
E così l’avevo rinnegato
per tutto il tempo e
nel tanto, infinito, tempo
in cui dall’uomo mi ero
allontanato, come mosca
con la carta appiccicosa.
Ma oggi, finalmente,
l’ho trovato questo Dio
che dell’uomo s’è vestito.
Con cravatte di pietà
e calzini d’umiltà…
Lui, proprio Dio, Uno,
Trino e Infinito che,
imperterrito, séguita
a radersi la faccia
ogni singola mattina
in infiniti specchi che,
sparsi per il mondo,
volti umani, per magia,
continuano a riflettere.
E davvero… oggi,
te lo dico, ho visto Dio.
Ecocolordoppler
Se potesse, la mia mente,
fare “un’ecocolordoppler” e
consciamente scandagliare
il flusso rimbalzante di
pensieri accartocciati.
Quanto potrei godere
nel vederli glauchi quelli
– già pensati – che leggeri
si allontanano come un filo,
un rigagnolo di fonte chiara
depurata dall’immortale
setaccio del ragionamento.
E fantastico potrebbe essere
riconoscerli perché scarlatti
quelli ch’ancor non ho pensato
e predirli, pensarli, aprirli e…
mangiarli, l’uno chiama l’altro,
come chicchi di melagrana,
senza la vorace e deformante
ansia, angoscia d’improvviso.
Ma io vivo e non esisto!!!
E così, come sublime
e innata dote umana,
vivendo e non sapendo,
mi godo questo scherzo
della mente che s’affaccenda,
a volte aperta e a volte casta,
ad inzeppare vuoti e ingorghi
nei crepacci di memoria.
Senza ch’io possa sapere
come e quando cesserà;
ché sì facendo, a sua insaputa,
certamente ancor disseta
la mia fame di speranza.
da I BISBIGLI DI UN’ANIMA MUTA
Il lampione
Come segno di gratitudine a Fioravante Serraino
per avermi invogliato a cercare i miei miti
Piazza: irta foresta di gente sgomenta.
Che incredula osserva
danzar dolce musica
dai tondi e vuoti
neri buchi d’ottone
e dai legni a fatica
dall’uomo soffiati.
Piovono applausi! Mentre
una grigia voce annuncia
una calda dolce nanna…
… e di nuovo la gente,
muta e sgomenta,
col pensiero si finge
nel lento sbuffare
dei freschi orchestrali…
… e Lui lì, in disparte,
che fissa la folla
mentre illumina l’orchestra.
Solo,
si chiede se qualch’occhio
per errore l’ha veduto.
Sospettoso
si domanda
sulle bocche bisbiglianti.
E quasi infastidito
dalla voce del soprano
resta lì,
fermo e vecchio a lavorare
in rima attesa col mattino
nel suo buio da sopportare.
TRADUZIONI
A trilogy of love, dreams and new-found folly
I
Love, a word sprouted by chance,
growing in the garden of the passions,
sprung up by itself, even if it cost an effort.
In the only uncertain ruby-colored program,
a fantastic painting painted by three hands
and the fourth, left alone, to give
caresses, certainties, words and love.
Alleviating with unexpected and surprising rhymes
the slight as well as heavy sadness.
Of love.
Today I do not speak it but still live IT.
II
Dreams, stolen, torn, sliced to pieces.
Some even sown and flown away
like dangling ribbons, painted
on a sky changed by the perennial
solemn procession of weather that slithers
and runs like a flock
of butterflies, some white, others black,
some full and some empty.
Like ribbons, as I was saying, some
of the rapid dreams have disappeared
by themselves and gathered to make a nest together.
And today I will still scatter my dreams
all over the world, over the earth, the streets and the seas
of my life that sometimes is agitated and
at times stops and withdraws, returns and takes refuge
into the only game that is still permitted.
A foam of salt and sweetness that caresses the beaches
of this world and this universe,
leaving seashells
that are also still my dreams, fortunately
they are open and have been gathered by the hands of God.
III
And I still smile about other kinds of folly,
those that I have partly lost,
but perhaps if I look thoroughly in some
of my gestures, thoughts or words…
… Oh well! I swear to you now I can still find them.
They suddenly appear to scare me,
like a drop that falls in a silent hour
when my heart wants to lighten up and relax.
And I am are awakened by a simple drop, small and single,
to which the clap of a thunder is attached.
It is pure folly and will certainly return.
When it is alone, the saddest thought surrounds you
and punches you in the face and the chest,
and then you get up, you walk around and curse,
in order to return to your place, sometimes defeated and
sometimes victorious, in silence.
You gave in one more time, by chance and by force,
to those kinds of folly the world calls dumb and crazy,
but for you–that we are sure of–they are the things of the flesh
that when they start pushing can move mountains.
For me who is dif-ferent
For me who is dif-ferent
I pour me some verses,
I make grimaces
and sing-out-of normal tune.
For me who is gay
when, alone, I seek and find
the caress of a friend.
For me who is blind
when, boldly, I close my eyes
in the love of a Lady,
savoring this kiss of hers.
For me who is down
when, lost, in my mother’s embrace
I gently squeeze my eyes closed,
getting lost in a smile.
For me who has a beard
when, in the cold, on a bench
I eat bread and drink beer.
And I pour some poetry
for Whovever sows words
all over a world of Equals.
For Whoever in silence,
out of love for the dif-ferent,
is ashamed of the normal.
(English translation by Ute Margaret Saine)
Le Temps
Le temps s’écoule
entre les coudes anguleux
inutilement arrondis
par des souvenirs soustraits.
Presque il rebondit
des tapis de la mémoire
comme une histoire immortalisée
sur la page inutile
d’un essai de vie.
Et pourtant il se meut.
-Le temps-
Comme un chien matraqué
qui glapit au milieu des épines.
Uniques roses d’un jardin
abandonné.
Et il demande la note.
-Le temps-
Lorsque, au comptoir,
tu consommes et tu perds
la face
en voulant masquer ton passé.
Et en prenant ta dernière
monnaie, le barman
-en effronté-
te rappelle celui que tu étais.
Et il sourit lorsque
tu l’attends dans ton restoroute.
Dernier arrêt boiteux
comme une oasis qui t’éloigne
de la mort.
-C’est une illusion stupide-
De toute façon c’est le temps : qui te sert,
vole et te dépasse.
Sur cette autoroute
que freine ton chemin
et qui est la vie.
Voyage dans le silence
Uniquement poussé par le vent
j’entends son chant
et par enchantement je me perds dans le soleil.
C’est le matin!
(Traduction française par Laura Mucelli)
Breve biografia di Zairo Ferrante è nato nel 1983 ad Aquara (Salerno) e vive a Ferrara dove lavora come Medico Radiologo. Ha pubblicato le raccolte di prosa e poesia: D’amore, di sogni e di altre follie (Este Edition, 2009), I bisbigli di un’anima muta (CSA Editrice, 2011), Come polvere di cassetti (David and Matthaus, 2015), Itaca, Penelope e i maiali (Edizioni Il Foglio Letterario, 2019). Nel 2009 ha fondato il “DinAnimismo”, un movimento poetico/artistico di neoavanguardia. Suoi scritti figurano su diverse riviste e periodici culturali, sia on-line che cartacei. È inserito in numerose antologie collettive ed alcune sue poesie sono state tradotte in inglese, spagnolo e francese.
Osservavo un falco
planare lento lungo il pendio,
la sua forma scura
negli artigli come una preda.
Inclinò le ali,
cadde nell’aria –
l’ombra proseguì
senza di lui, come una lepre.
Ero ai ferri corti
con la mia cosiddetta anima,
parte libero falco,
parte ombra in libertà vigilata,
così agii d’impulso:
ne tenni uno ben in vista
e lasciai andare l’altra.
Il falco si librò in aria:
la compagna a terra
cominciò a sbiadire,
finché colle e cielo furono vuoti,
ed ebbi paura.
L’albero del mondo
Che specie di albero era quello, che stazionava
come un mendicante in fondo al nostro viottolo
dove noi ci sfidavamo su monopattini e biciclettine?
Segnava la fine del nostro mondo, mutilato,
grigio come una reliquia, laggiù oltre l’ultimo cancello
dove cominciavano i campi,
era cresciuto prima che si costruisse il complesso residenziale.
Era là che stavamo accovacciati,
dall’infanzia fino al tramonto dell’adolescenza,
le ginocchia raccolte sul mento, a sussurrare
dolci orrori …
Compagno albero, radice tribale,
da anni non penso a te, la tua linfa
in me, ma ora mi chiedo che specie eri
– sambuco o biancospino,
– e perché d’un tratto me ne importi.
Migratorio II
alla maniera di Hölderlin
Mentre gli uccelli migrano lentamente
lui guarda dinanzi a sé,
il principe e impassibile affronta
il vento che gli soffia contro il petto
c’è silenzio intorno a lui
lassù nell’aria
ma splendenti sotto di lui
si estendono i suoi territori
e con lui
per la prima volta inseguendo la vittoria
ci sono i giovani
ma con un colpo d’ala
lui li governa
Nota
‘Hawk and Shadow’ (Falco e ombra) è tratta da ‘Falco e ombra’, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose scelte, cura e traduzione di Giorgia Sensi, Interno Poesia Editore, 2019
‘World Tree’ (L’albero del mondo) e ‘Migratory II’ (Migratorio II) sono tratte da
La compagnia più bella (The Bonniest Companie), cura e traduzione di Giorgia Sensi, Edizioni Medusa, 2018
Kathleen Jamie è nata in Scozia. Laureata in filosofia all’università di Edimburgo. Ha pubblicato diverse raccolte di poesia: Black Spiders (1982); The Way We Live (1987); The Queen of Sheba (1994), Jizzen (1999),The Tree House (2004), The Overhaul (2012), The Bonniest Companie (2015). Ha ricevuto premi importanti, tra gli altri: con The Tree House il Forward Poetry Prize come Best Poetry Collection of the Year, 2004, e Scottish Arts Council Book of the Year Award, 2005; con The Overhaul il prestigioso Costa Award, e finalista del TS Eliot Prize. L’ultima raccolta, The Bonniest Companie ha vinto sia il Saltire Society Book of the Year sia il Poetry Book of the Year. Jamie scrive anche non-fiction; in particolare qui si citano Findings (2005); Sightlines (2012), e Surfacing,(2019) tre volumi di narrativa di viaggio nella sua nativa Scozia, sulla sua flora e fauna, su escursioni da lei fatte nelle isole Orcadi, Ebridi, e in altre isole al largo delle coste scozzesi, sui loro insediamenti neolitici. KJ vive a Fife, è Professore di Scrittura Creativa all’Università di Stirling.
In Italia Kathleen Jamie è tradotta da Giorgia Sensi:
La casa sull’albero, poesie scelte, Giuliano Ladolfi Editore 2016, ha vinto il premio Achille Marazza per la traduzione poetica 2017.
La compagnia più bella, Edizioni Medusa, 2018
Falco e ombra, poesie e prose scelte, Interno Poesia Editore 2019
Scrutare gli orizzonti (Sightlines), Luciana Tufani Editrice 2019
Kathleen Jamie ha vinto il Premio Internazionale del Ceppo, Pistoia 2019
Breve bio di Giorgia Sensi traduttrice freelance dall’inglese di fiction, non-fiction e soprattutto poesia.Fa parte della redazione di «Interno Poesia», blog e casa editrice per la promozione della poesia.Ha tradotto raccolte di Carol Ann Duffy, Jackie Kay, Gillian Clarke, Margaret Atwood, Eavan Boland, Kate Clanchy, Kathleen Jamie, Patrick McGuinness, John Barnie, Philip Morre, e curato diverse antologie.
Qui si citano per esteso le pubblicazioni più recenti:
Pubblicazioni nel 2018:
La compagnia più bella, (The Bonniest Companie) Kathleen Jamie, Medusa Editore;
Scrutare gli orizzonti, (Sightlines) Kathleen Jamie, narrativa di viaggio, Luciana Tufani Editrice;
una raccolta di poemetti di Natale di Carol Ann Duffy,Un Natale inglese, con Andrea Sirotti, Le Lettere.
Pubblicazioni nel 2019:
Déjà-vu, poesie scelte di Patrick McGuinness, IP Editore,
Falco e ombra, (Hawk and Shadow) antologia di poesie e prose di Kathleen Jamie, IP Editore;
La testa di Shakila, poesie e prose di Kate Clanchy, Lietocolle-gialla oro;
8 poesie di Jenny Mitchell per la rivista Versodove, n. 21;
Istantanea di ippopotamo con banane e altre poesie, (Snapshot of Hippo with Bananas and other poems) Philip Morre, IP.
La raccolta La casa sull’albero, Kathleen Jamie, Ladolfi Editore, 2016, ha vinto il Premio Marazza 2017 per la traduzione poetica.
Giorgia Sensi ha ricevuto il ‘Premio Nazionale per la Traduzione’ 2019, conferito da ‘Ministero dei Beni e delle Attività Culturali’.
Breve biografia di Alice Walker ha vinto il Pulitzer Prize e l’American Book Award per il romanzo The Color Purple (Colore di porpora). Altri suoi romanzi sono: Now Is the Time to Open Your Heart (È questo il momento di aprire il tuo cuore), By the Light of My Father’s Smile (Nella luce del sorriso paterno), Possessing the Secret of Joy ( Per possedere il segreto della gioia) e In the Temple of My Familiar (Nel tempio del mio familiare). È autore di tre volumi di racconti, tre libri di saggi, altri sei volumi di poesia, tra i quali A (Una poesia percorse il mio braccio) oltre a vari libri per i giovani. Nata a Eatonton, Georgia, tuttora abita nel lato nord della California. Poesie scelte da Revolutionary Petunias (Petunie revoluzionarie), di Alice Walker; A Harvest Book, Harcourt Brace & Company, San Diego, New York, London,1972; e da Absolute Trust in the Goodness of the Earth (Fiducia assoluta nella bontà della terra), Random House Trade Paperbacks, 2004.
Testi tratti dalla raccolta inedita “Antinomia d’urto”
*
La notte galleggia su roghi di stoppie
un ricordo distorce i binari
elude il contrafforte
si fa creatura viva
brillante
tu.
Così penso a mio nonno morto dieci anni fa
a tutte le morti della mia vita
come un’agopuntura
solo per cambiare nevralgia.
*
Questa distanza mi sembra impraticabile
è un bosco sigillato nel tronco, un fuoco
raschiato dalla luce. Già si cuce la sera
già la notte tesse la trama e si equivale.
Spacca in due le sue domande, io non rispondo,
fingo il sonno dove sogno di urlare.
*
L’antinomia delle rondini in volo
è uno spettacolo senza redini,
le osservo sgusciare nell’aria
le ali gemmate al sole
misurano la traiettoria
sono feritoie, spilli d’aurora
immischiati addii.
*
Giulia Catricalà è nata a Roma nel 1990. Ha studiato lettere moderne alla Sapienza di Roma e si è diplomata alla Scuola di giornalismo della Luiss. I suoi versi sono stati pubblicati su varie riviste. Coltiva la passione per la poesia dagli anni del liceo.
Agnese Di Venanzio Le mie Poesie in gergo foranese”A famijia de na vorda”
FORANO (RI)-23 gennaio 2013
Le mie Poesie in “gergo foranese” (scritta il 06 – 03 – 2005)
A famijia de na vorda
Una vorda a famija era sempre unita
a cosa più importante , pe tutta la tua vita
certo … eranu tante e difficoltà !…
però , trovavi u tempu pe ride e pe cantà ,
ai genituri portavi un gran rispettu
je confidavi i sogni che tenivi dentro u pettu
c’era sempre tanta de quella comprensione
stima, sincerità , non c’era mai apprensione
madre e padre stéanu in pace tra de loru
pure che a vvorde nun ci stéa u lavoru
benché chi céa a terra … céa pure da magnane
non mancava a farina , ne l’ojiu e mancu o pane
mittice doppu e cicerchie , quarche brocculittu
co ddu sargicce se llevavi u porchittu .
Come vidi in quilli tempi , ceàmo quasi tuttu
se llevavanu i polli , i coniji , se fettava o preciuttu
la a brace a sudà un’ ovu , lla u spidu a ventresca
quello che te magnavi era tutta robba fresca
na bella nsalatina , riempiva a scudella
e alla fine , te bevivi l ’ acetella
A sera doppu cena , se diceva u “ rosariu “
e a nui munelli ce toccava u sillabariu
davanti au focu , se stéa propiu bene
protetti da a famijia e stivi senza e pene ,
doppu u “rosariu” c’erano i racconti
coi tempi antichi se facevanu i confronti ,
a sentì lle storie te credivi fortunata
se in tuttu llo penà , nun eri capitata …
a tenecce boni c’era quarche caramella
rare vorde te pijavi quarche sberla .
A sera a lettu prestu , mettivi u scallalettu
baciavi i genituri pe dimostrà l ’ affettu
u scallalettu servìa pe rescallasse
e coperte eranu poche pe rebbundulasse ,
pe beve l ’ acqua a doveàmo fa panata
perché era fredda de fonte nella conca ramata .
Appena dentru u lettu , me rescallào co u fiatu
e poi crollavo subbitu in un sonnu beatu .
Mò io ,… che vò dda dì !… so tempi che rimpiagno
e quanno ce repenso , tante vorde ce piagno ,
steàmo bene !…, a felicità era tanta
calore, amore, affettu , c’eranu in abbondanza .
Mò , che c ’ emo tutte e commodità
ce manca o mejio , u rispettu e a moralità …
in famijia poi !… non poi aprì più bocca
qualsiasi cosa dici , te dicenu …… si “ tocca”.
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